HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli BIBLIOTECA
Ludovico
Ariosto
Orlando
furioso
INDICE
1
Le donne, i
cavallier, l'arme, gli amori,
le cortesie,
l'audaci imprese io canto,
che furo al
tempo che passaro i Mori
d'Africa il
mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo
l'ire e i giovenil furori
d'Agramante
lor re, che si diè vanto
di vendicar
la morte di Troiano
sopra re
Carlo imperator romano.
2
Dirò
d'Orlando in un medesmo tratto
cosa non
detta in prosa mai, né in rima:
che per amor
venne in furore e matto,
d'uom che
sì saggio era stimato prima;
se da colei
che tal quasi m'ha fatto,
che 'l poco
ingegno ad or ad or mi lima,
me ne
sarà però tanto concesso,
che mi basti
a finir quanto ho promesso.
3
Piacciavi,
generosa Erculea prole,
ornamento e
splendor del secol nostro,
Ippolito,
aggradir questo che vuole
e darvi sol
può l'umil servo vostro.
Quel ch'io vi
debbo, posso di parole
pagare in
parte e d'opera d'inchiostro;
né che poco
io vi dia da imputar sono,
che quanto io
posso dar, tutto vi dono.
4
Voi sentirete
fra i più degni eroi,
che nominar
con laude m'apparecchio,
ricordar quel
Ruggier, che fu di voi
e de' vostri
avi illustri il ceppo vecchio.
L'alto valore
e' chiari gesti suoi
vi
farò udir, se voi mi date orecchio,
e vostri alti
pensieri cedino un poco,
sì che
tra lor miei versi abbiano loco.
5
Orlando, che
gran tempo innamorato
fu de la
bella Angelica, e per lei
in India, in
Media, in Tartaria lasciato
avea infiniti
ed immortal trofei,
in Ponente
con essa era tornato,
dove sotto i
gran monti Pirenei
con la gente
di Francia e de Lamagna
re Carlo era
attendato alla campagna,
6
per far al re
Marsilio e al re Agramante
battersi
ancor del folle ardir la guancia,
d'aver
condotto, l'un, d'Africa quante
genti erano
atte a portar spada e lancia;
l'altro,
d'aver spinta la Spagna inante
a destruzion
del bel regno di Francia.
E così
Orlando arrivò quivi a punto:
ma tosto si
pentì d'esservi giunto:
7
Che vi fu
tolta la sua donna poi:
ecco il
giudicio uman come spesso erra!
Quella che
dagli esperi ai liti eoi
avea difesa
con sì lunga guerra,
or tolta gli
è fra tanti amici suoi,
senza spada
adoprar, ne la sua terra.
Il savio
imperator, ch'estinguer volse
un grave
incendio, fu che gli la tolse.
8
Nata pochi
dì inanzi era una gara
tra il conte
Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che entrambi
avean per la bellezza rara
d'amoroso
disio l'animo caldo.
Carlo, che
non avea tal lite cara,
che gli
rendea l'aiuto lor men saldo,
questa
donzella, che la causa n'era,
tolse, e
diè in mano al duca di Bavera;
9
in premio
promettendola a quel d'essi,
ch'in quel
conflitto, in quella gran giornata,
degl'infideli
più copia uccidessi,
e di sua man
prestasse opra più grata.
Contrari ai
voti poi furo i successi;
ch'in fuga
andò la gente battezzata,
e con molti
altri fu 'l duca prigione,
e
restò abbandonato il padiglione.
10
Dove, poi che
rimase la donzella
ch'esser
dovea del vincitor mercede,
inanzi al
caso era salita in sella,
e quando
bisognò le spalle diede,
presaga che
quel giorno esser rubella
dovea Fortuna
alla cristiana fede:
entrò
in un bosco, e ne la stretta via
rincontrò
un cavallier ch'a piè venìa.
11
Indosso la
corazza, l'elmo in testa,
la spada al
fianco, e in braccio avea lo scudo;
e più
leggier correa per la foresta,
ch'al pallio
rosso il villan mezzo ignudo.
Timida
pastorella mai sì presta
non volse
piede inanzi a serpe crudo,
come Angelica
tosto il freno torse,
che del
guerrier, ch'a piè venìa, s'accorse.
12
Era costui
quel paladin gagliardo,
figliuol
d'Amon, signor di Montalbano,
a cui pur
dianzi il suo destrier Baiardo
per strano
caso uscito era di mano.
Come alla
donna egli drizzò lo sguardo,
riconobbe,
quantunque di lontano,
l'angelico
sembiante e quel bel volto
ch'all'amorose
reti il tenea involto.
13
La donna il
palafreno a dietro volta,
e per la
selva a tutta briglia il caccia;
né per la
rara più che per la folta,
la più
sicura e miglior via procaccia:
ma pallida,
tremando, e di sé tolta,
lascia cura
al destrier che la via faccia.
Di sù
di giù, ne l'alta selva fiera
tanto
girò, che venne a una riviera.
14
Su la riviera
Ferraù trovosse
di sudor
pieno e tutto polveroso.
Da la
battaglia dianzi lo rimosse
un gran disio
di bere e di riposo;
e poi, mal
grado suo, quivi fermosse,
perché, de
l'acqua ingordo e frettoloso,
l'elmo nel fiume
si lasciò cadere,
né l'avea
potuto anco riavere.
15
Quanto potea
più forte, ne veniva
gridando la
donzella ispaventata.
A quella voce
salta in su la riva
il Saracino,
e nel viso la guata;
e la conosce
subito ch'arriva,
ben che di
timor pallida e turbata,
e sien
più dì che non n'udì novella,
che senza
dubbio ell'è Angelica bella.
16
E perché era
cortese, e n'avea forse
non men de'
dui cugini il petto caldo,
l'aiuto che
potea tutto le porse,
pur come
avesse l'elmo, ardito e baldo:
trasse la
spada, e minacciando corse
dove poco di
lui temea Rinaldo.
Più
volte s'eran già non pur veduti,
m'al paragon
de l'arme conosciuti.
17
Cominciar
quivi una crudel battaglia,
come a
piè si trovar, coi brandi ignudi:
non che le
piastre e la minuta maglia,
ma ai colpi
lor non reggerian gl'incudi.
Or, mentre
l'un con l'altro si travaglia,
bisogna al
palafren che 'l passo studi;
che quanto
può menar de le calcagna,
colei lo
caccia al bosco e alla campagna.
18
Poi che
s'affaticar gran pezzo invano
i dui
guerrier per por l'un l'altro sotto,
quando non
meno era con l'arme in mano
questo di
quel, né quel di questo dotto;
fu primiero
il signor di Montalbano,
ch'al
cavallier di Spagna fece motto,
sì
come quel ch'ha nel cuor tanto fuoco,
che tutto
n'arde e non ritrova loco.
19
Disse al
pagan: - Me sol creduto avrai,
e pur avrai
te meco ancora offeso:
se questo
avvien perché i fulgenti rai
del nuovo sol
t'abbino il petto acceso,
di farmi qui
tardar che guadagno hai?
che quando
ancor tu m'abbi morto o preso,
non
però tua la bella donna fia;
che, mentre
noi tardiam, se ne va via.
20
Quanto fia
meglio, amandola tu ancora,
che tu le
venga a traversar la strada,
a ritenerla e
farle far dimora,
prima che
più lontana se ne vada!
Come l'avremo
in potestate, allora
di chi esser
de' si provi con la spada:
non so
altrimenti, dopo un lungo affanno,
che possa
riuscirci altro che danno. -
21
Al pagan la
proposta non dispiacque:
così
fu differita la tenzone;
e tal tregua
tra lor subito nacque,
sì
l'odio e l'ira va in oblivione,
che 'l pagano
al partir da le fresche acque
non
lasciò a piedi il buon figliuol d'Amone:
con preghi
invita, ed al fin toglie in groppa,
e per l'orme
d'Angelica galoppa.
22
Oh gran
bontà de' cavallieri antiqui!
Eran rivali,
eran di fé diversi,
e si sentian
degli aspri colpi iniqui
per tutta la
persona anco dolersi;
e pur per
selve oscure e calli obliqui
insieme van
senza sospetto aversi.
Da quattro
sproni il destrier punto arriva
ove una
strada in due si dipartiva.
23
E come quei
che non sapean se l'una
o l'altra via
facesse la donzella
(però
che senza differenza alcuna
apparia in
amendue l'orma novella),
si messero ad
arbitrio di fortuna,
Rinaldo a
questa, il Saracino a quella.
Pel bosco
Ferraù molto s'avvolse,
e ritrovossi
al fine onde si tolse.
24
Pur si
ritrova ancor su la rivera,
là
dove l'elmo gli cascò ne l'onde.
Poi che la
donna ritrovar non spera,
per aver
l'elmo che 'l fiume gli asconde,
in quella
parte onde caduto gli era
discende ne
l'estreme umide sponde:
ma quello era
sì fitto ne la sabbia,
che molto
avrà da far prima che l'abbia.
25
Con un gran
ramo d'albero rimondo,
di ch'avea
fatto una pertica lunga,
tenta il
fiume e ricerca sino al fondo,
né loco
lascia ove non batta e punga.
Mentre con la
maggior stizza del mondo
tanto
l'indugio suo quivi prolunga,
vede di mezzo
il fiume un cavalliero
insino al
petto uscir, d'aspetto fiero.
26
Era, fuor che
la testa, tutto armato,
ed avea un
elmo ne la destra mano:
avea il
medesimo elmo che cercato
da
Ferraù fu lungamente invano.
A
Ferraù parlò come adirato,
e disse: - Ah
mancator di fé, marano!
perché di
lasciar l'elmo anche t'aggrevi,
che render
già gran tempo mi dovevi?
27
Ricordati,
pagan, quando uccidesti
d'Angelica il
fratel (che son quell'io),
dietro
all'altr'arme tu mi promettesti
gittar fra
pochi dì l'elmo nel rio.
Or se Fortuna
(quel che non volesti
far tu) pone
ad effetto il voler mio,
non ti
turbare; e se turbar ti déi,
turbati che
di fé mancato sei.
28
Ma se desir
pur hai d'un elmo fino,
trovane un
altro, ed abbil con più onore;
un tal ne
porta Orlando paladino,
un tal
Rinaldo, e forse anco migliore:
l'un fu
d'Almonte, e l'altro di Mambrino:
acquista un
di quei dui col tuo valore;
e questo,
ch'hai già di lasciarmi detto,
farai bene a
lasciarmi con effetto. -
29
All'apparir
che fece all'improvviso
de l'acqua
l'ombra, ogni pelo arricciossi,
e scolorossi
al Saracino il viso;
la voce,
ch'era per uscir, fermossi.
Udendo poi da
l'Argalia, ch'ucciso
quivi avea
già (che l'Argalia nomossi)
la rotta fede
così improverarse,
di scorno e
d'ira dentro e di fuor arse.
30
Né tempo
avendo a pensar altra scusa,
e conoscendo
ben che 'l ver gli disse,
restò
senza risposta a bocca chiusa;
ma la
vergogna il cor sì gli trafisse,
che
giurò per la vita di Lanfusa
non voler mai
ch'altro elmo lo coprisse,
se non quel
buono che già in Aspramonte
trasse dal
capo Orlando al fiero Almonte.
31
E
servò meglio questo giuramento,
che non avea
quell'altro fatto prima.
Quindi si
parte tanto malcontento,
che molti
giorni poi si rode e lima.
Sol di
cercare è il paladino intento
di qua di
là, dove trovarlo stima.
Altra ventura
al buon Rinaldo accade,
che da costui
tenea diverse strade.
32
Non molto va
Rinaldo, che si vede
saltare
inanzi il suo destrier feroce:
- Ferma,
Baiardo mio, deh, ferma il piede!
che l'esser
senza te troppo mi nuoce. -
Per questo il
destrier sordo, a lui non riede
anzi
più se ne va sempre veloce.
Segue
Rinaldo, e d'ira si distrugge:
ma seguitiamo
Angelica che fugge.
33
Fugge tra
selve spaventose e scure,
per lochi
inabitati, ermi e selvaggi.
Il mover de
le frondi e di verzure,
che di cerri
sentia, d'olmi e di faggi,
fatto le avea
con subite paure
trovar di qua
di là strani viaggi;
ch'ad ogni
ombra veduta o in monte o in valle,
temea Rinaldo
aver sempre alle spalle.
34
Qual
pargoletta o damma o capriuola,
che tra le
fronde del natio boschetto
alla madre
veduta abbia la gola
stringer dal
pardo, o aprirle 'l fianco o 'l petto,
di selva in
selva dal crudel s'invola,
e di paura
trema e di sospetto:
ad ogni
sterpo che passando tocca,
esser si
crede all'empia fera in bocca.
35
Quel
dì e la notte a mezzo l'altro giorno
s'andò
aggirando, e non sapeva dove.
Trovossi al
fin in un boschetto adorno,
che
lievemente la fresca aura muove.
Duo chiari
rivi, mormorando intorno,
sempre l'erbe
vi fan tenere e nuove;
e rendea ad
ascoltar dolce concento,
rotto tra
picciol sassi, il correr lento.
36
Quivi parendo
a lei d'esser sicura
e lontana a
Rinaldo mille miglia,
da la via
stanca e da l'estiva arsura,
di riposare
alquanto si consiglia:
tra' fiori
smonta, e lascia alla pastura
andare il
palafren senza la briglia;
e quel va
errando intorno alle chiare onde,
che di fresca
erba avean piene le sponde.
37
Ecco non
lungi un bel cespuglio vede
di prun
fioriti e di vermiglie rose,
che de le
liquide onde al specchio siede,
chiuso dal
sol fra l'alte querce ombrose;
così
voto nel mezzo, che concede
fresca stanza
fra l'ombre più nascose:
e la foglia
coi rami in modo è mista,
che 'l sol
non v'entra, non che minor vista.
38
Dentro letto
vi fan tenere erbette,
ch'invitano a
posar chi s'appresenta.
La bella
donna in mezzo a quel si mette,
ivi si corca
ed ivi s'addormenta.
Ma non per
lungo spazio così stette,
che un
calpestio le par che venir senta:
cheta si leva
e appresso alla riviera
vede
ch'armato un cavallier giunt'era.
39
Se gli
è amico o nemico non comprende:
tema e
speranza il dubbio cor le scuote;
e di quella
aventura il fine attende,
né pur d'un
sol sospir l'aria percuote.
Il cavalliero
in riva al fiume scende
sopra l'un
braccio a riposar le gote;
e in un suo
gran pensier tanto penètra,
che par
cangiato in insensibil pietra.
40
Pensoso
più d'un'ora a capo basso
stette,
Signore, il cavallier dolente;
poi
cominciò con suono afflitto e lasso
a lamentarsi
sì soavemente,
ch'avrebbe di
pietà spezzato un sasso,
una tigre
crudel fatta clemente.
Sospirante
piangea, tal ch'un ruscello
parean le
guance, e 'l petto un Mongibello.
41
- Pensier
(dicea) che 'l cor m'agghiacci ed ardi,
e causi il
duol che sempre il rode e lima,
che debbo
far, poi ch'io son giunto tardi,
e ch'altri a
corre il frutto è andato prima?
a pena avuto
io n'ho parole e sguardi,
ed altri n'ha
tutta la spoglia opima.
Se non ne
tocca a me frutto né fiore,
perché
affligger per lei mi vuo' più il core?
42
La verginella
è simile alla rosa,
ch'in bel
giardin su la nativa spina
mentre sola e
sicura si riposa,
né gregge né
pastor se le avvicina;
l'aura soave
e l'alba rugiadosa,
l'acqua, la
terra al suo favor s'inchina:
gioveni vaghi
e donne inamorate
amano averne
e seni e tempie ornate.
43
Ma non
sì tosto dal materno stelo
rimossa viene
e dal suo ceppo verde,
che quanto
avea dagli uomini e dal cielo
favor, grazia
e bellezza, tutto perde.
La vergine
che 'l fior, di che più zelo
che de' begli
occhi e de la vita aver de',
lascia altrui
corre, il pregio ch'avea inanti
perde nel cor
di tutti gli altri amanti.
44
Sia Vile agli
altri, e da quel solo amata
a cui di sé
fece sì larga copia.
Ah, Fortuna
crudel, Fortuna ingrata!
trionfan gli
altri, e ne moro io d'inopia.
Dunque esser
può che non mi sia più grata?
dunque io
posso lasciar mia vita propia?
Ah più
tosto oggi manchino i dì miei,
ch'io viva
più, s'amar non debbo lei! -
45
Se mi domanda
alcun chi costui sia,
che versa sopra
il rio lacrime tante,
io
dirò ch'egli è il re di Circassia,
quel d'amor
travagliato Sacripante;
io
dirò ancor, che di sua pena ria
sia prima e
sola causa essere amante,
è pur
un degli amanti di costei:
e ben
riconosciuto fu da lei.
46
Appresso ove
il sol cade, per suo amore
venuto era
dal capo d'Oriente;
che seppe in
India con suo gran dolore,
come ella
Orlando sequitò in Ponente:
poi seppe in
Francia che l'imperatore
sequestrata
l'avea da l'altra gente,
per darla
all'un de' duo che contra il Moro
più
quel giorno aiutasse i Gigli d'oro.
47
Stato era in
campo, e inteso avea di quella
rotta crudel
che dianzi ebbe re Carlo:
cercò
vestigio d'Angelica bella,
né potuto
avea ancora ritrovarlo.
Questa
è dunque la trista e ria novella
che d'amorosa
doglia fa penarlo,
affligger,
lamentare, e dir parole
che di
pietà potrian fermare il sole.
48
Mentre costui
così s'affligge e duole,
e fa degli
occhi suoi tepida fonte,
e dice queste
e molte altre parole,
che non mi
par bisogno esser racconte;
l'aventurosa
sua fortuna vuole
ch'alle
orecchie d'Angelica sian conte:
e così
quel ne viene a un'ora, a un punto,
ch'in mille
anni o mai più non è raggiunto.
49
Con molta
attenzion la bella donna
al pianto,
alle parole, al modo attende
di colui
ch'in amarla non assonna;
né questo
è il primo dì ch'ella l'intende:
ma dura e
fredda più d'una colonna,
ad averne
pietà non però scende,
come colei
c'ha tutto il mondo a sdegno,
e non le par
ch'alcun sia di lei degno.
50
Pur tra quei
boschi il ritrovarsi sola
le fa pensar
di tor costui per guida;
che chi ne
l'acqua sta fin alla gola
ben è
ostinato se mercé non grida.
Se questa
occasione or se l'invola,
non
troverà mai più scorta sì fida;
ch'a lunga
prova conosciuto inante
s'avea quel
re fedel sopra ogni amante.
51
Ma non
però disegna de l'affanno
che lo
distrugge alleggierir chi l'ama,
e ristorar
d'ogni passato danno
con quel
piacer ch'ogni amator più brama:
ma alcuna
fizione, alcuno inganno
di tenerlo in
speranza ordisce e trama;
tanto ch'a
quel bisogno se ne serva,
poi torni
all'uso suo dura e proterva.
52
E fuor di
quel cespuglio oscuro e cieco
fa di sé
bella ed improvvisa mostra,
come di selva
o fuor d'ombroso speco
Diana in
scena o Citerea si mostra;
e dice
all'apparir: - Pace sia teco;
teco difenda
Dio la fama nostra,
e non
comporti, contra ogni ragione,
ch'abbi di me
sì falsa opinione. -
53
Non mai con
tanto gaudio o stupor tanto
levò
gli occhi al figliuolo alcuna madre,
ch'avea per
morto sospirato e pianto,
poi che senza
esso udì tornar le squadre;
con quanto
gaudio il Saracin, con quanto
stupor l'alta
presenza e le leggiadre
maniere, e il
vero angelico sembiante,
improviso
apparir si vide inante.
54
Pieno di
dolce e d'amoroso affetto,
alla sua
donna, alla sua diva corse,
che con le
braccia al collo il tenne stretto,
quel ch'al
Catai non avria fatto forse.
Al patrio
regno, al suo natio ricetto,
seco avendo
costui, l'animo torse:
subito in lei
s'avviva la speranza
di tosto
riveder sua ricca stanza.
55
Ella gli
rende conto pienamente
dal giorno
che mandato fu da lei
a domandar
soccorso in Oriente
al re de'
Sericani e Nabatei;
e come
Orlando la guardò sovente
da morte, da
disnor, da casi rei:
e che 'l fior
virginal così avea salvo,
come se lo
portò del materno alvo.
56
Forse era
ver, ma non però credibile
a chi del
senso suo fosse signore;
ma parve
facilmente a lui possibile,
ch'era
perduto in via più grave errore.
Quel che
l'uom vede, Amor gli fa invisibiIe,
e l'invisibil
fa vedere Amore.
Questo
creduto fu; che 'l miser suole
dar facile
credenza a quel che vuole.
57
- Se mal si
seppe il cavallier d'Anglante
pigliar per
sua sciocchezza il tempo buono,
il danno se
ne avrà; che da qui inante
nol
chiamerà Fortuna a sì gran dono
(tra sé
tacito parla Sacripante):
ma io per
imitarlo già non sono,
che lasci
tanto ben che m'è concesso,
e ch'a doler
poi m'abbia di me stesso.
58
Corrò
la fresca e matutina rosa,
che,
tardando, stagion perder potria.
So ben ch'a
donna non si può far cosa
che
più soave e più piacevol sia,
ancor che se
ne mostri disdegnosa,
e talor mesta
e flebil se ne stia:
non
starò per repulsa o finto sdegno,
ch'io non
adombri e incarni il mio disegno. -
59
Così
dice egli; e mentre s'apparecchia
al dolce
assalto, un gran rumor che suona
dal vicin
bosco gl'intruona l'orecchia,
sì che
mal grado l'impresa abbandona:
e si pon
l'elmo (ch'avea usanza vecchia
di portar
sempre armata la persona),
viene al
destriero e gli ripon la briglia,
rimonta in
sella e la sua lancia piglia.
60
Ecco pel
bosco un cavallier venire,
il cui
sembiante è d'uom gagliardo e fiero:
candido come
nieve è il suo vestire,
un bianco
pennoncello ha per cimiero.
Re
Sacripante, che non può patire
che quel con
l'importuno suo sentiero
gli abbia
interrotto il gran piacer ch'avea,
con vista il
guarda disdegnosa e rea.
61
Come è
più appresso, lo sfida a battaglia;
che crede ben
fargli votar l'arcione.
Quel che di
lui non stimo già che vaglia
un grano
meno, e ne fa paragone,
l'orgogliose
minacce a mezzo taglia,
sprona a un
tempo, e la lancia in resta pone.
Sacripante
ritorna con tempesta,
e corronsi a
ferir testa per testa.
62
Non si vanno
i leoni o i tori in salto
a dar di
petto, ad accozzar sì crudi,
sì
come i duo guerrieri al fiero assalto,
che parimente
si passar li scudi.
Fe' lo scontro
tremar dal basso all'alto
l'erbose
valli insino ai poggi ignudi;
e ben
giovò che fur buoni e perfetti
gli osberghi
sì, che lor salvaro i petti.
63
Già
non fero i cavalli un correr torto,
anzi cozzaro
a guisa di montoni:
quel del
guerrier pagan morì di corto,
ch'era
vivendo in numero de' buoni:
quell'altro
cadde ancor, ma fu risorto
tosto ch'al
fianco si sentì gli sproni.
Quel del re
saracin restò disteso
adosso al suo
signor con tutto il peso.
64
L'incognito
campion che restò ritto,
e vide
l'altro col cavallo in terra,
stimando
avere assai di quel conflitto,
non si
curò di rinovar la guerra;
ma dove per
la selva è il camin dritto,
correndo a
tutta briglia si disserra;
e prima che
di briga esca il pagano,
un miglio o
poco meno è già lontano.
65
Qual
istordito e stupido aratore,
poi
ch'è passato il fulmine, si leva
di là
dove l'altissimo fragore
appresso ai
morti buoi steso l'aveva;
che mira
senza fronde e senza onore
il pin che di
lontan veder soleva:
tal si
levò il pagano a piè rimaso,
Angelica
presente al duro caso.
66
Sospira e
geme, non perché l'annoi
che piede o
braccio s'abbi rotto o mosso,
ma per
vergogna sola, onde a' dì suoi
né pria né
dopo il viso ebbe sì rosso:
e più,
ch'oltre il cader, sua donna poi
fu che gli
tolse il gran peso d'adosso.
Muto restava,
mi cred'io, se quella
non gli
rendea la voce e la favella.
67
- Deh!
(diss'ella) signor, non vi rincresca!
che del cader
non è la colpa vostra,
ma del
cavallo, a cui riposo ed esca
meglio si
convenia che nuova giostra.
Né perciò
quel guerrier sua gloria accresca
che d'esser
stato il perditor dimostra:
così,
per quel ch'io me ne sappia, stimo,
quando a
lasciare il campo è stato primo. -
68
Mentre costei
conforta il Saracino,
ecco col
corno e con la tasca al fianco,
galoppando venir
sopra un ronzino
un messagger
che parea afflitto e stanco;
che come a
Sacripante fu vicino,
gli
domandò se con un scudo bianco
e con un
bianco pennoncello in testa
vide un
guerrier passar per la foresta.
69
Rispose
Sacripante: - Come vedi,
m'ha qui
abbattuto, e se ne parte or ora;
e perch'io
sappia chi m'ha messo a piedi,
fa che per
nome io lo conosca ancora. -
Ed egli a
lui: - Di quel che tu mi chiedi
io ti
satisfarò senza dimora:
tu dei saper
che ti levò di sella
l'alto valor
d'una gentil donzella.
70
Ella è
gagliarda ed è più bella molto;
né il suo
famoso nome anco t'ascondo:
fu Bradamante
quella che t'ha tolto
quanto onor
mai tu guadagnasti al mondo. -
Poi ch'ebbe
così detto, a freno sciolto
il Saracin
lasciò poco giocondo,
che non sa che
si dica o che si faccia,
tutto
avvampato di vergogna in faccia.
71
Poi che gran
pezzo al caso intervenuto
ebbe pensato
invano, e finalmente
si
trovò da una femina abbattuto,
che
pensandovi più, più dolor sente;
montò
l'altro destrier, tacito e muto:
e senza far
parola, chetamente
tolse
Angelica in groppa, e differilla
a più
lieto uso, a stanza più tranquilla.
72
Non furo iti
due miglia, che sonare
odon la selva
che li cinge intorno,
con tal
rumore e strepito, che pare
che triemi la
foresta d'ogn'intorno;
e poco dopo
un gran destrier n'appare,
d'oro
guernito e riccamente adorno,
che salta
macchie e rivi, ed a fracasso
arbori mena e
ciò che vieta il passo.
73
- Se
l'intricati rami e l'aer fosco,
(disse la
donna) agli occhi non contende,
Baiardo
è quel destrier ch'in mezzo il bosco
con tal rumor
la chiusa via si fende.
Questo
è certo Baiardo, io 'l riconosco:
deh, come ben
nostro bisogno intende!
ch'un sol
ronzin per dui saria mal atto,
e ne viene
egli a satisfarci ratto. -
74
Smonta il
Circasso ed al destrier s'accosta,
e si pensava
dar di mano al freno.
Colle groppe
il destrier gli fa risposta,
che fu presto
al girar come un baleno;
ma non arriva
dove i calci apposta:
misero il
cavallier se giungea a pieno!
che nei calci
tal possa avea il cavallo,
ch'avria
spezzato un monte di metallo.
75
Indi va
mansueto alla donzella,
con umile
sembiante e gesto umano,
come intorno
al padrone il can saltella,
che sia duo
giorni o tre stato lontano.
Baiardo
ancora avea memoria d'ella,
ch'in
Albracca il servia già di sua mano
nel tempo che
da lei tanto era amato
Rinaldo,
allor crudele, allor ingrato.
76
Con la
sinistra man prende la briglia,
con l'altra
tocca e palpa il collo e 'l petto:
quel
destrier, ch'avea ingegno a maraviglia,
a lei, come
un agnel, si fa suggetto.
Intanto
Sacripante il tempo piglia:
monta Baiardo
e l'urta e lo tien stretto.
Del ronzin
disgravato la donzella
lascia la
groppa, e si ripone in sella.
77
Poi
rivolgendo a caso gli occhi, mira
venir sonando
d'arme un gran pedone.
Tutta
s'avvampa di dispetto e d'ira,
che conosce
il figliuol del duca Amone.
Più
che sua vita l'ama egli e desira;
l'odia e
fugge ella più che gru falcone.
Già fu
ch'esso odiò lei più che la morte;
ella
amò lui: or han cangiato sorte.
78
E questo
hanno causato due fontane
che di
diverso effetto hanno liquore,
ambe in
Ardenna, e non sono lontane:
d'amoroso
disio l'una empie il core;
chi bee de
l'altra, senza amor rimane,
e volge tutto
in ghiaccio il primo ardore.
Rinaldo
gustò d'una, e amor lo strugge;
Angelica de
l'altra, e l'odia e fugge.
79
Quel liquor
di secreto venen misto,
che muta in
odio l'amorosa cura,
fa che la
donna che Rinaldo ha visto,
nei sereni
occhi subito s'oscura;
e con voce
tremante e viso tristo
supplica
Sacripante e lo scongiura
che quel
guerrier più appresso non attenda,
ma ch'insieme
con lei la fuga prenda.
80
- Son dunque
(disse il Saracino), sono
dunque in
sì poco credito con vui,
che mi
stimiate inutile e non buono
da potervi
difender da costui?
Le battaglie
d'Albracca già vi sono
di mente
uscite, e la notte ch'io fui
per la salute
vostra, solo e nudo,
contra
Agricane e tutto il campo, scudo? -
81
Non risponde
ella, e non sa che si faccia,
perché
Rinaldo ormai l'è troppo appresso,
che da lontan
al Saracin minaccia,
come vide il
cavallo e conobbe esso,
e riconohbe
l'angelica faccia
che l'amoroso
incendio in cor gli ha messo.
Quel che
seguì tra questi duo superbi
vo' che per
l'altro canto si riserbi.
1
Ingiustissimo
Amor, perché sì raro
corrispondenti
fai nostri desiri?
onde,
perfido, avvien che t'è sì caro
il discorde
voler ch'in duo cor miri?
Gir non mi
lasci al facil guado e chiaro,
e nel
più cieco e maggior fondo tiri:
da chi disia
il mio amor tu mi richiami,
e chi m'ha in
odio vuoi ch'adori ed ami.
2
Fai ch'a
Rinaldo Angelica par bella,
quando esso a
lei brutto e spiacevol pare:
quando le
parea bello e l'amava ella,
egli
odiò lei quanto si può più odiare.
Ora
s'affligge indarno e si flagella;
così
renduto ben gli è pare a pare:
ella l'ha in
odio, e l'odio è di tal sorte,
che piu tosto
che lui vorria la morte.
3
Rinaldo al
Saracin con molto orgoglio
gridò:
- Scendi, ladron, del mio cavallo!
Che mi sia
tolto il mio, patir non soglio,
ma ben fo, a
chi lo vuol, caro costallo:
e levar
questa donna anco ti voglio;
che sarebbe a
lasciartela gran fallo.
Sì
perfetto destrier, donna sì degna
a un ladron
non mi par che si convegna. -
4
- Tu te ne
menti che ladrone io sia
(rispose il
Saracin non meno altiero):
chi dicesse a
te ladro, lo diria
(quanto io
n'odo per fama) più con vero.
La pruova or
si vedrà, chi di noi sia
più
degno de la donna e del destriero;
ben che,
quanto a lei, teco io mi convegna
che non
è cosa al mondo altra sì degna. -
5
Come soglion
talor duo can mordenti,
o per invidia
o per altro odio mossi,
avicinarsi
digrignando i denti,
con occhi
bieci e più che bracia rossi;
indi a' morsi
venir, di rabbia ardenti,
con aspri
ringhi e ribuffati dossi:
così
alle spade e dai gridi e da l'onte
venne il
Circasso e quel di Chiaramonte.
6
A piedi
è l'un, l'altro a cavallo: or quale
credete
ch'abbia il Saracin vantaggio?
Né ve n'ha
però alcun; che così vale
forse ancor
men ch'uno inesperto paggio;
che 'l
destrier per istinto naturale
non volea
fare al suo signore oltraggio:
né con man né
con spron potea il Circasso
farlo a
voluntà sua muover mai passo.
7
Quando crede
cacciarlo, egli s'arresta;
E se tener lo
vuole, o corre o trotta:
poi sotto il
petto si caccia la testa,
giuoca di
schiene, e mena calci in frotta.
Vedendo il
Saracin ch'a domar questa
bestia
superba era mal tempo allotta,
ferma le man
sul primo arcione e s'alza,
e dal
sinistro fianco in piede sbalza.
8
Sciolto che
fu il pagan con leggier salto
da l'ostinata
furia di Baiardo,
si vide
cominciar ben degno assalto
d'un par di
cavallier tanto gagliardo.
Suona l'un
brando e l'altro, or basso or alto:
il martel di
Vulcano era più tardo
ne la
spelunca affumicata, dove
battea
all'incude i folgori di Giove.
9
Fanno or con
lunghi, ora con finti e scarsi
colpi veder
che mastri son del giuoco:
or li vedi
ire altieri, or rannicchiarsi,
ora coprirsi,
ora mostrarsi un poco,
ora crescer
inanzi, ora ritrarsi,
ribatter
colpi e spesso lor dar loco,
girarsi
intorno; e donde l'uno cede,
l'altro aver
posto immantinente il piede.
10
Ecco Rinaldo
con la spada adosso
a Sacripante
tutto s'abbandona;
e quel porge
lo scudo, ch'era d'osso,
con la
piastra d'acciar temprata e buona.
Taglial
Fusberta, ancor che molto grosso:
ne geme la
foresta e ne risuona.
L'osso e
l'acciar ne va che par di ghiaccio,
e lascia al
Saracin stordito il braccio.
11
Quando vide
la timida donzella
dal fiero
colpo uscir tanta ruina,
per gran
timor cangiò la faccia bella,
qual il reo
ch'al supplicio s'avvicina;
né le par che
vi sia da tardar, s'ella
non vuol di
quel Rinaldo esser rapina,
di quel
Rinaldo ch'ella tanto odiava,
quanto esso
lei miseramente amava.
12
Volta il
cavallo, e ne la selva folta
lo caccia per
un aspro e stretto calle:
e spesso il
viso smorto a dietro volta;
che le par
che Rinaldo abbia alle spalle.
Fuggendo non
avea fatto via molta,
che
scontrò un eremita in una valle,
ch'avea lunga
la barba a mezzo il petto,
devoto e
venerabile d'aspetto.
13
Dagli anni e
dal digiuno attenuato,
sopra un
lento asinel se ne veniva;
e parea,
più ch'alcun fosse mai stato,
di coscienza
scrupolosa e schiva.
Come egli
vide il viso delicato
de la
donzella che sopra gli arriva,
debil
quantunque e mal gagliarda fosse,
tutta per
carità se gli commosse.
14
La donna al
fraticel chiede la via
che la
conduca ad un porto di mare,
perché levar
di Francia si vorria,
per non udir
Rinaldo nominare.
Il frate, che
sapea negromanzia,
non cessa la
donzella confortare
che presto la
trarrà d'ogni periglio;
ed ad una sua
tasca diè di piglio.
15
Trassene un
libro, e mostrò grande effetto;
che legger
non finì la prima faccia,
ch'uscir fa
un spirto in forma di valletto,
e gli
commanda quanto vuol ch'el faccia.
Quel se ne
va, da la scrittura astretto,
dove i dui
cavallieri a faccia a faccia
eran nel
bosco, e non stavano al rezzo;
fra' quali
entrò con grande audacia in mezzo.
16
- Per
cortesia (disse), un di voi mi mostre,
quando anco
uccida l'altro, che gli vaglia:
che merto
avrete alle fatiche vostre,
finita che
tra voi sia la battaglia,
se 'l conte
Orlando, senza liti o giostre,
e senza pur
aver rotta una maglia,
verso Parigi
mena la donzella
che v'ha
condotti a questa pugna fella?
17
Vicino un
miglio ho ritrovato Orlando
che ne va con
Angelica a Parigi,
di voi
ridendo insieme, e motteggiando
che senza
frutto alcun siate in litigi.
Il meglio
forse vi sarebbe, or quando
non son
più lungi, a seguir lor vestigi;
che s'in
Parigi Orlando la può avere,
non ve la
lascia mai più rivedere. -
18
Veduto
avreste i cavallier turbarsi
a quel
annunzio, e mesti e sbigottiti,
senza occhi e
senza mente nominarsi,
che gli
avesse il rival così scherniti;
ma il buon
Rinaldo al suo cavallo trarsi
con sospir
che parean del fuoco usciti,
e giurar per
isdegno e per furore,
se giungea
Orlando, di cavargli il core.
19
E dove
aspetta il suo Baiardo, passa,
e sopra vi si
lancia, e via galoppa,
né al
cavallier, ch'a piè nel bosco lassa,
pur dice a
Dio, non che lo 'nviti in groppa.
L'animoso
cavallo urta e fracassa,
punto dal suo
signor, ciò ch'egli 'ntoppa:
non ponno
fosse o fiumi o sassi o spine
far che dal
corso il corridor decline.
20
Signor, non
voglio che vi paia strano
se Rinaldo or
sì tosto il destrier piglia,
che
già più giorni ha seguitato invano,
né gli ha
possuto mai toccar la briglia.
Fece il destrier,
ch'avea intelletto umano,
non per vizio
seguirsi tante miglia,
ma per guidar
dove la donna giva,
il suo
signor, da chi bramar l'udiva.
21
Quando ella
si fuggì dal padiglione,
la vide ed
appostolla il buon destriero,
che si
trovava aver voto l'arcione,
però
che n'era sceso il cavalliero
per combatter
di par con un barone,
che men di
lui non era in arme fiero;
poi ne
seguitò l'orme di lontano,
bramoso porla
al suo signore in mano.
22
Bramoso di
ritrarlo ove fosse ella,
per la gran
selva inanzi se gli messe;
né lo volea
lasciar montare in sella,
perché ad
altro camin non lo volgesse.
Per lui
trovò Rinaldo la donzella
una e due
volte, e mai non gli successe;
che fu da
Ferraù prima impedito,
poi dal
Circasso, come avete udito.
23
Ora al
demonio che mostrò a Rinaldo
de la
donzella li falsi vestigi,
credette
Baiardo anco, e stette saldo
e mansueto ai
soliti servigi.
Rinaldo il
caccia, d'ira e d'amor caldo,
a tutta
briglia, e sempre invêr Parigi;
e vola tanto
col disio, che lento,
non ch'un
destrier, ma gli parrebbe il vento.
24
La notte a
pena di seguir rimane,
per
affrontarsi col signor d'Anglante:
tanto ha
creduto alle parole vane
del messagger
del cauto negromante.
Non cessa
cavalcar sera e dimane,
che si vede
apparir la terra avante,
dove re
Carlo, rotto e mal condutto,
con le
reliquie sue s'era ridutto:
25
e perché dal
re d'Africa battaglia
ed assedio
s'aspetta, usa gran cura
a raccor
buona gente e vettovaglia,
far cavamenti
e riparar le mura.
Ciò
ch'a difesa spera che gli vaglia,
senza gran
diferir, tutto procura:
pensa mandare
in Inghilterra, e trarne
gente onde
possa un novo campo farne:
26
che vuole
uscir di nuovo alla campagna,
e ritentar la
sorte de la guerra.
Spaccia
Rinaldo subito in Bretagna,
Bretagna che
fu poi detta Inghilterra.
Ben de
l'andata il paladin si lagna:
non ch'abbia
così in odio quella terra;
ma perché
Carlo il manda allora allora,
né pur lo
lascia un giorno far dimora.
27
Rinaldo mai
di ciò non fece meno
volentier
cosa; poi che fu distolto
di gir
cercando il bel viso sereno
che gli avea
il cor di mezzo il petto tolto:
ma, per
ubidir Carlo, nondimeno
a quella via
si fu subito volto,
ed a Calesse
in poche ore trovossi;
e giunto, il
dì medesimo imbarcossi.
28
Contra la
voluntà d'ogni nocchiero,
pel gran
desir che di tornare avea,
entrò
nel mar ch'era turbato e fiero,
e gran
procella minacciar parea.
Il Vento si
sdegnò, che da l'altiero
sprezzar si
vide; e con tempesta rea
sollevò
il mar intorno, e con tal rabbia,
che gli
mandò a bagnar sino alla gabbia.
29
Calano tosto
i marinari accorti
le maggior
vele, e pensano dar volta,
e ritornar ne
li medesmi porti
donde in mal
punto avean la nave sciolta.
- Non convien
(dice il Vento) ch'io comporti
tanta licenza
che v'avete tolta; -
e soffia e
grida e naufragio minaccia,
s'altrove
van, che dove egli li caccia.
30
Or a poppa,
or all'orza hann'il crudele,
che mai non
cessa, e vien più ognor crescendo:
essi di qua
di là con umil vele
vansi
aggirando, e l'alto mar scorrendo.
Ma perché
varie fila a varie tele
uopo mi son,
che tutte ordire intendo,
lascio
Rinaldo e l'agitata prua,
e torno a dir
di Bradamante sua.
31
Io parlo di
quella inclita donzella,
per cui re
Sacripante in terra giacque,
che di questo
signor degna sorella,
del duca
Amone e di Beatrice nacque.
La gran
possanza e il molto ardir di quella
non meno a
Carlo e a tutta Francia piacque
(che
più d'un paragon ne vide saldo),
che 'l lodato
valor del buon Rinaldo.
32
La donna
amata fu da un cavalliero
che d'Africa
passò col re Agramante,
che
partorì del seme di Ruggiero
la disperata
figlia di Agolante:
e costei, che
né d'orso né di fiero
leone
uscì, non sdegnò tal amante;
ben che
concesso, fuor che vedersi una
volta e
parlarsi, non ha lor Fortuna.
33
Quindi
cercando Bradamante gìa
l'amante suo,
ch'avea nome dal padre,
così
sicura senza compagnia,
come avesse
in sua guardia mille squadre:
e fatto
ch'ebbe al re di Circassia
battere il
volto dell'antiqua madre,
traversò
un bosco, e dopo il bosco un monte,
tanto che
giunse ad una bella fonte.
34
La fonte
discorrea per mezzo un prato,
d'arbori
antiqui e di bell'ombre adorno,
Ch'i
viandanti col mormorio grato
a ber invita
e a far seco soggiorno:
un culto
monticel dal manco lato
le difende il
calor del mezzo giorno.
Quivi, come i
begli occhi prima torse,
d'un
cavallier la giovane s'accorse;
35
d'un
cavallier, ch'all'ombra d'un boschetto,
nel margin
verde e bianco e rosso e giallo
sedea
pensoso, tacito e soletto
sopra quel
chiaro e liquido cristallo.
Lo scudo non
lontan pende e l'elmetto
dal faggio,
ove legato era il cavallo;
ed avea gli
occhi molli e 'l viso basso,
e si mostrava
addolorato e lasso.
36
Questo disir,
ch'a tutti sta nel core,
de' fatti
altrui sempre cercar novella,
fece a quel
cavallier del suo dolore
la cagion
domandar da la donzella.
Egli l'aperse
e tutta mostrò fuore,
dal cortese
parlar mosso di quella,
e dal
sembiante altier, ch'al primo sguardo
gli
sembrò di guerrier molto gagliardo.
37
E
cominciò: - Signor, io conducea
pedoni e
cavallieri, e venìa in campo
là
dove Carlo Marsilio attendea,
perch'al
scender del monte avesse inciampo;
e una giovane
bella meco avea,
del cui
fervido amor nel petto avampo:
e ritrovai
presso a Rodonna armato
un che
frenava un gran destriero alato.
38
Tosto che 'l
ladro, o sia mortale, o sia
una de
l'infernali anime orrende,
vede la bella
e cara donna mia;
come falcon
che per ferir discende,
cala e poggia
in un atimo, e tra via
getta le
mani, e lei smarrita prende.
Ancor non
m'era accorto de l'assalto,
che de la
donna io senti' il grido in alto.
39
Così
il rapace nibio furar suole
il misero
pulcin presso alla chioccia,
che di sua
inavvertenza poi si duole,
e invan gli
grida, e invan dietro gli croccia.
Io non posso
seguir un uom che vole,
chiuso tra'
monti, a piè d'un'erta roccia:
stanco ho il
destrier, che muta a pena i passi
ne l'aspre
vie de' faticosi sassi.
40
Ma, come quel
che men curato avrei
vedermi trar
di mezzo il petto il core,
lasciai lor
via seguir quegli altri miei,
senza mia guida
e senza alcun rettore:
per li
scoscesi poggi e manco rei
presi la via
che mi mostrava Amore,
e dove mi
parea che quel rapace
portassi il
mio conforto e la mia pace.
41
Sei giorni me
n'andai matina e sera
per balze e
per pendici orride e strane,
dove non via,
dove sentier non era,
dove né segno
di vestigie umane;
poi giunsi in
una valle inculta e fiera,
di ripe cinta
e spaventose tane,
che nel mezzo
s'un sasso avea un castello
forte e ben
posto, a maraviglia bello.
42
Da lungi par
che come fiamma lustri,
né sia di
terra cotta, né di marmi.
Come
più m'avicino ai muri illustri,
l'opra
più bella e più mirabil parmi.
E seppi poi,
come i demoni industri,
da suffumigi
tratti e sacri carmi,
tutto
d'acciaio avean cinto il bel loco,
temprato
all'onda ed allo stigio foco.
43
Di sì
forbito acciar luce ogni torre,
che non vi
può né ruggine né macchia.
Tutto il
paese giorno e notte scorre,
E poi
là dentro il rio ladron s'immacchia.
Cosa non ha
ripar che voglia torre:
sol dietro
invan se li bestemia e gracchia.
Quivi la
donna, anzi il mio cor mi tiene,
che di mai
ricovrar lascio ogni spene.
44
Ah lasso! che
poss'io più che mirare
la rocca
lungi, ove il mio ben m'è chiuso?
come la
volpe, che 'l figlio gridare
nel nido oda
de l'aquila di giuso,
s'aggira
intorno, e non sa che si fare,
poi che l'ali
non ha da gir là suso.
Erto è
quel sasso sì, tale è il castello,
che non vi
può salir chi non è augello.
45
Mentre io
tardava quivi, ecco venire
duo cavallier
ch'avean per guida un nano,
che la
speranza aggiunsero al desire;
ma ben fu la
speranza e il desir vano.
Ambi erano
guerrier di sommo ardire:
era Gradasso
l'un, re sericano;
era l'altro
Ruggier, giovene forte,
pregiato
assai ne l'africana corte.
46
- Vengon (mi
disse il nano) per far pruova
di lor
virtù col sir di quel castello,
che per via
strana, inusitata e nuova
cavalca
armato il quadrupede augello. -
- Deh, signor
(diss'io lor), pietà vi muova
del duro caso
mio spietato e fello!
Quando, come
ho speranza, voi vinciate,
vi prego la
mia donna mi rendiate. -
47
E come mi fu
tolta lor narrai,
con lacrime
affermando il dolor mio.
Quei, lor
mercé, mi proferiro assai,
e giù
calaro il poggio alpestre e rio.
Di lontan la
battaglia io riguardai,
pregando per
la lor vittoria Dio.
Era sotto il
castel tanto di piano,
quanto in due
volte si può trar con mano.
48
Poi che fur
giunti a piè de l'alta rocca,
l'uno e l'
altro volea combatter prima;
pur a
Gradasso, o fosse sorte, tocca,
o pur che non
ne fe' Ruggier più stima.
Quel Serican
si pone il corno a bocca:
rimbomba il
sasso e la fortezza in cima.
Ecco apparire
il cavalliero armato
fuor de la
porta, e sul cavallo alato.
49
Cominciò
a poco a poco indi a levarse,
come suol far
la peregrina grue,
che corre
prima, e poi vediamo alzarse
alla terra
vicina un braccio o due;
e quando
tutte sono all'aria sparse,
velocissime
mostra l'ale sue.
Sì ad
alto il negromante batte l'ale,
ch'a tanta
altezza a pena aquila sale.
50
Quando gli
parve poi, volse il destriero,
che chiuse i
vanni e venne a terra a piombo,
come casca
dal ciel falcon maniero
che levar
veggia l'anitra o il colombo.
Con la lancia
arrestata il cavalliero
l'aria
fendendo vien d'orribil rombo.
Gradasso a
pena del calar s'avede,
che se lo
sente addosso e che lo fiede.
51
Sopra
Gradasso il mago l'asta roppe;
ferì
Gradasso il vento e l'aria vana:
per questo il
volator non interroppe
il batter
l'ale, e quindi s'allontana.
Il grave
scontro fa chinar le groppe
sul verde
prato alla gagliarda alfana.
Gradasso avea
una alfana, la più bella
e la miglior
che mai portasse sella.
52
Sin alle
stelle il volator trascorse;
indi girossi
e tornò in fretta al basso,
e percosse
Ruggier che non s'accorse,
Ruggier che
tutto intento era a Gradasso.
Ruggier del
grave colpo si distorse,
e 'l suo
destrier più rinculò d'un passo;
e quando si
voltò per lui ferire,
da sé lontano
il vide al ciel salire.
53
Or su
Gradasso, or su Ruggier percote
ne la fronte,
nel petto e ne la schiena,
e le botte di
quei lascia ognor vote,
perché
è sì presto, che si vede a pena.
Girando va
con spaziose rote,
e quando
all'uno accenna, all'altro mena:
all'uno e
all'altro sì gli occhi abbarbaglia,
che non ponno
veder donde gli assaglia.
54
Fra duo
guerrieri in terra ed uno in cielo
la battaglia
durò sino a quella ora,
che spiegando
pel mondo oscuro velo,
tutte le
belle cose discolora.
Fu quel ch'io
dico, e non v'aggiungo un pelo:
io 'l vidi,
i' 'l so: né m'assicuro ancora
di dirlo
altrui; che questa maraviglia
al falso
più ch'al ver si rassimiglia.
55
D'un bel
drappo di seta avea coperto
lo scudo in
braccio il cavallier celeste.
Come avesse,
non so, tanto sofferto
di tenerlo
nascosto in quella veste;
ch'immantinente
che lo mostra aperto,
forza
è, ch'il mira, abbarbagliato reste,
e cada come
corpo morto cade,
e venga al negromante
in potestade.
56
Splende lo
scudo a guisa di piropo,
e luce altra
non è tanto lucente.
Cadere in
terra allo splendor fu d'uopo
con gli occhi
abbacinati, e senza mente.
Perdei da
lungi anch'io li sensi, e dopo
gran spazio
mi riebbi finalmente;
né più
i guerrier né più vidi quel nano,
ma
vòto il campo, e scuro il monte e il piano.
57
Pensai per
questo che l'incantatore
avesse
amendui colti a un tratto insieme,
e tolto per
virtù de lo splendore
la libertade
a loro, e a me la speme.
Così a
quel loco, che chiudea il mio core,
dissi,
partendo, le parole estreme.
Or giudicate
s'altra pena ria,
che causi
Amor, può pareggiar la mia. -
58
Ritornò
il cavallier nel primo duolo,
fatta che
n'ebbe la cagion palese.
Questo era il
conte Pinabel, figliuolo
d'Anselmo
d'Altaripa, maganzese;
che tra sua
gente scelerata, solo
leale esser
non volse né cortese,
ma ne li vizi
abominandi e brutti
non pur gli
altri adeguò, ma passò tutti.
59
La bella
donna con diverso aspetto
stette
ascoltando il Maganzese cheta;
che come
prima di Ruggier fu detto,
nel viso si
mostrò più che mai lieta:
ma quando
sentì poi ch'era in distretto,
turbossi
tutta d'amorosa pieta;
né per una o
due volte contentosse
che ritornato
a replicar le fosse.
60
E poi ch'al
fin le parve esserne chiara,
gli disse: -
Cavallier, datti riposo,
che ben
può la mia giunta esserti cara,
parerti
questo giorno aventuroso.
Andiam pur
tosto a quella stanza avara,
che sì
ricco tesor ci tiene ascoso;
né spesa
sarà invan questa fatica,
se fortuna
non m'è troppo nemica. -
61
Rispose il
cavallier: - Tu vòi ch'io passi
di nuovo i
monti, e mostriti la via?
A me molto
non è perdere i passi,
perduta
avendo ogni altra cosa mia;
ma tu per
balze e ruinosi sassi
cerchi entrar
in pregione; e così sia.
Non hai di
che dolerti di me, poi
ch'io tel
predico, e tu pur gir vi vòi. -
62
Così
dice egli, e torna al suo destriero,
e di quella
animosa si fa guida,
che si mette
a periglio per Ruggiero,
che la pigli
quel mago o che la ancida.
In questo,
ecco alle spalle il messaggero,
ch': -
Aspetta, aspetta! - a tutta voce grida,
il messagger
da chi il Circasso intese
che costei fu
ch'all'erba lo distese.
63
A Bradamante
il messagger novella
di Mompolier
e di Narbona porta,
ch'alzato gli
stendardi di Castella
avean, con
tutto il lito d'Acquamorta;
e che
Marsilia, non v'essendo quella
che la dovea
guardar, mal si conforta,
e consiglio e
soccorso le domanda
per questo
messo, e se le raccomanda.
64
Questa
cittade, e intorno a molte miglia
ciò
che fra Varo e Rodano al mar siede,
avea
l'imperator dato alla figlia
del duca
Amon, in ch'avea speme e fede;
però
che 'l suo valor con maraviglia
riguardar
suol, quando armeggiar la vede.
Or, com'io
dico, a domandar aiuto
quel messo da
Marsilia era venuto.
65
Tra sì
e no la giovane suspesa,
di voler
ritornar dubita un poco:
quinci
l'onore e il debito le pesa,
quindi
l'incalza l'amoroso foco.
Fermasi al
fin di seguitar l'impresa,
e trar
Ruggier de l'incantato loco;
e quando sua
virtù non possa tanto,
almen
restargli prigioniera a canto.
66
E fece iscusa
tal, che quel messaggio
parve
contento rimanere e cheto.
Indi
girò la briglia al suo viaggio,
con Pinabel
che non ne parve lieto;
che seppe
esser costei di quel lignaggio
che tanto ha
in odio in publico e in secreto:
e già
s'avisa le future angosce,
se lui per
maganzese ella conosce.
67
Tra casa di
Maganza e di Chiarmonte
era odio
antico e inimicizia intensa;
e più
volte s'avean rotta la fronte,
e sparso di
lor sangue copia immensa:
e però
nel suo cor l'iniquo conte
tradir
l'incauta giovane si pensa;
o, come prima
commodo gli accada,
lasciarla
sola, e trovar altra strada.
68
E tanto gli
occupò la fantasia
il nativo
odio, il dubbio e la paura,
ch'inavedutamente
uscì di via:
e ritrovossi
in una selva oscura,
che nel mezzo
avea un monte che finia
la nuda cima
in una pietra dura;
e la figlia
del duca di Dordona
gli è
sempre dietro, e mai non l'abandona.
69
Come si vide
il Maganzese al bosco,
pensò
tôrsi la donna da le spalle.
Disse: -
Prima che 'l ciel torni più fosco,
verso un
albergo è meglio farsi il calle.
Oltra quel
monte, s'io lo riconosco,
siede un
ricco castel giù ne la valle.
Tu qui
m'aspetta; che dal nudo scoglio
certificar
con gli occhi me ne voglio. -
70
Così
dicendo, alla cima superna
del solitario
monte il destrier caccia,
mirando pur
s'alcuna via discerna,
come lei
possa tor da la sua traccia.
Ecco nel
sasso truova una caverna,
che si
profonda più di trenta braccia.
Tagliato a
picchi ed a scarpelli il sasso
scende
giù al dritto, ed ha una porta al basso.
71
Nel fondo
avea una porta ampla e capace,
ch'in maggior
stanza largo adito dava;
e fuor
n'uscìa splendor, come di face
ch'ardesse in
mezzo alla montana cava.
Mentre quivi
il fellon suspeso tace,
la donna, che
da lungi il seguitava
(perché
perderne l'orme si temea),
alla spelonca
gli sopragiungea.
72
Poi che si
vide il traditore uscire,
quel ch'avea
prima disegnato, invano,
o da sé
torla, o di farla morire,
nuovo
argumento imaginossi e strano.
Le si fe'
incontra, e su la fe' salire
là
dove il monte era forato e vano;
e le disse
ch'avea visto nel fondo
una donzelIa
di viso giocondo.
73
Ch'a' bei
sembianti ed alla ricca vesta
esser parea
di non ignobil grado;
ma quanto
più potea turbata e mesta,
mostrava
esservi chiusa suo mal grado:
e per saper
la condizion di questa,
ch'avea
già cominciato a entrar nel guado;
e ch'era
uscito de l'interna grotta
un che dentro
a furor l'avea ridotta.
74
Bradamante,
che come era animosa,
così
mal cauta, a Pinabel diè fede;
e d'aiutar la
donna, disiosa,
si pensa come
por colà giù il piede.
Ecco d'un
olmo alla cima frondosa
volgendo gli
occhi, un lungo ramo vede;
e con la
spada quel subito tronca,
e lo declina
giù ne la spelonca.
75
Dove è
tagliato, in man lo raccomanda
a Pinabello,
e poscia a quel s'apprende:
prima
giù i piedi ne la tana manda,
e su le
braccia tutta si suspende.
Sorride
Pinabello, e le domanda
come ella
salti; e le man apre e stende,
dicendole: -
Qui fosser teco insieme
tutti li
tuoi, ch'io ne spegnessi il seme! -
76
Non come
volse Pinabello avvenne
de
l'innocente giovane la sorte;
perché,
giù diroccando a ferir venne
prima nel
fondo il ramo saldo e forte.
Ben si
spezzò, ma tanto la sostenne,
che 'l suo
favor la liberò da morte.
Giacque
stordita la donzella alquanto,
come io vi
seguirò ne l'altro canto.
1
Chi mi
darà la voce e le parole
convenienti a
sì nobil suggetto?
chi l'ale al
verso presterà, che vole
tanto
ch'arrivi all'alto mio concetto?
Molto maggior
di quel furor che suole,
ben or
convien che mi riscaldi il petto;
che questa
parte al mio signor si debbe,
che canta gli
avi onde l'origin ebbe:
2
Di cui fra
tutti li signori illustri,
dal ciel
sortiti a governar la terra,
non vedi, o
Febo, che 'l gran mondo lustri,
più
gloriosa stirpe o in pace o in guerra;
né che sua
nobiltade abbia più lustri
servata, e
servarà (s'in me non erra
quel
profetico lume che m'ispiri)
fin che
d'intorno al polo il ciel s'aggiri.
3
E volendone a
pien dicer gli onori,
bisogna non
la mia, ma quella cetra
con che tu
dopo i gigantei furori
rendesti
grazia al regnator dell'etra.
S'istrumenti
avrò mai da te migliori,
atti a
sculpire in così degna pietra,
in queste
belle imagini disegno
porre ogni
mia fatica, ogni mio ingegno.
4
Levando
intanto queste prime rudi
scaglie
n'andrò con lo scarpello inetto:
forse
ch'ancor con più solerti studi
poi
ridurrò questo lavor perfetto.
Ma ritorniano
a quello, a cui né scudi
potran né
usberghi assicurare il petto:
parlo di
Pinabello di Maganza,
che d'uccider
la donna ebbe speranza.
5
Il traditor
pensò che la donzella
fosse ne
l'alto precipizio morta;
e con pallida
faccia lasciò quella
trista e per
lui contaminata porta,
e
tornò presto a rimontar in sella:
e come quel
ch'avea l'anima torta,
per giunger
colpa a colpa e fallo a fallo,
di Bradamante
ne menò il cavallo.
6
Lasciàn
costui, che mentre all'altrui vita
ordisce
inganno, il suo morir procura;
e torniamo
alla donna che, tradita,
quasi ebbe a
un tempo e morte e sepoltura.
Poi ch'ella
si levò tutta stordita,
ch'avea
percosso in su la pietra dura,
dentro la
porta andò, ch'adito dava
ne la seconda
assai più larga cava.
7
La stanza,
quadra e spaziosa, pare
una devota e
venerabil chiesa,
che su
colonne alabastrine e rare
con bella
architettura era suspesa.
Surgea nel
mezzo un ben locato altare,
ch'avea
dinanzi una lampada accesa;
e quella di
splendente e chiaro foco
rendea gran
lume all'uno e all'altro loco.
8
Di devota
umiltà la donna tocca,
come si vide
in loco sacro e pio,
incominciò
col core e con la bocca,
inginocchiata,
a mandar prieghi a Dio.
Un picciol
uscio intanto stride e crocca,
ch'era
all'incontro, onde una donna uscìo
discinta e
scalza, e sciolte avea le chiome,
che la
donzella salutò per nome.
9
E disse: - O
generosa Bradamante,
non giunta
qui senza voler divino,
di te
più giorni m'ha predetto inante
il profetico
spirto di Merlino,
che visitar
le sue reliquie sante
dovevi per
insolito camino:
e qui son
stata acciò ch'io ti riveli
quel c'han di
te già statuito i cieli.
10
Questa
è l'antiqua e memorabil grotta
ch'edificò
Merlino, il savio mago
che forse
ricordare odi talotta,
dove
ingannollo la Donna del Lago.
Il sepolcro
è qui giù, dove corrotta
giace la
carne sua; dove egli, vago
di sodisfare
a lei, che glil suase,
vivo
corcossi, e morto ci rimase.
11
Col corpo
morto il vivo spirto alberga,
sin ch'oda il
suon de l'angelica tromba
che dal ciel
lo bandisca o che ve l'erga,
secondo che
sarà corvo o colomba.
Vive la voce;
e come chiara emerga,
udir potrai
dalla marmorea tomba,
che le passate
e le future cose
a chi gli
domandò, sempre rispose.
12
Più
giorni son ch'in questo cimiterio
venni di
remotissimo paese,
perché circa
il mio studio alto misterio
mi facesse
Merlin meglio palese:
e perché ebbi
vederti desiderio,
poi ci son
stata oltre il disegno un mese;
che Merlin,
che 'l ver sempre mi predisse,
termine al
venir tuo questo dì fisse. -
13
Stassi d'Amon
la sbigottita figlia
tacita e
fissa al ragionar di questa;
ed ha
sì pieno il cor di maraviglia,
che non sa
s'ella dorme o s'ella è desta:
e con rimesse
e vergognose ciglia
(come quella
che tutta era modesta)
rispose: - Di
che merito son io,
ch'antiveggian
profeti il venir mio? -
14
E lieta de
l'insolita avventura,
dietro alla
Maga subito fu mossa,
che la
condusse a quella sepoltura
che chiudea
di Merlin l'anima e l'ossa.
Era
quell'arca d'una pietra dura,
lucida e
tersa, e come fiamma rossa;
tal ch'alla
stanza, ben che di sol priva,
dava
splendore il lume che n'usciva.
15
O che natura
sia d'alcuni marmi
che muovin
l'ombre a guisa di facelle,
o forza pur
di suffumigi e carmi
e segni
impressi all'osservate stelle
(come
più questo verisimil parmi),
discopria lo
splendor più cose belle
e di scoltura
e di color, ch'intorno
il venerabil
luogo aveano adorno.
16
A pena ha
Bradamante da la soglia
levato il
piè ne la secreta cella,
che 'l vivo
spirto da la morta spoglia
con
chiarissima voce le favella:
- Favorisca
Fortuna ogni tua voglia,
o casta e
nobilissima donzella,
del cui
ventre uscirà il seme fecondo
che onorar
deve Italia e tutto il mondo.
17
L'antiquo
sangue che venne da Troia,
per li duo
miglior rivi in te commisto,
produrrà
l'ornamento, il fior, la gioia
d'ogni
lignaggio ch'abbia il sol mai visto
tra l'Indo e
'l Tago e 'l Nilo e la Danoia,
tra quanto
è 'n mezzo Antartico e Calisto.
Ne la
progenie tua con sommi onori
saran
marchesi, duci e imperatori.
18
I capitani e
i cavallier robusti
quindi
usciran, che col ferro e col senno
ricuperar
tutti gli onor vetusti
de l'arme
invitte alla sua Italia denno.
Quindi terran
lo scettro i signor giusti,
che, come il
savio Augusto e Numa fenno,
sotto il
benigno e buon governo loro
ritorneran la
prima età de l'oro.
19
Acciò
dunque il voler del ciel si metta
in effetto
per te, che di Ruggiero
t'ha per
moglier fin da principio eletta,
segue
animosamente il tuo sentiero;
che cosa non
sarà che s'intrometta
da poterti
turbar questo pensiero,
sì che
non mandi al primo assalto in terra
quel rio
ladron ch'ogni tuo ben ti serra. -
20
Tacque
Merlino avendo così detto,
ed agio
all'opre de la Maga diede,
ch'a
Bradamante dimostrar l'aspetto
si preparava
di ciascun suo erede.
Avea di
spirti un gran numero eletto,
non so se da
l'Inferno o da qual sede,
e tutti
quelli in un luogo raccolti
sotto abiti
diversi e vari volti.
21
Poi la
donzella a sé richiama in chiesa,
là
dove prima avea tirato un cerchio
che la potea
capir tutta distesa,
ed avea un
palmo ancora di superchio.
E perché da
li spirti non sia offesa,
le fa d'un
gran pentacolo coperchio;
e le dice che
taccia e stia a mirarla:
poi scioglie
il libro, e coi demoni parla.
22
Eccovi fuor
de la prima spelonca,
che gente
intorno al sacro cerchio ingrossa;
ma, come
vuole entrar, la via l'è tronca,
come lo cinga
intorno muro e fossa.
In quella
stanza, ove la bella conca
in sé chiudea
del gran profeta l'ossa,
entravan
l'ombre, poi ch'avean tre volte
fatto
d'intorno lor debite volte.
23
- Se i nomi e
i gesti di ciascun vo' dirti
(dicea
l'incantatrice a Bradamante),
di questi
ch'or per gl'incantati spirti,
prima che
nati sien, ci sono avante,
non so veder
quando abbia da espedirti;
che non basta
una notte a cose tante:
sì
ch'io te ne verrò scegliendo alcuno,
secondo il
tempo, e che sarà oportuno.
24
Vedi quel
primo che ti rassimiglia
ne' bei
sembianti e nel giocondo aspetto:
capo in
Italia fia di tua famiglia,
del seme di
Ruggiero in te concetto.
Veder del
sangue di Pontier vermiglia
per mano di
costui la terra aspetto,
e vendicato
il tradimento e il torto
contra quei
che gli avranno il padre morto.
25
Per opra di
costui sarà deserto
il re de'
Longobardi Desiderio:
d'Este e di
Calaon per questo merto
il bel
dominio avrà dal sommo Imperio.
Quel che gli
è dietro, è il tuo nipote Uberto,
onor de
l'arme e del paese esperio:
per costui
contra Barbari difesa
più
d'una volta fia la santa Chiesa.
26
Vedi qui
Alberto, invitto capitano
ch'ornerà
di trofei tanti delubri:
Ugo il figlio
è con lui, che di Milano
farà
l'acquisto, e spiegherà i colubri.
Azzo è
quell'altro, a cui resterà in mano
dopo il
fratello, il regno degli Insubri.
Ecco Albertazzo,
il cui savio consiglio
torrà
d'Italia Beringario e il figlio;
27
e sarà
degno a cui Cesare Otone
Alda sua
figlia, in matrimonio aggiunga.
Vedi un altro
Ugo: oh bella successione,
che dal
patrio valor non si dislunga!
Costui
sarà, che per giusta cagione
ai superbi
Roman l'orgoglio emunga,
che 'l terzo
Otone e il pontefice tolga
de le man
loro, e 'l grave assedio sciolga.
28
Vedi Folco,
che par ch'al suo germano,
ciò
che in Italia avea, tutto abbi dato,
e vada a
possedere indi lontano
in mezzo agli
Alamanni un gran ducato;
e dia alla
casa di Sansogna mano,
che caduta
sarà tutta da un lato;
e per la
linea de la madre, erede,
con la
progenie sua la terrà in piede.
29
Questo ch'or
a nui viene è il secondo Azzo,
di cortesia
più che di guerre amico,
tra dui
figli, Bertoldo ed Albertazzo.
Vinto da l'un
sarà il secondo Enrico,
e del sangue
tedesco orribil guazzo
Parma
vedrà per tutto il campo aprico:
de l'altro la
contessa gloriosa,
saggia e
casta Matilde, sarà sposa.
30
Virtù
il farà di tal connubio degno;
ch'a quella
età non poca laude estimo
quasi di
mezza Italia in dote il regno,
e la nipote
aver d'Enrico primo.
Ecco di quel
Bertoldo il caro pegno,
Rinaldo tuo,
ch'avrà l'onor opimo
d'aver la
Chiesa de le man riscossa
de l'empio
Federico Barbarossa.
31
Ecco un altro
Azzo, ed è quel che Verona
avrà
in poter col suo bel tenitorio;
e sarà
detto marchese d'Ancona
dal quarto
Otone e dal secondo Onorio.
Lungo
sarà s'io mostro ogni persona
del sangue
tuo, ch'avrà del consistorio
il confalone,
e s'io narro ogni impresa
vinta da lor
per la romana Chiesa.
32
Obizzo vedi e
Folco, altri Azzi, altri Ughi,
ambi gli
Enrichi, il figlio al padre a canto;
duo Guelfi,
di quai l'uno Umbria soggiughi,
e vesta di
Spoleti il ducal manto.
Ecco che 'l
sangue e le gran piaghe asciughi
d'Italia
afflitta, e volga in riso il pianto:
di costui
parlo (e mostrolle Azzo quinto)
onde Ezellin
fia rotto, preso, estinto.
33
Ezellino,
immanissimo tiranno,
che fia
creduto figlio del demonio,
farà,
troncando i sudditi, tal danno,
e
distruggendo il bel paese ausonio,
che pietosi
apo lui stati saranno
Mario, Silla,
Neron, Caio ed Antonio.
E Federico
imperator secondo
fia per
questo Azzo rotto e messo al fondo.
34
Terrà
costui con più felice scettro
la bella
terra che siede sul fiume,
dove
chiamò con lacrimoso plettro
Febo il
figliuol ch'avea mal retto il lume,
quando fu
pianto il fabuloso elettro,
e Cigno si
vestì di bianche piume;
e questa di
mille oblighi mercede
gli
donerà l'Apostolica sede.
35
Dove lascio
il fratel Aldrobandino?
che per dar
al pontefice soccorso
contra Oton
quarto e il campo ghibellino
che
sarà presso al Campidoglio corso,
ed
avrà preso ogni luogo vicino,
e posto agli
Umbri e alli Piceni il morso;
né potendo
prestargli aiuto senza
molto tesor,
ne chiederà a Fiorenza;
36
e non avendo
gioie o miglior pegni,
per
sicurtà daralle il frate in mano.
Spiegherà
i suoi vittoriosi segni,
e
romperà l'esercito germano;
in seggio
riporrà la Chiesa, e degni
darà
supplici ai conti di Celano;
ed al
servizio del sommo Pastore
finirà
gli anni suoi nel più bel fiore.
37
Ed Azzo, il
suo fratel, lascierà erede
del dominio
d'Ancona e di Pisauro,
d'ogni
città che da Troento siede
tra il mare e
l'Apennin fin all'Isauro,
e di
grandezza d'animo e di fede,
e di
virtù, miglior che gemme ed auro:
che dona e
tolle ogn'altro ben Fortuna;
sol in
virtù non ha possanza alcuna.
38
Vedi Rinaldo,
in cui non minor raggio
splenderà
di valor, pur che non sia
a tanta
esaltazion del bel lignaggio
Morte o
Fortuna invidiosa e ria.
Udirne il
duol fin qui da Napoli aggio,
dove del
padre allor statico fia.
Or Obizzo ne
vien, che giovinetto
dopo l'avo
sarà principe eletto.
39
Al bel
dominio accrescerà costui
Reggio
giocondo, e Modona feroce.
Tal
sarà il suo valor, che signor lui
domanderanno
i populi a una voce.
Vedi Azzo
sesto, un de' figliuoli sui,
confalonier
de la cristiana croce:
avrà
il ducato d'Andria con la figlia
del secondo
re Carlo di Siciglia.
40
Vedi in un
bello ed amichevol groppo
de li
principi illustri l'eccellenza:
Obizzo,
Aldrobandin, Nicolò zoppo,
Alberto,
d'amor pieno e di clemenza.
Io
tacerò, per non tenerti troppo,
come al bel
regno aggiungeran Favenza,
e con maggior
fermezza Adria, che valse
da sé nomar
l'indomite acque salse;
41
Come la
terra, il cui produr di rose
le diè
piacevol nome in greche voci,
e la
città ch'in mezzo alle piscose
paludi, del
Po teme ambe le foci,
dove abitan
le genti disiose
che 'l mar si
turbi e sieno i venti atroci.
Taccio
d'Argenta, di Lugo e di mille
altre
castella e populose ville.
42
Ve'
Nicolò, che tenero fanciullo
il popul crea
signor de la sua terra,
e di Tideo fa
il pensier vano e nullo,
che contra
lui le civil arme afferra.
Sarà
di questo il pueril trastullo
sudar nel
ferro e travagliarsi in guerra;
e da lo
studio del tempo primiero
il fior
riuscirà d'ogni guerriero.
43
Farà
de' suoi ribelli uscire a voto
ogni disegno,
e lor tornare in danno;
ed ogni
stratagema avrà sì noto,
che
sarà duro il poter fargli inganno.
Tardi di
questo s'avedrà il terzo Oto,
e di Reggio e
di Parma aspro tiranno,
che da costui
spogliato a un tempo fia
e del dominio
e de la vita ria.
44
Avrà
il bel regno poi sempre augumento
senza torcer
mai piè dal camin dritto;
né ad alcuno
farà mai nocumento,
da cui prima
non sia d'ingiuria afflitto:
ed è
per questo il gran Motor contento
che non gli
sia alcun termine prescritto:
ma duri
prosperando in meglio sempre,
fin che si
volga il ciel ne le sue tempre.
45
Vedi
Leonello, e vedi il primo duce,
fama de la
sua età, l'inclito Borso,
che siede in
pace, e più trionfo adduce
di quanti in
altrui terre abbino corso.
Chiuderà
Marte ove non veggia luce,
e
stringerà al Furor le mani al dorso.
Di questo
signor splendido ogni intento
sarà
che 'l popul suo viva contento.
46
Ercole or
vien, ch'al suo vicin rinfaccia,
col
piè mezzo arso e con quei debol passi,
come a Budrio
col petto e con la faccia
il campo
volto in fuga gli fermassi;
non perché in
premio poi guerra gli faccia,
né, per
cacciarlo, fin nel Barco passi.
Questo
è il signor, di cui non so esplicarme
se fia
maggior la gloria o in pace o in arme.
47
Terran
Pugliesi, Calabri e Lucani
de' gesti di
costui lunga memoria,
là
dove avrà dal Re de' Catalani
di pugna
singular la prima gloria;
e nome tra
gl'invitti capitani
s'acquisterà
con più d'una vittoria:
avrà
per sua virtù la signoria,
più di
trenta anni a lui debita pria.
48
E quanto
più aver obligo si possa
a principe,
sua terra avrà a costui;
non perché
fia de le paludi mossa
tra campi
fertilissimi da lui;
non perché la
farà con muro e fossa
meglio capace
a' cittadini sui,
e
l'ornarà di templi e di palagi,
di piazze, di
teatri e di mille agi;
49
non perché
dagli artigli de l'audace
aligero Leon
terrà difesa;
non perché,
quando la gallica face
per tutto
avrà la bella Italia accesa,
si
starà sola col suo stato in pace,
e dal timore
e dai tributi illesa:
non sì
per questi ed altri benefici
saran sue
genti ad Ercol debitrici:
50
quanto che
darà lor l'inclita prole,
il giusto
Alfonso e Ippolito benigno,
che saran
quai l'antiqua fama suole
narrar de'
figli del Tindareo cigno,
ch'alternamente
si privan del sole
per trar l'un
l'altro de l'aer maligno.
Sarà
ciascuno d'essi e pronto e forte
l'altro
salvar con sua perpetua morte.
51
Il grande
amor di questa bella coppia
renderà
il popul suo via più sicuro,
che se, per
opra di Vulcan, di doppia
cinta di
ferro avesse intorno il muro.
Alfonso
è quel che col saper accoppia
sì la
bontà, ch'al secolo futuro
la gente
crederà che sia dal cielo
tornata
Astrea dove può il caldo e il gielo.
52
A grande uopo
gli fia l'esser prudente,
e di valore
assimigliarsi al padre;
che si
ritroverà, con poca gente,
da un lato
aver le veneziane squadre,
colei
dall'altro, che più giustamente
non so se
devrà dir matrigna o madre;
ma se per
madre, a lui poco più pia,
che Medea ai
figli o Progne stata sia.
53
E quante
volte uscirà giorno o notte
col suo popul
fedel fuor de la terra,
tante
sconfitte e memorabil rotte
darà
a' nimici o per acqua o per terra.
Le genti di
Romagna mal condotte,
contra i
vicini e lor già amici, in guerra,
se
n'avedranno, insanguinando il suolo
che serra il
Po, Santerno e Zanniolo.
54
Nei medesmi
confini anco saprallo
del gran
Pastore il mercenario Ispano,
che gli
avrà dopo con poco intervallo
la
Bastìa tolta, e morto il castellano,
quando
l'avrà già preso; e per tal fallo
non fia, dal
minor fante al capitano,
che del
racquisto e del presidio ucciso
a Roma
riportar possa l'aviso.
55
Costui
sarà, col senno e con la lancia,
ch'avrà
l'onor, nei campi di Romagna,
d'aver dato
all'esercito di Francia
la gran
vittoria contra Iulio e Spagna.
Nuoteranno i
destrier fin alla pancia
nel sangue
uman per tutta la campagna;
ch'a sepelire
il popul verrà manco
tedesco,
ispano, greco, italo, e franco.
56
Quel ch'in
pontificale abito imprime
del purpureo
capel la sacra chioma,
è il
liberal, magnanimo, sublime,
gran cardinal
de la Chiesa di Roma
Ippolito,
ch'a prose, a versi, a rime
darà
materia eterna in ogni idioma;
la cui
fiorita età vuole il ciel iusto
ch'abbia un
Maron, come un altro ebbe Augusto.
57
Adornerà
la sua progenie bella,
come orna il
sol la machina del mondo
molto
più de la luna e d'ogni stella;
ch'ogn'altro
lume a lui sempre è secondo.
Costui con pochi
a piedi e meno in sella
veggio uscir
mesto, e poi tornar iocondo;
che quindici
galee mena captive,
oltra
mill'altri legni alle sue rive.
58
Vedi poi
l'uno e l'altro Sigismondo.
Vedi
d'Alfonso i cinque figli cari,
alla cui fama
ostar, che di sé il mondo
non empia, i
monti non potran né i mari:
gener del re
di Francia, Ercol secondo
è
l'un; quest'altro (acciò tutti gl'impari)
Ippolito
è, che non con minor raggio
che 'l zio,
risplenderà nel suo lignaggio;
59
Francesco, il
terzo; Alfonsi gli altri dui
ambi son
detti. Or, come io dissi prima,
s'ho da
mostrarti ogni tuo ramo, il cui
valor la
stirpe sua tanto sublima,
bisognerà
che si rischiari e abbui
più
volte prima il ciel, ch'io te li esprima:
e sarà
tempo ormai, quando ti piaccia,
ch'io dia
licenza all'ombre e ch'io mi taccia. -
60
Così
con voluntà de la donzella
la dotta
incantatrice il libro chiuse.
Tutti gli
spirti allora ne la cella
spariro in
fretta, ove eran l'ossa chiuse.
Qui
Bradamante, poi che la favella
le fu
concessa usar, la bocca schiuse,
e
domandò: - Chi son li dua sì tristi,
che tra
Ippolito e Alfonso abbiamo visti?
61
Veniano
sospirando, e gli occhi bassi
parean tener
d'ogni baldanza privi;
e gir lontan
da loro io vedea i passi
dei frati
sì, che ne pareano schivi. -
Parve ch'a
tal domanda si cangiassi
la maga in
viso, e fe' degli occhi rivi,
e
gridò: - Ah sfortunati, a quanta pena
lungo istigar
d'uomini rei vi mena!
62
O bona prole,
o degna d'Ercol buono,
non vinca il
lor fallir vostra bontade:
di vostro
sangue i miseri pur sono;
qui ceda la
iustizia alla pietade. -
Indi
soggiunse con più basso suono:
- Di
ciò dirti più inanzi non accade.
Statti col
dolce in bocca; e non ti doglia
ch'amareggiare
al fin non te la voglia.
63
Tosto che
spunti in ciel la prima luce,
piglierai
meco la più dritta via
ch'al lucente
castel d'acciai' conduce,
dove Ruggier
vive in altrui balìa.
Io tanto ti
sarò compagna e duce,
che tu sia
fuor de l'aspra selva ria:
t'insegnerò,
poi che saren sul mare,
sì ben
la via, che non potresti errare. -
64
Quivi l'audace
giovane rimase
tutta la
notte, e gran pezzo ne spese
a parlar con
Merlin, che le suase
rendersi
tosto al suo Ruggier cortese.
Lasciò
di poi le sotterranee case,
che di nuovo
splendor l'aria s'accese,
per un camin
gran spazio oscuro e cieco,
avendo la
spirtal femmina seco.
65
E riusciro in
un burrone ascoso
tra monti
inaccessibili alle genti;
e tutto 'l
dì senza pigliar riposo
saliron balze
e traversar torrenti.
E perché men
l'andar fosse noioso,
di piacevoli
e bei ragionamenti,
di quel che fu
più conferir soave,
l'aspro camin
facean parer men grave:
66
di quali era
però la maggior parte,
ch'a
Bradamante vien la dotta maga
mostrando con
che astuzia e con qual arte
proceder de',
se di Ruggiero è vaga.
- Se tu fossi
(dicea) Pallade o Marte,
e conducessi
gente alla tua paga
più
che non ha il re Carlo e il re Agramante,
non dureresti
contra il negromante;
67
che oltre che
d'acciar murata sia
la rocca
inespugnabile, e tant'alta;
oltre che 'l
suo destrier si faccia via
per mezzo
l'aria, ove galoppa e salta;
ha lo scudo
mortal, che come pria
si scopre, il
suo splendor sì gli occhi assalta,
la vista
tolle, e tanto occupa i sensi,
che come
morto rimaner conviensi.
68
E se forse ti
pensi che ti vaglia
combattendo
tener serrati gli occhi,
come potrai
saper ne la battaglia
quando ti
schivi, o l'avversario tocchi?
Ma per
fuggire il lume ch'abbarbaglia,
e gli altri
incanti di colui far sciocchi,
ti
mostrerò un rimedio, una via presta;
né altra in
tutto 'l mondo è se non questa.
69
Il re
Agramante d'Africa uno annello,
che fu rubato
in India a una regina,
ha dato a un
suo baron detto Brunello,
che poche
miglia inanzi ne camina;
di tal
virtù, che chi nel dito ha quello,
contra il mal
degl'incanti ha medicina.
Sa de furti e
d'inganni Brunel, quanto
colui, che
tien Ruggier, sappia d'incanto.
70
Questo Brunel
sì pratico e sì astuto,
come io ti
dico, è dal suo re mandato
acciò
che col suo ingegno e con l'aiuto
di questo
annello, in tal cose provato,
di quella
rocca dove è ritenuto,
traggia
Ruggier, che così s'è vantato,
ed ha
così promesso al suo signore,
a cui
Ruggiero è più d'ogn'altro a core.
71
Ma perché il
tuo Ruggiero a te sol abbia,
e non al re
Agramante, ad obligarsi
che tratto
sia de l'incantata gabbia,
t'insegnerò
il rimedio che de' usarsi.
Tu te
n'andrai tre dì lungo la sabbia
del mar,
ch'è oramai presso a dimostrarsi;
il terzo
giorno in un albergo teco
arriverà
costui c'ha l'annel seco.
72
La sua
statura, acciò tu lo conosca,
non è
sei palmi, ed ha il capo ricciuto;
le chiome ha
nere, ed ha la pelle fosca;
pallido il
viso, oltre il dover barbuto;
gli occhi
gonfiati e guardatura losca;
schiacciato
il naso, e ne le ciglia irsuto:
l'abito,
acciò ch'io lo dipinga intero,
è
stretto e corto, e sembra di corriero.
73
Con esso lui
t'accaderà soggetto
di ragionar
di quell'incanti strani:
mostra
d'aver, come tu avra' in effetto,
disio che 'l
mago sia teco alle mani;
ma non
mostrar che ti sia stato detto
di quel suo
annel che fa gl'incanti vani.
Egli
t'offerirà mostrar la via
fin alla
rocca e farti compagnia.
74
Tu gli va
dietro: e come t'avicini
a quella
rocca sì ch'ella si scopra,
dàgli
la morte; né pietà t'inchini
che tu non
metta il mio consiglio in opra.
Né far
ch'egli il pensier tuo s'indovini,
e ch'abbia
tempo che l'annel lo copra;
perché ti
spariria dagli occhi, tosto
ch'in bocca
il sacro annel s'avesse posto. -
75
Così
parlando, giunsero sul mare,
dove presso a
Bordea mette Garonna.
Quivi, non
senza alquanto lagrimare,
si
dipartì l'una da l'altra donna.
La figliuola
d'Amon, che per slegare
di prigione
il suo amante non assonna,
caminò
tanto, che venne una sera
ad uno
albergo, ove Brunel prim'era.
76
Conosce ella
Brunel come lo vede,
di cui la
forma avea sculpita in mente:
onde ne
viene, ove ne va, gli chiede;
quel le
risponde, e d'ogni cosa mente.
La donna,
già prevista, non gli cede
in dir
menzogne, e simula ugualmente
e patria e
stirpe e setta e nome e sesso;
e gli volta
alle man pur gli occhi spesso.
77
Gli va gli
occhi alle man spesso voltando,
in dubbio sempre
esser da lui rubata;
né lo lascia
venir troppo accostando,
di sua
condizion bene informata.
Stavano
insieme in questa guisa, quando
l'orecchia da
un rumor lor fu intruonata.
Poi vi
dirò, Signor, che ne fu causa,
ch'avrò
fatto al cantar debita pausa.
1
Quantunque il
simular sia le più volte
ripreso, e
dia di mala mente indici,
si trova pur
in molte cose e molte
aver fatti
evidenti benefici,
e danni e
biasmi e morti aver già tolte;
che non
conversiam sempre con gli amici
in questa
assai più oscura che serena
vita mortal,
tutta d'invidia piena.
2
Se, dopo
lunga prova, a gran fatica
trovar si
può chi ti sia amico vero,
ed a chi
senza alcun sospetto dica
e discoperto
mostri il tuo pensiero;
che de' far
di Ruggier la bella amica
con quel
Brunel non puro e non sincero,
ma tutto
simulato e tutto finto,
come la maga
le l'avea dipinto?
3
Simula
anch'ella; e così far conviene
con esso lui
di finzioni padre;
e, come io
dissi, spesso ella gli tiene
gli occhi
alle man, ch'eran rapaci e ladre.
Ecco
all'orecchie un gran rumor lor viene.
Disse la
donna: - O gloriosa Madre,
o Re del
ciel, che cosa sarà questa? -
E dove era il
rumor si trovò presta.
4
E vede l'oste
e tutta la famiglia,
e chi a
finestre e chi fuor ne la via,
tener levati
al ciel gli occhi e le ciglia,
come
l'ecclisse o la cometa sia.
Vede la donna
un'alta maraviglia,
che di
leggier creduta non saria:
vede passar
un gran destriero alato,
che porta in
aria un cavalliero armato.
5
Grandi eran
l'ale e di color diverso,
e vi sedea
nel mezzo un cavalliero,
di ferro
armato luminoso e terso;
e vêr
ponente avea dritto il sentiero.
Calossi, e fu
tra le montagne immerso:
e, come dicea
l'oste (e dicea il vero),
quel era un
negromante, e facea spesso
quel varco,
or più da lungi, or più da presso.
6
Volando,
talor s'alza ne le stelle,
e poi quasi
talor la terra rade;
e ne porta
con lui tutte le belle
donne che
trova per quelle contrade:
talmente che
le misere donzelle
ch'abbino o
aver si credano beltade
(come affatto
costui tutte le invole)
non escon
fuor sì che le veggia il sole.
7
- Egli sul
Pireneo tiene un castello
(narrava
l'oste) fatto per incanto,
tutto
d'acciaio, e sì lucente e bello,
ch'altro al
mondo non è mirabil tanto.
Già
molti cavallier sono iti a quello,
e nessun del
ritorno si dà vanto:
sì
ch'io penso, signore, e temo forte,
o che sian
presi, o sian condotti a morte. -
8
La donna il
tutto ascolta, e le ne giova,
credendo far,
come farà per certo,
con l'annello
mirabile tal prova,
che ne fia il
mago e il suo castel deserto;
e dice a
l'oste: - Or un de' tuoi mi trova,
che
più di me sia del viaggio esperto;
ch'io non
posso durar: tanto ho il cor vago
di far
battaglia contro a questo mago. -
9
- Non ti
mancherà guida (le rispose
Brunello
allora), e ne verrò teco io:
meco ho la
strada in scritto, ed altre cose
che ti faran
piacere il venir mio. -
Volse dir de
l'annel; ma non l'espose,
né
chiarì più, per non pagarne il fio.
- Grato mi
fia (disse ella) il venir tuo; -
volendo dir
ch'indi l'annel fia suo.
10
Quel ch'era
utile a dir disse; e quel tacque,
che nuocer le
potea col Saracino.
Avea l'oste
un destrier ch'a costei piacque,
ch'era buon
da battaglia e da camino:
comperollo e
partissi come nacque
del bel
giorno seguente il matutino.
Prese la via
per una stretta valle,
con Brunello
ora inanzi, ora alle spalle.
11
Di monte in
monte e d'uno in altro bosco
giunsero ove
l'altezza di Pirene
può
dimostrar, se non è l'aer fosco,
e Francia e
Spagna e due diverse arene,
come Apennin
scopre il mar schiavo e il tosco
del giogo
onde a Camaldoli si viene.
Quindi per
aspro e faticoso calle
si discendea
ne la profonda valle.
12
Vi sorge in
mezzo un sasso che la cima
d'un bel muro
d'acciar tutta si fascia;
e quella
tanto inverso il ciel sublima,
che quanto ha
intorno, inferior si lascia.
Non faccia,
chi non vola, andarvi stima;
che spesa
indarno vi saria ogni ambascia.
Brunel disse:
- Ecco dove prigionieri
il mago tien
le donne e i cavallieri. -
13
Da quattro
canti era tagliato, e tale
che parea
dritto a fil de la sinopia.
Da nessun
lato né sentier né scale
v'eran, che
di salir facesser copia:
e ben appar
che d'animal ch'abbia ale
sia quella
stanza nido e tana propia.
Quivi la
donna esser conosce l'ora
di tor
l'annello, e far che Brunel mora.
14
Ma le par
atto vile a insaguinarsi
d'un uom
senza arme e di sì ignobil sorte;
che ben
potrà posseditrice farsi
del ricco
annello, e lui non porre a morte.
Brunel non
avea mente a riguardarsi;
sì
ch'ella il prese, e lo legò ben forte
ad uno abete ch'alta
avea la cima:
ma di dito
l'annel gli trasse prima.
15
Né per
lacrime, gemiti o lamenti
che facesse
Brunel, lo volse sciorre.
Smontò
de la montagna a passi lenti,
tanto che fu
nel pian sotto la torre.
E perché alla
battaglia s'appresenti
il negromante,
al corno suo ricorre:
e dopo il
suon, con minacciose grida
lo chiama al
campo, ed alla pugna 'l sfida.
16
Non stette
molto a uscir fuor de la porta
l'incantator,
ch'udì 'l suono e la voce.
L'alato
corridor per l'aria il porta
contra
costei, che sembra uomo feroce.
La donna da
principio si conforta;
che vede che
colui poco le nuoce:
non porta
lancia né spada né mazza,
ch'a forar
l'abbia o romper la corazza.
17
Da la
sinistra sol lo scudo avea,
tutto coperto
di seta vermiglia;
ne la man
destra un libro, onde facea
nascer,
leggendo, l'alta maraviglia:
che la lancia
talor correr parea,
e fatto avea
a più d'un batter le ciglia;
talor parea
ferir con mazza o stocco,
e lontano
era, e non avea alcun tocco.
18
Non è
finto il destrier, ma naturale,
ch'una
giumenta generò d'un Grifo:
simile al
padre avea la piuma e l'ale,
li piedi
anteriori, il capo e il grifo;
in tutte
l'altre membra parea quale
era la madre,
e chiamasi ippogrifo;
che nei monti
Rifei vengon, ma rari,
molto di
là dagli aghiacciati mari.
19
Quivi per
forza lo tirò d'incanto;
e poi che
l'ebbe, ad altro non attese,
e con studio
e fatica operò tanto,
ch'a sella e
briglia il cavalcò in un mese:
così
ch'in terra e in aria e in ogni canto
lo facea
volteggiar senza contese.
Non finzion
d'incanto, come il resto,
ma vero e
natural si vedea questo.
20
Del mago
ogn'altra cosa era figmento,
che comparir
facea pel rosso il giallo;
ma con la
donna non fu di momento,
che per
l'annel non può vedere in fallo.
Più
colpi tuttavia diserra al vento,
e quinci e
quindi spinge il suo cavallo;
e si dibatte
e si travaglia tutta,
come era,
inanzi che venisse, istrutta.
21
E poi che
esercitata si fu alquanto
sopra il
destrier, smontar volse anco a piede,
per poter
meglio al fin venir di quanto
la cauta maga
istruzion le diede.
Il mago vien
per far l'estremo incanto;
che del fatto
ripar né sa né crede:
scuopre lo
scudo, e certo si prosume
farla cader
con l'incantato lume.
22
Potea
così scoprirlo al primo tratto,
senza tenere
i cavallieri a bada;
ma gli piacea
veder qualche bel tratto
di correr
l'asta o di girar la spada:
come si vede
ch'all'astuto gatto
scherzar col
topo alcuna volta aggrada;
e poi che
quel piacer gli viene a noia,
dargli di
morso, e al fin voler che muoia.
23
Dico che 'l
mago al gatto, e gli altri al topo
s'assimigliar
ne le battaglie dianzi;
ma non
s'assimigliar già così, dopo
che con
l'annel si fe' la donna inanzi.
Attenta e
fissa stava a quel ch'era uopo,
acciò
che nulla seco il mago avanzi;
e come vide
che lo scudo aperse,
chiuse gli
occhi, e lasciò quivi caderse.
24
Non che il
fulgor del lucido metallo,
come soleva
agli altri, a lei nocesse;
ma
così fece acciò che dal cavallo
contra sé il
vano incantator scendesse:
né parte
andò del suo disegno in fallo;
che tosto
ch'ella il capo in terra messe,
accelerando
il volator le penne,
con larghe
ruote in terra a por si venne.
25
Lascia
all'arcion lo scudo, che già posto
avea ne la
coperta, e a piè discende
verso la
donna che, come reposto
lupo alla
macchia il capriolo, attende.
Senza
più indugio ella si leva tosto
che l'ha
vicino, e ben stretto lo prende.
Avea lasciato
quel misero in terra
il libro che
facea tutta la guerra:
26
e con una
catena ne correa,
che solea
portar cinta a simil uso;
perché non
men legar colei credea,
che per
adietro altri legare era uso.
La donna in
terra posto già l'avea:
se quel non
si difese, io ben l'escuso;
che troppo
era la cosa differente
tra un debol
vecchio e lei tanto possente.
27
Disegnando
levargli ella la testa,
alza la man
vittoriosa in fretta;
ma poi che 'l
viso mira, il colpo arresta,
quasi
sdegnando sì bassa vendetta:
un venerabil
vecchio in faccia mesta
vede esser
quel ch'ella ha giunto alla stretta,
che mostra al
viso crespo e al pelo bianco,
età di
settanta anni o poco manco.
28
- Tommi la
vita, giovene, per Dio, -
dicea il
vecchio pien d'ira e di dispetto;
ma quella a
torla avea sì il cor restio,
come quel di
lasciarla avria diletto.
La donna di
sapere ebbe disio
chi fosse il
negromante, ed a che effetto
edificasse in
quel luogo selvaggio
la rocca, e
faccia a tutto il mondo oltraggio.
29
- Né per
maligna intenzione, ahi lasso!
(disse
piangendo il vecchio incantatore)
feci la bella
rocca in cima al sasso,
né per
avidità son rubatore;
ma per ritrar
sol dall'estremo passo
un cavallier
gentil, mi mosse amore,
che, come il
ciel mi mostra, in tempo breve
morir
cristiano a tradimento deve.
30
Non vede il
sol tra questo e il polo austrino
un giovene
sì bello e sì prestante:
Ruggiero ha
nome, il qual da piccolino
da me nutrito
fu, ch'io sono Atlante.
Disio d'onore
e suo fiero destino
l'han tratto
in Francia dietro al re Agramante;
ed io, che
l'amai sempre più che figlio,
lo cerco trar
di Francia e di periglio.
31
La bella
rocca solo edificai
per tenervi
Ruggier sicuramente,
che preso fu
da me, come sperai
che fossi
oggi tu preso similmente;
e donne e
cavallier, che tu vedrai,
poi ci ho
ridotti, ed altra nobil gente,
acciò
che quando a voglia sua non esca,
avendo
compagnia, men gli rincresca.
32
Pur ch'uscir
di là su non si domande,
d'ogn'altro
gaudio lor cura mi tocca;
che quanto
averne da tutte le bande
si può
del mondo, è tutto in quella rocca:
suoni, canti,
vestir, giuochi, vivande,
quanto
può cor pensar, può chieder bocca.
Ben seminato
avea, ben cogliea il frutto;
ma tu sei
giunto a disturbarmi il tutto.
33
Deh, se non
hai del viso il cor men bello,
non impedir
il mio consiglio onesto!
Piglia lo
scudo (ch'io tel dono) e quello
destrier che
va per l'aria così presto;
e non
t'impacciar oltra nel castello,
o tranne uno
o duo amici, e lascia il resto;
o tranne
tutti gli altri, e più non chero,
se non che tu
mi lasci il mio Ruggiero.
34
E se disposto
sei volermel torre,
deh, prima
almen che tu 'l rimeni in Francia,
piacciati
questa afflitta anima sciorre
de la sua
scorza ormai putrida e rancia! -
Rispose la
donzella: - Lui vo' porre
in
libertà: tu, se sai, gracchia e ciancia;
né mi offerir
di dar lo scudo in dono,
o quel
destrier, che miei, non più tuoi sono:
35
né s'anco
stesse a te di torre e darli,
mi parrebbe
che 'l cambio convenisse.
Tu di' che
Ruggier tieni per vietarli
il male
influsso di sue stelle fisse.
O che non
puoi saperlo, o non schivarli,
sappiendol,
ciò che 'l ciel di lui prescrisse:
ma se 'l mal
tuo, c'hai sì vicin, non vedi,
peggio
l'altrui c'ha da venir prevedi.
36
Non pregar
ch'io t'uccida, ch'i tuoi preghi
sariano
indarno; e se pur vuoi la morte,
ancor che
tutto il mondo dar la nieghi,
da sé la
può aver sempre animo forte.
Ma pria che
l'alma da la carne sleghi,
a tutti i
tuoi prigioni apri le porte. -
Così
dice la donna, e tuttavia
il mago preso
incontra al sasso invia.
37
Legato de la
sua propria catena
andava
Atlante, e la donzella appresso,
che
così ancor se ne fidava a pena,
ben che in
vista parea tutto rimesso.
Non molti
passi dietro se la mena,
ch'a
piè del monte han ritrovato il fesso,
e li
scaglioni onde si monta in giro,
fin ch'alla
porta del castel saliro.
38
Di su la
soglia Atlante un sasso tolle,
di caratteri
e strani segni isculto.
Sotto, vasi
vi son, che chiamano olle,
che fuman
sempre, e dentro han foco occulto.
L'incantator
le spezza; e a un tratto il colle
riman
deserto, inospite ed inculto;
né muro appar
né torre in alcun lato,
come se mai
castel non vi sia stato.
39
Sbrigossi de
la donna il mago alora,
come fa
spesso il tordo da la ragna;
e con lui
sparve il suo castello a un'ora,
e
lasciò in libertà quella compagna.
Le donne e i
cavallier si trovar fuora
de le superbe
stanze alla campagna:
e furon di
lor molte a chi ne dolse;
che tal
franchezza un gran piacer lor tolse.
40
Quivi
è Gradasso, quivi è Sacripante,
quivi
è Prasildo, il nobil cavalliero
che con
Rinaldo venne di Levante,
e seco
Iroldo, il par d'amici vero.
Al fin
trovò la bella Bradamante
quivi il
desiderato suo Ruggiero,
che, poi che
n'ebbe certa conoscenza,
le fe' buona
e gratissima accoglienza;
41
come a colei
che più che gli occhi sui,
più
che 'l suo cor, più che la propria vita
Ruggiero
amò dal dì ch'essa per lui
si trasse
l'elmo, onde ne fu ferita.
Lungo sarebbe
a dir come, e da cui,
e quanto ne
la selva aspra e romita
si cercar poi
la notte e il giorno chiaro;
né, se non
qui, mai più si ritrovaro.
42
Or che quivi
la vede, e sa ben ch'ella
è
stata sola la sua redentrice,
di tanto
gaudio ha pieno il cor, che appella
sé fortunato
ed unico felice.
Scesero il
monte, e dismontaro in quella
valle, ove fu
la donna vincitrice,
e dove
l'ippogrifo trovaro anco,
ch'avea lo
scudo, ma coperto, al fianco.
43
La donna va
per prenderlo nel freno:
e quel
l'aspetta fin che se gli accosta;
poi spiega
l'ale per l'aer sereno,
e si ripon
non lungi a mezza costa.
Ella lo
segue: e quel né più né meno
si leva in
aria, e non troppo si scosta;
come fa la
cornacchia in secca arena,
che dietro il
cane or qua or là si mena.
44
Ruggier,
Gradasso, Sacripante, e tutti
quei
cavallier che scesi erano insieme,
chi di
sù, chi di giù, si son ridutti
dove che
torni il volatore han speme.
Quel, poi che
gli altri invano ebbe condutti
più
volte e sopra le cime supreme
e negli umidi
fondi tra quei sassi,
presso a
Ruggiero al fin ritenne i passi.
45
E questa
opera fu del vecchio Atlante,
di cui non
cessa la pietosa voglia
di trar
Rugier del gran periglio instante:
di ciò
sol pensa e di ciò solo ha doglia.
Però
gli manda or l'ippogrifo avante,
perché
d'Europa con questa arte il toglia.
Ruggier lo
piglia, e seco pensa trarlo;
ma quel
s'arretra, e non vuol seguitarlo.
46
Or di Frontin
quel animoso smonta
(Frontino era
nomato il suo destriero),
e sopra quel
che va per l'aria monta,
e con li
spron gli adizza il core altiero.
Quel corre
alquanto, ed indi i piedi ponta,
e sale
inverso il ciel, via più leggiero
che 'l
girifalco, a cui lieva il capello
il mastro a
tempo, e fa veder l'augello.
47
La bella
donna, che sì in alto vede
e con tanto
periglio il suo Ruggiero,
resta
attonita in modo, che non riede
per lungo
spazio al sentimento vero.
Ciò
che già inteso avea di Ganimede
ch'al ciel fu
assunto dal paterno impero,
dubita assai
che non accada a quello,
non men
gentil di Ganimede e bello.
48
Con gli occhi
fissi al ciel lo segue quanto
basta il
veder; ma poi che si dilegua
sì,
che la vista non può correr tanto,
lascia che
sempre l'animo lo segua.
Tuttavia con
sospir, gemito e pianto
non ha, né
vuol aver pace né triegua.
Poi che
Ruggier di vista se le tolse,
al buon
destrier Frontin gli occhi rivolse:
49
e si
deliberò di non lasciarlo,
che fosse in
preda a chi venisse prima;
ma di
condurlo seco e di poi darlo
al suo
signor, ch'anco veder pur stima.
Poggia
l'augel, né può Ruggier frenarlo:
di sotto
rimaner vede ogni cima
ed abbassarsi
in guisa, che non scorge
dove è
piano il terren né dove sorge.
50
Poi che
sì ad alto vien, ch'un picciol punto
lo può
stimar chi da la terra il mira,
prende la via
verso ove cade a punto
il sol,
quando col Granchio si raggira,
e per l'aria
ne va come legno unto
a cui nel mar
propizio vento spira.
Lasciamlo
andar, che farà buon camino,
e torniamo a
Rinaldo paladino.
51
Rinaldo
l'altro e l'altro giorno scorse,
spinto dal
vento, un gran spazio di mare,
quando a
ponente e quando contra l'Orse,
che notte e
dì non cessa mai soffiare.
Sopra la
Scozia ultimamente sorse,
dove la selva
Calidonia appare,
che spesso
fra gli antiqui ombrosi cerri
s'ode sonar
di bellicosi ferri.
52
Vanno per
quella i cavallieri erranti,
incliti in
arme, di tutta Bretagna,
e de'
prossimi luoghi e de' distanti,
di Francia,
di Norvegia e de Lamagna.
Chi non ha
gran valor, non vada inanti;
che dove
cerca onor, morte guadagna.
Gran cose in
essa già fece Tristano,
Lancillotto,
Galasso, Artù e Galvano,
53
ed altri
cavallieri e de la nuova
e de la
vecchia Tavola famosi:
restano ancor
di più d'una lor pruova
li monumenti
e li trofei pomposi.
L'arme
Rinaldo e il suo Baiardo truova,
e tosto si fa
por nei liti ombrosi,
ed al nochier
comanda che si spicche
e lo vada
aspettar a Beroicche.
54
Senza
scudiero e senza compagnia
va il
cavallier per quella selva immensa,
facendo or
una ed or un'altra via,
dove
più aver strane aventure pensa.
Capitò
il primo giorno a una badia,
che buona
parte del suo aver dispensa
in onorar nel
suo cenobio adorno
le donne i
cavallier che vanno attorno.
55
Bella
accoglienza i monachi e l'abbate
fero a
Rinaldo, il qual domandò loro
(non prima
già che con vivande grate
avesse avuto
il ventre amplo ristoro)
come dai
cavallier sien ritrovate
spesso
aventure per quel tenitoro,
dove si possa
in qualche fatto eggregio
l'uom
dimostrar, se merta biasmo o pregio.
56
Risposongli
ch'errando in quelli boschi,
trovar potria
strane aventure e molte:
ma come i luoghi,
i fatti ancor son foschi;
che non se
n'ha notizia le più volte.
- Cerca
(diceano) andar dove conoschi
che l'opre
tue non restino sepolte,
acciò
dietro al periglio e alla fatica
segua la
fama, e il debito ne dica.
57
E se del tuo
valor cerchi far prova,
t'è
preparata la più degna impresa
che ne
l'antiqua etade o ne la nova
giamai da
cavallier sia stata presa.
La figlia del
re nostro or si ritrova
bisognosa
d'aiuto e di difesa
contra un
baron che Lurcanio si chiama,
che tor le
cerca e la vita e la fama.
58
Questo
Lurcanio al padre l'ha accusata
(forse per
odio più che per ragione)
averla a
mezza notte ritrovata
trarr'un suo
amante a sé sopra un verrone.
Per le leggi
del regno condannata
al foco fia,
se non truova campione
che fra un
mese, oggimai presso a finire,
l'iniquo
accusator faccia mentire.
59
L'aspra legge
di Scozia, empia e severa,
vuol ch'ogni
donna, e di ciascuna sorte,
ch'ad uomo si
giunga, e non gli sia mogliera,
s'accusata ne
viene, abbia la morte.
Né riparar si
può ch'ella non pera,
quando per
lei non venga un guerrier forte
che tolga la
difesa, e che sostegna
che sia
innocente e di morire indegna.
60
Il re,
dolente per Ginevra bella
(che
così nominata è la sua figlia),
ha publicato
per città e castella,
che s'alcun
la difesa di lei piglia,
e che
l'estingua la calunnia fella
(pur che sia
nato di nobil famiglia),
l'avrà
per moglie, ed uno stato, quale
fia
convenevol dote a donna tale.
61
Ma se fra un
mese alcun per lei non viene,
o venendo non
vince, sarà uccisa.
Simile
impresa meglio ti conviene,
ch'andar pei
boschi errando a questa guisa:
oltre ch'onor
e fama te n'aviene
ch'in eterno
da te non fia divisa,
guadagni il
fior di quante belle donne
da l'Indo
sono all'Atlantee colonne;
62
e una
ricchezza appresso, ed uno stato
che sempre
far ti può viver contento;
e la grazia
del re, se suscitato
per te gli
fia il suo onor, che è quasi spento.
Poi per
cavalleria tu se' ubligato
a vendicar di
tanto tradimento
costei, che
per commune opinione,
di vera
pudicizia è un paragone. -
63
Pensò
Rinaldo alquanto, e poi rispose:
- Una
donzella dunque dè' morire
perché
lasciò sfogar ne l'amorose
sue braccia
al suo amator tanto desire?
Sia maladetto
chi tal legge pose,
e maladetto
chi la può patire!
Debitamente
muore una crudele,
non chi
dà vita al suo amator fedele.
64
Sia vero o
falso che Ginevra tolto
s'abbia il
suo amante, io non riguardo a questo:
d'averlo
fatto la loderei molto,
quando non
fosse stato manifesto.
Ho in sua
difesa ogni pensier rivolto:
datemi pur un
che mi guidi presto,
e dove sia
l'accusator mi mene;
ch'io spero
in Dio Ginevra trar di pene.
65
Non vo'
già dir ch'ella non l'abbia fatto;
che nol
sappiendo, il falso dir potrei:
dirò
ben che non de' per simil atto
punizion
cadere alcuna in lei;
e dirò
che fu ingiusto o che fu matto
chi fece
prima gli statuti rei;
e come iniqui
rivocar si denno,
e nuova legge
far con miglior senno.
66
S'un medesimo
ardor, s'un disir pare
inchina e
sforza l'uno e l'altro sesso
a quel suave
fin d'amor, che pare
all'ignorante
vulgo un grave eccesso;
perché si de'
punir donna o biasmare,
che con uno o
più d'uno abbia commesso
quel che
l'uom fa con quante n'ha appetito,
e lodato ne
va, non che impunito?
67
Son fatti in
questa legge disuguale
veramente
alle donne espressi torti;
e spero in
Dio mostrar che gli è gran male
che tanto
lungamente si comporti. -
Rinaldo ebbe
il consenso universale,
che fur gli
antiqui ingiusti e male accorti,
che
consentiro a così iniqua legge,
e mal fa il
re, che può, né la corregge.
68
Poi che la
luce candida e vermiglia
de l'altro
giorno aperse l'emispero,
Rinaldo
l'arme e il suo Baiardo piglia,
e di quella
badia tolle un scudiero,
che con lui
viene a molte leghe e miglia,
sempre nel
bosco orribilmente fiero,
verso la
terra ove la lite nuova
de la
donzella de' venir in pruova.
69
Avean,
cercando abbreviar camino,
lasciato pel
sentier la maggior via;
quando un
gran pianto udir sonar vicino,
che la
foresta d'ogn'intorno empìa.
Baiardo
spinse l'un, l'altro il ronzino
verso una
valle, onde quel grido uscìa:
e fra dui
mascalzoni una donzella
vider, che di
lontan parea assai bella;
70
ma lacrimosa
e addolorata quanto
donna o
donzella o mai persona fosse.
Le sono dui
col ferro nudo a canto,
per farle far
l'erbe di sangue rosse.
Ella con
preghi differendo alquanto
giva il
morir, sin che pietà si mosse.
Venne
Rinaldo; e come se n'accorse,
con alti
gridi e gran minacce accorse.
71
Voltaro i
malandrin tosto le spalle,
che 'l
soccorso lontan vider venire,
e se
appiattar ne la profonda valle.
Il paladin
non li curò seguire:
venne a la
donna, e qual gran colpa dàlle
tanta
punizion, cerca d'udire;
e per tempo
avanzar, fa allo scudiero
levarla in
groppa, e torna al suo sentiero.
72
E cavalcando
poi meglio la guata
molto esser
bella e di maniere accorte,
ancor che
fosse tutta spaventata
per la paura
ch'ebbe de la morte.
Poi ch'ella
fu di nuovo domandata
chi l'avea
tratta a sì infelice sorte,
incominciò
con umil voce a dire
quel ch'io
vo' all'altro canto differire.
1
Tutti gli
altri animai che sono in terra,
o che vivon
quieti e stanno in pace,
o se vengono
a rissa e si fan guerra,
alla femina
il maschio non la face:
l'orsa con
l'orso al bosco sicura erra,
la leonessa
appresso il leon giace;
col lupo vive
la lupa sicura,
né la iuvenca
ha del torel paura.
2
Ch'abominevol
peste, che Megera
è
venuta a turbar gli umani petti?
che si sente
il marito e la mogliera
sempre garrir
d'ingiuriosi detti,
stracciar la
faccia e far livida e nera,
bagnar di
pianto i geniali letti;
e non di
pianto sol, ma alcuna volta
di sangue gli
ha bagnati l'ira stolta.
3
Parmi non sol
gran mal, ma che l'uom faccia
contra natura
e sia di Dio ribello,
che s'induce
a percuotere la faccia
di bella
donna, o romperle un capello:
ma chi le
dà veneno, o chi le caccia
l'alma del
corpo con laccio o coltello,
ch'uomo sia
quel non crederò in eterno,
ma in vista
umana uno spirto de l'inferno.
4
Cotali esser
doveano i duo ladroni
che Rinaldo
cacciò da la donzella,
da lor
condotta in quei scuri valloni
perché non se
n'udisse più novella.
Io lasciai
ch'ella render le cagioni
s'apparechiava
di sua sorte fella
al paladin,
che le fu buono amico:
or, seguendo
l'istoria, così dico.
5
La donna
incominciò: - Tu intenderai
la maggior
crudeltade e la più espressa,
ch'in Tebe e
in Argo o ch'in Micene mai,
o in loco
più crudel fosse commessa.
E se rotando
il sole i chiari rai,
qui men
ch'all'altre region s'appressa,
credo ch'a
noi malvolentieri arrivi,
perché veder
sì crudel gente schivi.
6
Ch'agli
nemici gli uomini sien crudi,
in ogni
età se n'è veduto esempio;
ma dar la
morte a chi procuri e studi
il tuo ben
sempre, è troppo ingiusto ed empio.
E
acciò che meglio il vero io ti denudi,
perché costor
volessero far scempio
degli anni
verdi miei contra ragione,
ti
dirò da principio ogni cagione.
7
Voglio che
sappi, signor mio, ch'essendo
tenera
ancora, alli servigi venni
de la figlia
del re, con cui crescendo,
buon luogo in
corte ed onorato tenni.
Crudele
Amore, al mio stato invidendo,
fe' che
seguace, ahi lassa! gli divenni:
fe' d'ogni
cavallier, d'ogni donzello
parermi il
duca d'Albania più bello.
8
Perché egli
mostrò amarmi più che molto,
io ad amar
lui con tutto il cor mi mossi.
Ben s'ode il
ragionar, si vede il volto,
ma dentro il
petto mal giudicar possi.
Credendo,
amando, non cessai che tolto
l'ebbi nel
letto, e non guardai ch'io fossi
di tutte le
real camere in quella
che
più secreta avea Ginevra bella;
9
dove tenea le
sue cose più care,
e dove le
più volte ella dormia.
Si può
di quella in s'un verrone entrare,
che fuor del
muro al discoperto uscìa.
Io facea il
mio amator quivi montare;
e la scala di
corde onde salia
io stessa dal
verron giù gli mandai
qual volta
meco aver lo desiai:
10
che tante
volte ve lo fei venire,
quante
Ginevra me ne diede l'agio,
che solea
mutar letto, or per fuggire
il tempo
ardente, or il brumal malvagio.
Non fu veduto
d'alcun mai salire;
però
che quella parte del palagio
risponde
verso alcune case rotte,
dove nessun
mai passa o giorno o notte.
11
Continuò
per molti giorni e mesi
tra noi
secreto l'amoroso gioco:
sempre crebbe
l'amore; e sì m'accesi,
che tutta
dentro io mi sentia di foco:
e cieca ne
fui sì, ch'io non compresi
ch'egli
fingeva molto, e amava poco;
ancor che li
suo' inganni discoperti
esser doveanmi
a mille segni certi.
12
Dopo alcun
dì si mostrò nuovo amante
de la bella
Ginevra. Io non so appunto
s'allora
cominciasse, o pur inante
de l'amor
mio, n'avesse il cor già punto.
Vedi s'in me
venuto era arrogante,
s'imperio nel
mio cor s'aveva assunto;
che mi
scoperse, e non ebbe rossore
chiedermi
aiuto in questo nuovo amore.
13
Ben mi dicea
ch'uguale al mio non era,
né vero amor
quel ch'egli avea a costei;
ma simulando
esserne acceso, spera
celebrarne i
legitimi imenei.
Dal re
ottenerla fia cosa leggiera,
qualor vi sia
la volontà di lei;
che di sangue
e di stato in tutto il regno
non era, dopo
il re, di lu' il più degno.
14
Mi persuade,
se per opra mia
potesse al
suo signor genero farsi
(che veder
posso che se n'alzeria
a quanto
presso al re possa uomo alzarsi),
che me
n'avria buon merto, e non saria
mai tanto
beneficio per scordarsi;
e ch'alla
moglie e ch'ad ogni altro inante
mi porrebbe
egli in sempre essermi amante.
15
Io, ch'era
tutta a satisfargli intenta,
né seppi o
volsi contradirgli mai,
e sol quei
giorni io mi vidi contenta,
ch'averlo
compiaciuto mi trovai;
piglio
l'occasion che s'appresenta
di parlar
d'esso e di lodarlo assai;
ed ogni
industria adopro, ogni fatica,
per far del
mio amator Ginevra amica.
16
Feci col core
e con l'effetto tutto
quel che far
si poteva, e sallo Idio;
né con
Ginevra mai potei far frutto,
ch'io le
ponessi in grazia il duca mio:
e questo, che
ad amar ella avea indutto
tutto il
pensiero e tutto il suo disio
un gentil
cavallier, bello e cortese,
venuto in
Scozia di lontan paese;
17
che con un
suo fratel ben giovinetto
venne
d'Italia a stare in questa corte;
si fe' ne
l'arme poi tanto perfetto,
che la
Bretagna non avea il più forte.
Il re
l'amava, e ne mostrò l'effetto;
che gli
donò di non picciola sorte
castella e
ville e iurisdizioni,
e lo fe'
grande al par dei gran baroni.
18
Grato era al
re, più grato era alla figlia
quel
cavallier chiamato Ariodante,
per esser
valoroso a maraviglia;
ma
più, ch'ella sapea che l'era amante.
Né Vesuvio,
né il monte di Siciglia,
né Troia
avampò mai di fiamme tante,
quanto ella
conoscea che per suo amore
Ariodante
ardea per tutto il core.
19
L'amar che
dunque ella facea colui
con cor
sincero e con perfetta fede,
fe' che pel
duca male udita fui;
né mai
risposta da sperar mi diede:
anzi quanto
io pregava più per lui
e gli
studiava d'impetrar mercede,
ella,
biasmandol sempre e dispregiando,
se gli
venìa più sempre inimicando.
20
Io confortai
l'amator mio sovente,
che volesse
lasciar la vana impresa;
né si
sperasse mai volger la mente
di costei,
troppo ad altro amore intesa:
e gli feci
conoscer chiaramente,
come era
sì d'Ariodante accesa,
che quanta
acqua è nel mar, piccola dramma
non spegneria
de la sua immensa fiamma.
21
Questo da me
più volte Polinesso
(che
così nome ha il duca) avendo udito,
e ben
compreso e visto per se stesso
che molto
male era il suo amor gradito;
non pur di
tanto amor si fu rimesso,
ma di vedersi
un altro preferito,
come superbo,
così mal sofferse,
che tutto in
ira e in odio si converse.
22
E tra Ginevra
e l'amator suo pensa
tanta
discordia e tanta lite porre,
e farvi
inimicizia così intensa,
che mai
più non si possino comporre;
e por Ginevra
in ignominia immensa,
donde non
s'abbia o viva o morta a torre:
né de
l'iniquo suo disegno meco
volse o con
altri ragionar, che seco.
23
Fatto il
pensier: - Dalinda mia, - mi dice
(che
così son nomata) - saper dèi,
che come suol
tornar da la radice
arbor che
tronchi e quattro volte e sei;
così
la pertinacia mia infelice,
ben che sia
tronca dai successi rei,
di germogliar
non resta; che venire
pur vorria a
fin di questo suo desire.
24
E non lo
bramo tanto per diletto,
quanto perché
vorrei vincer la pruova;
e non
possendo farlo con effetto,
s'io lo fo
imaginando, anco mi giuova.
Voglio, qual
volta tu mi dài ricetto,
quando allora
Ginevra si ritruova
nuda nel
letto, che pigli ogni vesta
ch'ella posta
abbia, e tutta te ne vesta.
25
Come ella
s'orna e come il crin dispone
studia
imitarla, e cerca il più che sai
di parer
dessa, e poi sopra il verrone
a mandar
giù la scala ne verrai.
Io
verrò a te con imaginazione
che quella
sii, di cui tu i panni avrai:
e così
spero, me stesso ingannando,
venir in
breve il mio desir sciemando. -
26
Così
disse egli. Io che divisa e sevra
e lungi era
da me, non posi mente
che questo in
che pregando egli persevra,
era una
fraude pur troppo evidente;
e dal verron,
coi panni di Ginevra,
mandai la
scala onde salì sovente;
e non
m'accorsi prima de l'inganno,
che n'era
già tutto accaduto il danno.
27
Fatto in quel
tempo con Ariodante
il duca avea
queste parole o tali
(che grandi
amici erano stati inante
che per
Ginevra si fesson rivali):
- Mi
maraviglio (incominciò il mio amante)
ch'avendoti
io fra tutti li mie' uguali
sempre avuto
in rispetto e sempre amato,
ch'io sia da
te sì mal rimunerato.
28
Io son ben
certo che comprendi e sai
di Ginevra e
di me l'antiquo amore;
e per sposa
legittima oggimai
per
impetrarla son dal mio signore.
Perché mi
turbi tu? perché pur vai
senza frutto
in costei ponendo il core?
Io ben a te
rispetto avrei, per Dio,
s'io nel tuo
grado fossi, e tu nel mio. -
29
- Ed io
(rispose Ariodante a lui)
di te mi
maraviglio maggiormente;
che di lei
prima inamorato fui,
che tu
l'avessi vista solamente:
e so che sai
quanto è l'amor tra nui,
ch'esser non
può di quel che sia, più ardente;
e sol
d'essermi moglie intende e brama:
e so che
certo sai ch'ella non t'ama.
30
Perché non
hai tu dunque a me il rispetto
per
l'amicizia nostra, che domande
ch'a te aver
debba, e ch'io t'avre' in effetto,
se tu fossi
con lei di me più grande?
Né men di te
per moglie averla aspetto,
se ben tu sei
più ricco in queste bande:
io non son
meno al re, che tu sia, grato,
ma più
di te da la sua figlia amato. -
31
- Oh (disse
il duca a lui), grande è cotesto
errore a che
t'ha il folle amor condutto!
Tu credi
esser più amato; io credo questo
medesmo: ma
si può veder al frutto.
Tu fammi
ciò ch'hai seco, manifesto,
ed io il
secreto mio t'aprirò tutto;
e quel di noi
che manco aver si veggia,
ceda a chi
vince, e d'altro si provveggia.
32
E sarò
pronto, se tu vuoi ch'io giuri
di non dir
cosa mai che mi riveli:
così
voglio ch'ancor tu m'assicuri
che quel
ch'io ti dirò, sempre mi celi. -
Venner dunque
d'accordo alli scongiuri,
e poser le
man sugli Evangeli:
e poi che di
tacer fede si diero,
Ariodante
incominciò primiero.
33
E disse per
lo giusto e per lo dritto
come tra sé e
Ginevra era la cosa;
ch'ella gli
avea giurato e a bocca e in scritto,
che mai non
saria ad altri, ch'a lui, sposa;
e se dal re
le venìa contraditto,
gli promettea
di sempre esser ritrosa
da tutti gli
altri maritaggi poi,
e viver sola
in tutti i giorni suoi:
34
e ch'esso era
in speranza pel valore
ch'avea
mostrato in arme a più d'un segno,
ed era per
mostrare a laude, a onore,
a beneficio
del re e del suo regno,
di crescer
tanto in grazia al suo signore,
che sarebbe
da lui stimato degno
che la
figliuola sua per moglie avesse,
poi che
piacer a lei così intendesse.
35
Poi disse: -
A questo termine son io,
né credo
già ch'alcun mi venga appresso:
né cerco
più di questo, né desio
de l'amor
d'essa aver segno più espresso;
né più
vorrei, se non quanto da Dio
per connubio
legitimo è concesso:
e saria invano
il domandar più inanzi;
che di
bontà so come ogn'altra avanzi. -
36
Poi ch'ebbe
il vero Ariodante esposto
de la mercé
ch'aspetta a sua fatica,
Polinesso,
che già s'avea proposto
di far
Ginevra al suo amator nemica,
cominciò:
- Sei da me molto discosto,
e vo' che di
tua bocca anco tu 'l dica;
e del mio ben
veduta la radice,
che confessi
me solo esser felice.
37
Finge ella
teco, né t'ama né prezza;
che ti pasce
di speme e di parole:
oltra questo,
il tuo amor sempre a sciochezza,
quando meco
ragiona, imputar suole.
Io ben
d'esserle caro altra certezza
veduta n'ho,
che di promesse e fole;
e tel
dirò sotto la fé in secreto,
ben che farei
più il debito a star cheto.
38
Non passa
mese, che tre, quattro e sei
e talor diece
notti io non mi truovi
nudo
abbracciato in quel piacer con lei,
ch'all'amoroso
ardor par che sì giovi:
sì che
tu puoi veder s'a' piacer miei
son
d'aguagliar le ciance che tu pruovi.
Cedimi dunque
e d'altro ti provedi,
poi che
sì inferior di me ti vedi. -
39
- Non ti vo'
creder questo (gli rispose
Ariodante), e
certo so che menti;
e composto
fra te t'hai queste cose,
acciò
che da l'impresa io mi spaventi:
ma perché a
lei son troppo ingiuriose,
questo c'hai
detto sostener convienti;
che non
bugiardo sol, ma voglio ancora
che tu sei
traditor mostrarti or ora. -
40
Soggiunse il
duca: - Non sarebbe onesto
che noi
volessen la battaglia torre
di quel che
t'offerisco manifesto,
quando ti
piaccia, inanzi agli occhi porre. -
Resta
smarrito Ariodante a questo,
e per l'ossa
un tremor freddo gli scorre;
e se creduto
ben gli avesse a pieno,
venìa
sua vita allora allora meno.
41
Con cor
trafitto e con pallida faccia,
e con voce
tremante e bocca amara
rispose: -
Quando sia che tu mi faccia
veder
quest'aventura tua sì rara,
prometto di costei
lasciar la traccia,
a te
sì liberale, a me sì avara:
ma ch'io tel
voglia creder non far stima,
s'io non lo
veggio con questi occhi prima. -
42
- Quando ne
sarà il tempo, avisarotti, -
soggiunse
Polinesso, e dipartisse.
Non credo che
passar più di due notti,
ch'ordine fu
che 'l duca a me venisse.
Per scoccar
dunque i lacci che condotti
avea
sì cheti, andò al rivale, e disse
che
s'ascondesse la notte seguente
tra quelle
case ove non sta mai gente:
43
e dimostrogli
un luogo a dirimpetto
di quel verrone
ove solea salire.
Ariodante
avea preso sospetto
che lo
cercasse far quivi venire,
come in un
luogo dove avesse eletto
di por gli
aguati, e farvelo morire,
sotto questa
finzion, che vuol mostrargli
quel di
Ginevra, ch'impossibil pargli.
44
Di volervi
venir prese partito,
ma in guisa
che di lui non sia men forte;
perché
accadendo che fosse assalito,
si truovi
sì, che non tema di morte.
Un suo
fratello avea saggio ed ardito,
iI più
famoso in arme de la corte,
detto
Lurcanio; e avea più cor con esso,
che se dieci
altri avesse avuto appresso.
45
Seco
chiamollo, e volse che prendesse
l'arme; e la
notte lo menò con lui:
non che 'l
secreto suo già gli dicesse;
né l'avria
detto ad esso, né ad altrui.
Da sé lontano
un trar di pietra il messe:
- Se mi senti
chiamar, vien (disse) a nui;
ma se non
senti, prima ch'io ti chiami,
non ti partir
di qui, frate, se m'ami. -
46
- Va pur, non
dubitar, - disse il fratello:
e così
venne Ariodanle cheto,
e si
celò nel solitario ostello
ch'era
d'incontro al mio verron secreto.
Vien d'altra
parte il fraudolente e fello,
che d'infamar
Ginevra era sì lieto;
e fa il
segno, tra noi solito inante,
a me che de
l'inganno era ignorante.
47
Ed io con
veste candida, e fregiata
per mezzo a
liste d'oro e d'ogn'intorno,
e con rete
pur d'or, tutta adombrata
di bei
fiocchi vermigli al capo intorno
(foggia che
sol fu da Ginevra usata,
non
d'alcun'altra), udito il segno, torno
sopra il
verron, ch'in modo era locato,
che mi
scopria dinanzi e d'ogni lato.
48
Lurcanio in
questo mezzo dubitando
che 'l
fratello a pericolo non vada,
o come
è pur commun disio, cercando
di spiar
sempre ciò che ad altri accada;
l'era pian
pian venuto seguitando,
tenendo
l'ombre e la più oscura strada:
e a men di
dieci passi a lui discosto,
nel medesimo
ostel s'era riposto.
49
Non sappiendo
io di questo cosa alcuna,
venni al
verron ne l'abito c'ho detto,
sì
come già venuta era più d'una
e più
di due fiate a buono effetto.
Le veste si
vedean chiare alla luna;
né dissimile
essendo anch'io d'aspetto
né di persona
da Ginevra molto,
fece parere
un per un altro il volto:
50
e tanto
più, ch'era gran spazio in mezzo
fra dove io
venni a quelle inculte case
ai dui
fratelli, che stavano al rezzo,
il duca
agevolmente persuase
quel ch'era
falso. Or pensa in che ribrezzo
Ariodante, in
che dolor rimase.
Vien
Polinesso, e alla scala s'appoggia
che
giù manda'gli, e monta in su la loggia.
51
A prima
giunta io gli getto le braccia
al collo,
ch'io non penso esser veduta;
lo bacio in
bocca e per tutta la faccia,
come far
soglio ad ogni sua venuta.
Egli
più de l'usato si procaccia
d'accarezzarmi,
e la sua fraude aiuta.
Quell'altro
al rio spettacolo condutto,
misero sta
lontano, e vede il tutto.
52
Cade in tanto
dolor, che si dispone
allora allora
di voler morire:
e il pome de
la spada in terra pone,
che su la
punta si volea ferire.
Lurcanio che
con grande ammirazione
avea veduto
il duca a me salire,
ma non
già conosciuto chi si fosse,
scorgendo
l'atto del fratel, si mosse;
53
e gli
vietò che con la propria mano
non si
passasse in quel furore il petto.
S'era
più tardo o poco più lontano,
non giugnea a
tempo, e non faceva effetto.
- Ah misero
fratel, fratello insano
(gridò),
perc'hai perduto l'intelletto,
ch'una femina
a morte trar ti debbia?
ch'ir possan
tutte come al vento nebbia!
54
Cerca far
morir lei, che morir merta,
e serva a
più tuo onor tu la tua morte.
Fu d'amar
lei, quando non t'era aperta
la fraude
sua: or è da odiar ben forte,
poi che con
gli occhi tuoi tu vedi certa,
quanto sia
meretrice, e di che sorte.
Serbi
quest'arme che volti in te stesso,
a far dinanzi
al re tal fallo espresso. -
55
Quando si
vede Ariodante giunto
sopra il
fratel, la dura impresa lascia;
ma la sua
intenzion da quel ch'assunto
avea
già di morir, poco s'accascia.
Quindi si
leva, e porta non che punto,
ma trapassato
il cor d'estrema ambascia;
pur finge col
fratel, che quel furore
non abbia
più, che dianzi avea nel core.
56
Il seguente
matin, senza far motto
al suo
fratello o ad altri, in via si messe
da la mortal
disperazion condotto;
né di lui per
più dì fu chi sapesse.
Fuor che 'l
duca e il fratello, ogn'altro indotto
era chi mosso
al dipartir l'avesse.
Ne la casa
del re di lui diversi
ragionamenti
e in tutta Scozia fersi.
57
In capo
d'otto o di più giorni in corte
venne inanzi
a Ginevra un viandante,
e novelle
arrecò di mala sorte:
che s'era in
mar summerso Ariodante
di volontaria
sua libera morte,
non per colpa
di borea o di levante.
D'un sasso
che sul mar sporgea molt'alto
avea col capo
in giù preso un gran salto.
58
Colui dicea:
- Pria che venisse a questo,
a me che a
caso riscontrò per via,
disse: - Vien
meco, acciò che manifesto
per te a
Ginevra il mio successo sia;
e dille poi,
che la cagion del resto
che tu vedrai
di me, ch'or ora fia,
è
stato sol perc'ho troppo veduto:
felice, se
senza occhi io fussi suto! -
59
Eramo a caso
sopra Capobasso,
che verso
Irlanda alquanto sporge in mare.
Così
dicendo, di cima d'un sasso
lo vidi a
capo in giù sott'acqua andare.
Io lo lasciai
nel mare, ed a gran passo
ti son venuto
la nuova a portare. -
Ginevra,
sbigottita e in viso smorta,
rimase a
quello annunzio mezza morta.
60
Oh Dio, che
disse e fece, poi che sola
si
ritrovò nel suo fidato letto!
percosse il
seno, e si stracciò la stola,
e fece
all'aureo crin danno e dispetto;
ripetendo
sovente la parola
ch'Ariodante
avea in estremo detto:
che la cagion
del suo caso empio e tristo
tutta
venìa per aver troppo visto.
61
Il rumor
scorse di costui per tutto,
che per dolor
s'avea dato la morte.
Di questo il
re non tenne il viso asciutto,
né cavallier
né donna de la corte.
Di tutti il
suo fratel mostrò più lutto;
e si sommerse
nel dolor sì forte,
ch'ad esempio
di lui, contra se stesso
voltò
quasi la man per irgli appresso.
62
E molte volte
ripetendo seco,
che fu
Ginevra che 'l fratel gli estinse,
e che non fu
se non quell'atto bieco
che di lei
vide, ch'a morir lo spinse;
di voler
vendicarsene sì cieco
venne, e
sì l'ira e sì il dolor lo vinse,
che di perder
la grazia vilipese,
ed aver
l'odio del re e del paese.
63
E inanzi al
re, quando era più di gente
la sala
piena, se ne venne, e disse:
- Sappi,
signor, che di levar la mente
al mio
fratel, sì ch'a morir ne gisse,
stata
è la figlia tua sola nocente;
ch'a lui
tanto dolor l'alma trafisse
d'aver veduta
lei poco pudica,
che
più che vita ebbe la morte amica.
64
Erane amante,
e perché le sue voglie
disoneste non
fur, nol vo' coprire:
per
virtù meritarla aver per moglie
da te sperava
e per fedel servire;
ma mentre il
lasso ad odorar le foglie
stava
lontano, altrui vide salire,
salir su
l'arbor riserbato, e tutto
essergli
tolto il disiato frutto. -
65
E
seguitò, come egli avea veduto
venir Ginevra
sul verrone, e come
mandò
la scala, onde era a lei venuto
un drudo suo,
di chi egli non sa il nome,
che s'avea,
per non esser conosciuto,
cambiati i
panni e nascose le chiome.
Soggiunse che
con l'arme egli volea
provar tutto
esser ver ciò che dicea.
66
Tu puoi
pensar se 'l padre addolorato
riman, quando
accusar sente la figlia;
sì
perché ode di lei quel che pensato
mai non
avrebbe, e n'ha gran maraviglia;
sì
perché sa che fia necessitato
(se la difesa
alcun guerrier non piglia,
il qual
Lurcanio possa far mentire)
di
condannarla e di farla morire.
67
Io non credo,
signor, che ti sia nuova
la legge
nostra che condanna a morte
ogni donna e
donzella, che si pruova
di sé far
copia altrui ch'al suo consorte.
Morta ne
vien, s'in un mese non truova
in sua difesa
un cavallier sì forte,
che contra il
falso accusator sostegna
che sia
innocente e di morire indegna.
68
Ha fatto il
re bandir, per liberarla
(che pur gli
par ch'a torto sia accusata),
che vuol per
moglie e con gran dote darla
a chi
torrà l'infamia che l'è data.
Chi per lei
comparisca non si parla
guerriero
ancora, anzi l'un l'altro guata;
che quel
Lurcanio in arme è così fiero,
che par che
di lui tema ogni guerriero.
69
Atteso ha
l'empia sorte, che Zerbino,
fratel di
lei, nel regno non si truove;
che va
già molti mesi peregrino,
mostrando di
sé in arme inclite pruove:
che quando si
trovasse più vicino
quel
cavallier gagliardo, o in luogo dove
potesse avere
a tempo la novella,
non mancheria
d'aiuto alla sorella.
70
Il re,
ch'intanto cerca di sapere
per altra
pruova, che per arme, ancora,
se sono
queste accuse o false o vere,
se dritto o
torto è che sua figlia mora;
ha fatto
prender certe cameriere
che lo
dovrian saper, se vero fôra:
ond'io
previdi, che se presa era io,
troppo
periglio era del duca e mio.
71
E la notte
medesima mi trassi
fuor de la
corte, e al duca mi condussi;
e gli feci
veder quanto importassi
al capo
d'amendua, se presa io fussi.
Lodommi, e
disse ch'io non dubitassi:
a' suoi
conforti poi venir m'indussi
ad una sua
fortezza ch'è qui presso,
in compagnia
di dui che mi diede esso.
72
Hai sentito,
signor, con quanti effetti
de l'amor mio
fei Polinesso certo;
e s'era
debitor per tai rispetti
d'avermi cara
o no, tu 'l vedi aperto.
Or senti il
guidardon che io ricevetti,
vedi la gran
mercé del mio gran merto;
vedi se deve,
per amare assai,
donna sperar
d'essere amata mai:
73
che questo
ingrato, perfido e crudele,
de la mia
fede ha preso dubbio al fine:
venuto
è in sospizion ch'io non rivele
a lungo andar
le fraudi sue volpine.
Ha finto,
acciò che m'allontane e cele
fin che l'ira
e il furor del re decline,
voler
mandarmi ad un suo luogo forte;
e mi volea
mandar dritto alla morte:
74
che di
secreto ha commesso alla guida,
che come
m'abbia in queste selve tratta,
per degno
premio di mia fé m'uccida.
Così
l'intenzion gli venìa fatta,
se tu non eri
appresso alle mia grida.
Ve' come Amor
ben chi lui segue, tratta! -
Così
narrò Dalinda al paladino
seguendo
tuttavolta il lor camino.
75
A cui fu
sopra ogn'aventura, grata
questa,
d'aver trovata la donzella
che gli avea
tutta l'istoria narrata
de
l'innocenza di Ginevra bella.
E se sperato
avea, quando accusata
ancor fosse a
ragion, d'aiutar quella,
via con
maggior baldanza or viene in prova,
poi che
evidente la calunnia truova.
76
E verso la
città di Santo Andrea,
dove era il
re con tutta la famiglia,
e la
battaglia singular dovea
esser de la
querela de la figlia,
andò
Rinaldo quanto andar potea,
fin che
vicino giunse a poche miglia;
alla
città vicino giunse, dove
trovò
un scudier ch'avea più fresche nuove:
77
ch'un
cavallier istrano era venuto,
ch'a difender
Ginevra s'avea tolto,
con non usate
insegne, e sconosciuto,
però
che sempre ascoso andava molto;
e che dopo
che v'era, ancor veduto
non gli avea
alcuno al discoperto il volto;
e che 'l
proprio scudier che gli servia,
dicea
giurando: - Io non so dir chi sia. -
78
Non cavalcaro
molto, ch'alle mura
si trovar de
la terra e in su la porta.
Dalinda andar
più inanzi avea paura;
pur va, poi
che Rinaldo la conforta.
La porta
è chiusa, ed a chi n'avea cura
Rinaldo
domandò: - Questo ch'importa?
E fugli
detto: perché 'l popol tutto
a veder la
battaglia era ridutto,
79
che tra
Lurcanio e un cavallier istrano
si fa ne
l'altro capo de la terra,
ove era un
prato spazioso e piano;
e che
già cominciata hanno la guerra.
Aperto fu al
signor di Montealbano,
e tosto il
portinar dietro gli serra.
Per la vota
città Rinaldo passa;
ma la
donzella al primo albergo lassa:
80
e dice che
sicura ivi si stia
fin che
ritorni a lei, che sarà tosto;
e verso il
campo poi ratto s'invia,
dove li dui
guerrier dato e risposto
molto
s'aveano, e davan tuttavia.
Stava
Lurcanio di mal cor disposto
contra
Ginevra; e l'altro in sua difesa
ben sostenea
la favorita impresa.
81
Sei cavallier
con lor ne lo steccato
erano a
piedi, armati di corazza,
col duca
d'Albania, ch'era montato
s'un possente
corsier di buona razza.
Come a gran
contestabile, a lui dato
la guardia fu
del campo e de la piazza:
e di veder
Ginevra in gran periglio
avea il cor
lieto, ed orgoglioso il ciglio.
82
Rinaldo se ne
va tra gente e gente;
fassi far
largo il buon destrier Baiardo:
chi la
tempesta del suo venir sente,
a dargli via
non par zoppo né tardo.
Rinaldo vi
compar sopra eminente,
e ben
rassembra il fior d'ogni gagliardo;
poi si ferma
all'incontro ove il re siede:
ognun
s'accosta per udir che chiede.
83
Rinaldo disse
al re: - Magno signore,
non lasciar
la battaglia più seguire;
perché di
questi dua qualunche more,
sappi ch'a
torto tu 'l lasci morire.
L'un crede
aver ragione, ed è in errore,
e dice il
falso, e non sa di mentire;
ma quel
medesmo error che 'l suo germano
a morir
trasse, a lui pon l'arme in mano.
84
L'altro non
sa se s'abbia dritto o torto;
ma sol per
gentilezza e per bontade
in pericol si
è posto d'esser morto,
per non
lasciar morir tanta beltade.
Io la salute
all'innocenza porto;
porto il
contrario a chi usa falsitade.
Ma, per Dio,
questa pugna prima parti,
poi mi
dà audienza a quel ch'io vo' narrarti. -
85
Fu da
l'autorità d'un uom sì degno,
come Rinaldo
gli parea al sembiante,
sì
mosso il re, che disse e fece segno
che non
andasse più la pugna inante;
al quale
insieme ed ai baron del regno
e ai
cavallieri e all'altre turbe tante
Rinaldo fe'
l'inganno tutto espresso,
ch'avea
ordito a Ginevra Polinesso.
86
Indi
s'offerse di voler provare
coll'arme,
ch'era ver quel ch'avea detto.
Chiamasi
Polinesso; ed ei compare,
ma tutto
conturbato ne l'aspetto:
pur con
audacia cominciò a negare.
Disse
Rinaldo: - Or noi vedrem l'effetto. -
L'uno e
l'altro era armato, il campo fatto,
sì che
senza indugiar vengono al fatto.
87
Oh quanto ha
il re, quanto ha il suo popul caro
che Ginevra a
provar s'abbi innocente!
tutti han
speranza che Dio mostri chiaro
ch'impudica
era detta ingiustamente.
Crudel
superbo e riputato avaro
fu Polinesso,
iniquo e fraudolente;
sì che
ad alcun miracolo non fia
che l'inganno
da lui tramato sia.
88
Sta Polinesso
con la faccia mesta,
col cor
tremante e con pallida guancia;
e al terzo
suon mette la lancia in resta.
Così
Rinaldo inverso lui si lancia,
che disioso
di finir la festa,
mira a
passargli il petto con la lancia:
né discorde
al disir seguì l'effetto;
ché mezza
l'asta gli cacciò nel petto.
89
Fisso nel
tronco lo trasporta in terra,
lontan dal
suo destrier più di sei braccia.
Rinaldo
smonta subito, e gli afferra
l'elmo, pria
che si levi, e gli lo slaccia:
ma quel, che
non può far più troppa guerra,
gli domanda
mercé con umil faccia,
e gli
confessa, udendo il re e la corte,
la fraude sua
che l'ha condutto a morte.
90
Non
finì il tutto, e in mezzo la parola
e la voce e
la vita l'abandona.
Il re, che
liberata la figliuola
vede da morte
e da fama non buona,
più
s'allegra, gioisce e raconsola,
che, s'avendo
perduta la corona,
ripor se la
vedesse allora allora;
sì che
Rinaldo unicamente onora.
91
E poi ch'al
trar dell'elmo conosciuto
l'ebbe,
perch'altre volte l'avea visto,
levò
le mani a Dio, che d'un aiuto
come era
quel, gli avea sì ben provisto.
Quell'altro
cavallier che, sconosciuto,
soccorso avea
Ginevra al caso tristo,
ed armato per
lei s'era condutto,
stato da
parte era a vedere il tutto.
92
Dal re
pregato fu di dire il nome,
o di
lasciarsi almen veder scoperto,
acciò
da lui fosse premiato, come
di sua buona
intenzion chiedeva il merto.
Quel, dopo
lunghi preghi, da le chiome
si
levò l'elmo, e fe' palese e certo
quel che ne
l'altro canto ho da seguire,
se grata vi
sarà l'istoria udire.
1
Miser chi mal
oprando si confida
ch'ognor star
debbia il maleficio occulto;
che quando
ogn'altro taccia, intorno grida
l'aria e la
terra istessa in ch'è sepulto:
e Dio fa
spesso che 'l peccato guida
il peccator,
poi ch'alcun dì gli ha indulto,
che sé
medesmo, senza altrui richiesta,
innavedutamente
manifesta.
2
Avea creduto
il miser Polinesso
totalmente il
delitto suo coprire,
Dalinda
consapevole d'appresso
levandosi,
che sola il potea dire:
e aggiungendo
il secondo al primo eccesso,
affrettò
il mal che potea differire,
e potea
differire e schivar forse;
ma se stesso
spronando, a morir corse:
3
e perdé amici
a un tempo e vita e stato,
e onor, che
fu molto più grave danno.
Dissi di
sopra, che fu assai pregato
il cavallier,
ch'ancor chi sia non sanno.
Al fin si
trasse l'elmo, e 'l viso amato
scoperse, che
più volte veduto hanno:
e
dimostrò come era Ariodante,
per tutta
Scozia lacrimato inante;
4
Ariodante,
che Ginevra pianto
avea per
morto, e 'l fratel pianto avea,
il re, la
corte, il popul tutto quanto:
di tal
bontà, di tal valor splendea.
Adunque il
peregrin mentir di quanto
dianzi di lui
narrò, quivi apparea;
e fu pur ver
che dal sasso marino
gittarsi in
mar lo vide a capo chino.
5
Ma (come
aviene a un disperato spesso,
che da lontan
brama e disia la morte,
e l'odia poi
che se la vede appresso,
tanto gli
pare il passo acerbo e forte)
Ariodante,
poi ch'in mar fu messo,
si
pentì di morire: e come forte
e come destro
e più d'ogn'altro ardito,
si messe a
nuoto e ritornossi al lito;
6
e
dispregiando e nominando folle
il desir
ch'ebbe di lasciar la vita,
si messe a
caminar bagnato e molle,
e
capitò all'ostel d'un eremita.
Quivi
secretamente indugiar volle
tanto, che la
novella avesse udita,
se del caso
Ginevra s'allegrasse,
o pur mesta e
pietosa ne restasse.
7
Intese prima,
che per gran dolore
ella era
stata a rischio di morire
(la fama andò
di questo in modo fuore,
che ne fu in
tutta l'isola che dire):
contrario
effetto a quel che per errore
credea aver
visto con suo gran martire.
Intese poi,
come Lurcanio avea
fatta Ginevra
appresso il padre rea.
8
Contra il
fratel d'ira minor non arse,
che per
Ginevra già d'amor ardesse;
che troppo
empio e crudele atto gli parse,
ancora che
per lui fatto l'avesse.
Sentendo poi,
che per lei non comparse
cavallier che
difender la volesse
(che Lurcanio
sì forte era e gagliardo,
ch'ognun
d'andargli contra avea riguardo;
9
e chi n'avea
notizia, il riputava
tanto
discreto, e sì saggio ed accorto,
che se non
fosse ver quel che narrava,
non si
porrebbe a rischio d'esser morto;
per questo la
più parte dubitava
di non
pigliar questa difesa a torto);
Ariodante,
dopo gran discorsi,
pensò
all'accusa del fratello opporsi.
10
- Ah lasso!
io non potrei (seco dicea)
sentir per
mia cagion perir costei:
troppo mia
morte fôra acerba e rea,
se inanzi a
me morir vedessi lei.
Ella è
pur la mia donna e la mia dea,
questa
è la luce pur degli occhi miei:
convien ch'a
dritto e a torto, per suo scampo
pigli
l'impresa, e resti morto in campo.
11
So ch'io
m'appiglio al torto; e al torto sia:
e ne
morrò; né questo mi sconforta,
se non ch'io
so che per la morte mia
sì
bella donna ha da restar poi morta.
Un sol
conforto nel morir mi fia,
che, se 'l
suo Polinesso amor le porta,
chiaramente
veder avrà potuto,
che non
s'è mosso ancor per darle aiuto;
12
e me, che
tanto espressamente ha offeso,
vedrà,
per lei salvare, a morir giunto.
Di mio
fratello insieme, il quale acceso
tanto fuoco
ha, vendicherommi a un punto;
ch'io lo
farò doler, poi che compreso
il fine
avrà del suo crudele assunto:
creduto
vendicar avrà il germano,
e gli
avrà dato morte di sua mano. -
13
Concluso ch'ebbe
questo nel pensiero,
nuove arme
ritrovò, nuovo cavallo;
e sopraveste
nere, e scudo nero
portò,
fregiato a color verdegiallo.
Per aventura
si trovò un scudiero
ignoto in
quel paese, e menato hallo;
e sconosciuto
(come ho già narrato)
s'appresentò
contra il fratello armato.
14
Narrato v'ho
come il fatto successe,
come fu
conosciuto Ariodante.
Non minor
gaudio n'ebbe il re, ch'avesse
de la
figliuola liberata inante.
Seco
pensò che mai non si potesse
trovar un
più fedele e vero amante;
che dopo tanta
ingiuria, la difesa
di lei,
contra il fratel proprio, avea presa.
15
E per sua
inclinazion (ch'assai l'amava)
e per li
preghi di tutta la corte,
e di Rinaldo,
che più d'altri instava,
de la bella
figliuola il fa consorte.
La duchea
d'Albania ch'al re tornava
dopo che
Polinesso ebbe la morte,
in miglior
tempo discader non puote,
poi che la
dona alla sua figlia in dote.
16
Rinaldo per
Dalinda impetrò grazia,
che se
n'andò di tanto errore esente;
la qual per
voto, e perché molto sazia
era del
mondo, a Dio volse la mente:
monaca
s'andò a render fin in Dazia,
e si
levò di Scozia immantinente.
Ma tempo
è ormai di ritrovar Ruggiero,
che scorre il
ciel su l'animal leggiero.
17
Ben che
Ruggier sia d'animo costante,
né cangiato
abbia il solito colore,
io non gli
voglio creder che tremante
non abbia
dentro più che foglia il core.
Lasciato avea
di gran spazio distante
tutta
l'Europa, ed era uscito fuore
per molto
spazio il segno che prescritto
avea
già a' naviganti Ercole invitto.
18
Quello
ippogrifo, grande e strano augello,
lo porta via
con tal prestezza d'ale,
che lasceria
di lungo tratto quello
celer
ministro del fulmineo strale.
Non va per
l'aria altro animal sì snello,
che di
velocità gli fosse uguale:
credo ch'a
pena il tuono e la saetta
venga in terra
dal ciel con maggior fretta.
19
Poi che
l'augel trascorso ebbe gran spazio
per linea
dritta e senza mai piegarsi,
con larghe
ruote, omai de l'aria sazio,
cominciò
sopra una isola a calarsi;
pari a quella
ove, dopo lungo strazio
far del suo
amante e lungo a lui celarsi,
la vergine
Aretusa passò invano
di sotto il
mar per camin cieco e strano.
20
Non vide né
'l più bel né 'l più giocondo
da tutta
l'aria ove le penne stese;
né se tutto
cercato avesse il mondo,
vedria di
questo il più gentil paese,
ove, dopo un
girarsi di gran tondo,
con Ruggier
seco il grande augel discese:
culte pianure
e delicati colli,
chiare acque,
ombrose ripe e prati molli.
21
Vaghi
boschetti di soavi allori,
di palme e
d'amenissime mortelle,
cedri ed
aranci ch'avean frutti e fiori
contesti in
varie forme e tutte belle,
facean riparo
ai fervidi calori
de' giorni
estivi con lor spesse ombrelle;
e tra quei
rami con sicuri voli
cantanto se
ne gìano i rosignuoli.
22
Tra le
purpuree rose e i bianchi gigli,
che tiepida
aura freschi ognora serba,
sicuri si
vedean lepri e conigli,
e cervi con
la fronte alta e superba,
senza temer
ch'alcun gli uccida o pigli,
pascano o
stiansi rominando l'erba;
saltano i
daini e i capri isnelli e destri,
che sono in
copia in quei luoghi campestri.
23
Come
sì presso è l'ippogrifo a terra,
ch'esser ne
può men periglioso il salto,
Ruggier con
fretta de l'arcion si sferra,
e si ritruova
in su l'erboso smalto;
tuttavia in
man le redine si serra,
che non vuol
che 'l destrier più vada in alto:
poi lo lega
nel margine marino
a un verde
mirto in mezzo un lauro e un pino.
24
E quivi
appresso, ove surgea una fonte
cinta di
cedri e di feconde palme,
pose lo
scudo, e l'elmo da la fronte
si trasse, e
disarmossi ambe le palme;
ed ora alla
marina ed ora al monte
volgea la
faccia all'aure fresche ed alme,
che l'alte
cime con mormorii lieti
fan tremolar
dei faggi e degli abeti.
25
Bagna talor
ne la chiara onda e fresca
l'asciutte
labra, e con le man diguazza,
acciò
che de le vene il calor esca
che gli ha
acceso il portar de la corazza.
Né maraviglia
è già ch'ella gl'incresca;
che non
è stato un far vedersi in piazza:
ma senza mai
posar, d'arme guernito,
tremila
miglia ognor correndo era ito.
26
Quivi stando,
il destrier ch'avea lasciato
tra le
più dense frasche alla fresca ombra,
per fuggir si
rivolta, spaventato
di non so
che, che dentro al bosco adombra:
e fa crollar
sì il mirto ove è legato,
che de le
frondi intorno il piè gli ingombra:
crollar fa il
mirto, e fa cader la foglia;
né succede
però che se ne scioglia.
27
Come ceppo
talor, che le medolle
rare e vote
abbia, e posto al fuoco sia,
poi che per
gran calor quell'aria molle
resta
consunta ch'in mezzo l'empìa,
dentro
risuona e con strepito bolle
tanto che quel
furor truovi la via;
così
murmura e stride e si corruccia
quel mirto
offeso, e al fine apre la buccia.
28
Onde con
mesta e flebil voce uscìo
espedita e
chiarissima favella,
e disse: - Se
tu sei cortese e pio,
come dimostri
alla presenza bella,
lieva questo
animal da l'arbor mio:
basti che 'l
mio mal proprio mi flagella,
senza altra
pena, senza altro dolore
ch'a
tormentarmi ancor venga di fuore. -
29
Al primo suon
di quella voce torse
Ruggiero il
viso, e subito levosse;
e poi
ch'uscir da l'arbore s'accorse,
stupefatto
restò più che mai fosse.
A levarne il
destrier subito corse;
e con le
guance di vergogna rosse:
- Qual che tu
sii, perdonami (dicea),
o spirto
umano, o boschereccia dea.
30
Il non aver
saputo che s'asconda
sotto ruvida
scorza umano spirto,
m'ha lasciato
turbar la bella fronda
e far
ingiuria al tuo vivace mirto:
ma non restar
però, che non risponda
chi tu ti
sia, ch'in corpo orrido ed irto,
con voce e
razionale anima vivi;
se da
grandine il ciel sempre ti schivi.
31
E s'ora o mai
potrò questo dispetto
con alcun
beneficio compensarte,
per quella
bella donna ti prometto,
quella che di
me tien la miglior parte,
ch'io
farò con parole e con effetto,
ch'avrai
giusta cagion di me lodarte. -
Come Ruggiero
al suo parlar fin diede,
tremò
quel mirto da la cima al piede.
32
Poi si vide
sudar su per la scorza,
come legno
dal bosco allora tratto,
che del fuoco
venir sente la forza,
poscia
ch'invano ogni ripar gli ha fatto;
e
cominciò: - Tua cortesia mi sforza
a discoprirti
in un medesmo tratto
ch'io fossi
prima, e chi converso m'aggia
in questo
mirto in su l'amena spiaggia.
33
Il nome mio
fu Astolfo; e paladino
era di
Francia, assai temuto in guerra:
d'Orlando e
di Rinaldo era cugino,
la cui fama
alcun termine non serra;
e si spettava
a me tutto il domìno,
dopo il mio
padre Oton, de l'Inghilterra.
Leggiadro e
bel fui sì, che di me accesi
più
d'una donna: e al fin me solo offesi.
34
Ritornando io
da quelle isole estreme
che da
Levante il mar Indico lava,
dopo Rinaldo
ed alcun'altri insieme
meco fur
chiusi in parte oscura e cava,
ed onde
liberati le supreme
forze n'avean
del cavallier di Brava;
vêr
ponente io venìa lungo la sabbia
che del
settentrion sente la rabbia.
35
E come la via
nostra e il duro e fello
destin ci
trasse, uscimmo una matina
sopra la
bella spiaggia, ove un castello
siede sul
mar, de la possente Alcina.
Trovammo lei
ch'uscita era di quello,
e stava sola
in ripa alla marina;
e senza rete
e senza amo traea
tutti li
pesci al lito, che volea.
36
Veloci vi
correvano i delfini,
vi
venìa a bocca aperta il grosso tonno;
i capidogli
coi vecchi marini
vengon
turbati dal loro pigro sonno;
muli, salpe,
salmoni e coracini
nuotano a
schiere in più fretta che ponno;
pistrici,
fisiteri, orche e balene
escon del mar
con mostruose schiene.
37
Veggiamo una
balena, la maggiore
che mai per
tutto il mar veduta fosse:
undeci passi
e più dimostra fuore
de l'onde
salse le spallacce grosse.
Caschiamo
tutti insieme in uno errore,
perch'era
ferma e che mai non si scosse:
ch'ella sia
una isoletta ci credemo,
così
distante a l'un da l'altro estremo.
38
Alcina i
pesci uscir facea de l' acque
con semplici
parole e puri incanti.
Con la fata
Morgana Alcina nacque,
io non so dir
s'a un parto o dopo o inanti.
Guardommi
Alcina; e subito le piacque
l'aspetto
mio, come mostrò ai sembianti:
e
pensò con astuzia e con ingegno
tormi ai
compagni; e riuscì il disegno.
39
Ci venne
incontra con allegra faccia
con modi
graziosi e riverenti,
e disse: -
Cavallier, quando vi piaccia
far oggi meco
i vostri alloggiamenti,
io vi
farò veder, ne la mia caccia,
di tutti i
pesci sorti differenti:
chi
scaglioso, chi molle e chi col pelo;
e saran
più che non ha stelle il cielo.
40
E volendo
vedere una sirena
che col suo
dolce canto acheta il mare,
passian di
qui fin su quell'altra arena,
dove a
quest'ora suol sempre tornare. -
E ci
mostrò quella maggior balena,
che, come io
dissi, una isoletta pare.
Io, che
sempre fui troppo (e me n'incresce)
volonteroso,
andai sopra quel pesce.
41
Rinaldo
m'accennava, e similmente
Dudon, ch'io
non v'andassi: e poco valse.
La fata
Alcina con faccia ridente,
lasciando gli
altri dua, dietro mi salse.
La balena,
all'ufficio diligente,
nuotando se
n'andò per l'onde salse.
Di mia sciocchezza
tosto fui pentito;
ma troppo mi
trovai lungi dal lito.
42
Rinaldo si
cacciò ne l'acqua a nuoto
per aiutarmi,
e quasi si sommerse,
perché
levossi un furioso Noto
che d'ombra
il cielo e 'l pelago coperse.
Quel che di
lui seguì poi, non m'è noto.
Alcina a
confortarmi si converse;
e quel
dì tutto e la notte che venne,
sopra quel
mostro in mezzo il mar mi tenne.
43
Fin che
venimmo a questa isola bella,
di cui gran
parte Alcina ne possiede,
e l'ha
usurpata ad una sua sorella
che 'l padre
già lasciò del tutto erede,
perché sola
legitima avea quella;
e (come alcun
notizia me ne diede,
che
pienamente istrutto era di questo)
sono
quest'altre due nate d'incesto.
44
E come sono
inique e scelerate
e piene
d'ogni vizio infame e brutto
così
quella, vivendo in castitate,
posto ha ne
le virtuti il suo cor tutto.
Contra lei
queste due son congiurate;
e già
più d'uno esercito hanno istrutto
per cacciarla
de l'isola, e in più volte
più di
cento castella l'hanno tolte:
45
né ci
terrebbe ormai spanna di terra
colei, che
Logistilla è nominata,
se non che
quinci un golfo il passo serra,
e quindi una
montagna inabitata,
sì
come tien la Scozia e l'Inghilterra
il monte e la
riviera separata;
né
però Alcina né Morgana resta
che non le
voglia tor ciò che le resta.
46
Perché di
vizi è questa coppia rea,
odia colei,
perché è pudica e santa.
Ma, per
tornare a quel ch'io ti dicea,
e seguir poi
com'io divenni pianta,
Alcina in
gran delizie mi tenea,
e del mio
amore ardeva tutta quanta;
né minor
fiamma nel mio core accese
il veder lei
sì bella e sì cortese.
47
Io mi godea
le delicate membra;
pareami aver
qui tutto il ben raccolto
che fra i
mortali in più parti si smembra,
a chi
più ed a chi meno e a nessun molto;
né di Francia
né d'altro mi rimembra:
stavami
sempre a contemplar quel volto:
ogni
pensiero, ogni mio bel disegno
in lei finia,
né passava oltre il segno.
48
Io da lei
altretanto era o più amato:
Alcina
più non si curava d'altri;
ella
ogn'altro suo amante avea lasciato,
ch'inanzi a
me ben ce ne fur degli altri.
Me
consiglier, me avea dì e notte a lato,
e me fe' quel
che commandava agli altri:
a me credeva,
a me si riportava;
né notte o
dì con altri mai parlava.
49
Deh! perché
vo le mie piaghe toccando,
senza
speranza poi di medicina?
perché
l'avuto ben vo rimembrando,
quando io
patisco estrema disciplina?
Quando credea
d'esser felice, e quando
credea
ch'amar più mi dovesse Alcina,
il cor che
m'avea dato si ritolse,
e ad altro
nuovo amor tutta si volse.
50
Conobbi tardi
il suo mobil ingegno,
usato amare e
disamare a un punto.
Non era stato
oltre a duo mesi in regno,
ch'un novo
amante al loco mio fu assunto.
Da sé
cacciommi la fata con sdegno,
e da la
grazia sua m'ebbe disgiunto:
e seppi poi,
che tratti a simil porto
avea
mill'altri amanti, e tutti a torto.
51
E perché essi
non vadano pel mondo
di lei
narrando la vita lasciva,
chi qua chi
là, per lo terren fecondo
li muta,
altri in abete, altri in oliva,
altri in
palma, altri in cedro, altri secondo
che vedi me
su questa verde riva;
altri in
liquido fonte, alcuni in fiera,
come
più agrada a quella fata altiera.
52
Or tu che sei
per non usata via,
signor,
venuto all'isola fatale,
acciò
ch'alcuno amante per te sia
converso in
pietra o in onda, o fatto tale;
avrai
d'Alcina scettro e signoria,
e sarai lieto
sopra ogni mortale:
ma certo sii
di giunger tosto al passo
d'entrar o in
fiera o in fonte o in legno o in sasso.
53
Io te n'ho
dato volentieri aviso;
non ch'io mi
creda che debbia giovarte:
pur meglio
fia che non vadi improviso,
e de' costumi
suoi tu sappia parte;
che forse,
come è differente il viso,
è
differente ancor l'ingegno e l'arte.
Tu saprai
forse riparare al danno,
quel che
saputo mill'altri non hanno. -
54
Ruggier, che
conosciuto avea per fama
ch'Astolfo
alla sua donna cugin era,
si dolse
assai che in steril pianta e grama
mutato avesse
la sembianza vera;
e per amor di
quella che tanto ama
(pur che
saputo avesse in che maniera)
gli avria
fatto servizio: ma aiutarlo
in altro non
potea, ch'in confortarlo.
55
Lo fe' al
meglio che seppe; e domandolli
poi se via
c'era, ch'al regno guidassi
di
Logistilla, o per piano o per colli,
sì che
per quel d'Alcina non andassi.
Che ben ve
n'era un'altra, ritornolli
l'arbore a
dir, ma piena d'aspri sassi,
s'andando un
poco inanzi alla man destra
salisse il
poggio invêr la cima alpestra.
56
Ma che non
pensi già che seguir possa
il suo camin
per quella strada troppo:
incontro
avrà di gente ardita, grossa
e fiera
compagnia, con duro intoppo.
Alcina ve li
tien per muro e fossa
a chi volesse
uscir fuor del suo groppo.
Ruggier quel
mirto ringraziò del tutto,
poi da lui si
partì dotto ed istrutto.
57
Venne al
cavallo, e lo disciolse e prese
per le
redine, e dietro se lo trasse;
né, come fece
prima, più l'ascese,
perché mal
grado suo non lo portasse.
Seco pensava
come nel paese
di Logistilla
a salvamento andasse.
Era disposto
e fermo usar ogni opra,
che non gli
avesse imperio Alcina sopra.
58
Pensò
di rimontar sul suo cavallo,
e per l'aria
spronarlo a nuovo corso:
ma dubitò
di far poi maggior fallo;
che troppo
mal quel gli ubidiva al morso.
- Io
passerò per forza, s'io non fallo, -
dicea tra sé,
ma vano era il discorso.
Non fu duo
miglia lungi alla marina,
che la bella
città vide d'Alcina.
59
Lontan si
vide una muraglia lunga
che gira
intorno, e gran paese serra;
e par che la
sua altezza al ciel s'aggiunga,
e d'oro sia
da l'alta cima a terra.
Alcun dal mio
parer qui si dilunga,
e dice
ch'ell'è alchimia: e forse ch'erra;
ed anco forse
meglio di me intende:
a me par oro,
poi che sì risplende.
60
Come fu
presso alle sì ricche mura,
che 'l mondo
altre non ha de la lor sorte,
lasciò
la strada che per la pianura
ampla e
diritta andava alle gran porte;
ed a man
destra, a quella più sicura,
ch'al monte
già, piegossi il guerrier forte:
ma tosto
ritrovò l'iniqua frotta,
dal cui furor
gli fu turbata e rotta.
61
Non fu veduta
mai più strana torma,
più
monstruosi volti e peggio fatti:
alcun' dal
collo in giù d'uomini han forma,
col viso
altri di simie, altri di gatti;
stampano
alcun con piè caprigni l'orma;
alcuni son
centauri agili ed atti;
son gioveni
impudenti e vecchi stolti,
chi nudi e
chi di strane pelli involti.
62
Chi senza
freno in s'un destrier galoppa,
chi lento va
con l'asino o col bue,
altri salisce
ad un centauro in groppa,
struzzoli
molti han sotto, aquile e grue;
ponsi altri a
bocca il corno, altri la coppa;
chi femina
è, chi maschio, e chi amendue;
chi porta
uncino e chi scala di corda,
chi pal di
ferro e chi una lima sorda.
63
Di questi il
capitano si vedea
aver gonfiato
il ventre, e 'l viso grasso;
il qual su
una testuggine sedea,
che con gran
tardità mutava il passo.
Avea di qua e
di là chi lo reggea,
perché egli
era ebro, e tenea il ciglio basso:
altri la
fronte gli asciugava e il mento,
altri i panni
scuotea per fargli vento.
64
Un ch'avea
umana forma i piedi e 'l ventre,
e collo avea
di cane, orecchie e testa,
contra
Ruggiero abaia, acciò ch'egli entre
ne la bella
città ch'a dietro resta.
Rispose il
cavallier: - Nol farò, mentre
avrà
forza la man di regger questa! -
e gli mostra
la spada, di cui volta
avea l'aguzza
punta alla sua volta.
65
Quel mostro
lui ferir vuol d'una lancia,
ma Ruggier
presto se gli aventa addosso:
una stoccata
gli trasse alla pancia,
e la fe' un
palmo riuscir pel dosso.
Lo scudo
imbraccia, e qua e là si lancia,
ma l'inimico
stuolo è troppo grosso:
l'un quinci
il punge, e l'altro quindi afferra:
egli
s'arrosta, e fa lor aspra guerra.
66
L'un sin a'
denti, e l'altro sin al petto
partendo va
di quella iniqua razza;
ch'alla sua
spada non s'oppone elmetto,
né scudo, né
panziera, né corazza:
ma da tutte
le parti è così astretto,
che bisogno
saria, per trovar piazza
e tener da sé
largo il popul reo,
d'aver
più braccia e man che Briareo.
67
Se di
scoprire avesse avuto aviso
lo scudo che
già fu del negromante
(io dico quel
ch'abbarbagliava il viso,
quel
ch'all'arcione avea lasciato Atlante),
subito avria
quel brutto stuol conquiso
e fattosel
cader cieco davante;
e forse ben,
che disprezzò quel modo,
perché
virtude usar volse, e non frodo.
68
Sia quel che
può, più tosto vuol morire,
che rendersi
prigione a sì vil gente.
Eccoti
intanto da la porta uscire
del muro,
ch'io dicea d'oro lucente,
due giovani
ch'ai gesti ed al vestire
non eran da
stimar nate umilmente,
né da pastor
nutrite con disagi,
ma fra
delizie di real palagi.
69
L'una e
l'altra sedea s'un liocorno,
candido
più che candido armelino;
l'una e
l'altra era bella, e di sì adorno
abito, e modo
tanto pellegrino,
che a l'uom,
guardando e contemplando intorno,
bisognerebbe
aver occhio divino
per far di
lor giudizio: e tal saria
Beltà,
s'avesse corpo, e Leggiadria.
70
L'una e
l'altra n'andò dove nel prato
Ruggiero
è oppresso da lo stuol villano.
Tutta la
turba si levò da lato;
e quelle al
cavallier porser la mano,
che tinto in
viso di color rosato,
le donne
ringraziò de l'atto umano:
e fu
contento, compiacendo loro,
di ritornarsi
a quella porta d'oro.
71
L'adornamento
che s'aggira sopra
la bella
porta e sporge un poco avante,
parte non ha
che tutta non si cuopra
de le
più rare gemme di Levante.
Da quattro
parti si riposa sopra
grosse
colonne d'integro diamante.
O ver o falso
ch'all'occhio risponda,
non è
cosa più bella o più gioconda.
72
Su per la
soglia e fuor per le colonne
corron
scherzando lascive donzelle,
che, se i
rispetti debiti alle donne
servasser
più, sarian forse più belle.
Tutte vestite
eran di verdi gonne,
e coronate di
frondi novelle.
Queste, con
molte offerte e con buon viso,
Ruggier
fecero entrar nel paradiso:
73
che si
può ben così nomar quel loco,
ove mi credo
che nascesse Amore.
Non vi si sta
se non in danza e in giuoco,
e tutte in
festa vi si spendon l'ore:
pensier
canuto né molto né poco
si può
quivi albergare in alcun core:
non entra
quivi disagio né inopia,
ma vi sta
ognor col corno pien la Copia.
74
Qui, dove con
serena e lieta fronte
par ch'ognor
rida il grazioso aprile,
gioveni e
donne son: qual presso a fonte
canta con
dolce e dilettoso stile;
qual d'un
arbore all'ombra e qual d'un monte
o giuoca o
danza o fa cosa non vile;
e qual, lungi
dagli altri, a un suo fedele
discuopre
l'amorose sue querele.
75
Per le cime
dei pini e degli allori,
degli alti
faggi e degl'irsuti abeti,
volan
scherzando i pargoletti Amori:
di lor
vittorie altri godendo lieti,
altri
pigliando a saettare i cori,
la mira
quindi, altri tendendo reti;
chi tempra
dardi ad un ruscel più basso,
e chi gli
aguzza ad un volubil sasso.
76
Quivi a
Ruggier un gran corsier fu dato,
forte,
gagliardo, e tutto di pel sauro,
ch'avea il
bel guernimento ricamato
di preziose
gemme e di fin auro;
e fu lasciato
in guardia quello alato,
quel che
solea ubidire al vecchio Mauro,
a un giovene
che dietro lo menassi
al buon
Ruggier, con men frettosi passi.
77
Quelle due
belle giovani amorose
ch'avean
Ruggier da l'empio stuol difeso,
da l'empio
stuol che dianzi se gli oppose
su quel camin
ch'avea a man destra preso,
gli dissero:
- Signor, le virtuose
opere vostre
che già abbiamo inteso,
ne fan
sì ardite, che l'aiuto vostro
vi chiederemo
a beneficio nostro.
78
Noi troverem
tra via tosto una lama,
che fa due
parti di questa pianura.
Una crudel,
che Erifilla si chiama,
difende il
ponte, e sforza e inganna e fura
chiunque
andar ne l'altra ripa brama;
ed ella
è gigantessa di statura,
li denti ha
lunghi e velenoso il morso,
acute l'ugne,
e graffia come un orso.
79
Oltre che
sempre ci turbi il camino,
che libero
saria se non fosse ella,
spesso,
correndo per tutto il giardino,
va
disturbando or questa cosa or quella.
Sappiate che
del populo assassino
che vi
assalì fuor de la porta bella,
molti suoi
figli son, tutti seguaci,
empi, come
ella, inospiti e rapaci. -
80
Ruggier
rispose: - Non ch'una battaglia,
ma per voi
sarò pronto a farne cento:
di mia persona,
in tutto quel che vaglia,
fatene voi
secondo il vostro intento;
che la cagion
ch'io vesto piastra e maglia,
non è
per guadagnar terre né argento,
ma sol per
farne beneficio altrui,
tanto
più a belle donne come vui. -
81
Le donne
molte grazie riferiro
degne d'un
cavallier, come quell'era:
e così
ragionando ne veniro
dove videro
il ponte e la riviera;
e di smeraldo
ornata e di zaffiro
su l'arme
d'or, vider la donna altiera.
Ma dir ne
l'altro canto differisco,
come Ruggier
con lei si pose a risco.
1
Chi va lontan
da la sua patria, vede
cose, da quel
che già credea, lontane;
che
narrandole poi, non se gli crede,
e stimato
bugiardo ne rimane:
che 'l
sciocco vulgo non gli vuol dar fede,
se non le
vede e tocca chiare e piane.
Per questo io
so che l'inesperienza
farà
al mio canto dar poca credenza.
2
Poca o molta
ch'io ci abbia, non bisogna
ch'io ponga
mente al vulgo sciocco e ignaro.
A voi so ben
che non parrà menzogna,
che 'l lume
del discorso avete chiaro;
ed a voi soli
ogni mio intento agogna
che 'l frutto
sia di mie fatiche caro.
Io vi lasciai
che 'l ponte e la riviera
vider, che'n
guardia avea Erifilla altiera.
3
Quell'era
armata del più fin metallo,
ch'avean di
piu color gemme distinto:
rubin
vermiglio, crisolito giallo,
verde
smeraldo, con flavo iacinto.
Era montata,
ma non a cavallo;
invece avea
di quello un lupo spinto:
spinto avea
un lupo ove si passa il fiume,
con ricca
sella fuor d'ogni costume.
4
Non credo
ch'un sì grande Apulia n'abbia:
egli era
grosso ed alto più d'un bue.
Con fren
spumar non gli facea le labbia,
né so come lo
regga a voglie sue.
La sopravesta
di color di sabbia
su l'arme
avea la maledetta lue:
era, fuor che
'l color, di quella sorte
ch'i vescovi
e i prelati usano in corte.
5
Ed avea ne lo
scudo e sul cimiero
una gonfiata
e velenosa botta.
Le donne la
mostraro al cavalliero,
di qua dal
ponte per giostrar ridotta,
e fargli
scorno e rompergli il sentiero,
come ad
alcuni usata era talotta.
Ella a
Ruggier, che torni a dietro, grida:
quel piglia
un'asta, e la minaccia e sfida.
6
Non men la
gigantessa ardita e presta
sprona il
gran lupo e ne l'arcion si serra,
e pon la
lancia a mezzo il corso in resta,
e fa tremar
nel suo venir la terra.
Ma pur sul
prato al fiero incontro resta;
che sotto
l'elmo il buon Ruggier l'afferra,
e de l'arcion
con tal furor la caccia,
che la
riporta indietro oltra sei braccia.
7
E già,
tratta la spada ch'avea cinta,
venìa
a levarne la testa superba:
e ben lo
potea far, che come estinta
Erifilla
giacea tra' fiori e l'erba.
Ma le donne
gridar: - Basti sia vinta,
senza
pigliarne altra vendetta acerba.
Ripon,
cortese cavallier, la spada;
passiamo il
ponte e seguitian la strada. -
8
Alquanto
malagevole ed aspretta
per mezzo un
bosco presero la via,
che oltra che
sassosa fosse e stretta,
quasi su
dritta alla collina gìa.
Ma poi che
furo ascesi in su la vetta,
usciro in
spaziosa prateria,
dove il
più bel palazzo e 'l più giocondo
vider, che
mai fosse veduto al mondo.
9
La bella
Alcina venne un pezzo inante,
verso Ruggier
fuor de le prime porte,
e lo raccolse
in signoril sembiante,
in mezzo
bella ed onorata corte.
Da tutti gli
altri tanto onore e tante
riverenze fur
fatte al guerrier forte,
che non
potrian far più, se tra loro
fosse Dio
sceso dal superno coro.
10
Non tanto il
bel palazzo era eccellente,
perché
vincesse ogn'altro di ricchezza,
quanto
ch'avea la più piacevol gente
che fosse al
mondo e di più gentilezza.
Poco era l'un
da l'altro differente
e di fiorita
etade e di bellezza:
sola di tutti
Alcina era più bella,
sì
come è bello il sol più d'ogni stella.
11
Di persona
era tanto ben formata,
quanto me'
finger san pittori industri;
con bionda
chioma lunga ed annodata:
oro non
è che più risplenda e lustri.
Spargeasi per
la guancia delicata
misto color
di rose e di ligustri;
di terso
avorio era la fronte lieta,
che lo spazio
finia con giusta meta.
12
Sotto duo
negri e sottilissimi archi
son duo negri
occhi, anzi duo chiari soli,
pietosi a
riguardare, a mover parchi;
intorno cui
par ch'Amor scherzi e voli,
e ch'indi
tutta la faretra scarchi
e che
visibilmente i cori involi:
quindi il
naso per mezzo il viso scende,
che non
truova l'invidia ove l'emende.
13
Sotto quel
sta, quasi fra due vallette,
la bocca
sparsa di natio cinabro;
quivi due
filze son di perle elette,
che chiude ed
apre un bello e dolce labro:
quindi escon
le cortesi parolette
da render
molle ogni cor rozzo e scabro;
quivi si
forma quel suave riso,
ch'apre a sua
posta in terra il paradiso.
14
Bianca nieve
è il bel collo, e 'l petto latte;
il collo
è tondo, il petto colmo e largo:
due pome
acerbe, e pur d'avorio fatte,
vengono e van
come onda al primo margo,
quando
piacevole aura il mar combatte.
Non potria
l'altre parti veder Argo:
ben si
può giudicar che corrisponde
a quel
ch'appar di fuor quel che s'asconde.
15
Mostran le
braccia sua misura giusta;
e la candida
man spesso si vede
lunghetta
alquanto e di larghezza angusta,
dove né nodo
appar, né vena eccede.
Si vede al
fin de la persona augusta
il breve, asciutto
e ritondetto piede.
Gli angelici
sembianti nati in cielo
non si ponno
celar sotto alcun velo.
16
Avea in ogni
sua parte un laccio teso,
o parli o
rida o canti o passo muova:
né maraviglia
è se Ruggier n'è preso,
poi che tanto
benigna se la truova.
Quel che di
lei già avea dal mirto inteso,
com'è
perfida e ria, poco gli giova;
ch'inganno o
tradimento non gli è aviso
che possa
star con sì soave riso.
17
Anzi pur
creder vuol che da costei
fosse
converso Astolfo in su l'arena
per li suoi
portamenti ingrati e rei,
e sia degno
di questa e di più pena:
e tutto quel
ch'udito avea di lei,
stima esser
falso; e che vendetta mena,
e mena astio
ed invidia quel dolente
a lei
biasmare, e che del tutto mente.
18
La bella
donna che cotanto amava,
novellamente
gli è dal cor partita;
che per
incanto Alcina gli lo lava
d'ogni antica
amorosa sua ferita;
e di sé sola
e del suo amor lo grava,
e in quello
essa riman sola sculpita:
sì che
scusar il buon Ruggier si deve,
se si
mostrò quivi incostante e lieve.
19
A quella mensa
citare, arpe e lire,
e diversi
altri dilettevol suoni
faceano
intorno l'aria tintinire
d'armonia
dolce e di concenti buoni.
Non vi
mancava chie, cantando, dire
d'amor
sapesse gaudi e passioni,
o con
invenzioni e poesie
rappresentasse
grate fantasie.
20
Qual mensa
trionfante e suntuosa
di
qualsivoglia successor di Nino,
o qual mai
tanto celebre e famosa
di Cleopatra
al vincitor latino,
potria a
questa esser par, che l'amorosa
fata avea
posta inanzi al paladino?
Tal non
cred'io che s'apparecchi dove
ministra
Ganimede al sommo Giove.
21
Tolte che fur
le mense e le vivande,
facean,
sedendo in cerchio, un giuoco lieto:
che ne
l'orecchio l'un l'altro domande,
come
più piace lor, qualche secreto;
il che agli
amanti fu commodo grande
di scoprir
l'amor lor senza divieto:
e furon lor
conclusioni estreme
di ritrovarsi
quella notte insieme.
22
Finir quel
giuoco tosto, e molto inanzi
che non solea
là dentro esser costume:
con torchi
allora i paggi entrati inanzi,
le tenebre
cacciar con molto lume.
Tra bella
compagnia dietro e dinanzi
andò
Ruggiero a ritrovar le piume
in una adorna
e fresca cameretta,
per la
miglior di tutte l'altre eletta.
23
E poi che di
confetti e di buon vini
di nuovo
fatti fur debiti inviti,
e partir gli
altri riverenti e chini,
ed alle
stanze lor tutti sono iti;
Ruggiero
entrò ne' profumati lini
che pareano
di man d'Aracne usciti,
tenendo
tuttavia l'orecchie attente,
s'ancora
venir la bella donna sente.
24
Ad ogni
piccol moto ch'egli udiva,
sperando che
fosse ella, il capo alzava:
sentir
credeasi, e spesso non sentiva;
poi del suo
errore accorto sospirava.
Talvolta
uscia del letto e l'uscio apriva,
guatava
fuori, e nulla vi trovava:
e
maledì ben mille volte l'ora
che facea al
trapassar tanta dimora.
25
Tra sé dicea
sovente: - Or si parte ella; -
e cominciava
a noverare i passi
ch'esser
potean da la sua stanza a quella
donde
aspettando sta che Alcina passi;
e questi ed
altri, prima che la bella
donna vi sia,
vani disegni fassi.
Teme di
qualche impedimento spesso,
che tra il
frutto e la man non gli sia messo.
26
Alcina, poi
ch'a' preziosi odori
dopo gran
spazio pose alcuna meta,
venuto il
tempo che più non dimori,
ormai ch'in
casa era ogni cosa cheta,
de la camera
sua sola uscì fuori;
e tacita
n'andò per via secreta
dove a
Ruggiero avean timore e speme
gran pezzo
intorno al cor pugnato insieme.
27
Come si vide
il successor d'Astolfo
sopra apparir
quelle ridenti stelle,
come abbia ne
le vene acceso zolfo,
non par che
capir possa ne la pelle.
Or sino agli
occhi ben nuota nel golfo
de le delizie
e de le cose belle:
salta del
letto, e in braccio la raccoglie,
né può
tanto aspettar ch'ella si spoglie;
28
ben che né
gonna né faldiglia avesse;
che venne
avolta in un leggier zendado
che sopra una
camicia ella si messe,
bianca e
suttil nel più eccellente grado.
Come Ruggiero
abbracciò lei, gli cesse
il manto: e
restò il vel suttile e rado,
che non
copria dinanzi né di dietro,
più
che le rose o i gigli un chiaro vetro.
29
Non
così strettamente edera preme
pianta ove
intorno abbarbicata s'abbia,
come si
stringon li dui amanti insieme,
cogliendo de
lo spirto in su le labbia
suave fior,
qual non produce seme
indo o sabeo
ne l'odorata sabbia.
Del gran
piacer ch'avean, lor dicer tocca;
che spesso
avean più d'una lingua in bocca.
30
Queste cose
là dentro eran secrete,
o se pur non
secrete, almen taciute;
che raro fu
tener le labra chete
biasmo ad
alcun, ma ben spesso virtute.
Tutte
proferte ed accoglienze liete
fanno a
Ruggier quelle persone astute:
ognun lo
reverisce e se gli inchina;
che
così vuol l'innamorata Alcina.
31
Non è
diletto alcun che di fuor reste;
che tutti son
ne l'amorosa stanza.
E due e tre
volte il dì mutano veste,
fatte or ad
una ora ad un'altra usanza.
Spesso in
conviti, e sempre stanno in feste,
in giostre,
in lotte, in scene, in bagno, in danza:
or presso ai
fonti, all'ombre de' poggetti,
leggon
d'antiqui gli amorosi detti;
32
or per
l'ombrose valli e lieti colli
vanno
cacciando le paurose lepri;
or con sagaci
cani i fagian folli
con strepito
uscir fan di stoppie e vepri;
or a' tordi
lacciuoli, or veschi molli
tendon tra
gli odoriferi ginepri;
or con ami
inescati ed or con reti
turban a'
pesci i grati lor secreti.
33
Stava
Ruggiero in tanta gioia e festa,
mentre Carlo
in travaglio ed Agramante,
di cui
l'istoria io non vorrei per questa
porre in
oblio, né lasciar Bradamante,
che con
travaglio e con pena molesta
pianse
più giorni il disiato amante,
ch'avea per
strade disusate e nuove
veduto portar
via, né sapea dove.
34
Di costei
prima che degli altri dico,
che molti
giorni andò cercando invano
pei boschi
ombrosi e per lo campo aprico,
per ville,
per città, per monte e piano;
né mai
potè saper del caro amico,
che di tanto
intervallo era lontano.
Ne l'oste
saracin spesso venìa,
né mai del
suo Ruggier ritrovò spia.
35
Ogni
dì ne domanda a più di cento,
né alcun le
ne sa mai render ragioni.
D'alloggiamento
va in alloggiamento,
cercandone e
trabacche e padiglioni:
e lo
può far; che senza impedimento
passa tra
cavallieri e tra pedoni,
mercè
all'annel che fuor d'ogni uman uso
la fa sparir
quando l'è in bocca chiuso.
36
Né può
né creder vuol che morto sia;
perché di
sì grande uom l'alta ruina
da l'onde
idaspe udita si saria
fin dove il
sole a riposar declina.
Non sa né dir
né imaginar che via
far possa o
in cielo o in terra; e pur meschina
lo va
cercando, e per compagni mena
sospiri e
pianti ed ogni acerba pena.
37
Pensò
al fin di tornare alla spelonca
dove eran
l'ossa di Merlin profeta,
e gridar
tanto intorno a quella conca,
che 'l freddo
marmo si movesse a pieta;
che se vivea
Ruggiero, o gli avea tronca
l'alta
necessità la vita lieta,
si sapria
quindi: e poi s'appiglierebbe
a quel
miglior consiglio che n'avrebbe.
38
Con questa
intenzion prese il camino
verso le
selve prossime a Pontiero,
dove la vocal
tomba di Merlino
era nascosa
in loco alpestro e fiero.
Ma quella
maga che sempre vicino
tenuto a
Bradamante avea il pensiero,
quella, dico
io, che ne la bella grotta
l'avea de la
sua stirpe istrutta e dotta;
39
quella
benigna e saggia incantatrice,
la quale ha
sempre cura di costei,
sappiendo
ch'esser de' progenitrice
d'uomini
invitti, anzi di semidei;
ciascun
dì vuol sapere che fa, che dice,
e getta
ciascun dì sorte per lei.
Di Ruggier
liberato e poi perduto,
e dove in
India andò, tutto ha saputo.
40
Ben veduto
l'avea su quel cavallo
che regger
non potea, ch'era sfrenato,
scostarsi di
lunghissimo intervallo
per sentier
periglioso e non usato;
e ben sapea
che stava in giuoco e in ballo
e in cibo e
in ozio molle e delicato,
né più
memoria avea del suo signore,
né de la
donna sua, né del suo onore.
41
E così
il fior de li begli anni suoi
in lunga
inerzia aver potria consunto
sì
gentil cavallier, per dover poi
perdere il
corpo e l'anima in un punto;
e quel odor
che sol riman di noi,
poscia che 'l
resto fragile è defunto,
che tra'
l'uom del sepulcro e in vita il serba,
gli saria
stato o tronco o svelto in erba.
42
Ma quella
gentil maga, che più cura
n'avea
ch'egli medesmo di se stesso,
pensò
di trarlo per via alpestre e dura
alla vera
virtù, mal grado d'esso:
come
eccellente medico, che cura
con ferro e
fuoco e con veneno spesso,
che se ben
molto da principio offende,
poi giova al
fine, e grazia se gli rende.
43
Ella non gli
era facile, e talmente
fattane cieca
di superchio amore,
che, come
facea Atlante, solamente
a darli vita
avesse posto il core.
Quel piu
tosto volea che lungamente
vivesse e
senza fama e senza onore,
che, con
tutta la laude che sia al mondo,
mancasse un
anno al suo viver giocondo.
44
L'avea
mandato all'isola d'Alcina,
perché
obliasse l'arme in quella corte;
e come mago
di somma dottrina,
ch'usar sapea
gl'incanti d'ogni sorte,
avea il cor
stretto di quella regina
ne l'amor
d'esso d'un laccio sì forte,
che non se ne
era mai per poter sciorre,
s'invecchiasse
Ruggier più di Nestorre.
45
Or tornando a
colei, ch'era presaga
di quanto de'
avvenir, dico che tenne
la dritta via
dove l'errante e vaga
figlia d'Amon
seco a incontrar si venne.
Bradamante
vedendo la sua maga,
muta la pena
che prima sostenne,
tutta in
speranza; e quella l'apre il vero:
ch'ad Alcina
è condotto il suo Ruggiero.
46
La giovane
riman presso che morta,
quando ode
che 'l suo amante è così lunge;
e più,
che nel suo amor periglio porta,
se gran
rimedio e subito non giunge:
ma la benigna
maga la conforta,
e presta pon
l'impiastro ove il duol punge,
e le promette
e giura, in pochi giorni
far che
Ruggiero a riveder lei torni.
47
- Da che,
donna (dicea), l'annello hai teco,
che val
contra ogni magico fattura,
io non ho
dubbio alcun, che s'io l'arreco
là
dove Alcina ogni tuo ben ti fura,
ch'io non le
rompa il suo disegno, e meco
non ti rimeni
la tua dolce cura.
Me
n'andrò questa sera alla prim'ora,
e sarò
in India al nascer de l'aurora.
48
E seguitando,
del modo narrolle
che disegnato
avea d'adoperarlo,
per trar del
regno effeminato e molle
il caro
amante, e in Francia rimenarlo.
Bradamante
l'annel del dito tolle;
né solamente
avria voluto darlo,
ma dato il
core e dato avria la vita,
pur che
n'avesse il suo Ruggiero aita.
49
Le dà
l'annello e se le raccomanda;
e più
le raccomanda il suo Ruggiero,
a cui per lei
mille saluti manda:
poi prese
vêr Provenza altro sentiero.
Andò
l'incantatrice a un'altra banda;
e per porre
in effetto il suo pensiero,
un palafren
fece apparir la sera,
ch'avea un
piè rosso, e ogn'altra parte nera.
50
Credo fosse
un Alchino o un Farfarello,
che da
l'Inferno in quella forma trasse;
e scinta e
scalza montò sopra a quello,
a chiome
sciolte e orribilmente passe:
ma ben di
dito si levò l'annello,
perché
gl'incanti suoi non le vietasse.
Poi con tal
fretta andò, che la matina
si
ritrovò ne l'isola d'Alcina.
51
Quivi
mirabilmente transmutosse:
s'accrebbe
più d'un palmo di statura,
e fe' le
membra a proporzion più grosse;
e
restò a punto di quella misura
che si
pensò che 'l negromante fosse,
quel che
nutrì Ruggier con sì gran cura.
Vestì
di lunga barba le mascelle,
e fe' crespa
la fronte e l'altra pelle.
52
Di faccia, di
parole e di sembiante
sì lo
seppe imitar, che totalmente
potea parer
l'incantator Atlante.
Poi si
nascose, e tanto pose mente,
che da
Ruggiero allontanar l'amante
Alcina vide
un giorno finalmente:
e fu gran
sorte; che di stare o d'ire
senza esso
un'ora potea mal patire.
53
Soletto lo
trovò, come lo volle,
che si godea
il matin fresco e sereno
lungo un bel
rio che discorrea d'un colle
verso un
laghetto limpido ed ameno.
Il suo vestir
delizioso e molle
tutto era
d'ozio e di lascivia pieno,
che de sua
man gli avea di seta e d'oro
tessuto
Alcina con sottil lavoro.
54
Di ricche
gemme un splendido monile
gli discendea
dal collo in mezzo il petto;
e ne l'uno e
ne l'altro già virile
braccio
girava un lucido cerchietto.
Gli avea
forato un fil d'oro sottile
ambe
l'orecchie, in forma d'annelletto;
e due gran
perle pendevano quindi,
qua' mai non
ebbon gli Arabi né gl'Indi.
55
Umide avea
l'innanellate chiome
de'
più suavi odor che sieno in prezzo:
tutto ne'
gesti era amoroso, come
fosse in
Valenza a servir donne avezzo:
non era in
lui di sano altro che 'l nome;
corrotto
tutto il resto, e più che mézzo.
Così
Ruggier fu ritrovato, tanto
da l'esser
suo mutato per incanto.
56
Ne la forma
d'Atlante se gli affaccia
colei, che la
sembianza ne tenea,
con quella
grave e venerabil faccia
che Ruggier
sempre riverir solea,
con quello
occhio pien d'ira e di minaccia,
che sì
temuto già fanciullo avea;
dicendo: -
È questo dunque il frutto ch'io
lungamente
atteso ho del sudor mio?
57
Di medolle
già d'orsi e di leoni
ti porsi io
dunque li primi alimenti;
t'ho per
caverne ed orridi burroni
fanciullo
avezzo a strangolar serpenti,
pantere e
tigri disarmar d'ungioni
ed a vivi
cingial trar spesso i denti,
acciò
che, dopo tanta disciplina,
tu sii
l'Adone o l'Atide d'Alcina?
58
È
questo, quel che l'osservate stelle,
le sacre
fibre e gli accoppiati punti,
responsi,
auguri, sogni e tutte quelle
sorti, ove ho
troppo i miei studi consunti,
di te
promesso sin da le mammelle
m'avean, come
quest'anni fusser giunti:
ch'in arme
l'opre tue così preclare
esser dovean,
che sarian senza pare?
59
Questo
è ben veramente alto principio
onde si
può sperar che tu sia presto
a farti un
Alessandro, un Iulio, un Scipio!
Chi potea,
ohimè! di te mai creder questo,
che ti
facessi d'Alcina mancipio?
E perché
ognun lo veggia manifesto,
al collo ed
alle braccia hai la catena
con che ella
a voglia sua preso ti mena.
60
Se non ti
muovon le tue proprie laudi,
e l'opre e
scelse a chi t'ha il cielo eletto,
la tua
succession perché defraudi
del ben che
mille volte io t'ho predetto?
deh, perché
il ventre eternamente claudi,
dove il ciel
vuol che sia per te concetto
la gloriosa e
soprumana prole
ch'esser de'
al mondo più chiara che 'l sole?
61
Deh non
vietar che le più nobil alme,
che sian
formate ne l'eterne idee,
di tempo in
tempo abbian corporee salme
dal ceppo che
radice in te aver dee!
Deh non
vietar mille trionfi e palme,
con che, dopo
aspri danni e piaghe ree,
tuoi figli,
tuoi nipoti e successori
Italia
torneran nei primi onori!
62
Non ch'a
piegarti a questo tante e tante
anime belle
aver dovesson pondo,
che chiare,
illustri, inclite, invitte e sante
son per
fiorir da l'arbor tuo fecondo;
ma ti dovria
un coppia esser bastante:
Ippolito e il
fratel; che pochi il mondo
ha tali avuti
ancor fin al dì d'oggi,
per tutti i
gradi onde a virtù si poggi.
63
Io solea
più di questi dui narrarti,
ch'io non
facea di tutti gli altri insieme;
sì
perché essi terran le maggior parti,
che gli altri
tuoi, ne le virtù supreme;
sì
perché al dir di lor mi vedea darti
più
attenzion, che d'altri del tuo seme:
vedea goderti
che sì chiari eroi
esser
dovessen dei nipoti tuoi.
64
Che ha costei
che t'hai fatto regina,
che non
abbian mill'altre meretrici?
costei che di
tant'altri è concubina,
ch'al fin sai
ben s'ella suol far felici.
Ma perché tu
conosca chi sia Alcina,
levatone le
fraudi e gli artifici,
tien questo
annello in dito, e torna ad ella,
ch'aveder ti
potrai come sia bella. -
65
Ruggier si
stava vergognoso e muto
mirando in
terra, e mal sapea che dire;
a cui la maga
nel dito minuto
pose
l'annello, e lo fe' risentire.
Come Ruggiero
in sé fu rivenuto,
di tanto
scorno si vide assalire,
ch'esser
vorria sotterra mille braccia,
ch'alcun
veder non lo potesse in faccia.
66
Ne la sua
prima forma in uno istante,
così
parlando, la maga rivenne;
né bisognava
più quella d'Atlante,
seguitone
l'effetto per che venne.
Per dirvi
quel ch'io non vi dissi inante,
costei
Melissa nominata venne,
ch'or
diè a Ruggier di sé notizia vera,
e dissegli a
che effetto venuta era;
67
mandata da
colei, che d'amor piena
sempre il disia,
né più può starne senza,
per liberarlo
da quella catena
di che lo
cinse magica violenza:
e preso avea
d'Atlante di Carena
la forma, per
trovar meglio credenza.
Ma poi ch'a
sanità l'ha ormai ridutto,
gli vuole
aprire e far che veggia il tutto.
68
- Quella
donna gentil che t'ama tanto,
quella che
del tuo amor degna sarebbe,
a cui, se non
ti scorda, tu sai quanto
tua
libertà, da lei servata, debbe;
questo annel
che ripara ad ogni incanto,
ti manda: e
così il cor mandato avrebbe,
s'avesse
avuto il cor così virtute,
come
l'annello, atta alla tua salute. -
69
E
seguitò narrandogli l'amore
che
Bradamante gli ha portato e porta;
di questa
insieme comendò il valore,
in quanto il
vero e l'affezion comporta;
ed usò
modo e termine migliore
che si
convenga a messaggera accorta:
ed in quel
odio Alcina a Ruggier pose,
in che
soglionsi aver l'orribil cose.
70
In odio gli
la pose, ancor che tanto
l'amasse
dianzi: e non vi paia strano,
quando il suo
amor per forza era d'incanto,
ch'essendovi
l'annel, rimase vano.
Fece l'annel
palese ancor, che quanto
di
beltà Alcina avea, tutto era estrano:
estrano avea,
e non suo, dal piè alla treccia;
il bel ne
sparve, e le restò la feccia.
71
Come
fanciullo che maturo frutto
ripone, e poi
si scorda ove è riposto,
e dopo molti
giorni è ricondutto
là
dove truova a caso il suo deposto,
si maraviglia
di vederlo tutto
putrido e
guasto, e non come fu posto;
e dove amarlo
e caro aver solia,
l'odia,
sprezza, n'ha schivo, e getta via:
72
così
Ruggier, poi che Melissa fece
ch'a riveder
se ne tornò la fata
con
quell'annello inanzi a cui non lece,
quando s'ha
in dito, usare opra incantata,
ritruova,
contra ogni sua stima, invece
de la bella,
che dianzi avea lasciata,
donna
sì laida, che la terra tutta
né la
più vecchia avea né la più brutta.
73
Pallido,
crespo e macilente avea
Alcina il
viso, il crin raro e canuto,
sua statura a
sei palmi non giungea:
ogni dente di
bocca era caduto;
che
più d'Ecuba e più de la Cumea,
ed avea
più d'ogn'altra mai vivuto.
Ma sì
l'arti usa al nostro tempo ignote,
che bella e
giovanetta parer puote.
74
Giovane e
bella ella si fa con arte,
si che molti
ingannò come Ruggiero;
ma l'annel
venne a interpretar le carte
che
già molti anni avean celato il vero.
Miracol non
è dunque, se si parte
de l'animo a
Ruggier ogni pensiero
ch'avea
d'amare Alcina, or che la truova
in guisa, che
sua fraude non le giova.
75
Ma come
l'avisò Melissa, stette
senza mutare
il solito sembiante,
fin che
l'arme sue, più dì neglette,
si fu vestito
dal capo alle piante;
e per non
farle ad Alcina suspette,
finse provar
s'in esse era aiutante,
finse provar
se gli era fatto grosso,
dopo alcun
dì che non l'ha avute indosso.
76
E Balisarda
poi si messe al fianco
(che
così nome la sua spada avea);
e lo scudo
mirabile tolse anco,
che non pur
gli occhi abbarbagliar solea,
ma l'anima
facea sì venir manco,
che dal corpo
esalata esser parea.
Lo tolse, e
col zendado in che trovollo,
che tutto lo
copria, sel messe al collo.
77
Venne alla
stalla, e fece briglia e sella
porre a un destrier
più che la pece nero:
così
Melissa l'avea istrutto; ch'ella
sapea quanto
nel corso era leggiero.
Chi lo
conosce, Rabican l'appella;
ed è
quel proprio che col cavalliero
del quale i
venti or presso al mar fan gioco,
portò
già la balena in questo loco.
78
Potea aver
l'ippogrifo similmente,
che presso a
Rabicano era legato;
ma gli avea
detto la maga: - Abbi mente,
ch'egli
è (come tu sai) troppo sfrenato. -
E gli diede
intenzion che 'l dì seguente
gli lo
trarrebbe fuor di quello stato,
là
dove ad agio poi sarebbe istrutto
come frenarlo
e farlo gir per tutto.
79
Né sospetto
darà, se non lo tolle,
de la tacita
fuga ch'apparecchia.
Fece Ruggier
come Melissa volle,
ch'invisibile
ognor gli era all'orecchia.
Così
fingendo, del lascivo e molle
palazzo
uscì de la puttana vecchia;
e si venne
accostando ad una porta,
donde
è la via ch'a Logistilla il porta.
80
Assaltò
li guardiani all'improviso,
e si
cacciò tra lor col ferro in mano,
e qual
lasciò ferito, e quale ucciso;
e corse fuor
del ponte a mano a mano:
e prima che
n'avesse Alcina aviso,
di molto
spazio fu Ruggier lontano.
Dirò
ne l'altro canto che via tenne;
poi come a
Logistilla se ne venne.
1
Oh quante
sono incantatrici, oh quanti
incantator
tra noi, che non si sanno!
che con lor
arti uomini e donne amanti
di sé,
cangiando i visi lor, fatto hanno.
Non con
spirti costretti tali incanti,
né con
osservazion di stelle fanno;
ma con
simulazion, menzogne e frodi
legano i cor
d'indissolubil nodi.
2
Chi l'annello
d'Angelica, o piu tosto
chi avesse
quel de la ragion, potria
veder a tutti
il viso, che nascosto
da finzione e
d'arte non saria.
Tal ci par
bello e buono, che, deposto
il liscio,
brutto e rio forse parria.
Fu gran
ventura quella di Ruggiero,
ch'ebbe
l'annel che gli scoperse il vero.
3
Ruggier (come
io dicea) dissimulando,
su Rabican
venne alla porta armato:
trovò
le guardie sprovedute, e quando
giunse tra
lor, non tenne il brando a lato.
Chi morto e
chi a mal termine lasciando,
esce del
ponte, e il rastrello ha spezzato:
prende al
bosco la via; ma poco corre,
ch'ad un de'
servi de la fata occorre.
4
Il servo in
pugno avea un augel grifagno
che volar con
piacer facea ogni giorno,
ora a
campagna, ora a un vicino stagno,
dove era
sempre da far preda intorno:
avea da lato
il can fido compagno:
cavalcava un
ronzin non troppo adorno.
Ben
pensò che Ruggier dovea fuggire,
quando lo
vide in tal fretta venire.
5
Se gli fe'
incontra, e con sembiante altiero
gli
domandò perché in tal fretta gisse.
Risponder non
gli volse il buon Ruggiero:
perciò
colui, più certo che fuggisse,
di volerlo
arrestar fece pensiero;
e distendendo
il braccio manco, disse:
- Che dirai
tu, se subito ti fermo?
se contra
questo augel non avrai schermo? -
6
Spinge
l'augello: e quel batte sì l'ale,
che non
l'avanza Rabican di corso.
Del palafreno
il cacciator giù sale,
e tutto a un
tempo gli ha levato il morso.
Quel par da
l'arco uno aventato strale,
di calci
formidabile e di morso;
e 'l servo
dietro sì veloce viene,
che par ch'il
vento, anzi che il fuoco il mene.
7
Non vuol
parere il can d'esser più tardo;
ma segue
Rabican con quella fretta
con che le
lepri suol seguire il pardo.
Vergogna a
Ruggier par, se non aspetta.
Voltasi a
quel che vien sì a piè gagliardo;
né gli vede
arme, fuor ch'una bacchetta,
quella con
che ubidire al cane insegna:
Ruggier di
trar la spada si disdegna.
8
Quel se gli
appressa, e forte lo percuote:
lo morde a un
tempo il can nel piede manco.
Lo sfrenato
destrier la groppa scuote
tre volte e
più, né falla il destro fianco.
Gira
l'augello e gli fa mille ruote,
e con l'ugna
sovente il ferisce anco:
sì il
destrier collo strido impaurisce,
ch'alla mano
e allo spron poco ubidisce.
9
Ruggiero, al
fin costretto, il ferro caccia:
e perché tal
molestia se ne vada,
or gli
animali, or quel villan minaccia
col taglio e
con la punta de la spada.
Quella
importuna turba più l'impaccia:
presa ha chi
qua chi là tutta la strada.
Vede Ruggiero
il disonore e il danno
che gli
avverrà, se più tardar lo fanno.
10
Sa ch'ogni
poco più ch'ivi rimane,
Alcina
avrà col populo alle spalle:
di trombe, di
tamburi e di campane
già
s'ode alto rumore in ogni valle.
Contra un
servo senza arme e contra un cane
gli par ch'a
usar la spada troppo falle:
meglio e
più breve è dunque che gli scopra
lo scudo che
d'Atlante era stato opra.
11
Levò
il drappo vermiglio in che coperto
già
molti giorni lo scudo si tenne.
Fece
l'effetto mille volte esperto
il lume, ove
a ferir negli occhi venne:
resta dai
sensi il cacciator deserto,
cade il cane
e il ronzin, cadon le penne,
ch'in aria
sostener l'augel non ponno.
Lieto Ruggier
li lascia in preda al sonno.
12
Alcina,
ch'avea intanto avuto aviso
di Ruggier,
che sforzato avea la porta,
e de la
guardia buon numero ucciso,
fu, vinta dal
dolor, per restar morta.
Squarciossi i
panni e si percosse il viso,
e sciocca
nominossi e malaccorta;
e fece dar
all'arme immantinente,
e intorno a
sé raccor tutta sua gente.
13
E poi ne fa
due parti, e manda l'una
per quella
strada ove Ruggier camina;
al porto
l'altra subito raguna,
imbarca, ed
uscir fa ne la marina:
sotto le vele
aperte il mar s'imbruna.
Con questi va
la disperata Alcina,
che 'l
desiderio di Ruggier sì rode,
che lascia
sua città senza custode.
14
Non lascia
alcuno a guardia del palagio:
il che a
Melissa che stava alla posta
per liberar
di quel regno malvagio
la gente
ch'in miseria v'era posta,
diede
commodità, diede grande agio
di gir
cercando ogni cosa a sua posta,
imagini
abbruciar, suggelli torre,
e nodi e
rombi e turbini disciorre.
15
Indi pei
campi accelerando i passi,
gli antiqui
amanti, ch'erano in gran torma
conversi in
fonti, in fere, in legni, in sassi,
fe' ritornar
ne la lor prima forma.
E quei, poi
ch'allargati furo i passi,
tutti del
buon Ruggier seguiron l'orma:
a Logistilla
si salvaro; ed indi
tornaro a
Sciti, a Persi, a Greci, ad Indi.
16
Li
rimandò Melissa in lor paesi,
con obligo di
mai non esser sciolto.
Fu inanzi
agli altri il duca degl'Inglesi
ad esser
ritornato in uman volto;
che 'l
parentado in questo e li cortesi
prieghi del
buon Ruggier gli giovar molto:
oltre i
prieghi, Ruggier le diè l'annello,
acciò
meglio potesse aiutar quello.
17
A' prieghi
dunque di Ruggier, rifatto
fu 'l paladin
ne la sua prima faccia.
Nulla pare a
Melissa d'aver fatto,
quando
ricovrar l'arme non gli faccia,
e quella
lancia d'or, ch'al primo tratto
quanti ne
tocca de la sella caccia:
de l'Argalia,
poi fu d'Astolfo lancia,
e molto onor
fe' all'uno e a l'altro in Francia.
18
Trovò
Melissa questa lancia d'oro,
ch'Alcina
avea reposta nel palagio,
e tutte
l'arme che del duca foro,
e gli fur
tolte ne l'ostel malvagio.
Montò
il destrier del negromante moro,
e fe' montar
Astolfo in groppa ad agio;
e quindi a
Logistilla si condusse
d'un'ora
prima che Ruggier vi fusse.
19
Tra duri
sassi e folte spine gìa
Ruggiero
intanto invêr la fata saggia,
di balzo in
balzo, e d'una in altra via
aspra,
solinga, inospita e selvaggia;
tanto ch'a
gran fatica riuscia
su la fervida
nona in una spiaggia
tra 'l mare e
'l monte, al mezzodì scoperta,
arsiccia,
nuda, sterile e deserta.
20
Percuote il
sole ardente il vicin colle;
e del calor
che si riflette a dietro,
in modo
l'aria e l'arena ne bolle,
che saria
troppo a far liquido il vetro.
Stassi cheto
ogni augello all'ombra molle:
sol la cicala
col noioso metro
fra i densi
rami del fronzuto stelo
le valli e i
monti assorda, e il mare e il cielo.
21
Quivi il
caldo, la sete, e la fatica
ch'era di gir
per quella via arenosa,
facean, lungo
la spiaggia erma ed aprica,
a Ruggier
compagnia grave e noiosa.
Ma perché non
convien che sempre io dica,
né ch'io vi
occupi sempre in una cosa,
io
lascerò Ruggiero in questo caldo,
e girò
in Scozia a ritrovar Rinaldo.
22
Era Rinaldo
molto ben veduto
dal re, da la
figliuola e dal paese.
Poi la cagion
che quivi era venuto,
più ad
agio il paladin fece palese:
ch'in nome
del suo re chiedeva aiuto
e dal regno
di Scozia e da l'Inglese;
ed ai preghi
soggiunse anco di Carlo,
giustissime
cagion di dover farlo.
23
Dal re, senza
indugiar, gli fu risposto,
che di quanto
sua forza s'estendea,
per utile ed
onor sempre disposto
di Carlo e de
l'Imperio esser volea;
e che fra
pochi dì gli avrebbe posto
più
cavallieri in punto che potea;
e se non
ch'esso era oggimai pur vecchio,
capitano
verria del suo apparecchio.
24
Né tal
rispetto ancor gli parria degno
di farlo
rimaner, se non avesse
il figlio,
che di forza, e più d'ingegno,
dignissimo
era a chi'l governo desse,
ben che non
si trovasse allor nel regno;
ma che
sperava che venir dovesse
mentre
ch'insieme aduneria lo stuolo;
e ch'adunato
il troveria il figliuolo.
25
Così
mandò per tutta la sua terra
suoi
tesorieri a far cavalli e gente;
navi
apparecchia e munizion da guerra,
vettovaglia e
danar maturamente.
Venne intanto
Rinaldo in Inghilterra,
e 'l re nel
suo partir cortesemente
insino a
Beroicche accompagnollo;
e visto
pianger fu quando lasciollo.
26
Spirando il
vento prospero alla poppa,
monta
Rinaldo, ed a Dio dice a tutti:
la fune indi
al viaggio il nocchier sgroppa;
tanto che
giunge ove nei salsi flutti
il bel Tamigi
amareggiando intoppa.
Col gran
flusso del mar quindi condutti
i naviganti
per camin sicuro
a vela e remi
insino a Londra furo.
27
Rinaldo avea
da Carlo e dal re Otone,
che con Carlo
in Parigi era assediato,
al principe
di Vallia commissione
per
contrasegni e lettere portato,
che
ciò che potea far la regione
di fanti e di
cavalli in ogni lato,
tutto debba a
Calesio traghittarlo,
sì che
aiutar si possa Francia e Carlo.
28
Il principe
ch'io dico, ch'era, in vece
d'Oton,
rimaso nel seggio reale,
a Rinaldo
d'Amon tanto onor fece,
che non
l'avrebbe al suo re fatto uguale:
indi alle sue
domande satisfece;
perché a
tutta la gente marziale
e di Bretagna
e de l'isole intorno
di ritrovarsi
al mar prefisse il giorno.
29
Signor, far
mi convien come fa il buono
sonator sopra
il suo istrumento arguto,
che spesso
muta corda, e varia suono,
ricercando
ora il grave, ora l'acuto.
Mentre a dir
di Rinaldo attento sono,
d'Angelica
gentil m'è sovenuto,
di che
lasciai ch'era da lui fuggita,
e ch'avea
riscontrato uno eremita.
30
Alquanto la
sua istoria io vo' seguire.
Dissi che
domandava con gran cura,
come potesse
alla marina gire;
che di
Rinaldo avea tanta paura,
che, non
passando il mar, credea morire,
né in tutta
Europa si tenea sicura:
ma l'eremita
a bada la tenea,
perché di
star con lei piacere avea.
31
Quella rara
bellezza il cor gli accese,
e gli
scaldò le frigide medolle:
ma poi che
vide che poco gli attese,
e ch'oltra
soggiornar seco non volle,
di cento
punte l'asinello offese;
né di sua
tardità però lo tolle:
e poco va di
passo e men di trotto,
né stender
gli si vuol la bestia sotto.
32
E perché
molto dilungata s'era,
e poco
più, n'avria perduta l'orma,
ricorse il
frate alla spelonca nera,
e di demoni
uscir fece una torma:
e ne sceglie
uno di tutta la schiera,
e del bisogno
suo prima l'informa;
poi lo fa
entrare adosso al corridore,
che via gli
porta con la donna il core.
33
E qual sagace
can, nel monte usato
a volpi o
lepri dar spesso la caccia,
che se la
fera andar vede da un lato,
ne va da un
altro, e par sprezzi la traccia;
al varco poi
lo sentono arrivato,
che l'ha
già in bocca, e l'apre il fianco e straccia:
tal l'eremita
per diversa strada
aggiugnerà
la donna ovunque vada.
34
Che sia il
disegno suo, ben io comprendo:
e dirollo
anco a voi, ma in altro loco.
Angelica di
ciò nulla temendo,
cavalcava a
giornate, or molto or poco.
Nel cavallo
il demon si gìa coprendo,
come si
cuopre alcuna volta il fuoco,
che con
sì grave incendio poscia avampa,
che non si
estingue, e a pena se ne scampa.
35
Poi che la
donna preso ebbe il sentiero
dietro il
gran mar che li Guasconi lava,
tenendo
appresso all'onde il suo destriero,
dove l'umor
la via più ferma dava;
quel le fu
tratto dal demonio fiero
ne l'acqua
sì, che dentro vi nuotava.
Non sa che
far la timida donzella,
se non
tenersi ferma in su la sella.
36
Per tirar
briglia, non gli può dar volta:
più e
più sempre quel si caccia in alto.
Ella tenea la
vesta in su raccolta
per non
bagnarla, e traea i piedi in alto.
Per le spalle
la chioma iva disciolta,
e l'aura le
facea lascivo assalto.
Stavano cheti
tutti i maggior venti,
forse a tanta
beltà, col mare, attenti.
37
Ella volgea i
begli occhi a terra invano,
che bagnavan
di pianto il viso e 'l seno,
e vedea il
lito andar sempre lontano
e decrescer
più sempre e venir meno.
Il destrier,
che nuotava a destra mano,
dopo un gran
giro la portò al terreno
tra scuri
sassi e spaventose grotte,
già
cominciando ad oscurar la notte.
38
Quando si
vide sola in quel deserto,
che a
riguardarlo sol, mettea paura,
ne l'ora che
nel mar Febo coperto
l'aria e la
terra avea lasciata oscura,
fermossi in
atto ch'avria fatto incerto
chiunque
avesse vista sua figura,
s'ella era
donna sensitiva e vera,
o sasso
colorito in tal maniera.
39
Stupida e
fissa ne la incerta sabbia,
coi capelli
disciolti e rabuffati,
con le man
giunte e con l'immote labbia,
i languidi
occhi al ciel tenea levati,
come
accusando il gran Motor che l'abbia
tutti
inclinati nel suo danno i fati.
Immota e come
attonita stè alquanto;
poi sciolse
al duol la lingua, e gli occhi al pianto.
40
Dicea: -
Fortuna, che più a far ti resta
acciò
di me ti sazi e ti disfami?
che dar ti
posso omai più, se non questa
misera vita?
ma tu non la brami;
ch'ora a
trarla del mar sei stata presta,
quando potea
finir suoi giorni grami:
perché ti
parve di voler più ancora
vedermi
tormentar prima ch'io muora.
41
Ma che mi
possi nuocere non veggio,
più di
quel che sin qui nociuto m'hai.
Per te
cacciata son del real seggio,
dove
più ritornar non spero mai:
ho perduto
l'onor, ch'è stato peggio;
che, se ben
con effetto io non peccai,
io do
però materia ch'ognun dica,
ch'essendo
vagabonda, io sia impudica.
42
Ch'aver
può donna al mondo più di buono,
a cui la
castità levata sia?
Mi nuoce,
ahimè! ch'io son giovane, e sono
tenuta bella,
o sia vero o bugia.
Già
non ringrazio il ciel di questo dono;
che di qui
nasce ogni ruina mia:
morto per
questo fu Argalia mio frate,
che poco gli
giovar l'arme incantate:
43
per questo il
re di Tartaria Agricane
disfece il
genitor mio Galafrone,
ch'in India,
del Cataio era gran Cane;
onde io son
giunta a tal condizione,
che muto
albergo da sera a dimane.
Se l'aver, se
l'onor, se le persone
m'hai tolto,
e fatto il mal che far mi puoi,
a che
più doglia anco serbar mi vuoi?
44
Se
l'affogarmi in mar morte non era
a tuo senno
crudel, pur ch'io ti sazi,
non recuso
che mandi alcuna fera
che mi
divori, e non mi tenga in strazi.
D'ogni martir
che sia, pur ch'io ne pera,
esser non
può ch'assai non ti ringrazi. -
Così
dicea la donna con gran pianto,
quando le
apparve l'eremita accanto.
45
Avea mirato
da l'estrema cima
d'un rilevato
sasso l'eremita
Angelica, che
giunta alla parte ima
è
dello scoglio, afflitta e sbigottita.
Era sei
giorni egli venuto prima;
ch'un demonio
il portò per via non trita:
e venne a lei
fingendo divozione
quanta avesse
mai Paulo o Ilarione.
46
Come la donna
il cominciò a vedere,
prese, non
conoscendolo, conforto;
e
cessò a poco a poco il suo temere,
ben che ella
avesse ancora il viso smorto.
Come fu
presso, disse: - Miserere,
padre, di me,
ch'i' son giunta a mal porto. -
E con voce
interrotta dal singulto
gli disse
quel ch'a lui non era occulto.
47
Comincia
l'eremita a confortarla
con alquante
ragion belle e divote;
e pon
l'audaci man, mentre che parla,
or per lo
seno, or per l'umide gote:
poi
più sicuro va per abbracciarla;
ed ella
sdegnosetta lo percuote
con una man
nel petto, e lo rispinge,
e d'onesto
rossor tutta si tinge.
48
Egli,
ch'allato avea una tasca, aprilla,
e trassene
una ampolla di liquore;
e negli occhi
possenti, onde sfavilla
la più
cocente face ch'abbia Amore,
spruzzò
di quel leggiermente una stilla,
che di farla
dormire ebbe valore.
Già
resupina ne l'arena giace
a tutte
voglie del vecchio rapace.
49
Egli
l'abbraccia ed a piacer la tocca
ed ella dorme
e non può fare ischermo.
Or le bacia
il bel petto, ora la bocca;
non è
chi 'l veggia in quel loco aspro ed ermo.
Ma ne
l'incontro il suo destrier trabocca;
ch'al disio
non risponde il corpo infermo:
era mal atto,
perché avea troppi anni;
e
potrà peggio, quanto più l'affanni.
50
Tutte le vie,
tutti li modi tenta,
ma quel pigro
rozzon non però salta.
Indarno il
fren gli scuote, e lo tormenta;
e non
può far che tenga la testa alta.
Al fin presso
alla donna s'addormenta;
e nuova altra
sciagura anco l'assalta:
non comincia
Fortuna mai per poco,
quando un
mortal si piglia a scherno e a gioco.
51
Bisogna,
prima ch'io vi narri il caso,
ch'un poco
dal sentier dritto mi torca.
Nel mar di
tramontana invêr l'occaso,
oltre
l'Irlanda una isola si corca,
Ebuda
nominata; ove è rimaso
il popul
raro, poi che la brutta orca
e l'altro
marin gregge la distrusse,
ch'in sua
vendetta Proteo vi condusse.
52
Narran
l'antique istorie, o vere o false,
che tenne
già quel luogo un re possente,
ch'ebbe una
figlia, in cui bellezza valse
e grazia
sì, che poté facilmente,
poi che
mostrossi in su l'arene salse,
Proteo
lasciare in mezzo l'acque ardente;
e quello, un
dì che sola ritrovolla,
compresse, e
di sé gravida lasciolla.
53
La cosa fu
gravissima e molesta
al padre,
più d'ogn'altro empio e severo:
né per iscusa
o per pietà, la testa
le
perdonò: sì può lo sdegno fiero.
Né per
vederla gravida, si resta
di subito
esequire il crudo impero:
e 'l nipotin
che non avea peccato,
prima fece
morir che fosse nato.
54
Proteo marin,
che pasce il fiero armento
di Nettunno
che l'onda tutta regge,
sente de la
sua donna aspro tormento,
e per
grand'ira, rompe ordine e legge;
sì che
a mandare in terra non è lento
l'orche e le
foche, e tutto il marin gregge,
che
distruggon non sol pecore e buoi,
ma ville e
borghi e li cultori suoi:
55
e spesso
vanno alle città murate,
e
d'ogn'intorno lor mettono assedio.
Notte e
dì stanno le persone armate,
con gran
timore e dispiacevol tedio:
tutte hanno
le campagne abbandonate;
e per
trovarvi al fin qualche rimedio,
andarsi a
consigliar di queste cose
all'oracol,
che lor così rispose:
56
che trovar
bisognava una donzella
che fosse
all'altra di bellezza pare,
ed a Proteo
sdegnato offerir quella,
in cambio de
la morta, in lito al mare.
S'a sua
satisfazion gli parrà bella,
se la
terrà, né li verrà a sturbare:
se per questo
non sta, se gli appresenti
una ed
un'altra, fin che si contenti.
57
E così
cominciò la dura sorte
tra quelle
che più grate eran di faccia,
ch'a Proteo
ciascun giorno una si porte,
fin che
trovino donna che gli piaccia.
La prima e
tutte l'altre ebbero morte;
che tutte
giù pel ventre se le caccia
un'orca, che
restò presso alla foce,
poi che 'l
resto partì del gregge atroce.
58
O vera o
falsa che fosse la cosa
di Proteo
(ch'io non so che me ne dica),
servosse in
quella terra, con tal chiosa,
contra le
donne un'empia lege antica:
che di lor
carne l'orca mostruosa
che viene
ogni dì al lito, si notrica.
Ben ch'esser
donna sia in tutte le bande
danno e
sciagura, quivi era pur grande.
59
Oh misere
donzelle che trasporte
fortuna
ingiuriosa al lito infausto!
dove le genti
stan sul mare accorte
per far de le
straniere empio olocausto;
che, come
più di fuor ne sono morte,
il numer de
le loro è meno esausto:
ma perché il
vento ognor preda non mena,
ricercando ne
van per ogni arena.
60
Van
discorrendo tutta la marina
con fuste e
grippi ed altri legni loro,
e da lontana
parte e da vicina
portan
sollevamento al lor martoro.
Molte donne
han per forza e per rapina,
alcune per
lusinghe, altre per oro;
e sempre da
diverse regioni
n'hanno piene
le torri e le prigioni.
61
Passando una
lor fusta a terra a terra
inanzi a
quella solitaria riva
dove fra
sterpi in su l'erbosa terra
la sfortunata
Angelica dormiva,
smontaro
alquanti galeotti in terra
per
riportarne e legna ed acqua viva;
e di quante
mai fur belle e leggiadre
trovaro il
fiore in braccio al santo padre.
62
Oh troppo
cara, oh troppo eccelsa preda
per sì
barbare genti e sì villane!
Oh Fortuna
crudel, chi fia ch'il creda,
che tanta
forza hai ne le cose umane,
che per cibo
d'un mostro tu conceda
la gran
beltà, ch'in India il re Agricane
fece venir da
le caucasee porte
con mezza
Scizia a guadagnar la morte?
63
La gran
beltà, che fu da Sacripante
posta inanzi
al suo onore e al suo bel regno;
la gran
beltà, ch'al gran signor d'Anglante
macchiò
la chiara fama e l'alto ingegno;
la gran
beltà che fe' tutto Levante
sottosopra
voltarsi e stare al segno,
ora non ha
(così è rimasa sola)
chi le dia
aiuto pur d'una parola.
64
La bella
donna, di gran sonno oppressa,
incatenata fu
prima che desta.
Portaro il
frate incantator con essa
nel legno
pien di turba afflitta e mesta.
La vela, in
cima all'arbore rimessa,
rendé la nave
all'isola funesta,
dove chiuser
la donna in rocca forte,
fin a quel
dì ch'a lei toccò la sorte.
65
Ma poté
sì, per esser tanto bella,
la fiera
gente muovere a pietade,
che molti
dì le differiron quella
morte, e
serbarla a gran necessitade;
e fin
ch'ebber di fuore altra donzella,
perdonaro
all'angelica beltade.
Al mostro fu
condotta finalmente,
piangendo
dietro a lei tutta la gente.
66
Chi
narrerà l'angosce, i pianti, i gridi,
l'alta
querela che nel ciel penetra?
maraviglia ho
che non s'apriro i lidi,
quando fu
posta in su la fredda pietra,
dove in
catena, priva di sussidi,
morte
aspettava abominosa e tetra.
Io nol
dirò; che sì il dolor mi muove,
che mi sforza
voltar le rime altrove,
67
e trovar
versi non tanto lugubri,
fin che 'l
mio spirto stanco si riabbia;
che non
potrian li squalidi colubri,
né l'orba
tigre accesa in maggior rabbia,
né ciò
che da l'Atlante ai liti rubri
venenoso erra
per la calda sabbia,
né veder né
pensar senza cordoglio,
Angelica
legata al nudo scoglio.
68
Oh se
l'avesse il suo Orlando saputo,
ch'era per
ritrovarla ito a Parigi;
o li dui
ch'ingannò quel vecchio astuto
col messo che
venìa dai luoghi stigi!
fra mille
morti, per donarle aiuto,
cercato
avrian gli angelici vestigi:
ma che
fariano, avendone anco spia,
poi che
distanti son di tanta via?
69
Parigi
intanto avea l'assedio intorno
dal famoso
figliuol del re Troiano;
e venne a
tanta estremitade un giorno,
che
n'andò quasi al suo nimico in mano:
e se non che
li voti il ciel placorno,
che
dilagò di pioggia oscura il piano,
cadea quel
dì per l'africana lancia
il santo
Impero e 'l gran nome di Francia.
70
Il sommo
Creator gli occhi rivolse
al giusto
lamentar del vecchio Carlo;
e con subita
pioggia il fuoco tolse:
né forse uman
saper potea smorzarlo.
Savio
chiunque a Dio sempre si volse;
ch'altri non
poté mai meglio aiutarlo.
Ben dal
devoto re fu conosciuto,
che si
salvò per lo divino aiuto.
71
La notte
Orlando alle noiose piume
del veloce
pensier fa parte assai.
Or quinci or
quindi il volta, or lo rassume
tutto in un
loco, e non l'afferma mai:
qual d'acqua
chiara il tremolante lume,
dal sol
percossa o da' notturni rai,
per gli ampli
tetti va con lungo salto
a destra ed a
sinistra, e basso ed alto.
72
La donna sua,
che gli ritorna a mente,
anzi che mai
non era indi partita,
gli raccende
nel core e fa più ardente
la fiamma che
nel dì parea sopita.
Costei venuta
seco era in Ponente
fin dal
Cataio; e qui l'avea smarrita,
né ritrovato
poi vestigio d'ella
che Carlo
rotto fu presso a Bordella.
73
Di questo
Orlando avea gran doglia, e seco
indarno a sua
sciocchezza ripensava.
- Cor mio
(dicea), come vilmente teco
mi son
portato! ohimè, quanto mi grava
che potendoti
aver notte e dì meco,
quando la tua
bontà non mel negava,
t'abbia
lasciato in man di Namo porre,
per non
sapermi a tanta ingiuria opporre!
74
Non aveva
ragione io di scusarme?
e Carlo non
m'avria forse disdetto:
se pur
disdetto, e chi potea sforzarme?
chi ti mi
volea torre al mio dispetto?
non poteva io
venir più tosto all'arme?
lasciar
più tosto trarmi il cor del petto?
Ma né Carlo
né tutta la sua gente
di tormiti
per forza era possente.
75
Almen
l'avesse posta in guardia buona
dentro a
Parigi o in qualche rocca forte.
Che l'abbia
data a Namo mi consona,
sol perché a
perder l'abbia a questa sorte.
Chi la dovea
guardar meglio persona
di me? ch'io
dovea farlo fino a morte;
guardarla
più che 'l cor, che gli occhi miei:
e dovea e potea
farlo, e pur nol fei.
76
Deh, dove
senza me, dolce mia vita,
rimasa sei
sì giovane e sì bella?
come, poi che
la luce è dipartita,
riman tra'
boschi la smarrita agnella,
che dal
pastor sperando esser udita,
si va
lagnando in questa parte e in quella;
tanto che 'l
lupo l'ode da lontano,
e 'l misero
pastor ne piagne invano.
77
Dove,
speranza mia, dove ora sei?
vai tu
soletta forse ancor errando?
o pur t'hanno
trovata i lupi rei
senza la
guardia del tuo fido Orlando?
e il fior
ch'in ciel potea pormi fra i dei,
il fior
ch'intatto io mi venìa serbando
per non
turbarti, ohimè! l'animo casto,
ohimè!
per forza avranno colto e guasto.
78
Oh infelice!
oh misero! che voglio
se non morir,
se 'l mio bel fior colto hanno?
O sommo Dio,
fammi sentir cordoglio
prima
d'ogn'altro, che di questo danno.
Se questo
è ver, con le mie man mi toglio
la vita, e
l'alma disperata danno. -
Così,
piangendo forte e sospirando,
seco dicea
l'addolorato Orlando.
79
Già in
ogni parte gli animanti lassi
davan riposo
ai travagliati spirti,
chi su le
piume, e chi sui duri sassi,
e chi su
l'erbe, e chi su faggi o mirti:
tu le
palpebre, Orlando, a pena abbassi,
punto da'
tuoi pensieri acuti ed irti;
né quel
sì breve e fuggitivo sonno
godere in
pace anco lasciar ti ponno.
80
Parea ad Orlando,
s'una verde riva
d'odoriferi
fior tutta dipinta,
mirare il
bello avorio, e la nativa
purpura
ch'avea Amor di sua man tinta,
e le due
chiare stelle onde nutriva
ne le reti
d'Amor l'anima avinta:
io parlo de'
begli occhi e del bel volto,
che gli hanno
il cor di mezzo il petto tolto.
81
Sentia il
maggior piacer, la maggior festa
che sentir
possa alcun felice amante:
ma ecco
intanto uscire una tempesta
che struggea
i fior, ed abbattea le piante:
non se ne
suol veder simile a questa,
quando
giostra aquilone, austro e levante.
Parea che per
trovar qualche coperto,
andasse
errando invan per un deserto.
82
Intanto
l'infelice (e non sa come)
perde la
donna sua per l'aer fosco;
onde di qua e
di là del suo bel nome
fa risonare
ogni campagna e bosco.
E mentre dice
indarno: - Misero me!
chi ha
cangiata mia dolcezza in tosco? -
ode la donna
sua che gli domanda,
piangendo,
aiuto, e se gli raccomanda.
83
Onde par
ch'esca il grido, va veloce,
e quinci e
quindi s'affatica assai.
Oh quanto
è il suo dolore aspro ed atroce,
che non
può rivedere i dolci rai!
Ecco
ch'altronde ode da un'altra voce:
- Non sperar
più gioirne in terra mai. -
A questo
orribil grido risvegliossi,
e tutto pien
di lacrime trovossi.
84
Senza pensar
che sian l'immagin false
quando per
tema o per disio si sogna,
de la
donzella per modo gli calse,
che
stimò giunta a danno od a vergogna,
che
fulminando fuor del letto salse.
Di piastra e
maglia, quanto gli bisogna,
tutto
guarnissi, e Brigliadoro tolse;
né di
scudiero alcun servigio volse.
85
E per poter
entrare ogni sentiero,
che la sua
dignità macchia non pigli,
non l'onorata
insegna del quartiero,
distinta di
color bianchi e vermigli,
ma portar
volse un ornamento nero;
e forse
acciò ch'al suo dolor simigli:
e quello avea
già tolto a uno amostante,
ch'uccise di
sua man pochi anni inante.
86
Da mezza
notte tacito si parte,
e non saluta
e non fa motto al zio;
né al fido
suo compagno Brandimarte,
che tanto
amar solea, pur dice a Dio.
Ma poi che 'l
Sol con l'auree chiome sparte
del ricco
albergo di Titone uscìo
e fe' l'ombra
fugire umida e nera,
s'avide il re
che 'l paladin non v'era.
87
Con suo gran
dispiacer s'avede Carlo
che partito
la notte è 'l suo nipote,
quando esser
dovea seco e più aiutarlo;
e ritener la
colera non puote,
ch'a
lamentarsi d'esso, ed a gravarlo
non incominci
di biasmevol note:
e minacciar,
se non ritorna, e dire
che lo faria
di tanto error pentire.
88
Brandimarte,
ch'Orlando amava a pare
di sé
medesmo, non fece soggiorno;
o che
sperasse farlo ritornare,
o sdegno
avesse udirne biasmo e scorno;
e volse a
pena tanto dimorare,
ch'uscisse
fuor ne l'oscurar del giorno.
A Fiordiligi
sua nulla ne disse,
perché 'l
disegno suo non gl'impedisse.
89
Era questa
una donna che fu molto
da lui
diletta, e ne fu raro senza;
di costumi,
di grazia e di bel volto
dotata e
d'accortezza e di prudenza:
e se licenza
or non n'aveva tolto,
fu che
sperò tornarle alla presenza
il dì
medesmo; ma gli accadde poi,
che lo
tardò più dei disegni suoi.
90
E poi ch'ella
aspettato quasi un mese
indarno
l'ebbe, e che tornar nol vide,
di desiderio
sì di lui s'accese,
che si
partì senza compagni o guide;
e cercandone
andò molto paese,
come
l'istoria al luogo suo dicide.
Di questi dua
non vi dico or più inante;
che
più m'importa il cavallier d'Anglante.
91
Il qual, poi
che mutato ebbe d'Almonte
le gloriose
insegne, andò alla porta,
e disse ne
l'orecchio: - Io sono il conte -
a un capitan
che vi facea la scorta;
e fattosi
abassar subito il ponte,
per quella
strada che più breve porta
agl'inimici,
se n'andò diritto.
Quel che
seguì, ne l'altro canto è scritto.
1
Che non
può far d'un cor ch'abbia suggetto
questo
crudele e traditore Amore,
poi ch'ad
Orlando può levar del petto
la tanta fe'
che debbe al suo Signore?
Già
savio e pieno fu d'ogni rispetto,
e de la santa
Chiesa difensore;
or per un
vano amor, poco del zio,
e di sé poco,
e men cura di Dio.
2
Ma l'escuso
io pur troppo, e mi rallegro
nel mio
difetto aver compagno tale;
ch'anch'io
sono al mio ben languido ed egro,
sano e
gagliardo a seguitare il male.
Quel se ne va
tutto vestito a negro,
né tanti
amici abandonar gli cale;
e passa dove
d'Africa e di Spagna
la gente era
attendata alla campagna:
3
anzi non
attendata, perché sotto
alberi e
tetti l'ha sparsa la pioggia
a dieci, a
venti, a quattro, a sette, ad otto;
chi
più distante e chi più presso alloggia.
Ognuno dorme
travagliato e rotto:
chi steso in
terra, e chi alla man s'appoggia.
Dormono; e il
conte uccider ne può assai:
né
però stringe Durindana mai.
4
Di tanto core
è il generoso Orlando,
che non degna
ferir gente che dorma.
Or questo, e
quando quel luogo cercando
va, per
trovar de la sua donna l'orma.
Se truova
alcun che veggi, sospirando
gli ne
dipinge l'abito e la forma;
e poi lo
priega che per cortesia
gl'insegni
andar in parte ove ella sia.
5
E poi che
venne il dì chiaro e lucente,
tutto
cercò l'esercito moresco:
e ben lo
potea far sicuramente,
avendo
indosso l'abito arabesco;
ed aiutollo
in questo parimente,
che sapeva
altro idioma che francesco,
e l'africano
tanto avea espedito,
che parea
nato a Tripoli e nutrito.
6
Quivi il
tutto cercò, dove dimora
fece tre
giorni, e non per altro effetto;
poi dentro
alle cittadi e a' borghi fuora
non
spiò sol per Francia e suo distretto,
ma per
Uvernia e per Guascogna ancora
rivide sin
all'ultimo borghetto:
e
cercò da Provenza alla Bretagna,
e dai Picardi
ai termini di Spagna.
7
Tra il fin
d'ottobre e il capo di novembre,
ne la stagion
che la frondosa vesta
vede levarsi
e discoprir le membre
trepida
pianta, fin che nuda resta,
e van gli
augelli a strette schiere insembre,
Orlando
entrò ne l'amorosa inchiesta;
né tutto il
verno appresso lasciò quella,
né la
lasciò ne la stagion novella.
8
Passando un
giorno, come avea costume,
d'un paese in
un altro, arrivò dove
parte i
Normandi dai Bretoni un fiume,
e verso il
vicin mar cheto si muove;
ch'allora
gonfio e bianco già di spume
per nieve
sciolta e per montane piove:
e l'impeto de
l'acqua avea disciolto
e tratto seco
il ponte, e il passo tolto.
9
Con gli occhi
cerca or questo lato or quello,
lungo le ripe
il paladin, se vede
(quando né
pesce egli non è, né augello)
come abbia a
por ne l'altra ripa il piede:
ed ecco a sé
venir vede un battello,
ne la cui
poppa una donzella siede,
che di volere
a lui venir fa segno;
né lascia poi
ch'arrivi in terra il legno.
10
Prora in
terra non pon; ché d'esser carca
contra sua
volontà forse sospetta.
Orlando
priega lei che ne la barca
seco lo
tolga, ed oltre il fiume il metta.
Ed ella lui:
- Qui cavallier non varca,
il qual su la
sua fé non mi prometta
di fare una
battaglia a mia richiesta,
la più
giusta del mondo e la più onesta.
11
Sì che
s'avete, cavallier, desire
di por per me
ne l'altra ripa i passi,
promettetemi,
prima che finire
quest'altro
mese prossimo si lassi,
ch'al re
d'Ibernia v'anderete a unire,
appresso al
qual la bella armata fassi
per
distrugger quell'isola d'Ebuda,
che, di
quante il mar cinge, è la più cruda.
12
Voi dovete
saper ch'oltre l'Irlanda,
fra molte che
vi son, l'isola giace
nomata Ebuda,
che per legge manda
rubando
intorno il suo popul rapace;
e quante
donne può pigliar, vivanda
tutte destina
a un animal vorace,
che viene
ogni dì al lito, e sempre nuova
donna o
donzella, onde si pasca, truova;
13
che mercanti
e corsar che vanno attorno,
ve ne fan
copia, e più de le più belle.
Ben potete
contare, una per giorno,
quante morte
vi sian donne e donzelle.
Ma se pietade
in voi truova soggiorno,
se non sete
d'Amor tutto ribelle,
siate
contento esser tra questi eletto,
che van per
far sì fruttuoso effetto. -
14
Orlando volse
a pena udire il tutto,
che
giurò d'esser primo a quella impresa,
come quel
ch'alcun atto iniquo e brutto
non
può sentire, e d'ascoltar gli pesa:
e fu a
pensare, indi a temere indutto,
che quella
gente Angelica abbia presa;
poi che
cercata l'ha per tanta via,
né potutone
ancor ritrovar spia.
15
Questa
imaginazion sì gli confuse
e sì
gli tolse ogni primier disegno,
che, quanto
in fretta più potea, conchiuse
di navigare a
quello iniquo regno.
Né prima
l'altro sol nel mar si chiuse,
che presso a
San Malò ritrovò un legno,
nel qual si
pose; e fatto alzar le vele,
passò
la notte il monte San Michele.
16
Breaco e
Landriglier lascia a man manca,
e va radendo
il gran lito britone;
e poi si
drizza invêr l'arena bianca,
onde
Ingleterra si nomò Albione;
ma il vento,
ch'era da meriggie, manca,
e soffia tra
il ponente e l'aquilone
con tanta
forza, che fa al basso porre
tutte le
vele, e sé per poppa torre.
17
Quanto il
navilio inanzi era venuto
in quattro
giorni, in un ritornò indietro,
ne l'alto mar
dal buon nochier tenuto,
che non dia
in terra e sembri un fragil vetro.
Il vento, poi
che furioso suto
fu quattro
giorni, il quinto cangiò metro:
lasciò
senza contrasto il legno entrare
dove il fiume
d'Anversa ha foce in mare.
18
Tosto che ne
la foce entrò lo stanco
nochier col
legno afflitto, e il lito prese,
fuor d'una
terra che sul destro fianco
di quel fiume
sedeva, un vecchio scese,
di molta
età, per quanto il crine bianco
ne dava
indicio; il qual tutto cortese,
dopo i
saluti, al conte rivoltosse,
che capo
giudicò che di lor fosse.
19
E da parte il
pregò d'una donzella,
ch'a lei
venir non gli paresse grave,
la qual
ritroverebbe, oltre che bella,
più
ch'altra al mondo affabile e soave;
over fosse
contento aspettar ch'ella
verrebbe a
trovar lui fin alla nave:
né più
restio volesse esser di quanti
quivi eran
giunti cavallieri erranti;
20
che nessun
altro cavallier, ch'arriva
o per terra o
per mare a questa foce,
di ragionar
con la donzella schiva,
per
consigliarla in un suo caso atroce.
Udito questo,
Orlando in su la riva
senza punto
indugiarsi uscì veloce;
e come umano
e pien di cortesia,
dove il
vecchio il menò, prese la via.
21
Fu ne la
terra il paladin condutto
dentro un palazzo,
ove al salir le scale,
una donna
trovò piena di lutto,
per quanto il
viso ne facea segnale,
e i negri
panni che coprian per tutto
e le logge e
le camere e le sale;
la qual, dopo
accoglienza grata e onesta
fattol seder,
gli disse in voce mesta:
22
- Io voglio
che sappiate che figliuola
fui del conte
d'Olanda, a lui sì grata
(quantunque
prole io non gli fossi sola,
ch'era da dui
fratelli accompagnata),
ch'a quanto
io gli chiedea, da lui parola
contraria non
mi fu mai replicata.
Standomi
lieta in questo stato, avenne
che ne la
nostra terra un duca venne.
23
Duca era di
Selandia, e se ne giva
verso
Biscaglia a guerreggiar coi Mori.
La bellezza e
l'età ch'in lui fioriva,
e li non
più da me sentiti amori
con poca
guerra me gli fer captiva;
tanto
più che, per quel ch'apparea fuori,
io credea e
credo, e creder credo il vero,
ch'amasse ed
ami me con cor sincero.
24
Quei giorni
che con noi contrario vento,
contrario
agli altri, a me propizio, il tenne
(ch'agli
altri fur quaranta, a me un momento;
così
al fuggire ebbon veloci penne),
fummo
più volte insieme a parlamento,
dove, che 'l
matrimonio con solenne
rito al
ritorno suo saria tra nui
mi promise
egli, ed io 'l promisi a lui.
25
Bireno a pena
era da noi partito
(che
così ha nome il mio fedele amante),
che 'l re di
Frisa (la qual, quanto il lito
del mar
divide il fiume, è a noi distante),
disegnando il
figliuol farmi marito,
ch'unico al
mondo avea, nomato Arbante,
per li
più degni del suo stato manda
a domandarmi
al mio padre in Olanda.
26
Io ch'all'amante
mio di quella fede
mancar non
posso, che gli aveva data,
e anco ch'io
possa. Amor non mi conciede
che poter
voglia, e ch'io sia tanto ingrata;
per ruinar la
pratica ch'in piede
era
gagliarda, e presso al fin guidata,
dico a mio
padre, che prima ch'in Frisa
mi dia
marito, io voglio essere uccisa.
27
Il mio buon
padre, al qual sol piacea quanto
a me piacea,
né mai turbar mi volse,
per
consolarmi e far cessare il pianto
ch'io ne
facea, la pratica disciolse:
di che il
superbo re di Frisa tanto
isdegno prese
e a tanto odio si volse,
ch'entrò
in Olanda, e cominciò la guerra
che tutto il
sangue mio cacciò sotterra.
28
Oltre che sia
robusto, e sì possente,
che pochi
pari a nostra età ritruova,
e sì
astuto in mal far, ch'altrui niente
la possanza,
l'ardir, l'ingegno giova;
porta
alcun'arme che l'antica gente
non vide mai,
né fuor ch'a lui, la nuova:
un ferro
bugio, lungo da dua braccia,
dentro a cui
polve ed una palla caccia.
29
Col fuoco
dietro ove la canna è chiusa,
tocca un
spiraglio che si vede a pena;
a guisa che
toccare il medico usa
dove è
bisogno d'allacciar la vena:
onde vien con
tal suon la palla esclusa,
che si
può dir che tuona e che balena;
né men che
soglia il fulmine ove passa,
ciò
che tocca, arde, abatte, apre e fracassa.
30
Pose due
volte il nostro campo in rotta
con questo
inganno, e i miei fratelli uccise:
nel primo
assalto il primo; che la botta,
rotto
l'usbergo, in mezzo il cor gli mise;
ne l'altra
zuffa a l'altro, il quale in frotta
fuggìa,
dal corpo l'anima divise;
e lo
ferì lontan dietro la spalla,
e fuor del
petto uscir fece la palla.
31
Difendendosi
poi mio padre un giorno
dentro un
castel che sol gli era rimaso,
che tutto il
resto avea perduto intorno,
lo fe' con
simil colpo ire all'occaso;
che mentre
andava e che facea ritorno,
provedendo or
a questo or a quel caso,
dal traditor
fu in mezzo gli occhi colto,
che l'avea di
lontan di mira tolto.
32
Morto i
fratelli e il padre, e rimasa io
de l'isola
d'Olanda unica erede,
il re di
Frisa, perché avea disio
di ben
fermare in quello stato il piede,
mi fa sapere,
e così al popul mio,
che pace e
che riposo mi conciede,
quando io
vogli or, quel che non volsi inante,
tor per
marito il suo figliuolo Arbante.
33
Io per l'odio
non sì, che grave porto
a lui e a
tutta la sua iniqua schiatta,
il qual m'ha
dui fratelli e 'l padre morto,
saccheggiata
la patria, arsa e disfatta;
come perché a
colui non vo' far torto,
a cui
già la promessa aveva fatta,
ch'altr'uomo
non saria che mi sposasse,
fin che di
Spagna a me non ritornasse:
34
- Per un mal
ch'io patisco, ne vo' cento
patir
(rispondo), e far di tutto il resto;
esser morta,
arsa viva, e che sia al vento
la cener
sparsa, inanzi che far questo. -
Studia la
gente mia di questo intento
tormi: chi
priega, e chi mi fa protesto
di dargli in
mano me e la terra, prima
che la mia
ostinazion tutti ci opprima.
35
Così,
poi che i protesti e i prieghi invano
vider
gittarsi, e che pur stava dura,
presero
accordo col Frisone, e in mano,
come avean
detto, gli dier me e le mura.
Quel, senza
farmi alcuno atto villano,
de la vita e
del regno m'assicura,
pur ch'io
indolcisca l'indurate voglie,
e che
d'Arbante suo mi faccia moglie.
36
Io che
sforzar così mi veggio, voglio,
per uscirgli
di man, perder la vita;
ma se pria
non mi vendico, mi doglio
più
che di quanta ingiuria abbia patita.
Fo pensier
molti; e veggio al mio cordoglio
che solo il
simular può dare aita:
fingo ch'io
brami, non che non mi piaccia,
che mi
perdoni e sua nuora mi faccia.
37
Fra molti
ch'al servizio erano stati
già di
mio padre, io scelgo dui fratelli,
di grande
ingegno e di gran cor dotati,
ma più
di vera fede, come quelli
che
cresciutici in corte ed allevati
si son con
noi da teneri citelli;
e tanto miei,
che poco lor parria
la vita por per
la salute mia.
38
Communico con
loro il mio disegno:
essi
prometton d'essermi in aiuto.
L'un viene in
Fiandra, e v'apparecchia un legno;
l'altro meco
in Olanda ho ritenuto.
Or mentre i
forestieri e quei del regno
s'invitano
alle nozze, fu saputo
che Bireno in
Biscaglia avea una armata,
per venire in
Olanda, apparecchiata.
39
Però
che, fatta la prima battaglia
dove fu rotto
un mio fratello e ucciso,
spacciar
tosto un corrier feci in Biscaglia,
che portassi
a Bireno il tristo aviso;
il qual
mentre che s'arma e si travaglia,
dal re di
Frisa il resto fu conquiso.
Bireno, che
di ciò nulla sapea,
per darci
aiuto i legni sciolti avea.
40
Di questo
avuto aviso il re frisone,
de le nozze
al figliuol la cura lassa;
e con
l'armata sua nel mar si pone:
truova il
duca, lo rompe, arde e fracassa,
e, come vuol
Fortuna, il fa prigione;
ma di
ciò ancor la nuova a noi non passa.
Mi sposa
intanto il giovene, e si vuole
meco corcar
come si corchi il sole.
41
Io dietro
alle cortine avea nascoso
quel mio
fedele; il qual nulla si mosse
prima che a
me venir vide lo sposo;
e non
l'attese che corcato fosse,
ch'alzò
un'accetta, e con sì valoroso
braccio
dietro nel capo lo percosse,
che gli
levò la vita e la parola:
io saltai
presta, e gli segai la gola.
42
Come cadere
il bue suole al macello,
cade il
malnato giovene, in dispetto
del re
Cimosco, il più d'ogn'altro fello;
che l'empio
re di Frisa è così detto,
che morto
l'uno e l'altro mio fratello
m'avea col
padre, e per meglio suggetto
farsi il mio
stato, mi volea per nuora;
e forse un
giorno uccisa avria me ancora.
43
Prima
ch'altro disturbo vi si metta,
tolto quel
che più vale e meno pesa,
il mio
compagno al mar mi cala in fretta
da la
finestra a un canape sospesa,
là
dove attento il suo fratello aspetta
sopra la
barca ch'avea in Fiandra presa.
Demmo le vele
ai venti e i remi all'acque,
e tutti ci
salvian, come a Dio piacque.
44
Non so se 'l
re di Frisa più dolente
del figliuol
morto, o se più d'ira acceso
fosse contra
di me, che 'l dì seguente
giunse
là dove si trovò sì offeso.
Superbo
ritornava egli e sua gente
de la
vittoria e di Bireno preso;
e credendo
venire a nozze e a festa,
ogni cosa
trovò scura e funesta.
45
La
pietà del figliuol, l'odio ch'aveva
a me, né
dì né notte il lascia mai.
Ma perché il
pianger morti non rileva,
e la vendetta
sfoga l'odio assai,
la parte del
pensier, ch'esser doveva
de la pietade
in sospirare e in guai,
vuol che con
l'odio a investigar s'unisca,
come egli
m'abbia in mano e mi punisca.
46
Quei tutti
che sapeva e gli era detto
che mi
fossino amici, o di quei miei
che m'aveano
aiutata a far l'effetto,
uccise, o lor
beni arse, o li fe' rei.
Volse uccider
Bireno in mio dispetto;
che d'altro
sì doler non mi potrei:
gli parve
poi, se vivo lo tenesse,
che per
pigliarmi, in man la rete avesse.
47
Ma gli
propone una crudele e dura
condizion:
gli fa termine un anno,
al fin del
qual gli darà morte oscura,
se prima egli
per forza o per inganno,
con amici e
parenti non procura,
con tutto
ciò che ponno e ciò che sanno,
di darmigli
in prigion: sì che la via
di lui
salvare è sol la morte mia.
48
Ciò
che si possa far per sua salute,
fuor che
perder me stessa, il tutto ho fatto.
Sei castella
ebbi in Fiandra, e l'ho vendute:
e 'l poco o
'l molto prezzo ch'io n'ho tratto,
parte,
tentando per persone astute
i guardiani
corrumpere, ho distratto;
e parte, per
far muovere alli danni
di
quell'empio or gl'Inglesi, or gli Alamanni.
49
I mezzi, o
che non abbiano potuto,
o che non
abbian fatto il dover loro,
m'hanno dato
parole e non aiuto;
e sprezzano
or che n'han cavato l'oro:
e presso al
fine il termine è venuto,
dopo il qual
né la forza né 'l tesoro
potrà
giunger più a tempo, sì che morte
e strazio
schivi al mio caro consorte.
50
Mio padre e'
miei fratelli mi son stati
morti per lui;
per lui toltomi il regno;
per lui quei
pochi beni che restati
m'eran, del
viver mio soli sostegno,
per trarlo di
prigione ho disipati:
né mi resta
ora in che più far disegno,
se non
d'andarmi io stessa in mano a porre
di sì
crudel nimico, e lui disciorre.
51
Se dunque da
far altro non mi resta,
né si truova
al suo scampo altro riparo
che per lui
por questa mia vita, questa
mia vita per
lui por mi sarà caro.
Ma sola una
paura mi molesta,
che non
saprò far patto così chiaro,
che
m'assicuri che non sia il tiranno,
poi ch'avuta
m'avrà, per fare inganno.
52
Io dubito che
poi che m'avrà in gabbia
e fatto
avrà di me tutti li strazi,
né Bireno per
questo a lasciare abbia,
sì
ch'esser per me sciolto mi ringrazi;
come periuro,
e pien di tanta rabbia,
che di me
sola uccider non si sazi:
e quel
ch'avrà di me, né più né meno
faccia di poi
del misero Bireno.
53
Or la cagion
che conferir con voi
mi fa i miei
casi, e ch'io li dico a quanti
signori e
cavallier vengono a noi,
è solo
acciò, parlandone con tanti,
m'insegni
alcun d'assicurar che, poi
ch'a quel
crudel mi sia condotta avanti,
non abbia a
ritener Bireno ancora,
né voglia,
morta me, ch'esso poi mora.
54
Pregato ho
alcun guerrier, che meco sia
quando io mi
darò in mano al re di Frisa;
ma mi
prometta e la sua fe' mi dia,
che questo
cambio sarà fatto in guisa,
ch'a un tempo
io data, e liberato fia
Bireno:
sì che quando io sarò uccisa,
morrò
contenta, poi che la mia morte
avrà
dato la vita al mio consorte.
55
Né fino a
questo dì truovo chi toglia
sopra la fede
sua d'assicurarmi,
che quando io
sia condotta, e che mi voglia
aver quel re,
senza Bireno darmi,
egli non
lascierà contra mia voglia
che presa io
sia: sì teme ognun quell'armi;
teme
quell'armi, a cui par che non possa
star piastra
incontra, e sia quanto vuol grossa.
56
Or, s'in voi
la virtù non è diforme
dal fier
sembiante e da l'erculeo aspetto,
e credete
poter darmegli, e torme
anco da lui,
quando non vada retto;
siate
contento d'esser meco a porme
ne le man
sue: ch'io non avrò sospetto,
quando voi
siate meco, se ben io
poi ne
morrò, che muora il signor mio. -
57
Qui la
donzella il suo parlar conchiuse,
che con
pianto e sospir spesso interroppe.
Orlando, poi
ch'ella la bocca chiuse,
le cui voglie
al ben far mai non fur zoppe,
in parole con
lei non si diffuse;
che di natura
non usava troppe:
ma le
promise, e la sua fé le diede,
che
farìa più di quel ch'ella gli chiede.
58
Non è
sua intenzion ch'ella in man vada
del suo
nimico per salvar Bireno:
ben salverà
amendui, se la sua spada
e l'usato
valor non gli vien meno.
Il medesimo
dì piglian la strada,
poi c'hanno
il vento prospero e sereno.
Il paladin
s'affretta; che di gire
all'isola del
mostro avea desire.
59
Or volta
all'una, or volta all'altra banda
per gli alti
stagni il buon nochier la vela:
scuopre
un'isola e un'altra di Zilanda;
scuopre una
inanzi, e un'altra a dietro cela.
Orlando
smonta il terzo dì in Olanda;
ma non smonta
colei che si querela
del re di
Frisa: Orlando vuol che intenda
la morte di
quel rio, prima che scenda.
60
Nel lito
armato il paladino varca
sopra un
corsier di pel tra bigio e nero,
nutrito in
Fiandra e nato in Danismarca,
grande e
possente assai più che leggiero;
però
ch'avea, quando si messe in barca,
in Bretagna lasciato
il suo destriero,
quel
Brigliador sì bello e sì gagliardo,
che non ha
paragon, fuor che Baiardo.
61
Giunge
Orlando a Dordreche, e quivi truova
di molta
gente armata in su la porta;
sì
perché sempre, ma più quando è nuova,
seco ogni
signoria sospetto porta;
sì
perché dianzi giunta era una nuova,
che di
Selandia con armata scorta
di navili e
di gente un cugin viene
di quel
signor che qui prigion si tiene.
62
Orlando prega
uno di lor, che vada
e dica al re,
ch'un cavalliero errante
disia con lui
provarsi a lancia e a spada;
ma che vuol
che tra lor sia patto inante:
che se 'l re
fa che, chi lo sfida, cada,
la donna
abbia d'aver, ch'uccise Arbante;
che 'l
cavallier l'ha in loco non lontano
da poter
sempremai darglila in mano;
63
ed all'incontro
vuol che 'l re prometta,
ch'ove egli
vinto ne la pugna sia,
Bireno in
libertà subito metta,
e che lo
lasci andare alla sua via.
Il fante al
re fa l'ambasciata in fretta:
ma quel, che
né virtù né cortesia
conobbe mai,
drizzò tutto il suo intento
alla fraude,
all'inganno, al tradimento.
64
Gli par
ch'avendo in mano il cavalliero,
avrà
la donna ancor, che sì l'ha offeso,
s'in possanza
di lui la donna è vero
che si
ritruovi, e il fante ha ben inteso.
Trenta uomini
pigliar fece sentiero
diverso da la
porta ov'era atteso,
che dopo
occulto ed assai lungo giro,
dietro alle
spalle al paladino usciro.
65
Il traditore
intanto dar parole
fatto gli
avea, sin che i cavalli e i fanti
vede esser
giunti al loco ove gli vuole;
da la porta
esce poi con altretanti.
Come le fere
e il bosco cinger suole
perito
cacciator da tutti i canti;
come appresso
a Volana i pesci e l'onda
con lunga
rete il pescator circonda:
66
così
per ogni via dal re di Frisa,
che quel
guerrier non fugga, si provede.
Vivo lo
vuole, e non in altra guisa:
e questo far
sì facilmente crede,
che 'l
fulmine terrestre, con che uccisa
ha tanta e
tanta gente, ora non chiede;
che quivi non
gli par che si convegna,
dove pigliar,
non far morir, disegna.
67
Qual cauto
ucellator che serba vivi,
intento a maggior
preda, i primi augelli,
acciò
in più quantitade altri captivi
faccia col
giuoco e col zimbel di quelli:
tal esser
volse il re Cimosco quivi:
ma già
non volse Orlando esser di quelli
che si lascin
pigliar al primo tratto;
e tosto roppe
il cerchio ch'avean fatto.
68
Il cavallier
d'Anglante, ove più spesse
vide le genti
e l'arme, abbassò l'asta;
ed uno in
quella e poscia un altro messe,
e un altro e
un altro, che sembrar di pasta;
e fin a sei
ve n'infilzò, e li resse
tutti una
lancia: e perch'ella non basta
a più
capir, lasciò il settimo fuore
ferito
sì, che di quel colpo muore.
69
Non
altrimente ne l'estrema arena
veggiàn
le rane de canali e fosse
dal cauto
arcier nei fianchi e ne la schiena,
l'una vicina
all'altra, esser percosse;
né da la
freccia, fin che tutta piena
non sia da un
capo all'altro, esser rimosse.
La grave
lancia Orlando da sé scaglia,
e con la
spada entrò ne la battaglia.
70
Rotta la
lancia, quella spada strinse,
quella che
mai non fu menata in fallo;
e ad ogni
colpo, o taglio o punta, estinse
quando uomo a
piedi, e quando uomo a cavallo:
dove
toccò, sempre in vermiglio tinse
l'azzurro, il
verde, il bianco, il nero, il giallo.
Duolsi
Cimosco che la canna e il fuoco
seco or non
ha, quando v'avrian più loco.
71
E con gran
voce e con minacce chiede
che portati
gli sian, ma poco è udito;
che chi ha
ritratto a salvamento il piede
ne la
città, non è d'uscir più ardito.
Il re frison,
che fuggir gli altri vede,
d'esser salvo
egli ancor piglia partito:
corre alla
porta, e vuole alzare il ponte,
ma troppo
è presto ad arrivare il conte.
72
Il re volta
le spalle, e signor lassa
del ponte
Orlando e d'amendue le porte;
e fugge, e
inanzi a tutti gli altri passa,
mercé che 'l
suo destrier corre più forte.
Non mira Orlando
a quella plebe bassa:
vuole il
fellon, non gli altri, porre a morte;
ma il suo
destrier sì al corso poco vale,
che restio
sembra, e chi fugge, abbia l'ale.
73
D'una in
un'altra via si leva ratto
di vista al
paladin; ma indugia poco,
che torna con
nuove armi; che s'ha fatto
portare
intanto il cavo ferro e il fuoco:
e dietro un
canto postosi di piatto,
l'attende,
come il cacciatore al loco,
coi cani
armati e con lo spiedo, attende
il fier
cingial che ruinoso scende;
74
che spezza i rami
e fa cadere i sassi,
e ovunque
drizzi l'orgogliosa fronte,
sembra a
tanto rumor che si fracassi
la selva
intorno, e che si svella il monte.
Sta Cimosco
alla posta, acciò non passi
senza
pagargli il fio l'audace conte:
tosto
ch'appare, allo spiraglio tocca
col fuoco il
ferro, e quel subito scocca.
75
Dietro
lampeggia a guisa di baleno,
dinanzi
scoppia, e manda in aria il tuono.
Trieman le
mura, e sotto i piè il terreno;
il ciel
ribomba al paventoso suono.
L'ardente
stral, che spezza e venir meno
fa ciò
ch'incontra, e dà a nessun perdono,
sibila e
stride; ma, come è il desire
di quel
brutto assassin, non va a ferire.
76
O sia la
fretta, o sia la troppa voglia
d'uccider
quel baron, ch'errar lo faccia;
o sia che il
cor, tremando come foglia,
faccia insieme
tremare e mani e braccia;
o la
bontà divina che non voglia
che 'l suo
fedel campion sì tosto giaccia:
quel colpo al
ventre del destrier si torse;
lo
cacciò in terra, onde mai più non sorse.
77
Cade a terra
il cavallo e il cavalliero:
la preme
l'un, la tocca l'altro a pena;
che si leva
sì destro e sì leggiero,
come
cresciuto gli sia possa e lena.
Quale il
libico Anteo sempre più fiero
surger solea
da la percossa arena,
tal surger
parve, e che la forza, quando
toccò
il terren, si radoppiasse a Orlando.
78
Chi vide mai
dal ciel cadere il foco
che con
sì orrendo suon Giove disserra,
e penetrare
ove un richiuso loco
carbon con
zolfo e con salnitro serra;
ch'a pena
arriva, a pena tocca un poco,
che par
ch'avampi il ciel, non che la terra;
spezza le
mura, e i gravi marmi svelle,
e fa i sassi
volar sin alle stelle;
79
s'imagini che
tal, poi che cadendo
toccò
la terra, il paladino fosse:
con sì
fiero sembiante aspro ed orrendo,
da far tremar
nel ciel Marte, si mosse.
Di che
smarrito il re frison, torcendo
la briglia
indietro, per fuggir voltosse;
ma gli fu
dietro Orlando con più fretta,
che non esce
da l'arco una saetta:
80
e quel che
non avea potuto prima
fare a
cavallo, or farà essendo a piede.
Lo seguita
sì ratto, ch'ogni stima
di chi nol
vide, ogni credenza eccede.
Lo giunse in
poca strada; ed alla cima
de l'elmo
alza la spada, e sì lo fiede,
che gli parte
la testa fin al collo,
e in terra il
manda a dar l'ultimo crollo.
81
Ecco levar ne
la città si sente
nuovo rumor,
nuovo menar di spade;
che 'l cugin
di Bireno con la gente
ch'avea
condutta da le sue contrade,
poi che la
porta ritrovò patente,
era venuto
dentro alla cittade,
dal paladino
in tal timor ridutta,
che senza
intoppo la può scorrer tutta.
82
Fugge il populo
in rotta, che non scorge
chi questa
gente sia, né che domandi;
ma poi ch'uno
ed un altro pur s'accorge
all'abito e
al parlar, che son Selandi,
chiede lor
pace, e il foglio bianco porge;
e dice al
capitan che gli comandi,
e dar gli
vuol contro i Frisoni aiuto,
che 'l suo
duca in prigion gli han ritenuto.
83
Quel popul
sempre stato era nimico
del re di
Frisa e d'ogni suo seguace,
perché morto
gli avea il signore antico,
ma più
perch'era ingiusto, empio e rapace.
Orlando s'interpose
come amico
d'ambe le
parti, e fece lor far pace;
le quali
unite, non lasciar Frisone
che non
morisse o non fosse prigione.
84
Le porte de
le carceri gittate
a terra sono,
e non si cerca chiave.
Bireno al
conte con parole grate
mostra
conoscer l'obligo che gli have.
Indi insieme
e con molte altre brigate
se ne vanno
ove attende Olimpia in nave:
così
la donna, a cui di ragion spetta
il dominio de
l'isola, era detta;
85
quella che
quivi Orlando avea condutto
non con
pensier che far dovesse tanto;
che la parea
bastar, che posta in lutto
sol lei, lo
sposo avesse a trar di pianto.
Lei riverisce
e onora il popul tutto.
Lungo sarebbe
a ricontarvi quanto
lei Bireno
accarezzi, ed ella lui;
quai grazie
al conte rendano ambidui.
86
Il popul la
donzella nel paterno
seggio
rimette, e fedeltà le giura.
Ella a
Bireno, a cui con nodo eterno
la
legò Amor d'una catena dura,
de lo stato e
di sé dona il governo.
Ed egli
tratto poi da un'altra cura,
de le
fortezze e di tutto il domìno
de l'isola
guardian lascia il cugino;
87
che tornare
in Selandia avea disegno,
e menar seco
la fedel consorte:
e dicea voler
fare indi nel regno
di Frisa
esperienza di sua sorte;
perché di
ciò l'assicurava un pegno
ch'egli aveva
in mano, e lo stimava forte:
la figliuola
del re, che fra i captivi,
che vi fur
molti, avea trovata quivi.
88
E dice
ch'egli vuol ch'un suo germano,
ch'era minor
d'età, l'abbia per moglie.
Quindi si
parte il senator romano
il dì
medesmo che Bireno scioglie.
Non volse
porre ad altra cosa mano,
fra tante e
tante guadagnate spoglie,
se non a quel
tormento ch'abbiàn detto
ch'al fulmine
assimiglia in ogni effetto.
89
L'intenzion
non già, perché lo tolle,
fu per voglia
d'usarlo in sua difesa;
che sempre
atto stimò d'animo molle
gir con
vantaggio in qualsivoglia impresa:
ma per
gittarlo in parte, onde non volle
che mai
potesse ad uomo più fare offesa:
e la polve e
le palle e tutto il resto
seco
portò, ch'apparteneva a questo.
90
E
così, poi che fuor de la marea
nel
più profondo mar si vide uscito,
sì che
segno lontan non si vedea
del destro
più né del sinistro lito;
lo tolse, e
disse: - Acciò più non istea
mai cavallier
per te d'esser ardito,
né quanto il
buono val, mai più si vanti
il rio per te
valer, qui giù rimanti.
91
O maladetto,
o abominoso ordigno,
che fabricato
nel tartareo fondo
fosti per man
di Belzebù maligno
che ruinar
per te disegnò il mondo,
all'inferno,
onde uscisti, ti rasigno. -
Così
dicendo, lo gittò in profondo.
Il vento
intanto le gonfiate vele
spinge alla
via de l'isola crudele.
92
Tanto desire
il paladino preme
di saper se
la donna ivi si truova,
ch'ama assai
più che tutto il mondo insieme,
né un'ora
senza lei viver gli giova;
che s'in
Ibernia mette il piede, teme
di non dar
tempo a qualche cosa nuova,
sì
ch'abbia poi da dir invano: - Ahi lasso!
ch'al venir
mio non affrettai più il passo. -
93
Né scala in
Inghelterra né in Irlanda
mai
lasciò far, né sul contrario lito.
Ma lasciamolo
andar dove lo manda
il nudo
arcier che l'ha nel cor ferito.
Prima che più
io ne parli, io vo' in Olanda
tornare, e
voi meco a tornarvi invito;
che, come a
me, so spiacerebbe a voi,
che quelle
nozze fosson senza noi.
94
Le nozze
belle e sontuose fanno;
ma non
sì sontuose né sì belle,
come in
Selandia dicon che faranno.
Pur non
disegno che vegnate a quelle;
perché nuovi
accidenti a nascere hanno
per
disturbarle, de' quai le novelle
all'altro
canto vi farò sentire,
s'all'altro
canto mi verrete a udire.
1
Fra quanti
amor, fra quante fede al mondo
mai si trovar,
fra quanti cor constanti,
fra quante, o
per dolente o per iocondo
stato, fer
prove mai famosi amanti;
più
tosto il primo loco ch'il secondo
darò
ad Olimpia: e se pur non va inanti,
ben voglio
dir che fra gli antiqui e nuovi
maggior de
l'amor suo non si ritruovi;
2
e che con
tante e con sì chiare note
di questo ha
fatto il suo Bireno certo,
che donna
più far certo uomo non puote,
quando anco
il petto e 'l cor mostrasse aperto.
E s'anime
sì fide e sì devote
d'un
reciproco amor denno aver merto,
dico
ch'Olimpia è degna che non meno,
anzi
più che sé ancor, l'ami Bireno:
3
e che non pur
l'abandoni mai
per altra
donna, se ben fosse quella
ch'Europa ed
Asia messe in tanti guai,
o s'altra ha
maggior titolo di bella;
ma più
tosto che lei, lasci coi rai
del sol
l'udita e il gusto e la favella
e la vita e
la fama, e s'altra cosa
dire o pensar
si può più preciosa.
4
Se Bireno
amò lei come ella amato
Bireno avea,
se fu sì a lei fedele
come ella a
lui, se mai non ha voltato
ad altra via,
che a seguir lei, le vele;
o pur s'a
tanta servitù fu ingrato,
a tanta fede
e a tanto amor crudele,
io vi vo'
dire, e far di maraviglia
stringer le
labra ed inarcar le ciglia.
5
E poi che
nota l'impietà vi fia,
che di tanta
bontà fu a lei mercede,
donne, alcuna
di voi mai più non sia,
ch'a parole
d'amante abbia a dar fede.
L'amante, per
aver quel che desia,
senza guardar
che Dio tutto ode e vede,
aviluppa
promesse e giuramenti,
che tutti
spargon poi per l'aria i venti.
6
I giuramenti
e le promesse vanno
dai venti in
aria disipate e sparse,
tosto che
tratta questi amanti s'hanno
l'avida sete
che gli accese ed arse.
Siate a'
prieghi ed a' pianti che vi fanno,
per questo
esempio, a credere più scarse.
Bene è
felice quel, donne mie care,
ch'essere
accorto all'altrui spese impare.
7
Guardatevi da
questi che sul fiore
de' lor begli
anni il viso han sì polito;
che presto
nasce in loro e presto muore,
quasi un foco
di paglia, ogni appetito.
Come segue la
lepre il cacciatore
al freddo, al
caldo, alla montagna, al lito,
né più
l'estima poi che presa vede;
e sol dietro
a chi fugge affretta il piede:
8
così
fan questi gioveni, che tanto
che vi
mostrate lor dure e proterve,
v'amano e
riveriscono con quanto
studio de'
far chi fedelmente serve;
ma non
sì tosto si potran dar vanto
de la
vittoria, che, di donne, serve
vi dorrete
esser fatte; e da voi tolto
vedrete il
falso amore, e altrove volto.
9
Non vi vieto
per questo (ch'avrei torto)
che vi
lasciate amar; che senza amante
sareste come
inculta vite in orto,
che non ha
palo ove s'appoggi o piante.
Sol la prima
lanugine vi esorto
tutta a
fuggir, volubile e incostante,
e corre i
frutti non acerbi e duri,
ma che non
sien però troppo maturi.
10
Di sopra io
vi dicea ch'una figliuola
del re di
Frisa quivi hanno trovata,
che fia, per
quanto n'han mosso parola,
da Bireno al
fratel per moglie data.
Ma, a dire il
vero, esso v'avea la gola;
che vivanda
era troppo delicata:
e riputato
avria cortesia sciocca,
per darla
altrui, levarsela di bocca.
11
La damigella
non passava ancora
quattordici
anni, ed era bella e fresca,
come rosa che
spunti alora alora
fuor de la
buccia e col sol nuovo cresca.
Non pur di
lei Bireno s'innamora,
ma fuoco mai
così non accese esca,
né se lo
pongan l'invide e nimiche
mani talor ne
le mature spiche;
12
come egli se
n'accese immantinente,
come egli
n'arse fin ne le medolle,
che sopra il
padre morto lei dolente
vide di
pianto il bel viso far molle.
E come suol,
se l'acqua fredda sente,
quella restar
che prima al fuoco bolle;
così
l'ardor ch'accese Olimpia, vinto
dal nuovo
successore, in lui fu estinto.
13
Non pur sazio
di lei, ma fastidito
n'è
già così, che può vederla a pena;
e sì
de l'altra acceso ha l'appetito,
che ne
morrà se troppo in lungo il mena:
pur fin che
giunga il dì c'ha statuito
a dar fine al
disio, tanto l'affrena,
che par
ch'adori Olimpia, non che l'ami,
e quel che
piace a lei, sol voglia e brami.
14
E se
accarezza l'altra (che non puote
far che non
l'accarezzi più del dritto),
non è
chi questo in mala parte note;
anzi a
pietade, anzi a bontà gli è ascritto:
che rilevare
un che Fortuna ruote
talora al
fondo, e consolar l'afflitto,
mai non fu
biasmo, ma gloria sovente;
tanto
più una fanciulla, una innocente.
15
Oh sommo Dio,
come i giudìci umani
spesso
offuscati son da un nembo oscuro!
i modi di
Bireno empi e profani,
pietosi e
santi riputati furo.
I marinari,
già messo le mani
ai remi, e
sciolti dal lito sicuro,
portavan
lieti pei salati stagni
verso
Selandia il duca e i suoi compagni.
16
Già
dietro rimasi erano e perduti
tutti di
vista i termini d'Olanda
(che per non
toccar Frisa, più tenuti
s'eran
vêr Scozia alla sinistra banda),
quando da un
vento fur sopravenuti,
ch'errando in
alto mar tre dì li manda.
Sursero il
terzo, già presso alla sera,
dove inculta
e deserta un'isola era.
17
Tratti che si
fur dentro un picciol seno,
Olimpia venne
in terra; e con diletto
in compagnia
de l'infedel Bireno
cenò
contenta e fuor d'ogni sospetto:
indi con lui,
là dove in loco ameno
teso era un
padiglione, entrò nel letto.
Tutti gli
altri compagni ritornaro,
e sopra i
legni lor si riposaro.
18
Il travaglio
del mare e la paura
che tenuta
alcun dì l'aveano desta,
il ritrovarsi
al lito ora sicura,
lontana da
rumor ne la foresta,
e che nessun
pensier, nessuna cura,
poi che 'l
suo amante ha seco, la molesta;
fur cagion
ch'ebbe Olimpia sì gran sonno,
che gli orsi
e i ghiri aver maggior nol ponno.
19
Il falso
amante che i pensati inganni
veggiar
facean, come dormir lei sente,
pian piano
esce del letto, e de' suoi panni
fatto un
fastel, non si veste altrimente;
e lascia il
padiglione; e come i vanni
nati gli
sian, rivola alla sua gente,
e li
risveglia; e senza udirsi un grido,
fa entrar ne
l'alto e abandonare il lido.
20
Rimase a
dietro il lido e la meschina
Olimpia, che
dormì senza destarse,
fin che
l'Aurora la gelata brina
da le dorate
ruote in terra sparse,
e s'udir le
Alcione alla marina
de l'antico
infortunio lamentarse.
Né desta né
dormendo, ella la mano
per Bireno abbracciar
stese, ma invano.
21
Nessuno
truova: a sé la man ritira:
di nuovo
tenta, e pur nessuno truova.
Di qua l'un
braccio, e di là l'altro gira,
or l'una or
l'altra gamba; e nulla giova.
Caccia il
sonno il timor: gli occhi apre, e mira:
non vede
alcuno. Or già non scalda e cova
più le
vedove piume, ma si getta
del letto e
fuor del padiglione in fretta:
22
e corre al
mar, graffiandosi le gote,
presaga e
certa ormai di sua fortuna.
Si straccia i
crini, e il petto si percuote,
e va
guardando (che splendea la luna)
se veder
cosa, fuor che 'l lito, puote;
né fuor che
'l lito, vede cosa alcuna.
Bireno
chiama: e al nome di Bireno
rispondean
gli Antri che pietà n'avieno.
23
Quivi surgea
nel lito estremo un sasso,
ch'aveano
l'onde, col picchiar frequente,
cavo e
ridutto a guisa d'arco al basso;
e stava sopra
il mar curvo e pendente.
Olimpia in
cima vi salì a gran passo
(così
la facea l'animo possente),
e di lontano
le gonfiate vele
vide fuggir
del suo signor crudele:
24
vide lontano,
o le parve vedere;
che l'aria
chiara ancor non era molto.
Tutta
tremante si lasciò cadere,
più
bianca e più che nieve fredda in volto;
ma poi che di
levarsi ebbe potere,
al camin de
le navi il grido volto,
chiamò,
quanto potea chiamar più forte,
più
volte il nome del crudel consorte:
25
e dove non
potea la debil voce,
supliva il
pianto e 'l batter' palma a palma.
- Dove fuggi,
crudel, così veloce?
Non ha il tuo
legno la debita salma.
Fa che lievi
me ancor: poco gli nuoce
che porti il
corpo, poi che porta l'alma. -
E con le
braccia e con le vesti segno
fa tuttavia,
perché ritorni il legno.
26
Ma i venti
che portavano le vele
per l'alto
mar di quel giovene infido,
portavano
anco i prieghi e le querele
de l'infelice
Olimpia, e 'l pianto e 'l grido;
la qual tre
volte, a se stessa crudele,
per affogarsi
si spiccò dal lido:
pur al fin si
levò da mirar l'acque,
e
ritornò dove la notte giacque.
27
E con la
faccia in giù stesa sul letto,
bagnandolo di
pianto, dicea lui:
- Iersera
desti insieme a dui ricetto;
perché
insieme al levar non siamo dui?
O perfido
Bireno, o maladetto
giorno ch'al
mondo generata fui!
Che debbo
far? che poss'io far qui sola?
chi mi
dà aiuto? ohimè, chi mi consola?
28
Uomo non
veggio qui, non ci veggio opra
donde io
possa stimar ch'uomo qui sia;
nave non
veggio, a cui salendo sopra,
speri allo
scampo mio ritrovar via.
Di disagio
morrò; né chi mi cuopra
gli occhi
sarà, né chi sepolcro dia,
se forse in
ventre lor non me lo dànno
i lupi,
ohimè, ch'in queste selve stanno.
29
Io sto in
sospetto, e già di veder parmi
di questi
boschi orsi o leoni uscire,
o tigri o
fiere tal, che natura armi
d'aguzzi
denti e d'ugne da ferire.
Ma quai fere
crudel potriano farmi,
fera crudel,
peggio di te morire?
darmi una
morte, so, lor parrà assai;
e tu di
mille, ohimè, morir mi fai.
30
Ma presupongo
ancor ch'or ora arrivi
nochier che
per pietà di qui mi porti;
e così
lupi, orsi, leoni schivi,
strazi,
disagi ed altre orribil morti:
mi
porterà forse in Olanda, s'ivi
per te si
guardan le fortezze e i porti?
mi
porterà alla terra ove son nata,
se tu con
fraude già me l'hai levata?
31
Tu m'hai lo
stato mio, sotto pretesto
di parentado
e d'amicizia, tolto.
Ben fosti a
porvi le tue genti presto,
per avere il
dominio a te rivolto.
Tornerò
in Fiandra? ove ho venduto il resto
di che io
vivea, ben che non fossi molto,
per sovenirti
e di prigione trarte.
Mischina!
dove andrò? non so in qual parte.
32
Debbo forse
ire in Frisa, ove io potei,
e per te non
vi volsi esser regina?
il che del
padre e dei fratelli miei
e d'ogn'altro
mio ben fu la ruina.
Quel c'ho
fatto per te, non ti vorrei,
ingrato,
improverar, né disciplina
dartene; che
non men di me lo sai:
or ecco il
guiderdon che me ne dai.
33
Deh, pur che
da color che vanno in corso
io non sia
presa, e poi venduta schiava!
Prima che
questo, il lupo, il leon, l'orso
venga, e la
tigre e ogn'altra fera brava,
di cui l'ugna
mi stracci, e franga il morso;
e morta mi
strascini alla sua cava. -
Così
dicendo, le mani si caccia
ne' capei
d'oro, e a chiocca a chiocca straccia.
34
Corre di nuovo
in su l'estrema sabbia,
e ruota il
capo e sparge all'aria il crine;
e sembra
forsennata, e ch'adosso abbia
non un
demonio sol, ma le decine;
o, qual
Ecuba, sia conversa in rabbia,
vistosi morto
Polidoro al fine.
Or si ferma
s'un sasso, e guarda il mare;
né men d'un
vero sasso, un sasso pare.
35
Ma
lasciànla doler fin ch'io ritorno,
per voler di
Ruggier dirvi pur anco,
che nel
più intenso ardor del mezzo giorno
cavalca il
lito, affaticato e stanco.
Percuote il
sol nel colle e fa ritorno:
di sotto
bolle il sabbion trito e bianco.
Mancava
all'arme ch'avea indosso, poco
ad esser,
come già, tutte di fuoco.
36
Mentre la
sete, e de l'andar fatica
per l'alta
sabbia e la solinga via
gli facean,
lungo quella spiaggia aprica,
noiosa e
dispiacevol compagnia;
trovò
ch'all'ombra d'una torre antica
che fuor de
l'onde appresso il lito uscia,
de la corte
d'Alcina eran tre donne,
che le
conobbe ai gesti ed alle gonne.
37
Corcate su
tapeti allessandrini
godeansi il
fresco rezzo in gran diletto,
fra molti
vasi di diversi vini
e d'ogni
buona sorte di confetto.
Presso alla
spiaggia, coi flutti marini
scherzando,
le aspettava un lor legnetto
fin che la
vela empiesse agevol òra;
ch'un fiato
pur non ne spirava allora.
38
Queste,
ch'andar per la non ferma sabbia
vider Ruggier
al suo viaggio dritto,
che sculta
avea la sete in su le labbia,
tutto pien di
sudore il viso afflitto,
gli
cominciaro a dir che sì non abbia
il cor
voluntaroso al camin fitto,
ch'alla
fresca e dolce ombra non si pieghi,
e ristorar lo
stanco corpo nieghi.
39
E di lor una
s'accostò al cavallo
per la staffa
tener, che ne scendesse;
l'altra con
una coppa di cristallo
di vin
spumante, più sete gli messe:
ma Ruggiero a
quel suon non entrò in ballo;
perché d'ogni
tardar che fatto avesse,
tempo di
giunger dato avria ad Alcina,
che
venìa dietro ed era omai vicina.
40
Non
così fin salnitro e zolfo puro,
tocco dal
fuoco, subito s'avampa;
né
così freme il mar quando l'oscuro
turbo
discende e in mezzo se gli accampa:
come, vedendo
che Ruggier sicuro
al suo dritto
camin l'arena stampa,
e che le
sprezza (e pur si tenean belle),
d'ira arse e
di furor la terza d'elle.
41
- Tu non sei
né gentil né cavalliero
(dice
gridando quanto può più forte),
ed hai rubate
l'arme; e quel destriero
non saria tuo
per veruna altra sorte:
e
così, come ben m'appongo al vero,
ti vedessi
punir di degna morte;
che fossi
fatto in quarti, arso o impiccato,
brutto
ladron, villan, superbo, ingrato. -
42
Oltr'a queste
e molt'altre ingiuriose
parole che
gli usò la donna altiera,
ancor che mai
Ruggier non le rispose,
che di
sì vil tenzon poco onor spera;
con le
sorelle tosto ella si pose
sul legno in
mar, che al lor servigio v'era:
ed
affrettando i remi, lo seguiva,
vedendol
tuttavia dietro alla riva.
43
Minaccia
sempre, maledice e incarca;
che l'onte sa
trovar per ogni punto.
Intanto a
quello stretto, onde si varca
alla fata
più bella, è Ruggier giunto;
dove un
vecchio nochiero una sua barca
scioglier da
l'altra ripa vede, a punto
come, avisato
e già provisto, quivi
si stia
aspettando che Ruggiero arrivi.
44
Scioglie il
nochier, come venir lo vede,
di
trasportarlo a miglior ripa lieto;
che, se la
faccia può del cor dar fede,
tutto benigno
e tutto era discreto.
Pose Ruggier
sopra il navilio il piede,
Dio
ringraziando; e per lo mar quieto
ragionando
venìa col galeotto,
saggio e di
lunga esperienza dotto.
45
Quel lodava
Ruggier, che sì se avesse
saputo a
tempo tor da Alcina, e inanti
che 'l calice
incantato ella gli desse,
ch'avea al
fin dato a tutti gli altri amanti;
e poi, che a
Logistilla si traesse,
dove veder
potria costumi santi,
bellezza
eterna ed infinita grazia
che 'l cor
notrisce e pasce, e mai non sazia.
46
- Costei
(dicea) stupore e riverenza
induce
all'alma, ove si scuopre prima.
Contempla
meglio poi l'alta presenza:
ogn'altro ben
ti par di poca stima.
Il suo amore
ha dagli altri differenza:
speme o timor
negli altri il cor ti lima;
in questo il
desiderio più non chiede,
e contento
riman come la vede.
47
Ella
t'insegnerà studi più grati,
che suoni,
danze, odori, bagni e cibi:
ma come i
pensier tuoi meglio formati
poggin
più ad alto, che per l'aria i nibi,
e come de la
gloria de' beati
nel mortal
corpo parte si delibi. -
Così
parlando il marinar veniva,
lontano
ancora alla sicura riva;
48
quando vide
scoprire alla marina
molti navili,
e tutti alla sua volta.
Con quei ne
vien l'ingiuriata Alcina;
e molta di
sua gente have raccolta
per por lo
stato a se stessa in ruina,
o racquistar
la cara cosa tolta.
E bene
è amor di ciò cagion non lieve,
ma l'ingiuria
non men che ne riceve.
49
Ella non ebbe
sdegno, da che nacque,
di questo il
maggior mai, ch'ora la rode;
onde fa i
remi sì affrettar per l'acque,
che la spuma
ne sparge ambe le prode.
Al gran rumor
né mar né ripa tacque,
ed Ecco
risonar per tutto s'ode.
- Scuopre,
Ruggier, lo scudo, che bisogna;
se non, sei
morto, o preso con vergogna. -
50
Così
disse il nocchier di Logistilla:
ed oltre il
detto, egli medesmo prese
la tasca e da
lo scudo dipartilla,
e fe' il lume
di quel chiaro e palese.
L'incantato
splendor che ne sfavilla,
gli occhi
degli aversari così offese,
che li fe'
restar ciechi allora allora,
e cader chi
da poppa e chi da prora.
51
Un ch'era
alla veletta in su la rocca,
de l'armata
d'Alcina si fu accorto;
e la campana
martellando tocca,
onde il
soccorso vien subito al porto.
L'artegliaria,
come tempesta, fiocca
contra chi
vuole al buon Ruggier far torto:
sì che
gli venne d'ogni parte aita,
tal che
salvò la libertà e la vita.
52
Giunte son
quattro donne in su la spiaggia,
che subito ha
mandate Logistilla:
la valorosa
Andronica e la saggia
Fronesia e
l'onestissima Dicilla
e Sofrosina
casta, che, come aggia
quivi a far
più che l'altre, arde e sfavilla.
L'esercito
ch'al mondo è senza pare,
del castello
esce, e si distende al mare.
53
Sotto il
castel ne la tranquilla foce
di molti e
grossi legni era una armata,
ad un botto
di squilla, ad una voce
giorno e
notte a battaglia apparecchiata.
E così
fu la pugna aspra ed atroce,
e per acqua e
per terra, incominciata;
per cui fu il
regno sottosopra volto,
ch'avea
già Alcina alla sorella tolto.
54
Oh di quante
battaglie il fin successe
diverso a
quel che si credette inante!
Non sol
ch'Alcina alor non riavesse,
come
stimossi, il fugitivo amante;
ma dele navi
che pur dianzi spesse
fur
sì, ch'a pena il mar ne capia tante,
fuor de la
fiamma che tutt'altre avampa,
con un
legnetto sol misera scampa.
55
Fuggesi
Alcina, e sua misera gente
arsa e presa
riman, rotta e sommersa.
D'aver
Ruggier perduto, ella si sente
via
più doler che d'altra cosa aversa:
notte e
dì per lui geme amaramente,
e lacrime per
lui dagli occhi versa;
e per dar
fine a tanto aspro martire,
spesso si
duol di non poter morire.
56
Morir non
puote alcuna fata mai,
fin che 'l
sol gira, o il ciel non muta stilo.
Se ciò
non fosse, era il dolore assai
per muover
Cloto ad inasparle il filo;
o, qual
Didon, finia col ferro i guai;
o la regina
splendida del Nilo
avria imitata
con mortifer sonno:
ma le fate
morir sempre non ponno.
57
Torniamo a
quel di eterna gloria degno
Ruggiero; e
Alcina stia ne la sua pena.
Dico di lui,
che poi che fuor del legno
si fu
condutto in più sicura arena,
Dio
ringraziando che tutto il disegno
gli era
successo, al mar voltò la schiena;
ed
affrettando per l'asciutto il piede,
alla rocca ne
va che quivi siede.
58
Né la
più forte ancor né la più bella
mai vide
occhio mortal prima né dopo.
Son di
più prezzo le mura di quella,
che se
diamante fossino o piropo.
Di tai gemme
qua giù non si favella:
ed a chi vuol
notizia averne, è d'uopo
che vada
quivi; che non credo altrove,
se non forse
su in ciel, se ne ritruove.
59
Quel che
più fa che lor si inchina e cede
ogn'altra
gemma, è che, mirando in esse,
l'uom sin in
mezzo all'anima si vede;
vede suoi
vizi e sue virtudi espresse,
sì che
a lusinghe poi di sé non crede,
né a chi dar
biasmo a torto gli volesse:
fassi,
mirando allo specchio lucente
se stesso,
conoscendosi, prudente.
60
Il chiaro
lume lor, ch'imita il sole,
manda
splendore in tanta copia intorno,
che chi l'ha,
ovunque sia, sempre che vuole,
Febo, mal
grado tuo, si può far giorno.
Né mirabil vi
son le pietre sole;
ma la materia
e l'artificio adorno
contendon
sì, che mal giudicar puossi
qual de le
due eccellenze maggior fossi.
61
Sopra gli
altissimi archi, che puntelli
parean che
del ciel fossino a vederli,
eran giardin
sì spaziosi e belli,
che saria al
piano anco fatica averli.
Verdeggiar
gli odoriferi arbuscelli
si puon veder
fra i luminosi merli,
ch'adorni son
l'estate e il verno tutti
di vaghi
fiori e di maturi frutti.
62
Di
così nobili arbori non suole
prodursi fuor
di questi bei giardini,
né di tai
rose o di simil viole,
di gigli, di
amaranti o di gesmini.
Altrove appar
come a un medesmo sole
e nasca e
viva, e morto il capo inchini,
e come lasci
vedovo il suo stelo
il fior
suggetto al variar del cielo:
63
ma quivi era
perpetua la verdura,
perpetua la
beltà de' fiori eterni:
non che
benignità de la Natura
sì
temperatamente li governi;
ma LogistilIa
con suo studio e cura,
senza bisogno
de' moti superni
(quel che
agli altri impossibile parea),
sua primavera
ognor ferma tenea.
64
Logistilla
mostrò molto aver grato
ch'a lei
venisse un sì gentil signore;
e comandò
che fosse accarezzato,
e che
studiasse ognun di fargli onore.
Gran pezzo
inanzi Astolfo era arrivato,
che visto da
Ruggier fu di buon core.
Fra pochi
giorni venner gli altri tutti,
ch'a l'esser
lor Melissa avea ridutti.
65
Poi che si
fur posati un giorno e dui,
venne
Ruggiero alla fata prudente
col duca
Astolfo, che non men di lui
avea desir di
riveder Ponente.
Melissa le
parlò per amendui;
e supplica la
fata umilemente,
che li
consigli, favorisca e aiuti,
sì che
ritornin donde eran venuti.
66
Disse la fata:
- Io ci porrò il pensiero,
e fra dui
dì te li darò espediti. -
Discorre poi
tra sé, come Ruggiero,
e dopo lui,
come quel duca aiti:
conchiude
infin che 'l volator destriero
ritorni il
primo agli aquitani liti;
ma prima vuol
che se gli faccia un morso,
con che lo
volga, e gli raffreni il corso.
67
Gli mostra
come egli abbia a far, se vuole
che poggi in
alto, e come a far che cali;
e come, se
vorrà che in giro vole,
o vada ratto,
o che si stia su l'ali:
e quali effetti
il cavallier far suole
di buon
destriero in piana terra, tali
facea Ruggier
che mastro ne divenne,
per l'aria,
del destrier ch'avea le penne.
68
Poi che
Ruggier fu d'ogni cosa in punto,
da la fata
gentil comiato prese,
alla qual
restò poi sempre congiunto
di grande
amore; e uscì di quel paese.
Prima di lui
che se n'andò in buon punto,
e poi
dirò come il guerriero inglese
tornasse con
più tempo e più fatica
al magno
Carlo ed alla corte amica.
69
Quindi
partì Ruggier, ma non rivenne
per quella
via che fe' già suo mal grado,
allor che
sempre l'ippogrifo il tenne
sopra il
mare, e terren vide di rado:
ma potendogli
or far batter le penne
di qua di
là, dove più gli era a grado,
volse al
ritorno far nuovo sentiero,
come,
schivando Erode, i Magi fero.
70
Al venir
quivi, era, lasciando Spagna,
venuto India
a trovar per dritta riga,
là
dove il mare oriental la bagna;
dove una fata
avea con l'altra briga.
Or veder si
dispose altra campagna,
che quella
dove i venti Eolo istiga,
e finir tutto
il cominciato tondo,
per aver,
come il sol, girato il mondo.
71
Quinci il
Cataio, e quindi Mangiana
sopra il gran
Quinsaì vide passando:
volò
sopra l'Imavo, e Sericana
lasciò
a man destra; e sempre declinando
da
l'iperborei Sciti a l'onda ircana,
giunse alle
parti di Sarmazia: e quando
fu dove Asia
da Europa si divide,
Russi e
Pruteni e la Pomeria vide.
72
Ben che di
Ruggier fosse ogni desire
di ritornare
a Bradamante presto;
pur, gustato
il piacer ch'avea di gire
cercando il
mondo, non restò per questo,
ch'alli
Pollacchi, agli Ungari venire
non volesse
anco, alli Germani, e al resto
di quella
boreale orrida terra:
e venne al
fin ne l'ultima Inghilterra.
73
Non crediate,
Signor, che però stia
per sì
lungo camin sempre su l'ale:
ogni sera
all'albergo se ne gìa,
schivando a
suo poter d'alloggiar male.
E spese
giorni e mesi in questa via,
sì di
veder la terra e il mar gli cale.
Or presso a
Londra giunto una matina,
sopra Tamigi
il volator declina.
74
Dove ne'
prati alla città vicini
vide adunati
uomini d'arme e fanti,
ch'a suon di
trombe e a suon di tamburini
venian,
partiti a belle schiere, avanti
il buon
Rinaldo, onor de' paladini;
del qual, se
vi ricorda, io dissi inanti,
che mandato
da Carlo, era venuto
in queste
parti a ricercar aiuto.
75
Giunse a
punto Ruggier, che si facea
la bella
mostra fuor di quella terra;
e per sapere
il tutto, ne chiedea
un cavallier,
ma scese prima in terra:
e quel,
ch'affabil era, gli dicea
che di Scozia
e d'Irlanda e d'Inghilterra
e de l'isole
intorno eran le schiere
che quivi
alzate avean tante bandiere:
76
e finita la
mostra che faceano,
alla marina
se distenderanno,
dove
aspettati per solcar l'Oceano
son dai
navili che nel porto stanno.
I Franceschi
assediati si ricreano,
sperando in
questi che a salvar li vanno.
- Ma
acciò tu te n'informi pienamente,
io ti
distinguerò tutta la gente.
77
Tu vedi ben
quella bandiera grande,
ch'insieme
pon la fiordaligi e i pardi:
quella il
gran capitano all'aria spande,
e quella han
da seguir gli altri stendardi.
Il suo nome,
famoso in queste bande,
è
Leonetto, il fior de li gagliardi,
di consiglio
e d'ardire in guerra mastro,
del re
nipote, e duca di Lincastro.
78
La prima,
appresso il gonfalon reale,
che 'l vento
tremolar fa verso il monte,
e tien nel
campo verde tre bianche ale,
porta
Ricardo, di Varvecia conte.
Del duca di
Glocestra è quel segnale,
c'ha duo
corna di cervio e mezza fronte.
Del duca di
Chiarenza è quella face;
quel arbore
è del duca d'Eborace.
79
Vedi in tre
pezzi una spezzata lancia:
gli è
'l gonfalon del duca di Nortfozia.
La fulgure
è del buon conte di Cancia;
il grifone
è del conte di Pembrozia.
Il duca di
Sufolcia ha la bilancia.
Vedi quel
giogo che due serpi assozia:
è del
conte d'Esenia, e la ghirlanda
in campo
azzurro ha quel di Norbelanda.
80
Il conte
d'Arindelia è quel c'ha messo
in mar quella
barchetta che s'affonda.
Vedi il
marchese di Barclei; e appresso
di Marchia il
conte e il conte di Ritmonda:
il primo
porta in bianco un monte fesso,
l'altro la
palma, il terzo un pin ne l'onda.
Quel di
Dorsezia è conte, e quel d'Antona,
che l'uno ha
il carro, e l'altro la corona.
81
Il falcon che
sul nido i vanni inchina,
porta
Raimondo, il conte di Devonia.
Il giallo e
negro ha quel di Vigorina;
il can quel
d'Erbia un orso quel d'Osonia.
La croce che
là vedi cristallina,
è del
ricco prelato di Battonia.
Vedi nel
bigio una spezzata sedia:
è del
duca Ariman di Sormosedia.
82
Gli uomini
d'arme e gli arcieri a cavallo
di
quarantaduomila numer fanno.
Sono duo
tanti, o di cento non fallo,
quelli ch'a
piè ne la battaglia vanno.
Mira quei
segni, un bigio, un verde, un giallo,
e di nero e
d'azzur listato un panno:
Gofredo,
Enrigo, Ermante ed Odoardo
guidan
pedoni, ognun col suo stendardo.
83
Duca di Bocchingamia
è quel dinante;
Enrigo ha la
contea di Sarisberia;
signoreggia
Burgenia il vecchio Ermante;
quello
Odoardo è conte di Croisberia.
Questi
alloggiati più verso levante
sono
gl'Inglesi. Or volgeti all'Esperia,
dove si
veggion trentamila Scotti,
da Zerbin,
figlio del lor re, condotti.
84
Vedi tra duo
unicorni il gran leone,
che la spada
d'argento ha ne la zampa:
quell'è
del re di Scozia il gonfalone;
il suo
figliol Zerbino ivi s'accampa.
Non è
un sì bello in tante altre persone:
natura il
fece, e poi roppe la stampa.
Non è
in cui tal virtù, tal grazia luca,
o tal
possanza: ed è di Roscia duca.
85
Porta in
azzurro una dorata sbarra
il conte
d'Ottonlei ne lo stendardo.
L'altra
bandiera è del duca di Marra,
che nel
travaglio porta il leopardo.
Di più
colori e di più augei bizzarra
mira
l'insegna d'Alcabrun gagliardo,
che non
è duca, conte, né marchese,
ma primo nel
salvatico paese.
86
Del duca di
Trasfordia è quella insegna,
dove è
l'augel ch'al sol tien gli occhi franchi.
Lurcanio
conte, ch'in Angoscia regna,
porta quel
tauro, c'ha duo veltri ai fianchi.
Vedi
là il duca d'Albania, che segna
il campo di
colori azzurri e bianchi.
Quel avoltor,
ch'un drago verde lania,
è
l'insegna del conte di Boccania.
87
Signoreggia
Forbesse il forte Armano,
che di bianco
e di nero ha la bandiera;
ed ha il
conte d'Erelia a destra mano,
che porta in
campo verde una lumiera.
Or guarda
gl'Ibernesi appresso il piano:
sono duo
squadre; e il conte di Childera
mena la
prima, e il conte di Desmonda
da fieri
monti ha tratta la seconda.
88
Ne lo
stendardo il primo ha un pino ardente;
l'altro nel
bianco una vermiglia banda.
Non dà
soccorso a Carlo solamente
la terra
inglese, e la Scozia e l'Irlanda;
ma vien di
Svezia e di Norvegia gente,
da Tile, e
fin da la remota Islanda:
da ogni
terra, insomma, che là giace,
nimica
naturalmente di pace.
89
Sedicimila
sono, o poco manco,
de le
spelonche usciti e de le selve;
hanno piloso
il viso, il petto, il fianco,
e dossi e
braccia e gambe, come belve.
Intorno allo
stendardo tutto bianco
par che quel
pian di lor lance s'inselve:
così
Moratto il porta, il capo loro,
per
dipingerlo poi di sangue Moro. -
90
Mentre
Ruggier di quella gente bella,
che per
soccorrer Francia si prepara,
mira le varie
insegne e ne favella,
e dei signor
britanni i nomi impara;
uno ed un
altro a lui, per mirar quella
bestia sopra
cui siede, unica o rara,
maraviglioso
corre e stupefatto;
e tosto il
cerchio intorno gli fu fatto.
91
Sì che
per dare ancor più maraviglia,
e per pigliarne
il buon Ruggier più gioco,
al volante
corsier scuote la briglia,
e con gli
sproni ai fianchi il tocca un poco:
quel verso il
ciel per l'aria il camin piglia,
e lascia
ognuno attonito in quel loco.
Quindi
Ruggier, poi che di banda in banda
vide
gl'Inglesi, andò verso l'Irlanda.
92
E vide
Ibernia fabulosa, dove
il santo
vecchiarel fece la cava,
in che tanta
mercé par che si truove,
che l'uom vi
purga ogni sua colpa prava.
Quindi poi
sopra il mare il destrier muove
là
dove la minor Bretagna lava:
e nel passar
vide, mirando a basso,
Angelica
legata al nudo sasso.
93
Al nudo
sasso, all'Isola del pianto;
che l'Isola
del pianto era nomata
quella che da
crudele e fiera tanto
ed inumana
gente era abitata,
che (come io
vi dicea sopra nel canto)
per vari liti
sparsa iva in armata
tutte le
belle donne depredando,
per farne a
un mostro poi cibo nefando.
94
Vi fu legata
pur quella matina,
dove
venìa per trangugiarla viva
quel
smisurato mostro, orca marina,
che di
aborrevole esca si nutriva.
Dissi di
sopra, come fu rapina
di quei che
la trovaro in su la riva
dormire al
vecchio incantatore a canto,
ch'ivi l'avea
tirata per incanto.
95
La fiera
gente inospitale e cruda
alla bestia
crudel nel lito espose
la bellissima
donna, così ignuda
come Natura
prima la compose.
Un velo non
ha pure, in che richiuda
i bianchi
gigli e le vermiglie rose,
da non cader
per luglio o per dicembre,
di che son
sparse le polite membre.
96
Creduto avria
che fosse statua finta
o d'alabastro
o d'altri marmi illustri
Ruggiero, e
su lo scoglio così avinta
per artificio
di scultori industri;
se non vedea
la lacrima distinta
tra fresche
rose e candidi ligustri
far rugiadose
le crudette pome,
e l'aura
sventolar l'aurate chiome.
97
E come ne'
begli occhi gli occhi affisse,
de la sua
Bradamante gli sovvenne.
Pietade e
amore a un tempo lo trafisse,
e di piangere
a pena si ritenne;
e dolcemente
alla donzella disse,
poi che del
suo destrier frenò le penne:
- O donna,
degna sol de la catena
con chi i
suoi servi Amor legati mena,
98
e ben di
questo e d'ogni male indegna,
chi è
quel crudel che con voler perverso
d'importuno
livor stringendo segna
di queste
belle man l'avorio terso? -
Forza
è ch'a quel parlare ella divegna
quale
è di grana un bianco avorio asperso,
di sé vedendo
quelle parti ignude,
ch'ancor che
belle sian, vergogna chiude.
99
E coperto con
man s'avrebbe il volto,
se non eran
legate al duro sasso;
ma del
pianto, ch'almen non l'era tolto,
lo sparse, e
si sforzò di tener basso.
E dopo alcun'
signozzi il parlar sciolto,
incominciò
con fioco suono e lasso:
ma non
seguì; che dentro il fe' restare
il gran rumor
che si sentì nel mare.
100
Ecco apparir
lo smisurato mostro
mezzo ascoso
ne l'onda e mezzo sorto.
Come sospinto
suol da borea o d'ostro
venir lungo
navilio a pigliar porto,
così
ne viene al cibo che l'è mostro
la bestia
orrenda; e l'intervallo è corto.
La donna
è mezza morta di paura;
né per
conforto altrui si rassicura.
101
Tenea Ruggier
la lancia non in resta,
ma sopra
mano, e percoteva l'orca.
Altro non so
che s'assimigli a questa,
ch'una gran
massa che s'aggiri e torca;
né forma ha
d'animal, se non la testa,
c'ha gli
occhi e i denti fuor, come di porca.
Ruggier in
fronte la ferìa tra gli occhi;
ma par che un
ferro o un duro sasso tocchi.
102
Poi che la
prima botta poco vale,
ritorna per
far meglio la seconda.
L'orca, che
vede sotto le grandi ale
l'ombra di
qua e di là correr su l'onda,
lascia la
preda certa litorale,
e quella vana
segue furibonda:
dietro quella
si volve e si raggira.
Ruggier giù
cala, e spessi colpi tira.
103
Come d'alto
venendo aquila suole,
ch'errar fra
l'erbe visto abbia la biscia,
o che stia
sopra un nudo sasso al sole,
dove le
spoglie d'oro abbella e liscia;
non assalir
da quel lato la vuole
onde la
velenosa e soffia e striscia,
ma da tergo
la adugna, e batte i vanni,
acciò
non se le volga e non la azzanni:
104
così
Ruggier con l'asta e con la spada,
non dove era
de' denti armato il muso,
ma vuol che
'l colpo tra l'orecchie cada,
or su le
schene, or ne la coda giuso.
Se la fera si
volta, ei muta strada,
ed a tempo
giù cala, e poggia in suso:
ma come
sempre giunga in un diaspro,
non
può tagliar lo scoglio duro ed aspro.
105
Simil
battaglia fa la mosca audace
contra il
mastin nel polveroso agosto,
o nel mese
dinanzi o nel seguace,
l'uno di
spiche e l'altro pien di mosto:
negli occhi
il punge e nel grifo mordace,
volagli
intorno e gli sta sempre accosto;
e quel suonar
fa spesso il dente asciutto:
ma un tratto
che gli arrivi, appaga il tutto.
106
Sì
forte ella nel mar batte la coda,
che fa vicino
al ciel l'acqua inalzare;
tal che non
sa se l'ale in aria snoda,
o pur se 'l
suo destrier nuota nel mare.
Gli è
spesso che disia trovarsi a proda;
che se lo
sprazzo in tal modo ha a durare,
teme
sì l'ale inaffi all'ippogrifo,
che brami
invano avere o zucca o schifo.
107
Prese nuovo
consiglio, e fu il migliore,
di vincer con
altre arme il mostro crudo:
abbarbagliar
lo vuol con lo splendore
ch'era
incantato nel coperto scudo.
Vola nel
lito; e per non fare errore,
alla donna
legata al sasso nudo
lascia nel
minor dito de la mano
l'annel, che
potea far l'incanto vano:
108
dico l'annel
che Bradamante avea,
per liberar
Ruggier, tolto a Brunello,
poi per
trarlo di man d'Alcina rea,
mandato in
India per Melissa a quello.
Melissa (come
dianzi io vi dicea)
in ben di
molti adoperò l'annello;
indi l'avea a
Ruggier restituito,
dal qual poi
sempre fu portato in dito.
109
Lo dà
ad Angelica ora, perché teme
che del suo
scudo il fulgurar non viete,
e perché a
lei ne sien difesi insieme
gli occhi che
già l'avean preso alla rete.
Or viene al
lito e sotto il ventre preme
ben mezzo il
mar la smisurata cete.
Sta Ruggiero
alla posta, e lieva il velo;
e par
ch'aggiunga un altro sole al cielo.
110
Ferì
negli occhi l'incantato lume
di quella
fera, e fece al modo usato.
Quale o trota
o scaglion va giù pel fiume
c'ha con
calcina il montanar turbato,
tal si vedea
ne le marine schiume
il mostro
orribilmente riversciato.
Di qua di
là Ruggier percuote assai,
ma di ferirlo
via non truova mai.
111
La bella
donna tuttavolta priega
ch'invan la
dura squama oltre non pesti.
- Torna, per
Dio, signor: prima mi slega
(dicea
piangendo), che l'orca si desti:
portami teco
e in mezzo il mar mi anniega:
non far ch'in
ventre al brutto pesce io resti. -
Ruggier,
commosso dunque al giusto grido,
slegò
la donna, e la levò dal lido.
112
Il destrier
punto, ponta i piè all'arena
e sbalza in
aria, e per lo ciel galoppa;
e porta il
cavalliero in su la schena,
e la donzella
dietro in su la groppa.
Così
privò la fera de la cena
per lei soave
e delicata troppa.
Ruggier si va
volgendo, e mille baci
figge nel
petto e negli occhi vivaci.
113
Non
più tenne la via, come propose
prima, di
circundar tutta la Spagna;
ma nel
propinquo lito il destrier pose,
dove entra in
mar più la minor Bretagna.
Sul lito un
bosco era di querce ombrose,
dove ognor
par che Filomena piagna;
ch'in mezzo
avea un pratel con una fonte,
e quinci e
quindi un solitario monte.
114
Quivi il
bramoso cavallier ritenne
l'audace
corso, e nel pratel discese;
e fe'
raccorre al suo destrier le penne,
ma non a tal
che più le avea distese.
Del destrier
sceso, a pena si ritenne
di salir
altri; ma tennel l'arnese:
l'arnese il
tenne, che bisognò trarre,
e contra il
suo disir messe le sbarre.
115
Frettoloso,
or da questo or da quel canto
confusamente
l'arme si levava.
Non gli parve
altra volta mai star tanto;
che s'un
laccio sciogliea, dui n'annodava.
Ma troppo
è lungo ormai, Signor, il canto,
e forse
ch'anco l'ascoltar vi grava:
sì
ch'io differirò l'istoria mia
in altro
tempo che più grata sia.
1
Quantunque
debil freno a mezzo il corso
animoso
destrier spesso raccolga,
raro è
però che di ragione il morso
libidinosa
furia a dietro volga,
quando il
piacere ha in pronto; a guisa d'orso
che dal mel
non sì tosto si distolga,
poi che gli
n'è venuto odore al naso,
o qualche
stilla ne gustò sul vaso.
2
Qual ragion
fia che 'l buon Ruggier raffrene,
sì che
non voglia ora pigliar diletto
d'Angelica
gentil che nuda tiene
nel solitario
e commodo boschetto?
Di Bradamante
più non gli soviene,
che tanto
aver solea fissa nel petto:
e se gli ne
sovien pur come prima,
pazzo
è se questa ancor non prezza e stima;
3
con la qual
non saria stato quel crudo
Zenocrate di
lui più continente.
Gittato avea
Ruggier l'asta e lo scudo,
e si traea
l'altre arme impaziente;
quando
abbassando pel bel corpo ignudo
la donna gli
occhi vergognosamente,
si vide in
dito il prezioso annello
che
già le tolse ad Albracca Brunello.
4
Questo
è l'annel ch'ella portò già in Francia
la prima
volta che fe' quel camino
col fratel
suo, che v'arrecò la lancia,
la qual fu
poi d'Astolfo paladino.
Con questo
fe' gl'incanti uscire in ciancia
di Malagigi
al petron di Merlino;
con questo
Orlando ed altri una matina
tolse di servitù
di Dragontina;
5
con questo
uscì invisibil de la torre
dove l'avea
richiusa un vecchio rio.
A che voglio
io tutte sue prove accorre,
se le sapete
voi così come io?
Brunel sin
nel giron lel venne a torre;
ch'Agramante
d'averlo ebbe disio.
Da indi in
qua sempre Fortuna a sdegno
ebbe costei,
fin che le tolse il regno.
6
Or che sel
vede, come ho detto, in mano,
sì di
stupore e d'allegrezza è piena,
che quasi
dubbia di sognarsi invano,
agli occhi,
alla man sua dà fede a pena.
Del dito se
lo leva, e a mano a mano
sel chiude in
bocca: e in men che non balena,
così
dagli occhi di Ruggier si cela,
come fa il
sol quando la nube il vela.
7
Ruggier pur
d'ogn'intorno riguardava,
e s'aggirava
a cerco come un matto;
ma poi che de
l'annel si ricordava,
scornato vi
rimase e stupefatto:
e la sua
inavvertenza bestemiava,
e la donna
accusava di quello atto
ingrato e
discortese, che renduto
in ricompensa
gli era del suo aiuto.
8
- Ingrata
damigella, è questo quello
guiderdone
(dicea), che tu mi rendi?
che
più tosto involar vogli l'annello,
ch'averlo in
don? Perché da me nol prendi?
Non pur quel,
ma lo scudo e il destrier snello
e me ti dono,
e come vuoi mi spendi;
sol che 'l
bel viso tuo non mi nascondi.
Io so,
crudel, che m'odi, e non rispondi. -
9
Così
dicendo, intorno alla fontana
brancolando
n'andava come cieco.
Oh quante
volte abbracciò l'aria vana,
sperando la
donzella abbracciar seco!
Quella, che
s'era già fatta lontana,
mai non
cessò d'andar, che giunse a un speco
che sotto un
monte era capace e grande,
dove al
bisogno suo trovò vivande.
10
Quivi un
vecchio pastor, che di cavalle
un grande
armento avea, facea soggiorno.
Le iumente
pascean giù per la valle
le tenere
erbe ai freschi rivi intorno.
Di qua di
là da l'antro erano stalle,
dove
fuggìano il sol del mezzo giorno.
Angelica quel
dì lunga dimora
là
dentro fece, e non fu vista ancora.
11
E circa il
vespro, poi che rifrescossi,
e le fu aviso
esser posata assai,
in certi
drappi rozzi aviluppossi,
dissimil
troppo ai portamenti gai,
che verdi,
gialli, persi, azzurri e rossi
ebbe, e di
quante fogge furon mai.
Non le
può tor però tanto umil gonna,
che bella non
rassembri e nobil donna.
12
Taccia chi
loda Fillide, o Neera,
o Amarilli, o
Galatea fugace;
che d'esse
alcuna sì bella non era,
Titiro e
Melibeo, con vostra pace.
La bella
donna tra' fuor de la schiera
de le iumente
una che più le piace.
Allora allora
se le fece inante
un pensier di
tornarsene in Levante.
13
Ruggiero
intanto, poi ch'ebbe gran pezzo
indarno
atteso s'ella si scopriva,
e che s'avide
del suo error da sezzo,
che non era
vicina e non l'udiva;
dove lasciato
avea il cavallo, avezzo
in cielo e in
terra, a rimontar veniva:
e
ritrovò che s'avea tratto il morso,
e salia in
aria a più libero corso.
14
Fu grave e
mala aggiunta all'altro danno
vedersi anco
restar senza l'augello.
Questo, non
men che 'l feminile inganno,
gli preme al
cor; ma più che questo e quello,
gli preme e
fa sentir noioso affanno
l'aver
perduto il prezioso annello;
per le
virtù non tanto ch'in lui sono,
quanto che fu
de la sua donna dono.
15
Oltremodo
dolente si ripose
indosso
l'arme, e lo scudo alle spalle;
dal mar
slungossi, e per le piaggie erbose
prese il
camin verso una larga valle,
dove per
mezzo all'alte selve ombrose
vide il
più largo e 'l più segnato calle.
Non molto va,
ch'a destra, ove più folta
è
quella selva, un gran strepito ascolta.
16
Strepito
ascolta e spaventevol suono
d'arme
percosse insieme; onde s'affretta
tra pianta e
pianta, e trova dui, che sono
a gran
battaglia in poca piazza e stretta.
Non s'hanno
alcun riguardo né perdono,
per far, non
so di che, dura vendetta.
L'uno
è gigante, alla sembianza fiero;
ardito
l'altro e franco cavalliero.
17
E questo con
lo scudo e con la spada,
di qua di
là saltando, si difende,
perché la
mazza sopra non gli cada,
con che il
gigante a due man sempre offende.
Giace morto
il cavallo in su la strada.
Ruggier si
ferma, e alla battaglia attende;
e tosto
inchina l'animo, e disia
che vincitore
il cavallier ne sia.
18
Non che per
questo gli dia alcun aiuto;
ma si tira da
parte, e sta a vedere.
Ecco col
baston grave il più membruto
sopra l'elmo
a due man del minor fere.
De la
percossa è il cavallier caduto:
l'altro, che
'l vide attonito giacere,
per dargli
morte l'elmo gli dislaccia;
e fa
sì che Ruggier lo vede in faccia.
19
Vede Ruggier
de la sua dolce e bella
e carissima
donna Bradamante
scoperto il
viso; e lei vede esser quella
a cui dar
morte vuol l'empio gigante:
sì che
a battaglia subito l'appella,
e con la spada
nuda si fa inante:
na quel, che
nuova pugna non attende,
la donna
tramortita in braccio prende;
20
e se l'arreca
in spalla, e via la porta,
come lupo
talor piccolo agnello,
o l'aquila
portar ne l'ugna torta
suole o
colombo o simile altro augello.
Vede Ruggier
quanto il suo aiuto importa,
e vien
correndo a più poter; ma quello
con tanta
fretta i lunghi passi mena,
che con gli
occhi Ruggier lo segue a pena.
21
Così
correndo l'uno, e seguitando
l'altro, per
un sentiero ombroso e fosco,
che sempre si
venìa più dilatando,
in un gran
prato uscir fuor di quel bosco.
Non
più di questo; ch'io ritorno a Orlando,
che 'l fulgur
che portò già il re Cimosco,
avea gittato
in mar nel maggior fondo,
acciò
mai più non si trovasse al mondo.
22
Ma poco ci
giovò: che 'l nimico empio
de l'umana
natura, il qual del telo
fu
l'inventor, ch'ebbe da quel l'esempio,
ch'apre le
nubi e in terra vien dal cielo;
con quasi non
minor di quello scempio
che ci
diè quando Eva ingannò col melo,
lo fece
ritrovar da un negromante,
al tempo de'
nostri avi, o poco inante.
23
La machina
infernal, di più di cento
passi d'acqua
ove stè ascosa molt'anni,
al sommo
tratta per incantamento,
prima portata
fu tra gli Alamanni;
li quali uno
ed un altro esperimento
facendone, e
il demonio a' nostri danni
assuttigliando
lor via più la mente,
ne ritrovaro
l'uso finalmente.
24
Italia e
Francia e tutte l'altre bande
del mondo han
poi la crudele arte appresa.
Alcuno il
bronzo in cave forme spande,
che
liquefatto ha la fornace accesa;
bùgia
altri il ferro; e chi picciol, chi grande
il vaso
forma, che più e meno pesa:
e qual
bombarda e qual nomina scoppio,
qual semplice
cannon, qual cannon doppio;
25
qual sagra,
qual falcon, qual colubrina
sento nomar,
come al suo autor più agrada;
che 'l ferro
spezza, e i marmi apre e ruina,
e ovunque
passa si fa dar la strada.
Rendi, miser
soldato, alla fucina
per tutte
l'arme c'hai, fin alla spada;
e in spalla
un scoppio o un arcobugio prendi;
che senza, io
so, non toccherai stipendi.
26
Come
trovasti, o scelerata e brutta
invenzion,
mai loco in uman core?
Per te la
militar gloria è distrutta,
per te il
mestier de l'arme è senza onore;
per te
è il valore e la virtù ridutta,
che spesso
par del buono il rio migliore:
non
più la gagliardia, non più l'ardire
per te
può in campo al paragon venire.
27
Per te son
giti ed anderan sotterra
tanti signori
e cavallieri tanti,
prima che sia
finita questa guerra,
che 'l mondo,
ma più Italia ha messo in pianti;
che s'io v'ho
detto, il detto mio non erra,
che ben fu il
più crudele e il più di quanti
mai furo al
mondo ingegni empi e maligni,
ch'imaginò
sì abominosi ordigni.
28
E
crederò che Dio, perché vendetta
ne sia in
eterno, nel profondo chiuda
del cieco
abisso quella maladetta
anima, appresso
al maladetto Giuda.
Ma seguitiamo
il cavallier ch'in fretta
brama
trovarsi all'isola d'Ebuda,
dove le belle
donne e delicate
son per
vivanda a un marin mostro date.
29
Ma quanto
avea più fretta il paladino,
tanto parea
che men l'avesse il vento.
Spiri o dal
lato destro o dal mancino,
o ne le
poppe, sempre è così lento,
che si
può far con lui poco camino;
e rimanea
talvolta in tutto spento:
soffia talor
sì averso, che gli è forza
o di tornare,
o d'ir girando all'orza.
30
Fu
volontà di Dio che non venisse
prima che 'l
re d'Ibernia in quella parte,
acciò
con più facilità seguisse
quel ch'udir
vi farò fra poche carte.
Sopra l'isola
sorti, Orlando disse
al suo
nochiero: - Or qui potrai fermarte,
e 'l battel
darmi; che portar mi voglio
senz'altra
compagnia sopra lo scoglio.
31
E voglio la
maggior gomona meco,
e l'ancora
maggior ch'abbi sul legno:
io ti
farò veder perché l'arreco,
se con quel
mostro ad affrontar mi vegno. -
Gittar fe' in
mare il palischermo seco,
con tutto
quel ch'era atto al suo disegno.
Tutte l'arme
lasciò, fuor che la spada;
e vêr
lo scoglio, sol, prese la strada.
32
Si tira i
remi al petto, e tien le spalle
volte alla
parte ove discender vuole;
a guisa che
del mare o de la valle
uscendo al
lito, il salso granchio suole.
Era ne l'ora
che le chiome gialle
la bella
Aurora avea spiegate al Sole,
mezzo
scoperto ancora e mezzo ascoso,
non senza
sdegno di Titon geloso.
33
Fattosi
appresso al nudo scoglio, quanto
potria
gagliarda man gittare un sasso,
gli pare
udire e non udire un pianto;
sì
all'orecchie gli vien debole e lasso.
Tutto si
volta sul sinistro canto;
e posto gli
occhi appresso all'onde al basso,
vede una
donna, nuda come nacque,
legata a un
tronco; e i piè le bagnan l'acque.
34
Perché gli
è ancor lontana, e perché china
la faccia
tien, non ben chi sia discerne.
Tira in
fretta ambi i remi, e s'avicina
con gran
disio di più notizia averne.
Ma muggiar
sente in questo la marina,
e rimbombar
le selve e le caverne:
gonfiansi
l'onde; ed ecco il mostro appare,
che sotto il
petto ha quasi ascoso il mare.
35
Come d'oscura
valle umida ascende
nube di
pioggia e di tempesta pregna,
che
più che cieca notte si distende
per tutto 'l
mondo, e par che 'l giorno spegna;
così
nuota la fera, e del mar prende
tanto, che si
può dir che tutto il tegna:
fremono
l'onde. Orlando in sé raccolto,
la mira
altier, né cangia cor né volto.
36
E come quel
ch'avea il pensier ben fermo
di quanto
volea far, si mosse ratto;
e perché alla
donzella essere schermo,
e la fera
assalir potesse a un tratto,
entrò
fra l'orca e lei col palischermo,
nel fodero
lasciando il brando piatto:
l'ancora con
la gomona in man prese;
poi con gran
cor l'orribil mostro attese.
37
Tosto che
l'orca s'accostò, e scoperse
nel schifo
Orlando con poco intervallo,
per ingiottirlo
tanta bocca aperse,
ch'entrato un
uomo vi saria a cavallo.
Si spinse
Orlando inanzi, e se gl'immerse
con quella
ancora in gola, e s'io non fallo,
col battello
anco; e l'ancora attaccolle
e nel palato
e ne la lingua molle:
38
sì che
né più si puon calar di sopra,
né alzar di
sotto le mascelle orrende.
Così
chi ne le mine il ferro adopra,
la terra,
ovunque si fa via, suspende,
che subita
ruina non lo cuopra,
mentre
malcauto al suo lavoro intende.
Da un amo
all'altro l'ancora è tanto alta,
che non
v'arriva Orlando, se non salta.
39
Messo il
puntello, e fattosi sicuro
che 'l mostro
più serrar non può la bocca,
stringe la
spada, e per quel antro oscuro
di qua e di
là con tagli e punte tocca.
Come si
può, poi che son dentro al muro
giunti i nimici,
ben difender rocca;
così
difender l'orca si potea
dal paladin
che ne la gola avea.
40
Dal dolor
vinta, or sopra il mar si lancia,
e mostra i
fianchi e le scagliose schene;
or dentro vi
s'attuffa, e con la pancia
muove dal
fondo e fa salir l'arene.
Sentendo
l'acqua il cavallier di Francia,
che troppo
abonda, a nuoto fuor ne viene:
lascia
l'ancora fitta, e in mano prende
la fune che
da l'ancora depende.
41
E con quella
ne vien nuotando in fretta
verso lo
scoglio; ove fermato il piede,
tira l'ancora
a sé, ch'in bocca stretta
con le due
punte il brutto mostro fiede.
L'orca a
seguire il canape è costretta
da quella
forza ch'ogni forza eccede,
da quella
forza che più in una scossa
tira, ch'in
dieci un argano far possa.
42
Come toro
selvatico ch'al corno
gittar si
senta un improvviso laccio,
salta di qua
di là, s'aggira intorno,
si colca e
lieva, e non può uscir d'impaccio;
così
fuor del suo antico almo soggiorno
l'orca tratta
per forza di quel braccio,
con mille
guizzi e mille strane ruote
segue la
fune, e scior non se ne puote.
43
Di bocca il
sangue in tanta copia fonde,
che questo
oggi il mar Rosso si può dire,
dove in tal
guisa ella percuote l'onde,
ch'insino al
fondo le vedreste aprire;
ed or ne
bagna il cielo, e il lume asconde
del chiaro
sol: tanto le fa salire.
Rimbombano al
rumor ch'intorno s'ode,
le selve, i
monti e le lontane prode.
44
Fuor de la
grotta il vecchio Proteo, quando
ode tanto
rumor, sopra il mare esce;
e visto
entrare e uscir de l'orca Orlando,
e al lito
trar sì smisurato pesce,
fugge per
l'alto oceano, obliando
lo sparso
gregge: e sì il tumulto cresce,
che fatto al
carro i suoi delfini porre,
quel
dì Nettuno in Etiopia corre.
45
Con Melicerta
in collo Ino piangendo,
e le Nereide
coi capelli sparsi,
Glauci e
Tritoni, e gli altri, non sappiendo
dove, chi qua
chi là van per salvarsi.
Orlando al
lito trasse il pesce orrendo,
col qual non
bisognò più affaticarsi;
che pel
travaglio e per l'avuta pena,
prima
morì, che fosse in su l'arena.
46
De l'isola
non pochi erano corsi
a riguardar
quella battaglia strana;
i quai da
vana religion rimorsi,
così
sant'opra riputar profana:
e dicean che
sarebbe un nuovo torsi
Proteo
nimico, e attizzar l'ira insana,
da farli
porre il marin gregge in terra,
e tutta
rinovar l'antica guerra;
47
e che meglio
sarà di chieder pace
prima
all'offeso dio, che peggio accada;
e questo si
farà, quando l'audace
gittato in
mare a placar Proteo vada.
Come
dà fuoco l'una a l'altra face,
e tosto
alluma tutta una contrada,
così
d'un cor ne l'altro si difonde
l'ira
ch'Orlando vuol gittar ne l'onde.
48
Chi d'una
fromba e chi d'un arco armato,
chi d'asta,
chi di spada, al lito scende;
e dinanzi e
di dietro e d'ogni lato,
lontano e
appresso, a più poter l'offende.
Di sì
bestiale insulto e troppo ingrato
gran meraviglia
il paladin si prende:
pel mostro
ucciso ingiuria far si vede,
dove aver ne
sperò gloria e mercede.
49
Ma come
l'orso suol, che per le fiere
menato sia da
Rusci o da Lituani,
passando per
la via, poco temere
l'importuno
abbaiar di picciol cani,
che pur non
se li degna di vedere;
così
poco temea di quei villani
il paladin,
che con un soffio solo
ne
potrà fracassar tutto lo stuolo.
50
E ben si fece
far subito piazza
che lor si
volse, e Durindana prese.
S'avea
creduto quella gente pazza
che le dovesse
far poche contese,
quando né
indosso gli vedea corazza,
né scudo in
braccio, né alcun altro arnese;
ma non sapea
che dal capo alle piante
dura la pelle
avea più che diamante.
51
Quel che
d'Orlando agli altri far non lece,
di far degli
altri a lui già non è tolto.
Trenta
n'uccise, e furo in tutto diece
botte, o se
più, non le passò di molto.
Tosto intorno
sgombrar l'arena fece;
e per slegar
la donna era già volto,
quando nuovo
tumulto e nuovo grido
fe' risuonar
da un'altra parte il lido.
52
Mentre avea
il paladin da questa banda
così
tenuto i barbari impediti,
eran senza
contrasto quei d'Irlanda
da più
parte ne l'isola saliti;
e spenta ogni
pietà, strage nefanda
di quel popul
facean per tutti i liti:
fosse
iustizia, o fosse crudeltade,
né sesso
riguardavano né etade.
53
Nessun ripar
fan gl'isolani, o poco;
parte,
ch'accolti son troppo improviso,
parte, che
poca gente ha il picciol loco,
e quella poca
è di nessun aviso.
L'aver fu
messo a sacco; messo fuoco
fu ne le
case: il populo fu ucciso:
le mura fur
tutte adeguate al suolo:
non fu
lasciato vivo un capo solo.
54
Orlando, come
gli appertenga nulla
l'alto rumor,
le strida e la ruina,
viene a colei
che su la pietra brulla
avea da
divorar l'orca marina.
Guarda, e gli
par conoscer la fanciulla;
e più
gli pare, e più che s'avicina:
gli pare
Olimpia: ed era Olimpia certo,
che di sua
fede ebbe sì iniquo merto.
55
Misera
Olimpia! a cui dopo lo scorno
che gli fe'
Amore, anco Fortuna cruda
mandò
i corsari (e fu il medesmo giorno),
che la
portaro all'isola d'Ebuda.
Riconosce
ella Orlando nel ritorno
che fa allo
scoglio: ma perch'ella è nuda,
tien basso il
capo; e non che non gli parli,
ma gli occhi
non ardisce al viso alzarli.
56
Orlando
domandò ch'iniqua sorte
l'avesse
fatta all'isola venire
di là
dove lasciata col consorte
lieta l'avea,
quanto si può più dire.
- Non so
(disse ella) s'io v'ho, che la morte
voi mi
schivaste, grazie a riferire,
o da dolermi
che per voi non sia
oggi finita
la miseria mia.
57
Io v'ho da
ringraziar ch'una maniera
di morir mi
schivaste troppo enorme;
che troppo
saria enorme, se la fera
nel brutto
ventre avesse avuto a porme.
Ma già
non vi ringrazio ch'io non pera;
che morte sol
può di miseria torme:
ben vi
ringrazierò, se da voi darmi
quella
vedrò, che d'ogni duol può trarmi. -
58
Poi con gran
pianto seguitò, dicendo
come lo sposo
suo l'avea tradita;
che la
lasciò su l'isola dormendo,
donde ella
poi fu dai corsar rapita.
E mentre ella
parlava, rivolgendo
s'andava in
quella guisa che scolpita
o dipinta
è Diana ne la fonte,
che getta
l'acqua ad Ateone in fronte;
59
che, quanto
può, nasconde il petto e 'l ventre,
più
liberal dei fianchi e de le rene.
Brama Orlando
ch'in porto il suo legno entre;
che lei, che
sciolta avea da le catene,
vorria coprir
d'alcuna veste. Or mentre
ch'a questo
è intento, Oberto sopraviene,
Oberto il re
d'Ibernia, ch'avea inteso
che 'l marin
mostro era sul lito steso;
60
E che
nuotando un cavallier era ito
a porgli in
gola un'ancora assai grave;
e che l'avea
così tirato al lito,
come si suol
tirar contr'acqua nave.
Oberto, per
veder se riferito
colui da chi
l'ha inteso, il vero gli have,
se ne vien
quivi; e la sua gente intanto
arde e
distrugge Ebuda in ogni canto.
61
Il re
d'Ibernia, ancor che fosse Orlando,
di sangue
tinto, e d'acqua molle e brutto,
brutto del
sangue che si trasse quando
uscì
de l'orca in ch'era entrato tutto,
pel conte
l'andò pur raffigurando;
tanto
più che ne l'animo avea indutto,
tosto che del
valor sentì la nuova,
ch'altri
ch'Orlando non faria tal pruova.
62
Lo conoscea,
perch'era stato infante
d'onore in
Francia, e se n'era partito
per pigliar
la corona, l'anno inante,
del padre suo
ch'era di vita uscito.
Tante volte
veduto, e tante e tante
gli avea
parlato, ch'era in infinito.
Lo corse ad
abbracciare e a fargli festa,
trattasi la
celata ch'avea in testa.
63
Non meno
Orlando di veder contento
si
mostrò il re, che 'l re di veder lui.
Poi che furo
a iterar l'abbracciamento
una o due
volte tornati amendui,
narrò
ad Oberto Orlando il tradimento
che fu fatto
alla giovane, e da cui
fatto le fu;
dal perfido Bireno,
che via
d'ogn'altro lo dovea far meno.
64
Le prove gli
narrò, che tante volte
ella d'amarlo
dimostrato avea:
come i
parenti e le sustanze tolte
le furo, e al
fin per lui morir volea;
e ch'esso
testimonio era di molte,
e renderne
buon conto ne potea.
Mentre
parlava, i begli occhi sereni
de la donna
di lagrime eran pieni.
65
Era il bel
viso suo, quale esser suole
da primavera
alcuna volta il cielo,
quando la
pioggia cade, e a un tempo il sole
si sgombra
intorno il nubiloso velo.
E come il
rosignuol dolci carole
mena nei rami
alor del verde stelo,
così
alle belle lagrime le piume
si bagna
Amore, e gode al chiaro lume.
66
E ne la face
de' begli occhi accende
l'aurato
strale, e nel ruscello amorza,
che tra
vermigli e bianchi fiori scende:
e temprato
che l'ha, tira di forza
contra il
garzon, che né scudo difende,
né maglia
doppia, né ferrigna scorza;
che mentre
sta a mirar gli occhi e le chiome,
si sente il
cor ferito, e non sa come.
67
Le bellezze
d'Olimpia eran di quelle
che son
più rare: e non la fronte sola,
gli occhi e
le guance e le chiome avea belle,
la bocca, il
naso, gli omeri e la gola;
ma
discendendo giù da le mammelle,
le parti che
solea coprir la stola,
fur di tanta
eccellenza, ch'anteporse
a quante
n'avea il mondo potean forse.
68
Vinceano di
candor le nievi intatte,
ed eran
più ch'avorio a toccar molli:
le poppe
ritondette parean latte
che fuor dei
giunchi allora allora tolli.
Spazio fra
lor tal discendea, qual fatte
esser veggiàn
fra picciolini colli
l'ombrose
valli, in sua stagione amene,
che 'l verno
abbia di nieve allora piene.
69
I rilevati
fianchi e le belle anche,
e netto
più che specchio il ventre piano,
pareano
fatti, e quelle coscie bianche,
da Fidia a
torno, o da più dotta mano.
Di quelle
parti debbovi dir anche,
che pur
celare ella bramava invano?
Dirò
insomma, ch'in lei dal capo al piede,
quant'esser
può beltà, tutta si vede.
70
Se fosse
stata ne le valli Idee
vista dal
Pastor frigio, io non so quanto
Vener, sebben
vincea quell'altre dee,
portato
avesse di bellezza il vanto:
né forso ito
saria ne le Amiclee
contrade esso
a violar l'ospizio santo;
ma detto
avria: - Con Menelao ti resta,
Elena pur;
ch'altra io non vo' che questa. -
71
E se fosse
costei stata a Crotone,
quando Zeusi
l'imagine far volse,
che por dovea
nel tempio di Iunone,
e tante belle
nude insieme accolse;
e che, per
una farne in perfezione,
da chi una
parte e da chi un'altra tolse:
non avea da
torre altra che costei;
che tutte le
bellezze erano in lei.
72
Io non credo
che mai Bireno, nudo
vedesse quel
bel corpo; ch'io son certo
che stato non
saria mai così crudo,
che l'avesse
lasciata in quel deserto.
Ch'Oberto se
n'accende, io vi concludo,
tanto che 'l
fuoco non può star coperto.
Si studia
consolarla, e darle speme
ch'uscirà
in bene il mal ch'ora la preme:
73
e le promette
andar seco in Olanda;
né fin che ne
lo stato la rimetta,
e ch'abbia
fatto iusta e memoranda
di quel
periuro e traditor vendetta,
non
cesserà con ciò che possa Irlanda,
e lo
farà quanto potrà più in fretta.
Cercare
intanto in quelle case e in queste
facea di
gonne e di feminee veste.
74
Bisogno non
sarà, per trovar gonne,
ch'a cercar
fuor de l'isola si mande;
ch'ogni
dì se n'avea da quelle donne
che de
l'avido mostro eran vivande.
Non fe' molto
cercar, che ritrovonne
di varie
fogge Oberto copia grande;
e fe' vestir
Olimpia, e ben gl'increbbe
non la poter
vestir come vorrebbe.
75
Ma né
sì bella seta o sì fin'oro
mai
Fiorentini industri tesser fenno;
né chi ricama
fece mai lavoro,
postovi
tempo, diligenza e senno,
che potesse a
costui parer decoro,
se lo
fêsse Minerva o il dio di Lenno,
e degno di
coprir sì belle membre,
che forza
è ad or ad or se ne rimembre.
76
Per
più rispetti il paladino molto
si
dimostrò di questo amor contento:
ch'oltre che
'l re non lascerebbe asciolto
Bireno andar
di tanto tradimento,
sarebbe
anch'esso per tal mezzo tolto
di grave e di
noioso impedimento,
quivi non per
Olimpia, ma venuto
per dar, se
v'era, alla sua donna aiuto.
77
Ch'ella non
v'era si chiarì di corto,
ma già
non si chiarì se v'era stata;
perché
ogn'uomo ne l'isola era morto,
né un sol
rimaso di sì gran brigata.
Il dì
seguente si partir del porto,
e tutti
insieme andaro in una armata.
Con loro
andò in Irlanda il paladino;
che fu per
gire in Francia il suo camino.
78
A pena un
giorno si fermò in Irlanda;
non valser
preghi a far che più vi stesse:
Amor, che
dietro alla sua donna il manda,
di fermarvisi
più non gli concesse.
Quindi si
parte; e prima raccomanda
Olimpia al
re, che servi le promesse:
ben che non
bisognasse; che gli attenne
molto
più, che di far non si convenne.
79
Così
fra pochi dì gente raccolse;
e fatto lega
col re d'Inghilterra
e con l'altro
di Scozia, gli ritolse
Olanda, e in
Frisa non gli lasciò terra;
ed a
ribellione anco gli volse
la sua
Selandia: e non finì la guerra,
che gli
diè morte; né però fu tale
la pena,
ch'al delitto andasse eguale.
80
Olimpia
Oberto si pigliò per moglie,
e di contessa
la fe' gran regina.
Ma ritorniamo
al paladin che scioglie
nel mar le
vele, e notte e dì camina;
poi nel
medesmo porto le raccoglie,
donde pria le
spiegò ne la marina:
e sul suo
Brigliadoro armato salse,
e
lasciò dietro i venti e l'onde salse.
81
Credo che 'l
resto di quel verno cose
facesse degne
di tenerne conto;
ma fur sin a
quel tempo sì nascose,
che non
è colpa mia s'or non le conto;
perché
Orlando a far l'opre virtuose,
più
che a narrarle poi, sempre era pronto:
né mai fu
alcun de li suoi fatti espresso,
se non quando
ebbe i testimoni appresso.
82
Passò
il resto del verno così cheto,
che di lui
non si seppe cosa vera:
ma poi che 'l
sol ne l'animal discreto
che
portò Friso, illuminò la sfera,
e Zefiro
tornò soave e lieto
a rimenar la
dolce primavera;
d'Orlando
usciron le mirabil pruove
coi vaghi fiori
e con l'erbette nuove.
83
Di piano in
monte, e di campagna in lido,
pien di
travaglio e di dolor ne gìa;
quando
all'entrar d'un bosco, un lungo grido,
un alto duol
l'orecchie gli ferìa.
Spinge il
cavallo, e piglia il brando fido,
e donde viene
il suon, ratto s'invia:
ma diferisco
un'altra volta a dire
quel che
seguì, se mi vorrete udire.
1
Cerere, poi
che da la madre Idea
tornando in
fretta alla solinga valle,
là
dove calca la montagna Etnea
al fulminato
Encelado le spalle,
la figlia non
trovò dove l'avea
lasciata fuor
d'ogni segnato calle;
fatto ch'ebbe
alle guance, al petto, ai crini
e agli occhi
danno, al fin svelse duo pini;
2
e nel fuoco
gli accese di Vulcano,
e diè
lor non potere esser mai spenti:
e portandosi
questi uno per mano
sul carro che
tiravan dui serpenti,
cercò
le selve, i campi, il monte, il piano,
le valli, i
fiumi, li stagni, i torrenti,
la terra e 'l
mare; e poi che tutto il mondo
cercò
di sopra, andò al tartareo fondo.
3
S'in poter
fosse stato Orlando pare
all'Eleusina
dea, come in disio,
non avria,
per Angelica cercare,
lasciato o
selva o campo o stagno o rio
o valle o
monte o piano o terra o mare,
il cielo e 'l
fondo de l'eterno oblio;
ma poi che 'l
carro e i draghi non avea,
la gìa
cercando al meglio che potea.
4
L'ha cercata
per Francia: or s'apparecchia
per Italia
cercarla e per Lamagna,
per la nuova
Castiglia e per la vecchia,
e poi passare
in Libia il mar di Spagna.
Mentre pensa
così, sente all'orecchia
una voce
venir, che par che piagna:
si spinge
inanzi; e sopra un gran destriero
trottar si
vede innanzi un cavalliero,
5
che porta in
braccio e su l'arcion davante
per forza una
mestissima donzella.
Piange ella,
e si dibatte, e fa sembiante
di gran
dolore; ed in soccorso appella
il valoroso
principe d'Anglante;
che come mira
alla giovane bella,
gli par
colei, per cui la notte e il giorno
cercato
Francia avea dentro e d'intorno.
6
Non dico
ch'ella fosse, ma parea
Angelica
gentil ch'egli tant'ama.
Egli, che la
sua donna e la sua dea
vede portar
sì addolorata e grama,
spinto da
l'ira e da la furia rea,
con voce
orrenda il cavallier richiama;
richiama il
cavalliero e gli minaccia,
e Brigliadoro
a tutta briglia caccia.
7
Non resta
quel fellon, né gli risponde,
all'alta
preda, al gran guadagno intento,
e sì
ratto ne va per quelle fronde,
che saria
tardo a seguitarlo il vento.
L'un fugge, e
l'altro caccia; e le profonde
selve s'odon
sonar d'alto lamento.
Correndo
usciro in un gran prato; e quello
avea nel
mezzo un grande e ricco ostello.
8
Di vari marmi
con suttil lavoro
edificato era
il palazzo altiero.
Corse dentro
alla porta messa d'oro
con la
donzella in braccio il cavalliero.
Dopo non
molto giunse Brigliadoro,
che porta
Orlando disdegnoso e fiero.
Orlando, come
è dentro, gli occhi gira;
né più
il guerrier, né la donzella mira.
9
Subito
smonta, e fulminando passa
dove
più dentro il bel tetto s'alloggia:
corre di qua,
corre di là, né lassa
che non vegga
ogni camera, ogni loggia.
Poi che i
segreti d'ogni stanza bassa
ha cerco
invan, su per le scale poggia;
e non men
perde anco a cercar di sopra,
che perdessi
di sotto, il tempo e l'opra.
10
D'oro e di
seta i letti ornati vede:
nulla de muri
appar né de pareti;
che quelle, e
il suolo ove si mette il piede,
son da
cortine ascose e da tapeti.
Di su di
giù va il conte Orlando e riede;
né per questo
può far gli occhi mai lieti
che
riveggiano Angelica, o quel ladro
che n'ha
portato il bel viso leggiadro.
11
E mentre or
quinci or quindi invano il passo
movea, pien
di travaglio e di pensieri,
Ferraù,
Brandimarte e il re Gradasso,
re Sacripante
ed altri cavallieri
vi
ritrovò, ch'andavano alto e basso,
né men facean
di lui vani sentieri;
e si
ramaricavan del malvagio
invisibil
signor di quel palagio.
12
Tutti cercando
il van, tutti gli dànno
colpa di
furto alcun che lor fatt'abbia:
del destrier
che gli ha tolto, altri è in affanno;
ch'abbia
perduta altri la donna, arrabbia;
altri d'altro
l'accusa: e così stanno,
che non si
san partir di quella gabbia;
e vi son
molti, a questo inganno presi,
stati le
settimane intiere e i mesi.
13
Orlando, poi
che quattro volte e sei
tutto cercato
ebbe il palazzo strano,
disse fra sé:
- Qui dimorar potrei,
gittare il
tempo e la fatica invano:
e potria il
ladro aver tratta costei
da un'altra
uscita, e molto esser lontano. -
Con tal
pensiero uscì nel verde prato,
dal qual
tutto il palazzo era aggirato.
14
Mentre
circonda la casa silvestra,
tenendo pur a
terra il viso chino,
per veder
s'orma appare, o da man destra
o da sinistra,
di nuovo camino;
si sente
richiamar da una finestra:
e leva gli
occhi; e quel parlar divino
gli pare
udire, e par che miri il viso,
che l'ha da
quel che fu, tanto diviso.
15
Pargli
Angelica udir, che supplicando
e piangendo
gli dica: - Aita, aita!
la mia
virginità ti raccomando
più
che l'anima mia, più che la vita.
Dunque in
presenza del mio caro Orlando
da questo
ladro mi sarà rapita?
più
tosto di tua man dammi la morte,
che venir
lasci a sì infelice sorte. -
16
Queste parole
una ed un'altra volta
fanno Orlando
tornar per ogni stanza,
con passione
e con fatica molta,
ma temperata
pur d'alta speranza.
Talor si
ferma, ed una voce ascolta,
che di quella
d'Angelica ha sembianza
(e s'egli
è da una parte, suona altronde),
che chieggia
aiuto; e non sa trovar donde.
17
Ma tornando a
Ruggier, ch'io lasciai quando
dissi che per
sentiero ombroso e fosco
il gigante e
la donna seguitando,
in un gran
prato uscito era del bosco;
io dico
ch'arrivò qui dove Orlando
dianzi
arrivò, se 'l loco riconosco.
Dentro la
porta il gran gigante passa:
Ruggier gli
è appresso, e di seguir non lassa.
18
Tosto che pon
dentro alla soglia il piede,
per la gran
corte e per le logge mira;
né più
il gigante né la donna vede,
e gli occhi
indarno or quinci or quindi aggira.
Di su di
giù va molte volte e riede;
né gli
succede mai quel che desira:
né si sa
imaginar dove sì tosto
con la donna
il fellon si sia nascosto.
19
Poi che
revisto ha quattro volte e cinque
di su di
giù camere e logge e sale,
pur di nuovo
ritorna, e non relinque
che non ne
cerchi fin sotto le scale.
Con speme al
fin che sian ne le propinque
selve, si
parte: ma una voce, quale
richiamò
Orlando, lui chiamò non manco;
e nel palazzo
il fe' ritornar anco.
20
Una voce
medesma, una persona
che paruta
era Angelica ad Orlando,
parve a
Ruggier la donna di Dordona,
che lo tenea
di sé medesmo in bando.
Se con
Gradasso o con alcun ragiona
di quei
ch'andavan nel palazzo errando,
a tutti par
che quella cosa sia,
che
più ciascun per sé brama e desia.
21
Questo era un
nuovo e disusato incanto
ch'avea
composto Atlante di Carena,
perché
Ruggier fosse occupato tanto
in quel
travaglio, in quella dolce pena,
che 'l
mal'influsso n'andasse da canto,
l'influsso
ch'a morir giovene il mena.
Dopo il
castel d'acciar, che nulla giova,
e dopo
Alcina, Atlante ancor fa pruova.
22
Non pur
costui, ma tutti gli altri ancora,
che di valore
in Francia han maggior fama,
acciò
che di lor man Ruggier non mora,
condurre
Atlante in questo incanto trama.
E mentre fa
lor far quivi dimora,
perché di
cibo non patischin brama,
sì ben
fornito avea tutto il palagio,
che donne e
cavallier vi stanno ad agio.
23
Ma torniamo
ad Angelica, che seco
avendo
quell'annel mirabil tanto,
ch'in bocca a
veder lei fa l'occhio cieco,
nel dito,
l'assicura da l'incanto;
e ritrovato
nel montano speco
cibo avendo e
cavalla e veste e quanto
le fu
bisogno, avea fatto disegno
di ritornare
in India al suo bel regno.
24
Orlando
volentieri o Sacripante
voluto
avrebbe in compania: non ch'ella
più
caro avesse l'un che l'altro amante;
anzi di par
fu a' lor disii ribella:
ma dovendo,
per girsene in Levante,
passar tante
città, tante castella,
di compagnia
bisogno avea e di guida,
né potea aver
con altri la più fida.
25
Or l'uno or
l'altro andò molto cercando,
prima
ch'indizio ne trovasse o spia,
quando in
cittade, e quando in ville, e quando
in alti
boschi, e quando in altra via.
Fortuna al
fin là dove il conte Orlando,
Ferraù
e Sacripante era, la invia,
con Ruggier,
con Gradasso ed altri molti
che v'avea
Atlante in strano intrico avolti.
26
Quivi entra,
che veder non la può il mago,
e cerca il
tutto, ascosa dal suo annello;
e trova
Orlando e Sacripante vago
di lei
cercare invan per quello ostello.
Vede come,
fingendo la sua immago,
Atlante usa
gran fraude a questo e a quello.
Chi tor debba
di lor, molto rivolve
nel suo
pensier, né ben se ne risolve.
27
Non sa stimar
chi sia per lei migliore,
il conte
Orlando o il re dei fier Circassi.
Orlando la
potrà con più valore
meglio salvar
nei perigliosi passi:
ma se sua
guida il fa, sel fa signore;
ch'ella non
vede come poi l'abbassi,
qualunque
volta, di lui sazia, farlo
voglia
minore, o in Francia rimandarlo.
28
Ma il
Circasso depor, quando le piaccia,
potrà,
se ben l'avesse posto in cielo.
Questa sola
cagion vuol ch'ella il faccia
sua scorta, e
mostri avergli fede e zelo.
L'annel
trasse di bocca, e di sua faccia
levò
dagli occhi a Sacripante il velo.
Credette a
lui sol dimostrarsi, e avenne
ch'Orlando e
Ferraù le sopravenne.
29
Le sopravenne
Ferraù ed Orlando;
che l'uno e
l'altro parimente giva
di su di
giù, dentro e di fuor cercando
del gran
palazzo lei, ch'era lor diva.
Corser di par
tutti alla donna, quando
nessuno
incantamento gli impediva:
perché
l'annel ch'ella si pose in mano,
fece
d'Atlante ogni disegno vano.
30
L'usbergo
indosso aveano e l'elmo in testa
dui di questi
guerrier, dei quali io canto;
né notte o
dì, dopo ch'entraro in questa
stanza,
l'aveano mai messi da canto;
che facile a
portar, come la vesta,
era lor,
perché in uso l'avean tanto.
Ferraù
il terzo era anco armato, eccetto
che non avea
né volea avere elmetto,
31
fin che quel
non avea, che 'l paladino
tolse Orlando
al fratel del re Troiano;
ch'allora lo
giurò, che l'elmo fino
cercò
de l'Argalia nel fiume invano:
e se ben
quivi Orlando ebbe vicino,
né
però Ferraù pose in lui mano;
avenne, che
conoscersi tra loro
non si poter,
mentre là dentro foro.
32
Era
così incantato quello albergo,
ch'insieme
riconoscer non poteansi.
Né notte mai
né dì, spada né usbergo
né scudo pur
dal braccio rimoveansi.
I lor cavalli
con la sella al tergo,
pendendo i
morsi da l'arcion, pasceansi
in una
stanza, che presso all'uscita,
d'orzo e di
paglia sempre era fornita.
33
Atlante
riparar non sa né puote,
ch'in sella
non rimontino i guerrieri
per correr
dietro alle vermiglie gote,
all'auree
chiome ed a' begli occhi neri
de la
donzella, ch'in fuga percuote
la sua
iumenta, perché volentieri
non vede li
tre amanti in compagnia,
che forse
tolti un dopo l'altro avria.
34
E poi che
dilungati dal palagio
gli ebbe
sì, che temer più non dovea
che contra
lor l'incantator malvagio
potesse oprar
la sua fallacia rea;
l'annel che
le schivò più d'un disagio,
tra le rosate
labra si chiudea:
donde lor
sparve subito dagli occhi,
e gli
lasciò come insensati e sciocchi.
35
Come che
fosse il suo primier disegno
di voler seco
Orlando o Sacripante,
ch'a ritornar
l'avessero nel regno
di Galafron
ne l'ultimo Levante;
le vennero
amendua subito a sdegno,
e si
mutò di voglia in uno istante:
e senza
più obligarsi o a questo o a quello,
pensò
bastar per amendua il suo annello.
36
Volgon pel
bosco or quinci or quindi in fretta
quelli
scherniti la stupida faccia;
come il cane
talor, se gli è intercetta
o lepre o
volpe, a cui dava la caccia,
che
d'improviso in qualche tana stretta
o in folta
macchia o in un fosso si caccia.
Di lor si
ride Angelica proterva,
che non
è vista, e i lor progressi osserva.
37
Per mezzo il
bosco appar sol una strada:
credono i cavallier
che la donzella
inanzi a lor
per quella se ne vada;
che non se ne
può andar, se non per quella.
Orlando
corre, e Ferraù non bada,
né Sacripante
men sprona e puntella.
Angelica la
briglia più ritiene,
e dietro lor
con minor fretta viene.
38
Giunti che
fur, correndo, ove i sentieri
a perder si
venian ne la foresta,
e cominciar
per l'erba i cavallieri
a riguardar
se vi trovavan pesta;
Ferraù,
che potea fra quanti altieri
mai fosser,
gir con la corona in testa,
si volse con
mal viso agli altri dui,
e
gridò lor: - Dove venite vui?
39
Tornate a
dietro, o pigliate altra via,
se non volete
rimaner qui morti:
né in amar né
in seguir la donna mia
si creda
alcun, che compagnia comporti. -
Disse Orlando
al Circasso: - Che potria
più
dir costui, s'ambi ci avesse scorti
per le
più vili e timide puttane
che da
conocchie mai traesser lane?
40
Poi volto a
Ferraù, disse: - Uom bestiale,
s'io non
guardassi che senza elmo sei,
di quel c'hai
detto, s'hai ben detto o male,
senz'altra
indugia accorger ti farei. -
Disse il
Spagnuol: - Di quel ch'a me non cale,
perché
pigliarne tu cura ti dei?
Io sol contra
ambidui per far son buono
quel che
detto ho, senza elmo come sono. -
41
- Deh (disse
Orlando al re di Circassia),
in mio
servigio a costui l'elmo presta,
tanto ch'io
gli abbia tratta la pazzia;
ch'altra non
vidi mai simile a questa. -
Rispose il
re: - Chi più pazzo saria?
Ma se ti par
pur la domanda onesta,
prestagli il
tuo; ch'io non sarò men atto,
che tu sia
forse, a castigare un matto. -
42
Soggiunse
Ferraù: - Sciocchi voi, quasi
che, se mi
fosse il portar elmo a grado,
voi senza non
ne fosse già rimasi;
che tolti i
vostri avrei, vostro mal grado.
Ma per
narrarvi in parte li miei casi,
per voto
così senza me ne vado,
ed
anderò, fin ch'io non ho quel fino
che porta in
capo Orlando paladino. -
43
- Dunque
(rispose sorridente il conte)
ti pensi a
capo nudo esser bastante
far ad
Orlando quel che in Aspramonte
egli
già fece al figlio d'Agolante?
Anzi credo
io, se tel vedessi a fronte,
ne tremeresti
dal capo alle piante;
non che
volessi l'elmo, ma daresti
l'altre arme
a lui di patto, che tu vesti. -
44
Il vantator
Spagnuol disse: - Già molte
fiate e molte
ho così Orlando astretto,
che
facilmente l'arme gli avrei tolte,
quante
indosso n'avea, non che l'elmetto;
e s'io nol
feci, occorrono alle volte
pensier che
prima non s'aveano in petto:
non n'ebbi,
già fu, voglia; or l'aggio, e spero
che mi
potrà succeder di leggiero. -
45
Non
potè aver più pazienza Orlando
e
gridò: - Mentitor, brutto marrano,
in che paese
ti trovasti, e quando,
a poter
più di me con l'arme in mano?
Quel paladin,
di che ti vai vantando,
son io, che
ti pensavi esser lontano.
Or vedi se tu
puoi l'elmo levarme,
o s'io son
buon per torre a te l'altre arme.
46
Né da te
voglio un minimo vantaggio. -
Così
dicendo, l'elmo si disciolse,
e lo suspese
a un ramuscel di faggio;
e quasi a un
tempo Durindana tolse.
Ferraù
non perdè di ciò il coraggio:
trasse la
spada, e in atto si raccolse,
onde con essa
e col levato scudo
potesse
ricoprirsi il capo nudo.
47
Così
li duo guerrieri incominciaro,
lor cavalli
aggirando, a volteggiarsi;
e dove l'arme
si giungeano, e raro
era
più il ferro, col ferro a tentarsi.
Non era in
tutto 'l mondo un altro paro
che
più di questo avessi ad accoppiarsi:
pari eran di
vigor, pari d'ardire;
né l'un né
l'altro si potea ferire.
48
Ch'abbiate,
Signor mio, già inteso estimo,
che
Ferraù per tutto era fatato,
fuor che
là dove l'alimento primo
piglia il
bambin nel ventre ancor serrato:
e fin che del
sepolcro il tetro limo
la faccia gli
coperse, il luogo armato
usò
portar, dove era il dubbio, sempre
di sette
piastre fatte a buone tempre.
49
Era
ugualmente il principe d'Anglante
tutto fatato,
fuor che in una parte:
ferito esser
potea sotto le piante;
ma le
guardò con ogni studio ed arte.
Duro era il
resto lor più che diamante
(se la fama
dal ver non si diparte);
e l'uno e
l'altro andò, più per ornato
che per
bisogno, alle sue imprese armato.
50
S'incrudelisce
e inaspra la battaglia,
d'orrore in
vista e di spavento piena.
Ferraù,
quando punge e quando taglia,
né mena botta
che non vada piena:
ogni colpo
d'Orlando o piastra o maglia
e schioda e
rompe ed apre e a straccio mena.
Angelica
invisibile lor pon mente,
sola a tanto
spettacolo presente.
51
Intanto il re
di Circassia, stimando
che poco
inanzi Angelica corresse,
poi
ch'attaccati Ferraù ed Orlando
vide restar,
per quella via si messe,
che si credea
che la donzella, quando
da lor
disparve, seguitata avesse:
sì che
a quella battaglia la figliuola
di Galafron
fu testimonia sola.
52
Poi che,
orribil come era e spaventosa,
l'ebbe da
parte ella mirata alquanto,
e che le
parve assai pericolosa
così
da l'un come da l'altro canto;
di veder
novità voluntarosa,
disegnò
l'elmo tor, per mirar quanto
fariano i duo
guerrier, vistosel tolto;
ben con
pensier di non tenerlo molto.
53
Ha ben di
darlo al conte intenzione;
na se ne
vuole in prima pigliar gioco.
L'elmo
dispicca, e in grembio se lo pone,
e sta a
mirare i cavallieri un poco.
Di poi si
parte, e non fa lor sermone;
e lontana era
un pezzo da quel loco,
prima
ch'alcun di lor v'avesse mente:
sì
l'uno e l'altro era ne l'ira ardente.
54
Ma
Ferraù, che prima v'ebbe gli occhi,
si
dispiccò da Orlando, e disse a lui:
- Deh come
n'ha da male accorti e sciocchi
trattati il
cavallier ch'era con nui!
Che premio
fia ch'al vincitor più tocchi,
se 'l bel
elmo involato n'ha costui? -
Ritrassi
Orlando, e gli occhi al ramo gira:
non vede
l'elmo, e tutto avampa d'ira.
55
E nel parer
di Ferraù concorse,
che 'l
cavallier che dianzi era con loro
se lo
portasse; onde la briglia torse,
e fe' sentir
gli sproni a Brigliadoro.
Ferraù
che del campo il vide torse,
gli venne
dietro; e poi che giunti foro
dove ne
l'erba appar l'orma novella
ch'avea fatto
il Circasso e la donzella,
56
prese la
strada alla sinistra il conte
verso una
valle, ove il Circasso era ito:
si tenne
Ferraù più presso al monte,
dove il
sentiero Angelica avea trito.
Angelica in
quel mezzo ad una fonte
giunta era,
ombrosa e di giocondo sito,
ch'ognun che
passa, alle fresche ombre invita,
né, senza
ber, mai lascia far partita.
57
Angelica si
ferma alle chiare onde,
non pensando
ch'alcun le sopravegna;
e per lo
sacro annel che la nasconde,
non
può temer che caso rio le avegna.
A prima
giunta in su l'erbose sponde
del rivo
l'elmo a un ramuscel consegna;
poi cerca,
ove nel bosco è miglior frasca,
la iumenta
legar, perché si pasca.
58
Il cavallier
di Spagna, che venuto
era per
l'orme, alla fontana giunge.
Non l'ha
sì tosto Angelica veduto,
che gli
dispare, e la cavalla punge.
L'elmo, che
sopra l'erba era caduto,
ritor non
può, che troppo resta lunge.
Come il pagan
d'Angelica s'accorse,
tosto
vêr lei pien di letizia corse.
59
Gli sparve,
come io dico, ella davante,
come fantasma
al dipartir del sonno.
Cercando egli
la va per quelle piante
né i miseri
occhi più veder la ponno.
Bestemiando
Macone e Trivigante,
e di sua
legge ogni maestro e donno,
ritornò
Ferraù verso la fonte,
u' ne l'erba
giacea l'elmo del conte.
60
Lo riconobbe,
tosto che mirollo,
per lettere
ch'avea scritte ne l'orlo;
che dicean
dove Orlando guadagnollo,
e come e
quando, ed a chi fe' deporlo.
Armossene il
pagano il capo e il collo,
che non
lasciò, pel duol ch'avea, di torlo;
pel duol
ch'avea di quella che gli sparve,
come sparir
soglion notturne larve.
61
Poi
ch'allacciato s'ha il buon elmo in testa,
aviso gli
è, che a contentarsi a pieno,
sol ritrovare
Angelica gli resta,
che gli appar
e dispar come baleno.
Per lei tutta
cercò l'alta foresta:
e poi ch'ogni
speranza venne meno
di più
poterne ritrovar vestigi,
tornò
al campo spagnuol verso Parigi;
62
temperando il
dolor che gli ardea il petto,
di non aver
sì gran disir sfogato,
col
refrigerio di portar l'elmetto
che fu
d'Orlando, come avea giurato.
Dal conte,
poi che 'l certo gli fu detto,
fu lungamente
Ferraù cercato;
né fin quel
dì dal capo gli lo sciolse,
che fra duo
ponti la vita gli tolse.
63
Angelica
invisibile e soletta
via se ne va,
ma con turbata fronte;
che de l'elmo
le duol, che troppa fretta
le avea fatto
lasciar presso alla fonte.
- Per voler
far quel ch'a me far non spetta
(tra sé
dicea), levato ho l'elmo al conte:
questo, pel
primo merito, è assai buono
di quanto a
lui pur ubligata sono.
64
Con buona
intenzione (e sallo Idio),
ben che
diverso e tristo effetto segua,
io levai
l'elmo: e solo il pensier mio
fu di ridur
quella battaglia a triegua;
e non che per
mio mezzo il suo disio
questo brutto
Spagnuol oggi consegua. -
Così
di sé s'andava lamentando
d'aver de
l'elmo suo privato Orlando.
65
Sdegnata e
malcontenta la via prese,
che le parea
miglior, verso Oriente.
Più
volte ascosa andò, talor palese,
secondo era
oportuno, infra la gente.
Dopo molto
veder molto paese,
giunse in un
bosco, dove iniquamente
fra duo
compagni morti un giovinetto
trovò,
ch'era ferito in mezzo il petto.
66
Ma non
dirò d'Angelica or più inante;
che molte
cose ho da narrarvi prima:
né sono a
Ferraù né a Sacripante,
sin a gran
pezzo per donar più rima.
Da lor mi
leva il principe d'Anglante,
che di sé
vuol che inanzi agli altri esprima
le fatiche e
gli affanni che sostenne
nel gran
disio, di che a fin mai non venne.
67
Alla prima
città ch'egli ritruova
(perché
d'andare occulto avea gran cura)
si pone in
capo una barbuta nuova,
senza mirar
s'ha debil tempra o dura:
sia qual si
vuol, poco gli nuoce o giova;
sì ne
la fatagion si rassicura.
Così
coperto seguita l'inchiesta;
né notte, o
giorno, o pioggia, o sol l'arresta.
68
Era ne l'ora,
che trae i cavalli
Febo del mar
con rugiadoso pelo,
e l'Aurora di
fior vermigli e gialli
venìa
spargendo d'ogn'intorno il cielo;
e lasciato le
stelle aveano i balli,
e per
partirsi postosi già il velo:
quando
appresso a Parigi un dì passando,
mostrò
di sua virtù gran segno Orlando.
69
In dua
squadre incontrossi: e Manilardo
ne reggea
l'una, il Saracin canuto,
re di
Norizia, già fiero e gagliardo,
or miglior di
consiglio che d'aiuto;
guidava
l'altra sotto il suo stendardo
il re di
Tremisen, ch'era tenuto
tra gli
Africani cavallier perfetto:
Alzirdo fu,
da chi 'l conobbe, detto.
70
Questi con
l'altro esercito pagano
quella
invernata avean fatto soggiorno,
chi presso
alla città, chi più lontano,
tutti alle
ville o alle castella intorno:
ch'avendo
speso il re Agramante invano,
per espugnar
Parigi, più d'un giorno,
volse tentar
l'assedio finalmente,
poi che
pigliar non lo potea altrimente.
71
E per far
questo avea gente infinita;
che oltre a
quella che con lui giunt'era,
e quella che
di Spagna avea seguita
del re
Marsilio la real bandiera
molta di
Francia n'avea al soldo unita;
che da Parigi
insino alla riviera
d'Arli, con
parte di Guascogna (eccetto
alcune
rocche) avea tutto suggetto.
72
Or
cominciando i trepidi ruscelli
a sciorre il
freddo giaccio in tiepide onde,
e i prati di
nuove erbe, e gli arbuscelli
a rivestirsi
di tenera fronde;
ragunò
il re Agramante tutti quelli
che seguian
le fortune sue seconde,
per farsi
rassegnar l'armata torma;
indi alle
cose sue dar miglior forma.
73
A questo
effetto il re di Tremisenne
con quel de
la Norizia ne venìa,
per là
giungere a tempo, ove si tenne
poi conto
d'ogni squadra o buona o ria.
Orlando a
caso ad incontrar si venne
(come io v'ho
detto) in questa compagnia,
cercando pur
colei, come egli era uso,
che nel
carcer d'Amor lo tenea chiuso.
74
Come Alzirdo
appressar vide quel conte
che di valor
non avea pari al mondo,
in tal
sembiante, in sì superba fronte,
che 'l dio de
l'arme a lui parea secondo;
restò
stupito alle fattezze conte,
al fiero
sguardo, al viso furibondo:
e lo
stimò guerrier d'alta prodezza;
ma ebbe del
provar troppa vaghezza.
75
Era giovane
Alzirdo, ed arrogante
per molta
forza, e per gran cor pregiato.
Per giostrar
spinse il suo cavallo inante:
meglio per
lui, se fosse in schiera stato;
che ne lo
scontro il principe d'Anglante
lo fe' cader
per mezzo il cor passato.
Giva in fuga
il destrier di timor pieno,
che su non
v'era chi reggesse il freno.
76
Levasi un
grido subito ed orrendo,
che
d'ogn'intorno n'ha l'aria ripiena,
come si vede
il giovene, cadendo,
spicciar il
sangue di sì larga vena.
La turba
verso il conte vien fremendo
disordinata,
e tagli e punte mena;
ma quella
è più, che con pennuti dardi
tempesta il
fior dei cavallier gagliardi.
77
Con qual
rumor la setolosa frotta
correr da
monti suole o da campagne,
se 'l lupo
uscito di nascosa grotta,
o l'orso
sceso alle minor montagne,
un tener
porco preso abbia talotta,
che con
grugnito e gran stridor si lagne;
con tal lo
stuol barbarico era mosso
verso il
conte, gridando: - Addosso, addosso! -
78
Lance, saette
e spade ebbe l'usbergo
a un tempo
mille, e lo scudo altretante:
chi gli
percuote con la mazza il tergo,
chi minaccia
da lato, e chi davante.
Ma quel,
ch'al timor mai non diede albergo,
estima la vil
turba e l'arme tante,
quel che
dentro alla mandra, all'aer cupo,
il numer de
l'agnelle estimi il lupo.
79
Nuda avea in
man quella fulminea spada
che posti ha
tanti Saracini a morte:
dunque chi
vuol di quanta turba cada
tenere il
conto, ha impresa dura e forte.
Rossa di
sangue già correa la strada,
capace a pena
a tante genti morte;
perché né
targa né capel difende
la fatal
Durindana, ove discende,
80
né vesta
piena di cotone, o tele
che
circondino il capo in mille vòlti.
Non pur per
l'aria gemiti e querele,
ma volan
braccia e spalle e capi sciolti.
Pel campo
errando va Morte crudele
in molti,
vari, e tutti orribil volti;
e tra sé
dice: - In man d'Orlando valci
Durindana per
cento de mie falci. -
81
Una percossa
a pena l'altra aspetta.
Ben tosto
cominciar tutti a fuggire;
e quando
prima ne veniano in fretta
(perch'era
sol, credeanselo inghiottire),
non è
chi per levarsi de la stretta
l'amico
aspetti, e cerchi insieme gire:
chi fugge a
piedi in qua, chi colà sprona;
nessun
domanda se la strada è buona.
82
Virtude
andava intorno con lo speglio
che fa veder
ne l'anima ogni ruga:
nessun vi si
mirò, se non un veglio
a cui il
sangue l'età, non l'ardir, sciuga.
Vide costui
quanto il morir sia meglio,
che con suo
disonor mettersi in fuga:
dico il re di
Norizia; onde la lancia
arrestò
contra il paladin di Francia.
83
E la roppe
alla penna de lo scudo
del fiero
conte, che nulla si mosse.
Egli ch'avea
alla posta il brando nudo,
re Manilardo
al trapassar percosse.
Fortuna
l'aiutò; che 'l ferro crudo
in man
d'Orlando al venir giù voltosse:
tirare i
colpi a filo ognor non lece;
ma pur di
sella stramazzar lo fece.
84
Stordito de
l'arcion quel re stramazza:
non si
rivolge Orlando a rivederlo;
che gli altri
taglia, tronca, fende, amazza;
a tutti pare
in su le spalle averlo.
Come per
l'aria, ove han sì larga piazza,
fuggon li
storni da l'audace smerlo,
così
di quella squadra ormai disfatta
altri cade,
altri fugge, altri s'appiatta.
85
Non
cessò pria la sanguinosa spada,
che fu di
viva gente il campo voto.
Orlando
è in dubbio a ripigliar la strada,
ben che gli
sia tutto il paese noto.
O da man
destra o da sinistra vada,
il pensier da
l'andar sempre è remoto:
d'Angelica
cercar, fuor ch'ove sia,
teme, e di
far sempre contraria via.
86
Il suo camin
(di lei chiedendo spesso)
or per li
campi or per le selve tenne:
e sì
come era uscito di se stesso,
uscì
di strada; e a piè d'un monte venne,
dove la notte
fuor d'un sasso fesso
lontan vide
un splendor batter le penne.
Orlando al
sasso per veder s'accosta,
se quivi
fosse Angelica reposta.
87
Come nel
bosco de l'umil ginepre,
o ne la
stoppia alla campagna aperta,
quando si
cerca la paurosa lepre
per
traversati solchi e per via incerta,
si va ad ogni
cespuglio, ad ogni vepre,
se per
ventura vi fosse coperta;
così
cercava Orlando con gran pena
la donna sua,
dove speranza il mena.
88
Verso quel
raggio andando in fretta il conte,
giunse ove ne
la selva si diffonde
da l'angusto
spiraglio di quel monte,
ch'una capace
grotta in sé nasconde;
e trova
inanzi ne la prima fronte
spine e
virgulti, come mura e sponde,
per celar
quei che ne la grotta stanno,
da chi far
lor cercasse oltraggio e danno.
89
Di giorno
ritrovata non sarebbe,
ma la facea
di notte il lume aperta.
Orlando pensa
ben quel ch'esser debbe;
pur vuol
saper la cosa anco più certa.
Poi che
legato fuor Brigliadoro ebbe,
tacito viene
alla grotta coperta:
e fra li
spessi rami ne la buca
entra, senza
chiamar chi l'introduca.
90
Scende la
tomba molti gradi al basso,
dove la viva
gente sta sepolta.
Era non poco
spazioso il sasso
tagliato a
punte di scarpelli in volta;
né di luce
diurna in tutto casso,
ben che
l'entrata non ne dava molta;
ma ve ne
venìa assai da una finestra
che sporgea
in un pertugio da man destra.
91
In mezzo la
spelonca, appresso a un fuoco,
era una donna
di giocondo viso;
quindici anni
passar dovea di poco,
quanto fu al
conte, al primo sguardo, aviso:
ed era bella
sì, che facea il loco
salvatico
parere un paradiso;
ben ch'avea
gli occhi di lacrime pregni,
del cor
dolente manifesti segni.
92
V'era una
vecchia; e facean gran contese
(come uso
feminil spesso esser suole),
ma come il
conte ne la grotta scese,
finiron le
dispùte e le parole.
Orlando a
salutarle fu cortese
(come con
donne sempre esser si vuole),
ed elle si
levaro immantinente,
e lui
risalutar benignamente.
93
Gli è
ver che si smarriro in faccia alquanto,
come
improviso udiron quella voce,
e insieme
entrare armato tutto quanto
vider
là dentro un uom tanto feroce.
Orlando
domandò qual fosse tanto
scortese,
ingiusto, barbaro ed atroce,
che ne la
grotta tenesse sepolto
un sì
gentile ed amoroso volto.
94
La vergine a
fatica gli rispose,
interrotta da
fervidi signiozzi,
che dai
coralli e da le preziose
perle uscir
fanno i dolci accenti mozzi.
Le lacrime
scendean tra gigli e rose,
là
dove avien ch'alcuna se n'inghiozzi.
Piacciavi
udir ne l'altro canto il resto,
Signor, che
tempo è ormai di finir questo.
1
Ben furo
aventurosi i cavallieri
ch'erano a
quella età, che nei valloni,
ne le scure
spelonche e boschi fieri,
tane di
serpi, d'orsi e di leoni,
trovavan quel
che nei palazzi altieri
a pena or
trovar puon giudici buoni:
donne, che ne
la lor più fresca etade
sien degne
d'aver titol di beltade.
2
Di sopra vi
narrai che ne la grotta
avea trovato
Orlando una donzella,
e che la
dimandò ch'ivi condotta
l'avesse: or
seguitando, dico ch'ella,
poi che
più d'un signiozzo l'ha interrotta,
con dolce e
suavissima favella
al conte fa
le sue sciagure note,
con quella
brevità che meglio puote.
3
- Ben che io
sia certa (dice), o cavalliero,
ch'io
porterò del mio parlar supplizio,
perché a
colui che qui m'ha chiusa, spero
che costei ne
darà subito indizio;
pur son
disposta non celarti il vero,
e vada la mia
vita in precipizio.
E ch'aspettar
poss'io da lui più gioia,
che 'l si
disponga un dì voler ch'io muoia?
4
Isabella sono
io, che figlia fui
del re mal
fortunato di Gallizia.
Ben dissi
fui; ch'or non son più di lui,
ma di dolor,
d'affanno e di mestizia.
Colpa d'Amor;
ch'io non saprei di cui
dolermi
più che de la sua nequizia,
che
dolcemente nei principi applaude,
e tesse di
nascosto inganno e fraude.
5
Già mi
vivea di mia sorte felice,
gentil,
giovane, ricca, onesta e bella:
vile e povera
or sono, or infelice;
e s'altra
è peggior sorte, io sono in quella.
Ma voglio
sappi la prima radice
che produsse
quel mal che mi flagella;
e ben
ch'aiuto poi da te non esca,
poco non mi
parrà, che te n'incresca.
6
Mio patre fe'
in Baiona alcune giostre,
esser denno
oggimai dodici mesi.
Trasse la
fama ne le terre nostre
cavallieri a
giostrar di più paesi.
Fra gli altri
(o sia ch'Amor così mi mostre,
o che
virtù pur se stessa palesi)
mi parve da
lodar Zerbino solo,
che del gran
re di Scozia era figliuolo.
7
Il qual poi
che far pruove in campo vidi
miracolose di
cavalleria,
fui presa del
suo amore; e non m'avidi,
ch'io mi
conobbi più non esser mia.
E pur, ben
che 'l suo amor così mi guidi,
mi giova
sempre avere in fantasia
ch'io non
misi il mio core in luogo immondo,
ma nel
più degno e bel ch'oggi sia al mondo.
8
Zerbino di
bellezza e di valore
sopra tutti i
signori era eminente.
Mostrammi, e
credo mi portasse amore,
e che di me
non fosse meno ardente.
Non ci
mancò chi del commune ardore
interprete
fra noi fosse sovente,
poi che di
vista ancor fummo disgiunti;
che gli animi
restar sempre congiunti.
9
Però
che dato fine alla gran festa,
Il mio
Zerbino in Scozia fe' ritorno.
Se sai che
cosa è amor, ben sai che mesta
restai, di
lui pensando notte e giorno;
ed era certa
che non men molesta
fiamma
intorno al suo cor facea soggiorno.
Egli non fece
al suo disio più schermi,
se non che
cercò via di seco avermi.
10
E perché
vieta la diversa fede
(essendo egli
cristiano, io saracina)
ch'al mio
padre per moglie non mi chiede,
per furto
indi levarmi si destina.
Fuor de la
ricca mia patria, che siede
tra verdi
campi allato alla marina,
aveva un bel
giardin sopra una riva,
che colli
intorno e tutto il mar scopriva.
11
Gli parve il
luogo a fornir ciò disposto,
che la
diversa religion ci vieta;
e mi fa saper
l'ordine che posto
avea di far
la nostra vita lieta.
Appresso a
Santa Marta avea nascosto
con gente
armata una galea secreta,
in guardia
d'Odorico di Biscaglia,
in mare e in
terra mastro di battaglia.
12
Né potendo in
persona far l'effetto,
perch'egli
allora era dal padre antico
a dar
soccorso al re di Framcia astretto,
manderia in
vece sua questo Odorico,
che fra tutti
i fedeli amici eletto
s'avea pel
più fedele e pel più amico:
e bene esser
dovea, se i benefici
sempre hanno
forza d'acquistar gli amici.
13
Verria costui
sopra un navilio armato,
al terminato
tempo indi a levarmi.
E così
venne il giorno disiato,
che dentro il
mio giardin lasciai trovarmi.
Odorico la
notte, accompagnato
di gente
valorosa all'acqua e all'armi,
smontò
ad un fiume alla città vicino,
e venne
chetamente al mio giardino.
14
Quindi fui
tratta alla galea spalmata,
prima che la
città n'avesse avisi.
De la
famiglia ignuda e disarmata
altri
fuggiro, altri restaro uccisi,
parte captiva
meco fu menata.
Così
da la mia terra io mi divisi,
con quanto
gaudio non ti potrei dire,
sperando in
breve il mio Zerbin fruire.
15
Voltati sopra
Mongia eramo a pena,
quando ci
assalse alla sinistra sponda
un vento che
turbò l'aria serena,
e
turbò il mare, e al ciel gli levò l'onda.
Salta un
maestro ch'a traverso mena,
e cresce ad
ora ad ora, e soprabonda;
e cresce e
soprabonda con tal forza,
che val poco
alternar poggia con orza.
16
Non giova
calar vele, e l'arbor sopra
corsia legar,
né ruinar castella;
che ci
veggian mal grado portar sopra
acuti scogli,
appresso alla Rocella.
Se non ci
aiuta quel che sta di sopra,
ci spinge in
terra la crudel procella.
Il vento rio
ne caccia in maggior fretta,
che d'arco
mai non si aventò saetta.
17
Vide il
periglio il Biscaglino, e a quello
usò un
rimedio che fallir suol spesso:
ebbe ricorso
subito al battello;
calossi, e me
calar fece con esso.
Sceser dui
altri, e ne scendea un drappello,
se i primi
scesi l'avesser concesso;
ma con le
spade li tenner discosto,
tagliar la
fune, e ci allargammo tosto.
18
Fummo gittati
a salvamento al lito
noi che nel
palischermo eramo scesi;
periron gli
altri col legno sdrucito;
in preda al
mare andar tutti gli arnesi.
All'eterna
Bontade, all'infinito
Amor,
rendendo grazie, le man stesi,
che non
m'avessi dal furor marino
lasciato tor
di riveder Zerbino.
19
Come ch'io
avessi sopra il legno e vesti
lasciato e
gioie e l'altre cose care,
pur che la
speme di Zerbin mi resti,
contenta son
che s'abbi il resto il mare.
Non sono, ove
scendemo, i liti pesti
d'alcun
sentier, né intorno albergo appare;
ma solo il
monte, al qual mai sempre fiede
l'ombroso
capo il vento, e 'l mare il piede.
20
Quivi il
crudo tiranno Amor, che sempre
d'ogni
promessa sua fu disleale,
e sempre
guarda come involva e stempre
ogni nostro
disegno razionale,
mutò
con triste e disoneste tempre
mio conforto
in dolor, mio bene in male;
che
quell'amico, in chi Zerbin si crede,
di desire
arse, ed agghiacciò di fede.
21
O che
m'avesse in mar bramata ancora,
né fosse
stato a dimostrarlo ardito,
o cominciassi
il desiderio allora
che l'agio
v'ebbe dal solingo lito;
disegnò
quivi senza più dimora
condurre a
fin l'ingordo suo appetito;
ma prima da
sé torre un de li dui
che nel
battel campati eran con nui.
22
Quell'era omo
di Scozia, Almonio detto,
che mostrava
a Zerbin portar gran fede;
e commendato
per guerrier perfetto
da lui fu,
quando ad Odorico il diede.
Disse a
costui, che biasmo era e difetto,
se mi traeano
alla Rocella a piede;
e lo
pregò ch'inanti volesse ire
a farmi
incontra alcun ronzin venire.
23
Almonio, che
di ciò nulla temea,
immantinente
inanzi il camin piglia
alla
città che 'l bosco ci ascondea,
e non era
lontana oltra sei miglia.
Odorico
scoprir sua voglia rea
all'altro
finalmente si consiglia;
sì
perché tor non se lo sa d'appresso,
sì
perché avea gran confidenza in esso.
24
Era Corebo di
Bilbao nomato
quel di ch'io
parlo, che con noi rimase;
che da
fanciullo picciolo allevato
s'era con lui
ne le medesme case.
Poter con lui
communicar l'ingrato
pensiero il
traditor si persuase,
sperando
ch'ad amar saria più presto
il piacer de
l'amico, che l'onesto.
25
Corebo, che
gentile era e cortese,
non lo
potè ascoltar senza gran sdegno:
lo chiamò
traditore, e gli contese
con parole e
con fatti il rio disegno.
Grande ira
all'uno e all'altro il core accese,
e con le
spade nude ne fer segno.
Al trar de'
ferri, io fui da la paura
volta a
fuggir per l'alta selva oscura.
26
Odorico, che
maestro era di guerra,
in pochi
colpi a tal vantaggio venne,
che per morto
lasciò Corebo in terra,
e per le mie
vestigie il camin tenne.
Prestògli
Amor (se 'l mio creder non erra),
acciò
potesse giungermi, le penne;
e
gl'insegnò molte lusinghe e prieghi,
con che ad
amarlo e compiacer mi pieghi.
27
Ma tutto
è indarno; che fermata e certa
più
tosto era a morir, ch'a satisfarli.
Poi ch'ogni
priego, ogni lusinga esperta
ebbe e
minacce, e non potean giovarli,
si ridusse
alla forza a faccia aperta.
Nulla mi val
che supplicando parli
de la fé
ch'avea in lui Zerbino avuta,
e ch'io ne le
sue man m'era creduta.
28
Poi che
gittar mi vidi i prieghi invano,
né mi sperare
altronde altro soccorso,
e che
più sempre cupido e villano
a me
venìa, come famelico orso;
io mi difesi
con piedi e con mano,
ed adopra'vi
sin a l'ugne e il morso:
pela'gli il
mento, e gli graffiai la pelle,
con stridi
che n'andavano alle stelle.
29
Non so se
fosse caso, o li miei gridi
che si
doveano udir lungi una lega,
o pur
ch'usati sian correre ai lidi
quando
navilio alcun si rompe o anniega;
sopra il
monte una turba apparir vidi,
e questa al
mare e verso noi si piega.
Come la vede
il Biscaglin venire,
lascia
l'impresa, e voltasi a fuggire.
30
Contra quel
disleal mi fu adiutrice
questa turba,
signor; ma a quella image
che sovente
in proverbio il vulgo dice:
cader de la
padella ne le brage.
Gli è
ver ch'io non son stata sì infelice,
né le lor
menti ancor tanto malvage,
ch'abbino
violata mia persona:
non che sia
in lor virtù, né cosa buona.
31
Ma perché se
mi serban, come io sono,
vergine,
speran vendermi più molto.
Finito
è il mese ottavo e viene il nono,
che fu il mio
vivo corpo qui sepolto.
Del mio
Zerbino ogni speme abbandono;
che
già, per quanto ho da lor detti accolto,
m'han
promessa e venduta a un mercadante,
che portare
al soldan mi de' in Levante. -
32
Così
parlava la gentil donzella;
e spesso con
signiozzi e con sospiri
interrompea
l'angelica favella,
da muovere a
pietade aspidi e tiri.
Mentre sua
doglia così rinovella,
o forse
disacerba i suoi martiri,
da venti
uomini entrar ne la spelonca,
armati chi di
spiedo e chi di ronca.
33
Il primo
d'essi, uom di spietato viso,
ha solo un
occhio, e sguardo scuro e bieco;
l'altro, d'un
colpo che gli avea reciso
il naso e la
mascella, è fatto cieco.
Costui
vedendo il cavalliero assiso
con la
vergine bella entro allo speco,
volto a'
compagni, disse: - Ecco augel nuovo,
a cui non
tesi, e ne la rete il truovo. -
34
Poi disse al
conte: - Uomo non vidi mai
più
commodo di te, né più opportuno.
Non so se ti
se' apposto, o se lo sai
perché te
l'abbia forse detto alcuno,
che sì
bell'arme io desiava assai,
e questo tuo
leggiadro abito bruno.
Venuto a
tempo veramente sei,
per riparare
agli bisogni miei. -
35
Sorrise
amaramente, in piè salito,
Orlando, e
fe' risposta al mascalzone:
- Io ti
venderò l'arme ad un partito
che non ha
mercadante in sua ragione. -
Del fuoco,
ch'avea appresso, indi rapito
pien di fuoco
e di fumo uno stizzone,
trasse, e
percosse il malandrino a caso,
dove confina
con le ciglia il naso.
36
Lo stizzone
ambe le palpebre colse,
ma maggior
danno fe' ne la sinistra;
che quella
parte misera gli tolse,
che de la
luce sola, era ministra.
Né
d'acciecarlo contentar si volse
il colpo
fier, s'ancor non lo registra
tra quelli
spirti che con suoi compagni
fa star
Chiron dentro ai bollenti stagni.
37
Ne la
spelonca una gran mensa siede
grossa duo
palmi, e spaziosa in quadro,
che sopra un
mal pulito e grosso piede,
cape con
tutta la famiglia il ladro.
Con
quell'agevolezza che si vede
gittar la
canna lo Spagnuol leggiadro,
Orlando il
grave desco da sé scaglia
dove
ristretta insieme è la canaglia.
38
A chi'l
petto, a chi'l ventre, a chi la testa,
a chi rompe
le gambe, a chi le braccia;
di ch'altri
muore, altri storpiato resta:
chi meno
è offeso, di fuggir procaccia.
Così
talvolta un grave sasso pesta
e fianchi e
lombi, e spezza capi e schiaccia,
gittato sopra
un gran drapel di biscie,
che dopo il
verno al sol si goda e liscie.
39
Nascono casi,
e non saprei dir quanti:
una muore,
una parte senza coda,
un'altra non
si può muover davanti,
e 'l deretano
indarno aggira e snoda;
un'altra,
ch'ebbe più propizi i santi,
striscia fra
l'erbe, e va serpendo a proda.
Il colpo
orribil fu, ma non mirando,
poi che lo
fece il valoroso Orlando.
40
Quei che la
mensa o nulla o poco offese
(e Turpin
scrive a punto che fur sette),
ai piedi
raccomandan sue difese:
ma ne
l'uscita il paladin si mette;
e poi che
presi gli ha senza contese,
le man lor
lega con la fune istrette,
con una fune
al suo bisogno destra,
che
ritrovò ne la casa silvestra.
41
Poi li
trascina fuor de la spelonca,
dove facea
grande ombra un vecchio sorbo.
Orlando con
la spada i rami tronca,
e quelli
attacca per vivanda al corbo.
Non
bisognò catena in capo adonca;
che per
purgare il mondo di quel morbo,
l'arbor
medesmo gli uncini prestolli,
con che pel
mento Orlando ivi attaccolli.
42
La donna
vecchia, amica a' malandrini,
poi che
restar tutti li vide estinti,
fuggì
piangendo e con le mani ai crini,
per selve e
boscherecci labirinti.
Dopo aspri e
malagevoli camini,
a gravi passi
e dal timor sospinti,
in ripa un
fiume in un guerrier scontrosse;
ma diferisco
a ricontar chi fosse:
43
e torno
all'altra, che si raccomanda
al paladin
che non la lasci sola;
e dice di
seguirlo in ogni banda.
Cortesemente
Orlando la consola;
e quindi, poi
ch'uscì con la ghirlanda
di rose
adorna e di purpurea stola
la bianca
Aurora al solito camino,
partì
con Isabella il paladino.
44
Senza trovar
cosa che degna sia
d'istoria,
molti giorni insieme andaro;
e finalmente
un cavallier per via,
che prigione
era tratto, riscontraro.
chi fosse,
dirò poi; ch'or me ne svia
tal, di chi
udir non vi sarà men caro:
la figliuola
d'Amon, la qual lasciai
languida
dianzi in amorosi guai.
45
La bella
donna, disiando invano
ch'a lei
facesse il suo Ruggier ritorno,
stava a
Marsilia, ove allo stuol pagano
dava da
travagliar quasi ogni giorno;
il qual
scorrea, rubando in monte e in piano,
per
Linguadoca e per Provenza intorno:
ed ella ben
facea l'ufficio vero
di savio duca
e d'ottimo guerriero.
46
Standosi
quivi, e di gran spazio essendo
passato il
tempo che tornare a lei
il suo
Ruggier dovea, né lo vedendo,
vivea in
timor di mille casi rei.
Un dì
fra gli altri, che di ciò piangendo
stava
solinga, le arrivò colei
che
portò ne l'annel la medicina
che
sanò il cor ch'avea ferito Alcina.
47
Come a sé
ritornar senza il suo amante,
dopo si lungo
termine, la vede,
resta pallida
e smorta, e sì tremante,
che non ha
forza di tenersi in piede:
ma la maga
gentil le va davante
ridendo, poi
che del timor s'avede;
e con viso
giocondo la conforta,
qual aver
suol chi buone nuove apporta.
48
- Non temer
(disse) di Ruggier, donzella,
ch'è
vivo e sano, e come suol, t'adora;
ma non
è già in sua libertà; che quella
pur gli ha
levata il tuo nemico ancora:
ed è
bisogno che tu monti in sella,
se brami
averlo, e che mi segui or ora;
che se mi
segui, io t'aprirò la via
donde per te
Ruggier libero fia. -
49
E
seguitò, narrandole di quello
magico error
che gli avea ordito Atlante:
che simulando
d'essa il viso bello,
che captiva
parea del rio gigante,
tratto l'avea
ne l'incantato ostello,
dove sparito
poi gli era davante;
e come tarda
con simile inganno
le donne e i
cavallier che di là vanno.
50
A tutti par,
l'incantator mirando,
mirar quel
che per sé brama ciascuno,
donna,
scudier, compagno, amico; quando
il desiderio
uman non è tutto uno.
Quindi il
palagio van tutti cercando
con lungo
affanno, senza frutto alcuno;
e tanta
è la speranza e il gran disire
del ritrovar,
che non ne san partire.
51
Come tu
giungi (disse) in quella parte
che giace
presso all'incantata stanza,
verrà
l'incantatore a ritrovarte,
che
terrà di Ruggiero ogni sembianza;
e ti
farà parer con sua mal'arte,
ch'ivi lo
vinca alcun di più possanza,
acciò
che tu per aiutarlo vada
dove con gli
altri poi ti tenga a bada.
52
Acciò
l'inganni, in che son tanti e tanti
caduti, non
ti colgan, sie avertita,
che se ben di
Ruggier viso e sembianti
ti
parrà di veder, che chieggia aita,
non gli dar
fede tu; ma, come avanti
ti vien,
fagli lasciar l'indegna vita:
né dubitar
perciò che Ruggier muoia,
ma ben colui
che ti dà tanta noia.
53
Ti
parrà duro assai, ben lo conosco,
uccidere un
che sembri il tuo Ruggiero:
pur non dar
fede all'occhio tuo, che losco
farà
l'incanto, e celeragli il vero.
Fermati, pria
ch'io ti conduca al bosco,
sì che
poi non si cangi il tuo pensiero;
che sempre di
Ruggier rimarrai priva,
se lasci per
viltà che 'l mago viva. -
54
La valorosa
giovane, con questa
intenzion che
'l fraudolente uccida,
a pigliar
l'arme ed a seguire è presta
Melissa; che
sa ben quanto l'è fida.
Quella, or
per terren culto, or per foresta,
a gran
giornate e in gran fretta la guida,
cercando
alleviarle tuttavia
con parlar
grato la noiosa via.
55
E più
di tutti i bei ragionamenti,
spesso le
ripetea ch'uscir di lei
e di Ruggier
doveano gli eccellenti
principi e
gloriosi semidei.
Come a
Melissa fossino presenti
tutti i
secreti degli eterni dei,
tutte le cose
ella sapea predire,
ch'avean per
molti seculi a venire.
56
- Deh, come,
o prudentissima mia scorta
(dicea a la
maga l'inclita donzella),
molti anni
prima tu m'hai fatta accorta
di tanta mia
viril progenie bella;
così
d'alcuna donna mi conforta,
che di mia
stirpe sia, s'alcuna in quella
metter si
può tra belle e virtuose. -
E la cortese
maga le rispose:
57
- Da te uscir
veggio le pudiche donne,
madri
d'imperatori e di gran regi,
reparatrici e
solide colonne
di case
illustri e di domìni egregi;
che men degne
non son ne le lor gonne,
ch'in arme i
cavallier, di sommi pregi,
di
pietà, di gran cor, di gran prudenza,
di somma e
incomparabil continenza.
58
E s'io
avrò da narrarti di ciascuna
che ne la
stirpe tua sia d'onor degna,
troppo
sarà; ch'io non ne veggio alcuna
che passar
con silenzio mi convegna.
Ma ti
farò, tra mille, scelta d'una
o di due
coppie, acciò ch'a fin ne vegna.
Ne la
spelonca perché nol dicesti?
che l'imagini
ancor vedute avresti.
59
De la tua
chiara stirpe uscirà quella
d'opere illustri
e di bei studi amica,
ch'io non so
ben se più leggiadra e bella
mi debba
dire, o più saggia e pudica,
liberale e
magnanima Isabella,
che del bel
lume suo dì e notte aprica
farà
la terra che sul Menzo siede,
a cui la
madre d'Ocno il nome diede:
60
dove onorato
e splendido certame
avrà
col suo dignissimo consorte,
chi di lor
più le virtù prezzi ed ame,
e chi meglio
apra a cortesia le porte.
S'un
narrerà ch'al Taro e nel Reame
fu a liberar
da' Galli Italia forte;
l'altra
dirà: - Sol perché casta visse
Penelope, non
fu minor d'Ulisse. -
61
Gran cose e
molte in brevi detti accolgo
di questa
donna e più dietro ne lasso,
che in quelli
dì ch'io mi levai dal volgo,
mi fe' chiare
Merlin dal cavo sasso.
E s'in questo
gran mar la vela sciolgo,
di lunga Tifi
in navigar trapasso.
Conchiudo in
somma, ch'ella avrà, per dono,
de la
virtù e del ciel, ciò ch'è di buono.
62
Seco
avrà la sorella Beatrice,
a cui si
converrà tal nome a punto:
ch'essa non
sol del ben che qua giù lice,
per quel che
viverà, toccherà il punto;
ma
avrà forza di far seco felice,
fra tutti i
ricchi duci, il suo congiunto,
il qual, come
ella poi lascerà il mondo,
così
de l'infelici andrà nel fondo.
63
E Moro e
Sforza e Viscontei colubri,
lei viva,
formidabili saranno
da
l'iperboree nievi ai lidi rubri,
da l'Indo ai
monti ch'al tuo mar via danno:
lei morta,
andran col regno degl'Insubri,
e con grave
di tutta Italia danno,
in servitute;
e fia stimata, senza
costei,
ventura la somma prudenza.
64
Vi saranno
altre ancor, ch'avranno il nome
medesmo, e
nasceran molt'anni prima:
di ch'una
s'ornerà le sacre chiome
de la corona
di Pannonia opima;
un'altra, poi
che le terrene some
lasciate
avrà, fia ne l'ausonio clima
collocata nel
numer de le dive,
ed
avrà incensi e imagini votive.
65
De l'altre
tacerò; che, come ho detto,
lungo sarebbe
a ragionar di tante;
ben che per
sé ciascuna abbia suggetto
degno,
ch'eroica e chiara tuba cante.
Le Bianche,
le Lucrezie io terrò in petto,
e le Costanze
e l'altre, che di quante
splendide
case Italia reggeranno,
reparatrici e
madri ad esser hanno.
66
Più
ch'altre fosser mai, le tue famiglie
saran ne le
lor donne aventurose;
non dico in
quella più de le lor figlie,
che ne l'alta
onestà de le lor spose.
E
acciò da te notizia anco si piglie
di questa
parte che Merlin mi espose,
forse
perch'io 'l dovessi a te ridire,
ho di
parlarne non poco desire.
67
E dirò
prima di Ricciarda, degno
esempio di
fortezza e d'onestade:
vedova
rimarrà, giovane, a sdegno
di Fortuna;
il che spesso ai buoni accade.
I figli,
privi del paterno regno,
esuli andar
vedrà in strane contrade,
fanciulli in
man degli aversari loro;
ma infine
avrà il suo male amplo ristoro.
68
De l'alta
stirpe d'Aragone antica
non
tacerò la splendida regina,
di cui né
saggia sì, né sì pudica
veggio
istoria lodar greca o latina,
né a cui
Fortuna più si mostri amica:
poi che
sarà da la Bontà divina
elletta madre
a parturir la bella
progenie,
Alfonso, Ippolito e Isabella.
69
Costei
sarà la saggia Leonora,
che nel tuo
felice arbore s'inesta.
Che ti
dirò de la seconda nuora,
succeditrice
prossima di questa?
Lucrezia
Borgia, di cui d'ora in ora
le
beltà, la virtù, la fama onesta
e la fortuna
crescerà, non meno
che giovin
pianta in morbido terreno.
70
Qual lo
stagno all'argento, il rame all'oro,
il campestre
papavero alla rosa,
pallido salce
al sempre verde alloro,
dipinto vetro
a gemma preziosa;
tal a costei,
ch'ancor non nata onoro,
sarà
ciascuna insino a qui famosa
di singular
beltà, di gran prudenza,
e d'ogni
altra lodevole eccellenza.
71
E sopra tutti
gli altri incliti pregi
che le
saranno e a viva e a morta dati,
si
loderà che di costumi regi
Ercole e gli
altri figli avrà dotati,
e dato gran
principio ai ricchi fregi
di che poi
s'orneranno in toga e armati;
perché l'odor
non se ne va sì in fretta,
ch'in nuovo
vaso, o buono o rio, si metta.
72
Non voglio
ch'in silenzio anco Renata
di Francia,
nuora di costei, rimagna,
di Luigi il
duodecimo re nata,
e de l'eterna
gloria di Bretagna.
Ogni
virtù ch'in donna mai sia stata,
di poi che 'l
fuoco scalda e l'acqua bagna,
e gira
intorno il cielo, insieme tutta
per Renata
adornar veggio ridutta.
73
Lungo
sarà che d'Alda di Sansogna
narri, o de
la contessa di Celano,
o di Bianca
Maria di Catalogna,
o de la
figlia del re sicigliano,
o de la bella
Lippa da Bologna,
e d'altre;
che s'io vo' di mano in mano
venirtene
dicendo le gran lode,
entro in un
alto mar che non ha prode. -
74
Poi che le
raccontò la maggior parte
de la futura
stirpe a suo grand'agio,
più
volte e più le replicò de l'arte
ch'avea
tratto Ruggier dentro al palagio.
Melissa si
fermò, poi che fu in parte
vicina al
luogo del vecchio malvagio;
e non le
parve di venir più inante,
acciò
veduta non fosse da Atlante.
75
E la donzella
di nuovo consiglia
di quel che
mille volte ormai l'ha detto.
La lascia
sola; e quella oltre a dua miglia
non
cavalcò per un sentiero istretto,
che vide quel
ch'al suo Ruggier simiglia;
e dui giganti
di crudele aspetto
intorno avea,
che lo stringean sì forte,
ch'era vicino
esser condotto a morte.
76
Come la donna
in tal periglio vede
colui che di
Ruggiero ha tutti i segni,
subito cangia
in sospizion la fede,
subito oblia
tutti i suoi bei disegni.
Che sia in
odio a Melissa Ruggier crede,
per nuova
ingiuria e non intesi sdegni,
e cerchi far
con disusata trama
che sia morto
da lei che così l'ama.
77
Seco dicea: -
Non è Ruggier costui,
che col cor
sempre, ed or con gli occhi veggio?
e s'or non
veggio e non conosco lui,
che mai veder
o mai conoscer deggio?
perché voglio
io de la credenza altrui
che la veduta
mia giudichi peggio?
Che senza gli
occhi ancor, sol per se stesso
può il
cor sentir se gli è lontano o appresso. -
78
Mentre che
così pensa, ode la voce
che le par di
Ruggier, chieder soccorso;
e vede quello
a un tempo, che veloce
sprona il
cavallo e gli ralenta il morso,
e l'un nemico
e l'altro suo feroce,
che lo segue
e lo caccia a tutto corso.
Di lor seguir
la donna non rimase,
che si
condusse all'incantate case.
79
De le quai
non più tosto entrò le porte,
che fu
sommersa nel commune errore.
Lo
cercò tutto per vie dritte e torte
invan di su e
di giù, dentro e di fuore;
né cessa
notte o dì, tanto era forte
l'incanto: e
fatto avea l'incantatore,
che Ruggier
vede sempre e gli favella,
né Ruggier lei,
né lui riconosce ella.
80
Ma
lasciàn Bradamante, e non v'incresca
udir che
così resti in quello incanto;
che quando
sarà il tempo ch'ella n'esca,
la
farò uscire, e Ruggiero altretanto.
Come raccende
il gusto il mutar esca,
così
mi par che la mia istoria, quanto
or qua or
là più variata sia,
meno a chi
l'udirà noiosa fia.
81
Di molte fila
esser bisogno parme
a condur la
gran tela ch'io lavoro.
E però
non vi spiaccia d'ascoltarme,
come fuor de
le stanze il popul Moro
davanti al re
Agramante ha preso l'arme,
che, molto
minacciando ai Gigli d'oro,
lo fa
assembrare ad una mostra nuova,
per saper
quanta gente si ritruova.
82
Perch'oltre i
cavallieri, oltre i pedoni
ch'al numero
sottratti erano in copia,
mancavan
capitani, e pur de' buoni,
e di Spagna e
di Libia e d'Etiopia,
e le diverse
squadre e le nazioni
givano
errando senza guida propia;
per dare e
capo ed ordine a ciascuna,
tutto il
campo alla mostra si raguna.
83
In
supplimento de le turbe uccise
ne le
battaglie e ne' fieri conflitti,
l'un signore
in Ispagna, e l'altro mise
in Africa,
ove molti n'eran scritti;
e tutti alli
lor ordini divise,
e sotto i
duci lor gli ebbe diritti.
Differirò,
Signor, con grazia vostra,
ne l'altro
canto l'ordine e la mostra.
1
Nei molti
assalti e nei crudel conflitti,
ch'avuti avea
con Francia, Africa e Spagna,
morti erano
infiniti, e derelitti
al lupo, al
corvo, all'aquila griffagna;
e ben che i
Franchi fossero più afflitti,
che tutta
avean perduta la campagna;
più si
doleano i Saracin, per molti
principi e
gran baron ch'eran lor tolti.
2
Ebbon
vittorie così sanguinose,
che lor poco
avanzò di che allegrarsi.
E se alle
antique le moderne cose,
invitto
Alfonso, denno assimigliarsi;
la gran
vittoria, onde alle virtuose
opere vostre
può la gloria darsi,
di ch'aver
sempre lacrimose ciglia
Ravenna
debbe, a queste s'assimiglia:
3
quando
cedendo Morini e Picardi,
l'esercito
normando e l'aquitano,
voi nel mezzo
assaliste gli stendardi
del quasi
vincitor nimico ispano,
seguendo voi
quei gioveni gagliardi,
che meritar
con valorosa mano
quel
dì da voi, per onorati doni,
l'else
indorate e gl'indorati sproni.
4
Con sì
animosi petti che vi foro
vicini o poco
lungi al gran periglio,
crollaste
sì le ricche Giande d'oro,
sì rompeste
il baston giallo e vermiglio,
ch'a voi si
deve il trionfale alloro,
che non fu
guasto né sfiorato il Giglio.
D'un'altra
fronde v'orna anco la chioma
l'aver
serbato il suo Fabrizio a Roma.
5
La gran
Colonna del nome romano,
che voi
prendeste, e che servaste intera,
vi dà
più onor che se di vostra mano
fosse caduta
la milizia fiera,
quanta
n'ingrassa il campo ravegnano,
e quanta se
n'andò senza bandiera
d'Aragon, di
Castiglia e di Navarra,
veduto non
giovar spiedi né carra.
6
Quella
vittoria fu più di conforto,
che
d'allegrezza; perché troppo pesa
contra la
gioia nostra il veder morto
il capitan di
Francia e de l'impresa;
e seco avere
una procella absorto
tanti
principi illustri, ch'a difesa
dei regni
lor, dei lor confederati,
di qua da le
fredd'Alpi eran passati.
7
Nostra
salute, nostra vita in questa
vittoria
suscitata si conosce,
che difende
che 'l verno e la tempesta
di Giove
irato sopra noi non crosce:
ma né goder
potiam, né farne festa,
sentendo i
gran ramarichi e l'angosce,
ch'in veste
bruna e lacrimosa guancia
le vedovelle
fan per tutta Francia.
8
Bisogna che
proveggia il re Luigi
di nuovi
capitani alle sue squadre,
che per onor
de l'aurea Fiordaligi
castighino le
man rapaci e ladre,
che suore, e
frati e bianchi e neri e bigi
violato
hanno, e sposa e figlia e madre;
gittato in
terra Cristo in sacramento,
per torgli un
tabernaculo d'argento.
9
O misera
Ravenna, t'era meglio
ch'al
vincitor non fêssi resistenza;
far ch'a te
fosse inanzi Brescia speglio,
che tu lo
fossi a Arimino e a Faenza.
Manda, Luigi,
il buon Traulcio veglio,
ch'insegni a
questi tuoi più continenza,
e conti lor
quanti per simil torti
stati ne sian
per tutta Italia morti.
10
Come di
capitani bisogna ora
che 'l re di
Francia al campo suo proveggia,
così
Marsilio ed Agramante allora,
per dar buon
reggimento alla sua greggia,
dai lochi
dove il verno fe' dimora,
vuol ch'in
campagna all'ordine si veggia;
perché
vedendo ove bisogno sia,
guida e
governo ad ogni schiera dia.
11
Marsilio
prima, e poi fece Agramante
passar la
gente sua schiera per schiera.
I Catalani a
tutti gli altri inante
di Dorifebo
van con la bandiera.
Dopo vien,
senza il suo re Folvirante,
che per man
di Rinaldo già morto era,
la gente di
Navarra; e lo re ispano
halle dato
Isolier per capitano.
12
Balugante del
popul di Leone,
Grandonio
cura degli Algarbi piglia;
il fratel di
Marsilio, Falsirone,
ha seco
armata la minor Castiglia.
Seguon di
Madarasso il gonfalone
quei che
lasciato han Malaga e Siviglia,
dal mar di
Gade a Cordova feconda
le verdi ripe
ovunque il Beti inonda.
13
Stordilano e
Tesira e Baricondo,
l'un dopo
l'altro, mostra la sua gente:
Granata al
primo, Ulisbona al secondo,
e Maiorica al
terzo è ubidiente.
Fu d'Ulisbona
re (tolto dal mondo
Larbin)
Tesira, di Larbin parente.
Poi vien Galizia,
che sua guida, in vece
di Maricoldo,
Serpentino fece.
14
Quei di
Tolledo e quei di Calatrava,
di ch'ebbe
Sinagon già la bandiera,
con tutta
quella gente che si lava
in Guadiana e
bee de la riviera,
l'audace
Matalista governava;
Bianzardin
quei d'Asturga in una schiera
con quei di
Salamanca e di Piagenza,
d'Avila, di
Zamora e di Palenza.
15
Di quei di
Saragosa e de la corte
del re
Marsilio ha Ferraù il governo:
tutta la
gente è ben armata e forte.
In questi
è Malgarino, Balinverno,
Malzarise e
Morgante, ch'una sorte
avea fatto
abitar paese esterno;
che, poi che
i regni lor lor furon tolti,
gli avea
Marsilio in corte sua raccolti.
16
In questa
è di Marsilio il gran bastardo,
Follicon
d'Almeria, con Doriconte,
Bavarte e
Largalifa ed Analardo,
ed Archidante
il sagontino conte,
e Lamirante e
Langhiran gagliardo,
e Malagur
ch'avea l'astuzie pronte,
ed altri ed
altri, di quai penso, dove
tempo
sarà, di far veder le pruove.
17
Poi che
passò l'esercito di Spagna
con bella
mostra inanzi al re Agramante,
con la sua
squadra apparve alla campagna
il re d'Oran,
che quasi era gigante.
L'altra che
vien, per Martasin si lagna,
il qual morto
le fu da Bradamante;
e si duol
ch'una femina si vanti
d'aver ucciso
il re de' Garamanti.
18
Segue la
terza schiera di Marmonda,
ch'Argosto
morto abbandonò in Guascogna:
a questa un
capo, come alla seconda
e come anco
alla quarta, dar bisogna.
Quantunque il
re Agramante non abonda
di capitani,
pur ne finge e sogna:
dunque
Buraldo, Ormida, Arganio elesse,
e dove uopo
ne fu, guida li messe.
19
Diede ad
Arganio quei di Libicana,
che piangean
morto il negro Dudrinasso.
Guida
Brunello i suoi di Tingitana,
con viso
nubiloso e ciglio basso;
che, poi che
ne la selva non lontana
dal castel
ch'ebbe Atlante in cima al sasso,
gli fu tolto
l'annel da Bradamante,
caduto era in
disgrazia al re Agramante:
20
e se 'l
fratel di Ferraù, Isoliero,
ch'a l'arbore
legato ritrovollo,
non facea
fede inanzi al re del vero,
avrebbe dato
in su le forche un crollo.
Mutò,
a' prieghi di molti, il re pensiero,
già
avendo fatto porgli il laccio al collo:
gli lo fece
levar, ma riserbarlo
pel primo
error; che poi giurò impiccarlo:
21
sì
ch'avea causa di venir Brunello
col viso
mesto e con la testa china.
Seguia poi
Farurante, e dietro a quello
eran cavalli
e fanti di Maurina.
Venìa
Libanio appresso, il re novello:
la gente era
con lui di Constantina;
però
che la corona e il baston d'oro
gli ha dato
il re, che fu di Pinadoro.
22
Con la gente
d'Esperia Soridano,
e Dorilon ne
vien con quei di Setta;
ne vien coi
Nasamoni Puliano.
Quelli
d'Amonia il re Agricalte affretta;
Malabuferso
quelli di Fizano.
Da Finadurro
è l'altra squadra retta,
che di
Canaria viene e di Marocco;
Balastro ha
quei che fur del re Tardocco.
23
Due squadre, una
di Mulga, una d'Arzilla,
seguono: e
questa ha 'l suo signore antico;
quella
n'è priva; e però il re sortilla,
e diella a
Corineo suo fido amico.
E così
de la gente d'Almansilla,
ch'ebbe
Tanfirion, fe' re Caico;
diè
quella di Getulia a Rimedonte.
Poi vien con
quei di Cosca Balinfronte.
24
Quell'altra
schiera è la gente di Bolga:
suo re
è Clarindo, e già fu Mirabaldo.
Vien
Baliverzo, il qual vuò che tu tolga
di tutto il
gregge pel maggior ribaldo.
Non credo in
tutto il campo si disciolga
bandiera ch'abbia
esercito più saldo
de l'altra,
con che segue il re Sobrino,
né più
di lui prudente Saracino.
25
Quei di
Bellamarina, che Gualciotto
solea
guidare, or guida il re d'Algieri
Rodomonte, e
di Sarza, che condotto
di nuovo avea
pedoni e cavallieri;
che mentre il
sol fu nubiloso sotto
il gran
centauro e i corni orridi e fieri,
fu in Africa
mandato da Agramante,
onde venuto
era tre giorni inante.
26
Non avea il
campo d'Africa più forte,
né Saracin
più audace di costui:
e più
temean le parigine porte,
ed avean
più cagion di temer lui,
che Marsilio,
Agramante e la gran corte
ch'avea
seguito in Francia questi dui:
e più
d'ogni altro che facesse mostra,
era nimico de
la fede nostra.
27
Vien
Prusione, il re de l'Alvaracchie;
poi quel de
la Zumara, Dardinello.
Non so
s'abbiano o nottole o cornacchie,
o altro manco
ed importuno augello,
il qual dai
tetti e da le fronde gracchie
futuro mal,
predetto a questo e a quello,
che fissa in
ciel nel dì seguente è l'ora
che l'uno e
l'altro in quella pugna muora.
28
In campo non
aveano altri a venire,
che quei di
Tremisenne e di Norizia;
né si vedea
alla mostra comparire
il segno lor,
né dar di sé notizia.
Non sapendo
Agramante che si dire,
né che pensar
di questa lor pigrizia,
uno scudiero
al fin gli fu condutto
del re di
Tremisen, che narrò il tutto.
29
E gli
narrò ch'Alzirdo e Manilardo
con molti
altri de' suoi giaceano al campo.
- Signor
(diss'egli), il cavallier gagliardo
ch'ucciso ha
i nostri, ucciso avria il tuo campo,
se fosse
stato a torsi via più tardo
di me, ch'a
pena ancor così ne scampo.
Fa quel de'
cavallieri e de' pedoni,
che 'l lupo
fa di capre e di montoni. -
30
Era venuto
pochi giorni avante
nel campo del
re d'Africa un signore;
né in Ponente
era, né in tutto Levante,
di più
forza di lui, né di più core.
Gli facea
grande onore il re Agramante,
per esser
costui figlio e successore
in Tartaria
del re Agrican gagliardo:
suo nome era
il feroce Mandricardo.
31
Per molti
chiari gesti era famoso,
e di sua fama
tutto il mondo empìa;
ma lo facea
più d'altro glorioso,
ch'al castel
de la fata di Soria
l'usbergo
avea acquistato luminoso
ch'Ettor
troian portò mille anni pria,
per strana e
formidabile aventura,
che 'l
ragionarne pur mette paura.
32
Trovandosi
costui dunque presente
a quel
parlar, alzò l'ardita faccia;
e si dispose
andare immantinente,
per trovar
quel guerrier, dietro alla traccia.
Ritenne
occulto il suo pensiero in mente,
o sia perché
d'alcun stima non faccia,
o perché
tema, se 'l pensier palesa,
ch'un altro
inanzi a lui pigli l'impresa.
33
Allo scudier
fe' dimandar come era
la sopravesta
di quel cavalliero.
Colui
rispose: - Quella è tutta nera,
lo scudo
nero, e non ha alcun cimiero. -
E fu, Signor,
la sua risposta vera,
perché
lasciato Orlando avea il quartiero;
che come
dentro l'animo era in doglia,
così
imbrunir di fuor volse la spoglia.
34
Marsilio a
Mandricardo avea donato
un destrier
baio a scorza di castagna,
con gambe e
chiome nere; ed era nato
di frisa
madre e d'un villan di Spagna.
Sopra vi
salta Mandricardo armato,
e galoppando
va per la campagna;
e giura non
tornare a quelle schiere
se non truova
il campion da l'arme nere.
35
Molta
incontrò de la paurosa gente
che da le man
d'Orlando era fuggita,
chi del
figliuol, chi del fratel dolente,
ch'inanzi
agli occhi suoi perdè la vita.
Ancora la
codarda e trista mente
ne la pallida
faccia era sculpita;
ancor, per la
paura che avuta hanno,
pallidi, muti
ed insensati vanno.
36
Non fe' lungo
camin, che venne dove
crudel
spettaculo ebbe ed inumano,
ma testimonio
alle mirabil pruove
che fur
raconte inanzi al re africano.
Or mira
questi, or quelli morti, e muove,
e vuol le
piaghe misurar con mano,
mosso da
strana invidia ch'egli porta
al cavallier
ch'avea la gente morta.
37
Come lupo o
mastin ch'ultimo giugne
al bue
lasciato morto da' villani,
che truova
sol le corna, l'ossa e l'ugne,
del resto son
sfamati augelli e cani;
riguarda
invano il teschio che non ugne:
così
fa il crudel barbaro in que' piani.
Per duol
bestemmia, e mostra invidia immensa,
che venne
tardi e così ricca mensa.
38
Quel giorno e
mezzo l'altro segue incerto
il cavallier
dal negro, e ne domanda.
Ecco vede un
pratel d'ombre coperto,
che sì
d'un alto fiume si ghirlanda,
che lascia a
pena un breve spazio aperto,
dove l'acqua
si torce ad altra banda.
Un simil
luogo con girevol onda
sotto
Ocricoli il Tevere circonda.
39
Dove entrar
si potea, con l'arme indosso
stavano molti
cavallieri armati.
Chiede il
pagan, chi gli avea in stuol sì grosso,
ed a che
effetto insieme ivi adunati.
Gli fe'
risposta il capitano, mosso
dal signoril
sembiante e da' fregiati
d'oro e di
gemme arnesi di gran pregio,
che lo
mostravan cavalliero egregio.
40
- Dal nostro
re siàn (disse) di Granata
chiamati in
compagnia de la figliuola,
la quale al
re di Sarza ha maritata,
ben che di
ciò la fama ancor non vola.
Come appresso
la sera racchetata
la cicaletta
sia, ch'or s'ode sola,
avanti al
padre fra l'ispane torme
la
condurremo: intanto ella si dorme. -
41
Colui, che
tutto il mondo vilipende,
disegna di
veder tosto la pruova,
se quella
gente o bene o mal difende
la donna,
alla cui guardia si ritruova.
Disse: -
Costei, per quanto se n'intende,
è
bella; e di saperlo ora mi giova.
A lei mi
mena, o falla qui venire;
ch'altrove mi
convien subito gire. -
42
- Esser per
certo dei pazzo solenne, -
rispose il
Granatin, né più gli disse.
Ma il Tartaro
a ferir tosto lo venne
con l'asta
bassa, e il petto gli trafisse;
che la
corazza il colpo non sostenne,
e forza fu
che morto in terra gisse.
L'asta
ricovra il figlio d'Agricane,
perché altro
da ferir non gli rimane.
43
Non porta
spada né baston; che quando
l'arme
acquistò, che fu d'Ettor troiano,
perché
trovò che lor mancava il brando,
gli convenne
giurar (né giurò invano)
che fin che
non togliea quella d'Orlando,
mai non
porrebbe ad altra spada mano:
Durindana
ch'Almonte ebbe in gran stima,
e Orlando or
porta, Ettor portava prima.
44
Grande
è l'ardir del Tartaro, che vada
con
disvantaggio tal contra coloro,
gridando: -
Chi mi vuol vietar la strada? -
E con la lancia
si cacciò tra loro.
Chi l'asta
abbassa, e chi tra' fuor la spada;
e
d'ogn'intorno subito gli foro.
Egli ne fece
morir una frotta,
prima che
quella lancia fosse rotta.
45
Rotta che se
la vede, il gran troncone
che resta
intero, ad ambe mani afferra;
e fa morir
con quel tante persone,
che non fu
vista mai più crudel guerra.
Come tra'
Filistei l'ebreo Sansone
con la
mascella che levò di terra,
scudi spezza,
elmi schiaccia, e un colpo spesso
spenge i
cavalli ai cavallieri appresso.
46
Correno a
morte que' miseri a gara,
né perché
cada l'un, l'altro andar cessa;
che la
maniera del morire, amara
lor par
più assai che non è morte istessa.
Patir non
ponno che la vita cara
tolta lor sia
da un pezzo d'asta fessa,
e sieno sotto
alle picchiate strane
a morir
giunti, come biscie o rane.
47
Ma poi ch'a
spese lor si furo accorti
che male in
ogni guisa era morire,
sendo
già presso alli duo terzi morti,
tutto
l'avanzo cominciò a fuggire.
Come del
proprio aver via se gli porti,
il Saracin
crudel non può patire
ch'alcun di
quella turba sbigottita
da lui partir
si debba con la vita.
48
Come in
palude asciutta dura poco
stridula
canna, o in campo àrrida stoppia
contra il
soffio di borea e contra il fuoco
che 'l cauto
agricultore insieme accoppia,
quando la vaga
fiamma occupa il loco,
e scorre per
li solchi, e stride e scoppia;
così
costor contra la furia accesa
di
Mandricardo fan poca difesa.
49
Poscia
ch'egli restar vede l'entrata,
che mal
guardata fu, senza custode;
per la via
che di nuovo era segnata
ne l'erba, e
al suono dei ramarchi ch'ode,
viene a veder
la donna di Granata,
se di
bellezze è pari alle sue lode:
passa tra i
corpi de la gente morta,
dove gli
dà, torcendo, il fiume porta.
50
E Doralice in
mezzo il prato vede
(che
così nome la donzella avea),
la qual,
suffolta da l'antico piede
d'un frassino
silvestre, si dolea.
Il pianto,
come un rivo che succede
di viva vena,
nel bel sen cadea;
e nel bel
viso si vedea che insieme
de l'altrui
mal si duole, e del suo teme.
51
Crebbe il
timor, come venir lo vide
di sangue
brutto e con faccia empia e oscura,
e'l grido sin
al ciel l'aria divide,
di sé e de la
sua gente per paura;
che, oltre i
cavallier, v'erano guide,
che de la
bella infante aveano cura,
maturi
vecchi, e assai donne e donzelle
del regno di Granata,
e le più belle.
52
Come il
Tartaro vede quel bel viso
che non ha
paragone in tutta Spagna,
e c'ha nel
pianto (or ch'esser de' nel riso?)
tesa d'Amor
l'inestricabil ragna;
non sa se
vive in terra o in paradiso:
né de la sua
vittoria altro guadagna,
se non che in
man de la sua prigioniera
si dà
prigione, e non sa in qual maniera.
53
A lei
però non si concede tanto,
che del
travaglio suo le doni il frutto;
ben che
piangendo ella dimostri, quanto
possa donna
mostrar, dolore e lutto.
Egli,
sperando volgerle quel pianto
in sommo
gaudio, era disposto al tutto
menarla seco;
e sopra un bianco ubino
montar la
fece, e tornò al suo camino.
54
Donne e
donzelle e vecchi ed altra gente,
ch'eran con
lei venuti di Granata,
tutti licenziò
benignamente,
dicendo: -
Assai da me fia accompagnata;
io mastro, io
balia, io le sarò sergente
in tutti i
suoi bisogni: a Dio brigata. -
Così,
non gli possendo far riparo,
piangendo e
sospirando se n'andaro;
55
tra lor
dicendo: - Quanto doloroso
ne
sarà il padre, come il caso intenda!
quanta ira,
quanto duol ne avrà il suo sposo!
oh come ne
farà vendetta orrenda!
Deh, perché a
tempo tanto bisognoso
non è
qui presso a far che costui renda
il sangue
illustre del re Stordilano,
prima che se
lo porti più lontano? -
56
De la gran
preda il Tartaro contento,
che fortuna e
valor gli ha posta inanzi,
di trovar
quel dal negro vestimento
non par
ch'abbia la fretta ch'avea dianzi.
Correva
dianzi: or viene adagio e lento;
e pensa
tuttavia dove si stanzi,
dove ritruovi
alcun commodo loco,
per esalar
tanto amoroso foco.
57
Tuttavolta
conforta Doralice,
ch'avea di
pianto e gli occhi e 'l viso molle:
compone e
finge molte cose, e dice
che per fama
gran tempo ben le volle;
e che la
patria, e il suo regno felice
che 'l nome
di grandezza agli altri tolle,
lasciò,
non per vedere o Spagna o Francia,
ma sol per
contemplar sua bella guancia.
58
- Se per
amar, l'uom debbe essere amato,
merito il
vostro amor; che v'ho amat'io:
se per
stirpe, di me chi è meglio nato?
che'l
possente Agrican fu il padre mio:
se per
ricchezza, chi ha di me più stato?
che di
dominio io cedo solo a Dio:
se per valor,
credo oggi aver esperto
ch'esser
amato per valore io merto. -
59
Queste parole
ed altre assai, ch'Amore
a Mandricardo
di sua bocca ditta,
van
dolcemente a consolar il core
de la
donzella di paura afflitta.
Il timor
cessa, e poi cessa il dolore
che le avea
quasi l'anima trafitta.
Ella comincia
con più pazienza
a dar
più grata al nuovo amante udienza;
60
poi con
risposte più benigne molto
a
mostrarsegli affabile e cortese,
e non
negargli di fermar nel volto
talor le luci
di pietade accese:
onde il
pagan, che da lo stral fu colto
altre volte
d'Amor, certezza prese,
non che
speranza, che la donna bella
non saria a'
suo' desir sempre ribella.
61
Con questa
compagnia lieto e gioioso,
che sì
gli satisfà, sì gli diletta,
essendo
presso all'ora ch'a riposo
la fredda
notte ogni animale alletta,
vedendo il
sol già basso e mezzo ascoso,
comminciò
a cavalcar con maggior fretta;
tanto
ch'udì sonar zuffoli e canne,
e vide poi
fumar ville e capanne.
62
Erano
pastorali alloggiamenti,
miglior
stanza e più commoda, che bella.
Quivi il
guardian cortese degli armenti
onorò
il cavalliero e la donzella,
tanto che si
chiamar da lui contenti;
che non pur
per cittadi e per castella,
ma per tuguri
ancora e per fenili
spesso si
trovan gli uomini gentili.
63
Quel che
fosse dipoi fatto all'oscuro
tra Doralice
e il figlio d'Agricane,
a punto
racontar non m'assicuro;
sì
ch'al giudicio di ciascun rimane.
Creder si
può che ben d'accordo furo;
che si levar
più allegri la dimane,
e Doralice
ringraziò il pastore,
che nel suo
albergo le avea fatto onore.
64
Indi d'uno in
un altro luogo errando,
si ritrovaro
al fin sopra un bel fiume
che con
silenzio al mar va declinando,
e se vada o
se stia, mal si prosume;
limpido e
chiaro sì, ch'in lui mirando,
senza contesa
al fondo porta il lume.
In ripa a
quello, a una fresca ombra e bella,
trovar dui
cavallieri e una donzella.
65
Or l'alta
fantasia, ch'un sentier solo
non vuol
ch'i'segua ognor, quindi mi guida,
e mi ritorna
ove il moresco stuolo
assorda di
rumor Francia e di grida,
d'intorno il
padiglione ove il figliuolo
del re
Troiano il santo Impero sfida,
e Rodomonte
audace se gli vanta
arder Parigi
e spianar Roma santa.
66
Venuto ad
Agramante era all'orecchio,
che
già l'Inglesi avean passato il mare:
però
Marsilio e il re del Garbo vecchio
e gli altri
capitan fece chiamare.
Consiglian
tutti a far grande apparecchio,
sì che
Parigi possino espugnare.
Ponno esser
certi che più non s'espugna,
se nol fan
prima che l'aiuto giugna.
67
Già
scale innumerabili per questo
da' luoghi
intorno avea fatto raccorre,
ed asse e
travi, e vimine contesto,
che lo
poteano a diversi usi porre;
e navi e
ponti: e più facea che 'l resto,
il primo e il
secondo ordine disporre
a dar
l'assalto; ed egli vuol venire
tra quei che
la città denno assalire.
68
L'imperatore
il dì che 'l dì precesse
de la
battaglia, fe' dentro a Parigi
per tutto
celebrare uffici e messe
a preti, a
frati bianchi, neri e bigi;
e le gente
che dianzi eran confesse,
e di man
tolte agl'inimici stigi,
tutti
communicar, non altramente
ch'avessino a
morir il dì seguente.
69
Ed egli tra
baroni e paladini,
principi ed
oratori, al maggior tempio
con molta
religione a quei divini
atti
intervenne, e ne diè agli altri esempio.
Con le man
giunte e gli occhi al ciel supini,
disse: -
Signor, ben ch'io sia iniquo ed empio,
non voglia
tua bontà, pel mio fallire,
che 'l tuo
popul fedele abbia a patire.
70
E se gli
è tuo voler ch'egli patisca,
e ch'abbia il
nostro error degni supplici,
almeno la
punizion si differisca
sì,
che per man non sia de' tuoi nemici;
che quando
lor d'uccider noi sortisca,
che nome
avemo pur d'esser tuo' amici,
i pagani
diran che nulla puoi,
che perir
lasci i partigiani tuoi.
71
E per un che
ti sia fatto ribelle,
cento ti si
faran per tutto il mondo;
tal che la
legge falsa di Babelle
caccerà
la tua fede e porrà al fondo.
Difendi
queste genti, che son quelle
che 'l tuo
sepulcro hanno purgato e mondo
da' brutti
cani, e la tua santa Chiesa
con li vicari
suoi spesso difesa.
72
So che i
meriti nostri atti non sono
a satisfare
al debito d'un'oncia;
né devemo
sperar da te perdono,
se
riguardiamo a nostra vita sconcia:
ma se vi
aggiugni di tua grazia il dono,
nostra ragion
fia ragguagliata e concia;
né del tuo
aiuto disperar possiamo,
qualor di tua
pietà ci ricordiamo. -
73
Così
dicea l'imperator devoto,
con umiltade
e contrizion di core.
Giunse altri
prieghi e convenevol voto
al gran
bisogno e all'alto suo splendore.
Non fu il
caldo pregar d'effetto voto;
però
che 'l genio suo, l'angel migliore,
i prieghi
tolse e spiegò al ciel le penne,
ed a narrare
al Salvator li venne.
74
E furo altri infiniti
in quello instante
da tali
messagger portati a Dio;
che come gli
ascoltar l'anime sante,
dipinte di
pietade il viso pio,
tutte miraro
il sempiterno Amante,
e gli
mostraro il commun lor disio,
che la giusta
orazion fosse esaudita
del populo
cristian che chiede aita.
75
E la
Bontà ineffabile, ch'invano
non fu
pregata mai da cor fedele,
leva gli
occhi pietosi, e fa con mano
cenno che
venga a sé l'angel Michele.
- Va (gli
disse) all'esercito cristiano
che dianzi in
Picardia calò le vele,
e al muro di
Parigi l'appresenta
sì,
che 'l campo nimico non lo senta.
76
Truova prima
il Silenzio, e da mia parte
gli di' che
teco a questa impresa venga;
ch'egli ben
proveder con ottima arte
saprà
di quanto proveder convenga.
Fornito
questo, subito va in parte
dove il suo
seggio la Discordia tenga:
dille che
l'esca e il fucil seco prenda,
e nel campo
de' Mori il fuoco accenda;
77
e tra quei
che vi son detti più forti
sparga tante
zizzanie e tante liti,
che
combattano insieme; ed altri morti,
altri ne sieno
presi, altri feriti,
e fuor del
campo altri lo sdegno porti
sì che
il lor re poco di lor s'aiti. -
Non replica a
tal detto altra parola
il benedetto
augel, ma dal ciel vola.
78
Dovunque
drizza Michel angel l'ale,
fuggon le
nubi, e torna il ciel sereno.
Gli gira
intorno un aureo cerchio, quale
veggiàn
di notte lampeggiar baleno.
Seco pensa
tra via, dove si cale
il celeste
corrier per fallir meno
a trovar quel
nimico di parole,
a cui la
prima commission far vuole.
79
Vien
scorrendo ov'egli abiti, ov'egli usi;
e se
accordaro infin tutti i pensieri,
che de frati
e de monachi rinchiusi
lo può
trovare in chiese e in monasteri,
dove sono i
parlari in modo esclusi,
che 'l
Silenzio, ove cantano i salteri,
ove dormeno,
ove hanno la piatanza,
e finalmente
è scritto in ogni stanza.
80
Credendo
quivi ritrovarlo, mosse
con maggior
fretta le dorate penne;
e di veder
ch'ancor Pace vi fosse,
Quiete e
Carità, sicuro tenne.
Ma da la
opinion sua ritrovosse
tosto
ingannato, che nel chiostro venne:
non è
Silenzio quivi; e gli fu ditto
che non
v'abita più, fuor che in iscritto.
81
Né
Pietà, né Quiete, né Umiltade,
né quivi
Amor, né quivi Pace mira.
Ben vi fur
già, ma ne l'antiqua etade;
che le
cacciar Gola, Avarizia ed Ira,
Superbia,
Invidia, Inerzia e Crudeltade.
Di tanta
novità l'angel si ammira:
andò
guardando quella brutta schiera,
e vide
ch'anco la Discordia v'era.
82
Quella che
gli avea detto il Padre eterno,
dopo il
Silenzio, che trovar dovesse.
Pensato avea
di far la via d'Averno,
che si credea
che tra' dannati stesse;
e ritrovolla
in questo nuovo inferno
(ch'il
crederia?) tra santi uffici e messe.
Par di strano
a Michel ch'ella vi sia,
che per
trovar credea di far gran via.
83
La conobbe al
vestir di color cento,
fatto a liste
inequali ed infinite,
ch'or la
cuoprono or no; che i passi e 'l vento
le giano
aprendo, ch'erano sdrucite.
I crini avea
qual d'oro e qual d'argento,
e neri e
bigi, e aver pareano lite;
altri in
treccia, altri in nastro eran raccolti,
molti alle
spalle, alcuni al petto sciolti.
84
Di citatorie
piene e di libelli,
d'esamine e
di carte di procure
avea le mani
e il seno, e gran fastelli
di chiose, di
consigli e di letture;
per cui le
facultà de' poverelli
non sono mai
ne le città sicure.
Aveva dietro
e dinanzi e d'ambi i lati,
notai,
procuratori ed avocati.
85
La chiama a
sé Michele, e le commanda
che tra i
più forti Saracini scenda,
e cagion
truovi, che con memoranda
ruina insieme
a guerreggiar gli accenda.
Poi del
Silenzio nuova le domanda:
facilmente
esser può ch'essa n'intenda,
sì
come quella ch'accendendo fochi
di qua e di
là, va per diversi lochi.
86
Rispose la
Discordia: - Io non ho a mente
in alcun loco
averlo mai veduto:
udito l'ho
ben nominar sovente,
e molto
commendarlo per astuto.
Ma la Fraude,
una qui di nostra gente,
che compagnia
talvolta gli ha tenuto,
penso che dir
te ne saprà novella; -
e verso una
alzò il dito, e disse: - È quella. -
87
Avea piacevol
viso, abito onesto,
un umil
volger d'occhi, un andar grave,
un parlar
sì benigno e sì modesto,
che parea
Gabriel che dicesse: Ave.
Era brutta e
deforme in tutto il resto:
ma nascondea
queste fattezze prave
con lungo
abito e largo; e sotto quello,
attosicato
avea sempre il coltello.
88
Domanda a
costei l'angelo, che via
debba tener,
sì che 'l Silenzio truove.
Disse la
Fraude: - Già costui solia
fra virtudi
abitare, e non altrove,
con Benedetto
e con quelli d'Elia
ne le badie,
quando erano ancor nuove:
fe' ne le
scuole assai de la sua vita
al tempo di
Pitagora e d'Archita.
89
Mancati quei
filosofi e quei santi
che lo solean
tener pel camin ritto,
dagli onesti
costumi ch'avea inanti,
fece alle
sceleraggini tragitto.
Cominciò
andar la notte con gli amanti,
indi coi
ladri, e fare ogni delitto.
Molto col
Tradimento egli dimora:
veduto l'ho
con l'Omicidio ancora.
90
Con quei che
falsan le monete ha usanza
di ripararsi
in qualche buca scura.
Così
spesso compagni muta e stanza,
che 'l
ritrovarlo ti saria ventura;
ma pur ho
d'insegnartelo speranza:
se d'arrivare
a mezza notte hai cura
alla casa del
Sonno, senza fallo
potrai (che
quivi dorme) ritrovallo. -
91
Ben che
soglia la Fraude esser bugiarda,
pur è
tanto il suo dir simile al vero,
che l'angelo
le crede; indi non tarda
a volarsene
fuor del monastero.
Tempra il
batter de l'ale, e studia e guarda
giungere in
tempo al fin del suo sentiero,
ch'alla casa
del Sonno, che ben dove
era sapea,
questo Silenzio truove.
92
Giace in
Arabia una valletta amena,
lontana da
cittadi e da villaggi,
ch'all'ombra
di duo monti è tutta piena
d'antiqui
abeti e di robusti faggi.
Il sole
indarno il chiaro dì vi mena;
che non vi
può mai penetrar coi raggi,
sì gli
è la via da folti rami tronca:
e quivi entra
sotterra una spelonca.
93
Sotto la
negra selva una capace
e spaziosa
grotta entra nel sasso,
di cui la
fronte l'edera seguace
tutta
aggirando va con storto passo.
In questo
albergo il grave Sonno giace;
l'Ozio da un
canto corpulento e grasso,
da l'altro la
Pigrizia in terra siede,
che non
può andare, e mal reggersi in piede.
94
Lo smemorato
Oblio sta su la porta:
non lascia
entrar, né riconosce alcuno;
non ascolta
imbasciata, né riporta;
e parimente
tien cacciato ognuno.
Il Silenzio
va intorno, e fa la scorta:
ha le scarpe
di feltro, e 'l mantel bruno;
ed a quanti
n'incontra, di lontano,
che non
debban venir, cenna con mano.
95
Se gli
accosta all'orecchio e pianamente
l'angel gli
dice: - Dio vuol che tu guidi
a Parigi
Rinaldo con la gente
che per dar,
mena, al suo signor sussidi:
ma che lo
facci tanto chetamente,
ch'alcun de'
Saracin non oda i gridi;
sì che
più tosto che ritruovi il calle
la Fama
d'avisar, gli abbia alle spalle. -
96
Altrimente il
Silenzio non rispose,
che col capo
accennando che faria;
e dietro
ubidiente se gli pose;
e furo al
primo volo in Picardia.
Michel mosse
le squadre coraggiose,
e fe' lor
breve un gran tratto di via;
sì che
in un dì a Parigi le condusse,
né alcun
s'avide che miracol fusse.
97
Discorreva il
Silenzio, e tuttavolta,
e dinanzi
alle squadre e d'ogn'intorno
facea girare
un'alta nebbia in volta,
ed avea
chiaro ogn'altra parte il giorno;
e non
lasciava questa nebbia folta,
che s'udisse
di fuor tromba né corno:
poi
n'andò tra' pagani, e menò seco
un non so
che, ch'ognun fe' sordo e cieco.
98
Mentre Rinaldo
in tal fretta venìa,
che ben parea
da l'angelo condotto,
e con
silenzio tal, che non s'udia
nel campo
saracin farsene motto;
il re
Agramante avea la fanteria
messo ne'
borghi di Parigi, e sotto
le minacciate
mura in su la fossa,
per far quel
dì l'estremo di sua possa.
99
Chi
può contar l'esercito che mosso
questo
dì contro Carlo ha 'l re Agramante,
conterà
ancora in su l'ombroso dosso
del silvoso
Apennin tutte le piante;
dirà
quante onde, quando è il mar più grosso,
bagnano i
piedi al mauritano Atlante;
e per quanti
occhi il ciel le furtive opre
degli amatori
a mezza notte scuopre.
100
Le campane si
sentono a martello
di spessi
colpi e spaventosi tocche;
si vede
molto, in questo tempio e in quello,
alzar di mano
e dimenar di bocche.
Se 'l tesoro
paresse a Dio sì bello,
come alle
nostre openioni sciocche,
questo era il
dì che 'l santo consistoro
fatto avria
in terra ogni sua statua d'oro.
101
S'odon
ramaricare i vecchi giusti,
che s'erano
serbati in quelli affanni,
e nominar
felici i sacri busti
composti in
terra già molti e molt'anni.
Ma gli
animosi gioveni robusti
che miran
poco i lor propinqui danni,
sprezzando le
ragion de' più maturi,
di qua di
là vanno correndo a' muri.
102
Quivi erano
baroni e paladini,
re, duci,
cavallier, marchesi e conti,
soldati
forestieri e cittadini,
per Cristo e
pel suo onore a morir pronti;
che per
uscire adosso ai Saracini,
pregan
l'imperator ch'abbassi i ponti.
Gode egli di
veder l'animo audace,
ma di
lasciarli uscir non li compiace.
103
E li dispone
in oportuni lochi,
per impedire
ai barbari la via:
là si
contenta che ne vadan pochi,
qua non basta
una grossa compagnia;
alcuni han
cura maneggiare i fuochi,
le machine
altri, ove bisogno sia.
Carlo di qua
di là non sta mai fermo:
va
soccorrendo, e fa per tutto schermo.
104
Siede Parigi
in una gran pianura,
ne l'ombilico
a Francia, anzi nel core;
gli passa la
riviera entro le mura,
e corre, ed
esce in altra parte fuore.
Ma fa
un'isola prima, e v'assicura
de la
città una parte, e la migliore;
l'altre due
(ch'in tre parti è la gran terra)
di fuor la
fossa, e dentro il fiume serra.
105
Alla
città, che molte miglia gira,
da molte
parti si può dar battaglia:
ma perché sol
da un canto assalir mira,
né volentier
l'esercito sbarraglia,
oltre il
fiume Agramante si ritira
verso
ponente, acciò che quindi assaglia;
però
che né cittade né campagna
ha dietro, se
non sua, fin alla Spagna.
106
Dovunque
intorno il gran muro circonda,
gran
munizioni avea già Carlo fatte,
fortificando
d'argine ogni sponda
con
scannafossi dentro e case matte;
onde entra ne
la terra, onde esce l'onda,
grossissime
catene aveva tratte;
ma fece,
più ch'altrove, provedere
là
dove avea più causa di temere.
107
Con occhi
d'Argo il figlio di Pipino
previde ove
assalir dovea Agramante;
e non fece
disegno il Saracino,
a cui non
fosse riparato inante.
Con
Ferraù, Isoliero, Serpentino,
Grandonio,
Falsirone e Balugante,
e con
ciò che di Spagna avea menato,
restò
Marsilio alla campagna armato.
108
Sobrin gli
era a man manca in ripa a Senna,
con Pulian,
con Dardinel d'Almonte,
col re
d'Oran, ch'esser gigante accenna,
lungo sei
braccia dai piedi alla fronte.
Deh perché a
muover men son io la penna,
che quelle
genti a muover l'arme pronte?
che 'l re di
Sarza, pien d'ira e di sdegno,
grida e
bestemmia e non può star più a segno.
109
Come assalire
o vasi pastorali,
o le dolci
reliquie de' convivi
soglion con
rauco suon di stridule ali
le impronte
mosche a' caldi giorni estivi;
come li
storni a rosseggianti pali
vanno de
mature uve: così quivi,
empiendo il
ciel di grida e di rumori,
veniano a
dare il fiero assalto i Mori.
110
L'esercito
cristian sopra le mura
con lance,
spade e scure e pietre e fuoco
difende la
città senza paura,
e il
barbarico orgoglio estima poco;
e dove Morte
uno ed un altro fura,
non è
chi per viltà ricusi il loco.
Tornano i
Saracin giù ne le fosse
a furia di
ferite e di percosse.
111
Non ferro
solamente vi s'adopra,
ma grossi
massi, e merli integri e saldi,
e muri
dispiccati con molt'opra,
tetti di
torri, e gran pezzi di spaldi.
L'acque
bollenti che vengon di sopra,
portano a'
Mori insupportabil caldi;
e male a
questa pioggia si resiste,
ch'entra per
gli elmi, e fa acciecar le viste.
112
E questa
più nocea che 'l ferro quasi:
or che de'
far la nebbia di calcine?
or che
doveano far li ardenti vasi
con olio e
zolfo e peci e trementine?
I cerchi in
munizion non son rimasi,
che
d'ogn'intorno hanno di fiamma il crine:
questi,
scagliati per diverse bande,
mettono a'
Saracini aspre ghirlande.
113
Intanto il re
di Sarza avea cacciato
sotto le mura
la schiera seconda,
da Buraldo,
da Ormida accompagnato,
quel
Garamante, e questo di Marmonda.
Clarindo e
Soridan gli sono allato,
né par che 'l
re di Setta si nasconda;
segue il re
di Marocco e quel di Cosca,
ciascun
perché il valor suo si conosca.
114
Ne la
bandiera, ch'è tutta vermiglia,
Rodomonte di
Sarza il leon spiega,
che la feroce
bocca ad una briglia
che gli pon
la sua donna, aprir non niega.
Al leon sé
medesimo assimiglia;
e per la
donna che lo frena e lega,
la bella
Doralice ha figurata,
figlia di
Stordilan re di Granata:
115
quella che
tolto avea, come io narrava,
re
Mandricardo, e dissi dove e a cui.
Era costei
che Rodomonte amava
più
che'l suo regno e più che gli occhi sui;
e cortesia e
valor per lei mostrava,
non
già sapendo ch'era in forza altrui:
se saputo
l'avesse, allora allora
fatto avria
quel che fe' quel giorno ancora.
116
Sono
appoggiate a un tempo mille scale,
che non han
men di dua per ogni grado.
Spinge il
secondo quel ch'inanzi sale;
che 'l terzo
lui montar fa suo mal grado.
Chi per
virtù, chi per paura vale:
convien
ch'ognun per forza entri nel guado;
che qualunche
s'adagia, il re d'Algiere,
Rodomonte
crudele, uccide o fere.
117
Ognun dunque
si sforza di salire
tra il fuoco
e le ruine in su le mura.
Ma tutti gli
altri guardano, se aprire
veggiano
passo ove sia poca cura:
sol Rodomonte
sprezza di venire,
se non dove
la via meno è sicura.
Dove nel caso
disperato e rio
gli altri fan
voti, egli bestemmia Dio.
118
Armato era
d'un forte duro usbergo,
che fu di
drago una scagliosa pelle.
Di questo
già si cinse il petto e 'l tergo
quello avol
suo ch'edificò Babelle,
e si
pensò cacciar de l'aureo albergo,
e torre a Dio
il governo de le stelle:
l'elmo e lo
scudo fece far perfetto,
e il brando
insieme; e solo a questo effetto.
119
Rodomonte non
già men di Nembrotte
indomito,
superbo e furibondo,
che d'ire al
ciel non tarderebbe a notte,
quando la
strada si trovasse al mondo,
quivi non sta
a mirar s'intere o rotte
sieno le
mura, o s'abbia l'acqua fondo:
passa la
fossa, anzi la corre e vola,
ne l'acqua e
nel pantan fin alla gola.
120
Di fango
brutto, e molle d'acqua vanne
tra il foco e
i sassi e gli archi e le balestre,
come andar
suol tra le palustri canne
de la nostra
Mallea porco silvestre,
che col
petto, col grifo e con le zanne
fa, dovunque
si volge, ample finestre.
Con lo scudo
alto il Saracin sicuro
ne vien
sprezzando il ciel, non che quel muro.
121
Non sì
tosto all'asciutto è Rodomonte,
che giunto si
sentì su le bertresche,
che dentro
alla muraglia facean ponte
capace e
largo alle squadre francesche.
Or si vede
spezzar più d'una fronte,
far chieriche
maggior de le fratesche,
braccia e
capi volare; e ne la fossa
cader da'
muri una fiumana rossa.
122
Getta il
pagan lo scudo, e a duo man prende
la crudel
spada, e giunge il duca Arnolfo.
Costui
venìa di là dove discende
l'acqua del
Reno nel salato golfo.
Quel miser
contra lui non si difende
meglio che
faccia contra il fuoco il zolfo;
e cade in
terra, e dà l'ultimo crollo,
dal capo
fesso un palmo sotto il collo.
123
Uccide di
rovescio in una volta
Anselmo,
Oldrado, Spineloccio e Prando:
il luogo
stretto e la gran turba folta
fece girar
sì pienamente il brando.
Fu la prima
metade a Fiandra tolta,
l'altra
scemata al populo normando.
Divise
appresso da la fronte al petto,
ed indi al
ventre, il maganzese Orghetto.
124
Getta da'
merli Andropono e Moschino
giù ne
la fossa: il primo è sacerdote;
non adora il
secondo altro che 'l vino,
e le bigonce
a un sorso n'ha già vuote.
Come veneno e
sangue viperino
l'acque
fuggia quanto fuggir si puote:
or quivi
muore; e quel che più l'annoia,
è 'l
sentir che nell'acqua se ne muoia.
125
Tagliò
in due parti il provenzal Luigi,
e
passò il petto al tolosano Arnaldo.
Di Torse
Oberto, Claudio, Ugo e Dionigi
mandar lo
spirto fuor col sangue caldo;
e presso a
questi, quattro da Parigi,
Gualtiero,
Satallone, Odo ed Ambaldo,
ed altri
molti: ed io non saprei come
di tutti
nominar la patria e il nome.
126
La turba
dietro a Rodomonte presta
le scale
appoggia, e monta in più d'un loco.
Quivi non
fanno i Parigin più testa;
che la prima
difesa lor val poco.
San ben
ch'agli nemici assai più resta
dentro da
fare, e non l'avran da gioco;
perché tra il
muro e l'argine secondo
discende il
fosso orribile e profondo.
127
Oltra che i
nostri facciano difesa
dal basso
all'alto, e mostrino valore;
nuova gente
succede alla contesa
sopra l'erta
pendice interiore,
che fa con
lance e con saette offesa
alla gran
moltitudine di fuore,
che credo
ben, che saria stata meno,
se non v'era
il figliuol del re Ulieno.
128
Egli questi
conforta, e quei riprende,
e lor mal
grado inanzi se gli caccia:
ad altri il
petto, ad altri il capo fende,
che per
fuggir veggia voltar la faccia.
Molti ne
spinge ed urta; alcuni prende
pei capelli,
pel collo e per le braccia:
e sozzopra
là giù tanti ne getta,
che quella
fossa a capir tutti è stretta.
129
Mentre lo
stuol de' barbari si cala,
anzi trabocca
al periglioso fondo,
ed indi cerca
per diversa scala
di salir
sopra l'argine secondo;
il re di
Sarza (come avesse un'ala
per ciascun
de' suoi membri) levò il pondo
di sì
gran corpo e con tant'arme indosso,
e netto si
lanciò di là dal fosso.
130
Poco era men
di trenta piedi, o tanto,
ed egli il
passò destro come un veltro,
e fece nel
cader strepito, quanto
avesse avuto
sotto i piedi il feltro:
ed a questo
ed a quello affrappa il manto,
come sien
l'arme di tenero peltro,
e non di
ferro, anzi pur sien di scorza:
tal la sua
spada, e tanta è la sua forza!
131
In questo
tempo i nostri, da chi tese
l'insidie son
ne la cava profonda,
che v'han
scope e fascine in copia stese,
intorno a
quai di molta pece abonda
(né
però alcuna si vede palese,
ben che
n'è piena l'una e l'altra sponda
dal fondo
cupo insino all'orlo quasi),
e senza fin
v'hanno appiattati vasi,
132
qual con
salnitro, qual con oglio, quale
con zolfo,
qual con altra simil esca;
i nostri in
questo tempo, perché male
ai Saracini
il folle ardir riesca,
ch'eran nel
fosso, e per diverse scale
credean
montar su l'ultima bertresca;
udito il
segno da oportuni lochi,
di qua e di
là fenno avampare i fochi.
133
Tornò
la fiamma sparsa tutta in una,
che tra una
ripa e l'altra ha 'l tutto pieno;
e tanto
ascende in alto, ch'alla luna
può
d'appresso asciugar l'umido seno.
Sopra si
volve oscura nebbia e bruna,
che 'l sole
adombra, e spegne ogni sereno.
Sentesi un
scoppio in un perpetuo suono,
simile a un
grande e spaventoso tuono.
134
Aspro
concento, orribile armonia
d'alte
querele, d'ululi e di strida
de la misera
gente che peria
nel fondo per
cagion de la sua guida,
istranamente
concordar s'udia
col fiero
suon de la fiamma omicida.
Non
più, Signor, non più di questo canto;
ch'io son
già rauco e vo' posarmi alquanto.
1
Fu il vincer
sempremai laudabil cosa,
vincasi o per
fortuna o per ingegno:
gli è
ver che la vittoria sanguinosa
spesso far
suole il capitan men degno;
e quella
eternamente è gloriosa,
e dei divini
onori arriva al segno,
quando servando
i suoi senza alcun danno,
si fa che
gl'inimici in rotta vanno.
2
La vostra,
Signor mio, fu degna loda,
quando al
Leone, in mar tanto feroce,
ch'avea
occupata l'una e l'altra proda
del Po, da
Francolin sin alla foce,
faceste
sì, ch'ancor che ruggir l'oda,
s'io
vedrò voi, non tremerò alla voce.
Come vincer
si de', ne dimostraste;
ch'uccideste
i nemici, e noi salvaste.
3
Questo il
pagan, troppo in suo danno audace,
non seppe
far; che i suoi nel fosso spinse,
dove la
fiamma subita e vorace
non
perdonò ad alcun, ma tutti estinse.
A tanti non
saria stato capace
tutto il gran
fosso, ma il fuoco restrinse,
restrinse i
corpi e in polve li ridusse,
acciò
ch'abile a tutti il luogo fusse.
4
Undicimila ed
otto sopra venti
si ritrovar
ne l'affocata buca,
che v'erano
discesi malcontenti;
ma
così volle il poco saggio duca.
Quivi fra
tanto lume or sono spenti,
e la vorace
fiamma li manuca:
e Rodomonte,
causa del mal loro,
se ne va
esente da tanto martoro:
5
che tra'
nemici alla ripa più interna
era passato
d'un mirabil salto.
Se con gli
altri scendea ne la caverna,
questo era
ben il fin d'ogni suo assalto.
Rivolge gli
occhi a quella valle inferna;
e quando vede
il fuoco andar tant'alto,
e di sua
gente il pianto ode e lo strido,
bestemmia il
ciel con spaventoso grido.
6
Intanto il re
Agramante mosso avea
impetuoso
assalto ad una porta;
che, mentre
la crudel battaglia ardea
quivi ove
è tanta gente afflitta e morta,
quella
sprovista forse esser credea
di guardia,
che bastasse alla sua scorta.
Seco era il
re d'Arzilla Bambirago,
e Baliverzo,
d'ogni vizio vago;
7
e Corineo di
Mulga, e Prusione,
il ricco re
dell'Isole beate;
Malabuferso
che la regione
tien di
Fizan, sotto continua estate;
altri
signori, ed altre assai persone
esperte ne la
guerra e bene armate;
e molti ancor
senza valore e nudi,
che 'l cor
non s'armerian con mille scudi.
8
Trovò
tutto il contrario al suo pensiero
in questa
parte il re de' Saracini:
perché in
persona il capo de l'Impero
v'era, re
Carlo, e de' suoi paladini,
re Salamone
ed il danese Ugiero,
ed ambo i
Guidi ed ambo gli Angelini,
e 'l duca di
Bavera e Ganelone,
e Berlengier
e Avolio e Avino e Otone;
9
gente
infinita poi di minor conto,
de' Franchi,
de' Tedeschi e de' Lombardi,
presente il
suo signor, ciascuno pronto
a farsi
riputar fra i più gagliardi.
Di questo
altrove io vo' rendervi conto;
ch'ad un gran
duca è forza ch'io riguardi,
il qual mi
grida, e di lontano accenna,
e priega
ch'io nol lasci ne la penna.
10
Gli è
tempo ch'io ritorni ove lasciai
l'aventuroso
Astolfo d'Inghilterra,
che 'l lungo
esilio avendo in odio ormai,
di desiderio
ardea de la sua terra;
come gli
n'avea data pur assai
speme colei
ch'Alcina vinse in guerra.
Ella di
rimandarvilo avea cura
per la via
più espedita e più sicura.
11
E così
una galea fu apparechiata,
di che
miglior mai non solcò marina;
e perché ha
dubbio per tutta fiata,
che non gli
turbi il suo viaggio Alcina,
vuol
Logistilla che con forte armata
Andronica ne
vada e Sofrosina,
tanto che nel
mar d'Arabi, o nel golfo
de' Persi,
giunga a salvamento Astolfo.
12
Più
tosto vuol che volteggiando rada
gli Sciti e
gl'Indi e i regni nabatei,
e torni poi
per così lunga strada
a ritrovar i
Persi e gli Eritrei;
che per quel
boreal pelago vada,
che turban
sempre iniqui venti e rei,
e sì,
qualche stagion, pover di sole,
che starne
senza alcuni mesi suole.
13
La fata, poi
che vide acconcio il tutto,
diede licenza
al duca di partire,
avendol prima
ammaestrato e istrutto
di cose
assai, che fôra lungo a dire;
e per schivar
che non sia più ridutto
per arte
maga, onde non possa uscire,
un bello ed
util libro gli avea dato,
che per suo
amore avesse ognora allato.
14
Come l'uom
riparar debba agl'incanti
mostra il
libretto che costei gli diede:
dove ne
tratta o più dietro o più inanti,
per rubrica e
per indice si vede.
Un altro don
gli fece ancor, che quanti
doni fur mai,
di gran vantaggio eccede:
e questo fu
d'orribil suono un corno,
che fa fugire
ognun che l'ode intorno.
15
Dico che 'l
corno è di sì orribil suono,
ch'ovunque
s'oda, fa fuggir la gente:
non
può trovarsi al mondo un cor sì buono,
che possa non
fuggir come lo sente:
rumor di
vento e di termuoto, e 'l tuono,
a par del
suon di questo, era niente.
Con molto
riferir di grazie, prese
da la fata
licenza il buono Inglese.
16
Lasciando il
porto e l'onde più tranquille,
con felice
aura ch'alla poppa spira,
sopra le
ricche e populose ville
de
l'odorifera India il duca gira,
scoprendo a
destra ed a sinistra mille
isole sparse;
e tanto va, che mira
la terra di
Tomaso, onde il nocchiero
più a
tramontana poi volge il sentiero.
17
Quasi radendo
l'aurea Chersonesso,
la bella
armata il gran pelago frange:
e
costeggiando i ricchi liti, spesso
vede come nel
mar biancheggi il Gange;
e Traprobane
vede e Cori appresso;
e vede il mar
che fra i duo liti s'ange.
Dopo gran via
furo a Cochino, e quindi
usciro fuor
dei termini degl'Indi.
18
Scorrendo il
duca il mar con sì fedele
e sì
sicura scorta, intender vuole,
e ne domanda
Andronica, se de le
parti c'han
nome dal cader del sole,
mai legno
alcun che vada a remi e a vele,
nel mare
orientale apparir suole;
e s'andar
può senza toccar mai terra,
chi d'India
scioglia, in Francia o in Inghilterra.
19
- Tu déi
sapere (Andronica risponde)
che
d'ogn'intorno il mar la terra abbraccia;
e van l'una
ne l'altra tutte l'onde,
sia dove
bolle o dove il mar s'aggiaccia;
ma perché qui
davante si difonde,
e sotto il
mezzodì molto si caccia
la terra
d'Etiopia, alcuno ha detto
ch'a Nettuno
ir più inanzi ivi è interdetto.
20
Per questo
del nostro indico levante
nave non
è che per Europa scioglia;
né si muove
d'Europa navigante
ch'in queste
nostre parti arrivar voglia.
Il ritrovarsi
questa terra avante,
e questi e
quelli al ritornare invoglia;
che credono,
veggendola sì lunga,
che con
l'altro emisperio si congiunga.
21
Ma volgendosi
gli anni, io veggio uscire
da l'estreme
contrade di ponente
nuovi
Argonauti e nuovi Tifi, e aprire
la strada
ignota infin al dì presente:
altri
volteggiar l'Africa, e seguire
tanto la
costa de la negra gente,
che passino quel
segno onde ritorno
fa il sole a
noi, lasciando il Capricorno;
22
e ritrovar
del lungo tratto il fine,
che questo fa
parer dui mar diversi;
e scorrer
tutti i liti e le vicine
isole d'Indi,
d'Arabi e di Persi:
altri lasciar
le destre e le mancine
rive che due
per opra Erculea fersi;
e del sole
imitando il camin tondo,
ritrovar
nuove terre e nuovo mondo.
23
Veggio la
santa croce, e veggio i segni
imperial nel
verde lito eretti:
veggio altri
a guardia dei battuti legni,
altri
all'acquisto del paese eletti:
veggio da
dieci cacciar mille, e i regni
di là
da l'India ad Aragon suggetti;
e veggio i
capitan di Carlo quinto,
dovunque
vanno, aver per tutto vinto.
24
Dio vuol
ch'ascosa antiquamente questa
strada sia
stata, e ancor gran tempo stia;
né che prima
si sappia, che la sesta
e la settima
età passata sia:
e serba a
farla al tempo manifesta,
che
vorrà porre il mondo a monarchia,
sotto il
più saggio imperatore e giusto,
che sia stato
o sarà mai dopo Augusto.
25
Del sangue
d'Austria e d'Aragon io veggio
nascer sul
Reno alla sinistra riva
un principe,
al valor del qual pareggio
nessun valor,
di cui si parli o scriva.
Astrea veggio
per lui riposta in seggio,
anzi di morta
ritornata viva;
e le
virtù che cacciò il mondo, quando
lei
cacciò ancora, uscir per lui di bando.
26
Per questi
merti la Bontà suprema
non solamente
di quel grande impero
ha disegnato
ch'abbia diadema
ch'ebbe
Augusto, Traian, Marco e Severo;
ma d'ogni
terra e quinci e quindi estrema,
che mai né al
sol né all'anno apre il sentiero:
e vuol che
sotto a questo imperatore
solo un ovile
sia, solo un pastore.
27
E
perch'abbian più facile successo
gli ordini in
cielo eternamente scritti,
gli pon la
somma Providenza appresso
in mare e in
terra capitani invitti.
Veggio
Hernando Cortese, il qualo ha messo
nuove
città sotto i cesarei editti,
e regni in
Oriente sì remoti,
ch'a noi, che
siamo in India, non son noti.
28
Veggio
Prosper Colonna, e di Pescara
veggio un
marchese, e veggio dopo loro
un giovene
del Vasto, che fan cara
parer la
bella Italia ai Gigli d'oro:
veggio
ch'entrare inanzi si prepara
quel terzo
agli altri a guadagnar l'alloro:
come buon
corridor ch'ultimo lassa
le mosse, e
giunge, e inanzi a tutti passa.
29
Veggio tanto
il valor, veggio la fede
tanta
d'Alfonso (che 'l suo nome è questo),
ch'in
così acerba età, che non eccede
dopo il
vigesimo anno ancora il sesto,
l'imperator
l'esercito gli crede,
il qual
salvando, salvar non che 'l resto,
ma farsi
tutto il mondo ubidiente
con questo
capitan sarà possente.
30
Come con
questi, ovunque andar per terra
si possa,
accrescerà l'imperio antico;
così
per tutto il mar, ch'in mezzo serra
di là
l'Europa e di qua l'Afro aprico,
sarà
vittorioso in ogni guerra,
poi ch'Andrea
Doria s'avrà fatto amico.
Questo
è quel Doria che fa dai pirati
sicuro il
vostro mar per tutti i lati.
31
Non fu
Pompeio a par di costui degno,
se ben vinse
e cacciò tutti i corsari;
Però
che quelli al più possente regno
che fosse
mai, non poteano esser pari:
ma questo
Doria, sol col proprio ingegno
e proprie
forze purgherà quei mari;
sì che
da Calpe al Nilo, ovunque s'oda
il nome suo,
tremar veggio ogni proda.
32
Sotto la fede
entrar, sotto la scorta
di questo
capitan di ch'io ti parlo,
veggio in
Italia, ove da lui la porta
gli
sarà aperta, alla corona Carlo.
Veggio che 'l
premio che di ciò riporta,
non tien per
sé, ma fa alla patria darlo:
con prieghi
ottien ch'in libertà la metta,
dove altri a
sé l'avria forse suggetta.
33
Questa
pietà, ch'egli alla patria mostra,
è
degna di più onor d'ogni battaglia
ch'in Francia
o in Spagna o ne la terra vostra
vincesse
Iulio, o in Africa o in Tessaglia.
Né il grande
Ottavio, né chi seco giostra
di par,
Antonio, in più onoranza saglia
pei gesti
suoi; ch'ogni lor laude amorza
l'avere usato
alla lor patria forza.
34
Questi ed
ogn'altro che la patria tenta
di libera far
serva, si arrosisca;
né dove il
nome d'Andrea Doria senta,
di levar gli
occhi in viso d'uomo ardisca.
Veggio Carlo
che 'l premio gli augumenta;
ch'oltre quel
ch'in commun vuol che fruisca,
gli dà
la ricca terra ch'ai Normandi
sarà
principio a farli in Puglia grandi.
35
A questo
capitan non pur cortese
il magnanimo
Carlo ha da mostrarsi,
ma a quanti
avrà ne le cesaree imprese
del sangue
lor non ritrovati scarsi.
D'aver
città, d'aver tutto un paese
donato a un
suo fedel, più ralegrarsi
lo veggio, e
a tutti quei che ne son degni,
che
d'acquistar nuov'altri imperi e regni. -
36
Così
de le vittorie, le qual, poi
ch'un gran
numero d'anni sarà corso,
daranno a
Carlo i capitani suoi,
facea col
duca Andronica discorso:
e la compagna
intanto ai venti eoi
viene
allentando e raccogliendo il morso;
e fa ch'or
questo or quel propizio l'esce,
e come vuol
li minuisce e cresce.
37
Veduto aveano
intanto il mar de' Persi
come in
sì largo spazio si dilaghi;
onde vicini
in pochi giorni fersi
al golfo che
nomar gli antiqui Maghi.
Quivi
pigliaro il porto, e fur conversi
con la poppa
alla ripa i legni vaghi;
quindi sicur
d'Alcina e di sua guerra,
Astolfo il
suo camin prese per terra.
38
Passò
per più d'un campo e più d'un bosco,
per
più d'un monte e per più d'una valle;
ove ebbe
spesso, all'aer chiaro e al fosco,
i ladroni or
inanzi or alle spalle.
Vide leoni, e
draghi pien di tosco,
ed altre fere
attraversarsi il calle;
ma non
sì tosto avea la bocca al corno,
che
spaventati gli fuggian d'intorno.
39
Vien per
l'Arabia ch'è detta Felice,
ricca di
mirra e d'odorato incenso,
che per suo
albergo l'unica fenice
eletto s'ha
di tutto il mondo immenso;
fin che
l'onda trovò vendicatrice
già
d'Israel, che per divin consenso
Faraone
sommerse e tutti i suoi:
e poi venne
alla terra degli Eroi.
40
Lungo il
fiume Traiano egli cavalca
su quel
destrier ch'al mondo è senza pare,
che tanto
leggiermente e corre e valca,
che ne
l'arena l'orma non n'appare:
l'erba non
pur, non pur la nieve calca;
coi piedi
asciutti andar potria sul mare;
e sì
si stende al corso, e sì s'affretta,
che passa e
vento e folgore e saetta.
41
Questo
è il destrier che fu de l'Argalia,
che di fiamma
e di vento era concetto;
e senza fieno
e biada, si nutria
de l'aria
pura, e Rabican fu detto.
Venne,
suguendo il Duca la sua via,
dove
dà il Nilo a quel fiume ricetto;
e prima che
giugnesse in su la foce,
vide un legno
venire a sé veloce.
42
Naviga in su
la poppa uno eremita
con bianca
barba, a mezzo il petto lunga,
che sopra il
legno il paladino invita,
e: - Figliuol
mio (gli grida da la lunga),
se non
t'è in odio la tua propria vita,
se non brami
che morte oggi ti giunga,
venir ti
piaccia su quest'altra arena;
ch'a morir
quella via dritto ti mena.
43
Tu non andrai
più che sei miglia inante,
che troverai
la saguinosa stanza
dove
s'alberga un orribil gigante
che d'otto
piedi ogni statura avanza.
Non abbia
cavallier né viandante
di partirsi
da lui, vivo, speranza:
ch'altri il
crudel ne scanna, altri ne scuoia,
molti ne
squarta, e vivo alcun ne 'ngoia.
44
Piacer, fra
tanta crudeltà, si prende
d'una rete
ch'egli ha, molto ben fatta:
poco lontana
al tetto suo la tende,
e ne la trita
polve in modo appiatta,
che chi prima
nol sa, non la comprende,
tanto
è sottil, tanto egli ben l'adatta:
e con tai
gridi i peregrin minaccia,
che
spaventati dentro ve li caccia.
45
E con gran
risa, aviluppati in quella
se li
strascina sotto il suo coperto;
né cavallier
riguarda né donzella,
o sia di
grande o sia di picciol merto:
e mangiata la
carne, e la cervella
succhiate e
'l sangue, dà l'ossa al deserto;
e de l'umane
pelli intorno intorno
fa il suo
palazzo orribilmente adorno.
46
Prendi
quest'altra via, prendila, figlio,
che fin al
mar ti fia tutta sicura. -
- Io ti
ringrazio, padre, del consiglio
(rispose il
cavallier senza paura),
ma non istimo
per l'onor periglio,
di ch'assai
più che de la vita ho cura.
Per far ch'io
passi, invan tu parli meco;
anzi vo al
dritto a ritrovar lo speco.
47
Fuggendo,
posso con disnor salvarmi;
ma tal salute
ho più che morte a schivo.
S'io vi vo,
al peggio che potrà incontrarmi,
fra molti
resterò di vita privo;
ma quando Dio
così mi drizzi l'armi,
che colui
morto, ed io rimanga vivo,
sicura a
mille renderò la via:
sì che
l'util maggior che 'l danno fia.
48
Metto
all'incontro la morte d'un solo
alla salute
di gente infinita. -
- Vattene in
pace (rispose), figliuolo;
Dio mandi in
difension de la tua vita
l'arcangelo
Michel dal sommo polo: -
e benedillo
il semplice eremita.
Astolfo lungo
il Nil tenne la strada,
sperando
più nel suon che ne la spada.
49
Giace tra
l'alto fiume e la palude
picciol
sentier nell'arenosa riva:
la solitaria
casa lo richiude,
d'umanitade e
di commercio priva.
Son fisse
intorno teste e membra nude
de l'infelice
gente che v'arriva.
Non
v'è finestra, non v'è merlo alcuno,
onde penderne
almen non si veggia uno.
50
Qual ne le
alpine ville o ne' castelli
suol
cacciator che gran perigli ha scorsi,
su le porte
attaccar l'irsute pelli,
l'orride
zampe e i grossi capi d'orsi;
tal
dimostrava il fier gigante quelli
che di
maggior virtù gli erano occorsi.
D'altri
infiniti sparse appaion l'ossa;
ed è
di sangue uman piena ogni fossa.
51
Stassi
Caligorante in su la porta;
che
così ha nome il dispietato mostro
ch'orna la
sua magion di gente morta,
come alcun
suol di panni d'oro o d'ostro.
Costui per
gaudio a pena si comporta,
come il duca
lontan se gli è dimostro;
ch'eran duo
mesi, e il terzo ne venìa,
che non fu
cavallier per quella via.
52
Vêr la
palude, ch'era scura e folta
di verdi
canne, in gran fretta ne viene;
che disegnato
avea correre in volta,
e uscir al
paladin dietro alle schene;
che ne la
rete, che tenea sepolta
sotto la
polve, di cacciarlo ha spene,
come avea
fatto gli altri peregrini
che quivi
tratto avean lor rei destini.
53
Come venire
il paladin lo vede,
ferma il
destrier, non senza gran sospetto
che vada in
quelli lacci a dar del piede,
di che il
buon vecchiarel gli avea predetto.
Quivi il
soccorso del suo corno chiede,
e quel
sonando fa l'usato effetto:
nel cor fere
il gigante che l'ascolta,
di tal timor,
ch'a dietro i passi volta.
54
Astolfo
suona, e tuttavolta bada;
che gli par
sempre che la rete scocchi.
Fugge il
fellon, né vede ove si vada;
che, come il
core, avea perduti gli occhi.
Tanta
è la tema, che non sa far strada,
che ne li
propri aguati non trabocchi:
va ne la
rete; e quella si disserra,
tutto
l'annoda, e lo distende in terra.
55
Astolfo,
ch'andar giù vede il gran peso,
già
sicuro per sé, v'accorre in fretta;
e con la
spada in man, d'arcion disceso,
va per far di
mill'anime vendetta.
Poi gli par
che s'uccide un che sia preso,
viltà,
più che virtù, ne sarà detta;
che legate le
braccia, i piedi e il collo
gli vede
sì, che non può dare un crollo.
56
Avea la rete
già fatta Vulcano
di sottil fil
d'acciar, ma con tal arte,
che saria
stata ogni fatica invano
per
ismagliarne la più debol parte;
ed era quella
che già piedi e mano
avea legate a
Venere ed a Marte.
La fe' il
geloso, e non ad altro effetto,
che per
pigliarli insieme ambi nel letto.
57
Mercurio al
fabbro poi la rete invola;
che Cloride
pigliar con essa vuole,
Cloride bella
che per l'aria vola
dietro
all'Aurora, all'apparir del sole,
e dal
raccolto lembo de la stola
gigli
spargendo va, rose e viole.
Mercurio
tanto questa ninfa attese,
che con la
rete in aria un dì la prese.
58
Dove entra in
mare il gran fiume etiopo,
par che la
dea presa volando fosse.
Poi nei
tempio d'Anubide a Canopo
la rete molti
seculi serbosse.
Caligorante
tremila anni dopo,
di là,
dove era sacra, la rimosse:
se ne
portò la rete il ladrone empio,
ed arse la
cittade, e rubò il tempio.
59
Quivi
adattolla in modo in su l'arena,
che tutti
quei ch'avean da lui la caccia
vi davan
dentro; ed era tocca a pena,
che lor
legava e collo e piedi e braccia.
Di questa
levò Astolfo una catena,
e le man
dietro a quel fellon n'allaccia;
le braccia e
'l petto in guisa gli ne fascia,
che non
può sciorsi: indi levar lo lascia,
60
dagli altri
nodi avendol sciolto prima,
ch'era
tornato uman più che donzella.
Di trarlo
seco e di mostrarlo stima
per ville,
per cittadi e per castella.
Vuol la rete
anco aver, di che né lima
né martel
fece mai cosa più bella:
ne fa somier
colui ch'alla catena
con pompa
trionfal dietro si mena.
61
L'elmo e lo
scudo anche a portar gli diede,
come a
valletto, e seguitò il camino,
di gaudio
empiendo, ovunque metta il piede,
ch'ir possa
ormai sicuro il peregrino.
Astolfo se ne
va tanto, che vede
ch'ai
sepolcri di Memfi è già vicino,
Memfi per le
piramidi famoso:
vede
all'incontro il Cairo populoso.
62
Tutto il
popul correndo si traea
per vedere il
gigante smisurato.
- Come
è possibil (l'un l'altro dicea)
che quel
piccolo il grande abbia legato? -
Astolfo a pena
inanzi andar potea,
tanto la
calca il preme da ogni lato:
e come
cavallier d'alto valore
ognun
l'ammira, e gli fa grande onore.
63
Non era
grande il Cairo così allora,
come se ne
ragiona a nostra etade:
che 'l populo
capir, che vi dimora,
non puon
diciottomila gran contrade;
e che le case
hanno tre palchi, e ancora
ne dormono
infiniti in su le strade;
e che 'l
soldano v'abita un castello
mirabil di
grandezza, e ricco e bello;
64
e che
quindicimila suoi vasalli,
che son
cristiani rinegati tutti,
con mogli,
con famiglie e con cavalli
ha sotto un
tetto sol quivi ridutti.
Astolfo veder
vuole ove s'avalli,
e quanto il
Nilo entri nei salsi flutti
a Damiata;
ch'avea quivi inteso,
qualunque
passa restar morto o preso.
65
Però
ch'in ripa al Nilo in su la foce
si ripara un
ladron dentro una torre,
ch'a paesani
e a peregrini nuoce,
e fin al
Cairo, ognun rubando scorre.
Non gli
può alcun resistere; ed ha voce
che l'uom gli
cerca invan la vita torre:
centomila
ferite egli ha già avuto,
né ucciderlo
però mai s'è potuto.
66
Per veder se
può far rompere il filo
alla Parca di
lui, sì che non viva,
Astolfo viene
a ritrovare Orrilo
(così
avea nome), e a Damiata arriva;
ed indi passa
ove entra in mare il Nilo,
e vede la
gran torre in su la riva,
dove
s'alberga l'anima incantata
che d'un
folletto nacque e d'una fata.
67
Quivi
ritruova che crudel battaglia
era tra
Orrilo e dui guerrieri accesa.
Orrilo
è solo; e sì que' dui travaglia,
ch'a gran
fatica gli puon far difesa:
e quando in
arme l'uno e l'altro vaglia,
a tutto il
mondo la fama palesa.
Questi erano
i dui figli d'Oliviero,
Grifone il
bianco ed Aquilante il nero.
68
Gli è
ver che 'l negromante venuto era
alla
battaglia con vantaggio grande;
che seco
tratto in campo avea una fera,
la qual si
truova solo in quelle bande:
vive sul lito
e dentro alla rivera;
e i corpi
umani son le sue vivande,
de le persone
misere ed incaute
de viandanti
e d'infelici naute.
69
La bestia ne
l'arena appresso al porto
per man dei
duo fratei morta giacea;
e per questo
ad Orril non si fa torto,
s'a un tempo
l'uno e l'altro gli nocea.
Più
volte l'han smembrato e non mai morto,
né, per
smembrarlo, uccider si potea;
che se
tagliato o mano o gamba gli era,
la rapiccava,
che parea di cera.
70
Or fin a'
denti il capo gli divide
Grifone, or
Aquilante fin al petto.
Egli dei
colpi lor sempre si ride:
s'adiran
essi, che non hanno effetto.
Chi mai
d'alto cader l'argento vide,
che gli
alchimisti hanno mercurio detto,
e sparger e
raccor tutti i suo' membri,
sentendo di costui,
se ne rimembri.
71
Se gli
spiccano il capo, Orrilo scende,
né cessa
brancolar fin che lo truovi;
ed or pel
crine ed or pel naso il prende,
lo salda al
collo, e non so con che chiovi.
Piglial talor
Grifone, e 'l braccio stende,
nel fiume il
getta, e non par ch'anco giovi;
che nuota
Orrilo al fondo come un pesce,
e col suo
capo salvo alla ripa esce.
72
Due belle
donne onestamente ornate,
l'una vestita
a bianco e l'altra a nero,
che de la
pugna causa erano state,
stavano a
riguardar l'assalto fiero.
Queste eran
quelle due benigne fate
ch'avean
notriti i figli d'Oliviero,
poi che li
trasson teneri citelli
dai curvi
artigli di duo grandi augelli,
73
che rapiti
gli avevano a Gismonda,
e portati
lontan dal suo paese.
Ma non
bisogna in ciò ch'io mi diffonda,
ch'a tutto il
mondo è l'istoria palese;
ben che
l'autor nel padre si confonda,
ch'un per un
altro (io non so come) prese.
Or la
battaglia i duo gioveni fanno,
che le due
donne ambi pregati n'hanno.
74
Era in quel
clima già sparito il giorno,
all'isole
ancor alto di Fortuna;
l'ombre avean
tolto ogni vedere a torno
sotto
l'incerta e mal compresa luna;
quando alla
rocca Orril fece ritorno,
poi ch'alla
bianca e alla sorella bruna
piacque di
differir l'aspra battaglia
fin che 'l
sol nuovo all'orizzonte saglia.
75
Astolfo, che
Grifone ed Aquilante,
ed
all'insegne e più al ferir gagliardo,
riconosciuto
avea gran pezzo inante,
lor non fu
altiero a salutar né tardo.
Essi vedendo
che quel che 'l gigante
traea legato,
era il baron dal pardo
(che
così in corte era quel duca detto),
raccolser lui
con non minore affetto.
76
Le donne a
riposare i cavallieri
menaro a un
lor palagio indi vicino.
Donzelle
incontra vennero e scudieri
con torchi
accesi, a mezzo del camino.
Diero a chi
n'ebbe cura i lor destrieri,
trassonsi
l'arme; e dentro un bel giardino
trovar
ch'apparechiata era la cena
ad una fonte
limpida ed amena.
77
Fan legare il
gigante alla verdura
Con un'altra
catena molto grossa
ad una
quercia di molt'anni dura,
che non si
romperà per una scossa;
e da dieci
sergenti averne cura,
che la notte
discior non se ne possa,
ed assalirli,
e forse far lor danno,
mentre sicuri
e senza guardia stanno.
78
All'abondante
e sontuosa mensa,
dove il manco
piacer fur le vivande,
del ragionar
gran parte si dispensa
sopra
d'Orrilo e del miracol grande,
che quasi par
un sogno a chi vi pensa,
ch'or capo or
braccio a terra se gli mande,
ed egli lo
raccolga e lo raggiugna,
e più
feroce ognor torni alla pugna.
79
Astolfo nel
suo libro avea già letto
(quel
ch'agl'incanti riparare insegna)
ch'ad Orril
non trarrà l'alma del petto
fin ch'un
crine fatal nel capo tegna;
ma, se lo
svelle o tronca, fia costretto
che suo mal
grado fuor l'alma ne vegna.
Questo ne
dice il libro; ma non come
conosca il
crine in così folte chiome.
80
Non men de la
vittoria si godea,
che se
n'avesse Astolfo già la palma;
come chi
speme in pochi colpi avea
svellere il
crine al negromante e l'alma.
Però
di quella impresa promettea
tor su gli
omeri suoi tutta la salma:
Orril
farà morir, quando non spiaccia
ai duo
fratei, ch'egli la pugna faccia.
81
Ma quei gli
danno volentier l'impresa,
certi che
debbia affaticarsi invano.
Era
già l'altra aurora in cielo ascesa,
quando
calò dai muri Orrilo al piano.
Tra il duca e
lui fu la battaglia accesa:
la mazza
l'un, l'altro ha la spada in mano.
Di mille
attende Astolfo un colpo trarne,
che lo spirto
gli sciolga da la carne.
82
Or cader gli
fa il pugno con la mazza,
or l'uno or
l'altro braccio con la mano;
quando taglia
a traverso la corazza,
e quando il
va troncando a brano a brano:
ma
ricogliendo sempre de la piazza
va le sue
membra Orrilo, e si fa sano.
S'in cento
pezzi ben l'avesse fatto,
redintegrarsi
il vedea Astolfo a un tratto.
83
Al fin di
mille colpi un gli ne colse
sopra le
spalle ai termini del mento:
la testa e
l'elmo dal capo gli tolse,
né fu
d'Orrilo a dismontar più lento.
La sanguinosa
chioma in man s'avolse,
e risalse a
cavallo in un momento;
e la
portò correndo incontra 'l Nilo,
che riaver
non la potesse Orrilo.
84
Quel sciocco,
che del fatto non s'accorse,
per la polve
cercando iva la testa:
ma come
intese il corridor via torse,
portare il
capo suo per la foresta;
immantinente
al suo destrier ricorse,
sopra vi
sale, e di seguir non resta.
Volea
gridare: - Aspetta, volta, volta! -
ma gli avea
il duca già la bocca tolta.
85
Pur, che non
gli ha tolto anco le calcagna
si
riconforta, e segue a tutta briglia.
Dietro il
lascia gran spazio di campagna
quel Rabican
che corre a maraviglia.
Astolfo
intanto per la cuticagna
va da la nuca
fin sopra le ciglia
cercando in
fretta, se 'l crine fatale
conoscer
può, ch'Orril tiene immortale.
86
Fra tanti e
innumerabili capelli,
un più
de l'altro non si stende o torce:
qual dunque
Astolfo sceglierà di quelli,
che per dar
morte al rio ladron raccorce?
- Meglio
è (disse) che tutti io tagli o svelli: -
né si
trovando aver rasoi né force,
ricorse
immantinente alla sua spada,
che taglia
sì, che si può dir che rada.
87
E tenendo
quel capo per lo naso,
dietro e
dinanzi lo dischioma tutto.
Trovò
fra gli altri quel fatale a caso:
si fece il
viso allor pallido e brutto,
travolse gli
occhi, e dimostrò all'occaso,
per manifesti
segni, esser condutto;
e 'l busto
che seguia troncato al collo,
di sella
cadde, e diè l'ultimo crollo.
88
Astolfo, ove
le donne e i cavallieri
lasciato
avea, tornò col capo in mano,
che tutti
avea di morte i segni veri,
e
mostrò il tronco ove giacea lontano.
Non so ben se
lo vider volentieri,
ancor che gli
mostrasser viso umano;
che la
intercetta lor vittoria forse
d'invidia ai
duo germani il petto morse.
89
Né che tal
fin quella battuglia avesse,
credo
più fosse alle due donne grato.
Queste,
perché più in lungo si traesse
de' duo
fratelli il doloroso fato
ch'in Francia
par ch'in breve esser dovesse,
con loro
Orrilo avean quivi azzuffato,
con speme di
tenerli tanto a bada,
che la trista
influenza se ne vada.
90
Tosto che 'l
castellan di Damiata
certificossi
ch'era morto Orrilo,
la columba
lasciò, ch'avea legata
sotto l'ala
la lettera col filo.
Quella
andò al Cairo; ed indi fu lasciata
un'altra
altrove, come quivi è stilo:
sì che
in pochissime ore andò l'aviso
per tutto
Egitto, ch'era Orrilo ucciso.
91
Il duca, come
al fin trasse l'impresa,
confortò
molto i nobili garzoni,
ben che da sé
v'avean la voglia intesa,
né bisognavan
stimuli né sproni,
che per
difender de la santa Chiesa
e del romano
Imperio le ragioni,
lasciasser le
battaglie d'Oriente,
e cercassino
onor ne la lor gente.
92
Così
Grifone ed Aquilante tolse
ciascuno da
la sua donna licenza;
le quali,
ancor che lor ne 'ncrebbe e dolse,
non vi seppon
però far resistenza.
Con essi
Astolfo a man destra si volse;
che si
deliberar far riverenza
ai santi
luoghi ove Dio in carne visse,
prima che
verso Francia si venisse.
93
Potuto avrian
pigliar la via mancina,
ch'era
più dilettevole e più piana,
e mai non si
scostar da la marina;
ma per la
destra andaro orrida e strana,
perché l'alta
città di Palestina
per questa
sei giornate è men lontana.
Acqua si
truova ed erba in questa via:
di tutti gli
altri ben v'è carestia.
94
Sì che
prima ch'entrassero in viaggio,
ciò
che lor bisognò, fecion raccorre,
e carcar sul
gigante il carriaggio,
ch'avria
portato in collo anco una torre.
Al finir del
camino aspro e selvaggio,
da l'alto
monte alla lor vista occorre
la santa
terra, ove il superno Amore
lavò
col proprio sangue il nostro errore.
95
Trovano in su
l'entrar de la cittade
un giovene
gentil, lor conoscente,
Sansonetto da
Meca, oltre l'etade,
ch'era nel
primo fior, molto prudente;
d'alta
cavalleria, d'alta bontade
famoso, e
riverito fra la gente.
Orlando lo
converse a nostra fede,
e di sua man
battesmo anco gli diede.
96
Quivi lo
trovan che disegna a fronte
del calife
d'Egitto una fortezza;
e circondar
vuole il Calvario monte
di muro di
duo miglia di lunghezza.
Da lui
raccolti fur con quella fronte
che
può d'interno amor dar più chiarezza,
e dentro
accompagnati, e con grande agio
fatti
alloggiar nel suo real palagio.
97
Avea in
governo egli la terra, e in vece
di Carlo vi
reggea l'imperio giusto.
Il duca
Astolfo a costui dono fece
di quel
sì grande e smisurato busto,
ch'a portar
pesi gli varrà per diece
bestie da
soma, tanto era robusto.
Diegli
Astolfo il gigante, e diegli appresso
la rete ch'in
sua forza l'avea messo.
98
Sansonetto
all'incontro al duca diede
per la spada
una cinta ricca e bella;
e diede spron
per l'uno e l'altro piede,
che d'oro
avean la fibbia e la girella;
ch'esser del
cavallier stati si crede,
che
liberò dal drago la donzella:
al Zaffo
avuti con molt'altro arnese
Sansonetto
gli avea, quando lo prese.
99
Purgati de
lor colpe a un monasterio
che dava di
sé odor di buoni esempi,
de la passion
di Cristo ogni misterio
contemplando
n'andar per tutti i tempi
ch'or con eterno
obbrobrio e vituperio
agli
cristiani usurpano i Mori empi.
L'Europa
è in arme, e di far guerra agogna
in ogni
parte, fuor ch'ove bisogna.
100
Mentre avean
quivi l'animo divoto,
a perdonanze
e a cerimonie intenti,
un peregrin
di Grecia, a Grifon noto,
novelle gli
arrecò gravi e pungenti,
dal suo primo
disegno e lungo voto
troppo
diverse e troppo differenti;
e quelle il
petto gl'infiammaron tanto,
che gli
scacciar l'orazion da canto.
101
Amava il
cavallier, per sua sciagura,
una donna
ch'avea nome Orrigille:
di più
bel volto e di miglior statura
non se ne
sceglierebbe una fra mille;
ma disleale e
di sì rea natura,
che potresti
cercar cittadi e ville,
la terra
ferma e l'isole del mare,
né credo
ch'una le trovassi pare.
102
Ne la
città di Costantin lasciata
grave l'avea
di febbre acuta e fiera.
Or quando
rivederla alla tornata
più
che mai bella, e di goderla spera,
ode il
meschin, ch'in Antiochia andata
dietro un suo
nuovo amante ella se n'era,
non le
parendo ormai di più patire
ch'abbia in
sì fresca età sola a dormire.
103
Da indi in
qua ch'ebbe la trista nuova,
sospirava
Grifon notte e dì sempre.
Ogni piacer
ch'agli altri aggrada e giova,
par ch'a
costui più l'animo distempre:
pensilo
ognun, ne li cui danni pruova
Amor, se li
suoi strali han buone tempre.
Ed era grave
sopra ogni martire,
che 'l mal
ch'avea si vergognava a dire.
104
Questo,
perché mille fiate inante
già
ripreso l'avea di quello amore,
di lui
più saggio, il fratello Aquilante,
e cercato
colei trargli del core,
colei ch'al
suo giudicio era di quante
femine rie si
trovin la peggiore.
Grifon
l'escusa, se 'l fratel la danna;
e le
più volte il parer proprio inganna.
105
Però
fece pensier, senza parlarne
con
Aquilante, girsene soletto
sin dentro
d'Antiochia, e quindi trarne
colei che
tratto il cor gli avea del petto;
trovar colui
che gli l'ha tolta, e farne
vendetta tal,
che ne sia sempre detto.
Dirò,
come ad effetto il pensier messe,
nell'altro
canto, e ciò che ne successe.
1
Gravi pene in
amor si provan molte,
di che patito
io n'ho la maggior parte,
e quelle in
danno mio sì ben raccolte,
ch'io ne
posso parlar come per arte.
Però
s'io dico e s'ho detto altre volte,
e quando in
voce e quando in vive carte,
ch'un mal sia
lieve, un altro acerbo e fiero,
date credenza
al mio giudicio vero.
2
Io dico e
dissi, e dirò fin ch'io viva,
che chi si
truova in degno laccio preso,
se ben di sé
vede sua donna schiva,
se in tutto
aversa al suo desire acceso;
se bene Amor
d'ogni mercede il priva,
poscia che 'l
tempo e la fatica ha speso;
pur
ch'altamente abbia locato il core,
pianger non
de', se ben languisce e muore.
3
Pianger de'
quel che già sia fatto servo
di duo vaghi
occhi e d'una bella treccia,
sotto cui si
nasconda un cor protervo,
che poco puro
abbia con molta feccia.
Vorria il
miser fuggire; e come cervo
ferito,
ovunque va, porta la freccia:
ha di se
stesso e del suo amor vergogna,
né l'osa
dire, e invan sanarsi agogna.
4
In questo
caso è il giovene Grifone,
che non si
può emendare, e il suo error vede,
vede quanto
vilmente il suo cor pone
in Orrigille
iniqua e senza fede;
pur dal mal
uso è vinta la ragione,
e pur
l'arbitrio all'appetito cede:
perfida sia
quantunque, ingrata e ria,
sforzato
è di cercar dove ella sia.
5
Dico, la
bella istoria ripigliando,
ch'uscì
de la città secretamente,
né parlarne
s'ardì col fratel, quando
ripreso invan
da lui ne fu sovente.
Verso Rama, a
sinistra declinando,
prese la via
più piana e più corrente.
Fu in sei
giorni a Damasco di Soria;
indi verso
Antiochia se ne gìa.
6
Scontrò
presso a Damasco il cavalliero
a cui donato
aveva Orrigille il core:
e convenian
di rei costumi in vero,
come ben si
convien l'erba col fiore;
che l'uno e
l'altro era di cor leggiero,
perfido l'uno
e l'altro e traditore;
e copria
l'uno e l'altro il suo difetto,
con danno
altrui, sotto cortese aspetto.
7
Come io vi
dico, il cavallier venìa
s'un gran
destrier con molta pompa armato:
la perfida
Orrigille in compagnia,
in un vestire
azzur d'oro fregiato,
e duo
valletti, donde si servia
a portar elmo
e scudo, aveva allato;
come quel che
volea con bella mostra
comparire in
Damasco ad una giostra.
8
Una splendida
festa che bandire
fece il re di
Damasco in quelli giorni,
era cagion di
far quivi venire
i cavallier
quanto potean più adorni.
Tosto che la
puttana comparire
vede Grifon,
ne teme oltraggi e scorni:
sa che
l'amante suo non è sì forte,
che contra
lui l'abbia a campar da morte.
9
Ma sì
come audacissima e scaltrita,
ancor che
tutta di paura trema,
s'acconcia il
viso, e sì la voce aita,
che non appar
in lei segno di tema.
Col drudo
avendo già l'astuzia ordita,
corre, e
fingendo una letizia estrema,
verso Grifon
l'aperte braccia tende,
lo stringe al
collo, e gran pezzo ne pende.
10
Dopo,
accordando affettuosi gesti
alla
suavità de le parole,
dicea
piangendo: - Signor mio, son questi
debiti premi
a chi t'adora e cole?
che sola
senza te già un anno resti,
e va per
l'altro, e ancor non te ne duole?
E s'io stava
aspettare il suo ritorno,
non so se mai
veduto avrei quel giorno!
11
Quando
aspettava che di Nicosia,
dove tu te
n'andasti alla gran corte,
tornassi a me
che con la febbre ria
lasciata
avevi in dubbio de la morte,
intesi che
passato eri in Soria:
il che a
patir mi fu sì duro e forte,
che non
sapendo come io ti seguissi,
quasi il cor
di man propria mi traffissi.
12
Ma Fortuna di
me con doppio dono
mostra
d'aver, quel che non hai tu, cura:
mandommi il
fratel mio, col quale io sono
sin qui
venuta del mio onor sicura;
ed or mi
manda questo incontro buono
di te, ch'io
stimo sopra ogni aventura:
e bene a
tempo il fa; che più tardando,
morta sarei,
te, signor mio, bramando. -
13
E
seguitò la donna fraudolente,
di cui
l'opere fur più che di volpe,
la sua
querela così astutamente,
che
riversò in Grifon tutte le colpe.
Gli fa stimar
colui, non che parente,
ma che d'un
padre seco abbia ossa e polpe:
e con tal
modo sa tesser gl'inganni,
che men
verace par Luca e Giovanni.
14
Non pur di
sua perfidia non riprende
Grifon la
donna iniqua più che bella;
non pur
vendetta di colui non prende,
che fatto
s'era adultero di quella:
ma gli par
far assai, se si difende
che tutto il
biasmo in lui non riversi ella;
e come fosse
suo cognato vero,
d'accarezzar
non cessa il cavalliero.
15
E con lui se
ne vien verso le porte
di Damasco, e
da lui sente tra via,
che là
dentro dovea splendida corte
tenere il
ricco re de la Soria;
e ch'ognun
quivi, di qualunque sorte,
o sia
cristiano, o d'altra legge sia,
dentro e di
fuori ha la città sicura
per tutto il
tempo che la festa dura.
16
Non
però son di seguitar sì intento
l'istoria de
la perfida Orrigille,
ch'a' giorni
suoi non pur un tradimento
fatto agli
amanti avea, ma mille e mille;
ch'io non
ritorni a riveder dugento
mila persone,
o più de le scintille
del fuoco
stuzzicato, ove alle mura
di Parigi
facean danno e paura.
17
Io vi
lasciai, come assaltato avea
Agramante una
porta de la terra,
che trovar
senza guardia si credea:
né più
riparo altrove il passo serra;
perché in
persona Carlo la tenea,
ed avea seco
i mastri de la guerra,
duo Guidi,
duo Angelini; uno Angeliero,
Avino,
Avolio, Otone e Berlingiero.
18
Inanzi a
Carlo, inanzi al re Agramante
l'un stuolo e
l'altro si vuol far vedere,
ove gran
loda, ove mercé abondante
si può
acquistar, facendo il suo dovere.
I Mori non
però fer pruove tante,
che par
ristoro al danno abbiano avere;
perché ve ne
restar morti parecchi,
ch'agli altri
fur di folle audacia specchi.
19
Grandine
sembran le spesse saette
dal muro
sopra gli nimici sparte.
Il grido
insin al ciel paura mette,
che fa la
nostra e la contraria parte.
Ma Carlo un
poco ed Agramante aspette;
ch'io vo'
cantar de l'africano Marte,
Rodomonte
terribile ed orrendo,
che va per
mezzo la città correndo.
20
Non so,
Signor, se più vi ricordiate,
di questo
Saracin tanto sicuro,
che morte le
sue genti avea lasciate
tra il
secondo riparo e 'l primo muro,
da la rapace
fiamma devorate,
che non fu
mai spettacolo più oscuro.
Dissi
ch'entrò d'un salto ne la terra
sopra la
fossa che la cinge e serra.
21
Quando fu
noto il Saracino atroce
all'arme
istrane, alla scagliosa pelle,
là
dove i vecchi e 'l popul men feroce
tendean
l'orecchie a tutte le novelle,
levossi un
pianto, un grido, un'alta voce,
con un batter
di man ch'andò alle stelle;
e chi poté
fuggir non vi rimase,
per serrarsi
ne' templi e ne le case.
22
Ma questo a
pochi il brando rio conciede,
ch'intorno
ruota il Saracin robusto.
Qui fa restar
con mezza gamba un piede,
là fa
un capo sbalzar lungi dal busto;
l'un tagliare
a traverso se gli vede,
dal capo
all'anche un altro fender giusto:
e di tanti
ch'uccide, fere e caccia,
non se gli
vede alcun segnare in faccia.
23
Quel che la
tigre de l'armento imbelle
ne' campi
ircani o là vicino al Gange,
o 'l lupo de
le capre e de l'agnelle
nel monte che
Tifeo sotto si frange;
quivi il
crudel pagan facea di quelle
non
dirò squadre, non dirò falange,
ma vulgo e
populazzo voglio dire,
degno, prima
che nasca, di morire.
24
Non ne trova
un che veder possa in fronte,
fra tanti che
ne taglia, fora e svena.
Per quella
strada che vien dritto al ponte
di san
Michel, sì popolata e piena,
corre il
fiero e terribil Rodomonte,
e la
sanguigna spada a cerco mena:
non riguarda
né al servo né al signore,
né al giusto
ha più pietà ch'al peccatore.
25
Religion non
giova al sacerdote,
né la
innocenza al pargoletto giova:
per sereni
occhi o per vermiglie gote
mercé né
donna né donzella truova:
la vecchiezza
si caccia e si percuote;
né quivi il
Saracin fa maggior pruova
di gran
valor, che di gran crudeltade;
che non
discerne sesso, ordine, etade.
26
Non pur nel
sangue uman l'ira si stende
de l'empio
re, capo e signor degli empi,
ma contra i
tetti ancor, sì che n'incende
le belle case
e i profanati tempi.
Le case eran,
per quel che se n'intende,
quasi tutte
di legno in quelli tempi:
e ben creder
si può; ch'in Parigi ora
de le diece
le sei son così ancora.
27
Non par,
quantunque il fuoco ogni cosa arda,
che sì
grande odio ancor saziar si possa.
Dove
s'aggrappi con le mani, guarda,
sì che
ruini un tetto ad ogni scossa.
Signor, avete
a creder che bombarda
mai non
vedeste a Padova sì grossa,
che tanto
muro possa far cadere,
quanto fa in
una scossa il re d'Algiere.
28
Mentre quivi
col ferro il maledetto
e con le
fiamme facea tanta guerra,
se di fuor
Agramante avesse astretto,
perduta era
quel dì tutta la terra.
ma non v'ebbe
agio; che gli fu interdetto
dal paladin
che venìa d'Inghilterra
col populo
alle spalle inglese e scotto,
dal Silenzio
e da l'angelo condotto.
29
Dio volse che
all'entrar che Rodomonte
fe' ne la
terra, e tanto fuoco accese,
che presso ai
muri il fior di Chiaramonte,
Rinaldo,
giunse, e seco il campo inglese.
Tre leghe
sopra avea gittato il ponte,
e torte vie
da man sinistra prese;
che
disegnando i barbari assalire,
il fiume non
l'avesse ad impedire.
30
Mandato avea
seimila fanti arcieri
sotto
l'altiera insegna d'Odoardo,
e duomila
cavalli, e più, leggieri
dietro alla
guida d'Ariman gagliardo;
e mandati gli
avea per li sentieri
che vanno e
vengon dritto al mar picardo,
ch'a porta
San Martino e San Dionigi
entrassero a
soccorso di Parigi.
31
I cariaggi e
gli altri impedimenti
con lor fece
drizzar per questa strada.
Egli con
tutto il resto de le genti
più
sopra andò girando la contrada.
Seco avean
navi e ponti ed argumenti
da passar
Senna che non ben si guada.
Passato
ognuno, e dietro i ponti rotti,
ne le lor
schiere ordinò Inglesi e Scotti.
32
Ma prima quei
baroni e capitani
Rinaldo
intorno avendosi ridutti,
sopra la riva
ch'alta era dai piani
sì,
che poteano udirlo e veder tutti,
disse: -
Signor, ben a levar le mani
avete a Dio,
che qui v'abbia condutti,
acciò,
dopo un brevissimo sudore,
sopra ogni
nazion vi doni onore.
33
Per voi saran
dui principi salvati,
se levate
l'assedio a quelle porte:
il vostro re,
che voi sete ubligati
da
servitù difendere e da morte;
ed uno
imperator de' più lodati
che mai
tenuto al mondo abbiano corte;
e con loro
altri re, duci e marchesi,
signori e
cavallier di più paesi.
34
Sì
che, salvando una città, non soli
Parigini
ubligati vi saranno,
che molto
più che per li propri duoli,
timidi,
afflitti e sbigottiti stanno
per le lor
mogli e per li lor figliuoli
ch'a un
medesmo pericolo seco hanno,
e per le
sante vergini richiuse,
ch'oggi non
sien dei voti lor deluse:
35
dico,
salvando voi questa cittade,
v'ubligate non
solo i Parigini,
ma
d'ogn'intorno tutte le contrade.
Non parlo sol
dei populi vicini;
ma non
è terra per Cristianitade,
che non abbia
qua dentro cittadini:
sì
che, vincendo, avete da tenere
che
più che Francia v'abbia obligo avere.
36
Se donavan
gli antiqui una corona
a chi
salvasse a un cittadin la vita,
or che degna
mercede a voi si dona,
salvando
multitudine infinita?
Ma se da
invidia o da viltà sì buona
e sì
santa opra rimarrà impedita,
credetemi che
prese quelle mura,
né Italia né Lamagna
anco è sicura;
37
né qualunque
altra parte ove s'adori
quel che
volse per noi pender sul legno.
Né voi
crediate aver lontani i Mori,
né che pel
mar sia forte il vostro regno:
che s'altre
volte quelli, uscendo fuori
di Zibeltaro
e de l'Erculeo segno,
riportar
prede da l'isole vostre,
che faranno
or, s'avran le terre nostre?
38
Ma quando
ancor nessuno onor, nessuno
util
v'inanimasse a questa impresa,
commun debito
è ben soccorrer l'uno
l'altro, che
militiàn sotto una Chiesa.
Ch'io non vi
dia rotti i nemici, alcuno
non sia chi
tema, e con poca contesa;
che gente
male esperta tutta parmi,
senza
possanza, senza cor, senz'armi. -
39
Poté con
queste e con miglior ragioni,
con parlare
espedito e chiara voce
eccitar quei
magnanimi baroni
Rinaldo, e
quello esercito feroce:
e fu,
com'è in proverbio, aggiunger sproni
al buon
corsier che già ne va veloce.
Finito il
ragionar, fece le schiere
muover pian
pian sotto le lor bandiere.
40
Senza
strepito alcun, senza rumore
fa il
tripartito esercito venire:
lungo il
fiume a Zerbin dona l'onore
di dover
prima i barbari assalire;
e fa quelli
d'Irlanda con maggiore
volger di via
più tra campagna gire;
e i
cavallieri e i fanti d'Inghilterra
col duca di
Lincastro in mezzo serra.
41
Drizzati che
gli ha tutti al lor camino,
cavalca il
paladin lungo la riva,
e passa
inanzi al buon duca Zerbino
e a tutto il
campo che con lui veniva;
tanto ch'al
re d'Orano e al re Sobrino
e agli altri
lor compagni soprarriva,
che mezzo
miglio appresso a quei di Spagna
guardavan da
quel canto la campagna.
42
L'esercito
cristian che con sì fida
e sì
sicura scorta era venuto,
ch'ebbe il
Silenzio e l'angelo per guida,
non poté
ormai patir più di star muto.
Sentiti gli
nimici, alzò le grida,
e de le
trombe udir fe' il suono arguto:
e con l'alto
rumor ch'arrivò al cielo,
mandò
ne l'ossa a' Saracini il gelo.
43
Rinaldo
inanzi agli altri il destrier punge;
e con la
lancia per cacciarla in resta
lascia gli
Scotti un tratto d'arco lunge,
ch'ogni
indugio a ferir sì lo molesta.
Come groppo
di vento talor giunge,
che si tra'
dietro un'orrida tempesta,
tal fuor di
squadra il cavallier gagliardo
venìa
spronando il corridor Baiardo.
44
Al comparir
del paladin di Francia,
dan segno i
Mori alle future angosce:
tremare a
tutti in man vedi la lancia,
i piedi in
staffa, e ne l'arcion le cosce.
Re Puliano
sol non muta guancia,
che questo
esser Rinaldo non conosce;
né pensando
trovar sì duro intoppo,
gli muove il
destrier contra di galoppo:
45
e su la
lancia nel partir si stringe,
e tutta in sé
raccoglie la persona;
poi con ambo
gli sproni il destrier spinge,
e le redine
inanzi gli abandona.
Da l'altra
parte il suo valor non finge,
e mostra in
fatti quel ch'in nome suona,
quanto abbia
nel giostrare e grazia ed arte,
il figliuolo
d'Amone, anzi di Marte.
46
Furo al
segnar degli aspri colpi, pari,
che si posero
i ferri ambi alla testa:
ma furo in
arme ed in virtù dispari,
che l'un via
passa, e l'altro morto resta.
Bisognan di
valor segni più chiari,
che por con
leggiadria la lancia in resta:
ma fortuna
anco più bisogna assai;
che senza,
val virtù raro o non mai.
47
La buona
lancia il paladin racquista,
e verso il re
d'Oran ratto si spicca,
che la
persona avea povera e trista
di cor, ma
d'ossa e di gran polpe ricca.
Questo por
tra bei colpi si può in lista,
ben ch'in
fondo allo scudo gli l'appicca:
e chi non
vuol lodarlo, abbialo escuso,
perché non si
potea giunger più in suso.
48
Non lo ritien
lo scudo, che non entre,
ben che fuor
sia d'acciar, dentro di palma;
e che da quel
gran corpo uscir pel ventre
non faccia
l'inequale e piccola alma.
Il destrier
che portar si credea, mentre
durasse il
lungo dì, sì grave salma,
riferì
in mente sua grazie a Rinaldo,
ch'a quello
incontro gli schivò un gran caldo.
49
Rotta l'asta,
Rinaldo il destrier volta
tanto legger,
che fa sembrar ch'abbia ale;
e dove la
più stretta e maggior folta
stiparsi
vede, impetuoso assale.
Mena Fusberta
sanguinosa in volta
che fa l'arme
parer di vetro frale:
tempra di
ferro il suo tagliar non schiva,
che non vada
a trovar la carne viva.
50
Ritrovar
poche tempre e pochi ferri
può la
tagliente spada, ove s'incappi,
ma targhe,
altre di cuoio, altre di cerri,
giupe
trapunte e attorcigliati drappi.
Giusto
è ben dunque che Rinaldo atterri
qualunque
assale, e fori e squarci e affrappi;
che non
più si difende da sua spada,
ch'erba da
falce, o da tempesta biada.
51
La prima
schiera era già messa in rotta,
quando Zerbin
con l'antiguardia arriva.
Il cavallier
inanzi alla gran frotta
con la lancia
arrestata ne veniva.
La gente
sotto il suo pennon condotta,
con non minor
fierezza lo seguiva:
tanti lupi
parean, tanti leoni
ch'andassero
assalir capre o montoni.
52
Spinse a un
tempo ciascuno il suo cavallo,
poi che fur
presso; e sparì immantinente
quel breve
spazio, quel poco intervallo
che si vedea
fra l'una e l'altra gente.
Non fu
sentito mai più strano ballo;
che ferian
gli Scozzesi solamente:
solamente i
pagani eran distrutti,
come sol per
morir fosser condutti.
53
Parve
più freddo ogni pagan che ghiaccio;
parve ogni
Scotto più che fiamma caldo.
I Mori si
credean ch'avere il braccio
dovesse ogni
cristian, ch'ebbe Rinaldo.
Mosse Sobrino
i suoi schierati avaccio,
senza
aspettar che lo 'nvitasse araldo:
de l'altra
squadra questa era migliore
di capitano,
d'arme e di valore.
54
D'Africa
v'era la men trista gente;
ben che né
questa ancor gran prezzo vaglia.
Dardinel la
sua mosse incontinente,
e male
armata, e peggio usa in battaglia;
ben ch'egli
in capo avea l'elmo lucente,
e tutto era
coperto a piastra e a maglia.
Io credo che
la quarta miglior sia,
con la qual
Isolier dietro venìa.
55
Trasone
intanto, il buon duca di Marra,
che
ritrovarsi all'alta impresa gode,
ai cavallieri
suoi leva la sbarra,
e seco invita
alle famose lode,
poi
ch'Isolier con quelli di Navarra
entrar ne la
battaglia vede ed ode.
Poi mosse
Ariodante la sua schiera,
che nuovo
duca d'Albania fatt'era.
56
L'alto rumor
de le sonore trombe,
de' timpani e
de' barbari stromenti,
giunti al
continuo suon d'archi, di frombe,
di machine,
di ruote e di tormenti;
e quel di che
più par che 'l ciel ribombe,
gridi,
tumulti, gemiti e lamenti;
rendeno un
alto suon ch'a quel s'accorda,
con che i
vicin, cadendo, il Nilo assorda.
57
Grande ombra
d'ogn'intorno il cielo involve,
nata dal saettar
de li duo campi;
l'alito, il
fumo del sudor, la polve
par che ne
l'aria oscura nebbia stampi.
Or qua l'un
campo, or l'altro là si volve:
vedresti or
come un segua, or come scampi;
ed ivi
alcuno, o non troppo diviso,
rimaner morto
ove ha il nimico ucciso.
58
Dove una
squadra per stanchezza è mossa,
un'altra si
fa tosto andare inanti.
Di qua di
là la gente d'arme ingrossa:
là
cavallieri, e qua si metton fanti.
La terra che
sostien l'assalto, è rossa:
mutato ha il
verde ne' sanguigni manti;
e dov'erano i
fiori azzurri e gialli,
giaceno
uccisi or gli uomini e i cavalli.
59
Zerbin facea
le più mirabil pruove
che mai
facesse di sua età garzone:
l'esercito
pagan che 'ntorno piove,
taglia ed
uccide e mena a destruzione.
Ariodante
alle sue genti nuove
mostra di sua
virtù gran paragone;
e dà
di sé timore e meraviglia
a quelli di
Navarra e di Castiglia.
60
Chelindo e
Mosco, i duo figli bastardi
del morto
Calabrun re d'Aragona,
ed un che
reputato fra' gagliardi
era,
Calamidor da Barcelona,
s'avean
lasciato a dietro gli stendardi;
e credendo
acquistar gloria e corona
per uccider
Zerbin, gli furo adosso;
e ne' fianchi
il destrier gli hanno percosso.
61
Passato da
tre lance il destrier morto
cade; ma il
buon Zerbin subito è in piede;
ch'a quei
ch'al suo cavallo han fatto torto,
per
vendicarlo va dove gli vede:
e prima a
Mosco, al giovene inaccorto,
che gli sta
sopra, e di pigliar sel crede,
mena di
punta, e lo passa nel fianco,
e fuor di
sella il caccia freddo e bianco.
62
Poi che si
vide tor, come di furto,
Chelindo il
fratel suo, di furor pieno
venne a
Zerbino, e pensò dargli d'urto;
ma gli prese
egli il corridor pel freno:
trasselo in
terra, onde non è mai surto,
e non
mangiò mai più biada né fieno;
che Zerbin
sì gran forza a un colpo mise,
che lui col
suo signor d'un taglio uccise.
63
Come
Calamidor quel colpo mira,
volta la
briglia per levarsi in fretta;
ma Zerbin
dietro un gran fendente tira,
dicendo: -
Traditore, aspetta, aspetta! -
Non va la
botta ove n'andò la mira,
non che
però lontana vi si metta;
lui non poté
arrivar, ma il destrier prese
sopra la
groppa, e in terra lo distese.
64
Colui lascia
il cavallo, e via carpone
va per
campar, ma poco gli successe;
che venne
caso che 'l duca Trasone
gli
passò sopra, e col peso l'oppresse.
Ariodante e
Lurcanio si pone
dove Zerbino
è fra le genti spesse;
e seco hanno
altri e cavallieri e conti,
che fanno
ogn'opra che Zerbin rimonti.
65
Menava
Ariodante il brando in giro,
e ben lo
seppe Artalico e Margano;
ma molto
più Etearco e Casimiro
la possanza
sentir di quella mano:
i primi duo
feriti se ne giro,
rimaser gli
altri duo morti sul piano.
Lurcanio fa
veder quanto sia forte;
che fere,
urta, riversa e mette a morte.
66
Non crediate,
Signor, che fra campagna
pugna minor
che presso al fiume sia,
né ch'a
dietro l'esercito rimagna,
che di
Lincastro il buon duca seguia.
Le bandiere
assalì questo di Spagna,
e molto ben
di par la cosa gìa;
che fanti,
cavallieri e capitani
di qua e di
là sapean menar le mani.
67
Dinanzi vien
Oldrado e Fieramonte,
un duca di
Glocestra, un d'Eborace;
con lor
Ricardo, di Varvecia conte,
e di
Chiarenza il duca, Enrigo audace.
Han Matalista
e Follicone a fronte,
e Baricondo
ed ogni lor seguace.
Tiene il
primo Almeria, tiene il secondo
Granata, tien
Maiorca Baricondo.
68
La fiera
pugna un pezzo andò di pare,
che vi si
discernea poco vantaggio.
Vedeasi or
l'uno or l'altro ire e tornare,
come le biade
al ventolin di maggio,
o come sopra
'l lito un mobil mare
or viene or
va, né mai tiene un viaggio.
Poi che
fortuna ebbe scherzato un pezzo,
dannosa ai
Mori ritornò da sezzo.
69
Tutto in un
tempo il duca di Glocestra
a Matalista
fa votar l'arcione;
ferito a un
tempo ne la spalla destra
Fieramonte
riversa Follicone:
e l'un pagano
e l'altro si sequestra,
e tra
gl'Inglesi se ne va prigione.
E Baricondo a
un tempo riman senza
vita per man
del duca di Chiarenza.
70
Indi i pagani
tanto a spaventarsi,
indi i fedeli
a pigliar tanto ardire,
che quei non
facean altro che ritrarsi
e partirsi da
l'ordine e fuggire,
e questi
andar inanzi ed avanzarsi
sempre
terreno, e spingere e seguire:
e se non vi
giungea chi lor dié aiuto,
il campo da
quel lato era perduto.
71
Ma
Ferraù, che sin qui mai non s'era
dal re
Marsilio suo troppo disgiunto,
quando vide
fuggir quella bandiera,
e l'esercito
suo mezzo consunto,
spronò
il cavallo, e dove ardea più fiera
la battaglia,
lo spinse; e arrivò a punto
che vide dal
destrier cadere in terra
col capo
fesso Olimpio da la Serra;
72
un giovinetto
che col dolce canto,
concorde al
suon de la cornuta cetra,
d'intenerire
un cor si dava vanto,
ancor che
fosse più duro che pietra.
Felice lui,
se contentar di tanto
onor sapeasi,
e scudo, arco e faretra
aver in odio,
e scimitarra e lancia,
che lo fecer
morir giovine in Francia!
73
Quando lo
vide Ferraù cadere,
che solea
amarlo e avere in molta estima,
si sente di
lui sol via più dolere,
che di
mill'altri che periron prima:
e sopra chi
l'uccise in modo fere,
che gli
divide l'elmo da la cima
per la
fronte, per gli occhi e per la faccia,
per mezzo il
petto, e morto a terra il caccia.
74
Ne qui
s'indugia; e il brando intorno ruota,
ch'ogni elmo
rompe, ogni lorica smaglia;
a chi segna
la fronte, a chi la gota,
ad altri il
capo, ad altri il braccio taglia;
or questo or
quel di sangue e d'alma vota:
e ferma da
quel canto la battaglia,
onde la
spaventata ignobil frotta
senza ordine
fuggia spezzata e rotta.
75
Entrò
ne la battaglia il re Agramante,
d'uccider
gente e di far pruove vago;
e seco ha
Baliverzo, Farurante,
Prusion,
Soridano e Bambirago.
Poi son le
genti senza nome tante,
che del lor
sangue oggi faranno un lago,
che meglio
conterei ciascuna foglia,
quando
l'autunno gli arbori ne spoglia.
76
Agramante dal
muro una gran banda
di fanti
avendo e di cavalli tolta,
col re di
Feza subito li manda,
che dietro ai
padiglion piglin la volta,
e vadano ad
opporsi a quei d'Irlanda,
le cui
squadre vedea con fretta molta,
dopo gran
giri e larghi avolgimenti,
venir per
occupar gli alloggiamenti.
77
Fu 'l re di
Feza ad esequir ben presto;
ch'ogni
tardar troppo nociuto avria.
Raguna
intanto il re Agramante il resto;
parte le
squadre, e alla battaglia invia.
Egli va al
fiume; che gli par ch'in questo
luogo del suo
venir bisogno sia:
e da quel
canto un messo era venuto
del re Sobrino
a domandare aiuto.
78
Menava in una
squadra più di mezzo
il campo
dietro; e sol del gran rumore
tremar gli
Scotti, e tanto fu il ribrezzo,
ch'abbandonavan
l'ordine e l'onore.
Zerbin,
Lurcanio e Ariodante in mezzo
vi restar
soli incontra a quel furore;
e Zerbin,
ch'era a pié, vi peria forse,
ma'l buon
Rinaldo a tempo se n'accorse.
79
Altrove
intanto il paladin s'avea
fatto inanzi
fuggir cento bandiere.
Or che
l'orecchie la novella rea
del gran
periglio di Zerbin gli fere,
ch'a piedi
fra la gente cirenea
lasciato solo
aveano le sue schiere,
volta il
cavallo, e dove il campo scotto
vede fuggir,
prende la via di botto.
80
Dove gli
Scotti ritornar fuggendo
vede,
s'appara, e grida: - Or dove andate?
perché tanta
viltade in voi comprendo,
che a
sì vil gente il campo abbandonate?
Ecco le
spoglie, de le quali intendo
ch'esser
dovean le vostre chiese ornate.
Oh che laude,
oh che gloria, che 'l figliuolo
del vostro re
si lasci a piedi e solo! -
81
D'un suo
scudier una grossa asta afferra,
e vede
Prusion poco lontano,
re
d'Alvaracchie, e adosso se gli serra,
e de l'arcion
lo porta morto al piano.
Morto
Agricalte e Bambirago atterra:
dopo fere
aspramante Soridano;
e come gli
altri l'avria messo a morte,
se nel ferir
la lancia era più forte.
82
Stringe
Fusberta, poi che l'asta è rotta,
e tocca
Serpentin, quel da la Stella.
Fatate l'arme
avea, ma quella botta
pur
tramortito il manda fuor di sella.
E così
al duca de la gente scotta
fa piazza
intorno spaziosa e bella;
sì che
senza contesa un destrier puote
salir di quei
che vanno a selle vote.
83
E ben si
ritrovò salito a tempo,
che forse nol
facea, se più tardava:
perché
Agramante e Dardinello a un tempo,
Sobrin col re
Balastro v'arrivava.
Ma egli, che
montato era per tempo,
di qua e di
là col brando s'aggirava,
mandando or
questo or quel giù ne l'inferno
a dar notizia
del viver moderno.
84
Il buon
Rinaldo, il quale a porre in terra
i più
dannosi avea sempre riguardo,
la spada
contra il re Agramante afferra,
che troppo
gli parea fiero e gagliardo
(facea egli
sol più che mille altri guerra);
e se gli
spinse adosso con Baiardo:
lo fere a un
tempo ed urta di traverso,
sì che
lui col destrier manda riverso.
85
Mentre di
fuor con sì crudel battaglia,
odio, rabbia,
furor l'un l'altro offende,
Rodomonte in
Parigi il popul taglia,
le belle case
e i sacri templi accende.
Carlo, ch'in
altra parte si travaglia,
questo non
vede, e nulla ancor ne 'ntende:
Odoardo
raccoglie ed Arimanno
ne la
città, col lor popul britanno.
86
A lui venne
un scudier pallido in volto,
che potea a
pena trar del petto il fiato.
-
Ahimè! signor, ahimè - replica molto,
prima
ch'abbia a dir altro incominciato:
- Oggi il
romano Imperio, oggi è sepolto;
oggi ha il
suo popul Cristo abandonato:
il demonio
dal cielo è piovuto oggi,
perché in
questa città più non s'alloggi.
87
Satanasso
(perch'altri esser non puote)
strugge e
ruina la città infelice.
Volgiti e
mira le fumose ruote
de la rovente
fiamma predatrice;
ascolta il
pianto che nel ciel percuote;
e faccian
fede a quel che 'l servo dice.
Un solo
è quel ch'a ferro e a fuoco strugge
la bella
terra, e inanzi ognun gli fugge. -
88
Quale
è colui che prima oda il tumulto,
e de le sacre
squille il batter spesso,
che vegga il
fuoco a nessun altro occulto,
ch'a sé, che
più gli tocca, e gli è più presso;
tal è
il re Carlo, udendo il nuovo insulto,
e conoscendol
poi con l'occhio istesso:
onde lo
sforzo di sua miglior gente
al grido
drizza e al gran rumor che sente.
89
Dei paladini
e dei guerrier più degni
Carlo si
chiama dietro una gran parte,
e vêr
la piazza fa drizzare i segni;
che 'l pagan
s'era tratto in quella parte.
Ode il rumor,
vede gli orribil segni
di
crudeltà, l'umane membra sparte.
Ora non
più: ritorni un'altra volta
chi voluntier
la bella istoria ascolta.
1
Il giusto
Dio, quando i peccati nostri
hanno di
remission passato il segno,
acciò
che la giustizia sua dimostri
uguale alla
pietà, spesso dà regno
a tiranni
atrocissimi ed a mostri,
e dà
lor forza e di mal fare ingegno.
Per questo
Mario e Silla pose al mondo,
e duo Neroni
e Caio furibondo,
2
Domiziano e
l'ultimo Antonino;
e tolse da la
immonda e bassa plebe,
ed
esaltò all'imperio Massimino;
e nascer
prima fe' Creonte a Tebe;
e dié
Mezenzio al populo Agilino,
che fe' di sangue
uman grasse le glebe;
e diede
Italia a tempi men remoti
in preda agli
Unni, ai Longobardi, ai Goti.
3
Che d'Atila
dirò? che de l'iniquo
Ezzellin da
Roman? che d'aItri cento?
che dopo un
lungo andar sempre in obliquo,
ne manda Dio
per pena e per tormento.
Di questo
abbiàn non pur al tempo antiquo,
ma ancora al
nostro, chiaro esperimento,
quando a noi,
greggi inutili e malnati,
ha dato per
guardian lupi arrabbiati:
4
a cui non par
ch'abbi a bastar lor fame,
ch'abbi il
lor ventre a capir tanta carne;
e chiaman
lupi di più ingorde brame
da boschi
oltramontani a divorarne.
Di Trasimeno
l'insepulto ossame
e di Canne e
di Trebia poco parne
verso quel
che le ripe e i campi ingrassa,
dov'Ada e
Mella e Ronco e Tarro passa.
5
Or Dio
consente che noi siàn puniti
da populi di
noi forse peggiori,
per li
multiplicati ed infiniti
nostri
nefandi, obbrobriosi errori.
Tempo
verrà ch'a depredar lor liti
andremo noi,
se mai saren migliori,
e che i
peccati lor giungano al segno,
che l'eterna
Bontà muovano a sdegno.
6
Doveano
allora aver gli eccessi loro
di Dio
turbata la serena fronte,
che scórse
ogni lor luogo il Turco e 'l Moro
con stupri,
uccision, rapine ed onte:
ma più
di tutti gli altri danni, foro
gravati dal
furor di Rodomonte.
Dissi ch'ebbe
di lui la nuova Carlo,
e che 'n
piazza venia per ritrovarlo.
7
Vede tra via
la gente sua troncata,
arsi i
palazzi, e ruinati i templi,
gran parte de
la terra desolata;
mai non si
vider sì crudeli esempli.
- Dove
fuggite, turba spaventata?
Non è
tra voi chi 'l danno suo contempli?
Che
città, che refugio più vi resta,
quando si
perda sì vilmente questa?
8
Dunque un uom
solo in vostra terra preso,
cinto di mura
onde non può fuggire,
si
partirà che non l'avrete offeso,
quando tutti
v'avrà fatto morire? -
Così
Carlo dicea, che d'ira acceso
tanta
vergogna non potea patire.
E giunse dove
inanti alla gran corte
vide il pagan
por la sua gente a morte.
9
Quivi gran
parte era del populazzo,
sperandovi
trovare aiuto, ascesa;
perché forte
di mura era il palazzo,
con munizion
da far lunga difesa.
Rodomonte,
d'orgoglio e d'ira pazzo,
solo s'avea
tutta la piazza presa:
e l'una man,
che prezza il mondo poco,
ruota la
spada, e l'altra getta il fuoco.
10
E de la regal
casa, alta e sublime,
percuote e
risuonar fa le gran porte.
Gettan le
turbe da le eccelse cime
e merli e
torri, e si metton per morte.
Guastare i
tetti non è alcun che stime;
e legne e
pietre vanno ad una sorte,
lastre e
colonne, e le dorate travi
che furo in
prezzo agli lor padri e agli avi.
11
Sta su la
porta il re d'Algier, lucente
di chiaro
acciar che 'l capo gli arma e 'l busto,
come uscito
di tenebre serpente,
poi c'ha
lasciato ogni squalor vetusto,
del nuovo
scoglio altiero, e che si sente
ringiovenito
e più che mai robusto:
tre lingue
vibra, ed ha negli occhi foco;
dovunque
passa, ogn'animal dà loco.
12
Non sasso,
merlo, trave, arco o balestra,
né ciò
che sopra il Saracin percuote,
ponno
allentar la sanguinosa destra
che la gran
porta taglia, spezza e scuote:
e dentro fatto
v'ha tanta finestra,
che ben
vedere e veduto esser puote
dai visi
impressi di color di morte,
che tutta
piena quivi hanno la corte.
13
Suonar per
gli alti e spaziosi tetti
s'odono gridi
e feminil lamenti:
l'afflitte
donne, percotendo i petti,
corron per
casa pallide e dolenti;
e abbraccian
gli usci e i geniali letti
che tosto
hanno a lasciare a strane genti.
Tratta la
cosa era in periglio tanto,
quando 'l re
giunse, e suoi baroni accanto.
14
Carlo si
volse a quelle man robuste
ch'ebbe altre
volte a gran bisogni pronte.
- Non
sète quelli voi, che meco fuste
contra
Agolante (disse) in Aspramonte?
Sono le forze
vostre ora sì fruste,
che,
s'uccideste lui, Troiano e Almonte
con
centomila, or ne temete un solo
pur di quel
sangue e pur di quello stuolo?
15
Perché debbo
vedere in voi fortezza
ora minor
ch'io la vedessi allora?
Mostrate a
questo can vostra prodezza,
a questo can
che gli uomini devora.
Un magnanimo
cor morte non prezza,
presta o
tarda che sia, pur che ben muora.
Ma dubitar
non posso ove voi sète,
che fatto
sempre vincitor m'avete. -
16
Al fin de le
parole urta il destriero,
con l'asta
bassa, al Saracino adosso.
Mossesi a un
tratto il paladino Ugiero,
a un tempo
Namo ed Ulivier si è mosso,
Avino,
Avolio, Otone e Berlingiero,
ch'un senza
l'altro mai veder non posso:
e ferir tutti
sopra a Rodomonte
e nel petto e
nei fianchi e ne la fronte.
17
Ma lasciamo,
per Dio, Signore, ormai
di parlar
d'ira e di cantar di morte;
e sia per
questa volta detto assai
del Saracin
non men crudel che forte:
che tempo
è ritornar dov'io lasciai
Grifon,
giunto a Damasco in su le porte
con Orrigille
perfida, e con quello
ch'adulter
era, e non di lei fratello.
18
De le
più ricche terre di Levante,
de le
più populose e meglio ornate
si dice esser
Damasco, che distante
siede a
Ierusalem sette giornate,
in un piano
fruttifero e abondante,
non men
giocondo il verno, che l'estate.
A questa
terra il primo raggio tolle
de la
nascente aurora un vicin colle.
19
Per la
città duo fiumi cristallini
vanno
inaffiando per diversi rivi
un numero
infinito di giardini,
non mai di
fior, non mai di fronde privi.
Dicesi ancor,
che macinar molini
potrian far
l'acque lanfe che son quivi;
e chi va per
le vie vi sente, fuore
di tutte
quelle case, uscire odore.
20
Tutta coperta
è la strada maestra
di panni di
diversi color lieti;
e d'odorifera
erba, e di silvestra
fronda la
terra e tutte le pareti.
Adorna era
ogni porta, ogni finestra
di finissimi
drappi e di tapeti,
ma più
di belle e ben ornate donne
di ricche gemme
e di superbe gonne.
21
Vedeasi
celebrar dentr'alle porte,
in molti
lochi, solazzevol balli;
il popul, per
le vie, di miglior sorte
maneggiar ben
guarniti e bei cavalli:
facea
più bel veder la ricca corte
de' signor,
de' baroni e de' vasalli,
con
ciò che d'India e d'eritree maremme
di perle aver
si può, d'oro e di gemme.
22
Venia Grifone
e la sua compagnia
mirando e
quinci e quindi il tutto ad agio,
quando
fermolli un cavalliero in via,
e gli fece
smontare a un suo palagio;
e per
l'usanza e per sua cortesia
di nulla
lasciò lor patir disagio.
Li fe' nel
bagno entrar, poi con serena
fronte gli
accolse a sontuosa cena.
23
E
narrò lor come il re Norandino,
re di Damasco
e di tutta Soria,
fatto avea il
paesano e 'l peregrino
ch'ordine
avesse di cavalleria,
alla giostra
invitar, ch'al matutino
del dì
sequente in piazza si faria;
e che s'avean
valor pari al sembiante,
potrian
mostrarlo senza andar più inante.
24
Ancor che
quivi non venne Grifone
a questo
effetto, pur lo 'nvito tenne;
che qual
volta se n'abbia occasione,
mostrar
virtude mai non disconvenne.
Interrogollo
poi de la cagione
di quella
festa, e s'ella era solenne
usata
ogn'anno, o pure impresa nuova
del re ch'i
suoi veder volesse in pruova.
25
Rispose il
cavallier: - La bella festa
s'ha da far
sempre ad ogni quarta luna:
de l'altre
che verran, la prima è questa:
ancora non se
n'è fatta più alcuna.
Sarà
in memoria che salvò la testa
il re in tal
giorno da una gran fortuna,
dopo che
quattro mesi in doglie e 'n pianti
sempre era
stato, e con la morte inanti.
26
Ma per dirvi
la cosa pienamente,
il nostro re,
che Norandin s'appella,
molti e
molt'anni ha avuto il core ardente
de la
leggiadra e sopra ogn'altra bella
figlia del re
di Cipro: e finalmente
avutala per
moglie, iva con quella,
con
cavallieri e donne in compagnia;
e dritto avea
il camin verso Soria.
27
Ma poi che
fummo tratti a piene vele
lungi dal
porto nel Carpazio iniquo,
la tempesta
saltò tanto crudele,
che
sbigottì sin al padrone antiquo.
Tre dì
e tre notti andammo errando ne le
minacciose
onde per camino obliquo.
Uscimo al fin
nel lito stanchi e molli,
tra freschi
rivi, ombrosi e verdi colli.
28
Piantare i
padiglioni, e le cortine
fra gli
arbori tirar facemo lieti.
S'apparechiano
i fuochi e le cucine;
le mense
d'altra parte in su tapeti.
Intanto il re
cercando alle vicine
valli era
andato e a' boschi più secreti,
se ritrovasse
capre o daini o cervi;
e l'arco gli
portar dietro duo servi.
29
Mentre
aspettamo, in gran piacer sedendo,
che da cacciar
ritorni il signor nostro,
vedemo l'Orco
a noi venir correndo
lungo il lito
del mar, terribil mostro.
Dio vi
guardi, signor, che 'l viso orrendo
de l'Orco
agli occhi mai vi sia dimostro:
meglio
è per fama aver notizia d'esso,
ch'andargli,
si che lo veggiate, appresso.
30
Non gli
può comparir quanto sia lungo,
sì
smisuratamente è tutto grosso.
In luogo
d'occhi, di color di fungo
sotto la
fronte ha duo coccole d'osso.
Verso noi
vien (come vi dico) lungo
il lito, e
par ch'un monticel sia mosso.
Mostra le
zanne fuor, come fa il porco;
ha lungo il
naso, il sen bavoso e sporco.
31
Correndo
viene, e 'l muso a guisa porta
che 'l bracco
suol, quando entra in su la traccia.
Tutti che lo
veggiam, con faccia smorta
in fuga
andamo ove il timor ne caccia.
Poco il veder
lui cieco ne conforta,
quando,
fiutando sol, par che più faccia,
ch'altri non
fa, ch'abbia odorato e lume:
e bisogno al
fuggire eran le piume.
32
Corron chi
qua chi là; ma poco lece
da lui
fuggir, veloce più che 'l Noto.
Di quaranta
persone, a pena diece
sopra il
navilio si salvaro a nuoto.
Sotto il
braccio un fastel d'alcuni fece,
né il grembio
si lasciò né il seno voto;
un suo capace
zaino empissene anco,
che gli
pendea, come a pastor, dal fianco.
33
Portòci
alla sua tana il mostro cieco,
cavata in
lito al mar dentr'uno scoglio.
Di marmo
così bianco è quello speco,
come esser
soglia ancor non scritto foglio.
Quivi abitava
una matrona seco,
di dolor
piena in vista e di cordoglio;
ed avea in
compagnia donne e donzelle
d'ogni
età, d'ogni sorte, e brutte e belle.
34
Era presso
alla grotta in ch'egli stava,
quasi alla
cima del giogo superno,
un'altra non
minor di quella cava,
dove del
gregge suo facea governo.
Tanto n'avea,
che non si numerava;
e n'era egli
il pastor l'estate e 'l verno.
Ai tempi suoi
gli apriva e tenea chiuso,
per spasso
che n'avea, più che per uso.
35
L'umana carne
meglio gli sapeva:
e prima il fa
veder ch'all'antro arrivi;
che tre de'
nostri giovini ch'aveva,
tutti li
mangia, anzi trangugia vivi.
Viene alla
stalla, e un gran sasso ne leva:
ne caccia il
gregge, e noi riserra quivi.
Con quel sen
va dove il suol far satollo,
sonando una
zampogna ch'avea in collo.
36
Il signor
nostro intanto ritornato
alla marina,
il suo danno comprende;
che truova
gran silenzio in ogni lato,
voti
frascati, padiglioni e tende.
Né sa pensar
chi sì l'abbia rubato;
e pien di
gran timore al lito scende,
onde i
nocchieri suoi vede in disparte
sarpar lor
ferri e in opra por le sarte.
37
Tosto ch'essi
lui veggiono sul lito,
il
palischermo mandano a levarlo:
ma non
sì tosto ha Norandino udito
de l' Orco
che venuto era a rubarlo,
che, senza
più pensar, piglia partito,
dovunque
andato sia, di seguitarlo.
Vedersi tor
Lucina sì gli duole,
ch'o
racquistarla, o non più viver vuole.
38
Dove vede
apparir lungo la sabbia
la fresca
orma, ne va con quella fretta
con che lo
spinge l'amorosa rabbia,
fin che
giunge alla tana ch'io v'ho detta;
ove con tema
la maggior che s'abbia
a patir mai,
l'Orco da noi s'aspetta:
ad ogni suono
di sentirlo parci,
ch'affamato
ritorni a divorarci.
39
Quivi Fortuna
il re da tempo guida,
che senza
l'Orco in casa era la moglie.
Come ella 'l
vede: - Fuggine! (gli grida)
misero te, se
l'Orco ti ci coglie! -
- Coglia
(disse) o non coglia, o salvi o uccida,
che miserrimo
i' sia non mi si toglie.
Disir mi
mena, e non error di via,
c'ho di morir
presso alla moglie mia. -
40
Poi
seguì, dimandandole novella
di quei che
prese l'Orco in su la riva;
prima degli
altri, di Lucina bella,
se l'avea
morta, o la tenea captiva.
La donna
umanamente gli favella,
e lo
conforta, che Lucina è viva,
e che non
è alcun dubbio ch'ella muora;
che mai
femina l'Orco non divora.
41
- Esser di
ciò argumento ti poss'io,
e tutte
queste donne che son meco:
né a me né a
lor mai l'Orco è stato rio,
pur che non
ci scostian da questo speco.
A chi cerca
fuggir, pon grave fio;
né pace mai
puon ritrovar più seco:
o le sotterra
vive, o l'incatena,
o fa star
nude al sol sopra l'arena.
42
Quando oggi
egli portò qui la tua gente,
le femine dai
maschi non divise;
ma, sì
come gli avea, confusamente
dentro a
quella spelonca tutti mise.
Sentirà
a naso il sesso differente.
Le donne non
temer che sieno uccise:
gli uomini,
siene certo; ed empieranne
di quattro,
il giorno, o sei, l'avide canne.
43
Di levar lei
di qui non ho consiglio
che dar ti
possa; e contentar ti puoi
che ne la
vita sua non è periglio:
starà
qui al ben e al mal ch'avremo noi.
Ma vattene,
per Dio, vattene, figlio,
che l'Orco
non ti senta e non t'ingoi.
Tosto che
giunge, d'ogn'intorno annasa,
e sente sin a
un topo che sia in casa. -
44
Rispose il
re, non si voler partire,
se non vedea
la sua Lucina prima;
e che
più tosto appresso a lei morire,
che viverne
lontan, faceva stima.
Quando vede
ella non potergli dire
cosa che 'l
muova da la voglia prima,
per aiutarlo
fa nuovo disegno,
e ponvi ogni
sua industria, ogni suo ingegno.
45
Morte avea in
casa, e d'ogni tempo appese,
con lor
mariti, assai capre ed agnelle,
onde a sé ed
alle sue facea le spese;
e dal tetto
pendea più d'una pelle.
La donna fe'
che 'l re del grasso prese,
ch'avea un
gran becco intorno alle budelle,
e che se
n'unse dal capo alle piante,
fin che
l'odor cacciò ch'egli ebbe inante.
46
E poi che 'l
tristo puzzo aver le parve,
di che il
fetido becco ognora sape,
piglia l'irsuta
pelle, e tutto entrarve
lo fe';
ch'ella è sì grande che lo cape.
Coperto sotto
a così strane larve,
facendol gir
carpon, seco lo rape
là
dove chiuso era d'un sasso grave
de la sua
donna il bel viso soave.
47
Norandino
ubidisce; ed alla buca
de la spelonca
ad aspettar si mette,
acciò
col gregge dentro si conduca;
e fin a sera
disiando stette.
Ode la sera
il suon de la sambuca,
con che
'nvita a lassar l'umide erbette,
e ritornar le
pecore all'albergo
il fier
pastor che lor venìa da tergo.
48
Pensate voi
se gli tremava il core,
quando l'Orco
sentì che ritornava,
e che 'l viso
crudel pieno d'orrore
vide
appressare all'uscio de la cava;
ma poté la
pietà più che 'l timore:
s'ardea,
vedete, o se fingendo amava.
Vien l'Orco
inanzi, e leva il sasso, ed apre:
Norandino
entra fra pecore e capre.
49
Entrato il
gregge, l'Orco a noi descende;
ma prima
sopra sé l'uscio si chiude.
Tutti ne va
fiutando: al fin duo prende;
che vuol
cenar de le lor carni crude.
Al rimembrar
di quelle zanne orrende,
non posso far
ch'ancor non trieme e sude.
Partito
l'Orco, il re getta la gonna
ch'avea di
becco, e abbraccia la sua donna.
50
Dove averne
piacer deve e conforto,
vedendol
quivi, ella n'ha affanno e noia:
lo vede
giunto ov'ha da restar morto;
e non
può far però ch'essa non muoia.
- Con tutto
'l mal (diceagli) ch'io supporto,
signor,
sentia non mediocre gioia,
che ritrovato
non t'eri con nui
quando da
l'Orco oggi qui tratta fui.
51
Che se ben il
trovarmi ora in procinto
d'uscir di
vita m'era acerbo e forte;
pur mi sarei,
come è commune istinto,
dogliuta sol
de la mia trista sorte:
ma ora, o
prima o poi che tu sia estinto,
più mi
dorrà la tua che la mia morte. -
E
seguitò, mostrando assai più affanno
di quel di
Norandin, che del suo danno.
52
- La speme
(disse il re) mi fa venire,
c'ho di
salvarti, e tutti questi teco:
e s'io nol
posso far, meglio è morire,
che senza te,
mio sol, viver poi cieco.
Come io ci
venni, mi potrò partire;
e voi
tutt'altri ne verrete meco,
se non
avrete, come io non ho avuto,
schivo a
pigliare odor d'animal bruto. -
53
La fraude
insegnò a noi, che contra il naso
de l'Orco
insegnò a lui la moglie d'esso;
di vestirci
le pelli, in ogni caso
ch'egli ne
palpi ne l'uscir del fesso.
Poi che di
questo ognun fu persuaso;
quanti de
l'un, quanti de l'altro sesso
ci
ritroviamo, uccidian tanti becchi,
quelli che
più fetean, ch'eran più vecchi.
54
Ci ungemo i
corpi di quel grasso opimo
che
ritroviamo all'intestina intorno,
e de l'orride
pelli ci vestimo.
Intanto
uscì da l'aureo albergo il giorno.
Alla
spelonca, come apparve il primo
raggio del
sol, fece il pastor ritorno;
e dando
spirto alle sonore canne,
chiamò
il suo gregge fuor de le capanne.
55
Tenea la mano
al buco de la tana,
acciò
col gregge non uscissin noi:
ci prendea al
varco; e quando pelo o lana
sentia sul
dosso, ne lasciava poi.
Uomini e
donne uscimmo per sì strana
strada,
coperti dagl'irsuti cuoi:
e l'Orco
alcun di noi mai non ritenne,
fin che con
gran timor Lucina venne.
56
Lucina, o
fosse perch'ella non volle
ungersi come
noi, che schivo n'ebbe;
o ch'avesse
l'andar più lento e molle,
che l'imitata
bestia non avrebbe;
o quando
l'Orco la groppa toccolle,
gridasse per
la tema che le accrebbe;
o che se le
sciogliessero le chiome;
sentita fu,
né ben so dirvi come.
57
Tutti eravam
sì intenti al caso nostro,
che non
avemmo gli occhi agli altrui fatti.
Io mi rivolsi
al grido; e vidi il mostro
che
già gl'irsuti spogli le avea tratti,
e fattola
tornar nel cavo chiostro.
Noi altri
dentro a nostre gonne piatti
col gregge andamo
ove 'l pastor ci mena,
tra verdi
colli in una piaggia amena.
58
Quivi
attendiamo infin che steso all'ombra
d'un bosco
opaco il nasuto Orco dorma.
Chi lungo il
mar, chi verso 'l monte sgombra:
sol Norandin
non vuol seguir nostr'orma.
L'amor de la
sua donna sì lo 'ngombra,
ch'alla
grotta tornar vuol fra la torma,
né partirsene
mai sin alla morte,
se non
racquista la fedel consorte:
59
che quando
dianzi avea all'uscir del chiuso
vedutala
restar captiva sola,
fu per
gittarsi, dal dolor confuso,
spontaneamente
al vorace Orco in gola;
e si mosse, e
gli corse infino al muso,
né fu lontano
a gir sotto la mola:
ma pur lo
tenne in mandra la speranza
ch'avea di
trarla ancor di quella stanza.
60
La sera,
quando alla spelonca mena
il gregge
l'Orco, e noi fuggiti sente,
e c'ha da
rimaner privo di cena,
chiama Lucina
d'ogni mal nocente,
e la condanna
a star sempre in catena
allo scoperto
in sul sasso eminente.
Vedela il re
per sua cagion patire,
e si
distrugge, e sol non può morire.
61
Matina e sera
l'infelice amante
la può
veder come s'affliga e piagna;
che le va
misto fra le capre avante,
torni alla
stalla o torni alla campagna.
Ella con viso
mesto e supplicante
gli accenna
che per Dio non vi rimagna,
perché vi sta
a gran rischio de la vita,
né
però a lei può dare alcuna aita.
62
Così
la moglie ancor de l'Orco priega
il re che se
ne vada, ma non giova;
che d'andar
mai senza Lucina niega,
e sempre
più costante si ritruova.
In questa
servitude, in che lo lega
Pietate e
Amor, stette con lunga pruova
tanto, ch'a
capitar venne a quel sasso
il figlio
d'Agricane e 'l re Gradasso.
63
Dove con loro
audacia tanto fenno,
che liberaron
la bella Lucina;
ben che vi fu
aventura più che senno:
e la portar
correndo alla marina;
e al padre
suo, che quivi era, la denno:
e questo fu
ne l'ora matutina,
che Norandin
con l'altro gregge stava
a ruminar ne
la montana cava.
64
Ma poi che 'l
giorno aperta fu la sbarra,
e seppe il re
la donna esser partita
(che la
moglie de l'Orco gli lo narra),
e come a
punto era la cosa gita;
grazie a Dio
rende, e con voto n'inarra,
ch'essendo
fuor di tal miseria uscita,
faccia che
giunga onde per arme possa,
per prieghi o
per tesoro, esser riscossa.
65
Pien di
letizia va con l'altra schiera
del simo
gregge, e viene ai verdi paschi;
e quivi
aspetta fin ch'all'ombra nera
il mostro per
dormir ne l'erba caschi.
Poi ne vien
tutto il giorno e tutta sera;
e al fin
sicur che l'Orco non lo 'ntaschi,
sopra un
navilio monta in Satalia;
e son tre
mesi ch'arrivò in Soria.
66
In Rodi, in
Cipro, e per città e castella
e d'Africa e
d'Egitto e di Turchia,
il re cercar
fe' di Lucina bella;
né fin
l'altr'ieri aver ne poté spia.
L'altr'ier
n'ebbe dal suocero novella,
che seco
l'avea salva in Nicosia,
dopo che
molti dì vento crudele
era stato
contrario alle sue vele.
67
Per
allegrezza de la buona nuova
prepara il
nostro re la ricca festa;
e vuol ch'ad
ogni quarta luna nuova,
una se
n'abbia a far simile a questa:
che la
memoria rifrescar gli giova
dei quattro
mesi che 'n irsuta vesta
fu tra il
gregge de l'Orco; e un giorno, quale
sarà
dimane, uscì di tanto male.
68
Questo ch'io
v'ho narrato, in parte vidi,
in parte udi'
da chi trovossi al tutto;
dal re, vi
dico, che calende ed idi
vi stette,
fin che volse in riso il lutto:
e se n'udite
mai far altri gridi,
direte a chi
gli fa, che mal n'è istrutto. -
Il gentiluomo
in tal modo a Grifone
de la festa
narrò l'alta cagione.
69
Un gran pezzo
di notte si dispensa
dai
cavallieri in tal ragionamento;
e conchiudon
ch'amore e pietà immensa
mostrò
quel re con grande esperimento.
Andaron, poi
che si levar da mensa,
ove ebbon
grato e buono alloggiamento.
Nel seguente
matin sereno e chiaro,
al suon de
l'allegrezze si destaro.
70
Vanno
scorrendo timpani e trombette,
e ragunando
in piazza la cittade.
Or, poi che
de cavalli e de carrette
e ribombar de
gridi odon le strade,
Grifon le
lucide arme si rimette,
che son di
quelle che si trovan rade;
che l'avea
impenetrabili e incantate
la Fata
bianca di sua man temprate.
71
Quel
d'Antiochia, più d'ogn'altro vile,
armossi seco,
e compagnia gli tenne.
Preparate
avea lor l'oste gentile
nerbose
lance, e salde e grosse antenne,
e del suo
parentado non umìle
compagnia
tolta; e seco in piazza venne;
e scudieri a
cavallo, e alcuni a piede,
a tal servigi
attissimi, lor diede.
72
Giunsero in
piazza, e trassonsi in disparte,
né pel campo
curar far di sé mostra,
per veder
meglio il bel popul di Marte,
ch'ad uno, o
a dua, o a tre, veniano in giostra.
Chi con
colori accompagnati ad arte
letizia o
doglia alla sua donna mostra;
chi nel
cimier, chi nel dipinto scudo
disegna Amor,
se l'ha benigno o crudo.
73
Soriani in
quel tempo aveano usanza
d'armarsi a
questa guisa di Ponente.
Forse ve gli
inducea la vicinanza
che de'
Franceschi avean continuamente,
che quivi allor
reggean la sacra stanza
dove in carne
abitò Dio onnipotente;
ch'ora i
superbi e miseri cristiani,
con biasmi
lor, lasciano in man de' cani.
74
Dove abbassar
dovrebbono la lancia
in augumento
de la santa fede,
tra lor si
dan nel petto e ne la pancia
a destruzion
del poco che si crede.
Voi, gente
ispana, e voi, gente di Francia,
volgete
altrove, e voi, Svizzeri, il piede,
e voi,
Tedeschi, a far più degno acquisto;
che quanto
qui cercate è già di Cristo.
75
Se
Cristianissimi esser voi volete,
e voi altri
Catolici nomati,
perché di
Cristo gli uomini uccidete?
perché de'
beni lor son dispogliati?
Perché
Ierusalem non riavete,
che tolto
è stato a voi da' rinegati?
Perché
Costantinopoli e del mondo
la miglior
parte occupa il Turco immondo?
76
Non hai tu, Spagna,
l'Africa vicina,
che t'ha via
più di questa Italia offesa?
E pur, per
dar travaglio alla meschina,
lasci la
prima tua sì bella impresa.
O d'ogni
vizio fetida sentina,
dormi, Italia
imbriaca, e non ti pesa
ch'ora di
questa gente, ora di quella
che già
serva ti fu, sei fatta ancella?
77
Se 'l dubbio
di morir ne le tue tane,
Svizzer, di
fame, in Lombardia ti guida,
e tra noi
cerchi o chi ti dia del pane,
o, per uscir
d'inopia, chi t'uccida;
le richezze
del Turco hai non lontane:
caccial
d'Europa, o almen di Grecia snida;
così
potrai o del digiuno trarti,
o cader con
più merto in quelle parti.
78
Quel ch'a te
dico, io dico al tuo vicino
tedesco
ancor; là le richezze sono,
che vi
portò da Roma Costantino:
portonne il
meglio, e fe' del resto dono.
Pattolo ed
Ermo onde si tra' l'or fino,
Migdonia e
Lidia, e quel paese buono
per tante
laudi in tante istorie noto,
non è,
s'andar vi vuoi, troppo remoto.
79
Tu, gran
Leone, a cui premon le terga
de le chiavi
del ciel le gravi some,
non lasciar
che nel sonno si sommerga
Italia, se la
man l'hai ne le chiome.
Tu sei
Pastore; e Dio t'ha quella verga
data a
portare, e scelto il fiero nome,
perché tu
ruggi, e che le braccia stenda,
sì che
dai lupi il grege tuo difenda.
80
Ma d'un
parlar ne l'altro, ove sono ito
si lungi, dal
camin ch'io faceva ora?
Non lo credo
però sì aver smarrito,
ch'io non lo
sappia ritrovare ancora.
Io dicea
ch'in Soria si tenea il rito
d'armarsi,
che i Franceschi aveano allora:
sì che
bella in Damasco era la piazza
di gente
armata d'elmo e di corazza.
81
Le vaghe
donne gettano dai palchi
sopra i
giostranti fior vermigli e gialli,
mentre essi
fanno a suon degli oricalchi
levare a
salti ed aggirar cavalli.
Ciascuno, o
bene o mal ch'egli cavalchi,
vuol far
quivi vedersi, e sprona e dàlli:
di ch'altri
ne riporta pregio e lode;
mentre altri
a riso, e gridar dietro s'ode.
82
De la giostra
era il prezzo un'armatura
che fu donata
al re pochi dì inante,
che su la
strada ritrovò a ventura,
ritornando
d'Armenia, un mercatante.
Il re di
nobilissima testura
le sopraveste
all'arme aggiunse, e tante
perle vi pose
intorno e gemme ed oro,
che la fece
valer molto tesoro.
83
Se conosciute
il re quell'arme avesse,
care avute
l'avria sopra ogni arnese;
né in premio
de la giostra l'avria messe,
come che
liberal fosse e cortese.
Lungo saria
chi raccontar volesse
chi l'avea
sì sprezzate e vilipese,
che 'n mezzo
de la strada le lasciasse,
preda
chiunque o inanzi o indietro andasse.
84
Di questo ho
da contarvi più di sotto:
or
dirò di Grifon, ch'alla sua giuuta
un paio e
più di lance trovò rotto,
menato
più d'un taglio e d'una punta.
Dei
più cari e più fidi al re fur otto
che quivi
insieme avean lega congiunta;
gioveni; in
arme pratichi ed industri,
tutti o
signori o di famiglie illustri.
85
Quei rispondean
ne la sbarrata piazza
per un
dì, ad uno ad uno, a tutto 'l mondo,
prima con
lancia, e poi con spada o mazza,
fin ch'al re
di guardarli era giocondo;
e si foravan
spesso la corazza:
per giuoco in
somma qui facean, secondo
fan gli
nimici capitali, eccetto
che potea il
re partirli a suo diletto.
86
Quel
d'Antiochia, un uom senza ragione,
che Martano
il codardo nominosse,
come se de la
forza di Grifone,
poi ch'era
seco, participe fosse,
audace
entrò nel marziale agone;
e poi da
canto ad aspettar fermosse,
sin che
finisce una battaglia fiera
che tra duo
cavallier cominciata era.
87
Il signor di
Seleucia, di quell'uno,
ch'a sostener
l'impresa aveano tolto,
combattendo
in quel tempo con Ombruno,
lo
ferì d'una punta in mezzo 'l volto,
sì che
l'uccise: e pietà n'ebbe ognuno,
perché buon
cavallier lo tenean molto;
ed oltra la
bontade, il più cortese
non era stato
in tutto quel paese.
88
Veduto
ciò, Martano ebbe paura
che parimente
a sé non avvenisse;
e ritornando
ne la sua natura,
a pensar
cominciò come fugisse.
Grifon, che
gli era appresso e n'avea cura,
lo spinse
pur, poi ch'assai fece e disse,
contra un
gentil guerrier che s'era mosso,
come si
spinge il cane al lupo adosso;
89
che dieci
passi gli va dietro o venti,
e poi si ferma,
ed abbaiando guarda
come digrigni
i minacciosi denti,
come negli
occhi orribil fuoco gli arda.
Quivi
ov'erano e principi presenti
e tanta gente
nobile e gagliarda,
fuggì
lo 'ncontro il timido Martano,
e torse 'l
freno e 'l capo a destra mano.
90
Pur la colpa
potea dar al cavallo,
chi di
scusarlo avesse tolto il peso;
ma con la
spada poi fe' sì gran fallo,
che non
l'avria Demostene difeso.
Di carta
armato par, non di metallo;
sì
teme da ogni colpo essere offeso.
Fuggesi al
fine, e gli ordini disturba,
ridendo
intorno a lui tutta la turba.
91
Il batter de
le mani, il grido intorno
se gli
levò del populazzo tutto.
Come lupo
cacciato, fe' ritorno
Martano in
molta fretta al suo ridutto.
Resta
Grifone; e gli par de lo scorno
del suo
compagno esser macchiato e brutto:
esser
vorrebbe stato in mezzo il foco,
più
tosto che trovarsi in questo loco.
92
Arde nel
core, e fuor nel viso avampa,
come sia
tutta sua quella vergogna;
perché
l'opere sue di quella stampa
vedere
aspetta il populo ed agogna:
sì che
rifulga chiara più che lampa
sua
virtù, questa volta gli bisogna;
ch'un'oncia,
un dito sol d'error che faccia,
per la mala
impression parrà sei braccia.
93
Già la
lancia avea tolta su la coscia
Grifon,
ch'errare in arme era poco uso:
spinse il
cavallo a tutta briglia, e poscia
ch'alquanto
andato fu, la messe suso,
e
portò nel ferire estrema angoscia
al baron di
Sidonia, ch'andò guiso.
Ognun
maravigliando in pié si leva;
che 'l
contrario di ciò tutto attendeva.
94
Tornò
Grifon con la medesma antenna,
che 'ntiera e
ferma ricovrata avea,
ed in tre
pezzi la roppe alla penna
de lo scudo
al signor di Lodicea.
Quel per
cader tre volte e quattro accenna,
che tutto
steso alla groppa giacea:
pur rilevato
al fin la spada strinse,
voltò
il cavallo, e vêr Grifon si spinse.
95
Grifon, che
'l vede in sella, e che non basta
sì
fiero incontro perché a terra vada,
dice fra sé:
- Quel che non poté l'asta,
in cinque
colpi o 'n sei farà la spada. -
E su la
tempia subito l'attasta
d'un dritto
tal, che par che dal ciel cada;
e un altro
gli accompagna e un altro appresso,
tanto che
l'ha stordito e in terra messo.
96
Quivi erano
d'Apamia duo germani,
soliti in
giostra rimaner di sopra,
Tirse e
Corimbo; ed ambo per le mani
del figlio
d'Uliver cader sozzopra.
L'uno gli
arcion lascia allo scontro vani;
con l'altro
messa fu la spada in opra.
Già
per commun giudicio si tien certo
che di costui
fia de la giostra il merto.
97
Ne la lizza
era entrato Salinterno,
gran diodarro
e maliscalco regio,
e che di
tutto 'l regno avea il governo,
e di sua mano
era guerriero egregio.
Costui,
sdegnoso ch'un guerriero esterno
debba portar
di quella giostra il pregio,
piglia una
lancia, e verso Grifon grida,
e molto
minacciandolo lo sfida.
98
Ma quel con
un lancion gli fa risposta,
ch'avea per
lo miglior fra dieci eletto,
e per non far
error, lo scudo apposta,
e via lo
passa e la corazza e 'l petto:
passa il
ferro crudel tra costa e costa,
e fuor pel
tergo un palmo esce di netto.
Il colpo,
eccetto al re, fu a tutti caro;
ch'ognuno
odiava Salinterno avaro.
99
Grifone,
appresso a questi, in terra getta
duo di
Damasco, Ermofilo e Carmondo.
La milizia
del re dal primo è retta;
del mar
grande almiraglio è quel secondo.
Lascia allo
scontro l'un la sella in fretta:
adosso
all'altro si riversa il pondo
del rio
destrier, che sostener non puote
l'alto valor
con che Grifon percuote.
100
Il signor di
Seleucia ancor restava,
miglior
guerrier di tutti gli altri sette;
e ben la sua
possanza accompagnava
con destrier
buono e con arme perfette.
Dove de
l'elmo la vista si chiava,
l'asta allo
scontro l'uno e l'altro mette;
pur Grifon
maggior colpo al pagan diede,
che lo fe'
staffeggiar dal manco piede.
101
Gittaro i
tronchi, e si tornaro adosso
pieni di molto
ardir coi brandi nudi.
Fu il pagan
prima da Grifon percosso
d'un colpo
che spezzato avria gl'incudi.
Con quel
fender si vide e ferro ed osso
d'un
ch'eletto s'avea tra mille scudi;
e se non era
doppio e fin l'arnese,
ferìa
la coscia ove cadendo scese.
102
Ferì
quel di Seleucia alla visera
Grifone a un
tempo; e fu quel colpo tanto,
che l'avria
aperta e rotta, se non era
fatta, come
l'altr'arme, per incanto.
Gli è
un perder tempo che 'l pagan più fera:
così
son l'arme dure in ogni canto:
e 'n
più parti Grifon già fessa e rotta
ha l'armatura
a lui, né perde botta.
103
Ognun potea
veder quanto di sotto
il signor di
Seleucia era a Grifone;
e se partir
non li fa il re di botto,
quel che sta
peggio, la vita vi pone.
Fe' Norandino
alla sua guardia motto
ch'entrasse a
distaccar l'aspra tenzone.
Quindi fu
l'uno, e quindi l'altro tratto;
e fu lodato
il re di sì buon atto.
104
Gli otto che
dianzi avean col mondo impresa,
e non potuto
durar poi contra uno,
avendo mal la
parte lor difesa,
usciti eran
dal campo ad uno ad uno.
Gli altri
ch'eran venuti a lor contesa,
quivi restar
senza contrasto alcuno,
avendo lor
Grifon, solo, interrotto
quel che
tutti essi avean da far contra otto.
105
E durò
quella festa così poco,
ch'in men
d'un'ora il tutto fatto s'era:
ma Norandin,
per far più lungo il giuoco
e per
continuarlo infino a sera,
dal palco
scese, e fe' sgombrare il loco;
e poi divise
in due la grossa schiera,
indi, secondo
il sangue e la lor prova,
gli
andò accoppiando, e fe' una giostra nova.
106
Grifone
intanto avea fatto ritorno
alla sua
stanza pien d'ira e di rabbia
e più
gli preme di Martan lo scorno
che non giova
l'onor ch'esso vinto abbia.
Quivi, per
tor l'obbrobrio ch'avea intorno,
Martano
adopra le mendaci labbia:
e l'astuta e
bugiarda meretrice,
come meglio
sapea, gli era adiutrice.
107
O sì o
no che 'l giovin gli credesse,
pur la scusa
accettò, come discreto:
e pel suo
meglio allora allora elesse
quindi
levarsi tacito e secreto,
per tema che,
se 'l populo vedesse
Martano
comparir, non stesse cheto.
Così
per una via nascosa e corta
usciro al
camin lor fuor de la porta.
108
Grifone, o
ch'egli o che 'l cavallo fosse
stanco, o
gravasse il sonno pur le ciglia,
al primo
albergo che trovar, fermosse,
che non erano
andati oltre a dua miglia.
Si trasse
l'elmo, e tutto disarmosse,
e trar fece
a' cavalli e sella e briglia;
e poi
serrossi in camera soletto,
e nudo per
dormire entrò nel letto.
109
Non ebbe
così tosto il capo basso,
che chiuse
gli occhi, e fu dal sonno oppresso
così
profundamente, che mai tasso
né ghiro mai
s'addormentò quanto esso.
Martano in
tanto ed Orrigille a spasso
entraro in un
giardin ch'era lì appresso;
ed un inganno
ordir, che fu il più strano
che mai
cadesse in sentimento umano.
110
Martano
disegnò torre il destriero,
i panni e
l'arme che Grifon s'ha tratte;
e andare
inanzi al re pel cavalliero
che tante
pruove avea giostrando fatte.
L'effetto ne
seguì, fatto il pensiero:
tolle il
destrier più candido che latte,
scudo e
cimiero ed arme e sopraveste,
e tutte di
Grifon l'insegne veste.
111
Con gli
scudieri e con la donna, dove
era il popolo
ancora, in piazza venne;
e giunse a
tempo che finian le pruove
di girar
spade e d'arrestare antenne.
Commanda il
re che 'l cavallier si truove,
che per
cimier avea le bianche penne,
bianche le
vesti e bianco il corridore;
che 'l nome
non sapea del vincitore.
112
Colui
ch'indosso il non suo cuoio aveva,
come l'asino
già quel del leone,
chiamato, se
n'andò, come attendeva,
a Norandino,
in loco di Grifone.
Quel re
cortese incontro se gli leva,
l'abbraccia e
bacia, e allato se lo pone:
né gli basta
onorarlo e dargli loda,
che vuol che
'l suo valor per tutto s'oda.
113
E fa gridarlo
al suon degli oricalchi
vincitor de
la giostra di quel giorno.
L'alta voce
ne va per tutti i palchi,
che 'l nome
indegno udir fa d'ogn'intorno.
Seco il re
vuol ch'a par a par cavalchi,
quando al
palazzo suo poi fa ritorno;
e di sua
grazia tanto gli comparte,
che basteria,
se fosse Ercole o Marte.
114
Bello ed
ornato alloggiamento dielli
in corte, ed
onorar fece con lui
Orrigille
anco; e nobili donzelli
mandò
con essa, e cavallieri sui.
Ma tempo
è ch'anco di Grifon favelli,
il qual né
dal compagno né d'altrui
temendo
inganno, addormentato s'era,
né mai si
risvegliò fin alla sera.
115
Poi che fu
desto, e che de l'ora tarda
s'accorse,
uscì di camera con fretta,
dove il falso
cognato e la bugiarda
Orrigille
lasciò con l'altra setta;
e quando non
gli truova, e che riguarda
non v'esser
l'arme né i panni, sospetta;
ma il veder
poi più sospettoso il fece
l'insegne del
compagno in quella vece.
116
Sopravien
l'oste, e di colui l'informa
che
già gran pezzo, di bianch'arme adorno,
con la donna
e col resto de la torma
avea ne la
città fatto ritorno.
Truova
Grifone a poco a poco l'orma
ch'ascosa gli
avea Amor fin a quel giorno;
e con suo
gran dolor vede esser quello
adulter
d'Orrigille, e non fratello.
117
Di sua
sciocchezza indarno ora si duole,
ch'avendo il
ver dal peregrino udito,
lasciato
mutar s'abbia alle parole
di chi l'avea
più volte già tradito.
Vendicar si
potea, né seppe; or vuole
l'inimico
punir, che gli è fuggito;
ed è
costretto con troppo gran fallo
a tor di quel
vil uom l'arme e 'l cavallo.
118
Eragli meglio
andar senz'arme e nudo,
che porsi
indosso la corazza indegna,
o
ch'imbracciar l'abominato scudo,
o por su
l'elmo la beffata insegna;
ma per seguir
la meretrice e 'l drudo,
ragione in
lui pari al disio non regna.
A tempo venne
alla città, ch'ancora
il giorno
avea quasi di vivo un'ora.
119
Presso alla porta
ove Grifon venìa,
siede a
sinistra un splendido castello,
che,
più che forte e ch'a guerre atto sia,
di ricche
stanze è accommodato e bello.
I re, i
signori, i primi di Soria
con alte
donne in un gentil drappello
celebravano
quivi in loggia amena
la real
sontuosa e lieta cena.
120
La bella
loggia sopra 'l muro usciva
con l'alta
rocca fuor de la cittade;
e lungo
tratto di lontan scopriva
i larghi
campi e le diverse strade.
Or che Grifon
verso la porta arriva
con
quell'arme d'obbrobrio e di viltade,
fu con non
troppa aventurosa sorte
dal re veduto
e da tutta la corte:
121
e riputato
quel di ch'avea insegna,
mosse le
donne e i cavallieri a riso.
Il vil
Martano, come quel che regna
in gran
favor, dopo 'l re è 'l primo assiso,
e presso a
lui la donna di sé degna;
dai quali
Norandin con lieto viso
volse saper
chi fosse quel codardo
che
così avea al suo onor poco riguardo;
122
che dopo una
sì trista e brutta pruova,
con tanta
fronte or gli tornava inante.
Dicea: -
Questa mi par cosa assai nuova,
ch'essendo
voi guerrier degno e prestante,
costui
compagno abbiate, che non truova,
di
viltà, pari in terra di Levante.
Il fate forse
per mostrar maggiore,
per tal
contrario, il vostro alto valore.
123
Ma ben vi
giuro per gli eterni dei,
che se non
fosse ch'io riguardo a vui,
la publica
ignominia gli farei,
ch'io soglio
fare agli altri pari a lui.
Perpetua
ricordanza gli darei,
come ognor di
viltà nimico fui.
Ma sappia,
s'impunito se ne parte,
grado a voi
che 'l menaste in questa parte. -
124
Colui che fu
de tutti i vizi il vaso,
rispose: -
Alto signor, dir non sapria
chi sia
costui; ch'io l'ho trovato a caso,
venendo
d'Antiochia, in su la via.
ll suo
smnbiante m'avea persuaso
che fosse
degno di mia compagnia;
ch'intesa non
n'avea pruova né vista,
se non quella
che fece oggi assai trista.
125
La qual mi
spiacque sì, che restò poco,
che per punir
l'estrema sua viltade,
non gli
facessi allora allora un gioco,
che non
toccasse più lance né spade:
ma ebbi,
più ch'a lui, rispetto al loco,
e riverenza a
vostra maestade.
Né per me
voglio che gli sia guadagno
l'essermi
stato un giorno o dua compagno:
126
di che
contaminato anco esser parme;
e sopra il
cor mi sarà eterno peso,
se, con
vergogna del mestier de l'arme,
io lo
vedrò da noi partire illeso:
e meglio che
lasciarlo, satisfarme
potrete, se
sarà d'un merlo impeso;
e fia lodevol
opra e signorile,
perch'el sia
esempio e specchio ad ogni vile. -
127
Al detto suo
Martano Orrigille have,
senza
accennar, confermatrice presta.
- Non son
(rispose il re) l'opre sì prave,
ch'al mio
parer v'abbia d'andar la testa.
Voglio per
pena del peccato grave,
che sol
rinuovi al populo la festa. -
E tosto a un
suo baron, che fe' venire,
impose quanto
avesse ad esequire.
128
Quel baron
molti armati seco tolse,
ed alla porta
de la terra scese;
e quivi con
silenzio li raccolse,
e la venuta
di Grifone attese:
e ne l'entrar
sì d'improviso il colse,
che fra i duo
ponti a salvamento il prese;
e lo ritenne
con beffe e con scorno
in una oscura
stanza insin al giorno.
129
Il Sole a
pena avea il dorato crine
tolto di
grembio alla nutrice antica,
e cominciava
da le piagge alpine
a cacciar
l'ombre e far la cima aprica;
quando
temendo il vil Martan ch'al fine
Grifone
ardito la sua causa dica,
e ritorni la
colpa ond'era uscita,
tolse
licenza, e fece indi partita,
130
trovando
idonia scusa al priego regio,
che non stia
allo spettacolo ordinato.
Altri doni
gli avea fatto, col pregio
de la non sua
vittoria, il signor grato;
e sopra tutto
un amplo privilegio,
dov'era
d'altri onori al sommo ornato.
Lasciànlo
andar; ch'io vi prometto certo,
che la
mercede avrà secondo il merto.
131
Fu Grifon
tratto a gran vergogna in piazza,
quando
più si trovò piena di gente.
Gli avean
levato l'elmo e la corazza,
e lasciato in
farsetto assai vilmente;
e come il
conducessero alla mazza,
posto l'avean
sopra un carro eminente,
che lento
lento tiravan due vacche
da lunga fame
attenuate e fiacche.
132
Venian
d'intorno alla ignobil quadriga
vecchie sfacciate
e disoneste putte,
di che n'era
una ed or un'altra auriga,
e con gran
biasmo lo mordeano tutte.
Lo poneano i
fanciulli in maggior briga,
che, oltre le
parole infami e brutte,
l'avrian coi
sassi insino a morte offeso,
se dai
più saggi non era difeso.
133
L'arme che
del suo male erano state
cagion, che
di lui fer non vero indicio,
da la coda
del carro strascinate
patian nel
fango debito supplicio.
Le ruote
inanzi a un tribunal fermate
gli fero udir
de l'altrui maleficio
la sua
ignominia, che 'n sugli occhi detta
gli fu,
gridando un publico trombetta.
134
Lo levar
quindi, e lo mostrar per tutto
dinanzi a
templi, ad officine e a case,
dove alcun
nome scelerato e brutto,
che non gli
fosse detto, non rimase.
Fuor de la
terra all'ultimo cundutto
fu da la turba,
che si persuase
bandirlo e
cacciare indi a suon di busse,
non
conoscendo ben ch'egli si fusse.
135
Si tosto a
pena gli sferraro i piedi
e liberargli
l'una e l'altra mano,
che tor lo
scudo ed impugnar gli vedi
la spada, che
rigò gran pezzo il piano.
Non ebbe
contra sé lance né spiedi;
che senz'arme
venìa il populo insano.
Ne l'altro
canto diferisco il resto;
che tempo
è omai, Signor, di finir questo.
1
Magnanimo
Signore, ogni vostro atto
ho sempre con
ragion laudato e laudo:
ben che col
rozzo stil duro e mal atto
gran parte de
la gloria vi defraudo.
Ma più
de l'altre una virtù m'ha tratto,
a cui col
core e con la lingua applaudo;
che s'ognun
truova in voi ben grata udienza,
non vi truova
però facil credenza.
2
Spesso in
difesa deI biasmato assente
indur vi
sento una ed un'altra scusa,
o riserbargli
almen, fin che presente
sua causa
dica, l'altra orecchia chiusa;
e sempre,
prima che dannar la gente,
vederla in
faccia, e udir la ragion ch'usa;
differir anco
e giorni e mesi ed anni,
prima che
giudicar negli altrui danni.
3
Se Norandino
il simil fatto avesse,
fatto a
Grifon non avria quel che fece.
A voi utile e
onor sempre successe:
denigrò
sua fama egli più che pece.
Per lui sue
genti a morte furon messe;
che fe'
Grifone in dieci tagli, e in diece
punte che
trasse pien d'ira e bizzarro,
che trenta ne
cascaro appresso al carro.
4
Van gli altri
in rotta ove il timor li caccia,
chi qua chi
là, pei campi e per le strade;
e chi
d'entrar ne la città procaccia,
e l'un su
l'altro ne la porta cade.
Grifon non fa
parole e non minaccia;
ma lasciando
lontana ogni pietade,
mena tra il
vulgo inerte il ferro intorno,
e gran
vendetta fa d'ogni suo scorno.
5
Di quei che
primi giunsero alla porta,
che le piante
a levarsi ebbeno pronte,
parte, al
bisogno suo molto più accorta
che degli
amici, alzò subito il ponte;
piangendo
parte, o con la faccia smorta
fuggendo
andò senza mai volger fronte,
e ne la terra
per tutte le bande
levò
grido e tumulto e rumor grande.
6
Grifon
gagliardo duo ne piglia in quella
che 'l ponte
si levò per lor sciagura.
Sparge de
l'uno al campo le cervella;
che lo
percuote ad una cote dura:
prende
l'altro nel petto, e l'arrandella
in mezzo alla
città sopra le mura.
Scorse per
l'ossa ai terrazzani il gelo,
quando vider
colui venir dal cielo.
7
Fur molti che
temer che 'l fier Grifone
sopra le mura
avesse preso un salto.
Non vi
sarebbe più confusione,
s'a Damasco
il soldan desse l'assalto.
Un muover
d'arme, un correr di persone,
e di
talacimanni un gridar d'alto,
e di tamburi
un suon misto e di trombe
il mondo
assorda, e 'l ciel par ne rimbombe.
8
Ma voglio a
un'altra volta differire
a ricontar
ciò che di questo avenne.
Del buon re
Carlo mi convien seguire,
che contra
Rodomonte in fretta venne,
il qual le
genti gli facea morire.
Io vi dissi
ch'al re compagnia tenne
il gran
Danese e Namo ed Oliviero
e Avino e
Avolio e Otone e Berlingiero.
9
Otto scontri
di lance, che da forza
di tali otto
guerrier cacciati foro,
sostenne a un
tempo la scagliosa scorza
di ch'avea
armato il petto il crudo Moro.
Come legno si
drizza, poi che l'orza
lenta il
nochier che crescer sente il Coro,
così
presto rizzossi Rodomonte
dai colpi che
gittar doveano un monte.
10
Guido,
Ranier, Ricardo, Salamone,
Ganelon
traditor, Turpin fedele,
Angioliero,
Angiolino, Ughetto, Ivone,
Marco e
Matteo dal pian di san Michele,
e gli otto di
che dianzi fei menzione,
son tutti
intorno al Saracin crudele,
Arimanno e
Odoardo d'Inghilterra,
ch'entrati
eran pur dianzi ne la terra.
11
Non
così freme in su lo scoglio alpino
di ben
fondata rocca alta parete,
quando il
furor di borea o di garbino
svelle dai
monti il frassino e l'abete;
come freme
d'orgoglio il Saracino,
di sdegno
acceso e di sanguigna sete:
e com'a un
tempo è il tuono e la saetta,
così
l'ira de l'empio e la vendetta.
12
Mena alla
testa a quel che gli è più presso,
che gli
è il misero Ughetto di Dordona:
lo pone in
terra insino ai denti fesso,
come che
l'elmo era di tempra buona.
Percosso fu tutto
in un tempo anch'esso
da molti
colpi in tutta la persona;
ma non gli
fan più ch'all'incude l'ago:
sì
duro intorno ha lo scaglioso drago.
13
Furo tutti i
ripar, fu la cittade
d'intorno
intorno abandonata tutta;
che la gente
alla piazza, dove accade
maggior
bisogno, Carlo avea ridutta.
Corre alla
piazza da tutte le strade
la turba, a
chi il fuggir sì poco frutta.
La persona
del re sì i cori accende,
ch'ognun
prend'arme, ognuno animo prende.
14
Come se
dentro a ben rinchiusa gabbia
d'antiqua
leonessa usata in guerra,
perch'averne
piacere il popul abbia,
talvolta il
tauro indomito si serra;
i leoncin che
veggion per la sabbia
come altiero
e mugliando animoso erra,
e veder
sì gran corna non son usi,
stanno da
parte timidi e confusi:
15
ma se la
fiera madre a quel si lancia,
e ne
l'orecchio attacca il crudel dente,
vogliono
anch'essi insanguinar la guancia,
e vengono in
soccorso arditamente;
chi morde al
tauro il dosso e chi la pancia:
così
contra il pagan fa quella gente.
Da tetti e da
finestre e più d'appresso
sopra gli
piove un nembo d'arme e spesso.
16
Dei
cavallieri e de la fanteria
tanta
è la calca, ch'a pena vi cape.
La turba che
vi vien per ogni via,
v'abbonda ad
or ad or spessa come ape;
che quando,
disarmata e nuda, sia
più facile
a tagliar che torsi o rape,
non la
potria, legata a monte a monte,
in venti
giorni spenger Rodomonte.
17
Al pagan, che
non sa come ne possa
venir a capo,
omai quel gioco incresce.
Poco, per far
di mille, o di più, rossa
la terra
intorno, il populo discresce.
Il fiato
tuttavia più se gl'ingrossa,
si che
comprende al fin che, se non esce
or c'ha
vigore e in tutto il corpo è sano,
vorrà
da tempo uscir, che sarà invano.
18
Rivolge gli
occhi orribili, e pon mente
che d'ogn'intorno
sta chiusa l'uscita;
ma con ruina
d'infinita gente
l'aprirà
tosto, e la farà espedita.
Ecco,
vibrando la spada tagliente,
che vien quel
empio, ove il furor lo 'nvita,
ad assalire
il nuovo stuol britanno,
che vi trasse
Odoardo ed Arimanno.
19
Chi ha visto
in piazza rompere steccato,
a cui la
folta turba ondeggi intorno,
immansueto
tauro accaneggiato,
stimulato e
percosso tutto 'l giorno;
che 'l popul
se ne fugge ispaventato,
ed egli or
questo or quel leva sul corno:
pensi che
tale o più terribil fosse
il crudele
African quando si mosse.
20
Quindici o
venti ne tagliò a traverso,
altritanti
lasciò del capo tronchi,
ciascun d'un
colpo sol dritto o riverso;
che viti o
salci par che poti e tronchi.
Tutto di
sangue il fier pagano asperso,
lasciando
capi fessi e bracci monchi,
e spalle e
gambe ed altre membra sparte,
ovunque il
passo volga, al fin si parte.
21
De la piazza
si vede in guisa torre,
che non si
può notar ch'abbia paura;
ma tuttavolta
col pensier discorre,
dove sia per
uscir via più sicura.
Capita al fin
dove la Senna corre
sotto
all'isola, e va fuor de le mura.
La gente
d'arme e il popul fatto audace
lo stringe e
incalza, e gir nol lascia in pace.
22
Qual per le
selve nomade o massile
cacciata va
la generosa belva,
ch'ancor
fuggendo mostra il cor gentile,
e minacciosa
e lenta si rinselva;
tal
Rodomonte, in nessun atto vile,
da strana
circondato e fiera selva
d'aste e di
spade e di volanti dardi,
si tira al
fiume a passi lunghi e tardi.
23
E sì
tre volte e più l'ira il sospinse,
ch'essendone
già fuor, vi tornò in mezzo,
ove di sangue
la spada ritinse,
e più
di cento ne levò di mezzo.
Ma la ragione
al fin la rabbia vinse
di non far
sì, ch'a Dio n'andasse il lezzo;
e da la ripa,
per miglior consiglio,
si
gittò all'acqua, e uscì di gran periglio.
24
Con tutte
l'arme andò per mezzo l'acque,
come
s'intorno avesse tante galle.
Africa, in te
pare a costui non nacque,
ben che
d'Anteo ti vanti e d'Anniballe.
Poi che fu
giunto a proda, gli dispiacque,
che si vide
restar dopo le spalle
quella
città ch'avea trascorsa tutta,
e non l'avea
tutta arsa né distrutta.
25
E sì
lo rode la superbia e l'ira,
che, per
tornarvi un'altra volta, guarda,
e di profondo
cor geme e sospira,
né vuolne
uscir, che non la spiani ed arda.
Ma lungo il
fiume, in questa furia, mira
venir chi
l'odio estingue e l'ira tarda.
Chi fosse io
vi farò ben tosto udire;
ma prima
un'altra cosa v'ho da dire.
26
Io v'ho da
dir de la Discordia altiera,
a cui l'angel
Michele avea commesso
ch'a
battaglia accendesse e a lite fiera
quei che
più forti avea Agramante appresso.
Uscì
de' frati la medesma sera,
avendo altrui
l'ufficio suo commesso:
lasciò
la Fraude a guerreggiare il loco,
fin che
tornasse, e a mantenervi il fuoco.
27
E le parve
ch'andria con più possanza,
se la
Superbia ancor seco menasse;
e perché
stavan tutte in una stanza,
non fu
bisogno ch'a cercar l'andasse.
La Superbia
v'andò, ma non che sanza
la sua
vicaria il monaster lasciasse:
per pochi
dì che credea starne assente,
lasciò
l'Ipocrisia locotenente.
28
L'implacabil
Discordia in compagnia
de la
Superbia si messe in camino,
e
ritrovò che la medesma via
facea, per
gire al campo saracino,
l'afflitta e
sconsolata Gelosia;
e
venìa seco un nano piccolino,
il qual
mandava Doralice bella
al re di
Sarza a dar di sé novella.
29
Quando ella
venne a Mandricardo in mano
(ch'io v'ho
già raccontato e come e dove),
tacitamente
avea commesso al nano,
che ne
portasse a questo re le nuove.
Ella
sperò che nol saprebbe invano,
ma che far si
vedria mirabil pruove,
per riaverla
con crudel vendetta
da quel
ladron che gli l'avea intercetta.
30
La Gelosia
quel nano avea trovato;
e la cagion
del suo venir compresa,
a caminar se
gli era messa allato,
parendo
d'aver luogo a questa impresa.
Alla
Discordia ritrovar fu grato
la Gelosia;
ma più quando ebbe intesa
la cagion del
venir, che le potea
molto valere
in quel che far volea.
31
D'inimicar
con Rodomonte il figlio
del re
Agrican le pare aver suggetto:
troverà
a sdegnar gli altri altro consiglio;
a sdegnar
questi duo questo è perfetto.
Col nano se
ne vien dove l'artiglio
del fier
pagano avea Parigi astretto;
e capitaro a
punto in su la riva,
quando il
crudel del fiume a nuoto usciva.
32
Tosto che
riconobbe Rodomonte
costui de la
sua donna esser messaggio,
estinse
ogn'ira, e serenò la fronte,
e si
sentì brillar dentro il coraggio.
Ogn'altra
cosa aspetta che gli conte,
prima
ch'alcuno abbia a lei fatto oltraggio.
Va contra il
nano, e lieto gli domanda:
- Ch'è
de la donna nostra? ove ti manda? -
33
Rispose il
nano: - Né più tua né mia
donna
dirò quella ch'è serva altrui.
Ieri
scontrammo un cavallier per via,
che ne la
tolse, e la menò con lui. -
A quello
annunzio entrò la Gelosia,
fredda come
aspe, ed abbracciò costui.
Seguita il
nano, e narragli in che guisa
un sol l'ha
presa, e la sua gente uccisa.
34
L'acciaio
allora la Discordia prese,
e la pietra
focaia, e picchiò un poco,
e l'esca
sotto la Superbia stese,
e fu
attaccato in un momento il fuoco;
e sì
di questo l'anima s'accese
del Saracin,
che non trovava loco:
sospira e
freme con sì orribil faccia,
che gli
elementi e tutto il ciel minaccia.
35
Come la
tigre, poi ch'invan discende
nel voto
albergo, e per tutto s'aggira,
e i cari
figli all'ultimo comprende
essergli
tolti, avampa di tant'ira,
a tanta
rabbia, a tal furor s'estende,
che né a
monte né a rio né a notte mira;
né lunga via,
né grandine raffrena
l'odio che
dietro al predator la mena:
36
così
furendo il Saracin bizzarro
si volge al
nano, e dice: - Or là t'invia; -
e non aspetta
né destrier né carro,
e non fa
motto alla sua compagnia.
Va con
più fretta che non va il ramarro,
quando il
ciel arde, a traversar la via.
Destrier non
ha, ma il primo tor disegna,
sia di chi
vuol, ch'ad incontrar lo vegna.
37
La Discordia
ch'udì questo pensiero,
guardò,
ridendo, la Superbia, e disse
che volea
gire a trovare un destriero
che gli
apportasse altre contese e risse;
e far volea
sgombrar tutto il sentiero,
ch'altro che
quello in man non gli venisse:
e già
pensato avea dove trovarlo.
Ma costei
lascio, e torno a dir di Carlo.
38
Poi ch'al partir
del Saracin si estinse
Carlo
d'intorno il periglioso fuoco,
tutte le
genti all'ordine ristrinse.
Lascionne
parte in qualche debol loco:
adosso il
resto ai Saracini spinse,
per dar lor
scacco, e guadagnarsi il giuoco;
e gli
mandò per ogni porta fuore,
da San
Germano infin a San Vittore.
39
E
commandò ch'a porta San Marcello,
dov'era gran
spianata di campagna,
aspettasse
l'un l'altro, e in un drappello
si ragunasse
tutta la compagna.
Quindi
animando ognuno a far macello
tal, che
sempre ricordo ne rimagna,
ai lor ordini
andar fe' le bandiere,
e di
battaglia dar segno alle schiere.
40
Il re
Agramante in questo mezzo in sella,
mal grado dei
cristian, rimesso s'era;
e con
l'inamorato d'Isabella
facea
battaglia perigliosa e fiera:
col re Sobrin
Lurcanio si martella:
Rinaldo
incontra avea tutta una schiera;
e con virtude
e con fortuna molta
l'urta,
l'apre, ruina e mette in volta.
41
Essendo la
battaglia in questo stato,
l'imperatore
assalse il retroguardo
dal canto ove
Marsilio avea fermato
il fior di
Spagna intorno al suo stendardo.
Con fanti in
mezzo e cavallieri allato,
re Carlo
spinse il suo popul gagliardo
con tal rumor
di timpani e di trombe,
che tutto 'l
mondo par che ne rimbombe.
42
Cominciavan
le schiere a ritirarse
de' Saracini,
e si sarebbon volte
tutte a
fuggir, spezzate, rotte e sparse,
per mai
più non potere esser raccolte;
ma 'l re
Grandonio e Falsiron comparse,
che stati in
maggior briga eran più volte,
e Balugante e
Serpentin feroce,
e
Ferraù che lor dicea a gran voce:
43
- Ah (dicea)
valentuomini, ah compagni,
ah fratelli,
tenete il luogo vostro.
I nimici
faranno opra di ragni,
se non
manchiamo noi del dover nostro.
Guardate
l'alto onor, gli ampli guadagni
che Fortuna,
vincendo, oggi ci ha mostro:
guardate la
vergogna e il danno estremo,
ch'essendo
vinti, a patir sempre avremo. -
44
Tolto in quel
tempo una gran lancia avea,
e contra
Berlingier venne di botto,
che sopra
Largaliffa combattea,
e l'elmo ne
la fronte gli avea rotto:
gittollo in
terra, e con la spada rea
appresso a
lui ne fe' cader forse otto.
Per ogni
botta almanco, che disserra,
cader fa
sempre un cavalliero in terra.
45
In altra
parte ucciso avea Rinaldo
tanti pagan,
ch'io non potrei contarli.
Dinanzi a lui
non stava ordine saldo:
vedreste
piazza in tutto 'l campo darli.
Non men
Zerbin, non men Lurcanio è caldo:
per modo fan,
ch'ognun sempre ne parli:
questo di
punta avea Balastro ucciso,
e quello a
Finadur l'elmo diviso.
46
L'esercito
d'Alzerbe avea il primiero,
che poco
inanzi aver solea Tardocco;
l'altro tenea
sopra le squadre impero
di Zamor e di
Saffi e di Marocco.
- Non
è tra gli Africani un cavalliero
che di lancia
ferir sappia o di stocco? -
mi si
potrebbe dir: ma passo passo
nessun di
gloria degno a dietro lasso.
47
Del re de la
Zumara non si scorda
il nobil
Dardinel figlio d'Almonte,
che con la
lancia Uberto da Mirforda,
Claudio dal
Bosco, Elio e Dulfin dal Monte,
e con la
spada Anselmo da Stanforda,
e da Londra
Raimondo e Pinamonte
getta per
terra (ed erano pur forti),
dui storditi,
un piagato, e quattro morti.
48
Ma con tutto
'l valor che di sé mostra,
non
può tener sì ferma la sua gente,
sì
ferma, ch'aspettar voglia la nostra
di numero
minor, ma più valente.
Ha più
ragion di spada e più di giostra
e d'ogni cosa
a guerra appertinente.
Fugge la
gente maura, di Zumara,
di Setta, di
Marocco e di Canara.
49
Ma più
degli altri fuggon quei d'Alzerbe,
a cui
s'oppose il nobil giovinetto;
ed or con
prieghi, or con parole acerbe
ripor lor
cerca l'animo nel petto.
- S'Almonte
meritò ch'in voi si serbe
di lui
memoria, or ne vedrò l'effetto:
io
vedrò (dicea lor) se me, suo figlio,
lasciar
vorrete in così gran periglio.
50
State, vi
priego per mia verde etade,
in cui solete
aver sì larga speme:
deh non
vogliate andar per fil di spade,
ch'in Africa
non torni di noi seme.
Per tutto ne
saran chiuse le strade,
se non andiam
raccolti e stretti insieme:
troppo alto
muro e troppo larga fossa
è il
monte e il mar, pria che tornar si possa.
51
Molto
è meglio morir qui, ch'ai supplici
darsi e alla
discrezion di questi cani.
State saldi,
per Dio, fedeli amici;
che tutti son
gli altri rimedi vani.
Non han di
noi più vita gli nimici;
più
d'un'alma non han, più di due mani. -
Così
dicendo, il giovinetto forte
al conte
d'Otonlei diede la morte.
52
Il rimembrare
Almonte così accese
l'esercito
african che fuggia prima,
che le
braccia e le mani in sue difese
meglio, che
rivoltar le spalle, estima.
Guglielmo da
Burnich era uno Inglese
maggior di
tutti, e Dardinello il cima,
e lo pareggia
agli altri; e apresso taglia
il capo ad
Aramon di Cornovaglia.
53
Morto cadea
questo Aramone a valle;
e v'accorse
il fratel per dargli aiuto:
ma Dardinel
l'aperse per le spalle
fin
giù dove lo stomaco è forcuto.
Poi
forò il ventre a Bogio da Vergalle,
e lo
mandò del debito assoluto:
avea promesso
alla moglier fra sei
mesi,
vivendo, di tornare a lei.
54
Vide non
lungi Dardinel gagliardo
venir
Lurcanio, ch'avea in terra messo
Dorchin,
passato ne la gola, e Gardo
per mezzo il
capo e insin ai denti fesso;
e ch'Alteo
fuggir volse, ma fu tardo,
Alteo
ch'amò quanto il suo core istesso;
che dietro
alla collottola gli mise
il fier
Lurcanio un colpo che l'uccise.
55
Piglia una
lancia, e va per far vendetta,
dicendo al
suo Macon (s'udir lo puote),
che se morto
Lurcanio in terra getta,
ne la moschea
ne porrà l'arme vote.
Poi
traversando la campagna in fretta,
con tanta
forza il fianco gli percuote,
che tutto il
passa sin all'altra banda;
ed ai suoi,
che lo spoglino, commanda.
56
Non è
da domandarmi, se dolere
se ne dovesse
Ariodante il frate;
se desiasse
di sua man potere
por Dardinel
fra l'anime dannate:
ma nol
lascian le genti adito avere,
non men de le
'nfedel le battezzate.
Vorria pur
vendicarsi, e con la spada
di qua di
là spianando va la strada.
57
Urta, apre,
caccia, atterra, taglia e fende
qualunque lo
'mpedisce o gli contrasta.
E Dardinel
che quel disire intende,
a volerlo
saziar già non sovrasta:
ma la gran
moltitudine contende
con questa
ancora, e i suoi disegni guasta.
Se' Mori
uccide l'un, l'altro non manco
gli Scotti
uccide e il campo inglese e 'l franco.
58
Fortuna
sempremai la via lor tolse,
che per tutto
quel dì non s'accozzaro.
A più
famosa man serbar l'un volse;
che l'uomo il
suo destin fugge di raro.
Ecco Rinaldo
a questa strada volse,
perch'alla
vita d'un non sia riparo:
ecco Rinaldo
vien: Fortuna il guida
per dargli
onor che Dardinello uccida.
59
Ma sia per
questa volta detto assai
dei gloriosi
fatti di Ponente.
Tempo
è ch'io torni ove Grifon lasciai,
che tutto
d'ira e di disdegno ardente
facea, con
più timor ch'avesse mai,
tumultuar la
sbigottita gente.
Re Norandino
a quel rumor corso era
con
più di mille armati in una schiera.
60
Re Norandin
con la sua corte armata,
vedendo tutto
'l populo fuggire,
venne alla
porta in battaglia ordinata,
e quella fece
alla sua giunta aprire.
Grifone
intanto avendo già cacciata
da sé la
turba sciocca e senza ardire,
la sprezzata
armatura in sua difesa
(qual la si
fosse) avea di nuovo presa;
61
e presso a un
tempio ben murato e forte,
che
circondato era d'un'alta fossa,
in capo un
ponticel si fece forte,
perché
chiuderlo in mezzo alcun non possa.
Ecco,
gridando e minacciando forte,
fuor de la
porta esce una squadra grossa.
L'animoso
Grifon non muta loco,
e fa
sembiante che ne tema poco.
62
E poi
ch'avicinar questo drappello
si vide,
andò a trovarlo in su la strada;
e molta
strage fattane e macello
(che menava a
due man sempre la spada),
ricorso avea
allo stretto ponticello,
e quindi li
tenea non troppo a bada:
di nuovo
usciva e di nuovo tornava;
e sempre
orribil segno vi lasciava.
63
Quando di
dritto e quando di riverso
getta or
pedoni or cavallieri in terra.
Il popul
contra lui tutto converso
più e
più sempre inaspera la guerra.
Teme Grifone
al fin restar sommerso:
sì
cresce il mar che d'ogn'intorno il serra;
e ne la
spalla e ne la coscia manca
è
già ferito, e pur la lena manca.
64
Ma la
virtù, ch'ai suoi spesso soccorre,
gli fa appo
Norandin trovar perdono.
Il re, mentre
al tumulto in dubbio corre,
vede che
morti già tanti ne sono:
vede le
piaghe che di man d'Ettorre
pareano
uscite: un testimonio buono,
che dianzi
esso avea fatto indegnamente
vergogna a un
cavallier molto eccellente.
65
Poi, come gli
è più presso, e vede in fronte
quel che la
gente a morte gli ha condutta,
e fattosene
avanti orribil monte,
e di quel
sangue il fosso e l'acqua brutta;
gli è
aviso di veder proprio sul ponte
Orazio sol
contra Toscana tutta:
e per suo
onore, e perché gli ne 'ncrebbe,
ritrasse i
suoi, né gran fatica v'ebbe.
66
Ed alzando la
man nuda e senz'arme,
antico segno
di tregua o di pace,
disse a
Grifon: - Non so, se non chiamarme
d'avere il
torto, e dir che mi dispiace:
ma il mio
poco giudicio, e lo istigarme
altrui,
cadere in tanto error mi face.
Quel che di
fare io mi credea al più vile
guerrier del
mondo, ho fatto al più gentile.
67
E se bene
alla ingiuria ed a quell'onta
ch'oggi fatta
ti fu per ignoranza,
l'onor che ti
fai qui s'adegua e sconta,
o (per
più vero dir) supera e avanza;
la
satisfazion ci serà pronta
a tutto mio
sapere e mia possanza,
quando io
conosca di poter far quella
per oro o per
cittadi o per castella.
68
Chiedimi la
metà di questo regno,
ch'io son per
fartene oggi possessore;
che l'alta
tua virtù non ti fa degno
di questo
sol, ma ch'io ti doni il core:
e la tua mano
in questo mezzo, pegno
di fé mi dona
e di perpetuo amore. -
Così
dicendo, da cavallo scese,
e vêr
Grifon la destra mano stese.
69
Grifon,
vedendo il re fatto benigno
venirgli per
gittar le braccia al collo,
lasciò
la spada e l'animo maligno,
e sotto
l'anche ed umile abbracciollo.
Lo vide il re
di due piaghe sanguigno,
e tosto fe'
venir chi medicollo;
indi portar
ne la cittade adagio,
e riposar nel
suo real palagio.
70
Dove, ferito,
alquanti giorni, inante
che si
potesse armar, fece soggiorno.
Ma lascio
lui, ch'al suo frate Aquilante
ed ad Astolfo
in Palestina torno,
che di
Grifon, poi che lasciò le sante
mura, cercare
han fatto più d'un giorno
in tutti i
lochi in Solima devoti,
e in molti
ancor da la città remoti.
71
Or né l'uno
né l'altro è sì indovino,
che di Grifon
possa saper che sia:
ma venne lor
quel Greco peregrino,
nel
ragionare, a caso a darne spia,
dicendo
ch'Orrigille avea il camino
verso
Antiochia preso di Soria,
d'un nuovo
drudo, ch'era di quel loco,
di subito
arsa e d'improviso fuoco.
72
Dimandògli
Aquilante, se di questo
così
notizia avea data a Grifone:
e come
l'affermò, s'avisò il resto,
perché fosse
partito, e la cagione.
Ch'Orrigille
ha seguito è manifesto
in Antiochia
con intenzione
di levarla di
man del suo rivale
con gran
vendetta e memorabil male.
73
Non
tolerò Aquilante che 'l fratello
solo e
senz'esso a quell'impresa andasse;
e prese
l'arme, e venne dietro a quello:
ma prima
pregò il duca che tardasse
l'andata in
Francia ed al paterno ostello,
fin ch'esso
d'Antiochia ritornasse.
Scende al
Zaffo e s'imbarca, che gli pare
e più
breve e miglior la via del mare.
74
Ebbe un
ostro-silocco allor possente
tanto nel
mare, e sì per lui disposto,
che la terra
del Surro il dì seguente
vide e
Saffetto, un dopo l'altro tosto.
Passa Barutti
e il Zibeletto, e sente
che da man
manca gli è Cipro discosto.
A Tortosa da
Tripoli, e alla Lizza
e al golfo di
Laiazzo il camin drizza.
75
Quindi a
levante fe' il nocchier la fronte
del navilio
voltar snello e veloce;
ed a sorger
n'andò sopra l'Oronte,
e colse il
tempo, e ne pigliò la foce.
Gittar fece
Aquilante in terra il ponte,
e
n'uscì armato sul destrier feroce;
e contra il
fiume il camin dritto tenne,
tanto ch'in
Antiochia se ne venne.
76
Di quel
Martano ivi ebbe ad informarse;
ed udì
ch'a Damasco se n'era ito
con
Orrigille, ove una giostra farse
dovea solenne
per reale invito.
Tanto
d'andargli dietro il desir l'arse,
certo che 'l
suo german l'abbia seguito,
che
d'Antiochia anco quel dì si tolle;
ma già
per mar più ritornar non volle.
77
Verso Lidia e
Larissa il camin piega:
resta
più sopra Aleppe ricca e piena.
Dio, per
mostrar ch'ancor di qua non niega
mercede al
bene, ed al contrario pena,
Martano
appresso a Mamuga una lega
ad
incontrarsi in Aquilante mena.
Martano si
facea con bella mostra
portare
inanzi il pregio de la giostra.
78
Pensò
Aquilante al primo comparire,
che 'l vil
Martano il suo fratello fosse;
che
l'ingannaron l'arme, e quel vestire
candido
più che nievi ancor non mosse:
e con
quell'oh! che d'allegrezza dire
si suole,
incominciò; ma poi cangiosse
tosto di
faccia e di parlar, ch'appresso
s'avide
meglio, che non era desso.
79
Dubitò
che per fraude di colei
ch'era con
lui, Grifon gli avesse ucciso;
e: - Dimmi
(gli gridò) tu ch'esser déi
un ladro e un
traditor, come n'hai viso,
onde hai
quest'arme avute? onde ti sei
sul buon
destrier del mio fratello assiso?
Dimmi se 'l
mio fratello è morto o vivo;
come de
l'arme e del destrier l'hai privo. -
80
Quando
Orrigille udì l'irata voce,
a dietro il
palafren per fuggir volse;
ma di lei fu
Aquilante più veloce,
e fecela
fermar, volse o non volse.
Martano al
minacciar tanto feroce
del
cavallier, che sì improviso il colse,
pallido
triema, come al vento fronda,
né sa quel
che si faccia o che risponda.
81
Grida
Aquilante, e fulminar non resta,
e la spada
gli pon dritto alla strozza;
e giurando
minaccia che la testa
ad Orrigille
e a lui rimarrà mozza,
se tutto il
fatto non gli manifesta.
Il mal giunto
Martano alquanto ingozza,
e tra sé
volve se può sminuire
sua grave
colpa, e poi comincia a dire:
82
- Sappi,
signor, che mia sorella è questa,
nata di buona
e virtuosa gente,
ben che
tenuta in vita disonesta
l'abbia
Grifone obbrobriosamente:
e tale
infamia essendomi molesta,
né per forza
sentendomi possente
di torla a
sì grande uom, feci disegno
d'averla per
astuzia e per ingegno.
83
Tenni modo
con lei, ch'avea desire
di ritornare
a più lodata vita,
ch'essendosi
Grifon messo a dormire,
chetamente da
lui fêsse partita.
Così
fece ella; e perché egli a seguire
non n'abbia,
ed a turbar la tela ordita,
noi lo
lasciammo disarmato e a piedi;
e qua venuti
siàn, come tu vedi. -
84
Poteasi dar
di somma astuzia vanto,
che colui
facilmente gli credea;
e, fuor che
'n torgli arme e destrier e quanto
tenesse di
Grifon, non gli nocea;
se non volea
pulir sua scusa tanto,
che la
facesse di menzogna rea:
buona era
ogn'altra parte, se non quella
che la femina
a lui fosse sorella.
85
Avea
Aquilante in Antiochia inteso
essergli
concubina, da più genti;
onde
gridando, di furore acceso:
- Falsissimo
ladron, tu te ne menti! -
un pugno gli
tirò di tanto peso,
che ne la
gola gli cacciò duo denti:
e senza
più contesa, ambe le braccia
gli volge
dietro, e d'una fune allaccia;
86
e parimente
fece ad Orrigille,
ben che in
sua scusa ella dicesse assai.
Quindi li
trasse per casali e ville,
né li
lasciò fin a Damasco mai;
e de le
miglia mille volte mille
tratti gli
avrebbe con pene e con guai,
fin ch'avesse
trovato il suo fratello,
per farne poi
come piacesse a quello.
87
Fece
Aquilante lor scudieri e some
seco tornare,
ed in Damasco venne,
e
trovò di Grifon celebre il nome
per tutta la
città batter le penne:
piccoli e
grandi, ognun sapea già come
egli era, che
sì ben corse l'antenne,
ed a cui
tolto fu con falsa mostra
dal compagno
la gloria de la giostra.
88
Il popul
tutto al vil Martano infesto,
l'uno
all'altro additandolo, lo scuopre.
- Non
è (dicean), non è il ribaldo questo,
che si fa laude
con l'altrui buone opre?
e la
virtù di chi non è ben desto,
con la sua
infamia e col suo obbrobrio copre?
Non è
l'ingrata femina costei,
la qual
tradisce i buoni e aiuta i rei? -
89
Altri dicean:
- Come stan bene insieme
segnati ambi
d'un marchio e d'una razza! -
Chi li
bestemmia, chi lor dietro freme,
chi grida: -
Impicca, abrucia, squarta, amazza! -
La turba per
veder s'urta, si preme,
e corre
inanzi alle strade, alla piazza.
Venne la
nuova al re, che mostrò segno
d'averla cara
più ch'un altro regno.
90
Senza molti
scudier dietro o davante,
come si
ritrovò, si mosse in fretta,
e venne ad
incontrarsi in Aquilante,
ch'avea del
suo Grifon fatto vendetta;
e quello
onora con gentil sembiante,
seco lo
'nvita, e seco lo ricetta;
di suo
consenso avendo fatto porre
i duo
prigioni in fondo d'una torre.
91
Andaro
insieme ove del letto mosso
Grifon non
s'era, poi che fu ferito,
che vedendo
il fratel, divenne rosso;
che ben
stimò ch'avea il suo caso udito.
E poi che
motteggiando un poco adosso
gli
andò Aquilante, messero a partito
di dare a
quelli duo iusto martoro,
venuti in man
degli avversari loro.
92
Vuole
Aquilante, vuole il re che mille
strazi ne
sieno fatti; ma Grifone
(perché non
osa dir sol d'Orrigille)
all'uno e
all'altro vuol che si perdone.
Disse assai
cose, e molto ben ordille;
fugli
risposto; or per conclusione
Martano
è disegnato in mano al boia,
ch'abbia a
scoparlo, e non però che moia.
93
Legar lo
fanno, e non tra' fiori e l'erba,
e per tutto
scopar l'altra matina.
Orrigille
captiva si riserba
fin che
ritorni la bella Lucina,
al cui saggio
parere, o lieve o acerba,
rimetton quei
signor la disciplina.
Quivi stette
Aquilante a ricrearsi
fin che 'l
fratel fu sano e poté armarsi.
94
Re Norandin,
che temperato e saggio
divenuto era
dopo un tanto errore,
non potea non
aver sempre il coraggio
di penitenza
pieno e di dolore,
d'aver fatto
a colui danno ed oltraggio,
che degno di
mercede era e d'onore:
sì che
dì e notte avea il pensiero intento
par farlo
rimaner di sé contento.
95
E
statuì nel publico cospetto
de la
città, di tanta ingiuria rea,
con quella
maggior gloria ch'a perfetto
cavallier per
un re dar si potea,
di rendergli
quel premio ch'intercetto
con tanto
inganno il traditor gli avea:
e
perciò fe' bandir per quel paese,
che faria
un'altra giostra indi ad un mese.
96
Di
ch'apparecchio fa tanto solenne,
quanto a
pompa real possibil sia:
onde la Fama
con veloci penne
portò
la nuova per tutta Soria;
ed in Fenicia
e in Palestina venne,
e tanto,
ch'ad Astolfo ne diè spia,
il qual col viceré
deliberosse
che quella
giostra senza lor non fosse.
97
Per guerrier
valoroso e di gran nome
la vera
istoria Sansonetto vanta.
Gli
diè battesmo Orlando, e Carlo (come
v'ho detto) a
governar la Terra Santa.
Astolfo con
costui levò le some,
per ritrovarsi
ove la Fama canta,
sì che
d'intorno n'ha piena ogni orecchia,
ch'in Damasco
la giostra s'apparecchia.
98
Or cavalcando
per quelle contrade
con non
lunghi viaggi, agiati e lenti,
per
ritrovarsi freschi alla cittade
poi di
Damasco il dì de' torniamenti,
scontraro in
una croce di due strade
persona ch'al
vestire e a' movimenti
avea
sembianza d'uomo, e femin' era,
ne le
battaglie a maraviglia fiera.
99
La vergine
Marfisa si nomava,
di tal valor,
che con la spada in mano
fece
più volte al gran signor di Brava
sudar la
fronte e a quel di Montalbano;
e 'l
dì e la notte armata sempre andava
di qua di
là cercando in monte e in piano
con
cavallieri erranti riscontrarsi,
ed immortale
e gloriosa farsi.
100
Com'ella vide
Astolfo e Sansonetto,
ch'appresso
le venian con l'arme indosso,
prodi
guerrier le parvero all'aspetto;
ch'erano
ambeduo grandi e di buono osso:
e perché di
provarsi avria diletto,
per isfidarli
avea il destrier già mosso;
quando,
affissando l'occhio più vicino,
conosciuto
ebbe il duca paladino.
101
De la
piacevolezza le sovenne
del
cavallier, quando al Catai seco era:
e lo
chiamò per nome, e non si tenne
la man nel
guanto, e alzossi la visiera;
e con gran
festa ad abbracciarlo venne,
come che
sopra ogn'altra fosse altiera.
Non men da
l'altra parte riverente
fu il
paladino alla donna eccellente.
102
Tra lor si
domandaron di lor via:
e poi
ch'Astolfo, che prima rispose,
narrò
come a Damasco se ne gìa,
dove le genti
in arme valorose
avea invitato
il re de la Soria
a dimostrar
lor opre virtuose;
Marfisa,
sempre a far gran pruove accesa,
- Voglio
esser con voi (disse) a questa impresa. -
103
Sommamente
ebbe Astolfo grata questa
compagna
d'arme, e così Sansonetto.
Furo a
Damasco il dì inanzi la festa,
e di fuora
nel borgo ebbon ricetto:
e sin all'ora
che dal sonno desta
l' Aurora il
vecchiarel già suo diletto,
quivi si
riposar con maggior agio,
che se
smontati fossero al palagio.
104
E poi che 'l
nuovo sol lucido e chiaro
per tutto
sparsi ebbe i fulgenti raggi,
la bella
donna e i duo guerrier s'armaro,
mandato
avendo alla città messaggi;
che, come
tempo fu, lor rapportaro
che per veder
spezzar frassini e faggi
re Norandino
era venuto al loco
ch'avea
costituito al fiero gioco.
105
Senza
più indugio alla città ne vanno,
e per la via
maestra alla gran piazza,
dove
aspettando il real segno stanno
quinci e
quindi i guerrier di buona razza.
I premi che
quel giorno si daranno
a chi vince,
è uno stocco ed una mazza
guerniti
riccamente, e un destrier, quale
sia
convenevol dono a un signor tale.
106
Avendo Norandin
fermo nel core
che, come il
primo pregio, il secondo anco,
e d'ambedue
le giostre il sommo onore
si debba
guadagnar Grifone il bianco;
per dargli
tutto quel ch'uom di valore
dovrebbe
aver, né debbe far con manco,
posto con
l'arme in questo ultimo pregio
ha stocco e
mazza e destrier molto egregio.
107
L'arme che ne
la giostra fatta dianzi
si doveano a
Grifon che 'l tutto vinse,
e che
usurpate avea con tristi avanzi
Martano che
Grifone esser si finse,
quivi si fece
il re pendere inanzi,
e il ben
guernito stocco a quelle cinse,
e la mazza
all'arcion del destrier messe,
perché Grifon
l'un pregio e l'altro avesse.
108
Ma che sua
intenzione avesse effetto
vietò
quella magnanima guerriera,
che con
Astolfo e col buon Sansonetto
in piazza
nuovamente venuta era.
Costei,
vedendo l'arme ch'io v'ho detto,
subito n'ebbe
conoscenza vera:
però
che già sue furo, e l'ebbe care
quanto si
suol le cose ottime e rare;
109
ben che
l'avea lasciate in su la strada
a quella
volta che le fur d'impaccio,
quando per
riaver sua buona spada
correa dietro
a Brunel degno di laccio.
Questa
istoria non credo che m'accada
altrimenti
narrar; però la taccio.
Da me vi
basti intendere a che guisa
quivi
trovasse l'arme sue Marfisa.
110
Intenderete
ancor, che come l'ebbe
riconosciute
a manifeste note,
per altro che
sia al mondo, non le avrebbe
lasciate un
dì di sua persona vote.
Se più
tenere un modo o un altro debbe
per
racquistarle, ella pensar non puote:
ma se gli
accosta a un tratto, e la man stende,
e senz'altro
rispetto se le prende;
111
e per la
fretta ch'ella n'ebbe, avenne
ch'altre ne
prese, altre mandonne in terra.
Il re, che
troppo offeso se ne tenne,
con uno
sguardo sol le mosse guerra;
che 'l popul,
che l'ingiuria non sostenne,
per
vendicarlo e lance e spade afferra,
non
rammentando ciò ch'i giorni inanti
nocque il dar
noia ai cavallieri erranti.
112
Né fra
vermigli fiori, azzurri e gialli
vago
fanciullo alla stagion novella,
né mai si
ritrovò fra suoni e balli
più
volentieri ornata donna e bella;
che fra
strepito d'arme e di cavalli,
e fra punte
di lance e di quadrella,
dove si
sparga sangue e si dia morte,
costei si
truovi, oltre ogni creder forte.
113
Spinge il
cavallo, e ne la turba sciocca
con l'asta
bassa impetuosa fere;
e chi nel
collo e chi nel petto imbrocca,
e fa con
l'urto or questo or quel cadere:
poi con la
spada uno ed un altro tocca,
e fa qual
senza capo rimanere,
e qual rotto,
e qual passato al fianco,
e qual del
braccio privo o destro o manco.
114
L'ardito
Astolfo e il forte Sansonetto,
ch'avean con
lei vestita e piastra e maglia,
ben che non
venner già per tal effetto,
pur, vedendo
attaccata la battaglia,
abbassan la
visiera de l'elmetto,
e poi la
lancia per quella canaglia;
ed indi van
con la tagliente spada
di qua di
là facendosi far strada.
115
I cavallieri
di nazion diverse,
ch'erano per
giostrar quivi ridutti,
vedendo
l'arme in tal furor converse,
e gli
aspettati giuochi in gravi lutti
(che la
cagion ch'avesse di dolerse
la plebe
irata non sapeano tutti,
né ch'al re
tanta ingiuria fosse fatta),
stavan con
dubbia mente e stupefatta.
116
Di ch'altri a
favorir la turba venne,
che tardi poi
non se ne fu a pentire;
altri, a cui
la città più non attenne
che gli
stranieri, accorse a dipartire;
altri,
più saggio, in man la briglia tenne,
mirando dove
questo avesse a uscire.
Di quelli fu
Grifone ed Aquilante,
che per
vendicar l'arme andaro inante.
117
Essi vedendo
il re che di veneno
avea le luci
inebriate e rosse,
ed essendo da
molti istrutti a pieno
de la cagion
che la discordia mosse,
e parendo a
Grifon che sua, non meno
che del re
Norandin, l'ingiuria fosse;
s'avean le
lance fatte dar con fretta,
e venian
fulminando alla vendetta.
118
Astolfo
d'altra parte Rabicano
venìa
spronando a tutti gli altri inante,
con
l'incantata lancia d'oro in mano,
ch'al fiero
scontro abbatte ogni giostrante.
Ferì
con essa e lasciò steso al piano
prima
Grifone, e poi trovò Aquilante;
e de lo scudo
toccò l'orlo a pena,
che lo
gittò riverso in su l'arena.
119
I cavallier
di pregio e di gran pruova
votan le
selle inanzi a Sansonetto.
L'uscita de
la piazza il popul truova:
il re
n'arrabbia d'ira e di dispetto.
Con la prima
corazza e con la nuova
Marfisa
intanto, e l'uno e l'altro elmetto,
poi che si
vide a tutti dare il tergo,
vincitrice
venìa verso l'albergo.
120
Astolfo e
Sansonetto non fur lenti
a seguitarla,
e seco a ritornarsi
verso la
porta (che tutte le genti
gli davan
loco), ed al rastrel fermarsi.
Aquilante e
Grifon, troppo dolenti
di vedersi a
uno incontro riversarsi,
tenean per
gran vergogna il capo chino,
né ardian
venire inanzi a Norandino.
121
Presi e
montati c'hanno i lor cavalli,
spronano
dietro agli nimici in fretta.
Li segue il
re con molti suoi vasalli,
tutti pronti
o alla morte o alla vendetta.
La sciocca
turba grida: - Dàlli dàlli -;
e sta
lontana, e le novelle aspetta.
Grifone
arriva ove volgean la fronte
i tre
compagni, ed avean preso il ponte.
122
A prima
giunta Astolfo raffigura,
ch'avea
quelle medesime divise,
avea il
cavallo, avea quella armatura
ch'ebbe dal
dì ch'Orril fatale uccise.
Né miratol,
né posto gli avea cura,
quando in
piazza a giostrar seco si mise:
quivi il
conobbe e salutollo; e poi
gli
domandò de li compagni suoi;
123
e perché tratto
avean quell'arme a terra,
portando al
re sì poca riverenza.
Di suoi
compagni il duca d'Inghilterra
diede a
Grifon non falsa conoscenza:
de l'arme
ch'attaccate avean la guerra,
disse che non
n'avea troppa scienza;
ma perché con
Marfisa era venuto,
dar le volea
con Sansonetto aiuto.
124
Quivi con
Grifon stando il paladino,
viene
Aquilante, e lo conosce tosto
che parlar
col fratel l'ode vicino,
e il voler
cangia, ch'era mal disposto.
Giungean
molti di quei di Norandino,
ma troppo non
ardian venire accosto;
e tanto
più, vedendo i parlamenti,
stavano
cheti, e per udire intenti.
125
Alcun
ch'intende quivi esser Marfisa,
che tiene al
mondo il vanto in esser forte,
volta il
cavallo, e Norandino avisa
che s'oggi
non vuol perder la sua corte,
proveggia,
prima che sia tutta uccisa,
di man trarla
a Tesifone e alla Morte;
perché
Marfisa veramente è stata,
che
l'armatura in piazza gli ha levata.
126
Come re
Norandino ode quel nome
così
temuto per tutto Levante,
che facea a
molti anco arricciar le chiome,
ben che spesso
da lor fosse distante,
è
certo che ne debbia venir come
dice quel
suo, se non provede inante;
però
gli suoi, che già mutata l'ira
hanno in
timore, a sé richiama e tira.
127
Da l'altra
parte i figli d'Oliviero
con
Sansonetto e col figliuol d'Otone,
supplicando a
Marfisa, tanto fero,
che si
diè fine alla crudel tenzone.
Marfisa,
giunta al re, con viso altiero
disse: - Io
non so, signor, con che ragione
vogli
quest'arme dar, che tue non sono,
al vincitor
de le tue giostre in dono.
128
Mie sono
l'arme, e 'n mezzo de la via
che vien
d'Armenia, un giorno le lasciai,
perché
seguire a piè mi convenia
un rubator
che m'avea offesa assai:
e la mia
insegna testimon ne fia,
che qui si
vede, se notizia n'hai. -
E la
mostrò ne la corazza impressa,
ch'era in tre
parti una corona fessa.
129
- Gli
è ver (rispose il re) che mi fur date,
son pochi
dì, da un mercatante armeno;
e se voi me
l'avesse domandate,
l'avreste
avute, o vostre o no che sièno;
ch'avenga
ch'a Grifon già l'ho donate,
ho tanta fede
in lui, che nondimeno,
acciò
a voi darle avessi anche potuto,
volentieri il
mio don m'avria renduto.
130
Non bisogna
allegar, per farmi fede
che vostre
sien, che tengan vostra insegna:
basti il
dirmelo voi; che vi si crede
più
ch'a qual altro testimonio vegna.
Che vostre
sian vostr'arme si concede
alla
virtù di maggior premio degna.
Or ve
l'abbiate, e più non si contenda;
e Grifon
maggior premio da me prenda. -
131
Grifon che
poco a cor avea quell'arme,
ma gran disio
che 'l re si satisfaccia,
gli disse: -
Assai potete compensarme,
se mi fate
saper ch'io vi compiaccia. -
Tra sé disse
Marfisa: - Esser qui parme
l'onor mio in
tutto: - e con benigna faccia
volle a
Grifon de l'arme esser cortese;
e finalmente
in don da lui le prese.
132
Ne la
città con pace e con amore
tornaro, ove
le feste raddoppiarsi.
Poi la
giostra si fe', di che l'onore
e 'l pregio
Sansonetto fece darsi;
ch'Astolfo e
i duo fratelli e la migliore
di lor,
Marfisa, non volson provarsi,
cercando,
com'amici e buon compagni,
che
Sansonetto il pregio ne guadagni.
133
Stati che
sono in gran piacere e in festa
con Norandino
otto giornate o diece,
perché l'amor
di Francia gli molesta,
che lasciar
senza lor tanto non lece,
tolgon
licenza; e Marfisa, che questa
via disiava,
compagnia lor fece.
Marfisa avuto
avea lungo disire
al paragon
dei paladin venire;
134
e far
esperienza se l'effetto
si pareggiava
a tanta nominanza.
Lascia un
altro in suo loco Sansonetto,
che di
Ierusalem regga la stanza.
Or questi
cinque in un drappello eletto,
che pochi
pari al mondo han di possanza,
licenziati
dal re Norandino,
vanno a
Tripoli e al mar che v'è vicino.
135
E quivi una
caracca ritrovaro,
che per
Ponente mercanzie raguna.
Per loro e
pei cavalli s'accordaro
con un
vecchio patron ch'era da Luna.
Mostrava
d'ogn'intorno il tempo chiaro,
ch'avrian per
molti dì buona fortuna.
Sciolser dal
lito, avendo aria serena,
e di buon
vento ogni lor vela piena.
136
L'isola sacra
all'amorosa dea
diede lor
sotto un'aria il primo porto,
che non ch'a
offender gli uomini sia rea,
ma stempra il
ferro, e quivi è 'l viver corto.
Cagion
n'è un stagno: e certo non dovea
Natura a
Famagosta far quel torto
d'appressarvi
Costanza acre e maligna,
quando al
resto di Cipro è sì benigna.
137
Il grave odor
che la palude esala
non lascia al
legno far troppo soggiorno.
Quindi a un
greco-levante spiegò ogni ala,
volando da
man destra a Cipro intorno,
e surse a
Pafo, e pose in terra scala;
e i naviganti
uscir nel lito adorno,
chi per merce
levar, chi per vedere
la terra
d'amor piena e di piacere.
138
Dal mar sei
miglia o sette, a poco a poco
si va salendo
inverso il colle ameno.
Mirti e cedri
e naranci e lauri il loco,
e mille altri
soavi arbori han pieno.
Serpillo e
persa e rose e gigli e croco
spargon da
l'odorifero terreno
tanta
suavità, ch'in mar sentire
la fa ogni
vento che da terra spire.
139
Da limpida
fontana tutta quella
piaggia
rigando va un ruscel fecondo.
Ben si
può dir che sia di Vener bella
il luogo
dilettevole e giocondo;
che
v'è ogni donna affatto, ogni donzella
piacevol
più ch'altrove sia nel mondo:
e fa la dea
che tutte ardon d'amore,
giovani e
vecchie, infino all'ultime ore.
140
Quivi odono
il medesimo ch'udito
di Lucina e
de l'Orco hanno in Soria,
e come di
tornare ella a marito
facea nuovo
apparecchio in Nicosia.
Quindi il
padrone (essendosi espedito,
e spirando
buon vento alla sua via)
l'ancore
sarpa, e fa girar la proda
verso
ponente, ed ogni vela snoda.
141
Al vento di
maestro alzò la nave
le vele
all'orza, ed allargossi in alto.
Un
ponente-libecchio, che soave
parve a
principio e fin che 'l sol stette alto,
e poi si fe'
verso la sera grave,
le leva
incontra il mar con fiero assalto,
con tanti
tuoni e tanto ardor di lampi,
che par che
'l ciel si spezzi e tutto avampi.
142
Stendon le
nubi un tenebroso velo
che né sole
apparir lascia né stella.
Di sotto il
mar, di sopra mugge il cielo,
il vento
d'ogn'intorno, e la procella
che di
pioggia oscurissima e di gelo
i naviganti
miseri flagella:
e la notte
più sempre si diffonde
sopra l'irate
e formidabil onde.
143
I naviganti a
dimostrare effetto
vanno de
l'arte in che lodati sono:
chi discorre
fischiando col fraschetto,
e quanto han
gli altri a far, mostra col suono;
chi l'ancore
apparechia da rispetto,
e chi al
mainare e chi alla scotta è buono;
chi 'l
timone, chi l'arbore assicura,
chi la
coperta di sgombrare ha cura.
144
Crebbe il
tempo crudel tutta la notte,
caliginosa e
più scura ch'inferno.
Tien per
l'alto il padrone, ove men rotte
crede l'onde
trovar, dritto il governo;
e volta ad or
ad or contra le botte
del mar la
proda, e de l'orribil verno,
non senza
speme mai che, come aggiorni,
cessi
fortuna, o più placabil torni.
145
Non cessa e
non si placa, e più furore
mostra nel
giorno, se pur giorno è questo,
che si
conosce al numerar de l'ore,
non che per
lume già sia manifesto.
Or con minor
speranza e più timore
si dà
in poter del vento il padron mesto:
volta la
poppa all'onde, e il mar crudele
scorrendo se
ne va con umil vele.
146
Mentre
Fortuna in mar questi travaglia,
non lascia
anco posar quegli altri in terra,
che sono in
Francia, ove s'uccide e taglia
coi Saracini
il popul d'Inghilterra.
Quivi Rinaldo
assale, apre e sbaraglia
le schiere
avverse, e le bandiere atterra.
Dissi di lui,
che 'l suo destrier Baiardo
mosso avea
contra a Dardinel gagliardo.
147
Vide Rinaldo
il segno del quartiero,
di che
superbo era il figliuol d'Almonte;
e lo
stimò gagliardo e buon guerriero,
che concorrer
d'insegna ardia col conte.
Venne
più appresso, e gli parea più vero;
ch'avea
d'intorno uomini uccisi a monte.
- Meglio
è (gridò) che prima io svella e spenga
questo mal
germe, che maggior divenga. -
148
Dovunque il
viso drizza il paladino,
levasi
ognuno, e gli dà larga strada;
né men
sgombra il fedel, che 'l Saracino,
si reverita
è la famosa spada.
Rinaldo, fuor
che Dardinel meschino,
non vede
alcuno, e lui seguir non bada.
Grida: -
Fanciullo, gran briga ti diede
chi ti
lasciò di questo scudo erede.
149
Vengo a te
per provar, se tu m'attendi,
come ben
guardi il quartier rosso e bianco;
che s'ora
contra me non lo difendi,
difender
contra Orlando il potrai manco. -
Rispose
Dardinello: - Or chiaro apprendi
che s'io lo
porto, il so difender anco;
e guadagnar
più onor, che briga, posso
del paterno
quartier candido e rosso.
150
Perché
fanciullo io sia, non creder farme
però
fuggire, o che 'l quartier ti dia:
la vita mi
torrai, se mi toi l'arme;
ma spero in
Dio ch'anzi il contrario fia.
Sia quel che
vuol, non potrà alcun biasmarme
che mai
traligni alla progenie mia. -
Così
dicendo, con la spada in mano
assalse il
cavallier da Montalbano.
151
Un timor
freddo tutto 'l sangue oppresse,
che gli
Africani aveano intorno al core,
come vider
Rinaldo che si messe
con tanta
rabbia incontra a quel signore,
con quanta
andria un leon ch'al prato avesse
visto un
torel ch'ancor non senta amore.
Il primo che
ferì, fu 'l Saracino;
ma
picchiò invan su l'elmo di Mambrino.
152
Rise Rinaldo,
e disse: - Io vo' tu senta,
s'io so
meglio di te trovar la vena. -
Sprona, e a
un tempo al destrier la briglia allenta,
e d'una punta
con tal forza mena,
d'una punta
ch'al petto gli appresenta,
che gli la fa
apparir dietro alla schena.
Quella
trasse, al tornar, l'alma col sangue:
di sella il
corpo uscì freddo ed esangue.
153
Come purpureo
fior languendo muore,
che 'l vomere
al passar tagliato lassa;
o come carco
di superchio umore
il papaver ne
l'orto il capo abbassa:
così,
giù de la faccia ogni colore
cadendo,
Dardinel di vita passa;
passa di
vita, e fa passar con lui
l'ardire e la
virtù de tutti i sui.
154
Qual soglion
l'acque per umano ingegno
stare
ingorgate alcuna volta e chiuse,
che quando
lor vien poi rotto il sostegno,
cascano, e
van con gran rumor difuse;
tal gli
African, ch'avean qualche ritegno
mentre
virtù lor Dardinello infuse,
ne vanno or
sparti in questa parte e in quella,
che l'han
veduto uscir morto di sella.
155
Chi vuol
fuggir, Rinaldo fuggir lassa,
ed attende a
cacciar chi vuol star saldo.
Si cade
ovunque Ariodante passa,
che molto va
quel dì presso a Rinaldo.
Altri
Lionetto, altri Zerbin fracassa,
a gara ognuno
a far gran prove caldo.
Carlo fa il
suo dover, lo fa Oliviero,
Turpino e
Guido e Salamone e Ugiero.
156
I Mori fur
quel giorno in gran periglio
che 'n
Pagania non ne tornasse testa;
ma 'l saggio
re di Spagna dà di piglio,
e se ne va
con quel che in man gli resta.
Restar in
danno tien miglior consiglio,
che tutti i
denar perdere e la vesta:
meglio
è ritrarsi e salvar qualche schiera,
che, stando,
esser cagion che 'l tutto pèra.
157
Verso gli
alloggiamenti i segni invia,
ch'eron
serrati d'argine e di fossa,
con
Stordilan, col re d'Andologia,
col
Portughese in una squadra grossa.
Manda a
pregar il re di Barbaria,
che si cerchi
ritrar meglio che possa;
e se quel
giorno la persona e 'l loco
potrà
salvar, non avrà fatto poco.
158
Quel re che
si tenea spacciato al tutto,
né mai credea
più riveder Biserta,
che con viso
sì orribile e sì brutto
unquanco non
avea Fortuna esperta,
s'allegrò
che Marsilio avea ridutto
parte del
campo in sicurezza certa:
ed a ritrarsi
cominciò, e a dar volta
alle
bandiere, e fe' sonar raccolta.
159
Ma la
più parte de la gente rotta
né tromba né
tambur né segno ascolta:
tanta fu la
viltà, tanta la dotta,
ch'in Senna
se ne vide affogar molta.
Il re
Agramante vuol ridur la frotta:
seco ha
Sobrino, e van scorrendo in volta;
e con lor
s'affatica ogni buon duca,
che nei
ripari il campo si riduca.
160
Ma né il re,
né Sobrin, né duca alcuno
con prieghi,
con minacce, con affanno
ritrar
può il terzo, non ch'io dica ognuno,
dove
l'insegne mal seguite vanno.
Morti o
fuggiti ne son dua, per uno
che ne
rimane, e quel non senza danno:
ferito
è chi di dietro e chi davanti;
ma
travagliati e lassi tutti quanti.
161
E con gran
tema fin dentro alle porte
dei forti
alloggiamenti ebbon la caccia:
ed era lor
quel luogo anco mal forte,
con ogni
proveder che vi si faccia
(che ben
pigliar nel crin la buona sorte
Carlo sapea,
quando volgea la faccia),
se non venia
la notte tenebrosa,
che
staccò il fatto, ed acquetò ogni cosa;
162
dal Creator
accelerata forse,
che de la sua
fattura ebbe pietade.
Ondeggiò
il sangue per campagna, e corse
come un gran
fiume, e dilagò le strade.
Ottantamila
corpi numerorse,
che fur quel
dì messi per fil di spade.
Villani e
lupi uscir poi de le grotte
a
dispogliargli e a devorar la notte.
163
Carlo non
torna più dentro alla terra,
ma contra gli
nimici fuor s'accampa,
ed in assedio
le lor tende serra,
ed alti e
spessi fuochi intorno avampa.
Il pagan si
provede, e cava terra,
fossi e ripari
e bastioni stampa;
va rivedendo,
e tien le guardie deste,
né tutta
notte mai l'arme si sveste.
164
Tutta la
notte per gli alloggiamenti
dei malsicuri
Saracini oppressi
si versan
pianti, gemiti e lamenti,
ma quanto
più si può, cheti e soppressi.
Altri, perché
gli amici hanno e i parenti
lasciati
morti, ed altri per se stessi,
che son
feriti, e con disagio stanno:
ma più
è la tema del futuro danno.
165
Duo Mori ivi
fra gli altri si trovaro,
d'oscura
stirpe nati in Tolomitta;
de' quai
l'istoria, per esempio raro
di vero
amore, è degna esser descritta.
Cloridano e
Medor si nominaro,
ch'alla
fortuna prospera e alla afflitta
aveano sempre
amato Dardinello,
ed or passato
in Francia il mar con quello.
166
Cloridan,
cacciator tutta sua vita,
di robusta
persona era ed isnella:
Medoro avea
la guancia colorita
e bianca e
grata ne la età novella;
e fra la
gente a quella impresa uscita
non era
faccia più gioconda e bella:
occhi avea
neri, e chioma crespa d'oro:
angel parea
di quei del sommo coro.
167
Erano questi
duo sopra i ripari
con molti
altri a guardar gli alloggiamenti,
quando la
Notte fra distanze pari
mirava il
ciel con gli occhi sonnolenti.
Medoro quivi
in tutti i suoi parlari
non
può far che 'l signor suo non rammenti,
Dardinello
d'Almonte, e che non piagna
che resti
senza onor ne la campagna.
168
Volto al
cornpagno, disse: - O Cloridano,
io non ti
posso dir quanto m'incresca
del mio
signor, che sia rimaso al piano,
per lupi e
corbi, ohimé! troppo degna esca.
Pensando come
sempre mi fu umano,
mi par che
quando ancor questa anima esca
in onor di
sua fama, io non compensi
né sciolga
verso lui gli oblighi immensi.
169
Io voglio
andar, perché non stia insepulto
in mezzo alla
campagna, a ritrovarlo:
e forse Dio
vorrà ch'io vada occulto
là
dove tace il campo del re Carlo.
Tu rimarrai;
che quando in ciel sia sculto
ch'io vi
debba morir, potrai narrarlo:
che se
Fortuna vieta sì bell'opra,
per fama
almeno il mio buon cor si scuopra. -
170
Stupisce
Cloridan, che tanto core,
tanto amor,
tanta fede abbia un fanciullo:
e cerca
assai, perché gli porta amore,
di fargli
quel pensiero irrito e nullo;
ma non gli
val, perch'un sì gran dolore
non riceve
conforto né trastullo.
Medoro era
disposto o di morire,
o ne la tomba
il suo signor coprire.
171
Veduto che
nol piega e che nol muove,
Cloridan gli
risponde: - E verrò anch'io,
anch'io vuo'
pormi a sì lodevol pruove,
anch'io
famosa morte amo e disio.
Qual cosa
sarà mai che più mi giove,
s'io resto
senza te, Medoro mio?
Morir teco
con l'arme è meglio molto,
che poi di
duol, s'avvien che mi sii tolto. -
172
Così
disposti, messero in quel loco
le successive
guardie, e se ne vanno.
Lascian fosse
e steccati, e dopo poco
tra' nostri
son, che senza cura stanno.
Il campo
dorme, e tutto è spento il fuoco,
perché dei
Saracin poca tema hanno.
Tra l'arme e'
carriaggi stan roversi,
nel vin, nel
sonno insino agli occhi immersi.
173
Fermossi
alquanto Cloridano, e disse:
- Non son mai
da lasciar l'occasioni.
Di questo
stuol che 'l mio signor trafisse,
non debbo
far, Medoro, occisioni?
Tu, perché
sopra alcun non ci venisse,
gli occhi e
l'orecchi in ogni parte poni;
ch'io
m'offerisco farti con la spada
tra gli
nimici spaziosa strada. -
174
Così
disse egli, e tosto il parlar tenne,
ed
entrò dove il dotto Alfeo dormia,
che l'anno
inanzi in corte a Carlo venne,
medico e mago
e pien d'astrologia:
ma poco a
questa volta gli sovenne;
anzi gli
disse in tutto la bugia.
Predetto egli
s'avea, che d'anni pieno
dovea morire
alla sua moglie in seno:
175
ed or gli ha
messo il cauto Saracino
la punta de
la spada ne la gola.
Quattro altri
uccide appresso all'indovino,
che non han
tempo a dire una parola:
menzion dei
nomi lor non fa Turpino,
e 'l lungo
andar le lor notizie invola:
dopo essi
Palidon da Moncalieri,
che sicuro
dormia fra duo destrieri.
176
Poi se ne
vien dove col capo giace
appoggiato al
barile il miser Grillo:
avealo voto,
e avea creduto in pace
godersi un
sonno placido e tranquillo.
Troncògli
il capo il Saracino audace:
esce col
sangue il vin per uno spillo,
di che n'ha
in corpo più d'una bigoncia;
e di ber
sogna, e Cloridan lo sconcia.
177
E presso a
Grillo, un Greco ed un Tedesco
spenge in dui
colpi, Andropono e Conrado.
che de la
notte avean goduto al fresco
gran parte,
or con la tazza, ora col dado:
felici, se
vegghiar sapeano a desco
fin che de
l'Indo il sol passassi il guado.
Ma non potria
negli uomini il destino,
se del futuro
ognun fosse indovino.
178
Come impasto
leone in stalla piena,
che lunga
fame abbia smacrato e asciutto,
uccide,
scanna, mangia, a strazio mena
l'infermo
gregge in sua balìa condutto;
così
il crudel pagan nel sonno svena
la nostra
gente, e fa macel per tutto.
La spada di
Medoro anco non ebe;
ma si sdegna
ferir l'ignobil plebe.
179
Venuto era
ove il duca di Labretto
con una dama
sua dormia abbracciato;
e l'un con
l'altro si tenea sì stretto,
che non saria
tra lor l'aere entrato.
Medoro ad
ambi taglia il capo netto.
Oh felice
morire! oh dolce fato!
che come
erano i corpi, ho così fede
ch'andar
l'alme abbracciate alla lor sede.
180
Malindo
uccise e Ardalico il fratello,
che del conte
di Fiandra erano figli;
e l'uno e
l'altro cavallier novello
fatto avea
Carlo, e aggiunto all'arme i gigli,
perché il giorno
amendui d'ostil macello
con gli
stocchi tornar vide vermigli:
e terre in
Frisa avea promesso loro,
e date avria;
ma lo vietò Medoro.
181
Gl'insidiosi
ferri eran vicini
ai padiglioni
che tiraro in volta
al padiglion
di Carlo i paladini,
facendo ognun
la guardia la sua volta;
quando da
l'empia strage i Saracini
trasson le
spade, e diero a tempo volta;
ch'impossibil
lor par, tra sì gran torma,
che non
s'abbia a trovar un che non dorma.
182
E ben che
possan gir di preda carchi,
salvin pur sé,
che fanno assai guadagno.
Ove
più creda aver sicuri i varchi
va Cloridano,
e dietro ha il suo compagno.
Vengon nel
campo, ove fra spade ed archi
e scudi e
lance in un vermiglio stagno
giaccion
poveri e ricchi, e re e vassalli,
e sozzopra
con gli uomini i cavalli.
183
Quivi dei
corpi l'orrida mistura,
che piena
avea la gran campagna intorno,
potea far
vaneggiar la fedel cura
dei duo
compagni insino al far del giorno,
se non traea
fuor d'una nube oscura,
a' prieghi di
Medor, la Luna il corno.
Medoro in ciel
divotamente fisse
verso la Luna
gli occhi, e così disse:
184
- O santa
dea, che dagli antiqui nostri
debitamente
sei detta triforme;
ch'in cielo,
in terra e ne l'inferno mostri
l'alta
bellezza tua sotto più forme,
e ne le
selve, di fere e di mostri
vai cacciatrice
seguitando l'orme;
mostrami ove
'l mio re giaccia fra tanti,
che vivendo
imitò tuoi studi santi. -
185
La luna a
quel pregar la nube aperse
(o fosse caso
o pur la tanta fede),
bella come fu
allor ch'ella s'offerse,
e nuda in
braccio a Endimion si diede.
Con Parigi a
quel lume si scoperse
l'un campo e
l'altro; e 'l monte e 'l pian si vede:
si videro i
duo colli di lontano,
Martire a
destra, e Lerì all'altra mano,
186
Rifulse lo
splendor molto più chiaro
ove d'Almonte
giacea morto il figlio.
Medoro
andò, piangendo, al signor caro;
che conobbe
il quartier bianco e vermiglio:
e tutto 'l
viso gli bagnò d'amaro
pianto, che
n'avea un rio sotto ogni ciglio,
in sì
dolci atti, in sì dolci lamenti,
che potea ad
ascoltar fermare i venti.
187
Ma con
sommessa voce e a pena udita;
non che
riguardi a non si far sentire,
perch'abbia
alcun pensier de la sua vita,
più
tosto l'odia, e ne vorrebbe uscire:
ma per timor
che non gli sia impedita
l'opera pia
che quivi il fe' venire.
Fu il morto
re sugli omeri sospeso
di tramendui,
tra lor partendo il peso.
188
Vanno
affrettando i passi quanto ponno,
sotto l'amata
soma che gl'ingombra.
E già
venìa chi de la luce è donno
le stelle a
tor del ciel, di terra l'ombra;
quando
Zerbino, a cui del petto il sonno
l'alta
virtude, ove è bisogno, sgombra,
cacciato
avendo tutta notte i Mori,
al campo si
traea nei primi albori.
189
E seco
alquanti cavallieri avea,
che videro da
lunge i dui compagni.
Ciascuno a
quella parte si traea,
sperandovi
trovar prede e guadagni.
- Frate,
bisogna (Cloridan dicea)
gittar la
soma, e dare opra ai calcagni;
che sarebbe
pensier non troppo accorto,
perder duo
vivi per salvar un morto. -
190
E
gittò il carco, perché si pensava
che 'l suo
Medoro il simil far dovesse:
ma quel
meschin, che 'l suo signor più amava,
sopra le
spalle sue tutto lo resse.
L'altro con
molta fretta se n'andava,
come l'amico
a paro o dietro avesse:
se sapea di
lasciarlo a quella sorte,
mille
aspettate avria, non ch'una morte.
191
Quei
cavallier, con animo disposto
che questi a
render s'abbino o a morire,
chi qua chi
là si spargono, ed han tosto
preso ogni
passo onde si possa uscire.
Da loro il
capitan poco discosto,
più
degli altri è sollicito a seguire;
ch'in tal
guisa vedendoli temere,
certo
è che sian de le nimiche schiere.
192
Era a quel
tempo ivi una selva antica,
d'ombrose
piante spessa e di virgulti,
che, come
labirinto, entro s'intrica
di stretti
calli e sol da bestie culti.
Speran
d'averla i duo pagan sì amica,
ch'abbi a
tenerli entro a' suoi rami occulti.
Ma chi del
canto mio piglia diletto,
un'altra
volta ad ascoltarlo aspetto.
1
Alcun non
può saper da chi sia amato,
quando felice
in su la ruota siede:
però
c'ha i veri e i finti amici a lato,
che mostran
tutti una medesma fede.
Se poi si
cangia in tristo il lieto stato,
volta la
turba adulatrice il piede;
e quel che di
cor ama riman forte,
ed ama il suo
signor dopo la morte.
2
Se, come il
viso, si mostrasse il core,
tal ne la
corte è grande e gli altri preme,
e tal
è in poca grazia al suo signore,
che la lor
sorte muteriano insieme.
Questo umil
diverria tosto il maggiore:
staria quel
grande infra le turbe estreme.
Ma torniamo a
Medor fedele e grato,
che 'n vita e
in morte ha il suo signore amato.
3
Cercando
già nel più intricato calle
il giovine
infelice di salvarsi;
ma il grave
peso ch'avea su le spalle,
gli facea
uscir tutti i partiti scarsi.
Non conosce
il paese, e la via falle,
e torna fra
le spine a invilupparsi.
Lungi da lui
tratto al sicuro s'era
l'altro,
ch'avea la spalla più leggiera.
4
Cloridan
s'è ridutto ove non sente
di chi segue
lo strepito e il rumore:
ma quando da
Medor si vede assente,
gli pare aver
lasciato a dietro il core.
- Deh, come
fui (dicea) sì negligente,
deh, come fui
sì di me stesso fuore,
che senza te,
Medor, qui mi ritrassi,
né sappia
quando o dove io ti lasciassi! -
5
Così
dicendo, ne la torta via
de
l'intricata selva si ricaccia;
ed onde era
venuto si ravvia,
e torna di
sua morte in su la traccia.
Ode i cavalli
e i gridi tuttavia,
e la nimica
voce che minaccia:
all' ultimo
ode il suo Medoro, e vede
che tra molti
a cavallo è solo a piede.
6
Cento a
cavallo, e gli son tutti intorno:
Zerbin
commanda e grida che sia preso.
L'infelice
s'aggira com'un torno,
e quanto
può si tien da lor difeso,
or dietro
quercia, or olmo, or faggio, or orno,
né si
discosta mai dal caro peso.
L'ha riposato
al fin su l'erba, quando
regger nol
puote, e gli va intorno errando:
7
come orsa,
che l'alpestre cacciatore
ne la
pietrosa tana assalita abbia,
sta sopra i
figli con incerto core,
e freme in
suono di pietà e di rabbia:
ira la 'nvita
e natural furore
a spiegar
l'ugne e a insanguinar le labbia;
amor la
'ntenerisce, e la ritira
a riguardare
ai figli in mezzo l'ira.
8
Cloridan, che
non sa come l'aiuti,
e ch'esser
vuole a morir seco ancora,
ma non ch'in
morte prima il viver muti,
che via non
truovi ove più d'un ne mora;
mette su
l'arco un de' suoi strali acuti,
e nascoso con
quel sì ben lavora,
che fora ad
uno Scotto le cervella,
e senza vita
il fa cader di sella.
9
Volgonsi
tutti gli altri a quella banda
ond'era
uscito il calamo omicida.
Intanto un
altro il Saracin ne manda,
perché 'l
secondo a lato al primo uccida;
che mentre in
fretta a questo e a quel domanda
chi tirato
abbia l'arco, e forte grida,
lo strale
arriva e gli passa la gola,
e gli taglia
pel mezzo la parola.
10
Or Zerbin,
ch'era il capitano loro,
non poté a
questo aver più pazienza.
Con ira e con
furor venne a Medoro,
dicendo: - Ne
farai tu penitenza. -
Stese la mano
in quella chioma d'oro,
e
strascinollo a sé con violenza:
ma come gli
occhi a quel bel volto mise,
gli ne venne
pietade, e non l'uccise.
11
Il giovinetto
si rivolse a' prieghi,
e disse: -
Cavallier, per lo tuo Dio,
non esser
sì crudel, che tu mi nieghi
ch'io
sepelisca il corpo del re mio.
Non vo'
ch'altra pietà per me ti pieghi,
né pensi che
di vita abbi disio:
ho tanta di
mia vita, e non più, cura,
quanta ch'al
mio signor dia sepultura.
12
E se pur
pascer vòi fiere ed augelli,
che 'n te il furor
sia del teban Creonte,
fa lor
convito di miei membri, e quelli
sepelir
lascia del figliuol d'Almonte. -
Così
dicea Medor con modi belli,
e con parole
atte a voltare un monte;
e sì
commosso già Zerbino avea,
che d'amor
tutto e di pietade ardea.
13
In questo
mezzo un cavallier villano,
avendo al suo
signor poco rispetto,
ferì
con una lancia sopra mano
al
supplicante il delicato petto.
Spiacque a
Zerbin l'atto crudele e strano;
tanto
più, che del colpo il giovinetto
vide cader
sì sbigottito e smorto,
che 'n tutto
giudicò che fosse morto.
14
E se ne
sdegnò in guisa e se ne dolse,
che disse: -
Invendicato già non fia! -
e pien di mal
talento si rivolse
al cavallier
che fe' l'impresa ria:
ma quel prese
vantaggio, e se gli tolse
dinanzi in un
momento, e fuggì via.
Cloridan, che
Medor vede per terra,
salta del
bosco a discoperta guerra.
15
E getta
l'arco, e tutto pien di rabbia
tra gli
nimici il ferro intorno gira,
più
per morir, che per pensier ch'egli abbia
di far
vendetta che pareggi l'ira.
Del proprio sangue
rosseggiar la sabbia
fra tante
spade, e al fin venir si mira;
e tolto che
si sente ogni potere,
si lascia a
canto al suo Medor cadere.
16
Seguon gli
Scotti ove la guida loro
per l'alta
selva alto disdegno mena,
poi che
lasciato ha l'uno e l'altro Moro,
l'un morto in
tutto, e l'altro vivo a pena.
Giacque gran
pezzo il giovine Medoro,
spicciando il
sangue da sì larga vena,
che di sua
vita al fin saria venuto,
se non
sopravenia chi gli diè aiuto.
17
Gli
sopravenne a caso una donzella,
avolta in
pastorale ed umil veste,
ma di real
presenza e in viso bella,
d'alte
maniere e accortamente oneste.
Tanto
è ch'io non ne dissi più novella,
ch'a pena
riconoscer la dovreste:
questa, se
non sapete, Angelica era,
del gran Can
del Catai la figlia altiera.
18
Poi che 'l
suo annello Angelica riebbe,
di che Brunel
l'avea tenuta priva,
in tanto
fasto, in tanto orgoglio crebbe,
ch'esser
parea di tutto 'l mondo schiva.
Se ne va
sola, e non si degnerebbe
compagno aver
qual più famoso viva:
si sdegna a
rimembrar che già suo amante
abbia Orlando
nomato, o Sacripante.
19
E sopra
ogn'altro error via più pentita
era del ben
che già a Rinaldo volse,
troppo
parendole essersi avilita,
ch'a
riguardar sì basso gli occhi volse.
Tant'arroganza
avendo Amor sentita,
più
lungamente comportar non volse:
dove giacea
Medor, si pose al varco,
e
l'aspettò, posto lo strale all'arco.
20
Quando
Angelica vide il giovinetto
languir
ferito, assai vicino a morte,
che del suo
re che giacea senza tetto,
più
che del proprio mal si dolea forte;
insolita
pietade in mezzo al petto
si
sentì entrar per disusate porte,
che le fe' il
duro cor tenero e molle,
e più,
quando il suo caso egli narrolle.
21
E rivocando
alla memoria l'arte
ch'in India
imparò già di chirugia
(che par che
questo studio in quella parte
nobile e
degno e di gran laude sia;
e senza molto
rivoltar di carte,
che 'l patre
ai figli ereditario il dia),
si dispose
operar con succo d'erbe,
ch'a
più matura vita lo riserbe.
22
E ricordossi
che passando avea
veduta
un'erba in una piaggia amena;
fosse
dittamo, o fosse panacea,
o non so
qual, di tal effetto piena,
che stagna il
sangue, e de la piaga rea
leva ogni
spasmo e perigliosa pena.
La
trovò non lontana, e quella colta,
dove lasciato
avea Medor, diè volta.
23
Nel ritornar
s'incontra in un pastore
ch'a cavallo
pel bosco ne veniva,
cercando una
iuvenca, che già fuore
duo dì
di mandra e senza guardia giva.
Seco lo
trasse ove perdea il vigore
Medor col
sangue che del petto usciva;
e già
n'avea di tanto il terren tinto,
ch'era omai
presso a rimanere estinto.
24
Del palafreno
Angelica giù scese,
e scendere il
pastor seco fece anche.
Pestò
con sassi l'erba, indi la prese,
e succo ne
cavò fra le man bianche;
ne la piaga
n'infuse, e ne distese
e pel petto e
pel ventre e fin a l'anche:
e fu di tal
virtù questo liquore,
che
stagnò il sangue, e gli tornò il vigore;
25
e gli
diè forza, che poté salire
sopra il
cavallo che 'l pastor condusse.
Non
però volse indi Medor partire
prima ch'in
terra il suo signor non fusse.
E Cloridan
col re fe' sepelire;
e poi dove a
lei piacque si ridusse.
Ed ella per
pietà ne l'umil case
del cortese
pastor seco rimase.
26
Né fin che
nol tornasse in sanitade,
volea partir:
così di lui fe' stima,
tanto se
intenerì de la pietade
che n'ebbe,
come in terra il vide prima.
Poi vistone i
costumi e la beltade,
roder si
sentì il cor d'ascosa lima;
roder si
sentì il core, e a poco a poco
tutto
infiammato d'amoroso fuoco.
27
Stava il
pastore in assai buona e bella
stanza, nel
bosco infra duo monti piatta,
con la moglie
e coi figli; ed avea quella
tutta di
nuovo e poco inanzi fatta.
Quivi a
Medoro fu per la donzella
la piaga in
breve a sanità ritratta:
ma in minor
tempo si sentì maggiore
piaga di
questa avere ella nel core.
28
Assai
più larga piaga e più profonda
nel cor
sentì da non veduto strale,
che da' begli
occhi e da la testa bionda
di Medoro
aventò l'Arcier c'ha l'ale.
Arder si
sente, e sempre il fuoco abonda;
e più
cura l'altrui che 'l proprio male:
di sé non
cura, e non è ad altro intenta,
ch'a risanar
chi lei fere e tormenta.
29
La sua piaga
più s'apre e più incrudisce,
quanto
più l'altra si ristringe e salda.
Il giovine si
sana: ella languisce
di nuova
febbre, or agghiacciata, or calda.
Di giorno in
giorno in lui beltà fiorisce:
la misera si
strugge, come falda
strugger di
nieve intempestiva suole,
ch'in loco
aprico abbia scoperta il sole.
30
Se di disio
non vuol morir, bisogna
che senza
indugio ella se stessa aiti:
e ben le par
che di quel ch'essa agogna,
non sia tempo
aspettar ch'altri la 'nviti.
Dunque, rotto
ogni freno di vergogna,
la lingua
ebbe non men che gli occhi arditi:
e di quel
colpo domandò mercede,
che, forse
non sapendo, esso le diede.
31
O conte Orlando,
o re di Circassia,
vostra
inclita virtù, dite, che giova?
Vostro alto
onor dite in che prezzo sia,
o che mercé
vostro servir ritruova.
Mostratemi
una sola cortesia
che mai
costei v'usasse, o vecchia o nuova,
per
ricompensa e guidardone e merto
di quanto
avete già per lei sofferto.
32
Oh se potessi
ritornar mai vivo,
quanto ti
parria duro, o re Agricane!
che
già mostrò costei sì averti a schivo
con repulse
crudeli ed inumane.
O
Ferraù, o mille altri ch'io non scrivo,
ch'avete
fatto mille pruove vane
per questa
ingrata, quanto aspro vi fôra,
s'a costu' in
braccio voi la vedesse ora!
33
Angelica a
Medor la prima rosa
coglier
lasciò, non ancor tocca inante:
né persona fu
mai sì aventurosa,
ch'in quel
giardin potesse por le piante.
Per adombrar,
per onestar la cosa,
si
celebrò con cerimonie sante
il
matrimonio, ch'auspice ebbe Amore,
e pronuba la
moglie del pastore.
34
Fersi le
nozze sotto all'umil tetto
le più
solenni che vi potean farsi;
e più
d'un mese poi stero a diletto
i duo tranquilli
amanti a ricrearsi.
Più
lunge non vedea del giovinetto
la donna, né
di lui potea saziarsi;
né, per mai
sempre pendergli dal collo,
il suo disir
sentia di lui satollo.
35
Se stava
all'ombra o se del tetto usciva,
avea
dì e notte il bel giovine a lato:
matino e sera
or questa or quella riva
cercando
andava, o qualche verde prato:
nel mezzo
giorno un antro li copriva,
forse non men
di quel commodo e grato,
ch'ebber,
fuggendo l'acque, Enea e Dido,
de' lor
secreti testimonio fido.
36
Fra piacer
tanti, ovunque un arbor dritto
vedesse
ombrare o fonte o rivo puro,
v'avea spillo
o coltel subito fitto;
così,
se v'era alcun sasso men duro:
ed era fuori
in mille luoghi scritto,
e così
in casa in altritanti il muro,
Angelica e
Medoro, in vari modi
legati
insieme di diversi nodi.
37
Poi che le
parve aver fatto soggiorno
quivi
più ch'a bastanza, fe' disegno
di fare in
India del Catai ritorno,
e Medor
coronar del suo bel regno.
Portava al
braccio un cerchio d'oro, adorno
di ricche
gemme, in testimonio e segno
del ben che
'l conte Orlando le volea;
e portato
gran tempo ve l'avea.
38
Quel
donò già Morgana a Ziliante,
nel tempo che
nel lago ascoso il tenne;
ed esso, poi
ch'al padre Monodante,
per opra e
per virtù d'Orlando venne,
lo diede a
Orlando: Orlando ch'era amante,
di porsi al
braccio il cerchio d'or sostenne,
avendo
disegnato di donarlo
alla regina
sua di ch'io vi parlo.
39
Non per amor
del paladino, quanto
perch'era
ricco e d'artificio egregio,
caro avuto
l'avea la donna tanto,
che
più non si può aver cosa di pregio.
Se lo
serbò ne l'Isola del pianto,
non so
già dirvi con che privilegio,
là
dove esposta al marin mostro nuda
fu da la
gente inospitale e cruda.
40
Quivi non si
trovando altra mercede
ch'al buon
pastor ed alla moglie dessi,
che serviti
gli avea con sì gran fede
dal dì
che nel suo albergo si fur messi,
levò
dal braccio il cerchio e gli lo diede,
e volse per
suo amor che lo tenessi.
Indi saliron
verso la montagna
che divide la
Francia da la Spagna.
41
Dentro a
Valenza o dentro a Barcellona
per qualche
giorno avea pensato porsi,
fin che
accadesse alcuna nave buona
che per
Levante apparecchiasse a sciorsi.
Videro il mar
scoprir sotto a Girona
ne lo smontar
giù dei montani dorsi;
e
costeggiando a man sinistra il lito,
a Barcellona
andar pel camin trito.
42
Ma non vi
giunser prima, ch'un uom pazzo
giacer
trovato in su l'estreme arene,
che, come
porco, di loto e di guazzo
tutto era
brutto e volto e petto e schene.
Costui si
scagliò lor come cagnazzo
ch'assalir
forestier subito viene;
e diè
lor noia, e fu per far lor scorno.
Ma di Marfisa
a ricontarvi torno.
43
Di Marfisa,
d'Astolfo, d' Aquilante,
di Grifone e
degli altri io vi vuo' dire,
che
travagliati, e con la morte inante,
mal si
poteano incontra il mar schermire:
che sempre
più superba e più arrogante
crescea
fortuna le minacce e l'ire;
e già
durato era tre dì lo sdegno,
né di
placarsi ancor mostrava segno.
44
Castello e
ballador spezza e fracassa
l'onda nimica
e 'l vento ognor più fiero:
se parte
ritta il verno pur ne lassa,
la taglia e
dona al mar tutta il nocchiero.
Chi sta col
capo chino in una cassa
su la carta
appuntando il suo sentiero
a lume di
lanterna piccolina,
e chi col
torchio giù ne la sentina.
45
Un sotto
poppe, un altro sotto prora
si tiene
inanzi l'oriuol da polve:
e torna a
rivedere ogni mezz'ora
quanto
è già corso, ed a che via si volve:
indi ciascun
con la sua carta fuora
a mezza nave
il suo parer risolve,
là
dove a un tempo i marinari tutti
sono a
consiglio dal padron ridutti.
46
Chi dice: -
Sopra Linmissò venuti
siamo, per
quel ch'io trovo, alle seccagne; -
chi: - Di
Tripoli appresso i sassi acuti,
dove il mar
le più volte i legni fragne; -
chi dice: -
Siamo in Satalia perduti,
per cui
più d'un nocchier sospira e piagne. -
Ciascun
secondo il parer suo argomenta,
ma tutti
ugual timor preme e sgomenta.
47
Il terzo
giorno con maggior dispetto
gli assale il
vento, e il mar più irato freme;
e l'un ne
spezza e portane il trinchetto,
e 'l timon
l'altro, e chi lo volge insieme.
Ben è
di forte e di marmoreo petto
e più
duro ch'acciar, ch'ora non teme.
Marfisa, che
già fu tanto sicura,
non
negò che quel giorno ebbe paura.
48
Al monte
Sinaì fu peregrino,
a Gallizia
promesso, a Cipro, a Roma,
al Sepolcro,
alla Vergine d'Ettino,
e se celebre
luogo altro si noma.
Sul mare
intanto, e spesso al ciel vicino
l'afflitto e
conquassato legno toma,
di cui per
men travaglio avea il padrone
fatto l'arbor
tagliar de l'artimone.
49
E colli e
casse e ciò che v'è di grave
gitta da
prora e da poppe e da sponde;
e fa tutte
sgombrar camere e giave,
e dar le
ricche merci all'avide onde.
Altri attende
alle trombe, e a tor di nave
l'acque
importune, e il mar nel mar rifonde;
soccorre
altri in sentina, ovunque appare
legno da
legno aver sdrucito il mare.
50
Stero in
questo travaglio, in questa pena
ben quattro
giorni, e non avean più schermo;
e n'avria
avuto il mar vittoria piena,
poco
più che 'l furor tenesse fermo:
ma diede
speme lor d'aria serena
la disiata
luce di santo Ermo,
ch'in prua
s'una cocchina a por si venne;
che
più non v'erano arbori né antenne.
51
Veduto
fiammeggiar la bella face,
s'inginocchiaro
tutti i naviganti,
e domandaro
il mar tranquillo e pace
con umidi
occhi e con voci tremanti.
La tempesta
crudel, che pertinace
fu sin
allora, non andò più inanti:
Maestro e
Traversia più non molesta,
e sol del mar
tiràn Libecchio resta.
52
Questo resta
sul mar tanto possente,
e da la negra
bocca in modo esala,
ed è
con lui sì il rapido corrente
de l'agitato
mar ch'in fretta cala,
che porta il
legno più velocemente,
che pelegrin
falcon mai facesse ala,
con timor del
nocchier ch'al fin del mondo
non lo
trasporti, o rompa, o cacci al fondo.
53
Rimedio a
questo il buon nocchier ritruova,
che commanda
gittar per poppa spere,
e caluma la
gomona, e fa pruova
di duo terzi
del corso ritenere.
Questo
consiglio, e più l'augurio giova
di chi avea
acceso in proda le lumiere:
questo il
legno salvò che peria forse,
e fe' ch'in
alto mar sicuro corse.
54
Nel golfo di
Laiazzo invêr Soria
sopra una
gran città si trovò sorto,
e sì
vicino al lito, che scopria
l'uno e
l'altro castel che serra il porto.
Come il
padron s'accorse de la via
che fatto
avea, ritornò in viso smorto;
che né porto
pigliar quivi volea,
né stare in
alto, né fuggir potea.
55
Né potea
stare in alto, né fuggire,
che gli
arbori e l'antenne avea perdute:
eran tavole e
travi pel ferire
del mar,
sdrucite, macere e sbattute.
E 'l pigliar
porto era un voler morire,
o perpetuo
legarsi in servitute;
che riman
serva ogni persona, o morta,
che quivi
errore o ria fortuna porta.
56
E 'l stare in
dubbio era con gran periglio
che non
salisser genti de la terra
con legni
armati, e al suo desson di piglio,
mal atto a
star sul mar, non ch'a far guerra.
Mentre il
padron non sa pigliar consiglio,
fu domandato
da quel d'Inghilterra,
chi gli tenea
sì l'animo suspeso,
e perché
già non avea il porto preso.
57
Il padron
narrò lui che quella riva
tutta tenean
le femine omicide,
di quai
l'antiqua legge ognun ch'arriva
in perpetuo
tien servo, o che l'uccide;
e questa
sorte solamente schiva
chi nel campo
dieci uomini conquide,
e poi la
notte può assaggiar nel letto
diece
donzelle con carnal diletto.
58
E se la prima
pruova gli vien fatta,
e non
fornisca la seconda poi,
egli vien
morto, e chi è con lui si tratta
da zappatore
o da guardian di buoi.
Se di far
l'uno e l'altro è persona atta,
impetra
libertade a tutti i suoi;
a sé non
già, c'ha da restar marito
di diece
donne, elette a suo appetito.
59
Non poté
udire Astolfo senza risa
de la vicina
terra il rito strano.
Sopravien
Sansonetto, e poi Marfisa,
indi
Aquilante, e seco il suo germano.
Il padron
parimente lor divisa
la causa che
dal porto il tien lontano:
- Voglio
(dicea) che inanzi il mar m'affoghi,
ch'io senta
mai di servitude i gioghi. -
60
Del parer del
padrone i marinari
e tutti gli
altri naviganti furo;
ma Marfisa e'
compagni eran contrari,
che,
più che l'acque, il lito avean sicuro.
Via
più il vedersi intorno irati i mari,
che centomila
spade, era lor duro.
Parea lor
questo e ciascun altro loco
dov'arme usar
potean, da temer poco.
61
Bramavano i
guerrier venire a proda,
ma con
maggior baldanza il duca inglese;
che sa, come
del corno il rumor s'oda,
sgombrar
d'intorno si farà il paese.
Pigliare il
porto l'una parte loda,
e l'altra il
biasma, e sono alle contese;
ma la
più forte in guisa il padron stringe,
ch'al porto,
suo malgrado, il legno spinge.
62
Già,
quando prima s'erano alla vista
de la
città crudel sul mar scoperti,
veduto aveano
una galea provista
di molta
ciurma e di nochieri esperti
venire al
dritto a ritrovar la trista
nave, confusa
di consigli incerti;
che, l'alta
prora alle sua poppe basse
legando, fuor
de l'empio mar la trasse.
63
Entrar nel
porto remorchiando, e a forza
di remi
più che per favor di vele;
però
che l'alternar di poggia e d'orza
avea levato
il vento lor crudele.
Intanto
ripigliar la dura scorza
i cavallieri
e il brando lor fedele;
ed al padrone
ed a ciascun che teme
non cessan
dar con lor conforti speme.
64
Fatto
è 'l porto a sembianza d'una luna,
e gira
più di quattro miglia intorno:
seicento
passi è in bocca, ed in ciascuna
parte una
rocca ha nel finir del corno.
Non teme
alcuno assalto di fortuna,
se non quando
gli vien dal mezzogiorno.
A guisa di
teatro se gli stende
la
città a cerco, e verso il poggio ascende.
65
Non fu quivi
sì tosto il legno sorto
(già
l'aviso era per tutta la terra),
che fur
seimila femine sul porto,
con gli archi
in mano, in abito di guerra;
e per tor de
la fuga ogni conforto,
tra l'una
rocca e l'altra il mar si serra:
da navi e da
catene fu rinchiuso,
che tenean
sempre istrutte a cotal uso.
66
Una che
d'anni alla Cumea d'Apollo
poté
uguagliarsi e alla madre d'Ettorre,
fe' chiamare
il padrone, e domandollo
se si volean
lasciar la vita torre,
o se voleano
pur al giogo il collo,
secondo la
costuma, sottoporre.
Degli dua
l'uno aveano a torre: o quivi
tutti morire,
o rimaner captivi.
67
- Gli
è ver (dicea) che s'uom si ritrovasse
tra voi
così animoso e così forte,
che contra
dieci nostri uomini osasse
prender
battaglia, e desse lor la morte,
e far con
diece femine bastasse
per una notte
ufficio di consorte;
egli si
rimarria principe nostro,
e gir voi ne
potreste al camin vostro.
68
E sarà
in vostro arbitrio il restar anco,
vogliate o
tutti o parte; ma con patto,
che chi
vorrà restare, e restar franco,
marito sia
per diece femine atto.
Ma quando il
guerrier vostro possa manco
dei dieci che
gli fian nimici a un tratto,
o la seconda
pruova non fornisca,
vogliàn
voi siate schiavi, egli perisca. -
69
Dove la
vecchia ritrovar timore
credea nei
cavallier, trovò baldanza;
che ciascun
si tenea tal feritore,
che fornir
l'uno e l'altro avea speranza:
ed a Marfisa
non mancava il core,
ben che mal
atta alla seconda danza;
ma dove non
l'aitasse la natura,
con la spada
supplir stava sicura.
70
Al padron fu
commessa la risposta,
prima
conchiusa per commun consiglio:
ch'avean chi
lor potria di sé a lor posta
ne la piazza
e nel letto far periglio.
Levan l'offese,
ed il nocchier s'accosta,
getta la fune
e le fa dar di piglio;
e fa
acconciare il ponte, onde i guerrieri
escono
armati, e tranno i lor destrieri.
71
E quindi van
per mezzo la cittade,
e vi
ritruovan le donzelle altiere,
succinte
cavalcar per le contrade,
ed in piazza
armeggiar come guerriere.
Né calciar
quivi spron, né cinger spade,
né cosa
d'arme puoi gli uomini avere,
se non dieci
alla volta, per rispetto
de l'antiqua
costuma ch'io v'ho detto.
72
Tutti gli
altri alla spola, all'aco, al fuso,
al pettine ed
all'aspo sono intenti,
con vesti
feminil che vanno giuso
insin al
piè, che gli fa molli e lenti.
Si tengono in
catena alcuni ad uso
d'arar la
terra o di guardar gli armenti.
Son pochi i
maschi, e non son ben, per mille
femine,
cento, fra cittadi e ville.
73
Volendo tôrre
i cavallieri a sorte
chi di lor
debba, per commune scampo
l'una decina
in piazza porre a morte,
e poi l'altra
ferir ne l'altro campo;
non
disegnavan di Marfisa forte,
stimando che
trovar dovesse inciampo
ne la seconda
giostra de la sera,
ch'ad averne
vittoria abil non era.
74
Ma con gli
altri esser volse ella sortita:
or sopra lei
la sorte in somma cade.
Ella dicea: -
Prima v'ho a por la vita,
che v'abbiate
a por voi la libertade;
ma questa
spada (e lor la spada addita,
che cinta
avea) vi do per securtade
ch'io vi
sciorrò tutti gl'intrichi al modo
che fe'
Alessandro il gordiano nodo.
75
Non vuo' mai
più che forestier si lagni
di questa
terra, fin che 'l mondo dura. -
Così
disse; e non potero i compagni
torle quel
che le dava sua aventura.
Dunque, o
ch'in tutto perda, o lor guadagni
la
libertà, le lasciano la cura.
Ella di
piastre già guernita e maglia,
s'appresentò
nel campo alla battaglia.
76
Gira una
piazza al sommo de la terra,
di gradi a
seder atti intorno chiusa;
che solamente
a giostre, a simil guerra,
a cacce, a
lotte, e non ad altro s'usa:
quattro porte
ha di bronzo, onde si serra.
Quivi la
moltitudine confusa
de l'armigere
femine si trasse;
e poi fu
detto a Marfisa ch'entrasse.
77
Entrò
Marfisa s'un destrier leardo,
tutto sparso
di macchie e di rotelle,
di piccol
capo e d'animoso sguardo,
d'andar
superbo e di fattezze belle.
Pel maggiore
e più vago e più gagliardo,
di mille che
n'avea con briglie e selle,
scelse in
Damasco, e realmente ornollo,
ed a Marfisa
Norandin donollo.
78
Da
mezzogiorno e da la porta d'austro
entrò
Marfisa; e non vi stette guari,
ch'appropinquare
e risonar pel claustro
udì di
trombe acuti suoni e chiari:
e vide poi di
verso il freddo plaustro
entrar nel
campo i dieci suoi contrari.
Il primo
cavallier ch'apparve inante,
di valer
tutto il resto avea sembiante.
79
Quel venne in
piazza sopra un gran destriero,
che, fuor
ch'in fronte e nel piè dietro manco,
era,
più che mai corbo, oscuro e nero:
nel
piè e nel capo avea alcun pelo bianco.
Del color del
cavallo il cavalliero
vestito,
volea dir che, come manco
del chiaro
era l'oscuro, era altretanto
il riso in
lui verso l'oscuro pianto.
80
Dato che fu
de la battaglia il segno,
nove guerrier
l'aste chinaro a un tratto:
ma quel dal
nero ebbe il vantaggio a sdegno;
si
ritirò, né di giostrar fece atto.
Vuol ch'alle
leggi inanzi di quel regno,
ch'alla sua
cortesia, sia contrafatto.
Si tra' da
parte e sta a veder le pruove
ch'una sola
asta farà contra a nove.
81
Il destrier,
ch'avea andar trito e soave,
portò
all'incontro la donzella in fretta,
che nel corso
arrestò lancia sì grave,
che quattro
uomini avriano a pena retta.
L'avea pur
dianzi al dismontar di nave
per la
più salda in molte antenne eletta.
Il fier
sembiante con ch'ella si mosse,
mille facce
imbiancò, mille cor scosse.
82
Aperse al
primo che trovò sì il petto,
che fôra
assai che fosse stato nudo:
gli
passò la corazza e il soprapetto,
ma prima un
ben ferrato e grosso scudo.
Dietro le
spalle un braccio il ferro netto
si vide
uscir: tanto fu il colpo crudo.
Quel fitto ne
la lancia a dietro lassa,
e sopra gli
altri a tutta briglia passa.
83
E diede
d'urto a chi venìa secondo,
ed a chi
terzo sì terribil botta,
che rotto ne
la schiena uscir del mondo
fe' l'uno e
l'altro, e de la sella a un'otta;
sì
duro fu l'incontro e di tal pondo,
sì
stretta insieme ne venìa la frotta.
Ho veduto
bombarde a quella guisa
le squadre
aprir, che fe' lo stuol Marfisa.
84
Sopra di lei
più lance rotte furo;
ma tanto a
quelli colpi ella si mosse,
quanto nel
giuoco de le cacce un muro
si muova a'
colpi de le palle grosse.
L'usbergo suo
di tempra era sì duro,
che non gli
potean contra le percosse;
e per incanto
al fuoco de l'Inferno
cotto, e
temprato all'acque fu d'Averno.
85
Al fin del
campo il destrier tenne e volse,
e
fermò alquanto: e in fretta poi lo spinse
incontra gli
altri, e sbarragliolli e sciolse,
e di lor
sangue insin all'elsa tinse.
All'uno il
capo, all'altro il braccio tolse;
e un altro in
guisa con la spada cinse,
che 'l petto
in terra andò col capo ed ambe
le braccia, e
in sella il ventre era e le gambe.
86
Lo
partì, dico, per dritta misura,
de le coste e
de l'anche alle confine,
e lo fe'
rimaner mezza figura,
qual dinanzi
all'imagini divine,
poste
d'argento, e più di cera pura
son da genti
lontane e da vicine,
ch'a
ringraziarle e sciorre il voto vanno
de le domande
pie ch'ottenute hanno.
87
Ad uno che
fuggia, dietro si mise,
né fu a mezzo
la piazza, che lo giunse;
e 'l capo e
'l collo in modo gli divise,
che medico
mai più non lo raggiunse.
In somma
tutti un dopo l'altro uccise,
o ferì
sì ch'ogni vigor n'emunse;
e fu sicura
che levar di terra
mai
più non si potrian per farle guerra.
88
Stato era il
cavallier sempre in un canto,
che la decina
in piazza avea condutta;
però
che contra un solo andar con tanto
vantaggio
opra gli parve iniqua e brutta.
Or che per
una man torsi da canto
vide
sì tosto la compagna tutta,
per dimostrar
che la tardanza fosse
cortesia
stata e non timor, si mosse.
89
Con man fe'
cenno di volere, inanti
che facesse
altro, alcuna cosa dire;
e non
pensando in sì viril sembianti
che s'avesse
una vergine a coprire,
le disse; -
Cavalliero, omai di tanti
esser déi
stanco, c'hai fatto morire;
e s'io
volessi, più di quel che sei,
stancarti
ancor, discortesia farei.
90
Che ti
risposi in sino al giorno nuovo,
e doman torni
in campo, ti concedo.
Non mi fia
onor se teco oggi mi pruovo,
che
travagliato e lasso esser ti credo. -
- Il
travagliare in arme non m'è nuovo,
né per
sì poco alla fatica cedo
(disse
Marfisa); e spero ch'a tuo costo
io ti
farò di questo aveder tosto.
91
De la cortese
offerta ti ringrazio,
ma riposare
ancor non mi bisogna;
e ci avanza
del giorno tanto spazio,
ch'a porlo
tutto in ozio è pur vergogna. -
Rispose il
cavallier: - Fuss'io sì sazio
d'ogn'altra
cosa che 'l mio core agogna,
come t'ho in
questo da saziar; ma vedi
che non ti
manchi il dì più che non credi. -
92
Così disse
egli, e fe' portare in fretta
due grosse
lance, anzi due gravi antenne;
ed a Marfisa
dar ne fe' l'eletta:
tolse l'altra
per sé, ch'indietro venne.
Già
sono in punto, ed altro non s'aspetta
ch'un alto
suon che lor la giostra accenne.
Ecco la terra
e l'aria e il mar rimbomba
nel mover
loro al primo suon di tromba.
93
Trar fiato,
bocca aprir, o battere occhi
non si vedea
de' riguardanti alcuno:
tanto a
mirare a chi la palma tocchi
dei duo
campioni, intento era ciascuno.
Marfisa,
acciò che de l'arcion trabocchi,
sì che
mai non si levi, il guerrier bruno,
drizza la
lancia; e il guerrier bruno forte
studia non
men di por Marfisa a morte.
94
Le lance ambe
di secco e suttil salce,
non di cerro
sembrar grosso ed acerbo,
così
n'andaro in tronchi fin al calce;
e l'incontro
ai destrier fu sì superbo,
che parimente
parve da una falce
de le gambe
esser lor tronco ogni nerbo.
Cadero ambi
ugualmente; ma i campioni
fur presti a
disbrigarsi dagli arcioni.
95
A mille
cavallieri alla sua vita
al primo
incontro avea la sella tolta
Marfisa, ed
ella mai non n'era uscita;
e
n'uscì, come udite, a questa volta.
Del caso
strano non pur sbigottita,
ma quasi fu
per rimanerne stolta.
Parve anco
strano al cavallier dal nero,
che non solea
cader già di leggiero.
96
Tocca avean
nel cader la terra a pena,
che furo in
piedi e rinovar l'assalto.
Tagli e punte
a furor quivi si mena,
quivi ripara
or scudo, or lama, or salto.
Vada la botta
vota o vada piena,
l'aria ne
stride e ne risuona in alto.
Quelli elmi,
quelli usberghi, quelli scudi
mostrar
ch'erano saldi più ch'incudi.
97
Se de l'aspra
donzella il braccio è grave,
né quel del
cavallier nimico è lieve.
Ben la misura
ugual l'un da l'altro have:
quanto a
punto l'un dà, tanto riceve.
Chi vol due
fiere audaci anime brave,
cercar
più là di queste due non deve,
né cercar
più destrezza né più possa;
che n'han tra
lor quanto più aver si possa.
98
Le donne, che
gran pezzo mirato hanno
continuar
tante percosse orrende,
e che nei
cavallier segno d'affanno
e di
stanchezza ancor non si comprende;
dei duo
miglior guerrier lode lor danno,
che sien tra
quanto il mar sua braccia estende.
Par lor che,
se non fosser più che forti,
esser dovrian
sol del travaglio morti.
99
Ragionando
tra sé, dicea Marfisa:
- Buon fu per
me, che costui non si mosse;
ch'andava a
risco di restarne uccisa,
se dianzi
stato coi compagni fosse,
quando io mi
truovo a pena a questa guisa
di potergli
star contra alle percosse. -
Così
dice Marfisa; e tuttavolta
non resta di
menar la spada in volta.
100
- Buon fu per
me (dicea quell'altro ancora),
che riposar
costui non ho lasciato.
Difender me
ne posso a fatica ora
che de la
prima pugna è travagliato.
Se fin al
nuovo dì facea dimora
a ripigliar
vigor, che saria stato?
Ventura ebbi
io, quanto più possa aversi,
che non
volesse tor quel ch'io gli offersi. -
101
La battaglia
durò fin alla sera,
né chi avesse
anco il meglio era palese;
né l'un né
l'altro più senza lumiera
saputo avria
come schivar l'offese.
Giunta la
notte, all'inclita guerriera
fu primo a dir
il cavallier cortese:
- Che faren,
poi che con ugual fortuna
n'ha
sopragiunti la notte importuna?
102
Meglio mi par
che 'l viver tuo prolunghi
almeno insino
a tanto che s'aggiorni.
Io non posso
concederti che aggiunghi
fuor ch'una
notte picciola ai tua giorni.
E di
ciò che non gli abbi aver più lunghi,
la colpa
sopra me non vuo' che torni:
torni pur
sopra alla spietata legge
del sesso
feminil che 'l loco regge.
103
Se di te
duolmi e di quest'altri tuoi,
lo sa colui
che nulla cosa ha oscura.
Con tuoi
compagni star meco tu puoi:
con altri non
avrai stanza sicura;
perché la
turba, a cu' i mariti suoi
oggi uccisi
hai, già contra te congiura.
Ciascun di
questi a cui dato hai la morte,
era di diece
femine consorte.
104
Del danno
c'han da te ricevut'oggi,
disian
novanta femine vendetta:
sì che
se meco ad albergar non poggi,
questa notte
assalito esser t'aspetta. -
Disse
Marfisa: - Accetto che m'alloggi,
con
sicurtà che non sia men perfetta
in te la fede
e la bontà del core,
che sia
l'ardire e il corporal valore.
105
Ma che
t'incresca che m'abbi ad uccidere,
ben ti
può increscere anco del contrario.
Fin qui non
credo che l'abbi da ridere,
perch'io sia
men di te duro avversario.
O la pugna
seguir vogli o dividere,
o farla
all'uno o all'altro luminario,
ad ogni cenno
pronta tu m'avrai,
e come ed
ogni volta che vorrai. -
106
Così
fu differita la tenzone
fin che di
Gange uscisse il nuovo albore,
e si
restò senza conclusione
chi d'essi
duo guerrier fosse il migliore.
Ad Aquilante
venne ed a Grifone
e così
agli altri il liberal signore,
e li
pregò che fin al nuovo giorno
piacesse lor
di far seco soggiorno.
107
Tenner lo
'nvito senza alcun sospetto:
indi, a
splendor de bianchi torchi ardenti,
tutti saliro
ov'era un real tetto,
distinto in
molti adorni alloggiamenti.
Stupefatti al
levarsi de l'elmetto,
mirandosi,
restaro i combattenti;
che 'l
cavallier, per quanto apparea fuora,
non eccedeva
i diciotto anni ancora.
108
Si maraviglia
la donzella, come
in arme tanto
un giovinetto vaglia;
si maraviglia
l'altro, ch'alle chiome
s'avede con
chi avea fatto battaglia:
e si domandan
l'un con l'altro il nome,
e tal debito
tosto si ragguaglia.
Ma come si
nomasse il giovinetto,
ne l'altro
canto ad ascoltar v'aspetto.
1
Le donne
antique hanno mirabil cose
fatto ne
l'arme e ne le sacre muse;
e di lor opre
belle e gloriose
Gran lume in
tutto il mondo si diffuse.
Arpalice e
Camilla son famose,
perché in
battaglia erano esperte ed use;
Safo e
Corinna, perché furon dotte,
splendono
illustri, e mai non veggon notte.
2
Le donne son
venute in eccellenza
Di
ciascun'arte ove hanno posto cura;
e qualunque
all'istorie abbia avvertenza,
ne sente
ancor la fama non oscura.
Se 'l mondo
n'è gran tempo stato senza,
non
però sempre il mal influsso dura;
e forse
ascosi han lor debiti onori
l'invidia o
il non saper degli scrittori.
3
Ben mi par di
veder ch'al secol nostro
tanta
virtù fra belle donne emerga,
che
può dare opra a carte ed ad inchiostro,
perché nei
futuri anni si disperga,
e perché,
odiose lingue, il mal dir vostro
con vostra
eterna infamia si sommerga:
e le lor lode
appariranno in guisa,
che di gran
lunga avanzeran Marfisa.
4
Or pur
tornando a lei, questa donzella
al cavallier
che l'usò cortesia,
de l'esser
suo non niega dar novella,
quando esso a
lei voglia contar chi sia.
Sbrigossi
tosto del suo debito ella:
tanto il nome
di lui saper disia.
- Io son
(disse) Marfisa: - e fu assai questo;
che si sapea
per tutto 'l mondo il resto.
5
L'altro
comincia, poi che tocca a lui,
con
più proemio a darle di sé conto,
dicendo: - Io
credo che ciascun di vui
abbia de la
mia stirpe il nome in pronto;
che non pur
Francia e Spagna e i vicin sui,
ma l'India,
l'Etiopia e il freddo Ponto
han chiara
cognizion di Chiaramonte,
onde
uscì il cavallier ch'uccise Almonte,
6
quel ch'a
Chiariello e al re Mambrino
diede la
morte, e il regno lor disfece.
Di questo
sangue, dove ne l'Eusino
l'Istro ne
vien con otto corna o diece,
al duca
Amone, il qual già peregrino
vi
capitò, la madre mia mi fece:
e l'anno
è ormai ch'io la lasciai dolente,
per gire in
Francia a ritrovar mia gente.
7
Ma non potei
finire il mio viaggio,
che qua mi
spinse un tempestoso Noto.
Son dieci
mesi o più che stanza v'aggio,
che tutti i
giorni e tutte l'ore noto.
Nominato son
io Guidon Selvaggio,
di poca
pruova ancora e poco noto.
Uccisi qui
Argilon da Melibea
con dieci
cavallier che seco avea.
8
Feci la
pruova ancor de le donzelle:
così
n'ho diece a' miei piaceri allato;
ed alla
scelta mia son le più belle,
e son le
più gentil di questo stato.
E queste
reggo e tutte l'altre; ch'elle
di sé m'hanno
governo e scettro dato:
così
daranno a qualunque altro arrida
Fortuna
sì, che la decina ancida. -
9
I cavallier
domandano a Guidone,
com'ha
sì pochi maschi il tenitoro;
e s'alle
moglie hanno suggezione,
come esse
l'han negli altri lochi a loro.
Disse Guidon:
- Più volte la cagione
udita n'ho da
poi che qui dimoro;
e vi
sarà, secondo ch'io l'ho udita,
da me, poi
che v'aggrada, riferita.
10
Al tempo che
tornar dopo anni venti
da Troia i
Greci (che durò l'assedio
dieci, e
dieci altri da contrari venti
furo agitati
in mar con troppo tedio),
trovar che le
lor donne agli tormenti
di tanta
assenza avean preso rimedio:
tutte s'avean
gioveni amanti eletti,
per non si
raffreddar sole nei letti.
11
Le case lor
trovaro i Greci piene
de l'altrui
figli; e per parer commune
perdonano
alle mogli, che san bene
che tanto non
potean viver digiune:
ma ai figli
degli adulteri conviene
altrove
procacciarsi altre fortune;
che tolerar
non vogliono i mariti
che
più alle spese lor sieno notriti.
12
Sono altri
esposti, altri tenuti occulti
da le lor
madri e sostenuti in vita.
In vane
squadre quei ch'erano adulti
feron, chi
qua chi là, tutti partita.
Per altri
l'arme son, per altri culti
gli studi e
l'arti; altri la terra trita;
serve altri
in corte; altri è guardian di gregge,
come piace a
colei che qua giù regge.
13
Partì
fra gli altri un giovinetto, figlio
di
Clitemnestra, la crudel regina,
di diciotto
anni, fresco come un giglio,
o rosa colta
allor di su la spina.
Questi,
armato un suo legno, a dar di piglio
si pose e a
depredar per la marina
in compagnia
di cento giovinetti
del tempo
suo, per tutta Grecia eletti.
14
I Cretesi, in
quel tempo che cacciato
il crudo
Idomeneo del regno aveano,
e per
assicurarsi il nuovo stato,
d'uomini e
d'arme adunazion faceano;
fero con bon
stipendio lor soldato
Falanto
(così al giovine diceano),
e lui con
tutti quei che seco avea,
poser per
guardia alla città Dictea.
15
Fra cento
alme città ch'erano in Creta,
Dictea
più ricca e più piacevol era,
di belle
donne ed amorose lieta,
lieta di
giochi da matino a sera:
e com'era
ogni tempo consueta
d'accarezzar
la gente forestiera,
fe' a costor
sì, che molto non rimase
a fargli anco
signor de le lor case.
16
Eran gioveni
tutti e belli affatto
(che 'l fior
di Grecia avea Falanto eletto):
sì
ch'alle belle donne, al primo tratto
che
v'apparir, trassero i cor del petto.
Poi che non
men che belli, ancora in fatto
si dimostrar
buoni e gagliardi al letto,
si fero ad
esse in pochi dì sì grati,
che sopra
ogn'altro ben n'erano amati.
17
Finita che
d'accordo è poi la guerra
per cui stato
Falanto era condutto,
e lo
stipendio militar si serra,
sì che
non v'hanno i gioveni più frutto,
e per questo
lasciar voglion la terra;
fan le donne
di Creta maggior lutto,
e per
ciò versan più dirotti pianti,
che se i lor
padri avesson morti avanti.
18
Da le lor
donne i gioveni assai foro,
ciascun per
sé, di rimaner pregati:
né volendo
restare, esse con loro
n'andar,
lasciando e padri e figli e frati,
di ricche
gemme e di gran summa d'oro
avendo i lor
dimestici spogliati;
che la
pratica fu tanto secreta,
che non
sentì la fuga uomo di Creta.
19
Sì fu
propizio il vento, sì fu l'ora
commoda, che
Falanto a fuggir colse,
che molte
miglia erano usciti fuora,
quando del
danno suo Creta si dolse.
Poi questa
spiaggia, inabitata allora,
trascorsi per
fortuna li raccolse.
Qui si
posaro, e qui sicuri tutti
meglio del
furto lor videro i frutti.
20
Questa lor fu
per dieci giorni stanza
di piaceri
amorosi tutta piena.
Ma come
spesso avvien, che l'abondanza
seco in cor
giovenil fastidio mena,
tutti
d'accordo fur di restar sanza
femine, e
liberarsi di tal pena;
che non
è soma da portar sì grave,
come aver
donna, quando a noia s'have.
21
Essi che di
guadagno e di rapine
eran bramosi,
e di dispendio parchi,
vider ch'a
pascer tante concubine,
d'altro che
d'aste avean bisogno e d'archi:
sì che
sole lasciar qui le meschine,
e se n'andar
di lor ricchezze carchi
là
dove in Puglia in ripa al mar poi sento
ch'edificar
la terra di Tarento.
22
Le donne, che
si videro tradite
dai loro
amanti in che più fede aveano,
restar per
alcun dì sì sbigottite,
che statue
immote in lito al mar pareano.
Visto poi che
da gridi e da infinite
lacrime alcun
profitto non traeano,
a pensar
cominciaro e ad aver cura
come aiutarsi
in tanta lor sciagura.
23
E proponendo
in mezzo i lor pareri,
altre
diceano: in Creta è da tornarsi;
e più
tosto all'arbitrio de' severi
padri e
d'offesi lor mariti darsi,
che nei
deserti liti e boschi fieri,
di disagio e
di fame consumarsi.
Altre dicean
che lor saria più onesto
affogarsi nel
mar, che mai far questo;
24
e che manco
mal era meretrici
andar pel
mondo, andar mendiche o schiave,
che se stesse
offerire agli supplici
di ch'eran
degne l'opere lor prave.
Questi e
simil partiti le infelici
si proponean,
ciascun più duro e grave.
Tra loro al
fine una Orontea levosse,
ch'origine
traea dal re Minosse;
25
la più
gioven de l'artre e la più bella
e la
più accorta, e ch'avea meno errato:
amato avea
Falanto, e a lui pulzella
datasi, e per
lui il padre avea lasciato.
Costei
mostrando in viso ed in favella
il magnanimo
cor d'ira infiammato,
redarguendo
di tutte altre il detto,
suo parer
disse, e fe' seguirne effetto.
26
Di questa
terra a lei non parve torsi,
che conobbe
feconda e d'aria sana,
e di limpidi
fiumi aver discorsi,
di selve
opaca, e la più parte piana;
con porti e
foci, ove dal mar ricorsi
per ria
fortuna avea la gente estrana,
ch'or
d'Africa portava, ora d'Egitto
cose diverse
e necessarie al vitto.
27
Qui parve a
lei fermarsi, e far vendetta
del viril
sesso che le avea sì offese:
vuol ch'ogni
nave, che da venti astretta
a pigliar
venga porto in suo paese,
a sacco, a
sangue, a fuoco al fin si metta;
né de la vita
a un sol si sia cortese.
Così
fu detto e così fu concluso,
e fu fatta la
legge e messa in uso.
28
Come turbar
l'aria sentiano, armate
le femine
correan su la marina,
da
l'implacabile Orontea guidate,
che
diè lor legge e si fe' lor regina:
e de le navi
ai liti lor cacciate
faceano
incendi orribili e rapina,
uom non
lasciando vivo, che novella
dar ne
potesse o in questa parte o in quella.
29
Così
solinghe vissero qualch'anno
aspre nimiche
del sesso virile:
ma conobbero
poi, che 'l proprio danno
procaccierian,
se non mutavan stile;
che se di lor
propagine non fanno,
sarà
lor legge in breve irrita e vile,
e
mancherà con l'infecondo regno,
dove di farla
eterna era il disegno.
30
Sì
che, temprando il suo rigore un poco
scelsero, in
spazio di quattro anni interi,
di quanti
capitaro in questo loco
dieci belli e
gagliardi cavallieri,
che per durar
ne l'amoroso gioco
contr'esse
cento fosser buon guerrieri.
Esse in tutto
eran cento; e statuito
ad ogni lor
decina fu un marito.
31
Prima ne fur
decapitati molti
che riusciro
al paragon mal forti.
Or questi
dieci a buona pruova tolti,
del letto e
del governo ebbon consorti;
facendo lor
giurar che, se più colti
altri uomini
verriano in questi porti,
essi sarian
che, spenta ogni pietade,
li porriano
ugualmente a fil di spade.
32
Ad
ingrossare, ed a figliar appresso
le donne,
indi a temere incominciaro
che tanti
nascerian del viril sesso,
che contra
lor non avrian poi riparo;
e al fine in
man degli uomini rimesso
saria il
governo ch'elle avean sì caro:
sì
ch'ordinar, mentre eran gli anni imbelli,
far
sì, che mai non fosson lor ribelli.
33
Acciò
il sesso viril non le soggioghi,
uno ogni
madre vuol la legge orrenda,
che tenga
seco; gli altri, o li suffoghi,
o fuor del
regno li permuti o venda.
Ne mandano per
questo in vari luoghi:
e a chi gli
porta dicono che prenda
femine, se a
baratto aver ne puote;
se non, non
torni almen con le man vote.
34
Né uno ancora
alleverian, se senza
potesson
fare, e mantenere il gregge.
Questa
è quanta pietà, quanta clemenza
più ai
suoi ch'agli altri usa l'iniqua legge:
gli altri
condannan con ugual sentenza;
e solamente
in questo si corregge,
che non vuol
che, secondo il primiero uso,
le femine gli
uccidano in confuso.
35
Se dieci o
venti o più persone a un tratto
vi fosser
giunte, in carcere eran messe:
e d'una al
giorno, e non di più, era tratto
il capo a
sorte, che perir dovesse
nel tempio
orrendo ch'Orontea avea fatto,
dove un
altare alla Vendetta eresse;
e dato all'un
de' dieci il crudo ufficio
per sorte era
di farne sacrificio.
36
Dopo
molt'anni alle ripe omicide
a dar venne
di capo un giovinetto,
la cui stirpe
scendea dal buono Alcide,
di gran valor
ne l'arme, Elbanio detto.
Qui preso fu,
ch'a pena se n'avide,
come quel che
venìa senza sospetto;
e con gran guardia
in stretta parte chiuso,
con gli altri
era serbato al crudel uso.
37
Di viso era
costui bello e giocondo,
e di maniere
e di costumi ornato,
e di parlar
sì dolce e sì facondo,
ch'un aspe
volentier l'avria ascoltato:
sì
che, come di cosa rara al mondo,
de l'esser
suo fu tosto rapportato
ad Alessandra
figlia d'Orontea,
che di
molt'anni grave anco vivea.
38
Orontea vivea
ancora; e già mancate
tutt'eran
l'altre ch'abitar qui prima:
e diece tante
e più n'erano nate,
e in forza
eran cresciute e in maggior stima;
né tra diece
fucine che serrate
stavan pur
spesso, avean più d'una lima;
e dieci
cavallieri anco avean cura
di dare a chi
venìa fiera aventura.
39
Alessandra,
bramosa di vedere
il giovinetto
ch'avea tante lode,
da la sua
matre in singular piacere
impetra
sì, ch'Elbanio vede ed ode;
e quando vuol
partirne, rimanere
si sente il
core ove è chi'l punge e rode:
legar si
sente e non sa far contesa,
e al fin dal
suo prigion si trova presa.
40
Elbanio disse
a lei: - Se di pietade
s'avesse,
donna, qui notizia ancora,
come se n'ha
per tutt'altre contrade,
dovunque il
vago sol luce e colora;
io vi osarei,
per vostr'alma beltade
ch'ogn'animo
gentil di sé inamora,
chiedervi in
don la vita mia, che poi
saria ognor
presto a spenderla per voi.
41
Or quando
fuor d'ogni ragion qui sono
privi
d'umanitade i cori umani,
non vi
domanderò la vita in dono,
che i prieghi
miei so ben che sarian vani;
ma che da
cavalliero, o tristo o buono
ch'io sia,
possi morir con l'arme in mani,
e non come
dannato per giudicio,
o come animal
bruto in sacrificio. -
42
Alessandra
gentil, ch'umidi avea,
per la
pietà del giovinetto, i rai,
rispose: -
Ancor che più crudele e rea
sia questa
terra, ch'altra fosse mai;
non concedo
però che qui Medea
ogni femina
sia, come tu fai:
e quando
ogn'altra così fosse ancora,
me sola di
tant'altre io vo' trar fuora.
43
E se ben per
adietro io fossi stata
empia e
crudel, come qui sono tante,
dir posso che
suggetto ove mostrata
per me fosse
pietà, non ebbi avante.
Ma ben sarei
di tigre più arrabbiata,
e più
duro avre' il cor che di diamante,
se non
m'avesse tolto ogni durezza
tua
beltà, tuo valor, tua gentilezza.
44
Così
non fosse la legge più forte,
che contra i
peregrini è statuita,
come io non
schiverei con la mia morte
di ricomprar
la tua più degna vita.
Ma non
è grado qui di sì gran sorte,
che ti
potesse dar libera aita;
e quel che
chiedi ancor, ben che sia poco,
difficile
ottener fia in questo loco.
45
Pur io
vedrò di far che tu l'ottenga,
ch'abbi
inanzi al morir questo contento;
ma mi dubito
ben che te n'avenga,
tenendo il
morir lungo, più tormento. -
Suggiunse
Elbanio: - Quando incontra io venga
a dieci
armato, di tal cor mi sento,
che la vita
ho speranza di salvarme,
e uccider lor,
se tutti fosser arme. -
46
Alessandra a
quel detto non rispose
se non un
gran sospiro, e dipartisse,
e
portò nel partir mille amorose
punte nel
cor, mai non sanabil, fisse.
Venne alla
madre, e voluntà le pose
di non
lasciar che 'l cavallier morisse,
quando si
dimostrasse così forte,
che, solo,
avesse posto i dieci a morte.
47
La regina
Orontea fece raccorre
il suo
consiglio, e disse: - A noi conviene
sempre il
miglior che ritroviamo, porre
a guardar
nostri porti e nostre arene;
e per saper
chi ben lasciar, chi torre,
prova
è sempre da far quando gli avviene;
per non patir
con nostro danno a torto,
che regni il
vile, e chi ha valor sia morto.
48
A me par, se
a voi par, che statuito
sia, ch'ogni
cavallier per lo avvenire,
che fortuna
abbia tratto al nostro lito,
prima ch'al
tempio si faccia morire,
possa egli
sol, se gli piace il partito,
incontra i
dieci alla battaglia uscire;
e se di tutti
vincerli è possente,
guardi egli
il porto, e seco abbia altra gente.
49
Parlo
così, perché abbian qui un prigione
che par che
vincer dieci s'offerisca.
Quando, sol,
vaglia tante altre persone,
dignissimo
è, per Dio, che s'esaudisca.
Così
in contrario avrà punizione,
quando
vaneggi e temerario ardisca. -
Orontea fine
al suo parlar qui pose,
a cui de le
più antique una rispose:
50
- La
principal cagion ch'a far disegno
sul comercio
degli uomini ci mosse,
non fu
perch'a difender questo regno
del loro
aiuto alcun bisogno fosse;
che per far
questo abbiamo ardire e ingegno
da noi
medesme, e a sufficienza posse:
così
senza sapessimo far anco,
che non
venisse il propagarci a manco!
51
Ma poi che
senza lor questo non lece,
tolti
abbiàn, ma non tanti, in compagnia,
che mai ne
sia più d'uno incontra diece,
sì
ch'aver di noi possa signoria.
Per conciper
di lor questo si fece,
non che di
lor difesa uopo ci sia.
La lor
prodezza sol ne vaglia in questo,
e sieno
ignavi e inutili nel resto.
52
Tra noi
tenere un uom che sia sì forte,
contrario
è in tutto al principal disegno.
Se può
un solo a dieci uomini dar morte,
quante donne
farà stare egli al segno?
Se i dieci
nostri fosser di tal sorte,
il primo
dì n'avrebbon tolto il regno.
Non è
la via di dominar, se vuoi
por l'arme in
mano a chi può più di noi.
53
Pon mente
ancor, che quando così aiti
Fortuna
questo tuo, che i dieci uccida,
di cento
donne che de' lor mariti
rimarran
prive, sentirai le grida.
Se vuol
campar, proponga altri partiti,
ch'esser di
dieci gioveni omicida.
Pur, se per
far con cento donne è buono
quel che
dieci fariano, abbi perdono. -
54
Fu d'Artemia
crudel questo il parere
(così
avea nome), e non mancò per lei
di far nel
tempio Elbanio rimanere
scannato
inanzi agli spietati dèi.
Ma la madre
Orontea che compiacere
volse alla
figlia, replicò a colei
altre ed
altre ragioni, e modo tenne
che nel
senato il suo parer s'ottenne.
55
L'aver
Elbanio di bellezza il vanto
sopra ogni
cavallier che fosse al mondo,
fu nei cor de
le giovani di tanto,
ch'erano in
quel consiglio, e di tal pondo,
che 'l parer
de le vecchie andò da canto,
che con
Artemia volean far secondo
l'ordine
antiquo; né lontan fu molto
ad esser per
favore Elbanio assolto.
56
Di
perdonargli in somma fu concluso,
ma poi che la
decina avesse spento,
e che ne
l'altro assalto fosse ad uso
di diece
donne buono, e non di cento.
Di carcer
l'altro giorno fu dischiuso;
e avuto arme
e cavallo a suo talento,
contra dieci
guerrier, solo, si mise,
e l'uno
appresso all'altro in piazza uccise.
57
Fu la notte
seguente a prova messo
contra diece
donzelle ignudo e solo,
dove ebbe
all'ardir suo sì buon successo,
che fece il
saggio di tutto lo stuolo.
E questo gli
acquistò tal grazia appresso
ad Orontea,
che l'ebbe per figliuolo;
e gli diede
Alessandra e l'altre nove
con ch'avea
fatto le notturne prove.
58
E lo
lasciò con Alessandra bella,
che poi
diè nome a questa terra, erede,
con patto,
ch'a servare egli abbia quella
legge, ed
ogn'altro che da lui succede:
che ciascun
che già mai sua fiera stella
farà
qui por lo sventurato piede,
elegger
possa, o in sacrificio darsi,
o con dieci
guerrier, solo, provarsi.
59
E se gli
avvien che 'l dì gli uomini uccida,
la notte con
le femine si provi;
e quando in
questo ancor tanto gli arrida
la sorte sua,
che vincitor si trovi,
sia del
femineo stuol principe e guida,
e la decina a
scelta sua rinovi,
con la qual
regni, fin ch'un altro arrivi,
che sia
più forte, e lui di vita privi.
60
Appresso a
duamila anni il costume empio
si è
mantenuto, e si mantiene ancora;
e sono pochi
giorni che nel tempio
uno infelice
peregrin non mora.
Se contra
dieci alcun chiede, ad esempio
d'Elbanio,
armarsi (che ve n'è talora),
spesso la
vita al primo assalto lassa;
né di mille
uno all'altra prova passa.
61
Pur ci
passano alcuni, ma sì rari,
che su le
dita annoverar si ponno.
Uno di questi
fu Argilon: ma guari
con la decina
sua non fu qui donno;
che
cacciandomi qui venti contrari,
gli occhi gli
chiusi in sempiterno sonno.
Così
fossi io con lui morto quel giorno,
prima che
viver servo in tanto scorno.
62
che piaceri
amorosi e riso e gioco,
che suole
amar ciascun de la mia etade,
le purpure e
le gemme e l'aver loco
inanzi agli
altri ne la sua cittade,
potuto hanno,
per Dio, mai giovar poco
all'uom che
privo sia di libertade:
e 'l non
poter mai più di qui levarmi,
servitù
grave e intolerabil parmi.
63
Il vedermi
lograr dei miglior anni
il più
bel fiore in sì vile opra e molle,
tiemmi il cor
sempre in stimulo e in affanni,
ed ogni gusto
di piacer mi tolle.
La fama del
mio sangue spiega i vanni
per tutto 'l
mondo, e fin al ciel s'estolle;
che forse
buona parte anch'io n'avrei,
s'esser
potessi coi fratelli miei.
64
Parmi
ch'ingiuria il mio destin mi faccia,
avendomi a
sì vil servigio eletto;
come chi ne
l'armento il destrier caccia,
il qual
d'occhi o di piedi abbia difetto,
o per altro
accidente che dispiaccia,
sia fatto
all'arme e a miglior uso inetto:
né sperando
io, se non per morte, uscire
di sì
vil servitù, bramo morire. -
65
Guidon qui
fine alle parole pose,
e
maledì quel giorno per isdegno,
il qual dei
cavallieri e de le spose
gli
diè vittoria in acquistar quel regno.
Astolfo
stette a udire, e si nascose
tanto, che si
fe' certo a più d'un segno,
che, come
detto avea, questo Guidone
era figliol
del suo parente Amone.
66
Poi gli
rispose: - Io sono il duca inglese,
il tuo cugino
Astolfo; - ed abbracciollo,
e con atto
amorevole e cortese,
non senza
sparger lagrime, baciollo.
- Caro
parente mio, non più palese
tua madre ti
potea por segno al collo;
ch'a farne
fede che tu sei de' nostri,
basta il
valor che con la spada mostri. -
67
Guidon,
ch'altrove avria fatto gran festa
d'aver
trovato un sì stretto parente,
quivi
l'accolse con la faccia mesta,
perché fu di
vedervilo dolente.
Se vive, sa
ch'Astolfo schiavo resta,
né il termine
è più là che 'l dì seguente;
se fia libero
Astolfo, ne more esso:
sì che
'l ben d'uno è il mal de l'altro espresso.
68
Gli duol che
gli altri cavallieri ancora
abbia,
vincendo, a far sempre captivi;
né
più, quando esso in quel contrasto mora,
potrà
giovar che servitù lor schivi:
che se d'un
fango ben gli porta fuora,
e poi
s'inciampi come all'altro arrivi,
avrà
lui senza pro vinto Marfisa;
ch'essi pur
ne fien schiavi, ed ella uccisa.
69
Da l'altro
canto avea l'acerba etade,
la cortesia e
il valor del giovinetto
d'amore
intenerito e di pietade
tanto a
Marfisa ed ai compagni il petto,
che, con
morte di lui lor libertade
esser
dovendo, avean quasi a dispetto:
e se Marfisa
non può far con manco
ch'uccider
lui, vuol essa morir anco.
70
Ella disse a
Guidon: - Vientene insieme
con noi, ch'a
viva forza usciren quinci. -
- Deh
(rispose Guidon) lascia ogni speme
di mai
più uscirne, o perdi meco o vinci. -
Ella
suggiunse: - Il mio cor mai non teme
di non dar
fine a cosa che cominci;
né trovar so
la più sicura strada
di quella ove
mi sia guida la spada.
71
Tal ne la
piazza ho il tuo valor provato,
che, s'io son
teco, ardisco ad ogn'impresa.
Quando la
turba intorno allo steccato
sarà
domani in sul teatro ascesa,
io vo' che
l'uccidian per ogni lato,
o vada in
fuga o cerchi far difesa,
e ch'agli
lupi e agli avoltoi del loco
lasciamo i
corpi, e la cittade al fuoco. -
72
Suggiunse a
lei Guidon: - Tu m'avrai pronto
a seguitarti
ed a morirti a canto,
ma vivi
rimaner non facciàn conto;
bastar ne
può di vendicarci alquanto:
che spesso
diecimila in piazza conto
del popul
feminile, ed altretanto
resta a
guardare e porto e rocca e mura,
né alcuna via
d'uscir trovo sicura. -
73
Disse
Marfisa: - E molto più sieno elle
degli uomini
che Serse ebbe già intorno,
e sieno
più de l'anime ribelle
ch'uscir del
ciel con lor perpetuo scorno;
se tu sei
meco, o almen non sie con quelle,
tutte le
voglio uccidere in un giorno. -
Guidon
suggiunse: - Io non ci so via alcuna
ch'a valer
n'abbia, se non val quest'una.
74
Ne può
sola salvar, se ne succede,
quest'una
ch'io dirò, ch'or mi soviene.
Fuor ch'alle
donne, uscir non si concede,
né metter
piede in su le salse arene:
e per questo
commettermi alla fede
d'una de le
mie donne mi conviene,
del cui
perfetto amor fatta ho sovente
più
pruova ancor, ch'io non farò al presente.
75
Non men di me
tormi costei disia
di
servitù, pur che ne venga meco,
che
così spera, senza compagnia
de le rivali
sue, ch'io viva seco.
Ella nel
porto o fuste o saettia
farà
ordinar, mentre è ancor l'aer cieco,
che i marinai
vostri troveranno
acconcia a
navigar, come vi vanno.
76
Dietro a me
tutti in un drappel ristretti,
cavallieri,
mercanti e galeotti,
ch'ad
albergarvi sotto a questi tetti
meco, vostra
merce, sète ridotti,
avrete a
farvi amplo sentier coi petti,
se del nostro
camin siamo interrotti:
così
spero, aiutandoci le spade,
ch'io vi
trarrò de la crudel cittade. -
77
- Tu fa come
ti par (disse Marfisa),
ch'io son per
me d'uscir di qui sicura.
Più
facil fia che di mia mano uccisa
la gente sia,
che è dentro a queste mura,
che mi veggi
fuggire, o in altra guisa
alcun possa
notar ch'abbi paura.
Vo' uscir di
giorno, e sol per forza d'arme;
che per
ogn'altro modo obbrobrio parme.
78
S'io ci fossi
per donna conosciuta,
so ch'avrei
da le donne onore e pregio;
e volentieri
io ci sarei tenuta
e tra le
prime forse del collegio:
ma con
costoro essendoci venuta,
non ci vo'
d'essi aver più privilegio.
Troppo error
fôra ch'io mi stessi o andassi
libera, e gli
altri in servitù lasciassi. -
79
Queste parole
ed altre seguitando,
mostrò
Marfisa che 'l rispetto solo
ch'avea al
periglio de' compagni (quando
potria loro
il suo ardir tornare in duolo),
la tenea che
con alto e memorando
segno d'ardir
non assalia lo stuolo:
e per questo
a Guidon lascia la cura
d'usar la via
che più gli par sicura.
80
Guidon la
notte con Aleria parla
(così
avea nome la più fida moglie),
né bisogno
gli fu molto pregarla,
che la
trovò disposta alle sue voglie.
Ella tolse
una nave e fece armarla,
e
v'arrecò le sue più ricche spoglie,
fingendo di
volere al nuovo albore
con le
compagne uscire in corso fuore.
81
Ella avea
fatto nel palazzo inanti
spade e lance
arrecar, corazze e scudi,
onde armar si
potessero i mercanti
e i galeotti
ch'eran mezzo nudi.
Altri
dormiro, ed altri ster vegghianti,
compartendo
tra lor gli ozi e gli studi;
spesso
guardando, e pur con l' arme indosso,
se l'oriente
ancor si facea rosso.
82
Dal duro
volto de la terra il sole
non tollea
ancora il velo oscuro ed atro;
a pena avea la
licaonia prole
per li solchi
del ciel volto l'aratro:
quando il
femineo stuol, che veder vuole
il fin de la
battaglia, empì il teatro,
come ape del
suo claustro empie la soglia,
che mutar
regno al nuovo tempo voglia.
83
Di trombe, di
tambur, di suon de corni
il popul
risonar fa cielo e terra,
così
citando il suo signor, che torni
a terminar la
cominciata guerra.
Aquilante e
Grifon stavano adorni
de le lor
arme, e il duca d'Inghilterra,
Guidon,
Marfisa, Sansonetto e tutti
gli altri,
chi a piedi e chi a cavallo istrutti.
84
Per scender
dal palazzo al mare e al porto,
la piazza
traversar si convenia,
né v'era
altro camin lungo né corto:
così
Guidon disse alla compagnia.
E poi che di
ben far molto conforto
lor diede,
entrò senza rumore in via;
e ne la
piazza, dove il popul era,
s'appresentò
con più di cento in schiera.
85
Molto
affrettando i suoi compagni, andava
Guidone
all'altra porta per uscire:
ma la gran
moltitudine che stava
intorno
armata, e sempre atta a ferire,
pensò,
come lo vide che menava
seco quegli
altri, che volea fuggire;
e tutta a un
tratto agli archi suoi ricorse,
e parte, onde
s'uscia, venne ad opporse.
86
Guidone e gli
altri cavallier gagliardi,
e sopra tutti
lor Marfisa forte,
al menar de
le man non furon tardi,
e molto fer
per isforzar le porte:
ma tanta e
tanta copia era dei dardi
che, con
ferite dei compagni e morte,
pioveano lor
di sopra e d'ogn'intorno,
ch'al fin
temean d'averne danno e scorno.
87
D'ogni
guerrier l'usbergo era perfetto;
che se non
era, avean più da temere.
Fu morto il
destrier sotto a Sansonetto;
quel di
Marfisa v'ebbe a rimanere.
Astolfo tra
sé disse: - Ora, ch'aspetto
che mai mi
possa il corno più valere?
Io vo' veder,
poi che non giova spada,
s'io so col
corno assicurar la strada. -
88
Come aiutar
ne le fortune estreme
sempre si
suol, si pone il corno a bocca.
Par che la
terra e tutto 'l mondo trieme,
quando
l'orribil suon ne l'aria scocca.
Sì nel
cor de la gente il timor preme,
che per disio
di fuga si trabocca
giù
del teatro sbigottita e smorta,
non che lasci
la guardia de la porta.
89
Come talor si
getta e si periglia
e da finestra
e da sublime loco
l'esterrefatta
subito famiglia,
che vede
appresso e d'ogn'intorno il fuoco,
che mentre le
tenea gravi le ciglia
il pigro
sonno, crebbe a poco a poco:
così
messa la vita in abandono,
ognun fuggia
lo spaventoso suono.
90
Di qua di
là, di su di giù smarrita
surge la
turba, e di fuggir procaccia.
Son
più di mille a un tempo ad ogni uscita:
cascano a
monti, e l'una l'altra impaccia.
In tanta
calca perde altra la vita;
da palchi e
da finestre altra si schiaccia:
più
d'un braccio si rompe e d'una testa,
di ch'altra
morta, altra storpiata resta.
91
Il pianto e
'l grido insino al ciel saliva,
d'alta ruina
misto e di fraccasso.
Affretta, ovunque
il suon del corno arriva,
la turba
spaventata in fuga il passo.
Se udite dir
che d'ardimento priva
la vil plebe
si mostri e di cor basso,
non vi
maravigliate, che natura
è de
la lepre aver sempre paura.
92
Ma che direte
del già tanto fiero
cor di Marfisa
e di Guidon Selvaggio?
dei dua
giovini figli d'Oliviero,
che
già tanto onoraro il lor lignaggio?
Già
centomila avean stimato un zero;
e in fuga or
se ne van senza coraggio,
come conigli,
o timidi colombi
a cui vicino
alto rumor rimbombi.
93
Così
noceva ai suoi come agli strani
la forza che
nel corno era incantata.
Sansonetto,
Guidone e i duo germani
fuggon dietro
a Marfisa spaventata;
né fuggendo
ponno ir tanto lontani,
che lor non
sia l'orecchia anco intronata.
Scorre
Astolfo la terra in ogni lato,
dando via
sempre al corno maggior fiato.
94
Chi scese al
mare, e chi poggiò su al monte,
e chi tra i
boschi ad occultar si venne:
alcuna, senza
mai volger la fronte,
fuggir per
dieci dì non si ritenne:
uscì
in tal punto alcuna fuor del ponte,
ch'in vita
sua mai più non vi rivenne.
Sgombraro in
modo e piazze e templi e case,
che quasi
vota la città rimase.
95
Marfisa e 'l
bon Guidone e i duo fratelli
e Sansonetto,
pallidi e tremanti,
fuggiano
inverso il mare, e dietro a quelli
fuggian i
marinari e i mercatanti;
ove Aleria
trovar, che, fra i castelli,
loro avea un
legno apparecchiato inanti.
Quindi, poi
ch'in gran fretta li raccolse,
diè i
remi all'acqua ed ogni vela sciolse.
96
Dentro e
d'intorno il duca la cittade
avea scorsa dai
colli insino all'onde;
fatto avea
vote rimaner le strade:
ognun lo
fugge, ognun se gli nasconde.
Molte trovate
fur, che per viltade
s'eran
gittate in parti oscure e immonde;
e molte, non
sappiendo ove s'andare,
messesi a
nuoto ed affogate in mare.
97
Per trovare i
compagni il duca viene,
che si credea
di riveder sul molo.
Si volge
intorno, e le deserte arene
guarda per
tutto, e non v'appare un solo.
Leva
più gli occhi, e in alto a vele piene
da sé lontani
andar li vede a volo:
sì che
gli convien fare altro disegno
al suo camin,
poi che partito è il legno.
98
Lasciamolo
andar pur - né vi rincresca
che tanta
strada far debba soletto
per terra
d'infedeli e barbaresca,
dove mai non
si va senza sospetto:
non è
periglio alcuno, onde non esca
con quel suo
corno, e n'ha mostrato effetto; -
e dei
compagni suoi pigliamo cura,
ch'al mar
fuggian tremando di paura.
99
A piena vela
si cacciaron lunge
da la crudele
e sanguinosa spiaggia:
e poi che di
gran lunga non li giunge
l'orribil
suon ch'a spaventar più gli aggia,
insolita
vergogna sì gli punge,
che, com'un
fuoco, a tutti il viso raggia.
L'un non
ardisce a mirar l'altro, e stassi
tristo, senza
parlar, con gli occhi bassi.
100
Passa il
nocchiero, al suo viaggio intento,
e Cipro e
Rodi, e giù per l'onda egea
da sé vede
fuggire isole cento
col
periglioso capo di Malea;
e con
propizio ed immutabil vento
asconder vede
la greca Morea;
volta
Sicilia, e per lo mar Tirreno
costeggia de
l'Italia il lito ameno:
101
e sopra Luna
ultimamente sorse,
dove lasciato
avea la sua famiglia.
Dio
ringraziando che 'l pelago corse
senza
più danno, il noto lito piglia.
Quindi un
nochier trovar per Francia sciorse,
il qual di
venir seco li consiglia:
e nel suo
legno ancor quel dì montaro,
ed a Marsilia
in breve si trovaro.
102
Quivi non era
Bradamante allora,
ch'aver solea
governo del paese;
che se vi
fosse, a far seco dimora
gli avria
sforzati con parlar cortese.
Sceser nel
lito, e la medesima ora
dai quattro
cavallier congedo prese
Marfisa, e da
la donna del Selvaggio;
e pigliò
alla ventura il suo viaggio,
103
dicendo che
lodevole non era
ch'andasser
tanti cavallieri insieme:
che gli
storni e i colombi vanno in schiera,
i daini e i
cervi e ogn'animal che teme;
ma l'audace
falcon, l'aquila altiera,
che ne
l'aiuto altrui non metton speme
orsi, tigri,
leon, soli ne vanno;
che di
più forza alcun timor non hanno.
104
Nessun degli
altri fu di quel pensiero;
sì
ch'a lei sola toccò a far partita.
Per mezzo i
boschi e per strano sentiero
dunque ella
se n'andò sola e romita.
Grifone il bianco
ed Aquilante il nero
pigliar con
gli altri duo la via più trita,
e giunsero a
un castello il dì seguente,
dove
albergati fur cortesemente.
105
Cortesemente
dico in apparenza,
ma tosto vi
sentir contrario effetto;
che 'l signor
del castel, benivolenza
fingendo e
cortesia, lor dè ricetto:
e poi la
notte, che sicuri senza
timor
dormian, gli fe' pigliar nel letto;
né prima li
lasciò, che d'osservare
una costuma
ria li fe' giurare.
106
Ma vo' seguir
la bellicosa donna,
prima,
Signor, che di costor più dica.
Passò
Druenza, il Rodano e la Sonna,
e venne a
piè d'una montagna aprica.
Quivi lungo
un torrente, in negra gonna
vide venire
una femina antica,
che stanca e
lassa era di lunga via,
ma via
più afflitta di malenconia.
107
Questa
è la vecchia che solea servire
ai malandrin
nel cavernoso monte,
là
dove alta giustizia fe' venire
e dar lor
morte il paladino conte.
La vecchia,
che timore ha di morire
per le cagion
che poi vi saran conte,
già
molti dì va per via oscura e fosca,
fuggendo
ritrovar chi la conosca.
108
Quivi
d'estrano cavallier sembianza
l'ebbe
Marfisa all'abito e all'arnese;
e
perciò non fuggì, com'avea usanza
fuggir dagli
altri ch'eran del paese;
anzi con
sicurezza e con baldanza
si fermò
al guado, e di lontan l'attese:
al guado del
torrente, ove trovolla,
la vecchia le
uscì incontra e salutolla.
109
Poi la
pregò che seco oltr'a quell'acque
ne l'altra
ripa in groppa la portasse.
Marfisa che
gentil fu da che nacque,
di là
dal fiumicel seco la trasse;
e portarla
anch'un pezzo non le spiacque,
fin ch'a
miglior camin la ritornasse,
fuor d'un
gran fango; e al fin di quel sentiero
si videro
all'incontro un cavalliero.
110
Il cavallier
su ben guernita sella,
di lucide
arme e di bei panni ornato,
verso il
fiume venìa da una donzella
e da un solo
scudiero accompagnato.
La donna
ch'avea seco era assai bella,
ma d'altiero
sembiante e poco grato,
tutta
d'orgoglio e di fastidio piena,
del cavallier
ben degna che la mena.
111
Pinabello, un
de' conti maganzesi,
era quel
cavallier ch'ella avea seco;
quel medesmo
che dianzi a pochi mesi
Bradamante
gittò nel cavo speco.
Quei sospir,
quei singulti così accesi,
quel pianto
che lo fe' già quasi cieco,
tutto fu per
costei ch'or seco avea,
che 'l
negromante allor gli ritenea.
112
Ma poi che fu
levato di sul colle
l'incantato
castel del vecchio Atlante,
e che poté
ciascuno ire ove volle,
per opra e
per virtù di Bradamante;
costei,
ch'agli disii facile e molle
di Pinabel
sempre era stata inante,
si
tornò a lui, ed in sua compagnia
da un
castello ad un altro or se ne gìa.
113
E sì
come vezzosa era e mal usa,
quando vide
la vecchia di Marfisa,
non si poté
tenere a bocca chiusa
di non la
motteggiar con beffe e risa.
Marfisa
altiera, appresso a cui non s'usa
sentirsi
oltraggio in qualsivoglia guisa,
rispose d'ira
accesa alla donzella,
che di lei
quella vecchia era più bella;
114
e ch'al suo
cavallier volea provallo,
con patto di
poi torre a lei la gonna
e il palafren
ch'avea, se da cavallo
gittava il
cavallier di ch'era donna.
Pinabel che
faria, tacendo, fallo,
di risponder
con l'arme non assonna:
piglia lo
scudo e l'asta, e il destrier gira,
poi vien
Marfisa a ritrovar con ira.
115
Marfisa
incontra una gran lancia afferra,
e ne la vista
a Pinabel l'arresta,
e sì
stordito lo riversa in terra,
che tarda
un'ora a rilevar la testa.
Marfisa
vincitrice de la guerra,
fe' trarre a
quella giovane la vesta,
ed ogn'altro
ornamento le fe' porre,
e ne fe' il
tutto alla sua vecchia torre:
116
e di quel
giovenile abito volse
che si
vestisse e se n'ornasse tutta;
e fe' che 'l
palafreno anco si tolse,
che la
giovane avea quivi condutta.
Indi al preso
camin con lei si volse,
che quant'era
più ornata, era più brutta.
Tre giorni se
n'andar per lunga strada,
senza far
cosa onde a parlar m'accada.
117
Il quarto
giorno un cavallier trovaro,
che
venìa in fretta galoppando solo.
Se di saper
chi sia forse v'è caro,
dicovi
ch'è Zerbin, di re figliuolo,
di
virtù esempio e di bellezza raro,
che se stesso
rodea d'ira e di duolo
di non aver
potuto far vendetta
d'un che gli
avea gran cortesia interdetta.
118
Zerbino
indarno per la selva corse
dietro a quel
suo che gli avea fatto oltraggio;
ma sì
a tempo colui seppe via torse,
sì seppe
nel fuggir prender vantaggio,
sì il
bosco e sì una nebbia lo soccorse,
ch'avea
offuscato il matutino raggio,
che di man di
Zerbin si levò netto,
fin che l'ira
e il furor gli uscì del petto.
119
Non poté,
ancor che Zerbin fosse irato,
tener,
vedendo quella vecchia, il riso;
che gli parea
dal giovenile ornato
troppo
diverso il brutto antiquo viso;
ed a Marfisa,
che le venìa a lato,
disse: -
Guerrier, tu sei pien d'ogni aviso,
che damigella
di tal sorte guidi,
che non temi
trovar chi te la invidi.
120
Avea la donna
(se la crespa buccia
può
darne indicio) più de la Sibilla,
e parea,
così ornata, una bertuccia,
quando per
muover riso alcun vestilla;
ed or
più brutta par, che si coruccia,
e che dagli
occhi l'ira le sfavilla:
ch'a donna
non si fa maggior dispetto,
che quando o
vecchia o brutta le vien detto.
121
Mostrò
turbarse l'inclita donzella,
per prenderne
piacer, come si prese;
e rispose a
Zerbin: - Mia donna è bella,
per Dio, via
più che tu non sei cortese;
come ch'io
creda che la tua favella
da quel che
sente l'animo non scese:
tu fingi non
conoscer sua beltade,
per escusar
la tua somma viltade.
122
E chi saria
quel cavallier, che questa
sì
giovane e sì bella ritrovasse
senza
più compagnia ne la foresta,
e che di
farla sua non si provasse? -
- Sì
ben (disse Zerbin) teco s'assesta,
che saria mal
ch'alcun te la levasse;
ed io per me
non son così indiscreto,
che te ne
privi mai; stanne pur lieto.
123
S'in altro
conto aver vuoi a far meco,
di quel ch'io
vaglio son per farti mostra;
ma per costei
non mi tener sì cieco,
che solamente
far voglia una giostra.
O brutta o
bella sia, restisi teco:
non vo'
partir tanta amicizia vostra.
Ben vi
sète accoppiati: io giurerei,
com'ella
è bella, tu gagliardo sei. -
124
Suggiunse a
lui Marfisa: - Al tuo dispetto
di levarmi
costei provar convienti.
Non vo' patir
ch'un sì leggiadro aspetto
abbi veduto,
e guadagnar nol tenti. -
Rispose a lei
Zerbin - Non so a ch'effetto
l'uom si
metta a periglio e si tormenti,
per
riportarne una vittoria, poi,
che giovi al
vinto, e al vincitore annoi. -
125
- Se non ti
par questo partito buono,
te ne do un
altro, e ricusar nol dei
(disse a
Zerbin Marfisa): che s'io sono
vinto da te,
m'abbia a restar costei;
ma s'io te
vinco, a forza te la dono.
Dunque
provian chi de' star senza lei:
se perdi,
converrà che tu le faccia
compagnia
sempre, ovunque andar le piaccia. -
126
- E
così sia, - Zerbin rispose; e volse
a pigliar
campo subito il cavallo.
Si
levò su le staffe e si raccolse
fermo in
arcione, e per non dare in fallo,
lo scudo in
mezzo alla donzella colse;
ma parve
urtasse un monte di metallo:
ed ella in
guisa a lui toccò l'elmetto,
che stordito
il mandò di sella netto.
127
Troppo
spiacque a Zerbin l'esser caduto,
ch'in altro
scontro mai più non gli avvenne,
e n'avea
mille e mille egli abbattuto;
ed a perpetuo
scorno se lo tenne.
Stette per
lungo spazio in terra muto;
e più
gli dolse poi che gli sovenne
ch'avea
promesso e che gli convenia
aver la
brutta vecchia in compagnia.
128
Tornando a
lui la vincitrice in sella,
disse
ridendo: - Questa t'appresento;
e quanto
più la veggio e grata e bella,
tanto,
ch'ella sia tua, più mi contento.
Or tu in mio
loco sei campion di quella;
ma la tua fé
non se ne porti il vento,
che per sua
guida e scorta tu non vada
(come hai
promesso) ovunque andar l'aggrada. -
129
Senza
aspettar risposta urta il destriero
per la
foresta, e subito s'imbosca.
Zerbin, che
la stimava un cavalliero,
dice alla
vecchia: - Fa ch'io lo conosca. -
Ed ella non
gli tiene ascoso il vero,
onde sa che
lo 'ncende e che l'attosca:
- Il colpo fu
di man d'una donzella,
che t'ha
fatto votar (disse) la sella.
130
Per suo valor
costei debitamente
usurpa a'
cavallieri e scudo e lancia;
e venuta
è pur dianzi d'Oriente
per
assaggiare i paladin di Francia. -
Zerbin di
questo tal vergogna sente,
che non pur
tinge di rossor la guancia,
ma
restò poco di non farsi rosso
seco ogni
pezzo d'arme ch'avea indosso.
131
Monta a
cavallo, e se stesso rampogna
che non seppe
tener strette le cosce.
Tra sé la
vecchia ne sorride, e agogna
di stimularlo
e di più dargli angosce.
Gli ricorda
ch'andar seco bisogna:
e Zerbin,
ch'ubligato si conosce,
l'orecchie
abbassa, come vinto e stanco
destrier c'ha
in bocca il fren, gli sproni al fianco.
132
E sospirando:
- Ohimè, Fortuna fella
(dicea), che
cambio è questo che tu fai?
Colei che fu
sopra le belle bella,
ch'esser meco
dovea, levata m'hai.
Ti par ch'in
luogo ed in ristor di quella
si debba por
costei ch'ora mi dai?
Stare in
danno del tutto era men male,
che fare un
cambio tanto diseguale.
133
Colei che di
bellezze e di virtuti
unqua non
ebbe e non avrà mai pare,
sommersa e
rotta tra gli scogli acuti
hai data ai
pesci ed agli augei del mare;
e costei che
dovria già aver pasciuti
sotterra i
vermi, hai tolta a perservare
dieci o venti
anni più che non devevi,
per dar
più peso agli mie' affanni grevi. -
134
Zerbin
così parlava; né men tristo
in parole e
in sembianti esser parea
di questo
nuovo suo sì odioso acquisto,
che de la
donna che perduta avea.
La vecchia,
ancor che non avesse visto
mai
più Zerbin, per quel ch'ora dicea,
s'avvide
esser colui di che notizia
le diede
già Issabella di Galizia.
135
Se 'l vi
ricorda quel ch'avete udito,
costei da la
spelonca ne veniva,
dove Issabella,
che d'amor ferito
Zerbino avea,
fu molti dì captiva.
Più
volte ella le avea già riferito
come
lasciasse la paterna riva,
e come rotta
in mar da la procella,
si salvasse
alla spiaggia di Rocella.
136
E sì
spesso dipinto di Zerbino
le avea il
bel viso e le fattezze conte,
ch'ora
udendol parlare, e più vicino
gli occhi
alzandogli meglio ne la fronte,
vide esser
quel per cui sempre meschino
fu
d'Issabella il cor nel cavo monte;
che di non
veder lui più si lagnava,
che d'esser
fatta ai malandrini schiava.
137
La vecchia,
dando alle parole udienza,
che con
sdegno e con duol Zerbino versa,
s'avede ben
ch'egli ha falsa credenza
che sia
Issabella in mar rotta e sommersa:
e ben ch'ella
del certo abbia scienza,
per non lo
rallegrar, pur la perversa
quel che far
lieto lo potria, gli tace,
e sol gli
dice quel che gli dispiace.
138
- Odi tu (gli
disse ella), tu che sei
cotanto
altier, che sì mi scherni e sprezzi,
se sapessi
che nuova ho di costei
che morta
piangi, mi faresti vezzi:
ma più
tosto che dirtelo, torrei
che mi
strozzassi o fêssi in mille pezzi;
dove, s'eri
vêr me più mansueto,
forse aperto
t'avrei questo secreto. -
139
Come il
mastin che con furor s'aventa
adosso al
ladro, ad achetarsi è presto,
che quello o
pane o cacio gli appresenta,
o che fa
incanto appropriato a questo;
così
tosto Zerbino umil diventa,
e vien
bramoso di sapere il resto,
che la
vecchia gli accenna che di quella,
che morta
piange, gli sa dir novella.
140
E volto a lei
con più piacevol faccia,
la supplica,
la prega, la scongiura
per gli
uomini, per Dio, che non gli taccia
quanto ne
sappia, o buona o ria ventura.
- Cosa non
udirai che pro ti faccia
(disse la
vecchia pertinace e dura):
non è
Issabella, come credi, morta;
ma viva
sì, ch'a' morti invidia porta.
141
È
capitata in questi pochi giorni
che non
n'udisti, in man di più di venti;
sì
che, qualora anco in man tua ritorni,
ve' se sperar
di corre il fior convienti. -
Ah vecchia
maladetta, come adorni
la tua
menzogna! e tu sai pur se menti.
Se ben in man
de venti ell'era stata,
non l'avea
alcun però mai violata.
142
Dove l'avea
veduta domandolle
Zerbino, e
quando, ma nulla n'invola;
che la
vecchia ostinata più non volle
a quel c'ha
detto aggiungere parola.
Prima Zerbin
le fece un parlar molle,
poi
minacciolle di tagliar la gola:
ma tutto
è invan ciò che minaccia e prega;
che non
può far parlar la brutta strega.
143
Lasciò
la lingua all'ultimo in riposo
Zerbin, poi
che 'l parlar gli giovò poco;
per quel
ch'udito avea, tanto geloso,
che non trovava
il cor nel petto loco;
d'Issabella
trovar sì disioso,
che saria per
vederla ito nel fuoco:
ma non poteva
andar più che volesse
colei, poi
ch'a Marfisa lo promesse.
144
E quindi per
solingo e strano calle,
dove a lei
piacque, fu Zerbin condotto;
né per o
poggiar monte o scender valle,
mai si
guardaro in faccia o si fer motto.
Ma poi ch'al
mezzodì volse le spalle
il vago sol,
fu il lor silenzio rotto
da un
cavallier che nel cammin scontraro.
Quel che
seguì, ne l'altro canto è chiaro.
1
Né fune
intorto crederò che stringa
soma
così, né così legno chiodo,
come la fé
ch'una bella alma cinga
del suo
tenace indissolubil nodo.
Né dagli
antiqui par che si dipinga
la santa Fé
vestita in altro modo,
che d'un vel
bianco che la cuopra tutta:
ch'un sol
punto, un sol neo la può far brutta.
2
La fede unqua
non debbe esser corrotta,
o data a un
solo, o data insieme a mille;
e così
in una selva, in una grotta,
lontan da le
cittadi e da le ville,
come dinanzi
a tribunali, in frotta
di testimon,
di scritti e di postille,
senza giurare
o segno altro più espresso,
basti una
volta che s'abbia promesso.
3
Quella
servò, come servar si debbe
in ogni
impresa, il cavallier Zerbino:
e quivi
dimostrò che conto n'ebbe,
quando si
tolse dal proprio camino
per andar con
costei, la qual gl'increbbe,
come s'avesse
il morbo sì vicino,
o pur la
morte istessa; ma potea,
più
che 'l disio, quel che promesso avea.
4
Dissi di lui,
che di vederla sotto
la sua
condotta tanto al cor gli preme,
che
n'arrabbia di duol, né le fa motto,
e vanno muti
e taciturni insieme:
dissi che poi
fu quel silenzio rotto,
ch'al mondo
il sol mostrò le ruote estreme,
da un
cavalliero aventuroso errante,
ch'in mezzo
del camin lor si fe' inante.
5
La vecchia
che conobbe il cavalliero,
ch'era nomato
Ermonide d'Olanda,
che per
insegna ha ne lo scudo nero
attraversata
una vermiglia banda,
posto
l'orgoglio e quel sembiante altiero,
umilmente a
Zerbin si raccomanda,
e gli ricorda
quel ch'esso promise
alla
guerriera ch'in sua man la mise.
6
Perché di lei
nimico e di sua gente
era il
guerrier che contra lor venìa:
ucciso ad
essa avea il padre innocente,
e un fratello
che solo al mondo avia;
e tuttavolta
far del rimanente,
come degli
altri, il traditor disia.
- Fin ch'alla
guardia tua, donna, mi senti
(dicea
Zerbin), non vo' che tu paventi. -
7
Come
più presso il cavallier si specchia
in quella
faccia che sì in odio gli era:
- O di
combatter meco t'apparecchia
(gridò
con voce minacciosa e fiera),
o lascia la
difesa de la vecchia,
che di mia
man secondo il merto pera.
Se combatti
per lei, rimarrai morto;
che
così avviene a chi s'appiglia al torto. -
8
Zerbin
cortesemente a lui risponde
che gli
è desir di bassa e mala sorte,
ed a
cavalleria non corrisponde
che cerchi
dare ad una donna morte:
se pur combatter
vuol, non si nasconde;
ma che prima
consideri ch'importe
ch'un
cavallier, com'era egli, gentile,
voglia por
man nel sangue feminile,
9
Queste gli
disse e più parole invano;
e fu bisogno
al fin venire a' fatti.
Poi che preso
a bastanza ebbon del piano,
tornarsi
incontra a tutta briglia ratti.
Non van
sì presti i razzi fuor di mano,
ch'al tempo
son de le allegrezze tratti,
come andaron
veloci i duo destrieri
ad incontrare
insieme i cavallieri.
10
Ermonide
d'Olanda segnò basso,
che per
passare il destro fianco attese:
ma la sua
debol lancia andò in fracasso,
e poco il
cavallier di Scozia offese.
Non fu
già l'altro colpo vano e casso:
roppe lo
scudo, e sì la spalla prese,
che la
forò da l'uno all'altro lato,
e riversar
fe' Ermonide sul prato.
11
Zerbin che si
pensò d'averlo ucciso,
di
pietà vinto, scese in terra presto,
e levò
l'elmo da lo smorto viso;
e quel
guerrier, come dal sonno desto,
senza parlar
guardò Zerbino fiso;
e poi gli
disse: - Non m'è già molesto
ch'io sia da
te abbattuto, ch'ai sembianti
mostri esser
fior de' cavallier erranti;
12
ma ben mi
duol che questo per cagione
d'una femina
perfida m'avviene,
a cui non so
come tu sia campione,
che troppo al
tuo valor si disconviene.
E quando tu
sapessi la cagione
ch'a
vendicarmi di costei mi mene,
avresti,
ognor che rimembrassi, affanno
d'aver, per
campar lei, fatto a me danno.
13
E se spirto a
bastanza avrò nel petto
ch'io il
possa dir (ma del contrario temo),
io ti
farò veder ch'in ogni effetto
scelerata
è costei più ch'in estremo.
Io ebbi
già un fratel che giovinetto
d'Olanda si
partì, donde noi semo,
e si fece
d'Eraclio cavalliero,
ch'allor
tenea de' Greci il sommo impero.
14
Quivi divenne
intrinseco e fratello
d'un cortese
baron di quella corte,
che nei confin
di Servia avea un castello
di sito ameno
e di muraglia forte.
Nomossi Argeo
colui di ch'io favello,
di questa
iniqua femina consorte,
la quale egli
amò sì, che passò il segno
ch'a un uom
si convenia, come lui, degno.
15
Ma costei,
più volubile che foglia
quando
l'autunno è più priva d'umore,
che l' freddo
vento gli arbori ne spoglia
e le soffia
dinanzi al suo furore;
verso il
marito cangiò tosto voglia,
che fisso
qualche tempo ebbe nel core;
e volse ogni
pensiero, ogni disio
d'acquistar
per amante il fratel mio.
16
Ma né
sì saldo all'impeto marino
l'Acrocerauno
d'infamato nome,
né sta
sì duro incontra borea il pino
che rinovato
ha più di cento chiome,
che quanto
appar fuor de lo scoglio alpino,
tanto
sotterra ha le radici; come
il mio
fratello a' prieghi di costei,
nido de tutti
i vizi infandi e rei.
17
Or, come
avviene a un cavallier ardito,
che cerca
briga e la ritrova spesso,
fu in una
impresa il mio fratel ferito,
molto al
castel del suo compagno appresso,
dove venir
senza aspettare invito
solea, fosse
o non fosse Argeo con esso;
e dentro a
quel per riposar fermosse
tanto che del
suo mal libero fosse.
18
Mentre egli
quivi si giacea, convenne
ch'in certa
sua bisogna andasse Argeo.
Tosto questa
sfacciata a tentar venne
il mio
fratello, ed a sua usanza feo;
ma quel fedel
non oltre più sostenne
avere ai
fianchi un stimulo sì reo:
elesse, per
servar sua fede a pieno,
di molti mal
quel che gli parve meno.
19
Tra molti mal
gli parve elegger questo:
lasciar
d'Argeo l'intrinsichezza antiqua;
lungi andar
sì, che non sia manifesto
mai
più il suo nome alla femina iniqua.
Ben che duro
gli fosse, era più onesto
che satisfare
a quella voglia obliqua,
o ch'accusar
la moglie al suo signore,
da cui fu
amata a par del proprio core.
20
E de le sue
ferite ancora infermo
l'arme si
veste, e del castel si parte;
e con animo
va costante e fermo
di non mai
più tornare in quella parte.
Ma che gli
val? ch'ogni difesa e schermo
gli disipa
Fortuna con nuova arte;
ecco il
marito che ritorna intanto,
e trova la
moglier che fa gran pianto,
21
e scapigliata
e con la faccia rossa;
e le domanda
di che sia turbata.
Prima ch'ella
a rispondere sia mossa,
pregar si
lascia più d'una fiata,
pensando
tuttavia come si possa
vendicar di
colui che l'ha lasciata:
e ben
convenne al suo mobile ingegno
cangiar
l'amore in subitano sdegno.
22
- Deh (disse
al fine), a che l'error nascondo
c'ho
commesso, signor, ne la tua assenza?
che quando
ancora io 'l celi a tutto 'l mondo,
celar nol
posso alla mia coscienza.
L'alma che
sente il suo peccato immondo,
pate dentro
da sé tal penitenza,
ch'avanza
ogn'altro corporal martire
che dar mi
possa alcun del mio fallire;
23
quando fallir
sia quel che si fa a forza:
ma sia quel
che si vuol, tu sappil'anco;
poi con la
spada da la immonda scorza
scioglie lo
spirto imaculato e bianco,
e le mie luci
eternamente ammorza;
che dopo
tanto vituperio, almanco
tenerle basse
ognor non mi bisogni,
e di ciascun
ch'io vegga, io mi vergogni.
24
Il tuo
compagno ha l'onor mio distrutto:
questo corpo
per forza ha violato;
e perché teme
ch'io ti narri il tutto,
or si parte
il villan senza commiato. -
In odio con
quel dir gli ebbe ridutto
colui che
più d'ogn'altro gli fu grato.
Argeo lo
crede, ed altro non aspetta;
ma piglia
l'arme e corre a far vendetta.
25
E come quel
ch'avea il paese noto,
lo giunse che
non fu troppo lontano;
che 'l mio
fratello, debole ed egroto,
senza
sospetto se ne gìa pian piano:
e brevemente,
in un loco remoto
pose, per
vendicarsene, in lui mano.
Non trova il
fratel mio scusa che vaglia;
ch'in somma
Argeo con lui vuol la battaglia.
26
Era l'un sano
e pien di nuovo sdegno,
infermo
l'altro, ed all'usanza amico:
sì
ch'ebbe il fratel mio poco ritegno
contra il
compagno fattogli nimico.
Dunque
Filandro di tal sorte indegno
(de
l'infelice giovene ti dico:
così
avea nome), non sofrendo il peso
di sì
fiera battaglia, restò preso.
27
- Non piaccia
a Dio che mi conduca a tale
il mio giusto
furore e il tuo demerto
(gli disse
Argeo), che mai sia omicidiale
di te
ch'amava; e me tu amavi certo,
ben che nel
fin me l'hai mostrato male;
pur voglio a
tutto il mondo fare aperto
che, come fui
nel tempo de l'amore,
così
ne l'odio son di te migliore.
28
Per altro
modo punirò il tuo fallo,
che le mie
man più nel tuo sangue porre. -
Così
dicendo, fece sul cavallo
di verdi rami
una bara comporre,
e quasi morto
in quella riportallo
dentro al
castello in una chiusa torre,
dove in
perpetuo per punizione
candannò
l'innocente a star prigione.
29
Non
però ch'altra cosa avesse manco,
che la
libertà prima del partire;
perché nel
resto, come sciolto e franco
vi comandava
e si facea ubidire.
Ma non
essendo ancor l'animo stanco
di questa ria
del suo pensier fornire,
quasi ogni
giorno alla prigion veniva;
ch'avea le
chiavi, e a suo piacer l'apriva:
30
e movea
sempre al mio fratello assalti,
e con
maggiore audacia che di prima.
- Questa tua
fedeltà (dicea) che valti,
poi che
perfidia per tutto si stima?
Oh che
trionfi gloriosi ed alti!
oh che
superbe spoglie e preda opima!
oh che merito
al fin te ne risulta,
se, come a
traditore, ognun t'insulta!
31
Quanto
utilmente, quanto con tuo onore
m'avresti
dato quel che da te volli!
Di questo
sì ostinato tuo rigore
la gran mercé
che tu guadagni, or tolli:
in prigion
sei, né crederne uscir fuore,
se la durezza
tua prima non molli.
Ma quando mi
compiacci, io farò trama
di
racquistarti e libertade e fama. -
32
- No, no
(disse Filandro) aver mai spene
che non sia,
come suol, mia vera fede,
se ben contra
ogni debito mi avviene
ch'io ne
riporti sì dura mercede,
e di me creda
il mondo men che bene:
basta che
inanti a quel che 'l tutto vede
e mi
può ristorar di grazia eterna,
chiara la mia
innocenza si discerna.
33
Se non basta
ch'Argeo mi tenga preso,
tolgami ancor
questa noiosa vita.
Forse non mi
fia il premio in ciel conteso
de la buona
opra, qui poco gradita.
Forse egli,
che da me si chiama offeso,
quando
sarà quest'anima partita,
s'avedrà
poi d'avermi fatto torto,
e
piangerà il fedel compagno morto. -
34
Così
più volte la sfacciata donna
tenta
Filandro, e torna senza frutto.
Ma il cieco
suo desir, che non assonna
del scelerato
amor traer costrutto,
cercando va
più dentro ch'alla gonna
suoi vizi
antiqui, e ne discorre il tutto.
Mille pensier
fa d'uno in altro modo,
prima che
fermi in alcun d'essi il chiodo.
35
Stette sei
mesi che non messe piede,
come prima
facea, ne la prigione;
di che il
miser Filandro e spera e crede
che costei
più non gli abbia affezione.
Ecco Fortuna,
al mal propizia, diede
a questa
scelerata occasione
di metter fin
con memorabil male
al suo cieco
appetito irrazionale.
36
Antiqua
nimicizia avea il marito
con un baron
detto Morando il bello,
che, non
v'essendo Argeo, spesso era ardito
di correr
solo, e sin dentro al castello;
ma s'Argeo
v'era, non tenea lo 'nvito,
né
s'accostava a dieci miglia a quello.
Or, per
poterlo indur che ci venisse,
d'ire in
Ierusalem per voto disse.
37
Disse
d'andare; e partesi ch'ognuno
lo vede, e fa
di ciò sparger le grida:
né il suo
pensier, fuor che la moglie, alcuno
puote saper;
che sol di lei si fida.
Torna poi nel
castello all'aer bruno,
né mai, se
non la notte, ivi s'annida;
e con mutate
insegne al nuovo albore,
senza vederlo
alcun, sempre esce fuore.
38
Se ne va in
questa e in quella parte errando,
e
volteggiando al suo castello intorno,
pur per veder
se credulo Morando
volesse far,
come solea, ritorno.
Stava il
dì tutto alla foresta; e quando
ne la marina
vedea ascoso il giorno,
venìa
al castello, e per nascose porte
lo togliea
dentro l'infedel consorte.
39
Crede
ciascun, fuor che l'iniqua moglie,
che molte
miglia Argeo lontan si trove.
Dunque il
tempo oportuno ella si toglie:
al fratel mio
va con malizie nuove.
Ha di lagrime
a tutte le sue voglie
un nembo che
dagli occhi al sen le piove.
- Dove
potrò (dicea) trovare aiuto,
che in tutto
l'onor mio non sia perduto?
40
E col mio
quel del mio marito insieme,
il qual se
fosse qui, non temerei.
Tu conosci
Morando, e sai se teme,
quando Argeo
non ci sente, omini e dei.
Questi or
pregando, or minacciando, estreme
prove fa
tuttavia, né alcun de' miei
lascia che
non contamini, per trarmi
a' suoi
desii, né so s'io potrò aitarmi.
41
Or c'ha
inteso il partir del mio consorte,
e ch'al
ritorno non sarà sì presto,
ha avuto
ardir d'entrar ne la mia corte
senza altra
scusa e senz'altro pretesto;
che se ci
fosse il mio signor per sorte,
non sol non
avria audacia di far questo,
ma non si
terria ancor, per Dio, sicuro
d'appressarsi
a tre miglia a questo muro.
42
E quel che
già per messi ha ricercato,
oggi me l'ha
richiesto a fronte a fronte,
e con tai
modi, che gran dubbio è stato
de lo
avvenirmi disonore ed onte,
e se non che
parlar dolce gli ho usato,
e finto le
mie voglie alle sue pronte,
saria a
forza, di quel suto rapace,
che spera
aver per mie parole in pace.
43
Promesso gli
ho, non già per osservargli
(che fatto
per timor, nullo è il contratto);
ma la mia
intenzion fu per vietargli
quel che per
forza avrebbe allora fatto.
Il caso
è qui: tu sol pòi rimediargli;
del mio onor
altrimenti sarà tratto,
e di quel del
mio Argeo, che già m'hai detto
aver o tanto,
o più che 'l proprio, a petto.
44
E se questo
mi nieghi, io dirò dunque
ch'in te non
sia la fé di che ti vanti;
ma che fu sol
per crudeltà, qualunque
volta hai
sprezzati i miei supplici pianti;
non per
rispetto alcun d'Argeo, quantunque
m'hai questo
scudo ognora opposto inanti.
Saria stato
tra noi la cosa occulta;
ma di qui
aperta infamia mi risulta. -
45
- Non si
convien (disse Filandro) tale
prologo a me,
per Argeo mio disposto.
Narrami pur
quel che tu vuoi, che quale
sempre fui,
di sempre essere ho proposto;
e ben ch'a
torto io ne riporti male,
a lui non ho
questo peccato imposto.
Per lui son
pronto andare anco alla morte,
e siami
contra il mondo e la mia sorte. -
46
Rispose
l'empia: - Io voglio che tu spenga
colui che 'l
nostro disonor procura.
Non temer
ch'alcun mal di ciò t'avenga;
ch'io te ne
mostrerò la via sicura.
Debbe egli a
me tornar come rivenga
su l'ora
terza la notte più scura;
e fatto un
segno de ch'io l'ho avvertito,
io l'ho a tor
dentro, che non sia sentito.
47
A te non
graverà prima aspettarme
ne la camera
mia dove non luca,
tanto che
dispogliar gli faccia l'arme,
e quasi nudo
in man te lo conduca. -
Così
la moglie conducesse parme
il suo marito
alla tremenda buca;
se per dritto
costei moglie s'appella,
più
che furia infernal crudele e fella.
48
Poi che la
notte scelerata venne,
fuor trasse
il mio fratel con l'arme in mano;
e ne l'oscura
camera lo tenne,
fin che
tornasse il miser castellano.
Come ordine
era dato, il tutto avvenne;
che 'l
consiglio del mal va raro invano.
Così
Filandro il buon Argeo percosse,
che si
pensò che quel Morando fosse.
49
Con esso un
colpo il capo fesse e il collo;
ch'elmo non
v'era, e non vi fu riparo.
Pervenne
Argeo, senza pur dare un crollo,
de la misera
vita al fine amaro:
e tal
l'uccise, che mai non pensollo,
né mai
l'avria creduto: oh caso raro!
che cercando
giovar, fece all'amico
quel di che
peggio non si fa al nimico.
50
Poscia
ch'Argeo non conosciuto giacque,
rende a
Gabrina il mio fratel la spada.
Gabrina
è il nome di costei, che nacque
sol per
tradire ognun che in man le cada.
Ella, che 'l
ver fin a quell'ora tacque,
vuol che
Filandro a riveder ne vada
col lume in
mano il morto ond'egli è reo:
e gli
dimostra il suo compagno Argeo.
51
E gli
minaccia poi, se non consente
all'amoroso
suo lungo desire,
di palesare a
tutta quella gente
quel ch'egli
ha fatto, e nol può contradire;
e lo
farà vituperosamente
come
assassino e traditor morire:
e gli ricorda
che sprezzar la fama
non de', se
ben la vita sì poco ama.
52
Pien di paura
e di dolor rimase
Filandro, poi
che del suo error s'accorse.
Quasi il
primo furor gli persuase
d'uccider
questa, e stette un pezzo in forse:
e se non che
ne le nimiche case
si
ritrovò (che la ragion soccorse),
non si
trovando avere altr'arme in mano,
coi denti la
stracciava a brano a brano.
53
Come ne
l'alto mar legno talora,
che da duo
venti sia percosso e vinto,
ch'ora uno
inanzi l'ha mandato, ed ora
un altro al
primo termine respinto,
e l'han
girato da poppa e da prora,
dal
più possente al fin resta sospinto;
così
Filandro, tra molte contese
de' duo
pensieri, al manco rio s'apprese.
54
Ragion gli
dimostrò il pericol grande,
oltre al
morir, del fine infame e sozzo,
se l'omicidio
nel castel si spande;
e del pensare
il termine gli è mozzo.
Voglia o non
voglia, al fin convien che mande
l'amarissimo
calice nel gozzo.
Pur
finalmente ne l'afflitto core
più de
l'ostinazion poté il timore.
55
Il timor del
supplicio infame e brutto
prometter
fece con mille scongiuri,
che faria di
Gabrina il voler tutto,
se di quel
luogo se partian sicuri.
Così
per forza colse l'empia il frutto
del suo
desire, e poi lasciar quei muri.
Così
Filandro a noi fece ritorno,
di sé lasciando
in Grecia infamia e scorno.
56
E
portò nel cor fisso il suo compagno
che
così scioccamente ucciso avea,
per far con
sua gran noia empio guadagno
d'una Progne
crudel, d'una Medea.
E se la fede
e il giuramento, magno
e duro freno,
non lo ritenea,
come al
sicuro fu, morta l'avrebbe;
ma, quanto
più si puote, in odio l'ebbe.
57
Non fu da
indi in qua rider mai visto:
tutte le sue
parole erano meste,
sempre sospir
gli uscian dal petto tristo,
ed era
divenuto un nuovo Oreste,
poi che la
madre uccise e il sacro Egisto,
e che
l'ultrice Furie ebbe moleste.
E senza mai
cessar, tanto l'afflisse
questo dolor,
ch'infermo al letto il fisse.
58
Or questa
meretrice, che si pensa
quanto a
quest'altro suo poco sia grata,
muta la
fiamma già d'amore intensa
in odio, in
ira ardente ed arrabbiata;
né meno
è contra al mio fratello accensa,
che fosse
contra Argeo la scelerata:
e dispone tra
sé levar dal mondo,
come il primo
marito, anco il secondo.
59
Un medico
trovò d'inganni pieno,
sufficiente
ed atto a simil uopo,
che sapea
meglio uccider di veneno,
che risanar
gl'infermi di silopo;
e gli
promesse, inanzi più che meno
di quel che
domandò, donargli, dopo
ch'avesse con
mortifero liquore
levatole
dagli occhi il suo signore.
60
Già in
mia presenza e d'altre più persone
venìa
col tosco in mano il vecchio ingiusto,
dicendo
ch'era buona pozione
da ritornare
il mio fratel robusto.
Ma Gabrina
con nuova intenzione,
pria che
l'infermo ne turbasse il gusto,
per torsi il
consapevole d'appresso,
o per non
dargli quel ch'avea promesso,
61
la man gli
prese, quando a punto dava
la tazza dove
il tosco era celato,
dicendo: -
Ingiustamente è se 'l ti grava
ch'io tema
per costui c'ho tanto amato.
Voglio esser
certa che bevanda prava
tu non gli
dia, né succo avelenato;
e per questo
mi par che 'l beveraggio
non gli abbi
a dar, se non ne fai tu il saggio. -
62
Come pensi,
signor, che rimanesse
il miser
vecchio conturbato allora?
La
brevità del tempo sì l'oppresse,
che pensar
non poté che meglio fôra;
pur, per non
dar maggior sospetto, elesse
il calice
gustar senza dimora:
e l'infermo,
seguendo una tal fede,
tutto il
resto pigliò, che si gli diede.
63
Come sparvier
che nel piede grifagno
tenga la
starna e sia per trarne pasto,
dal can che
si tenea fido compagno,
ingordamente
è sopragiunto e guasto;
così
il medico intento al rio guadagno,
donde sperava
aiuto ebbe contrasto.
Odi di summa
audacia esempio raro!
e così
avvenga a ciascun altro avaro.
64
Fornito
questo, il vecchio s'era messo,
per ritornare
alla sua stanza, in via,
ed usar
qualche medicina appresso,
che lo
salvasse da la peste ria;
ma da Gabrina
non gli fu concesso,
dicendo non
voler ch'andasse pria
che 'l succo
ne lo stomaco digesto
il suo valor
facesse manifesto.
65
Pregar non
val, né far di premio offerta,
che lo voglia
lasciar quindi partire.
Il disperato,
poi che vede certa
la morte sua,
né la poter fuggire,
ai
circostanti fa la cosa aperta;
né la seppe
costei troppo coprire.
E così
quel che fece agli altri spesso,
quel buon
medico al fin fece a se stesso:
66
e
sequitò con l'alma quella ch'era
già de
mio frate caminata inanzi.
Noi
circostanti, che la cosa vera
del vecchio
udimmo, che fe' pochi avanzi,
pigliammo
questa abominevol fera,
più
crudel di qualunque in selva stanzi;
e la serrammo
in tenebroso loco,
per
condannarla al meritato foco. -
67
Questo
Ermonide disse, e più voleva
seguir,
com'ella di prigion levossi;
ma il dolor
de la piaga si l'aggreva,
che pallido
ne l'erba riversossi.
Intanto duo
scudier, che seco aveva,
fatto una
bara avean di rami grossi:
Ermonide si
fece in quella porre;
ch'indi
altrimente non si potea torre.
68
Zerbin col
cavallier fece sua scusa,
che
gl'increscea d'averli fatto offesa;
ma, come pur
tra cavallieri s'usa,
colei che
venìa seco avea difesa:
ch'altrimente
sua fé saria confusa;
perché,
quando in sua guardia l'avea presa,
promesse a
sua possanza di salvarla
contra ognun
che venisse a disturbarla.
69
E s'in altro
potea gratificargli,
prontissimo
offeriase alla sua voglia.
Rispose il
cavallier, che ricordargli
sol vuol, che
da Gabrina si discioglia
prima ch'ella
abbia cosa a machinargli,
di ch'esso
indarno poi si penta e doglia.
Gabrina tenne
sempre gli occhi bassi,
perché non
ben risposta al vero dassi.
70
Con la
vecchia Zerbin quindi partisse
al già
promesso debito viaggio;
e tra sé
tutto il dì la maledisse,
che far gli
fece a quel barone oltraggio.
Ed or che pel
gran mal che gli ne disse
chi lo sapea,
di lei fu istrutto e saggio,
se prima
l'avea a noia e a dispiacere,
or l'odia
sì che non la può vedere.
71
Ella che di
Zerbin sa l'odio a pieno,
né in mala
voluntà vuole esser vinta,
un'oncia a
lui non ne riporta meno:
la tien di
quarta, e la rifà di quinta.
Nel cor era
gonfiata di veneno,
e nel viso
altrimente era dipinta.
Dunque ne la
concordia ch'io vi dico,
tenean lor
via per mezzo il bosco antico.
72
Ecco,
volgendo il sol verso la sera,
udiron gridi
e strepiti e percosse,
che facean
segno di battaglia fiera
che, quanto
era il rumor, vicina fosse.
Zerbino, per
veder la cosa ch'era,
verso il
rumore in gran fretta si mosse:
non fu
Gabrina lenta a seguitarlo.
Di quel
ch'avvenne, all'altro canto io parlo.
1
Cortesi donne
e grate al vostro amante,
voi che d'un
solo amor sète contente,
come che
certo sia, fra tante e tante,
che rarissime
siate in questa mente;
non vi
dispiaccia quel ch'io dissi inante,
quando contra
Gabrina fui sì ardente,
e s'ancor son
per spendervi alcun verso,
di lei
biasmando l'animo perverso.
2
Ella era
tale; e come imposto fummi
da chi
può in me, non preterisco il vero.
Per questo io
non oscuro gli onor summi
d'una e
d'un'altra ch'abbia il cor sincero.
Quel che 'l
Maestro suo per trenta nummi
diede a'
Iudei, non nocque a Ianni o a Piero;
né
d'Ipermestra è la fama men bella,
se ben di tante
inique era sorella.
3
Per una che
biasmar cantando ardisco
(che
l'ordinata istoria così vuole),
lodarne cento
incontra m'offerisco,
e far lor
virtù chiara più che 'l sole.
Ma tornando
al lavor che vario ordisco,
ch'a molti,
lor mercé, grato esser suole,
del cavallier
di Scozia io vi dicea,
ch'un alto
grido appresso udito avea.
4
Fra due
montagne entrò in un stretto calle
onde uscia il
grido, e non fu molto inante,
che giunse
dove in una chiusa valle
si vide un
cavallier morto davante.
Chi sia
dirò; ma prima dar le spalle
a Francia
voglio, e girmene in Levante,
tanto ch'io
trovi Astolfo paladino,
che per
Ponente avea preso il camino.
5
Io lo lasciai
ne la città crudele,
onde col suon
del formidabil corno
avea cacciato
il populo infedele,
e gran periglio
toltosi d'intorno,
ed a'
compagni fatto alzar le vele,
e dal lito
fuggir con grave scorno.
Or seguendo
di lui, dico che prese
la via
d'Armenia, e uscì di quel paese.
6
E dopo
alquanti giorni in Natalia
trovossi, e
inverso Bursia il camin tenne;
onde,
continuando la sua via
di qua dal
mare, in Tracia se ne venne.
Lungo il
Danubio andò per l'Ungaria;
e come avesse
il suo destrier le penne,
i Moravi e i
Boemi passò in meno
di venti
giorni e la Franconia e il Reno.
7
Per la selva
d'Ardenna in Aquisgrana
giunse e in
Barbante, e in Fiandra al fin s'imbarca.
L'aura che
soffia verso tramontana,
la vela in
guisa in su la prora carca,
ch'a mezzo
giorno Astolfo non lontana
vede
Inghilterra, ove nel lito varca.
Salta a
cavallo, e in tal modo lo punge,
ch'a Londra
quella sera ancora giunge.
8
Quivi
sentendo poi che 'l vecchio Otone
già
molti mesi inanzi era in Parigi,
e che di
nuovo quasi ogni barone
avea imitato
i suoi degni vestigi;
d'andar
subito in Francia si dispone:
e così
torna al porto di Tamigi,
onde con le
vele alte uscendo fuora,
verso
Calessio fe' drizzar la prora.
9
Un ventolin
che leggiermente all'orza
ferendo, avea
adescato il legno all'onda,
a poco a poco
cresce e si rinforza;
poi vien
sì, ch'al nocchier ne soprabonda.
Che li volti
la poppa al fine è forza;
se non, gli
caccerà sotto la sponda.
Per la schena
del mar tien dritto il legno,
e fa camin
diverso al suo disegno.
10
Or corre a
destra, or a sinistra mano,
di qua di
là, dove fortuna spinge,
e piglia
terra al fin presso a Roano;
e come prima
il dolce lito attinge,
fa rimetter
la sella a Rabicano,
e tutto
s'arma e la spada si cinge.
Prende il
camino, ed ha seco quel corno
che gli val
più che mille uomini intorno.
11
E giunse,
traversando una foresta,
a piè
d'un colle ad una chiara fonte,
ne l'ora che
'l monton di pascer resta,
chiuso in
capanna, o sotto un cavo monte.
E dal gran
caldo e da la sete infesta
vinto, si
trasse l'elmo da la fronte;
legò
il destrier tra le più spesse fronde,
e poi venne
per bere alle fresche onde.
12
Non avea
messo ancor le labra in molle,
ch'un
villanel che v'era ascoso appresso,
sbuca fuor
d'una macchia, e il destrier tolle,
sopra vi
sale, e se ne va con esso.
Astolfo il
rumor sente, e'l capo estolle;
e poi che 'l
danno suo vede sì espresso,
lascia la
fonte, e sazio senza bere,
gli va dietro
correndo a più potere.
13
Quel ladro
non si stende a tutto corso,
che dileguato
si saria di botto;
ma or
lentando or raccogliendo il morso,
se ne va di
galoppo e di buon trotto.
Escon del
bosco dopo un gran discorso;
e l'uno e
l'altro al fin si fu ridotto
là
dove tanti nobili baroni
eran senza
prigion più che prigioni.
14
Dentro il
palagio il villanel si caccia
con quel
destrier che i venti al corso adegua.
Forza
è ch'Astolfo, il qual lo scudo impaccia,
l'elmo e
l'altr'arme, di lontan lo segua.
Pur giunge
anch'egli, e tutta quella traccia
che fin qui
avea seguita, si dilegua;
che
più né Rabican né 'l ladro vede,
e gira gli
occhi, e indarno affretta il piede;
15
affretta il
piede e va cercando invano
e le logge e
le camere e le sale;
ma per
trovare il perfido villano,
di sua fatica
nulla si prevale.
Non sa dove
abbia ascoso Rabicano,
quel suo
veloce sopra ogni animale;
e senza
frutto alcun tutto quel giorno
cercò
di su di giù, dentro e d'intorno.
16
Confuso e
lasso d'aggirarsi tanto,
s'avvide che
quel loco era incantato;
e del
libretto ch'avea sempre a canto,
che
Logistilla in India gli avea dato,
acciò
che, ricadendo in nuovo incanto,
potessi
aitarsi, si fu ricordato:
all'indice
ricorse, e vide tosto
a quante
carte era il rimedio posto.
17
Del palazzo
incantato era difuso
scritto nel
libro; e v'eran scritti i modi
di fare il
mago rimaner confuso,
e a tutti
quei prigion di sciorre i nodi.
Sotto la
soglia era uno spirto chiuso,
che facea
questi inganni e queste frodi:
e levata la
pietra ov'è sepolto,
per lui
sarà il palazzo in fumo sciolto.
18
Desideroso di
condurre a fine
il paladin
sì gloriosa impresa,
non tarda
più che 'l braccio non inchine
a provar
quanto il grave marmo pesa.
Come Atlante
le man vede vicine
per far che
l'arte sua sia vilipesa,
sospettoso di
quel che può avvenire,
lo va con
nuovi incanti ad assalire.
19
Lo fa con
diaboliche sue larve
parer da quel
diverso, che solea:
gigante ad
altri, ad altri un villan parve,
ad altri un
cavallier di faccia rea.
Ognuno in
quella forma in che gli apparve
nel bosco il
mago, il paladin vedea;
sì che
per riaver quel che gli tolse
il mago,
ognuno al paladin si volse.
20
Ruggier,
Gradasso, Iroldo, Bradamante,
Brandimarte,
Prasildo, altri guerrieri
in questo
nuovo error si fero inante,
per
distruggere il duca accesi e fieri.
Ma ricordossi
il corno in quello istante,
che fe' loro
abbassar gli animi altieri.
Se non si
soccorrea col grave suono,
morto era il
paladin senza perdono.
21
Ma tosto che
si pon quel corno a bocca
e fa sentire
intorno il suono orrendo,
a guisa dei
colombi, quando scocca
lo scoppio,
vanno i cavallier fuggendo.
Non meno al
negromante fuggir tocca,
non men fuor
de la tana esce temendo
pallido e
sbigottito, e se ne slunga
tanto, che 'l
suono orribil non lo giunga.
22
Fuggì
il guardian coi suo' prigioni; e dopo
de le stalle
fuggir molti cavalli,
ch'altro che
fune a ritenerli era uopo,
e seguiro i
patron per vari calli.
In casa non
restò gatta né topo
al suon che
par che dica: Dàlli, dàlli.
Sarebbe ito
con gli altri Rabicano,
se non
ch'all'uscir venne al duca in mano.
23
Astolfo, poi
ch'ebbe cacciato il mago,
levò
di su la soglia il grave sasso,
e vi
ritrovò sotto alcuna imago,
ed altre cose
che di scriver lasso:
e di
distrugger quello incanto vago,
di ciò
che vi trovò, fece fraccasso,
come gli
mostra il libro che far debbia;
e si sciolse
il palazzo in fumo e in nebbia.
24
Quivi
trovò che di catena d'oro
di Ruggiero
il cavallo era legato,
parlo di quel
che 'l negromante moro
per mandarlo
ad Alcina gli avea dato;
a cui poi
Logistilla fe' il lavoro
del freno,
ond'era in Francia ritornato,
e girato da
l'India all'Inghilterra
tutto avea il
lato destro de la terra.
25
Non so se vi
ricorda che la briglia
lasciò
attaccata all'arbore quel giorno
che nuda da
Ruggier sparì la figlia
di Galafrone,
e gli fe' l'alto scorno.
Fe' il
volante destrier, con maraviglia
di chi lo
vide, al mastro suo ritorno;
e con lui
stette infin al giorno sempre,
che de l'incanto
fur rotte le tempre.
26
Non potrebbe
esser stato più giocondo
d'altra
aventura Astolfo, che di questa;
che per
cercar la terra e il mar, secondo
ch'avea
desir, quel ch'a cercar gli resta,
e girar tutto
in pochi giorni il mondo,
troppo
venìa questo ippogrifo a sesta.
Sapea egli
ben quanto a portarlo era atto,
che l'avea
altrove assai provato in fatto.
27
Quel giorno
in India lo provò, che tolto
da la savia
Melissa fu di mano
a quella
scelerata che travolto
gli avea in
mirto silvestre il viso umano:
e ben vide e
notò come raccolto
gli fu sotto
la briglia il capo vano
da
Logistilla, e vide come istrutto
fosse Ruggier
di farlo andar per tutto.
28
Fatto disegno
l'ippogrifo torsi,
la sella sua,
ch'appresso avea, gli messe;
e gli fece,
levando da più morsi
una cosa ed
un'altra, un che lo resse;
che dei
destrier ch'in fuga erano corsi,
quivi
attaccate eran le briglie spesse.
Ora un
pensier di Rabicano solo
lo fa tardar
che non si leva a volo.
29
D'amar quel
Rabicano avea ragione;
che non v'era
un miglior per correr lancia,
e l'avea da
l'estrema regione
de l'India
cavalcato insin in Francia.
Pensa egli
molto; e in somma si dispone
darne
più tosto ad un suo amico mancia,
che,
lasciandolo quivi in su la strada,
se l'abbia il
primo ch'a passarvi accada.
30
Stava mirando
se vedea venire
pel bosco o
cacciatore o alcun villano,
da cui far si
potesse indi seguire
a qualche
terra, e trarvi Rabicano.
Tutto quel
giorno e sin all'apparire
de l'altro
stette riguardando invano.
L'altro
matin, ch'era ancor l'aer fosco,
veder gli
parve un cavallier pel bosco.
31
Ma mi
bisogna, s'io vo' dirvi il resto,
ch'io trovi
Ruggier prima e Bradamante.
Poi che si
tacque il corno, e che da questo
loco la bella
coppia fu distante,
guardò
Ruggiero, e fu a conoscer presto
quel che fin qui
gli avea nascoso Atlante:
fatto avea
Atlante che fin a quell'ora
tra lor non
s'eran conosciuti ancora.
32
Ruggier
riguarda Bradamante, ed ella
riguarda lui
con alta maraviglia,
che tanti
dì l'abbia offuscato quella
illusion
sì l'animo e le ciglia.
Ruggiero
abbraccia la sua donna bella,
che
più che rosa ne divien vermiglia;
e poi di su
la bocca i primi fiori
cogliendo
vien dei suoi beati amori.
33
Tornaro ad
iterar gli abbracciamenti
mille fiate,
ed a tenersi stretti
i duo felici
amanti, e sì contenti,
ch'a pena i
gaudi lor capiano i petti.
Molto lor
duol che per incantamenti,
mentre che
fur negli errabondi tetti,
tra lor non
s'eran mai riconosciuti,
e tanti lieti
giorni eran perduti.
34
Bradamante,
disposta di far tutti
i piaceri che
far vergine saggia
debbia ad un
suo amator, sì che di lutti,
senza il suo
onore offendere, il sottraggia;
dice a
Ruggier, se a dar gli ultimi frutti
lei non vuol
sempre aver dura e selvaggia,
la faccia
domandar per buoni mezzi
al padre
Amon: ma prima si battezzi.
35
Ruggier, che
tolto avria non solamente
viver
cristiano per amor di questa,
com'era stato
il padre, e antiquamente
l'avolo e
tutta la sua stirpe onesta;
ma, per farle
piacere, immantinente
data le avria
la vita che gli resta:
- Non che ne
l'acqua (disse), ma nel fuoco
per tuo amor
porre il capo mi fia poco. -
36
Per
battezzarsi dunque, indi per sposa
la donna
aver, Ruggier si messe in via,
guidando
Bradamante a Vallombrosa
(così
fu nominata una badia
ricca e
bella, né men religiosa,
e cortese a
chiunque vi venìa);
e trovaro
all'uscir de la foresta
donna che
molto era nel viso mesta.
37
Ruggier, che
sempre uman, sempre cortese
era a
ciascun, ma più alle donne molto,
come le belle
lacrime comprese
cader rigando
il delicato volto,
n'ebbe
pietade, e di disir s'accese
di saper il
suo affanno; ed a lei volto,
dopo onesto
saluto, domandolle
perch'avea
sì di pianto il viso molle.
38
Ed ella,
alzando i begli umidi rai,
umanissimamente
gli rispose,
e la cagion
de' suoi penosi guai,
poi che le
domandò, tutta gli espose.
- Gentil
signor (disse ella), intenderai
che queste
guance son sì lacrimose
per la
pietà ch'a un giovinetto porto,
ch'in un
castel qui presso oggi fia morto.
39
Amando una
gentil giovane e bella,
che di
Marsilio re di Spagna è figlia,
sotto un vel
bianco e in feminil gonella,
finta la voce
e il volger de le ciglia,
egli ogni
notte si giacea con quella,
senza darne
sospetto alla famiglia:
ma sì
secreto alcuno esser non puote,
ch'al lungo
andar non sia chi 'l vegga e note.
40
Se n'accorse
uno, e ne parlò con dui;
gli dui con
altri, insin ch'al re fu detto.
Venne un
fedel del re l'altr'ieri a nui,
che questi
amanti fe' pigliar nel letto;
e ne la rocca
gli ha fatto ambedui
divisamente
chiudere in distretto:
né credo per
tutto oggi ch'abbia spazio
il gioven,
che non mora in pena e in strazio.
41
Fuggita me ne
son per non vedere
tal
crudeltà; che vivo l'arderanno:
né cosa mi
potrebbe più dolere,
che faccia di
sì bel giovine il danno;
né
potrò aver giamai tanto piacere,
che non si
volga subito in affanno,
che de la
crudel fiamma mi rimembri,
ch'abbia arsi
i belli e delicati membri. -
42
Bradamante
ode, e par ch'assai le prema
questa
novella, e molto il cor l'annoi;
né par che
men per quel dannato tema,
che se fosse
uno dei fratelli suoi.
Né certo la
paura in tutto scema
era di causa,
come io dirò poi.
Si volse ella
a Ruggiero, e disse: - Parme
ch'in favor
di costui sien le nostr'arme. -
43
E disse a
quella mesta: - Io ti conforto
che tu vegga di
porci entro alle mura,
che se 'l
giovine ancor non avran morto,
più
non l'uccideran, stanne sicura. -
Ruggiero,
avendo il cor benigno scorto
de la sua
donna e la pietosa cura,
sentì
tutto infiammarsi di desire
di non
lasciare il giovine morire.
44
Ed alla
donna, a cui dagli occhi cade
un rio di
pianto, dice: - Or che s'aspetta?
Soccorrer
qui, non lacrimare accade:
fa ch'ove
è questo tuo, pur tu ci metta.
Di mille
lance trar, di mille spade
tel
promettian, pur che ci meni in fretta:
ma studia il
passo più che puoi, che tarda
non sia
l'aita, e intanto il fuoco l'arda. -
45
L'alto
parlare e la fiera sembianza
di quella
coppia a maraviglia ardita,
ebbon di
tornar forza la speranza
colà
dond'era già tutta fuggita;
ma
perch'ancor, più che la lontananza,
temeva il
ritrovar la via impedita,
e che saria
per questo indarno presa,
stava la
donna in sé tutta sospesa.
46
Poi disse
lor: - Facendo noi la via
che dritta e
piana va fin a quel loco,
credo ch'a
tempo vi si giungeria,
che non
sarebbe ancora acceso il fuoco:
ma gir
convien per così torta e ria,
che 'l
termine d'un giorno saria poco
a riuscirne;
e quando vi saremo,
che troviam
morto il giovine mi temo. -
47
- E perché
non andian (disse Ruggiero)
per la
più corta? - E la donna rispose:
- Perché un
castel de' conti da Pontiero
tra via si
trova, ove un costume pose,
non son tre
giorni ancora, iniquo e fiero
a cavallieri
e a donne aventurose,
Pinabello, il
peggior uomo che viva,
figliuol del
conte Anselmo d'Altariva.
48
Quindi né
cavallier né donna passa,
che se ne
vada senza ingiuria e danni:
l'uno e
l'altro a piè resta; ma vi lassa
il guerrier
l'arme, e la donzella i panni.
Miglior
cavallier lancia non abbassa,
e non
abbassò in Francia già molt'anni,
di quattro
che giurato hanno al castello
la legge
mantener di Pinabello.
49
Come l'usanza
(che non è più antiqua
di tre
dì) cominciò, vi vo' narrare;
e sentirete
se fu dritta o obliqua
cagion che i
cavallier fece giurare.
Pinabello ha
una donna così iniqua,
così
bestial, ch'al mondo è senza pare;
che con lui,
non so dove, andando un giorno,
ritrovò
un cavallier che le fe' scorno.
50
Il cavallier,
perché da lei beffato
fu d'una
vecchia che portava in groppa,
giostrò
con Pinabel ch'era dotato
di poca forza
e di superbia troppa;
ed
abbattello, e lei smontar nel prato
fece, e
provò s'andava dritta o zoppa:
lasciolla a
piede, e fe' de la gonella
di lei vestir
l'antiqua damigella.
51
Quella ch'a
piè rimase, dispettosa,
e di vendetta
ingorda e sitibonda,
congiunta a
Pinabel che d'ogni cosa
dove sia da
mal far, ben la seconda,
né giorno
mai, né notte mai riposa,
e dice che
non fia mai più gioconda,
se mille
cavallieri e mille donne
non mette a
piedi, e lor tolle arme e gonne.
52
Giunsero il
dì medesmo, come accade,
quattro gran
cavallieri ad un suo loco,
li quai di
rimotissime contrade
venuti a
queste parti eran di poco;
di tal valor,
che non ha nostra etade
tant'altri
buoni al bellicoso gioco:
Aquilante,
Grifone e Sansonetto,
ed un Guidon
Selvaggio giovinetto.
53
Pinabel con
sembiante assai cortese
al castel
ch'io v'ho detto gli raccolse.
La notte poi
tutti nel letto prese,
e presi
tenne; e prima non li sciolse,
che li fece
giurar ch'un anno e un mese
(questo fu a
punto il termine che tolse)
stariano
quivi, e spogliarebbon quanti
vi capitasson
cavallieri erranti;
54
e le donzelle
ch'avesson con loro
porriano a
piedi, e torrian lor le vesti.
Così
giurar, così costretti foro
ad osservar,
ben che turbati e mesti.
Non par che
fin a qui contra costoro
alcun possa
giostrar, ch'a piè non resti:
e capitati vi
sono infiniti,
ch'a
piè e senz'arme se ne son partiti.
55
È
ordine tra lor, che chi per sorte
esce fuor
prima, vada a correr solo:
ma se trova
il nimico così forte,
che resti in
sella, e getti lui nel suolo,
sono ubligati
gli altri infin a morte
pigliar
l'impresa tutti in uno stuolo.
Vedi or, se
ciascun d'essi è così buono,
quel ch'esser
de', se tutti insieme sono.
56
Poi non
conviene all'importanza nostra
che ne vieta
ogni indugio, ogni dimora,
che punto vi
fermiate a quella giostra;
e presuppongo
che vinciate ancora,
che vostra
alta presenza lo dimostra,
ma non
è cosa da fare in un'ora;
ed è
gran dubbio che 'l giovine s'arda,
se tutto oggi
a soccorrerlo si tarda. -
57
Disse
Ruggier: - Non riguardiamo a questo:
facciàn
nui quel che si può far per nui;
abbia chi
regge il ciel cura del resto,
o la Fortuna,
se non tocca a lui.
Ti fia per
questa giostra manifesto,
se buoni
siamo d'aiutar colui
che per
cagion sì debole e sì lieve,
come n'hai
detto, oggi bruciar si deve. -
58
Senza
risponder altro, la donzella
si messe per
la via ch'era più corta.
Più di
tre miglia non andar per quella,
che si
trovaro al ponte ed alla porta
dove si
perdon l'arme e la gonnella,
e de la vita
gran dubbio si porta.
Al primo
apparir lor, di su la rocca
è chi
duo botti la campana tocca.
59
Ed ecco de la
porta con gran fretta,
trottando
s'un ronzino, un vecchio uscìo;
e quel
venìa gridando: - Aspetta aspetta:
restate
olà, che qui si paga il fio:
e se l'usanza
non v'è stata detta,
che qui si
tiene, or ve la vo' dir io. -
E contar loro
incominciò di quello
costume, che
servar fa Pinabello.
60
Poi
seguitò, volendo dar consigli,
com'era usato
agli altri cavallieri:
- Fate
spogliar la donna (dicea), figli,
e voi l'arme
lasciateci e i destrieri;
e non
vogliate mettervi a perigli
d'andare
incontra a tai quattro guerrieri.
Per tutto
vesti, arme e cavalli s'hanno:
la vita sol
mai non ripara il danno. -
61
- Non
più (disse Ruggier), non più; ch'io sono
del tutto
informatissimo, e qui venni
per far prova
di me, se così buono
in fatti son,
come nel cor mi tenni.
Arme, vesti e
cavallo altrui non dono,
s'altro non
sento che minacce e cenni;
e son ben
certo ancor, che per parole
il mio
compagno le sue dar non vuole.
62
Ma, per Dio,
fa ch'io vegga tosto in fronte
quei che ne
voglion torre arme e cavallo;
ch'abbiamo da
passar anco quel monte,
e qui non si
può far troppo intervallo. -
Rispose il
vecchio: - Eccoti fuor del ponte
chi vien per
farlo: - e non lo disse in fallo;
ch'un
cavallier n'uscì, che sopraveste
vermiglie
avea, di bianchi fior conteste.
63
Bradamante
pregò molto Ruggiero
che le
lasciasse in cortesia l'assunto
di gittar de
la sella il cavalliero,
ch'avea di
fiori il bel vestir trapunto;
ma non poté
impetrarlo, e fu mestiero
a lei far
ciò che Ruggier volse a punto.
Egli volse
l'impresa tutta avere,
e Bradamante
si stesse a vedere.
64
Ruggiero al
vecchio domandò chi fosse
questo primo
ch'uscia fuor de la porta.
- È
Sansonetto (disse); che le rosse
veste conosco
e i bianchi fior che porta. -
L'uno di qua,
l'altro di là si mosse
senza
parlarsi, e fu l'indugia corta;
che s'andaro
a trovar coi ferri bassi,
molto
affrettando i lor destrieri i passi.
65
In questo
mezzo de la rocca usciti
eran con
Pinabel molti pedoni,
presti per
levar l'arme ed espediti
ai cavallier
ch'uscian fuor degli arcioni.
Veniansi
incontra i cavallieri arditi,
fermando in
su le reste i gran lancioni,
grossi duo
palmi, di nativo cerro,
che quasi
erano uguali insino al ferro.
66
Di tali
n'avea più d'una decina
fatto tagliar
di su lor ceppi vivi
Sansonetto a
una selva indi vicina,
e portatone
duo per giostrar quivi.
Aver scudo e
corazza adamantina
bisogna ben,
che le percosse schivi.
Aveane fatto
dar, tosto che venne,
l'uno a
Ruggier, l'altro per sé ritenne.
67
Con questi,
che passar dovean gl'incudi
(sì
ben ferrate avean le punte estreme),
di qua e di
là fermandoli agli scudi,
a mezzo il
corso si scontraro insieme.
Quel di
Ruggiero, che i demòni ignudi
fece sudar,
poco del colpo teme:
de lo scudo
vo' dir che fece Atlante,
de le cui
forze io v'ho già detto inante.
68
Io v'ho
già detto che con tanta forza
l'incantato
splendor negli occhi fere,
ch'al
discoprirsi ogni veduta ammorza,
e tramortito
l'uom fa rimanere:
perciò,
s'un gran bisogno non lo sforza,
d'un vel
coperto lo solea tenere.
Si crede
ch'anco impenetrabil fosse,
poi ch'a
questo incontrar nulla si mosse.
69
L'altro,
ch'ebbe l'artefice men dotto,
il gravissimo
colpo non sofferse.
Come tocco da
fulmine, di botto
diè
loco al ferro, e pel mezzo s'aperse;
diè
loco al ferro, e quel trovò di sotto
il braccio
ch'assai mal si ricoperse;
sì che
ne fu ferito Sansonetto,
e de la sella
tratto al suo dispetto.
70
E questo il
primo fu di quei compagni
che quivi
mantenean l'usanza fella,
che de le
spoglie altrui non fe' guadagni,
e ch'alla
giostra uscì fuor de la sella.
Convien chi
ride, anco talor si lagni,
e Fortuna
talor trovi ribella.
Quel da la
rocca, replicando il botto,
ne fece agli
altri cavallieri motto.
71
S'era
accostato Pinabello intanto
a Bradamante,
per saper chi fusse
colui che con
prodezza e valor tanto
il cavallier
del suo castel percusse.
La giustizia
di Dio, per dargli quanto
era il merito
suo, vi lo condusse
su quel
destrier medesimo ch'inante
tolto avea
per inganno a Bradamante.
72
Fornito a
punto era l'ottavo mese
che, con lei
ritrovandosi a camino,
(se 'l vi
raccorda) questo Maganzese
la
gittò ne la tomba di Merlino,
quando da
morte un ramo la difese,
che seco
cadde, anzi il suo buon destino;
e trassene,
credendo ne lo speco
ch'ella fosse
sepolta, il destrier seco.
73
Bradamante
conosce il suo cavallo,
e conosce per
lui l'iniquo conte;
e poi ch'ode
la voce, e vicino hallo
con maggiore
attenzion mirato in fronte:
- Questo
è il traditor (disse), senza fallo,
che
procacciò di farmi oltraggio ed onte:
ecco il
peccato suo, che l'ha condutto
ove
avrà de' suoi merti il premio tutto. -
74
Il minacciare
e il por mano alla spada
fu tutto a un
tempo, e lo aventarsi a quello;
ma inanzi
tratto gli levò la strada,
che non poté
fuggir verso il castello.
Tolta
è la speme ch'a salvar si vada,
come volpe
alla tana, Pinabello.
Egli gridando
e senza mai far testa,
fuggendo si
cacciò ne la foresta.
75
Pallido e
sbigottito il miser sprona,
che posto ha
nel fuggir l'ultima speme.
L'animosa
donzella di Dordona
gli ha il
ferro ai fianchi, e lo percuote e preme:
vien con lui
sempre, e mai non l'abbandona.
Grande
è il rumore, e il bosco intorno geme.
Nulla al
castel di questo ancor s'intende,
però
ch'ognuno a Ruggier solo attende.
76
Gli altri tre
cavallier de la fortezza
intanto erano
usciti in su la via;
ed avean seco
quella male avezza
che v'avea
posta la costuma ria.
A ciascun di
lor tre, che 'l morir prezza
più
ch'aver vita che con biasmo sia,
di vergogna
arde il viso, e il cor di duolo,
che tanti ad
assalir vadano un solo.
77
La crudel
meretrice ch'avea fatto
por quella
iniqua usanza ed osservarla,
il giuramento
lor ricorda e il patto
ch'essi fatti
l'avean, di vendicarla.
- Se sol con
questa lancia te gli abbatto,
perché mi
vòi con altre accompagnarla?
(dicea Guidon
Selvaggio): e s'io ne mento,
levami il
capo poi, ch'io son contento. -
78
Così
dicea Grifon, così Aquilante.
Giostrar da
sol a sol volea ciascuno,
e preso e
morto rimanere inante
ch'incontra
un sol volere andar più d'uno.
La donna
dicea loro: - A che far tante
parole qui
senza profitto alcuno?
Per torre a
colui l'arme io v'ho qui tratti,
non per far
nuove leggi e nuovi patti.
79
Quando io
v'avea in prigione, era da farme
queste
escuse, e non ora, che son tarde.
Voi dovete il
preso ordine servarme,
non vostre
lingue far vane e bugiarde. -
Ruggier
gridava lor: - Eccovi l'arme,
ecco il
destrier c'ha nuovo e sella e barde;
i panni de la
donna eccovi ancora:
se li volete,
a che più far dimora? -
80
La donna del
castel da un lato preme,
Ruggier da
l'altro li chiama e rampogna,
tanto ch'a
forza si spiccaro insieme,
ma nel viso
infiammati di vergogna.
Dinanzi
apparve l'uno e l'altro seme
del marchese
onorato di Borgogna;
ma Guidon,
che più grave ebbe il cavallo,
venìa
lor dietro con poco intervallo.
81
Con la
medesima asta con che avea
Sansonetto
abbattuto, Ruggier viene,
coperto da lo
scudo che solea
Atlante aver
sui monti di Pirene:
dico quello
incantato, che splendea
tanto, ch'umana
vista nol sostiene;
a cui Ruggier
per l'ultimo soccorso
nei
più gravi perigli avea ricorso.
82
Ben che sol
tre fiate bisognolli,
e certo in
gran perigli, usarne il lume:
le prime due,
quando dai regni molli
si trasse a
più lodevole costume;
la terza,
quando i denti mal satolli
lasciò
de l'orca alle marine spume,
che dovean
devorar la bella nuda
che fu a chi
la campò poi così cruda.
83
Fuor che
queste tre volte, tutto 'l resto
lo tenea
sotto un velo in modo ascoso,
ch'a
discoprirlo esser potea ben presto,
che del suo
aiuto fosse bisognoso.
Quivi alla
giostra ne venìa con questo,
come io v'ho
detto ancora, sì animoso,
che quei tre
cavallier che vedea inanti,
manco temea
che pargoletti infanti.
84
Ruggier
scontra Grifone, ove la penna
de lo scudo
alla vista si congiunge.
Quel di cader
da ciascun lato accenna,
ed al fin
cade, e resta al destrier lunge.
Mette allo
scudo a lui Grifon l'antenna;
ma pel
traverso e non pel dritto giunge:
e perché lo
trovò forbito e netto,
l'andò
strisciando, e fe' contrario effetto.
85
Roppe il velo
e squarciò, che gli copria
lo spaventoso
ed incantato lampo,
al cui
splendor cader si convenia
con gli occhi
ciechi, e non vi s'ha alcun scampo.
Aquilante,
ch'a par seco venìa,
stracciò
l'avanzo, e fe' lo scudo vampo.
Lo splendor
ferì gli occhi ai duo fratelli
ed a Guidon,
che correa dopo quelli.
86
Chi di qua,
chi di là cade per terra:
lo scudo non
pur lor gli occhi abbarbaglia,
ma fa che
ogn'altro senso attonito erra.
Ruggier, che
non sa il fin de la battaglia,
volta il
cavallo; e nel voltare afferra
la spada sua
che sì ben punge e taglia:
e nessun vede
che gli sia all'incontro,
che tutti
eran caduti a quello scontro.
87
I cavallieri
e insieme quei ch'a piede
erano usciti,
e così le donne anco,
e non meno i
destrieri in guisa vede,
che par che
per morir battano il fianco.
Prima si
maraviglia, e poi s'avvede
che 'l velo
ne pendea dal lato manco:
dico il velo
di seta, in che solea
chiuder la
luce di quel caso rea.
88
Presto si
volge, e nel voltar, cercando
con gli occhi
va l'amata sua guerriera;
e vien
là dove era rimasa, quando
la prima
giostra cominciata s'era.
Pensa
ch'andata sia (non la trovando)
a vietar che
quel giovine non pera,
per dubbio
ch'ella ha forse che non s'arda
in questo
mezzo ch'a giostrar si tarda.
89
Fra gli altri
che giacean vede la donna,
la donna che
l'avea quivi guidato.
Dinanzi se la
pon, sì come assonna,
e via cavalca
tutto conturbato.
D'un manto
ch'essa avea sopra la gonna,
poi ricoperse
lo scudo incantato;
e i sensi
riaver le fece, tosto
che 'l nocivo
splendore ebbe nascosto.
90
Via se ne va
Ruggier con faccia rossa
che, per
vergogna, di levar non osa:
gli par
ch'ognuno improverar gli possa
quella
vittoria poco gloriosa.
- Ch'emenda
poss'io fare, onde rimossa
mi sia una
colpa tanto obbrobriosa?
che
ciò ch'io vinsi mai, fu per favore,
diran,
d'incanti, e non per mio valore. -
91
Mentre
così pensando seco giva,
venne in quel
che cercava a dar di cozzo;
che 'n mezzo
de la strada soprarriva
dove profondo
era cavato un pozzo.
Quivi
l'armento alla calda ora estiva
si ritraea,
poi ch'avea pieno il gozzo.
Disse
Ruggiero: - Or proveder bisogna,
che non mi
facci, o scudo, più vergogna.
92
Più
non starai tu meco; e questo sia
l'ultimo
biasmo c'ho d'averne al mondo. -
Così
dicendo, smonta ne la via:
piglia una
grossa pietra e di gran pondo,
e la lega
allo scudo, ed ambi invia
per l'alto
pozzo a ritrovarne il fondo;
e dice: -
Costà giù statti sepulto,
e teco stia
sempre il mio obbrobrio occulto. -
93
Il pozzo
è cavo, e pieno al sommo d'acque:
grieve
è lo scudo, e quella pietra grieve.
Non si
fermò fin che nel fondo giacque:
sopra si
chiuse il liquor molle e lieve.
Il nobil atto
e di splendor non tacque
la vaga Fama,
e divulgollo in breve;
e di rumor
n'empì, suonando il corno,
e Francia e
Spagna e le province intorno.
94
Poi che di
voce in voce si fe' questa
strana
aventura in tutto il mondo nota,
molti
guerrier si missero all'inchiesta
e di parte
vicina e di remota:
ma non sapean
qual fosse la foresta
dove nel
pozzo il sacro scudo nuota;
che la donna
che fe' l'atto palese,
dir mai non
volse il pozzo né il paese.
95
Al partir che
Ruggier fe' dal castello,
dove avea
vinto con poca battaglia;
che i quattro
gran campion di Pinabello
fece restar
come uomini di paglia;
tolto lo scudo,
avea levato quello
lume che gli
occhi e gli animi abbarbaglia:
e quei che
giaciuti eran come morti,
pieni di
meraviglia eran risorti.
96
Né per tutto
quel giorno si favella
altro fra
lor, che de lo strano caso,
e come fu che
ciascun d'essi a quella
orribil luce
vinto era rimaso.
Mentre parlan
di questo, la novella
vien lor di
Pinabel giunto all'occaso:
che Pinabello
è morto hanno l'aviso,
ma non sanno
però chi l'abbia ucciso.
97
L'ardita
Bradamante in questo mezzo
giunto avea
Pinabello a un passo stretto;
e cento volte
gli avea fin a mezzo
messo il
brando pei fianchi e per lo petto.
Tolto ch'ebbe
dal mondo il puzzo e 'l lezzo
che tutto
intorno avea il paese infetto,
le spalle al
bosco testimonio volse
con quel
destrier che già il fellon le tolse.
98
Volse tornar
dove lasciato avea
Ruggier; né
seppe mai trovar la strada.
Or per valle
or per monte s'avvolgea:
tutta quasi
cercò quella contrada.
Non volse mai
la sua fortuna rea,
che via
trovasse onde a Ruggier si vada.
Questo altro
canto ad ascoltare aspetto
chi de
l'istoria mia prende diletto.
1
Studisi ognun
giovare altrui; che rade
volte il ben
far senza il suo premio fia:
e se pur
senza, almen non te ne accade
morte né
danno né ignominia ria.
Chi nuoce
altrui, tardi o per tempo cade
il debito a
scontar, che non s'oblia.
Dice il
proverbio, ch'a trovar si vanno
gli uomini
spesso, e i monti fermi stanno.
2
Or vedi quel
ch'a Pinabello avviene
per essersi
portato iniquamente:
è
giunto in somma alle dovute pene,
dovute e
giuste alla sua ingiusta mente.
E Dio, che le
più volte non sostiene
veder patire
a torto uno innocente,
salvò
la donna; e salverà ciascuno
che d'ogni
fellonia viva digiuno.
3
Credette
Pinabel questa donzella
già
d'aver morta, e colà giù sepulta;
né la pensava
mai veder, non ch'ella
gli avesse a
tor degli error suoi la multa.
Né il
ritrovarsi in mezzo le castella
del padre, in
alcun util gli risulta.
Quivi
Altaripa era tra monti fieri
vicina al
tenitorio di Pontieri.
4
Tenea
quell'Altaripa il vecchio conte
Anselmo, di
ch'uscì questo malvagio,
che, per
fuggir la man di Chiaramonte,
d'amici e di
soccorso ebbe disagio.
La donna al
traditore a piè d'un monte
tolse
l'indegna vita a suo grande agio;
che d'altro
aiuto quel non si provede,
che d'alti
gridi e di chiamar mercede.
5
Morto ch'ella
ebbe il falso cavalliero
che lei
voluto avea già porre a morte,
volse tornare
ove lasciò Ruggiero;
ma non lo
consentì sua dura sorte,
che la fe'
traviar per un sentiero
che la
portò dov'era spesso e forte,
dove
più strano e più solingo il bosco,
lasciando il
sol già il mondo all'aer fosco.
6
Né sappiendo
ella ove potersi altrove
la notte
riparar, si fermò quivi
sotto le
frasche in su l'erbette nuove,
parte
dormendo, fin che 'l giorno arrivi,
parte mirando
ora Saturno or Giove,
Venere e
Marte e gli altri erranti divi;
ma sempre, o
vegli o dorma, con la mente
contemplando
Ruggier come presente.
7
Spesso di cor
profondo ella sospira,
di pentimento
e di dolor compunta,
ch'abbia in
lei, più ch'amor, potuto l'ira.
- L'ira
(dicea) m'ha dal mio amor disgiunta:
almen ci
avessi io posta alcuna mira,
poi ch'avea
pur la mala impresa assunta,
di saper
ritornar donde io veniva;
che ben fui
d'occhi e di memoria priva. -
8
Queste ed
altre parole ella non tacque,
e molto
più ne ragionò col core.
Il vento
intanto di sospiri, e l'acque
di pianto
facean pioggia di dolore.
Dopo una
lunga aspettazion pur nacque
in oriente il
disiato albore:
ed ella prese
il suo destrier ch'intorno
giva
pascendo, ed andò contra il giorno.
9
Né molto
andò, che si trovò all'uscita
del bosco,
ove pur dianzi era il palagio,
là
dove molti dì l'avea schernita
con tanto
error l'incantator malvagio.
Ritrovò
quivi Astolfo, che fornita
la briglia
all'ippogrifo avea a grande agio,
e stava in
gran pensier di Rabicano,
per non
sapere a chi lasciarlo in mano.
10
A caso si
trovò che fuor di testa
l'elmo allor
s'avea tratto il paladino;
sì che
tosto ch'uscì de la foresta,
Bradamante
conobbe il suo cugino.
Di lontan
salutollo, e con gran festa
gli corse, e
l'abbracciò poi più vicino;
e nominossi,
ed alzò la visiera,
e chiaramente
fe' veder ch'ell'era.
11
Non potea
Astolfo ritrovar persona
a chi il suo
Rabican meglio lasciasse,
perché
dovesse averne guardia buona
e
renderglielo poi come tornasse,
de la figlia
del duca di Dordona;
e parvegli
che Dio gli la mandasse.
Vederla
volentier sempre solea,
ma pel
bisogno or più ch'egli n'avea.
12
Da poi che
due o tre volte ritornati
fraternamente
ad abbracciar si foro,
e si for
l'uno a l'altro domandati
con molta
affezion de l'esser loro,
Astolfo
disse: - Ormai, se dei pennati
vo' 'l paese
cercar, troppo dimoro: -
ed aprendo
alla donna il suo pensiero,
veder le fece
il volator destriero.
13
A lei non fu
di molta maraviglia
veder
spiegare a quel destrier le penne;
ch'altra
volta, reggendogli la briglia
Atlante
incantator, contra le venne;
e le fece
doler gli occhi e le ciglia:
sì
fisse dietro a quel volar le tenne
quel giorno,
che da lei Ruggier lontano
portato fu
per camin lungo e strano.
14
Astolfo disse
a lei, che le volea
dar Rabican,
che sì nel corso affretta,
che, se
scoccando l'arco si movea,
si solea
lasciar dietro la saetta;
e tutte
l'arme ancor, quante n'avea,
che vuol che
a Montalban gli le rimetta,
e gli le
serbi fin al suo ritorno;
che non gli
fanno or di bisogno intorno.
15
Volendosene
andar per l'aria a volo,
aveasi a far
quanto potea più lieve.
Tiensi la
spada e 'l corno, ancor che solo
bastargli il
corno ad ogni risco deve.
Bradamante la
lancia che 'l figliuolo
portò
di Galafrone, anco riceve;
la lancia che
di quanti ne percuote
fa le selle
restar subito vote.
16
Salito
Astolfo sul destrier volante,
lo fa mover
per l'aria lento lento;
indi lo
caccia sì, che Bradamante
ogni vista ne
perde in un momento.
Così
si parte col pilota inante
il nochier
che gli scogli teme e 'l vento;
e poi che 'l
porto e i liti a dietro lassa,
spiega ogni
vela e inanzi ai venti passa.
17
La donna, poi
che fu partito il duca,
rimase in
gran travaglio de la mente;
che non sa
come a Montalban conduca
l'armatura e
il destrier del suo parente;
però
che 'l cuor le cuoce e le manuca
l'ingorda
voglia e il desiderio ardente
di riveder
Ruggier, che, se non prima,
a Vallombrosa
ritrovar lo stima.
18
Stando quivi
suspesa, per ventura
si vede
inanzi giungere un villano,
dal qual fa
rassettar quella armatura,
come si
puote, e por su Rabicano;
poi di
menarsi dietro gli diè cura
i duo
cavalli, un carco e l'altro a mano:
ella n'avea
duo prima; ch'avea quello
sopra il qual
levò l'altro a Pinabello.
19
Di
Vallombrosa pensò far la strada,
che trovar
quivi il suo Ruggier ha speme;
ma qual
più breve o qual miglior vi vada,
poco
discerne, e d'ire errando teme.
Il villan non
avea de la contrada
pratica
molta; ed erreranno insieme.
Pur andare a
ventura ella si messe,
dove
pensò che 'l loco esser dovesse.
20
Di qua di
là si volse, né persona
incontrò
mai da domandar la via.
Si
trovò uscir del bosco in su la nona
dove un
castel poco lontan scoprìa,
il qual la
cima a un monticel corona.
Lo mira, e
Montalban le par che sia:
ed era certo
Montalbano; e in quello
avea la matre
ed alcun suo fratello.
21
Come la donna
conosciuto ha il loco,
nel cor
s'attrista, e più ch'i' non so dire:
sarà
scoperta, se si ferma un poco,
né più
le sarà lecito a partire;
se non si
parte, l'amoroso foco
l'arderà
sì, che la farà morire:
non
vedrà più Ruggier, né farà cosa
di quel
ch'era ordinato a Vallombrosa.
22
Stette
alquanto a pensar; poi si risolse
di voler dar
a Montalban le spalle:
e verso la
badia pur si rivolse,
che quindi
ben sapea qual era il calle.
Ma sua
fortuna, o buona o trista, volse
che prima
ch'ella uscisse de la valle,
scontrasse
Alardo, un de' fratelli sui;
né tempo di
celarsi ebbe da lui.
23
Veniva da
partir gli alloggiamenti
per quel
contado a cavallieri e a fanti;
ch'ad istanza
di Carlo nuove genti
fatto avea de
le terre circostanti.
I saluti e i
fraterni abbracciamenti
con le grate
accoglienze andaro inanti;
e poi, di
molte cose a paro a paro
tra lor
parlando, in Montalban tornaro.
24
Entrò
la bella donna in Montalbano,
dove l'avea
con lacrimosa guancia
Beatrice
molto desiata invano,
e fattone
cercar per tutta Francia.
Or quivi i
baci e il giunger mano a mano
di matre e di
fratelli estimò ciancia
verso gli
avuti con Ruggier complessi,
ch'avrà
ne l'alma eternamente impressi.
25
Non potendo
ella andar, fece pensiero
ch'a
Vallombrosa altri in suo nome andasse
immantinente
ad avisar Ruggiero
de la cagion
ch'andar lei non lasciasse;
e lui pregar
(s'era pregar mestiero)
che quivi per
suo amor si battezzasse,
e poi venisse
a far quanto era detto,
sì che
si desse al matrimonio effetto.
26
Pel medesimo
messo fe' disegno
di mandar a
Ruggiero il suo cavallo,
che gli solea
tanto esser caro: e degno
d'essergli
caro era ben senza fallo;
che non
s'avria trovato in tutto 'l regno
dei Saracin,
né sotto il signor Gallo,
più
bel destrier di questo o più gagliardo,
eccetti
Brigliador, soli, e Baiardo.
27
Ruggier, quel
dì che troppo audace ascese
su
l'ippogrifo, e verso il ciel levosse,
lasciò
Frontino, e Bradamante il prese
(Frontino,
che 'l destrier così nomosse);
mandollo a
Montalbano, e a buone spese
tener lo
fece, e mai non cavalcosse,
se non per
breve spazio e a picciol passo;
sì
ch'era più che mai lucido e grasso.
28
Ogni sua donna
tosto, ogni donzella
pon seco in
opra, e con suttil lavoro
fa sopra seta
candida e morella
tesser ricamo
di finissimo oro;
e di quel
cuopre ed orna briglia e sella
del buon
destrier: poi sceglie una di loro
figlia di
Callitrefia sua nutrice,
d'ogni secreto
suo fida uditrice.
29
Quanto
Ruggier l'era nel core impresso,
mille volte
narrato avea a costei;
la
beltà, la virtude, i modi d'esso
esaltato
l'avea fin sopra i dei.
A sé
chiamolla, e disse: - Miglior messo
a tal bisogno
elegger non potrei;
che di te né
più fido né più saggio
imbasciator,
Ippalca mia, non aggio. -
30
Ippalca la
donzella era nomata.
- Va, - le
dice, e l'insegna ove de' gire;
e pienamente
poi l'ebbe informata
di quanto
avesse al suo signore a dire;
e far la
scusa se non era andata
al monaster:
che non fu per mentire;
ma che
Fortuna, che di noi potea
più
che noi stessi, da imputar s'avea.
31
Montar la
fece s'un ronzino, e in mano
la ricca
briglia di Frontin le messe:
e se
sì pazzo alcuno o sì villano
trovasse, che
levar le lo volesse;
per fargli a
una parola il cervel sano,
di chi fosse
il destrier sol gli dicesse;
che non sapea
sì ardito cavalliero,
che non
tremasse al nome di Ruggiero.
32
Di molte cose
l'ammonisce e molte,
che trattar
con Ruggier abbia in sua vece;
le qual poi
ch'ebbe Ippalca ben raccolte,
si pose in
via, né più dimora fece.
Per strade e
campi e selve oscure e folte
cavalcò
de le miglia più di diece;
che non fu a
darle noia chi venisse,
né a
domandarla pur dove ne gisse.
33
A mezzo il
giorno, nel calar d'un monte,
in una
stretta e malagevol via
si venne ad
incontrar con Rodomonte,
ch'armato un
piccol nano e a piè seguia.
Il Moro
alzò vêr lei 1'altiera fronte,
e
bestemmiò l'eterna Ierarchia,
poi che
sì bel destrier, sì bene ornato,
non avea in
man d'un cavallier trovato.
34
Avea giurato
che 'l primo cavallo
torria per
forza, che tra via incontrasse.
Or questo
è stato il primo; e trovato hallo
più
bello e più per lui, che mai trovasse:
ma torlo a
una donzella gli par fallo;
e pur agogna
averlo, e in dubbio stasse.
Lo mira, lo
contempla, e dice spesso:
- Deh perché
il suo signor non è con esso! -
35
- Deh ci
fosse egli! (gli rispose Ippalca)
che ti faria
cangiar forse pensiero.
Assai
più di te val chi lo cavalca,
né lo
pareggia al mondo altro guerriero. -
- Chi
è (le disse il Moro) che sì calca
l'onore
altrui? - Rispose ella: - Ruggiero. -
E quel
suggiunse: - Adunque il destrier voglio,
poi ch'a
Ruggier, sì gran campion, lo toglio.
36
Il qual, se
sarà ver, come tu parli,
che sia
sì forte, e più d'ogn'altro vaglia,
non che il
destrier, ma la vettura darli
converrammi,
e in suo albitrio fia la taglia.
Che Rodomonte
io sono, hai da narrarli,
e che, se pur
vorrà meco battaglia,
mi
troverà; ch'ovunque io vada o stia,
mi fa sempre
apparir la luce mia.
37
Dovunque io
vo, sì gran vestigio resta,
che non lo
lascia il fulmine maggiore. -
Così
dicendo, avea tornate in testa
le redine
dorate al corridore:
sopra gli
salta; e lacrimosa e mesta
rimane
Ippalca, e spinta dal dolore
minaccia
Rodomonte e gli dice onta:
non l'ascolta
egli, e su pel poggio monta.
38
Per quella
via dove lo guida il nano
per trovar
Mandricardo e Doralice,
gli viene
Ippalca dietro di lontano,
e lo
bestemmia sempre e maledice.
Ciò
che di questo avvenne, altrove è piano.
Turpin, che
tutta questa istoria dice,
fa qui
digresso, e torna in quel paese
dove fu
dianzi morto il Maganzese.
39
Dato avea a
pena a quel loco le spalle
la figliuola
d'Amon, ch'in fretta gìa,
che
v'arrivò Zerbin per altro calle
con la
fallace vecchia in compagnia:
e giacer vide
il corpo ne la valle
del
cavallier, che non sa già chi sia;
ma, come quel
ch'era cortese e pio,
ebbe
pietà del caso acerbo e rio.
40
Giaceva
Pinabello in terra spento,
versando il
sangue per tante ferite,
ch'esser
doveano assai, se più di cento
spade in sua
morte si fossero unite.
Il cavallier
di Scozia non fu lento
per l'orme
che di fresco eran scolpite
a porsi in
avventura, se potea
saper chi
l'omicidio fatto avea.
41
Ed a Gabrina
dice che l'aspette;
che senza
indugio a lei farà ritorno.
Ella presso
al cadavero si mette,
e fissamente
vi pon gli occhi intorno;
perché, se
cosa v'ha che le dilette,
non vuol
ch'un morto invan più ne sia adorno,
come colei
che fu, tra l'altre note,
quanto avara
esser più femina puote.
42
Se di
portarne il furto ascosamente
avesse avuto
modo o alcuna speme,
la sopravesta
fatta riccamente
gli avrebbe
tolta, e le bell'arme insieme.
Ma quel che
può celarsi agevolmente,
si piglia, e
'l resto fin al cor le preme.
Fra l'altre
spoglie un bel cinto levonne,
e se ne
legò i fianchi infra due gonne.
43
Poco dopo
arrivò Zerbin, ch'avea
seguito invan
di Bradamante i passi,
perché
trovò il sentier che si torcea
in molti rami
ch'ivano alti e bassi:
e poco ormai
del giorno rimanea,
né volea al
buio star fra quelli sassi;
e per trovare
albergo diè le spalle
con l'empia
vecchia alla funesta valle.
44
Quindi presso
a dua miglia ritrovaro
un gran
castel che fu detto Altariva,
dove per star
la notte si fermaro,
che
già a gran volo inverso il ciel saliva.
Non vi ster
molto, ch'un lamento amaro
l'orecchie
d'ogni parte lor feriva;
e veggon
lacrimar da tutti gli occhi,
come la cosa
a tutto il popul tocchi.
45
Zerbino
dimandonne, e gli fu detto
che venut'era
al cont'Anselmo aviso,
che fra duo
monti in un sentiero istretto
giacea il suo
figlio Pinabello ucciso.
Zerbin, per
non ne dar di sé sospetto,
di ciò
si finge nuovo, e abbassa il viso;
ma pensa ben,
che senza dubbio sia
quel ch'egli
trovò morto in su la via.
46
Dopo non
molto la bara funèbre
giunse, a
splendor di torchi e di facelle,
là
dove fece le strida più crebre
con un batter
di man gire alle stelle,
e con
più vena fuor de le palpèbre
le lacrime
inundar per le mascelle:
ma più
de l'altre nubilose ed atre
era la faccia
del misero patre.
47
Mentre
apparecchio si facea solenne
di grandi
esequie e di funèbri pompe,
secondo il
modo ed ordine che tenne
l'usanza
antiqua e ch'ogni età corrompe;
da parte del
signore un bando venne,
che tosto il
popular strepito rompe,
e promette
gran premio a chi dia aviso
chi stato sia
che gli abbia il figlio ucciso.
48
Di voce in
voce e d'una in altra orecchia
il grido e 'l
bando per la terra scorse,
fin che
l'udì la scelerata vecchia
che di rabbia
avanzò le tigri e l'orse;
e quindi alla
ruina s'apparecchia
di Zerbino, o
per l'odio che gli ha forse,
o per
vantarsi pur, che sola priva
d'umanitade
in uman corpo viva;
49
o fosse pur
per guadagnarsi il premio:
a ritrovar
n'andò quel signor mesto;
e dopo un
verisimil suo proemio,
gli disse che
Zerbin fatto avea questo:
e quel bel
cinto si levò di gremio,
che 'l miser
padre a riconoscer presto,
appresso il
testimonio e tristo uffizio
de l'empia
vecchia, ebbe per chiaro indizio.
50
E lacrimando
al ciel leva le mani,
che 'l
figliuol non sarà senza vendetta.
Fa circundar
l'albergo ai terrazzani;
che tutto 'l
popul s'è levato in fretta.
Zerbin che
gli nimici aver lontani
si crede, e
questa ingiuria non aspetta,
dal conte
Anselmo, che si chiama offeso
tanto da lui,
nel primo sonno è preso;
51
e quella
notte in tenebrosa parte
incatenato, e
in gravi ceppi messo.
Il sole ancor
non ha le luci sparte,
che
l'ingiusto supplicio è già commesso;
che nel loco
medesimo si squarte,
dove fu il
mal c'hanno imputato ad esso.
Altra esamina
in ciò non si facea:
bastava che
'l signor così credea.
52
Poi che
l'altro matin la bella Aurora
l'aer seren
fe' bianco e rosso e giallo,
tutto 'l
popul gridando: - Mora, mora, -
vien per
punir Zerbin del non suo fallo.
Lo sciocco
vulgo l'accompagna fuora,
senz'ordine,
chi a piede e chi a cavallo,
e 'l cavallier
di Scozia a capo chino
ne vien
legato in s'un piccol ronzino.
53
Ma Dio, che
spesso gl'innocenti aiuta,
né lascia mai
ch'in sua bontà si fida,
tal difesa
gli avea già proveduta,
che non
v'è dubbio più ch'oggi s'uccida.
Quivi Orlando
arrivò, la cui venuta
alla via del
suo scampo gli fu guida.
Orlando
giù nel pian vide la gente
che trae a
morte il cavallier dolente.
54
Era con lui
quella fanciulla, quella
che
ritrovò ne la selvaggia grotta,
del re galego
la figlia lssabella,
in poter
già de' malandrin condotta,
poi che
lasciato avea ne la procella
del
truculento mar la nave rotta:
quella che
più vicino al core avea
questo
Zerbin, che l'alma onde vivea.
55
Orlando se
l'avea fatta compagna,
poi che de la
caverna la riscosse.
Quando costei
li vide alla campagna,
domandò
Orlando, chi la turba fosse.
- Non so, -
diss'egli; e poi su la montagna
lasciolla, e
verso il pian ratto si mosse.
Guardò
Zerbino, ed alla vista prima
lo
giudicò baron di molta stima.
56
E fattosegli
appresso, domandollo
per che
cagione e dove il menin preso.
Levò
il dolente cavalliero il collo,
e meglio
avendo il paladino inteso,
rispose il
vero; e così ben narrollo,
che
meritò dal conte esser difeso.
Bene avea il
conte alle parole scorto
ch'era
innocente, e che moriva a torto.
57
E poi che
'ntese che commesso questo
era dal conte
Anselmo d'Altariva,
fu certo
ch'era torto manifesto;
ch'altro da
quel fellon mai non deriva.
Ed oltre a
ciò, l'uno era all'altro infesto
per
l'antiquissimo odio che bolliva
tra il sangue
di Maganza e di Chiarmonte;
e tra lor
eran morti e danni ed onte.
58
- Slegate il
cavallier (gridò), canaglia,
(il conte a'
masnadieri), o ch'io v'uccido. -
- Chi
è costui che sì gran colpi taglia?
(rispose un
che parer volle il più fido).
Se di cera
noi fussimo o di paglia,
e di fuoco
egli, assai fôra quel grido. -
E venne
contra il paladin di Francia:
Orlando
contra lui chinò la lancia.
59
La lucente
armatura il Maganzese,
che levata la
notte avea a Zerbino,
e postasela
indosso, non difese
contro
l'aspro incontrar del paladino.
Sopra la
destra guancia il ferro prese:
l'elmo non
passò già, perch'era fino;
ma tanto fu
de la percossa il crollo,
che la vita
gli tolse e roppe il collo.
60
Tutto in un
corso, senza tor di resta
la lancia,
passò un altro in mezzo 'l petto:
quivi
lasciolla, e la mano ebbe presta
a Durindana;
e nel drappel più stretto
a chi fece
due parti de la testa,
a chi
levò dal busto il capo netto;
forò
la gola a molti; e in un momento
n'uccise e
messe in rotta più di cento.
61
Più
del terzo n'ha morto, e 'l resto caccia
e taglia e
fende e fiere e fora e tronca.
Chi lo scudo,
e chi l'elmo che lo 'mpaccia,
e chi lascia
lo spiedo e chi la ronca;
chi al lungo,
chi al traverso il camin spaccia;
altri
s'appiatta in bosco, altri in spelonca.
Orlando, di
pietà questo dì privo,
a suo poter
non vuol lasciarne un vivo.
62
Di cento
venti (che Turpin sottrasse
il conto),
ottanta ne periro almeno.
Orlando
finalmente si ritrasse
dove a Zerbin
tremava il cor nel seno.
S'al ritornar
d'Orlando s'allegrasse,
non si potria
contare in versi a pieno.
Se gli saria
per onorar prostrato;
ma si
trovò sopra il ronzin legato.
63
Mentre
ch'Orlando, poi che lo disciolse,
l'aiutava a
ripor l'arme sue intorno,
ch'al capitan
de la sbirraglia tolse,
che per suo
mal se n'era fatto adorno;
Zerbino gli
occhi ad Issabella volse,
che sopra il
colle avea fatto soggiorno,
e poi che de
la pugna vide il fine,
portò
le sue bellezze più vicine.
64
Quando
apparir Zerbin si vide appresso
la donna che
da lui fu amata tanto,
la bella
donna che per falso messo
credea
sommersa, e n'ha più volte pianto;
com'un
ghiaccio nel petto gli sia messo,
sente dentro
aggelarsi, e triema alquanto:
ma tosto il
freddo manca, ed in quel loco
tutto
s'avampa d'amoroso fuoco.
65
Di non tosto
abbracciarla lo ritiene
la riverenza
del signor d'Anglante;
perché si
pensa, e senza dubbio tiene
ch'Orlando
sia de la donzella amante.
Così
cadendo va di pene in pene,
e poco dura
il gaudio ch'ebbe inante:
il vederla
d'altrui peggio sopporta,
che non fe'
quando udì ch'ella era morta.
66
E molto
più gli duol che sia in podesta
del
cavalliero a cui cotanto debbe;
perché
volerla a lui levar né onesta
né forse
impresa facile sarebbe.
Nessuno altro
da sé lassar con questa
preda partir
senza romor vorrebbe:
ma verso il
conte il suo debito chiede
che se lo
lasci por sul collo il piede.
67
Giunsero
taciturni ad una fonte,
dove smontaro
e fer qualche dimora.
Trassesi
l'elmo il travagliato conte,
ed a Zerbin
lo fece trarre ancora.
Vede la donna
il suo amatore in fronte,
e di subito
gaudio si scolora;
poi torna
come fiore umido suole
dopo gran
pioggia all'apparir del sole.
68
E senza
indugio e senza altro rispetto
corre al suo
caro amante, e il collo abbraccia;
e non
può trar parola fuor del petto,
ma di lacrime
il sen bagna e la faccia.
Orlando
attento all'amoroso affetto,
senza che
più chiarezza se gli faccia,
vide a tutti
gl'indizi manifesto
ch'altri
esser, che Zerbin, non potea questo.
69
Come la voce
aver poté Issabella,
non bene
asciutta ancor l'umida guancia,
sol de la
molta cortesia favella,
che l'avea
usata il paladin di Francia.
Zerbino, che
tenea questa donzella
con la sua
vita pare a una bilancia,
si getta a'
piè del conte, e quello adora
come a chi gli
ha due vite date a un'ora.
70
Molti
ringraziamenti e molte offerte
erano per
seguir tra i cavallieri,
se non udian
sonar le vie coperte
dagli arbori
di frondi oscuri e neri.
Presti alle
teste lor, ch'eran scoperte,
posero gli
elmi, e presero i destrieri:
ed ecco un
cavalliero e una donzella
lor
sopravien, ch'a pena erano in sella.
71
Era questo
guerrier quel Mandricardo
che dietro
Orlando in fretta si condusse
per vendicar
Alzirdo e Manilardo,
che 'l
paladin con gran valor percusse:
quantunque
poi lo seguitò più tardo;
che Doralice
in suo poter ridusse,
la quale avea
con un troncon di cerro
tolta a cento
guerrier carchi di ferro.
72
Non sapea il
Saracin però, che questo,
ch'egli
seguia, fosse il signor d'Anglante:
ben n'avea
indizio e segno manifesto
ch'esser
dovea gran cavalliero errante.
A lui
mirò più ch'a Zerbino, e presto
gli
andò con gli occhi dal capo alle piante;
e i dati
contrasegni ritrovando,
disse: - Tu
se' colui ch'io vo cercando.
73
Sono omai
dieci giorni (gli soggiunse)
che di cercar
non lascio i tuo' vestigi:
tanto la fama
stimolommi e punse,
che di te
venne al campo di Parigi,
quando a
fatica un vivo sol vi giunse
di mille che
mandasti ai regni stigi;
e la strage
contò, che da te venne
sopra i
Norizi e quei di Tremisenne.
74
Non fui, come
lo seppi, a seguir lento,
e per vederti
e per provarti appresso:
e perché
m'informai del guernimento
c'hai sopra
l'arme, io so che tu sei desso;
e se non
l'avessi anco, e che fra cento
per celarti
da me ti fossi messo,
il tuo fiero
sembiante mi faria
chiaramente
veder che tu quel sia. -
75
- Non si
può (gli rispose Orlando) dire
che cavallier
non sii d'alto valore;
però
che sì magnanimo desire
non mi credo
albergasse in umil core.
Se 'l volermi
veder ti fa venire,
vo' che mi
veggi dentro, come fuore:
mi
leverò questo elmo da le tempie,
acciò
ch'a punto il tuo desire adempie.
76
Ma poi che
ben m'avrai veduto in faccia,
all'altro
desiderio ancora attendi:
resta ch'alla
cagion tu satisfaccia,
che fa che dietro
questa via mi prendi;
che veggi se
'l valor mio si confaccia
a quel
sembiante fier che sì commendi. -
- Orsù
(disse il pagano), al rimanente;
ch'al primo
ho satisfatto interamente. -
77
Il conte
tuttavia dal capo al piede
va cercando
il pagan tutto con gli occhi:
mira ambi i
fianchi, indi l'arcion; né vede
pender né qua
né là mazze né stocchi.
Gli domanda
di ch'arme si provede,
s'avvien che
con la lancia in fallo tocchi.
Rispose quel:
- Non ne pigliar tu cura:
così a
molt'altri ho ancor fatto paura.
78
Ho sacramento
di non cinger spada,
fin ch'io non
tolgo Durindana al conte;
e cercando lo
vo per ogni strada,
acciò
più d'una posta meco sconte.
Lo giurai (se
d'intenderlo t'aggrada)
quando mi
posi quest'elmo alla fronte,
il qual con
tutte l'altr'arme ch'io porto,
era
d'Ettòr, che già mill'anni è morto.
79
La spada sola
manca alle buone arme:
come rubata
fu, non ti so dire.
Or che la
porti il paladino, parme;
e di qui vien
ch'egli ha sì grande ardire.
Ben penso, se
con lui posso accozzarme,
fargli il mal
tolto ormai ristituire.
Cercolo
ancor, che vendicar disio
il famoso
Agrican genitor mio.
80
Orlando a
tradimento gli diè morte:
ben so che
non potea farlo altrimente. -
Il conte
più non tacque, e gridò forte:
- E tu e
qualunque il dice, se ne mente.
Ma quel che
cerchi t'è venuto in sorte:
io sono
Orlando, e uccisil giustamente;
e questa
è quella spada che tu cerchi,
che tua
sarà, se con virtù la merchi.
81
Quantunque
sia debitamente mia,
tra noi per
gentilezza si contenda:
né voglio in
questa pugna ch'ella sia
più
tua che mia; ma a un arbore s'appenda.
Levala tu
liberamente via,
s'avvien che
tu m'uccida o che mi prenda. -
Così
dicendo, Durindana prese,
e 'n mezzo il
campo a un arbuscel l'appese.
82
Già
l'un da l'altro è dipartito lunge,
quanto
sarebbe un mezzo tratto d'arco:
già
l'uno contra l'altro il destrier punge,
né de le
lente redine gli è parco:
già
l'uno e l'altro di gran colpo aggiunge
dove per
l'elmo la veduta ha varco.
Parveno
l'aste, al rompersi, di gielo;
e in mille
schegge andar volando al cielo.
83
L'una e
l'altra asta è forza che si spezzi;
che non
voglion piegarsi i cavallieri,
i cavallier
che tornano coi pezzi
che son
restati appresso i calci interi.
Quelli, che sempre
fur nel ferro avezzi,
or, come duo
villan per sdegno fieri
nel partir
acque o termini de prati,
fan crudel
zuffa di duo pali armati.
84
Non stanno
l'aste a quattro colpi salde,
e mancan nel
furor di quella pugna.
Di qua e di
là si fan l'ire più calde;
né da ferir
lor resta altro che pugna.
Schiodano
piastre, e straccian maglie e falde,
pur che la
man, dove s'aggraffi, giugna.
Non desideri
alcun, perché più vaglia,
martel
più grave o più dura tanaglia.
85
Come
può il Saracin ritrovar sesto
di finir con
suo onore il fiero invito?
Pazzia
sarebbe il perder tempo in questo,
che nuoce al
feritor più ch'al ferito.
Andò
alle strette l'uno e l'altro, e presto
il re pagano
Orlando ebbe ghermito:
lo strigne al
petto; e crede far le prove
che sopra Anteo
fe' già il figliol di Giove.
86
Lo piglia con
molto impeto a traverso:
quando lo
spinge, e quando a sé lo tira;
ed è
ne la gran colera sì immerso,
ch'ove resti
la briglia poco mira.
Sta in sé
raccolto Orlando, e ne va verso
il suo
vantaggio, e alla vittoria aspira:
gli pon la
cauta man sopra le ciglia
del cavallo,
e cader ne fa la briglia.
87
Il Saracino
ogni poter vi mette,
che lo
soffoghi, o de l'arcion lo svella:
negli urti il
conte ha le ginocchia strette;
né in questa
parte vuol piegar né in quella.
Per quel
tirar che fa il pagan, costrette
le cingie son
d'abandonar la sella.
Orlando
è in terra, e a pena sel conosce:
ch'i piedi ha
in staffa, e stringe ancor le cosce.
88
Con quel
rumor ch'un sacco d'arme cade,
risuona il
conte, come il campo tocca.
Il destrier
c'ha la testa in libertade,
quello a chi
tolto il freno era di bocca,
non
più mirando i boschi che le strade,
con ruinoso
corso si trabocca,
spinto di qua
e di là dal timor cieco;
e Mandricardo
se ne porta seco.
89
Doralice che
vede la sua guida
uscir dal
campo e torlesi d'appresso,
e mal
restarne senza si confida,
dietro,
correndo, il suo ronzin gli ha messo.
Il pagan per
orgoglio al destrier grida,
e con mani e
con piedi il batte spesso;
e, come non
sia bestia, lo minaccia
perché si
fermi, e tuttavia più il caccia.
90
La bestia,
ch'era spaventosa e poltra,
sanza
guardarsi ai piè, corre a traverso.
Già
corso avea tre miglia, e seguiva oltra,
s'un fosso a
quel desir non era avverso;
che, sanza
aver nel fondo o letto o coltra,
riceve l'uno
e l'altro in sé riverso.
Diè
Mandricardo in terra aspra percossa;
né
però si fiaccò né si roppe ossa.
91
Quivi si
ferma il corridore al fine,
ma non si
può guidar, che non ha freno.
Il Tartaro lo
tien preso nel crine,
e tutto
è di furore e d'ira pieno.
Pensa, e non
sa quel che di far destine.
- Pongli la
briglia del mio palafreno
(la donna gli
dicea); che non è molto
il mio
feroce, o sia col freno o sciolto. -
92
Al Saracin
parea discortesia
la proferta
accettar di Doralice;
ma fren gli
farà aver per altra via
Fortuna a'
suoi disii molto fautrice.
Quivi Gabrina
scelerata invia,
che, poi che
di Zerbin fu traditrice,
fuggia, come
la lupa che lontani
oda venire i
cacciatori e i cani.
93
Ella avea
ancora indosso la gonnella,
e quei
medesimi giovenili ornati
che furo alla
vezzosa damigella
di Pinabel,
per lei vestir, levati;
ed avea il
palafreno anco di quella,
dei buon del
mondo e degli avantaggiati.
La vecchia
sopra il Tartaro trovosse,
ch'ancor non
s'era accorta che vi fosse.
94
L'abito
giovenil mosse la figlia
di
Stordilano, e Mandricardo a riso,
vedendolo a
colei che rassimiglia
a un babuino,
a un bertuccione in viso.
Disegna il
Saracin torle la briglia
pel suo
destriero, e riuscì l'aviso.
Toltogli il
morso, il palafren minaccia,
gli grida, lo
spaventa, e in fuga il caccia.
95
Quel fugge
per la selva, e seco porta
la quasi
morta vecchia di paura
per valli e
monti e per via dritta e torta,
per fossi e
per pendici alla ventura.
Ma il parlar
di costei sì non m'importa,
ch'io non debba
d'Orlando aver più cura,
ch'alla sua
sella ciò ch'era di guasto,
tutto ben
racconciò sanza contrasto.
96
Rimontò
sul destriero, e ste' gran pezzo
a riguardar
che 'l Saracin tornasse.
Nol vedendo
apparir, volse da sezzo
egli esser
quel ch'a ritrovarlo andasse;
ma, come
costumato e bene avezzo,
non prima il
paladin quindi si trasse,
che con dolce
parlar grato e cortese
buona licenza
dagli amanti prese.
97
Zerbin di
quel partir molto si dolse;
di tenerezza
ne piangea Issabella:
voleano ir
seco, ma il conte non volse
lor
compagnia, ben ch'era e buona e bella;
e con questa
ragion se ne disciolse,
ch'a guerrier
non è infamia sopra quella
che, quando
cerchi un suo nimico, prenda
compagno che
l'aiuti e che 'l difenda.
98
Li
pregò poi, che quando il Saracino,
prima ch'in
lui, si riscontrasse in loro,
gli dicesser
ch'Orlando avria vicino
ancor tre
giorni per quel tenitoro;
ma dopo, che
sarebbe il suo camino
verso le
'nsegne dei bei gigli d'oro,
per esser con
l'esercito di Carlo,
acciò,
volendol, sappia onde chiamarlo.
99
Quelli
promiser farlo volentieri,
e questa e
ogn'altra cosa al suo comando.
Feron camin
diverso i cavallieri,
di qua
Zerbino, e di là il conte Orlando.
Prima che
pigli il conte altri sentieri,
all'arbor
tolse, e a sé ripose il brando;
e dove meglio
col pagan pensosse
di potersi
incontrare, il destrier mosse.
100
Lo strano
corso che tenne il cavallo
del Saracin
pel bosco senza via,
fece
ch'Orlando andò duo giorni in fallo,
né lo
trovò, né poté averne spia.
Giunse ad un
rivo che parea cristallo,
ne le cui
sponde un bel pratel fioria,
di nativo
color vago e dipinto,
e di molti e
belli arbori distinto.
101
Il merigge
facea grato l'orezzo
al duro
armento ed al pastore ignudo;
sì che
né Orlando sentia alcun ribrezzo,
che la
corazza avea, l'elmo e lo scudo.
Quivi egli
entrò per riposarvi in mezzo;
e v'ebbe
travaglioso albergo e crudo,
e più
che dir si possa empio soggiorno,
quell'infelice
e sfortunato giorno.
102
Volgendosi
ivi intorno, vide scritti
molti arbuscelli
in su l'ombrosa riva.
Tosto che
fermi v'ebbe gli occhi e fitti,
fu certo
esser di man de la sua diva.
Questo era un
di quei lochi già descritti,
ove sovente
con Medor veniva
da casa del
pastore indi vicina
la bella
donna del Catai regina.
103
Angelica e
Medor con cento nodi
legati
insieme, e in cento lochi vede.
Quante
lettere son, tanti son chiodi
coi quali
Amore il cor gli punge e fiede.
Va col
pensier cercando in mille modi
non creder
quel ch'al suo dispetto crede:
ch'altra
Angelica sia, creder si sforza,
ch'abbia
scritto il suo nome in quella scorza.
104
Poi dice: -
Conosco io pur queste note:
di tal'io
n'ho tante vedute e lette.
Finger questo
Medoro ella si puote:
forse ch'a me
questo cognome mette. -
Con tali
opinion dal ver remote
usando fraude
a sé medesmo, stette
ne la
speranza il malcontento Orlando,
che si seppe
a se stesso ir procacciando.
105
Ma sempre
più raccende e più rinuova,
quanto
spenger più cerca, il rio sospetto:
come
l'incauto augel che si ritrova
in ragna o in
visco aver dato di petto,
quanto
più batte l'ale e più si prova
di disbrigar,
più vi si lega stretto.
Orlando viene
ove s'incurva il monte
a guisa
d'arco in su la chiara fonte.
106
Aveano in su
l'entrata il luogo adorno
coi piedi
storti edere e viti erranti.
Quivi soleano
al più cocente giorno
stare
abbracciati i duo felici amanti.
V'aveano i
nomi lor dentro e d'intorno,
più
che in altro dei luoghi circostanti,
scritti, qual
con carbone e qual con gesso,
e qual con
punte di coltelli impresso.
107
Il mesto conte
a piè quivi discese;
e vide in su
l'entrata de la grotta
parole assai,
che di sua man distese
Medoro avea,
che parean scritte allotta.
Del gran
piacer che ne la grotta prese,
questa
sentenza in versi avea ridotta.
Che fosse
culta in suo linguaggio io penso;
ed era ne la
nostra tale il senso:
108
- Liete
piante, verdi erbe, limpide acque,
spelunca
opaca e di fredde ombre grata,
dove la bella
Angelica che nacque
di Galafron,
da molti invano amata,
spesso ne le
mie braccia nuda giacque;
de la
commodità che qui m'è data,
io povero
Medor ricompensarvi
d'altro non
posso, che d'ognor lodarvi:
109
e di pregare
ogni signore amante,
e cavallieri
e damigelle, e ognuna
persona, o
paesana o viandante,
che qui sua
volontà meni o Fortuna;
ch'all'erbe,
all'ombre, all'antro, al rio, alle piante
dica: benigno
abbiate e sole e luna,
e de le ninfe
il coro, che proveggia
che non
conduca a voi pastor mai greggia. -
110
Era scritto
in arabico, che 'l conte
intendea
così ben come latino:
fra molte
lingue e molte ch'avea pronte,
prontissima
avea quella il paladino;
e gli
schivò più volte e danni ed onte,
che si
trovò tra il popul saracino:
ma non si
vanti, se già n'ebbe frutto;
ch'un danno
or n'ha, che può scontargli il tutto.
111
Tre volte e
quattro e sei lesse lo scritto
quello
infelice, e pur cercando invano
che non vi
fosse quel che v'era scritto;
e sempre lo
vedea più chiaro e piano:
ed ogni volta
in mezzo il petto afflitto
stringersi il
cor sentia con fredda mano.
Rimase al fin
con gli occhi e con la mente
fissi nel
sasso, al sasso indifferente.
112
Fu allora per
uscir del sentimento
sì
tutto in preda del dolor si lassa.
Credete a chi
n'ha fatto esperimento,
che questo
è 'l duol che tutti gli altri passa.
Caduto gli
era sopra il petto il mento,
la fronte priva
di baldanza e bassa;
né poté aver
(che 'l duol l'occupò tanto)
alle querele
voce, o umore al pianto.
113
L'impetuosa
doglia entro rimase,
che volea
tutta uscir con troppa fretta.
Così
veggiàn restar l'acqua nel vase,
che largo il
ventre e la bocca abbia stretta;
che nel
voltar che si fa in su la base,
l'umor che
vorria uscir, tanto s'affretta,
e ne
l'angusta via tanto s'intrica,
ch'a goccia a
goccia fuore esce a fatica.
114
Poi ritorna
in sé alquanto, e pensa come
possa esser
che non sia la cosa vera:
che voglia
alcun così infamare il nome
de la sua
donna e crede e brama e spera,
o gravar lui
d'insopportabil some
tanto di
gelosia, che se ne pera;
ed abbia
quel, sia chi si voglia stato,
molto la man
di lei bene imitato.
115
In
così poca, in così debol speme
sveglia gli
spiriti e gli rifranca un poco;
indi al suo
Brigliadoro il dosso preme,
dando
già il sole alla sorella loco.
Non molto va,
che da le vie supreme
dei tetti
uscir vede il vapor del fuoco,
sente cani
abbaiar, muggiare armento:
viene alla
villa, e piglia alloggiamento.
116
Languido
smonta, e lascia Brigliadoro
a un discreto
garzon che n'abbia cura;
altri il
disarma, altri gli sproni d'oro
gli leva,
altri a forbir va l'armatura.
Era questa la
casa ove Medoro
giacque
ferito, e v'ebbe alta avventura.
Corcarsi
Orlando e non cenar domanda,
di dolor
sazio e non d'altra vivanda.
117
Quanto
più cerca ritrovar quiete,
tanto ritrova
più travaglio e pena;
che de
l'odiato scritto ogni parete,
ogni uscio,
ogni finestra vede piena.
Chieder ne
vuol: poi tien le labra chete;
che teme non
si far troppo serena,
troppo chiara
la cosa che di nebbia
cerca
offuscar, perché men nuocer debbia.
118
Poco gli
giova usar fraude a se stesso;
che senza
domandarne, è chi ne parla.
Il pastor che
lo vede così oppresso
da sua
tristizia, e che voria levarla,
l'istoria
nota a sé, che dicea spesso
di quei duo
amanti a chi volea ascoltarla,
ch'a molti
dilettevole fu a udire,
gl'incominciò
senza rispetto a dire:
119
come esso a
prieghi d'Angelica bella
portato avea
Medoro alla sua villa,
ch'era ferito
gravemente; e ch'ella
curò
la piaga, e in pochi dì guarilla:
ma che nel
cor d'una maggior di quella
lei
ferì Amor; e di poca scintilla
l'accese
tanto e sì cocente fuoco,
che n'ardea
tutta, e non trovava loco:
120
e sanza aver
rispetto ch'ella fusse
figlia del
maggior re ch'abbia il Levante,
da troppo
amor costretta si condusse
a farsi
moglie d'un povero fante.
All'ultimo
l'istoria si ridusse,
che 'l pastor
fe' portar la gemma inante,
ch'alla sua
dipartenza, per mercede
del buono
albergo, Angelica gli diede.
121
Questa
conclusion fu la secure
che 'l capo a
un colpo gli levò dal collo,
poi che
d'innumerabil battiture
si vide il
manigoldo Amor satollo.
Celar si
studia Orlando il duolo; e pure
quel gli fa
forza, e male asconder pòllo:
per lacrime e
suspir da bocca e d'occhi
convien,
voglia o non voglia, al fin che scocchi.
122
Poi
ch'allargare il freno al dolor puote
(che resta
solo e senza altrui rispetto),
giù
dagli occhi rigando per le gote
sparge un
fiume di lacrime sul petto:
sospira e
geme, e va con spesse ruote
di qua di
là tutto cercando il letto;
e più
duro ch'un sasso, e più pungente
che se fosse
d'urtica, se lo sente.
123
In tanto
aspro travaglio gli soccorre
che nel
medesmo letto in che giaceva,
l'ingrata
donna venutasi a porre
col suo drudo
più volte esser doveva.
Non
altrimenti or quella piuma abborre,
né con minor
prestezza se ne leva,
che de l'erba
il villan che s'era messo
per chiuder
gli occhi, e vegga il serpe appresso.
124
Quel letto,
quella casa, quel pastore
immantinente
in tant'odio gli casca,
che senza
aspettar luna, o che l'albore
che va
dinanzi al nuovo giorno nasca,
piglia l'arme
e il destriero, ed esce fuore
per mezzo il
bosco alla più oscura frasca;
e quando poi
gli è aviso d'esser solo,
con gridi ed
urli apre le porte al duolo.
125
Di pianger
mai, mai di gridar non resta;
né la notte
né 'l dì si dà mai pace.
Fugge cittadi
e borghi, e alla foresta
sul terren
duro al discoperto giace.
Di sé si
meraviglia ch'abbia in testa
una fontana
d'acqua sì vivace,
e come
sospirar possa mai tanto;
e spesso dice
a sé così nel pianto:
126
- Queste non
son più lacrime, che fuore
stillo dagli
occhi con sì larga vena.
Non suppliron
le lacrime al dolore:
finir, ch'a
mezzo era il dolore a pena.
Dal fuoco
spinto ora il vitale umore
fugge per
quella via ch'agli occhi mena;
ed è
quel che si versa, e trarrà insieme
e 'l dolore e
la vita all'ore estreme.
127
Questi
ch'indizio fan del mio tormento,
sospir non
sono, né i sospir sono tali.
Quelli han triegua
talora; io mai non sento
che 'l petto
mio men la sua pena esali.
Amor che
m'arde il cor, fa questo vento,
mentre
dibatte intorno al fuoco l'ali.
Amor, con che
miracolo lo fai,
che 'n fuoco
il tenghi, e nol consumi mai?
128
Non son, non
sono io quel che paio in viso:
quel ch'era
Orlando è morto ed è sotterra;
la sua donna
ingratissima l'ha ucciso:
sì,
mancando di fé, gli ha fatto guerra.
Io son lo
spirto suo da lui diviso,
ch'in questo
inferno tormentandosi erra,
acciò
con l'ombra sia, che sola avanza,
esempio a chi
in Amor pone speranza. -
129
Pel bosco
errò tutta la notte il conte;
e allo
spuntar de la diurna fiamma
lo
tornò il suo destin sopra la fonte
dove Medoro
isculse l'epigramma.
Veder
l'ingiuria sua scritta nel monte
l'accese
sì, ch'in lui non restò dramma
che non fosse
odio, rabbia, ira e furore;
né più
indugiò, che trasse il brando fuore.
130
Tagliò
lo scritto e 'l sasso, e sin al cielo
a volo alzar
fe' le minute schegge.
Infelice
quell'antro, ed ogni stelo
in cui Medoro
e Angelica si legge!
Così
restar quel dì, ch'ombra né gielo
a pastor mai
non daran più, né a gregge:
e quella
fonte, già si chiara e pura,
da cotanta
ira fu poco sicura;
131
che rami e
ceppi e tronchi e sassi e zolle
non
cessò di gittar ne le bell'onde,
fin che da
sommo ad imo sì turbolle
che non furo
mai più chiare né monde.
E stanco al
fin, e al fin di sudor molle,
poi che la
lena vinta non risponde
allo sdegno,
al grave odio, all'ardente ira,
cade sul
prato, e verso il ciel sospira.
132
Afflitto e
stanco al fin cade ne l'erba,
e ficca gli
occhi al cielo, e non fa motto.
Senza cibo e
dormir così si serba,
che 'l sole
esce tre volte e torna sotto.
Di crescer
non cessò la pena acerba,
che fuor del
senno al fin l'ebbe condotto.
Il quarto
dì, da gran furor commosso,
e maglie e
piastre si stracciò di dosso.
133
Qui riman
l'elmo, e là riman lo scudo,
lontan gli
arnesi, e più lontan l'usbergo:
l'arme sue
tutte, in somma vi concludo,
avean pel
bosco differente albergo.
E poi si
squarciò i panni, e mostrò ignudo
l'ispido
ventre e tutto 'l petto e 'l tergo;
e
cominciò la gran follia, sì orrenda,
che de la
più non sarà mai ch'intenda.
134
In tanta
rabbia, in tanto furor venne,
che rimase
offuscato in ogni senso.
Di tor la
spada in man non gli sovenne;
che fatte
avria mirabil cose, penso.
Ma né quella,
né scure, né bipenne
era bisogno
al suo vigore immenso.
Quivi fe' ben
de le sue prove eccelse,
ch'un alto
pino al primo crollo svelse:
135
e svelse dopo
il primo altri parecchi,
come fosser
finocchi, ebuli o aneti;
e fe' il
simil di querce e d'olmi vecchi,
di faggi e
d'orni e d'illici e d'abeti.
Quel ch'un
ucellator che s'apparecchi
il campo
mondo, fa, per por le reti,
dei giunchi e
de le stoppie e de l'urtiche,
facea de
cerri e d'altre piante antiche.
136
I pastor che
sentito hanno il fracasso,
lasciando il
gregge sparso alla foresta,
chi di qua,
chi di là, tutti a gran passo
vi vengono a
veder che cosa è questa.
Ma son giunto
a quel segno il qual s'io passo
vi potria la
mia istoria esser molesta;
ed io la vo'
più tosto diferire,
che v'abbia
per lunghezza a fastidire.
1
Chi mette il
piè su l'amorosa pania,
cerchi
ritrarlo, e non v'inveschi l'ale;
che non
è in somma amor, se non insania,
a giudizio
de' savi universale:
e se ben come
Orlando ognun non smania,
suo furor
mostra a qualch'altro segnale.
E quale
è di pazzia segno più espresso
che, per
altri voler, perder se stesso?
2
Vari gli
effetti son, ma la pazzia
è
tutt'una però, che li fa uscire.
Gli è
come una gran selva, ove la via
conviene a
forza, a chi vi va, fallire:
chi su, chi
giù, chi qua, chi là travia.
Per
concludere in somma, io vi vo' dire:
a chi in amor
s'invecchia, oltr'ogni pena,
si convengono
i ceppi e la catena.
3
Ben mi si
potria dir: - Frate, tu vai
l'altrui
mostrando, e non vedi il tuo fallo. -
Io vi
rispondo che comprendo assai,
or che di
mente ho lucido intervallo;
ed ho gran
cura (e spero farlo ormai)
di riposarmi
e d'uscir fuor di ballo:
ma tosto far,
come vorrei, nol posso;
che 'l male
è penetrato infin all'osso.
4
Signor, ne
l'altro canto io vi dicea
che 'l
forsennato e furioso Orlando
trattesi
l'arme e sparse al campo avea,
squarciati i
panni, via gittato il brando,
svelte le
piante, e risonar facea
i cavi sassi
e l'alte selve; quando
alcun'
pastori al suon trasse in quel lato
lor stella, o
qualche lor grave peccato.
5
Viste del
pazzo l'incredibil prove
poi
più d'appresso e la possanza estrema,
si voltan per
fuggir, ma non sanno ove,
sì
come avviene in subitana tema.
Il pazzo
dietro lor ratto si muove:
uno ne
piglia, e del capo lo scema
con la
facilità che torria alcuno
da l'arbor
pome, o vago fior dal pruno.
6
Per una gamba
il grave tronco prese,
e quello
usò per mazza adosso al resto:
in terra un
paio addormentato stese,
ch'al novissimo
dì forse fia desto.
Gli altri
sgombraro subito il paese,
ch'ebbono il
piede e il buono aviso presto.
Non saria
stato il pazzo al seguir lento,
se non ch'era
già volto al loro armento.
7
Gli
agricultori, accorti agli altru'esempli,
lascian nei
campi aratri e marre e falci:
chi monta su
le case e chi sui templi
(poi che non
son sicuri olmi né salci),
onde
l'orrenda furia si contempli,
ch'a pugni,
ad urti, a morsi, a graffi, a calci,
cavalli e
buoi rompe, fraccassa e strugge;
e ben
è corridor chi da lui fugge.
8
Già
potreste sentir come ribombe
l'alto rumor
ne le propinque ville
d'urli e di
corni, rusticane trombe.
e più
spesso che d'altro, il suon di squille;
e con
spuntoni ed archi e spiedi e frombe
veder dai
monti sdrucciolarne mille,
ed altritanti
andar da basso ad alto,
per fare al
pazzo un villanesco assalto.
9
Qual venir
suol nel salso lito l'onda
mossa da
l'austro ch'a principio scherza,
che maggior
de la prima è la seconda,
e con
più forza poi segue la terza;
ed ogni volta
più l'umore abonda,
e ne l'arena
più stende la sferza:
tal contra
Orlando l'empia turba cresce,
che
giù da balze scende e di valli esce.
10
Fece morir
diece persone e diece,
che senza
ordine alcun gli andaro in mano:
e questo
chiaro esperimento fece,
ch'era assai
più sicur starne lontano.
Trar sangue
da quel corpo a nessun lece,
che lo fere e
percuote il ferro invano.
Al conte il
re del ciel tal grazia diede,
per porlo a
guardia di sua santa fede.
11
Era a
periglio di morire Orlando,
se fosse di
morir stato capace.
Potea imparar
ch'era a gittare il brando,
e poi voler
senz'arme essere audace.
La turba
già s'andava ritirando,
vedendo ogni
suo colpo uscir fallace.
Orlando, poi
che più nessun l'attende,
verso un
borgo di case il camin prende.
12
Dentro non vi
trovò piccol né grande,
che 'l borgo
ognun per tema avea lasciato.
v'erano in
copia povere vivande,
convenienti a
un pastorale stato.
Senza pane di
scerner da le giande,
dal digiuno e
da l'impeto cacciato,
le mani e il
dente lasciò andar di botto
in quel che
trovò prima, o crudo o cotto.
13
E quindi
errando per tutto il paese,
dava la
caccia e agli uomini e alle fere;
e scorrendo
pei boschi, talor prese
i capri
isnelli e le damme leggiere.
Spesso con
orsi e con cingiai contese,
e con man
nude li pose a giacere:
e di lor
carne con tutta la spoglia
più
volte il ventre empì con fiera voglia.
14
Di qua, di
là, di su, di giù discorre
per tutta
Francia; e un giorno a un ponte arriva,
sotto cui
largo e pieno d'acqua corre
un fiume
d'alta e di scoscesa riva.
Edificato
accanto avea una torre
che
d'ogn'intorno e di lontan scopriva.
Quel che fe'
quivi, avete altrove a udire;
che di Zerbin
mi convien prima dire.
15
Zerbin, da
poi ch'Orlando fu partito,
dimorò
alquanto, e poi prese il sentiero
che 'l
paladino inanzi gli avea trito,
e mosse a
passo lento il suo destriero.
Non credo che
duo miglia anco fosse ito,
che trar vide
legato un cavalliero
sopra un
picciol ronzino, e d'ogni lato
la guardia
aver d'un cavalliero armato.
16
Zerbin questo
prigion conobbe tosto
che gli fu
appresso, e così fe' lssabella:
era Odorico
il Biscaglin, che posto
fu come lupo
a guardia de l'agnella.
L'avea a
tutti gli amici suoi preposto
Zerbino in
confidargli la donzella,
sperando che
la fede che nel resto
sempre avea
avuta, avesse ancora in questo.
17
Come era a
punto quella cosa stata,
venìa
Issabella raccontando allotta:
come nel
palischermo fu salvata,
prima
ch'avesse il mar la nave rotta;
la forza che
l'avea Odorico usata;
e come tratta
poi fosse alla grotta.
Né giunt'era
anco al fin di quel sermone,
che trarre il
malfattor vider prigione.
18
I duo ch'in
mezzo avean preso Odorico,
d'Issabella
notizia ebbeno vera;
e s'avisaro
esser di lei l'amico,
e 'l signor
lor, colui ch'appresso l'era;
ma più,
che ne lo scudo il segno antico
vider dipinto
di sua stirpe altiera:
e trovar poi,
che guardar meglio al viso,
che s'era al
vero apposto il loro aviso.
19
Saltaro a
piedi, e con aperte braccia
correndo se
n'andar verso Zerbino,
e
l'abbracciaro ove il maggior s'abbraccia,
col capo nudo
e col ginocchio chino.
Zerbin,
guardando l'uno e l'altro in faccia,
vide esser
l'un Corebo il Biscaglino,
Almonio
l'altro, ch'egli avea mandati
con Odorico
in sul navilio armati.
20
Almonio
disse: - Poi che piace a Dio
(la sua
mercé) che sia Issabella teco,
io posso ben
comprender, signor mio,
che nulla
cosa nuova ora t'arreco,
s'io vo' dir
la cagion che questo rio
fa che cosi
legato vedi meco;
che da
costei, che più sentì l'offesa,
a punto avrai
tutta l'istoria intesa.
21
Come dal
traditore io fui schernito
quando da sé
levommi, saper déi;
e come poi
Corebo fu ferito,
ch'a difender
s'avea tolto costei.
Ma quanto al
mio ritorno sia seguito,
né veduto né
inteso fu da lei,
che te
l'abbia potuto riferire:
di questa
parte dunque io ti vo' dire.
22
Da la cittade
al mar ratto io veniva
con cavalli
ch'in fretta avea trovati,
sempre con
gli occhi intenti s'io scopriva
costor che
molto a dietro eran restati.
Io vengo
inanzi, io vengo in su la riva
del mare, al
luogo ove io gli avea lasciati;
io guardo, né
di loro altro ritrovo,
che ne
l'arena alcun vestigio nuovo.
23
La pesta
seguitai, che mi condusse
nel bosco
fier; né molto adentro fui,
che, dove il
suon l'orecchie mi percusse,
giacere in
terra ritrovai costui.
Gli domandai
che de la donna fusse,
che
d'Odorico, e chi aveva offeso lui.
Io me
n'andai, poi che la cosa seppi,
il traditor
cercando per quei greppi.
24
Molto
aggirando vommi, e per quel giorno
altro
vestigio ritrovar non posso.
Dove giacea
Corebo al fin ritorno,
che fatto
appresso avea il terren sì rosso,
che poco
più che vi facea soggiorno,
gli saria
stato di bisogno il fosso
e i preti e i
frati più per sotterrarlo,
ch'i medici e
che 'l letto per sanarlo.
25
Dal bosco
alla città feci portallo,
e posi in
casa d'uno ostier mio amico,
che fatto
sano in poco termine hallo
per cura ed
arte d'un chirurgo antico.
Poi d'arme
proveduti e di cavallo
Corebo ed io
cercammo d'Odorico,
ch'in corte
del re Alfonso di Biscaglia
trovammo; e
quivi fui seco a battaglia.
26
La giustizia
del re, che il loco franco
de la pugna
mi diede, e la ragione,
ed oltre alla
ragion la Fortuna anco,
che spesso la
vittoria, ove vuol, pone,
mi giovar
sì, che di me poté manco
il traditore;
onde fu mio prigione.
Il re, udito
il gran fallo, mi concesse
di poter
farne quanto mi piacesse.
27
Non l'ho
voluto uccider né lasciarlo,
ma, come
vedi, trarloti in catena;
perché vo'
ch'a te stia di giudicarlo,
se morire o
tener si deve in pena.
L'avere
inteso ch'eri appresso a Carlo,
e 'l desir di
trovarti qui mi mena.
Ringrazio Dio
che mi fa in questa parte,
dove lo
sperai meno, ora trovarte.
28
Ringraziolo
anco, che la tua Issabella
io veggo (e
non so come) che teco hai;
di cui, per
opera del fellon, novella
pensai che
non avessi ad udir mai. -
Zerbino
ascolta Almonio e non favella,
fermando gli
occhi in Odorico assai;
non sì
per odio, come che gl'incresce
ch'a
sì mal fin tanta amicizia gli esce.
29
Finito
ch'ebbe Almonio il suo sermone,
Zerbin riman
gran pezzo sbigottito,
che chi
d'ogn'altro men n'avea cagione,
sì
espressamente il possa aver tradito.
Ma poi che
d'una lunga ammirazione
fu,
sospirando, finalmente uscito,
al prigion
domandò se fosse vero
quel ch'avea
di lui detto il cavalliero.
30
Il disleal
con le ginocchia in terra
lasciò
cadersi, e disse: - Signor mio,
ognun che
vive al mondo pecca ed erra:
né differisce
in altro il buon dal rio,
se non che
l'uno è vinto ad ogni guerra
che gli vien
mossa da un piccol disio;
l'altro
ricorre all'arme e si difende,
ma se 'l
nimico è forte, anco ei si rende.
31
Se tu
m'avessi posto alla difesa
d'una tua
rocca, e ch'al primiero assalto
alzate
avessi, senza far contesa,
degl'inimici
le bandiere in alto;
di
viltà, o tradimento, che più pesa,
sugli occhi
por mi si potria uno smalto:
ma s'io
cedessi a forza, son ben certo
che biasmo
non avrei, ma gloria e merto.
32
Sempre che
l'inimico è più possente,
più
chi perde accettabile ha la scusa.
Mia fé
guardar dovea non altrimente
ch'una
fortezza d'ogn'intorno chiusa:
così,
con quanto senno e quanta mente
da la somma
Prudenza m'era infusa,
io mi sforzai
guardarla; ma al fin vinto
da
intolerando assalto, ne fui spinto. -
33
Così
disse Odorico, e poi soggiunse
(che saria
lungo a ricontarvi il tutto)
mostrando che
gran stimolo lo punse,
e non per
lieve sferza s'era indutto.
Se mai per
prieghi ira di cor si emunse,
s'umiltà
di parlar fece mai frutto,
quivi far lo
dovea; che ciò che muova
di cor
durezza, ora Odorico trova.
34
Pigliar di
tanta ingiuria alta vendetta,
tra il
sì Zerbino e il no resta confuso:
il vedere il
demerito lo alletta
a far che sia
il fellon di vita escluso;
il ricordarsi
l'amicizia stretta
ch'era stata
tra lor per sì lungo uso,
con l'acqua
di pietà l'accesa rabbia
nel cor gli
spegne, e vuol che mercé n'abbia.
35
Mentre stava
così Zerbino in forse
di liberare,
o di menar captivo,
o pur il
disleal dagli occhi torse
per morte, o
pur tenerlo in pena vivo;
quivi
rignando il palafreno corse,
che
Mandricardo avea di briglia privo;
e vi portò
la vecchia che vicino
a morte
dianzi avea tratto Zerbino.
36
Il palafren,
ch'udito di lontano
avea
quest'altri, era tra lor venuto,
e la vecchia
portatavi, ch'invano
venìa
piangendo e domandando aiuto.
Come Zerbin
lei vide, alzò la mano
al ciel che
sì benigno gli era suto,
che datogli
in arbitrio avea que' dui
che soli
odiati esser dovean da lui.
37
Zerbin fa
ritener la mala vecchia,
tanto che
pensi quel che debba farne:
tagliarle il
naso e l'una e l'altra orecchia
pensa, ed
esempio a' malfattori darne;
poi gli par
assai meglio, s'apparecchia
un pasto agli
avoltoi di quella carne.
Punizion
diversa tra sé volve;
e così
finalmente si risolve.
38
Si rivolta ai
compagni, e dice: - Io sono
di lasciar
vivo il disleal contento;
che s'in
tutto non merita perdono,
non merita
anco sì crudel tormento.
Che viva e
che slegato sia gli dono,
però
ch'esser d'Amor la colpa sento;
e facilmente
ogni scusa s'ammette,
quando in
Amor la colpa si reflette.
39
Amore ha
volto sottosopra spesso
senno
più saldo che non ha costui,
ed ha
condotto a via maggiore eccesso
di questo,
ch'oltraggiato ha tutti nui.
Ad Odorico
debbe esser rimesso:
punito esser
debbo io, che cieco fui,
cieco a
dargline impresa, e non por mente
che 'l fuoco
arde la paglia facilmente. -
40
Poi mirando
Odorico: - Io vo' che sia
(gli disse)
del tuo error la penitenza,
che la
vecchia abbi un anno in compagnia,
né di
lasciarla mai ti sia licenza;
ma notte e
giorno, ove tu vada o stia,
un'ora mai
non te ne trovi senza;
e fin a morte
sia da te difesa
contra
ciascun che voglia farle offesa.
41
Vo', se da
lei ti sarà commandato,
che pigli
contra ognun contesa e guerra:
vo' in questo
tempo, che tu sia ubligato
tutta Francia
cercar di terra in terra. -
Così
dicea Zerbin; che pel peccato
meritando
Odorico andar sotterra,
questo era
porgli inanzi un'alta fossa,
che fia gran
sorte che schivar la possa.
42
Tante donne,
tanti uomini traditi
avea la
vecchia, e tanti offesi e tanti,
che chi
sarà con lei, non senza liti
potrà
passar de' cavallieri erranti.
Così
di par saranno ambi puniti:
ella de' suoi
commessi errori inanti,
egli di torne
la difesa a torto;
né molto
potrà andar che non sia morto.
43
Di dover
servar questo, Zerbin diede
ad Odorico un
giuramento forte,
con patto che
se mai rompe la fede,
e ch'inanzi
gli capiti per sorte,
senza udir
prieghi e averne più mercede,
lo debba far
morir di cruda morte.
Ad Almonio e
a Corebo poi rivolto,
fece Zerbin
che fu Odorico sciolto.
44
Corebo,
consentendo Almonio, sciolse
il traditore
al fin, ma non in fretta;
ch'all'uno e
all'altro esser turbato dolse
da sì
desiderata sua vendetta.
Quindi
partissi il disleale, e tolse
in compagnia
la vecchia maledetta.
Non si legge
in Turpin che n'avvenisse;
ma vidi
già un autor che più ne scrisse.
45
Scrive
l'autore, il cui nome mi taccio,
che non furo
lontani una giornata,
che per torsi
Odorico quello impaccio,
contra ogni
patto ed ogni fede data,
al collo di
Gabrina gittò un laccio,
e che ad un
olmo la lasciò impiccata;
e ch'indi a
un anno (ma non dice il loco)
Almonio a lui
fece il medesmo giuoco.
46
Zerbin che
dietro era venuto all'orma
del paladin,
né perder la vorrebbe,
manda a dar
di sé nuove alla sua torma,
che star
senza gran dubbio non ne debbe:
Almonio
manda, e di più cose informa,
che lungo il
tutto a ricontar sarebbe;
Almonio
manda, e a lui Corebo appresso;
né tien, fuor
ch'Issabella, altri con esso.
47
Tant'era
l'amor grande che Zerbino,
e non minor
del suo quel che Issabella
portava al
virtuoso paladino;
tanto il
desir d'intender la novella
ch'egli
avesse trovato il Saracino
che del
destrier lo trasse con la sella;
che non
farà all'esercito ritorno,
se non finito
che sia il terzo giorno;
48
il termine
ch'Orlando aspettar disse
il cavallier
ch'ancor non porta spada.
Non è
alcun luogo dove il conte gisse,
che Zerbin
pel medesimo non vada.
Giunse al fin
tra quegli arbori che scrisse
l'ingrata
donna, un poco fuor di strada;
e con la
fonte e col vicino sasso
tutti li
ritruovò messi in fracasso.
49
Vede lontan non
sa che luminoso,
e trova la
corazza esser del conte;
e trova
l'elmo poi, non quel famoso
ch'armò
già il capo all'africano Almonte.
Il destrier
ne la selva più nascoso
sente
anitrire, e leva al suon la fronte;
e vede
Brigliador pascer per l'erba,
che dall'arcion
pendente il freno serba.
50
Durindana
cercò per la foresta,
e fuor la
vide del fodero starse.
Trovò,
ma in pezzi, ancor la sopravesta
ch'in cento
lochi il miser conte sparse.
Issabella e
Zerbin con faccia mesta
stanno
mirando, e non san che pensarse:
pensar
potrian tutte le cose, eccetto
che fosse
Orlando fuor dell'intelletto.
51
Se di sangue
vedessino una goccia,
creder
potrian che fosse stato morto.
Intanto lungo
la corrente doccia
vider venire
un pastorello smorto.
Costui pur
dianzi avea di su la roccia
l'alto furor
de l'infelice scorto,
come l'arme
gittò, squarciossi i panni,
pastori
uccise, e fe' mill'altri danni.
52
Costui,
richiesto da Zerbin, gli diede
vera
informazion di tutto questo.
Zerbin si
maraviglia, e a pena il crede;
e tuttavia
n'ha indizio manifesto.
Sia come
vuole, egli discende a piede,
pien di
pietade, lacrimoso e mesto;
e ricogliendo
da diversa parte
le reliquie
ne va ch'erano sparte.
53
Del palafren
discende anco Issabella,
e va
quell'arme riducendo insieme.
Ecco lor
sopraviene una donzella
dolente in
vista, e di cor spesso geme.
Se mi domanda
alcun chi sia, perch'ella
così
s'affligge, e che dolor la preme,
io gli
risponderò che è Fiordiligi
che de
l'amante suo cerca i vestigi.
54
Da
Brandimarte senza farle motto
lasciata fu
ne la città di Carlo,
dov'ella
l'aspettò sei mesi od otto;
e quando al
fin non vide ritornarlo,
da un mare
all'altro si mise, fin sotto
Pirene e
l'Alpe, e per tutto a cercarlo:
l'andò
cercando in ogni parte, fuore
ch'al palazzo
d'Atlante incantatore.
55
Se fosse
stata a quell'ostel d'Atlante,
veduto con
Gradasso andare errando
l'avrebbe,
con Ruggier, con Bradamante,
e con
Ferraù prima e con Orlando;
ma poi che
cacciò Astolfo il negromante
col suono del
corno orribile e mirando,
Brandimarte
tornò verso Parigi:
ma non sapea
già questo Fiordiligi.
56
Come io vi
dico, sopraggiunta a caso
a quei duo
amanti Fiordiligi bella,
conobbe
l'arme, e Brigliador rimaso
senza il
patrone e col freno alla sella.
Vide con gli
occhi il miserabil caso,
e n'ebbe per
udita anco novella;
che
similmente il pastorel narrolle
aver veduto
Orlando correr folle.
57
Quivi Zerbin
tutte raguna l'arme,
e ne fa come
un bel trofeo su 'n pino;
e volendo
vietar che non se n'arme
cavallier
paesan né peregrino,
scrive nel
verde ceppo in breve carme:
- Armatura
d'Orlando paladino; -
come volesse
dir: nessun la muova,
che star non
possa con Orlando a prova.
58
Finito
ch'ebbe la lodevol opra,
tornava a
rimontar sul suo destriero;
ed ecco
Mandricardo arrivar sopra,
che visto il
pin di quelle spoglie altiero,
lo priega che
la cosa gli discuopra:
e quel gli
narra, come ha inteso, il vero.
Allora il re
pagan lieto non bada,
che viene al
pino, e ne leva la spada,
59
dicendo: -
Alcun non me ne può riprendere;
non è
pur oggi ch'io l'ho fatta mia,
ed il
possesso giustamente prendere
ne posso in
ogni parte, ovunque sia.
Orlando che
temea quella difendere,
s'ha finto
pazzo, e l'ha gittata via;
ma quando sua
viltà pur così scusi,
non debbe far
ch'io mia ragion non usi. -
60
Zerbino a lui
gridava: - Non la torre,
o pensa non
l'aver senza questione.
Se togliesti
così l'arme d'Ettorre,
tu l'hai di
furto, più che di ragione. -
Senz'altro
dir l'un sopra l'altro corre,
d'animo e di
virtù gran paragone.
Di cento
colpi già rimbomba il suono,
né bene ancor
ne la battaglia sono.
61
Di prestezza
Zerbin pare una fiamma
a torsi
ovunque Durindana cada:
di qua di
là saltar come una damma
fa 'l suo
destrier dove è miglior la strada.
E ben convien
che non ne perda dramma;
ch'andrà,
s'un tratto il coglie quella spada,
a ritrovar
gl'innamorati spirti
ch'empion la
selva degli ombrosi mirti.
62
Come il
veloce can che 'l porco assalta
che fuor del
gregge errar vegga nei campi,
lo va
aggirando, e quinci e quindi salta;
ma quello
attende ch'una volta inciampi:
così,
se vien la spada o bassa od alta,
sta mirando
Zerbin come ne scampi;
come la vita
e l'onor salvi a un tempo,
tien sempre
l'occhio, e fiere e fugge a tempo.
63
Da l'altra
parte, ovunque il Saracino
la fiera
spada vibra o piena o vota,
sembra fra
due montagne un vento alpino
ch'una
frondosa selva il marzo scuota;
ch'ora la
caccia a terra a capo chino,
or gli
spezzati rami in aria ruota.
Ben che
Zerbin più colpi e fùggia e schivi,
non
può schivare al fin, ch'un non gli arrivi.
64
Non
può schivare al fine un gran fendente
che tra 'l
brando e lo scudo entra sul petto.
Grosso
l'usbergo, e grossa parimente
era la
piastra, e 'l panziron perfetto:
pur non gli
steron contra, ed ugualmente
alla spada
crudel dieron ricetto.
Quella
calò tagliando ciò che prese,
la corazza e
l'arcion fin su l'arnese.
65
E se non che
fu scarso il colpo alquanto,
permezzo lo
fendea come una canna;
ma penetra
nel vivo a pena tanto,
che poco
più che la pelle gli danna:
la non
profunda piaga è lunga quanto
non si
misureria con una spanna.
Le lucid'arme
il caldo sangue irriga
per sino al
piè di rubiconda riga.
66
Così
talora un bel purpureo nastro
ho veduto
partir tela d'argento
da quella
bianca man più ch'alabastro,
da cui
partire il cor spesso mi sento.
Quivi poco a
Zerbin vale esser mastro
di guerra, ed
aver forza e più ardimento;
che di
finezza d'arme e di possanza
il re di
Tartaria troppo l'avanza.
67
Fu questo
colpo del pagan maggiore
in apparenza,
che fosse in effetto;
tal
ch'Issabella se ne sente il core
fendere in
mezzo all'agghiacciato petto.
Zerbin pien
d'ardimento e di valore
tutto
s'infiamma d'ira e di dispetto;
e quanto
più ferire a due man puote,
in mezzo
l'elmo il Tartaro percuote.
68
Quasi sul
collo del destrier piegosse
per l'aspra
botta il Saracin superbo;
e quando
l'elmo senza incanto fosse,
partito il
capo gli avria il colpo acerbo.
Con poco
differir ben vendicosse,
né disse: A
un'altra volta io te la serbo:
e la spada
gli alzò verso l'elmetto,
sperandosi
tagliarlo infin al petto.
69
Zerbin che
tenea l'occhio ove la mente,
presto il
cavallo alla man destra volse;
non sì
presto però, che la tagliente
spada
fuggisse, che lo scudo colse.
Da sommo ad
imo ella il partì ugualmente,
e di sotto il
braccial roppe e disciolse
e lui
ferì nel braccio, e poi l'arnese
spezzògli,
e ne la coscia anco gli scese.
70
Zerbin di qua
di là cerca ogni via,
né mai di
quel che vuol, cosa gli avviene;
che
l'armatura sopra cui feria,
un piccol
segno pur non ne ritiene.
Da l'altra
parte il re di Tartaria
sopra Zerbino
a tal vantaggio viene,
che l'ha
ferito in sette parti o in otto,
tolto lo
scudo, e mezzo l'elmo rotto.
71
Quel tuttavia
più va perdendo il sangue;
manca la
forza, e ancor par che nol senta:
il vigoroso
cor che nulla langue,
val
sì, che 'l debol corpo ne sostenta.
La donna sua,
per timor fatta esangue,
intanto a
Doralice s'appresenta,
e la priega e
la supplica per Dio,
che partir
voglia il fiero assalto e rio.
72
Cortese come
bella, Doralice,
né ben sicura
come il fatto segua,
fa volentier
quel ch'Issabella dice,
e dispone il
suo amante a pace e a triegua.
Così
a' prieghi de l'altra l'ira ultrice
di cor fugge
a Zerbino e si dilegua:
ed egli, ove
a lei par, piglia la strada,
senza finir
l'impresa de la spada.
73
Fiordiligi,
che mal vede difesa
la buona
spada del misero conte,
tacita
duolsi, e tanto le ne pesa,
che d'ira
piange e battesi la fronte.
Vorria aver
Brandimarte a quella impresa;
e se mai lo
ritrova e gli lo conte,
non crede poi
che Mandricardo vada
lunga
stagione altier di quella spada.
74
Fiordiligi
cercando pure invano
va
Brandimarte suo matina e sera;
e fa camin da
lui molto lontano,
da lui che
già tornato a Parigi era.
Tanto ella se
n'andò per monte e piano,
che giunse
ove, al passar d'una riviera,
vide e
conobbe il miser paladino;
ma
diciàn quel ch'avvenne di Zerbino:
75
che 'l
lasciar Durindana sì gran fallo
gli par, che
più d'ogn'altro mal gl'incresce;
quantunque a
pena star possa a cavallo
pel molto
sangue che gli è uscito ed esce.
Or poi che
dopo non troppo intervallo
cessa con
l'ira il caldo, il dolor cresce:
cresce il
dolor sì impetuosamente,
che mancarsi
la vita se ne sente.
76
Per debolezza
più non potea gire;
sì che
fermossi appresso una fontana.
Non sa che
far né che si debba dire
per aiutarlo
la donzella umana.
Sol di
disagio lo vede morire;
che quindi
è troppo ogni città lontana,
dove in quel
punto al medico ricorra,
che per
pietade o premio gli soccorra.
77
Ella non sa
se non invan dolersi,
chiamar
fortuna e il cielo empio e crudele.
- Perché, ahi
lassa! (dicea) non mi sommersi
quando levai
ne l'Oceàn le vele? -
Zerbin che i
languidi occhi ha in lei conversi,
sente
più doglia ch'ella si querele,
che de la
passion tenace e forte
che l'ha
condutto omai vicino a morte.
78
-
Così, cor mio, vogliate (le diceva),
dopo ch'io
sarò morto, amarmi ancora,
come solo il
lasciarvi è che m'aggreva
qui senza
guida, e non già perch'io mora:
che se in
sicura parte m'accadeva
finir de la
mia vita l'ultima ora,
lieto e
contento e fortunato a pieno
morto sarei,
poi ch'io vi moro in seno.
79
Ma poi che 'l
mio destino iniquo e duro
vol ch'io vi
lasci, e non so in man di cui;
per questa
bocca e per questi occhi giuro,
per queste
chiome onde allacciato fui,
che disperato
nel profondo oscuro
vo de lo
'nferno, ove il pensar di vui
ch'abbia
così lasciata, assai più ria
sarà
d'ogn'altra pena che vi sia. -
80
A questo la
mestissima Issabella,
declinando la
faccia lacrimosa
e
congiungendo la sua bocca a quella
di Zerbin,
languidetta come rosa,
rosa non
colta in sua stagion, sì ch'ella
impallidisca
in su la siepe ombrosa,
disse: - Non
vi pensate già, mia vita,
far senza me
quest'ultima partita.
81
Di
ciò, cor mio, nessun timor vi tocchi;
ch'io vo'
seguirvi o in cielo o ne lo 'nferno.
Convien che
l'uno e l'altro spirto scocchi,
insieme vada,
insieme stia in eterno.
Non sì
tosto vedrò chiudervi gli occhi,
o che
m'ucciderà il dolore interno,
o se quel non
può tanto, io vi prometto
con questa
spada oggi passarmi il petto.
82
De' corpi
nostri ho ancor non poca speme,
che me' morti
che vivi abbian ventura.
Qui forse
alcun capiterà, ch'insieme,
mosso a
pietà, darà lor sepoltura. -
Così
dicendo, le reliquie estreme
de lo spirto
vital che morte fura,
va
ricogliendo con le labra meste,
fin ch'una
minima aura ve ne reste.
83
Zerbin la
debol voce riforzando,
disse: - Io
vi priego e supplico, mia diva,
per quello
amor che mi mostraste, quando
per me
lasciaste la paterna riva;
e se
commandar posso, io vel commando,
che fin che
piaccia a Dio, restiate viva;
né mai per
caso pogniate in oblio
che quanto
amar si può, v'abbia amato io.
84
Dio vi
provederà d'aiuto forse,
per liberarvi
d'ogni atto villano,
come fe'
quando alla spelonca torse,
per indi
trarvi, il senator romano.
Così
(la sua mercé) già vi soccorse
nel mare e
contra il Biscaglin profano:
e se pure
avverrà che poi si deggia
morire,
allora il minor mal s'elleggia. -
85
Non credo che
quest'ultime parole
potesse
esprimer sì, che fosse inteso;
e finì
come il debol lume suole,
cui cera
manchi od altro in che sia acceso.
Chi
potrà dire a pien come si duole,
poi che si
vede pallido e disteso,
la
giovanetta, e freddo come ghiaccio
il suo caro
Zerbin restare in braccio?
86
Sopra il
sanguigno corpo s'abbandona,
e di copiose
lacrime lo bagna,
e stride
sì, ch'intorno ne risuona
a molte
miglia il bosco e la campagna.
Né alle
guance né al petto si perdona,
che l'uno e
l'altro non percuota e fragna;
e straccia a
torto l'auree crespe chiome,
chiamando
sempre invan l'amato nome.
87
In tanta
rabbia, in tal furor sommersa
l'avea la
doglia sua, che facilmente
avria la
spada in se stessa conversa,
poco al suo
amante in questo ubidiente;
s'uno eremita
ch'alla fresca e tersa
fonte avea
usanza di tornar sovente
da la sua
quindi non lontana cella,
non
s'opponea, venendo, al voler d'ella.
88
Il venerabile
uom, ch'alta bontade
avea
congiunta a natural prudenza,
ed era tutto
pien di caritade,
di buoni
esempi ornato e d'eloquenza,
alla giovan
dolente persuade
con ragioni
efficaci pazienza;
e inanzi le
puon, come uno specchio,
donne del
Testamento e nuovo e vecchio.
89
Poi le fece
veder, come non fusse
alcun, se non
in Dio, vero contento,
e ch'eran
l'altre transitorie e flusse
speranze
umane, e di poco momento;
e tanto seppe
dir, che la ridusse
da quel
crudele ed ostinato intento,
che la vita
sequente ebbe disio
tutta al
servigio dedicar di Dio.
90
Non che
lasciar del suo signor voglia unque
né 'l
grand'amor, né le reliquie morte:
convien che
l'abbia ovunque stia ed ovunque
vada, e che
seco e notte e dì le porte.
Quindi
aiutando l'eremita dunque,
ch'era de la
sua età valido e forte,
sul mesto suo
destrier Zerbin posaro,
e molti
dì per quelle selve andaro.
91
Non volse il
cauto vecchio ridur seco,
sola con
solo, la giovane bella
là
dove ascosa in un selvaggio speco
non lungi
avea la solitaria cella;
fra sé
dicendo: - Con periglio arreco
in una man la
paglia e la facella. -
Né si fida in
sua età né in sua prudenza,
che di sé
faccia tanta esperienza.
92
Di condurla
in Provenza ebbe pensiero
non lontano a
Marsilia in un castello,
dove di sante
donne un monastero
ricchissimo
era, e di edificio bello:
e per
portarne il morto cavalliero,
composto in
una cassa aveano quello,
che 'n un
castel ch'era tra via, si fece
lunga e
capace, e ben chiusa di pece.
93
Più e
più giorni gran spazio di terra
cercaro, e
sempre per lochi più inculti;
che pieno
essendo ogni cosa di guerra,
voleano gir
più che poteano occulti.
Al fine un
cavallier la via lor serra,
che lor fe'
oltraggi e disonesti insulti;
di cui
dirò quando il suo loco fia;
ma ritorno
ora al re di Tartaria.
94
Avuto ch'ebbe
la battaglia il fine
che
già v'ho detto, il giovin si raccolse
alle fresche
ombre e all'onde cristalline;
ed al
destrier la sella e 'l freno tolse,
e lo
lasciò per l'erbe tenerine
del prato
andar pascendo ove egli volse:
ma non ste'
molto, che vide lontano
calar dal
monte un cavalliero al piano.
95
Conobbel,
come prima alzò la fronte,
Doralice, e
mostrollo a Mandricardo,
dicendo: -
Ecco il superbo Rodomonte,
se non
m'inganna di lontan lo sguardo.
Per far teco
battaglia cala il monte:
or ti
potrà giovar l'esser gagliardo.
Perduta
avermi a grande ingiuria tiene,
ch'era sua
sposa, e a vendicar si viene. -
96
Qual buono
astor che l'anitra o l'acceggia,
starna o
colombo o simil altro augello
venirsi
incontra di lontano veggia,
leva la testa
e si fa lieto e bello;
tal
Mandricardo, come certo deggia
di Rodomonte
far strage e macello,
con letizia e
baldanza il destrier piglia,
le staffe ai
piedi, e dà alla man la briglia.
97
Quando vicini
fur sì, ch'udir chiare
tra lor
poteansi le parole altiere,
con le mani e
col capo a minacciare
incominciò
gridando il re d'Algiere,
ch'a
penitenza gli faria tornare
che per un
temerario suo piacere
non avesse
rispetto a provocarsi
lui
ch'altamente era per vendicarsi.
98
Rispose
Mandricardo: - Indarno tenta
chi mi vuol
impaurir per minacciarme:
così
fanciulli o femine spaventa,
o altri che
non sappia che sieno arme;
me non, cui
la battaglia più talenta
d'ogni
riposo; e son per adoprarme
a piè,
a cavallo, armato e disarmato,
sia alla
campagna, o sia ne lo steccato. -
99
Ecco sono
agli oltraggi, al grido, all'ire,
al trar de'
brandi, al crudel suon de' ferri;
come vento
che prima a pena spire,
poi cominci a
crollar frassini e cerri,
ed indi
oscura polve in cielo aggire,
indi gli
arbori svella e case atterri,
sommerga in
mare, e porti ria tempesta
che 'l gregge
sparso uccida alla foresta.
100
De' duo
pagani, senza pari in terra,
gli
audacissimi cor, le forze estreme
parturiscono
colpi, ed una guerra
conveniente a
sì feroce seme.
Del grande e
orribil suon triema la terra,
quando le
spade son percosse insieme:
gettano
l'arme insin al ciel scintille,
anzi lampadi
accese a mille a mille.
101
Senza mai
riposarsi o pigliar fiato
dura fra quei
duo re l'aspra battaglia,
tentando ora
da questo, or da quel lato
aprir le
piastre e penetrar la maglia.
Né perde
l'un, né l'altro acquista il prato,
ma come intorno
sian fosse o muraglia,
o troppo
costi ogn'oncia di quel loco,
non si parton
d'un cerchio angusto e poco.
102
Fra mille
colpi il Tartaro una volta
colse a duo
mani in fronte il re d'Algiere;
che gli fece
veder girare in volta
quante mai
furon fiacole e lumiere.
Come ogni
forza all'African sia tolta,
le groppe del
destrier col capo fere:
perde la
staffa, ed è, presente quella
che
cotant'ama, per uscir di sella.
103
Ma come ben
composto e valido arco
di fino
acciaio in buona somma greve,
quanto si
china più, quanto è più carco,
e più
lo sforzan martinelli e lieve;
con tanto
più furor, quanto è poi scarco,
ritorna, e fa
più mal che non riceve:
così
quello African tosto risorge,
e doppio il
colpo all'inimico porge.
104
Rodomonte a
quel segno ove fu colto,
colse a punto
il figliol del re Agricane.
Per questo
non poté nuocergli al volto,
ch'in difesa
trovò l'arme troiane;
ma
stordì in modo il Tartaro, che molto
non sapea
s'era vespero o dimane.
L'irato
Rodomonte non s'arresta,
che mena
l'altro, e pur segna alla testa.
105
Il cavallo
del Tartaro, ch'aborre
la spada che
fischiando cala d'alto,
al suo signor
con suo gran mal soccorre,
perché
s'arretra, per fuggir, d'un salto:
il brando in
mezzo il capo gli trascorre,
ch'al signor,
non a lui, movea l'assalto.
Il miser non
avea l'elmo di Troia,
come il
patrone; onde convien che muoia.
106
Quel cade, e
Mandricardo in piedi guizza,
non
più stordito, e Durindana aggira.
Veder morto
il cavallo entro gli adizza,
e fuor divampa
un grave incendio d'ira.
L'African,
per urtarlo, il destrier drizza;
ma non
più Mandricardo si ritira,
che scoglio
far soglia da l'onde: e avvenne
che 'l
destrier cadde, ed egli in piè si tenne.
107
L'African che
mancarsi il destrier sente,
lascia le staffe
e sugli arcion si ponta,
e resta in
piedi e sciolto agevolmente:
così
l'un l'altro poi di pari affronta.
La pugna
più che mai ribolle ardente,
e l'odio e
l'ira e la superbia monta:
ed era per
seguir; ma quivi giunse
in fretta un
messagger che gli disgiunse.
108
Vi giunse un
messagger del popul Moro,
di molti che
per Francia eran mandati
a richiamare
agli stendardi loro
i capitani e
i cavallier privati;
perché
l'imperator dai gigli d'oro
gli avea gli
alloggiamenti già assediati;
e se non
è il soccorso a venir presto,
l'eccidio suo
conosce manifesto.
109
Riconobbe il
messaggio i cavallieri,
oltre
all'insegne, oltre alle sopraveste,
al girar de
le spade, e ai colpi fieri
ch'altre man
non farebbeno che queste.
Tra lor
però non osa entrar, che speri
che fra
tant'ira sicurtà gli preste
l'esser messo
del re; né si conforta
per dir
ch'imbasciator pena non porta.
110
Ma viene a
Doralice, ed a lei narra
ch'Agramante,
Marsilio e Stordilano,
con pochi
dentro a mal sicura sbarra
sono
assediati dal popul cristiano.
Narrato il
caso, con prieghi ne inarra
che faccia il
tutto ai duo guerrieri piano,
e che gli
accordi insieme, e per lo scampo
del popul
saracin li meni in campo.
111
Tra i
cavallier la donna di gran core
si mette, e
dice loro: - Io vi comando,
per quanto so
che mi portate amore,
che
riserbiate a miglior uso il brando,
e ne vegnate
subito in favore
del nostro
campo saracino, quando
si trova ora
assediato ne le tende,
e presto
aiuto, o gran ruina attende. -
112
lndi il messo
soggiunse il gran periglio
dei Saracini,
e narrò il fatto a pieno;
e diede
insieme lettere del figlio
del re
Troiano al figlio d'Ulieno.
Si piglia
finalmente per consiglio
che i duo
guerrier, deposto ogni veneno,
facciano
insieme triegua fin al giorno
che sia tolto
l'assedio ai Mori intorno;
113
e senza
più dimora, come pria
liberato
d'assedio abbian lor gente,
non
s'intendano aver più compagnia,
ma crudel
guerra e inimicizia ardente,
fin che con
l'arme diffinito sia
chi la donna
aver de' meritamente.
Quella, ne le
cui man giurato fue,
fece la
sicurtà per amendue.
114
Quivi era la
Discordia impaziente,
inimica di
pace e d'ogni triegua;
e la Superbia
v'è, che non consente
né vuol patir
che tale accordo segua.
Ma più
di lor può Amor quivi presente,
di cui l'alto
valor nessuno adegua;
e fe'
ch'indietro, a colpi di saette,
e la
Discordia e la Superbia stette.
115
Fu conclusa
la triegua fra costoro
sì
come piacque a chi di lor potea.
Vi mancava
uno dei cavalli loro,
che morto
quel del Tartaro giacea:
però
vi venne a tempo Brigliadoro,
che le
fresche erbe lungo il rio pascea.
Ma al fin del
canto io mi trovo esser giunto;
sì
ch'io farò, con vostra grazia, punto.
1
Oh gran
contrasto in giovenil pensiero,
desir di
laude ed impeto d'amore!
né chi
più vaglia, ancor si trova il vero;
che resta or
questo or quel superiore.
Ne l'uno ebbe
e ne l'altro cavalliero
quivi gran
forza il debito e l'onore;
che l'amorosa
lite s'intermesse,
fin che
soccorso il campo lor s'avesse.
2
Ma più
ve l'ebbe Amor: che se non era
che
così commandò la donna loro,
non si
sciogliea quella battaglia fiera,
che l'un
n'avrebbe il triunfale alloro;
ed Agramante
invan con la sua schiera
l'aiuto avria
aspettato di costoro.
Dunque Amor
sempre rio non si ritrova:
se spesso
nuoce, anco talvolta giova.
3
Or l'uno e
l'altro cavallier pagano,
che tutti ha
differiti i suoi litigi,
va, per
salvar l'esercito africano,
con la donna
gentil verso Parigi;
e va con essi
ancora il piccol nano
che
seguitò del Tartaro i vestigi,
fin che con
lui condotto a fronte a fronte
avea quivi il
geloso Rodomonte.
4
Capitaro in
un prato ove a diletto
erano
cavallier sopra un ruscello,
duo disarmati
e duo ch'avean l'elmetto,
e una donna
con lor di viso bello.
Chi fosser
quelli, altrove vi fia detto;
or no, che di
Ruggier prima favello,
del buon
Ruggier di cui vi fu narrato
che lo scudo
nel pozzo avea gittato.
5
Non è
dal pozzo ancor lontano un miglio,
che venire un
corrier vede in gran fretta,
di quei che
manda di Troiano il figlio
ai cavallieri
onde soccorso aspetta;
dal qual ode
che Carlo in tal periglio
la gente
saracina tien ristretta,
che, se non
è chi tosto le dia aita,
tosto l'onor
vi lascerà o la vita.
6
Fu da molti
pensier ridutto in forse
Ruggier, che
tutti l'assaliro a un tratto;
ma qual per
lo miglior dovesse torse,
né luogo avea
né tempo a pensar atto.
Lasciò
andare il messaggio, e 'l freno torse
là
dove fu da quella donna tratto,
ch'ad or ad
or in modo egli affrettava,
che nessun
tempo d'indugiar le dava.
7
Quindi
seguendo il camin preso, venne
(già
declinando il sole) ad una terra
che 'l re
Marsilio in mezzo Francia tenne,
tolta di man
di Carlo in quella guerra.
Né al ponte
né alla porta si ritenne,
che non gli
niega alcuno il passo o serra,
ben
ch'intorno al rastrello e in su le fosse
gran
quantità d'uomini e d'arme fosse.
8
Perch'era
conosciuta da la gente
quella
donzella ch'avea in compagnia,
fu lasciato
passar liberamente,
né domandato
pure onde venìa.
Giunse alla
piazza, e di fuoco lucente,
e piena la
trovò di gente ria;
e vide in
mezzo star con viso smorto
il giovine
dannato ad esser morto.
9
Ruggier come
gli alzò gli occhi nel viso,
che chino a
terra e lacrimoso stava,
di veder
Bradamante gli fu aviso,
tanto il
giovine a lei rassimigliava.
Più
dessa gli parea, quanto più fiso
al volto e
alla persona il riguardava;
e fra sé
disse: - O questa è Bradamante,
o ch'io non
son Ruggier com'era inante.
10
Per troppo
ardir si sarà forse messa
del garzon
condennato alla difesa;
e poi che mal
la cosa l'è successa,
ne
sarà stata, come io veggo, presa.
Deh perché
tanta fretta, che con essa
io non potei
trovarmi a questa impresa?
Ma Dio
ringrazio che ci son venuto,
ch'a tempo
ancora io potrò darle aiuto. -
11
E sanza
più indugiar la spada stringe
(ch'avea
all'altro castel rotta la lancia),
e adosso il
vulgo inerme il destrier spinge
per lo petto,
pei fianchi e per la pancia.
Mena la spada
a cerco, ed a chi cinge
la fronte, a
chi la gola, a chi la guancia.
Fugge il
popul gridando; e la gran frotta
resta o
sciancata o con la testa rotta.
12
Come stormo
d'augei ch'in ripa a un stagno
vola sicuro e
a sua pastura attende,
s'improviso
dal ciel falcon grifagno
gli dà
nel mezzo ed un ne batte o prende,
si sparge in
fuga, ognun lascia il compagno,
e de lo
scampo suo cura si prende;
così
veduto avreste far costoro,
tosto che 'l
buon Ruggier diede fra loro.
13
A quattro o
sei dai colli i capi netti
levò
Ruggier, ch'indi a fuggir fur lenti;
ne divise
altretanti infin ai petti,
fin agli
occhi infiniti e fin ai denti.
Concederò
che non trovasse elmetti,
ma ben di
ferro assai cuffie lucenti:
e s'elmi fini
anco vi fosser stati,
così
gli avrebbe, o poco men, tagliati.
14
La forza di
Ruggier non era quale
or si ritrovi
in cavallier moderno,
né in orso né
in leon né in animale
altro
più fiero, o nostrale od esterno.
Forse il
tremuoto le sarebbe uguale,
forse il Gran
Diavol: non quel de lo 'nferno,
ma quel del
mio signor, che va col fuoco
ch'a cielo e
a terra e a mar si fa dar loco.
15
D'ogni suo
colpo mai non cadea manco
d'un uomo in
terra, e le più volte un paio;
e quattro a
un colpo e cinque n'uccise anco,
sì che
si venne tosto al centinaio.
Tagliava il
brando che trasse dal fianco,
come un
tenero latte, il duro acciaio.
Falerina, per
dar morte ad Orlando,
fe' nel
giardin d'Orgagna il crudel brando.
16
Averlo fatto
poi ben le rincrebbe,
che 'l suo
giardin disfar vide con esso.
Che strazio
dunque, che ruina debbe
far or ch'in
man di tal guerriero è messo?
Se mai
Ruggier furor, se mai forza ebbe,
se mai fu
l'alto suo valore espresso,
qui l'ebbe,
il pose qui, qui fu veduto,
sperando dare
alla sua donna aiuto.
17
Qual fa la
lepre contra i cani sciolti,
facea la
turba contra lui riparo.
Quei che
restaro uccisi, furo molti;
furo infiniti
quei ch'in fuga andaro.
Avea la donna
intanto i lacci tolti,
ch'ambe le
mani al giovine legaro;
e come poté
meglio, presto armollo,
gli
diè una spada in mano e un scudo al collo.
18
Egli che
molto è offeso, più che puote
si cerca
vendicar di quella gente:
e quivi son
sì le sue forze note,
che riputar
si fa prode e valente.
Già
avea attuffato le dorate ruote
il Sol ne la
marina d'occidente,
quando
Ruggier vittorioso e quello
giovine seco
uscir fuor del castello.
19
Quando il
garzon sicuro de la vita
con Ruggier
si trovò fuor de le porte,
gli rendé
molta grazia ed infinita
con gentil
modi e con parole accorte,
che non lo
conoscendo, a dargli aita
si fosse
messo a rischio de la morte;
e
pregò che 'l suo nome gli dicesse,
per sapere a
chi tanto obligo avesse.
20
- Veggo
(dicea Ruggier) la faccia bella
e le belle
fattezze e 'l bel sembiante,
ma la
suavità de la favella
non odo
già de la mia Bradamante;
né la
relazion di grazie è quella
ch'ella usar
debba al suo fedele amante.
Ma se pur
questa è Bradamante, or come
ha sì
tosto in oblio messo il mio nome? -
21
Per ben
saperne il certo, accortamente
Ruggier le
disse: - Io v'ho veduto altrove;
ed ho pensato
e penso, e finalmente
non so né posso
ricordarmi dove.
Ditemel voi,
se vi ritorna a mente,
e fate che 'l
nome anco udir mi giove,
acciò
che saper possa a cui mia aita
dal fuoco
abbia salvata oggi la vita. -
22
- Che voi
m'abbiate visto esser potria
(rispose
quel), che non so dove o quando:
ben vo pel
mondo anch'io la parte mia,
strane
aventure or qua or là cercando.
Forse una mia
sorella stata fia,
che veste
l'arme e porta al lato il brando;
che nacque
meco, e tanto mi somiglia,
che non ne
può discerner la famiglia.
23
Né primo né
secondo né ben quarto
sète
di quei ch'errore in ciò preso hanno:
né 'l padre
né i fratelli né chi a un parto
ci produsse
ambi, scernere ci sanno.
Gli è
ver che questo crin raccorcio e sparto
ch'io porto,
come gli altri uomini fanno,
ed il suo
lungo e in treccia al capo avvolta,
ci solea far
già differenza molta:
24
ma poi ch'un
giorno ella ferita fu
nel capo
(lungo saria a dirvi come),
e per sanarla
un servo di Iesù
a mezza
orecchia le tagliò le chiome,
alcun segno
tra noi non restò più
di
differenza, fuor che 'l sesso e 'l nome.
Ricciardetto
son io, Bradamante ella;
io fratel di
Rinaldo, essa sorella.
25
E se non
v'increscesse l'ascoltarmi,
cosa direi
che vi faria stupire,
la qual
m'occorse per assimigliarmi
a lei: gioia
al principio e al fin martìre. -
Ruggiero il
qual più graziosi carmi,
più
dolce istoria non potrebbe udire,
che dove
alcun ricordo intervenisse
de la sua
donna, il pregò sì, che disse.
26
- Accadde a
questi dì, che pei vicini
boschi
passando la sorella mia,
ferita da uno
stuol de Saracini
che senza
l'elmo la trovar per via,
fu di
scorciarsi astretta i lunghi crini,
se sanar
volse d'una piaga ria
ch'avea con
gran periglio ne la testa;
e così
scorcia errò per la foresta.
27
Errando
giunse ad una ombrosa fonte;
e perché
afflitta e stanca ritrovosse,
dal destrier
scese e disarmò la fronte,
e su le
tenere erbe addormentosse.
Io non credo
che fabula si conte,
che
più di questa istoria bella fosse.
Fiordispina
di Spagna soprarriva,
che per
cacciar nel bosco ne veniva.
28
E quando
ritrovò la mia sirocchia
tutta coperta
d'arme, eccetto il viso,
ch'avea la
spada in luogo di conocchia,
le fu vedere
un cavalliero aviso.
La faccia e
le viril fattezze adocchia
tanto, che se
ne sente il cor conquiso;
la invita a
caccia, e tra l'ombrose fronde
lunge dagli
altri al fin seco s'asconde.
29
Poi che l'ha
seco in solitario loco
dove non teme
d'esser sopraggiunta,
con atti e
con parole a poco a poco
le scopre il
fisso cuor di grave punta.
Con gli occhi
ardenti e coi sospir di fuoco
le mostra
l'alma di disio consunta.
Or si scolora
in viso, or si raccende;
tanto
s'arrischia, ch'un bacio ne prende.
30
La mia
sorella avea ben conosciuto
che questa
donna in cambio l'avea tolta:
né dar
poteale a quel bisogno aiuto,
e si trovava
in grande impaccio avvolta.
- Gli
è meglio (dicea seco) s'io rifiuto
questa avuta
di me credenza stolta
e s'io mi
mostro femina gentile,
che lasciar
riputarmi un uomo vile. -
31
E dicea il
ver; ch'era viltade espressa,
conveniente a
un uom fatto di stucco,
con cui
sì bella donna fosse messa,
piena di
dolce e di nettareo succo,
e tuttavia
stesse a parlar con essa,
tenendo basse
l'ale come il cucco.
Con modo
accorto ella il parlar ridusse,
che venne a
dir come donzella fusse;
32
che gloria,
qual già Ippolita e Camilla,
cerca ne
l'arme; e in Africa era nata
in lito al
mar ne la città d'Arzilla,
a scudo e a
lancia da fanciulla usata.
Per questo
non si smorza una scintilla
del fuoco de
la donna inamorata.
Questo
rimedio all'alta piaga è tardo:
tant'avea
Amor cacciato inanzi il dardo.
33
Per questo
non le par men bello il viso,
men bel lo
sguardo e men belli i costumi;
per
ciò non torna il cor, che già diviso
da lei, godea
dentro gli amati lumi.
Vedendola in
quell'abito, l'è aviso
che
può far che 'l desir non la consumi;
e quando,
ch'ella è pur femina, pensa,
sospira e
piange e mostra doglia immensa.
34
Chi avesse il
suo ramarico e 'l suo pianto
quel giorno
udito, avria pianto con lei.
- Quai
tormenti (dicea) furon mai tanto
crudel, che
più non sian crudeli i miei?
D'ogn'altro
amore, o scelerato o santo,
il desiato
fin sperar potrei;
saprei partir
la rosa da le spine:
solo il mio
desiderio è senza fine!
35
Se pur
volevi, Amor, darmi tormento
che
t'increscesse il mio felice stato,
d'alcun
martìr dovevi star contento,
che fosse
ancor negli altri amanti usato.
Né tra gli
uomini mai né tra l'armento,
che femina
ami femina ho trovato:
non par la
donna all'altre donne bella,
né a cervie
cervia, né all'agnelle agnella.
36
In terra, in
aria, in mar, sola son io
che patisco
da te sì duro scempio;
e questo hai
fatto acciò che l'error mio
sia ne
l'imperio tuo l'ultimo esempio.
La moglie del
re Nino ebbe disio,
il figlio
amando, scelerato ed empio,
e Mirra il
padre, e la Cretense il toro:
ma gli
è più folle il mio, ch'alcun dei loro.
37
La femina nel
maschio fe' disegno,
speronne il
fine, ed ebbelo, come odo:
Pasife ne la
vacca entrò del legno,
altre per
altri mezzi e vario modo.
Ma se volasse
a me con ogni ingegno
Dedalo, non
potria scioglier quel nodo
che fece il
mastro troppo diligente,
Natura d'ogni
cosa più possente. -
38
Così
si duole e si consuma ed ange
la bella
donna, e non s'accheta in fretta.
Talor si
batte il viso e il capel frange,
e di sé
contra sé cerca vendetta.
La mia sorella
per pietà ne piange,
ed è a
sentir di quel dolor costretta.
Del folle e
van disio si studia trarla,
ma non fa
alcun profitto, e invano parla.
39
Ella ch'aiuto
cerca e non conforto,
sempre
più si lamenta e più si duole.
Era del
giorno il termine ormai corto,
che
rosseggiava in occidente il sole,
ora oportuna
da ritrarsi in porto
a chi la
notte al bosco star non vuole;
quando la
donna invitò Bradamante
a questa
terra sua poco distante.
40
Non le seppe
negar la mia sorella:
e così
insieme ne vennero al loco,
dove la turba
scelerata e fella
posto
m'avria, se tu non v'eri, al fuoco.
Fece
là dentro Fiordispina bella
la mia
sirocchia accarezzar non poco:
e rivestita
di feminil gonna,
conoscer fe'
a ciascun ch'ella era donna.
41
Però che
conoscendo che nessuno
util traea da
quel virile aspetto,
non le parve
anco di voler ch'alcuno
biasmo di sé
per questo fosse detto:
féllo anco,
acciò che 'l mal ch'avea da l'uno
virile abito,
errando, già concetto,
ora con
l'altro, discoprendo il vero,
provassi di
cacciar fuor del pensiero.
42
Commune il
letto ebbon la notte insieme,
ma molto
differente ebbon riposo;
che l'una
dorme, e l'altra piange e geme
che sempre il
suo desir sia più focoso.
E se 'l sonno
talor gli occhi le preme,
quel breve
sonno è tutto imaginoso:
le par veder
che 'l ciel l'abbia concesso
Bradamante
cangiata in miglior sesso.
43
Come
l'infermo acceso di gran sete,
s'in quella
ingorda voglia s'addormenta,
nell'interrotta
e turbida quiete,
d'ogn'acqua
che mai vide si ramenta;
così a
costei di far sue voglie liete
l'imagine del
sonno rappresenta.
Si desta; e
nel destar mette la mano,
e ritrova pur
sempre il sogno vano.
44
Quanti
prieghi la notte, quanti voti,
offerse al
suo Macone e a tutti i dei,
che con
miracoli apparenti e noti
mutassero in
miglior sesso costei!
ma tutti vede
andar d'effetto voti,
e forse
ancora il ciel ridea di lei.
Passa la
notte; e Febo il capo biondo
traea del
mare, e dava luce al mondo.
45
Poi che 'l
dì venne e che lasciaro il letto,
a Fiordispina
s'augumenta doglia;
che
Bradamante ha del partir già detto,
ch'uscir di
questo impaccio avea gran voglia.
La gentil
donna un ottimo ginetto
in don da lei
vuol che partendo toglia,
guernito
d'oro, ed una sopravesta
che
riccamente ha di sua man contesta.
46
Accompagnolla
un pezzo Fiordispina,
poi fe'
piangendo al suo castel ritorno.
La mia
sorella sì ratto camina,
che venne a
Montalbano anco quel giorno.
Noi suoi
fratelli e la madre meschina
tutti le
siamo festeggiando intorno;
che di lei
non sentendo, avuto forte
dubbio e tema
avevàn de la sua morte.
47
Mirammo (al
trar de l'elmo) al mozzo crine,
ch'intorno al
capo prima s'avolgea;
così
le sopraveste peregrine
ne fer
meravigliar, ch'indosso avea.
Ed ella il
tutto dal principio al fine
narronne,
come dianzi io vi dicea:
come ferita
fosse al bosco, e come
lasciasse,
per guarir, le belle chiome;
48
e come poi
dormendo in ripa all'acque,
la bella
cacciatrice sopragiunse,
a cui la
falsa sua sembianza piacque;
e come da la
schiera la disgiunse.
Del lamento
di lei poi nulla tacque,
che di
pietade l'anima ci punse;
e come
alloggiò seco, e tutto quello
che fece fin
che ritornò al castello.
49
Di
Fiordispina gran notizia ebb'io,
ch'in
Siragozza e già la vidi in Francia,
e piacquer
molto all'appetito mio
i suoi begli
occhi e la polita guancia:
ma non
lasciai fermarvisi il disio,
che l'amar
senza speme è sogno e ciancia.
Or, quando in
tal ampiezza mi si porge,
l'antiqua
fiamma subito risorge.
50
Di queste
speme Amor ordisce i nodi,
che d'altre
fila ordir non li potea,
onde mi
piglia: e mostra insieme i modi
che da la
donna avrei quel ch'io chiedea.
A succeder
saran facil le frodi;
che come
spesso altri ingannato avea
la
simiglianza c'ho di mia sorella,
forse anco
ingannerà questa donzella.
51
Faccio o nol
faccio? Al fin mi par che buono
sempre cercar
quel che diletti sia.
Del mio
pensier con altri non ragiono,
né vo' ch'in
ciò consiglio altri mi dia.
Io vo la
notte ove quell'arme sono
che s'avea
tratte la sorella mia:
tolgole, e
col destrier suo via camino,
né sto
aspettar che luca il matutino.
52
Io me ne vo
la notte (Amore è duce)
a ritrovar la
bella Fiordispina;
e v'arrivai
che non era la luce
del sole
ascosa ancor ne la marina.
Beato
è chi correndo si conduce
prima degli
altri a dirlo alla regina,
da lei
sperando per l'annunzio buono
acquistar
grazia e riportarne dono.
53
Tutti
m'aveano tolto così in fallo,
com'hai tu
fatto ancor, per Bradamante;
tanto
più che le vesti ebbi e 'l cavallo
con che
partita era ella il giorno inante.
Vien Fiordispina
di poco intervallo
con feste
incontra e con carezze tante,
e con
sì allegro viso e sì giocondo,
che
più gioia mostrar non potria al mondo.
54
Le belle
braccia al collo indi mi getta,
e dolcemente
stringe, e bacia in bocca.
Tu puoi
pensar s'allora la saetta
dirizzi Amor,
s'in mezzo il cor mi tocca.
Per man mi
piglia, e in camera con fretta
mi mena; e
non ad altri, ch'a lei, tocca
che da l'elmo
allo spron l'arme mi slacci
e nessun
altro vuol che se n'impacci.
55
Poi fattasi arrecare
una sua veste
adorna e
ricca, di sua man la spiega,
e come io
fossi femina, mi veste,
e in
reticella d'oro il crin mi lega.
Io muovo gli
occhi con maniere oneste,
né ch'io sia
donna alcun mio gesto niega.
La voce
ch'accusar mi potea forse,
sì ben
usai, ch'alcun non se n'accorse.
56
Uscimmo poi
là dove erano molte
persone in
sala, e cavallieri e donne,
dai quali
fummo con l'onor raccolte,
ch'alle
regine fassi e gran madonne.
Quivi
d'alcuni mi risi io più volte,
che non
sappiendo ciò che sotto gonne
si
nascondesse valido e gagliardo,
mi
vagheggiavan con lascivo sguardo.
57
Poi che si
fece la notte più grande,
e già
un pezzo la mensa era levata,
la mensa, che
fu d'ottime vivande,
secondo la
stagione, apparecchiata;
non aspetta
la donna ch'io domande
quel che
m'era cagion del venir stata:
ella m'invita
per sua cortesia,
che quella
notte a giacer seco io stia.
58
Poi che donne
e donzelle ormai levate
si furo, e
paggi e camerieri intorno,
essendo ambe
nel letto dispogliate,
coi torchi
accesi che parea di giorno,
io cominciai:
- Non vi maravigliate,
madonna, se
sì tosto a voi ritorno;
che forse
v'andavate imaginando
di non mi
riveder fin Dio sa quando.
59
Dirò
prima la causa del partire,
poi del
ritorno l'udirete ancora.
Se 'l vostro
ardor, madonna, intiepidire
potuto avessi
col mio far dimora,
vivere in
vostro servizio e morire
voluto avrei,
né starne senza un'ora;
ma visto
quanto il mio star vi nocessi,
per non poter
far meglio, andare elessi.
60
Fortuna mi
tirò fuor del camino
in mezzo un
bosco d'intricati rami,
dove odo un
grido risonar vicino,
come di donna
che soccorso chiami.
V'accorro, e
sopra un lago cristallino
ritrovo un
fauno ch'avea preso agli ami
in mezzo
l'acqua una donzella nuda,
e mangiarsi,
il crudel, la volea cruda.
61
Colà
mi trassi, e con la spada in mano
(perch'aiutar
non la potea altrimente)
tolsi di vita
il pescator villano:
ella
saltò ne l'acqua immantinente.
- Non m'avrai
(disse) dato aiuto invano:
ben ne sarai
premiato e riccamente
quanto
chieder saprai, perché son ninfa
che vivo
dentro a questa chiara linfa;
62
ed ho
possanza far cose stupende,
e sforzar gli
elementi e la natura.
Ghiedi tu,
quanto il mio valor s'estende,
poi lascia a
me di satisfarti cura.
Dal ciel la
luna al mio cantar discende,
s'agghiaccia
il fuoco, e l'aria si fa dura;
ed ho talor
con semplici parole
mossa la
terra, ed ho fermato il sole. -
63
Non le
domando a questa offerta unire
tesor, né
dominar populi e terre,
né in
più virtù né in più vigor salire,
né vincer con
onor tutte le guerre;
ma sol che
qualche via donde il desire
vostro
s'adempia, mi schiuda e disserre:
né più
le domando un ch'un altro effetto,
ma tutta al
suo giudicio mi rimetto.
64
Ebbile a pena
mia domanda esposta,
ch'un'altra
volta la vidi attuffata;
né fece al
mio parlare altra risposta,
che di
spruzzar vêr me l'acqua incantata:
la qual non
prima al viso mi s'accosta,
ch'io (non so
come) son tutta mutata.
Io 'l veggo,
io 'l sento, e a pena vero parmi:
sento in
maschio, di femina, mutarmi.
65
E se non
fosse che senza dimora
vi potete
chiarir, nol credereste:
e qual
nell'altro sesso, in questo ancora
ho le mie
voglie ad ubbidirvi preste.
Commandate
lor pur, che fieno or ora
e sempremai
per voi vigile e deste. -
Così
le dissi; e feci ch'ella istessa
trovò
con man la veritade espressa.
66
Come
interviene a chi già fuor di speme
di cosa sia
che nel pensier molt'abbia,
che mentre
più d'esserne privo geme,
più se
n'afflige e se ne strugge e arrabbia;
se ben la
trova poi, tanto gli preme
l'aver gran
tempo seminato in sabbia,
e la
disperazion l'ha sì male uso,
che non crede
a se stesso, e sta confuso:
67
così
la donna, poi che tocca e vede
quel di
ch'avuto avea tanto desire,
agli occhi,
al tatto, a se stessa non crede,
e sta
dubbiosa ancor di non dormire;
e buona prova
bisognò a far fede,
che sentia
quel che le parea sentire.
- Fa, Dio
(disse ella), se son sogni questi,
ch'io dorma
sempre, e mai più non mi desti. -
68
Non rumor di
tamburi o suon di trombe
furon
principio all'amoroso assalto,
ma baci
ch'imitavan le colombe,
davan segno
or di gire, or di fare alto.
Usammo
altr'arme che saette o frombe.
Io senza
scale in su la rocca salto
e lo
stendardo piantovi di botto,
e la nimica
mia mi caccio sotto.
69
Se fu quel
letto la notte dinanti
pien di
sospiri e di querele gravi,
non stette
l'altra poi senza altretanti
risi, feste,
gioir, giochi soavi.
Non con
più nodi i flessuosi acanti
le colonne
circondano e le travi,
di quelli con
che noi legammo stretti
e colli e
fianchi e braccia e gambe e petti.
70
La cosa stava
tacita fra noi,
sì che
durò il piacer per alcun mese:
pur si
trovò chi se n'accorse poi,
tanto che con
mio danno il re lo 'ntese.
Voi che mi
liberaste da quei suoi
che ne la
piazza avean le fiamme accese,
comprendere
oggimai potete il resto;
ma Dio sa ben
con che dolor ne resto. -
71
Così a
Ruggier narrava Ricciardetto,
e la notturna
via facea men grave,
salendo
tuttavia verso un poggetto
cinto di ripe
e di pendici cave.
Un erto calle
e pien di sassi e stretto
apria il
camin con faticosa chiave.
Sedea al
sommo un castel detto Agrismonte,
ch'ave' in
guardia Aldigier di Chiaramonte.
72
Di Buovo era
costui figliuol bastardo,
fratel di
Malagigi e di Viviano;
chi legitimo
dice di Gherardo,
è
testimonio temerario e vano.
Fosse come si
voglia, era gagliardo,
prudente,
liberal, cortese, umano;
e facea quivi
le fraterne mura
la notte e il
dì guardar con buona cura.
73
Raccolse il
cavallier cortesemente,
come dovea,
il cugin suo Ricciardetto,
ch'amò
come fratello; e parimente
fu ben visto
Ruggier per suo rispetto.
Ma non gli
uscì già incontra allegramente,
come era
usato, anzi con tristo aspetto,
perch'uno
aviso il giorno avuto avea,
che nel viso
e nel cor mesto il facea.
74
A
Ricciardetto in cambio di saluto
disse: -
Fratello, abbiàn nuova non buona.
Per
certissimo messo oggi ho saputo
che Bertolagi
iniquo di Baiona
con Lanfusa
crudel s'è convenuto,
che preziose
spoglie esso a lei dona,
ed essa a lui
pon nostri frati in mano,
il tuo bon
Malagigi e il tuo Viviano.
75
Ella dal
dì che Ferraù li prese,
gli ha ognor
tenuti in loco oscuro e fello,
fin che 'l
brutto contratto e discortese
n'ha fatto
con costui di ch'io favello.
Gli de'
mandar domane al Maganzese
nei confin
tra Baiona e un suo castello.
Verrà
in persona egli a pagar la mancia
che compra il
miglior sangue che sia in Francia.
76
Rinaldo
nostro n'ho avisato or ora,
ed ho
cacciato il messo di galoppo;
ma non mi par
ch'arrivar possa ad ora
che non sia
tarda, che 'l camino è troppo.
Io non ho
meco gente da uscir fuora:
l'animo
è pronto, ma il potere è zoppo.
Se gli ha
quel traditor, li fa morire:
sì che
non so che far, non so che dire. -
77
La dura nuova
a Ricciardetto spiace,
e perché
spiace a lui, spiace a Ruggiero;
che poi che
questo e quel vede che tace,
né tra'
profitto alcun del suo pensiero,
disse con
grande ardir: - Datevi pace:
sopra me
quest'impresa tutta chero;
e questa mia
varrà per mille spade
a riporvi i
fratelli in libertade.
78
Io non voglio
altra gente, altri sussidi,
ch'io credo
bastar solo a questo fatto;
io vi domando
solo un che mi guidi
al luogo ove
si dee fare il baratto.
Io vi
farò sin qui sentire i gridi
di chi
sarà presente al rio contratto. -
Così
dicea; né dicea cosa nuova
all'un de'
dui, che n'avea visto pruova.
79
L'altro non
l'ascoltava, se non quanto
s'ascolti un
ch'assai parli e sappia poco:
ma
Ricciardetto gli narrò da canto
come fu per
costui tratto del fuoco;
e ch'era
certo che maggior del vanto
faria veder
l'effetto a tempo e a loco.
Gli diede
allor udienza più che prima,
e riverillo,
e fe' di lui gran stima.
80
Ed alla
mensa, ove la Copia fuse
il corno,
l'onorò come suo donno.
Quivi
senz'altro aiuto si concluse
che liberare
i duo fratelli ponno.
Intanto
sopravenne e gli occhi chiuse
ai signori e
ai sergenti il pigro Sonno,
fuor ch'a
Ruggier; che, per tenerlo desto,
gli punge il
cor sempre un pensier molesto.
81
L'assedio
d'Agramante ch'avea il giorno
udito dal
corrier, gli sta nel core.
Ben vede
ch'ogni minimo soggiorno
che faccia d'aiutarlo,
è suo disnore.
Quanta gli
sarà infamia, quanto scorno,
se coi nemici
va del suo signore!
Oh come a
gran viltade, a gran delitto,
battezzandosi
alor, gli sarà ascritto!
82
Potria in
ogn'altro tempo esser creduto
che vera
religion l'avesse mosso;
ma ora che
bisogna col suo aiuto
Agramante
d'assedio esser riscosso,
più
tosto da ciascun sarà tenuto
che timore e
viltà l'abbia percosso,
ch'alcuna
opinion di miglior fede:
questo il cor
di Ruggier stimula e fiede.
83
Che s'abbia
da partire anco lo punge
senza licenza
de la sua regina.
Quando questo
pensier, quando quel giunge,
che 'l dubio
cor diversamente inchina.
Gli era
l'aviso riuscito lunge
di trovarla
al castel di Fiordispina,
dove insieme
dovean, come ho già detto,
in soccorso
venir di Ricciardetto.
84
Poi gli
sovien ch'egli le avea promesso
di seco a
Vallombrosa ritrovarsi.
Pensa
ch'andar v'abbi ella, e quivi d'esso
che non vi
trovi poi, maravigliarsi.
Potesse almen
mandar lettera o messo,
sì
ch'ella non avesse a lamentarsi
che, oltre
ch'egli mal le avea ubbidito,
senza far
motto ancor fosse partito.
85
Poi che
più cose imaginate s'ebbe,
pensa
scriverle al fin quanto gli accada;
e ben ch'egli
non sappia come debbe
la lettera
inviar, sì che ben vada,
non
però vuol restar; che ben potrebbe
alcun messo
fedel trovar per strada.
Più
non s'indugia, e salta de le piume;
si fa dar
carta, inchiostro, penna e lume.
86
I camarier
discreti ed aveduti
arrecano a
Ruggier ciò che commanda.
Egli comincia
a scrivere, e i saluti
(come si
suol) nei primi versi manda:
poi narra
degli avisi che venuti
son dal suo
re, ch'aiuto gli domanda;
e se l'andata
sua non è ben presta,
o morto o in
man degli nimici resta.
87
Poi seguita,
ch'essendo a tal partito,
e ch'a lui
per aiuto si volgea,
vedesse ella
che 'l biasmo era infinito
s'a quel
punto negar gli lo volea;
e ch'esso, a
lei dovendo esser marito,
guardarsi da
ogni macchia si dovea;
che non si
convenia con lei, che tutta
era sincera,
alcuna cosa brutta.
88
E se mai per
adietro un nome chiaro,
ben oprando,
cercò di guadagnarsi,
e guadagnato
poi, se avuto caro,
se cercato
l'avea di conservarsi;
or lo
cercava, e n'era fatto avaro,
poi che dovea
con lei participarsi,
la qual sua
moglie, e totalmente in dui
corpi esser
dovea un'anima con lui.
89
E sì
come già a bocca le avea detto,
le ridicea
per questa carta ancora:
finito il
tempo in che per fede astretto
era al suo
re, quando non prima muora,
che si
farà cristian così d'effetto,
come di buon
voler stato era ogni ora;
e ch'al padre
e a Rinaldo e agli altri suoi
per moglie
domandar la farà poi.
90
- Voglio (le
soggiungea), quando vi piaccia,
l'assedio al
mio signor levar d'intorno,
acciò
che l'ignorante vulgo taccia,
il qual
direbbe, a mia vergogna e scorno:
Ruggier,
mentre Agramante ebbe bonaccia,
mai non
l'abandonò notte né giorno;
or che
Fortuna per Carlo si piega,
egli col
vincitor l'insegna spiega.
91
Voglio
quindici dì termine o venti,
tanto che
comparir possa una volta,
sì che
degli africani alloggiamenti
la grave
ossedion per me sia tolta.
Intanto
cercherò convenienti
cagioni, e
che sian giuste, di dar volta.
Io vi domando
per mio onor sol questo:
tutto poi
vostro è di mia vita il resto. -
92
In simili
parole si diffuse
Ruggier, che
tutte non so dirvi a pieno;
e
seguì con molt'altre, e non concluse
fin che non
vide tutto il foglio pieno;
e poi
piegò la lettera e la chiuse,
e suggellata
se la pose in seno,
con speme che
gli occorra il dì seguente
chi alla
donna la dia secretamente.
93
Chiusa
ch'ebbe la lettera, chiuse anco
gli occhi sul
letto, e ritrovò quiete;
che 'l Sonno
venne, e sparse il corpo stanco
col ramo
intinto nel liquor di Lete:
e posò
fin ch'un nembo rosso e bianco
di fiori
sparse le contrade liete
del lucido
oriente d'ogn'intorno,
ed indi
uscì de l'aureo albergo il giorno.
94
E poi ch'a
salutar la nuova luce
pei verdi
rami incominciar gli augelli,
Aldigier che
voleva essere il duce
di Ruggiero e
de l'altro, e guidar quelli
ove faccin
che dati in mano al truce
Bertolagi non
siano i duo fratelli,
fu 'l primo
in piede; e quando sentir lui,
del letto
usciro anco quegli altri dui.
95
Poi che
vestiti furo e bene armati,
coi duo cugin
Ruggier si mette in via,
già
molto indarno avendoli pregati
che questa
impresa a lui tutta si dia;
ma essi, pel
desir c'han de' lor frati,
e perché lor
parea discortesia,
steron
negando più duri che sassi,
né
consentiron mai che solo andassi.
96
Giunsero al
loco il dì che si dovea
Malagigi
mutar nei carriaggi.
Era un'ampla
campagna che giacea
tutta
scoperta agli apollinei raggi.
Quivi né
allor né mirto si vedea,
né cipressi
né frassini né faggi,
ma nuda
ghiara, e qualche umil virgulto
non mai da
marra o mai da vomer culto.
97
I tre
guerrieri arditi si fermaro
dove un
sentier fendea quella pianura;
e giunger
quivi un cavallier miraro,
ch'avea d'oro
fregiata l'armatura,
e per insegna
in campo verde il raro
e bello augel
che più d'un secol dura.
Signor, non
più, che giunto al fin mi veggio
di questo
canto, e riposarmi chieggio.
1
Cortesi donne
ebbe l'antiqua etade,
che le
virtù, non le ricchezze, amaro:
al tempo
nostro si ritrovan rade
a cui,
più del guadagno, altro sia caro.
Ma quelle che
per lor vera bontade
non seguon de
le più lo stile avaro,
vivendo,
degne son d'esser contente;
gloriose e
immortal poi che fian spente.
2
Degna
d'eterna laude è Bradamante,
che non
amò tesor, non amò impero,
ma la
virtù, ma l'animo prestante,
ma l'alta
gentilezza di Ruggiero;
e
meritò che ben le fosse amante
un
così valoroso cavalliero,
e per piacere
a lei facesse cose
nei secoli
avenir miracolose.
3
Ruggier, come
di sopra vi fu detto,
coi duo di
Chiaramonte era venuto,
dico con
Aldigier, con Ricciardetto,
per dare ai
duo fratei prigioni aiuto.
Vi dissi
ancor che di superbo aspetto
venire un
cavalliero avean veduto,
che portava
l'augel che si rinuova,
e sempre
unico al mondo si ritrova.
4
Come di
questi il cavallier s'accorse,
che stavan
per ferir quivi su l'ale,
in prova
disegnò di voler porse,
s'alla
sembianza avean virtude uguale.
- È di
voi (disse loro) alcuno forse
che provar
voglia chi di noi più vale
a' colpi o de
la lancia o de la spada,
fin che l'un
resti in sella e l'altro cada? -
5
- Farei
(disse Aldigier) teco, o volessi
menar la
spada a cerco, o correr l'asta;
ma un'altra
impresa che, se qui tu stessi,
veder
potresti, questa in modo guasta,
ch'a parlar
teco, non che ci traessi
a correr
giostra, a pena tempo basta:
seicento
uomini al varco, o più, attendiamo,
coi qua'
d'oggi provarci obligo abbiamo.
6
Per tor lor
duo de' nostri che prigioni
quinci
trarran, pietade e amor n'ha mosso. -
E
seguitò narrando le cagioni
che li fece
venir con l'arme indosso.
- Sì
giusta è questa escusa che m'opponi
(disse il
guerrier), che contradir non posso;
e fo certo
giudicio che voi siate
tre cavallier
che pochi pari abbiate.
7
Io chiedea un
colpo o dui con voi scontrarme,
per veder
quanto fosse il valor vostro;
ma quando
all'altrui spese dimostrarme
lo vogliate,
mi basta, e più non giostro.
Vi priego
ben, che por con le vostr'arme
quest'elmo io
possa e questo scudo nostro;
e spero
dimostrar, se con voi vegno,
che di tal
compagnia non sono indegno. -
8
Parmi veder
ch'alcun saper desia
il nome di
costui, che quivi giunto
a Ruggiero e
a' compagni si offeria
compagno
d'arme al periglioso punto.
Costei (non
più costui detto vi sia)
era Marfisa
che diede l'assunto
al misero
Zerbin de la ribalda
vecchia
Gabrina ad ogni mal sì calda.
9
I duo di
Chiaramonte e il buon Ruggiero
l'accettar
volentier ne la lor schiera,
ch'esser
credeano certo un cavalliero,
e non
donzella, e non quella ch'ella era.
Non molto
dopo scoperse Aldigiero
e veder fe'
ai compagni una bandiera
che facea
l'aura tremolare in volta,
e molta gente
intorno avea raccolta.
10
E poi che
più lor fur fatti vicini,
e che meglio
notar l'abito moro,
conobbero che
gli eran Saracini,
e videro i
prigioni in mezzo a loro
legati e
tratti su piccol ronzini
a' Maganzesi,
per cambiarli in oro.
Disse Marfisa
agli altri: - Ora che resta,
poi che son
qui, di cominciar la festa? -
11
Ruggier
rispose: - Gl'invitati ancora
non ci son
tutti, e manca una gran parte.
Gran ballo
s'apparecchia di fare ora;
e perché sia
solenne, usiamo ogn'arte:
ma far non
ponno omai lunga dimora. -
Così
dicendo, veggono in disparte
venire i
traditori di Maganza:
sì
ch'eran presso a cominciar la danza.
12
Giungean da
l'una parte i Maganzesi,
e conducean
con loro i muli carchi
d'oro e di
vesti e d'altri ricchi arnesi;
da l'altra in
mezzo a lance, spade ed archi,
venian
dolenti i duo germani presi,
che si
vedeano essere attesi ai varchi:
e Bertolagi,
empio inimico loro,
udian parlar
col capitano Moro.
13
Né di Buovo
il figliuol né quel d'Amone,
veduto il
Maganzese, indugiar puote:
la lancia in
resta l'uno e l'altro pone,
e l'uno e
l'altro il traditor percuote.
L'un gli
passa la pancia e 'l primo arcione,
e l'altro il
viso per mezzo le gote.
Così
n'andasser pur tutti i malvagi,
come a quei
colpi n'andò Bertolagi.
14
Marfisa con
Ruggiero a questo segno
si muove, e
non aspetta altra trombetta;
né prima
rompe l'arrestato legno,
che tre, l'un
dopo l'altro, in terra getta.
De l'asta di
Ruggier fu il pagan degno,
che
guidò gli altri, e uscì di vita in fretta;
e per quella
medesima con lui
uno ed un
altro andò nei regni bui.
15
Di qui nacque
un error tra gli assaliti,
che lor
causò lor ultima ruina.
Da un lato i
Maganzesi esser traditi
credeansi da
la squadra saracina;
da l'altro i
Mori in tal modo feriti,
l'altra
schiera chiamavano assassina:
e tra lor
cominciar con fiera clade
a tirare
archi e a menar lance e spade.
16
Salta ora in
questa squadra ed ora in quella
Ruggiero, e
via ne toglie or dieci or venti:
altritanti
per man de la donzella
di qua e di
là ne son scemati e spenti.
Tanti si
veggon gir morti di sella,
quanti ne
toccan le spade taglienti,
a cui dan gli
elmi e le corazze loco,
come nel
bosco i secchi legni al fuoco.
17
Se mai d'aver
veduto vi raccorda,
o rapportato
v'ha fama all'orecchie,
come, allor
che 'l collegio si discorda,
e vansi in
aria a far guerra le pecchie,
entri fra lor
la rondinella ingorda,
e mangi e
uccida e guastine parecchie;
dovete
imaginar che similmente
Ruggier fosse
e Marfisa in quella gente.
18
Non
così Ricciardetto e il suo cugino
tra le due
genti variavan danza,
perché,
lasciando il campo saracino,
sol tenean
l'occhio all'altro di Maganza.
Il fratel di
Rinaldo paladino
con molto
animo avea molta possanza,
e quivi
raddoppiar glie la facea
l'odio che
contra ai Maganzesi avea.
19
Facea parer
questa medesma causa
un leon fiero
il bastardo di Buovo,
che con la
spada senza indugio e pausa
fende
ogn'elmo, o lo schiaccia come un ovo.
E qual
persona non saria stata ausa,
non saria
comparita un Ettor nuovo,
Marfisa
avendo in compagnia e Ruggiero,
ch'eran la
scelta e 'l fior d'ogni guerriero?
20
Marfisa
tuttavolta combattendo,
spesso ai
compagni gli occhi rivoltava;
e di lor
forza paragon vedendo,
con
maraviglia tutti li lodava:
ma di Ruggier
pur il valor stupendo
e senza pari
al mondo le sembrava;
e talor si
credea che fosse Marte
sceso dal
quinto cielo in quella parte.
21
Mirava quelle
orribili percosse,
miravale non
mai calare in fallo:
parea che
contra Balisarda fosse
il ferro
carta e non duro metallo.
Gli elmi
tagliava e le corazze grosse,
e gli uomini
fendea fin sul cavallo,
e li mandava
in parte uguali al prato,
tanto da l'un
quanto da l'altro lato.
22
Continuando
la medesma botta,
uccidea col
signore il cavallo anche.
I capi dalle
spalle alzava in frotta,
e spesso i
busti dipartia da l'anche.
Cinque e
più a un colpo ne tagliò talotta:
e se non che
pur dubito che manche
credenza al
ver c'ha faccia di menzogna,
di più
direi; ma di men dir bisogna.
23
Il buon
Turpin, che sa che dice il vero,
e lascia
creder poi quel ch'a l'uom piace,
narra mirabil
cose di Ruggiero,
ch'udendolo,
il direste voi mendace.
Così
parea di ghiaccio ogni guerriero
contra
Marfisa, ed ella ardente face;
e non men di
Ruggier gli occhi a sé trasse,
ch'ella di
lui l'alto valor mirasse.
24
E s'ella lui
Marte stimato avea,
stimato egli
avria lei forse Bellona,
se per donna
così la conoscea,
come parea il
contrario alla persona.
E forse
emulazion tra lor nascea
per quella
gente misera, non buona,
ne la cui
carne e sangue e nervi ed ossa
fan prova chi
di loro abbia più possa.
25
Bastò
di quattro l'animo e il valore
a far ch'un
campo e l'altro andasse rotto.
Non restava
arme, a chi fuggia, migliore
che quella
che si porta più di sotto.
Beato chi il
cavallo ha corridore,
ch'in prezzo
non è quivi ambio né trotto;
e chi non ha
destrier, quivi s'avede,
quanto il
mestier de l'arme è tristo a piede.
26
Riman la
preda e 'l campo ai vincitori
che non
è fante o mulatier che resti.
Là
Maganzesi, e qua fuggono i Mori:
quei lasciano
i prigion, le some questi.
Furon, con
lieti visi e più coi cori,
Malagigi e
Viviano a scioglier presti;
non fur men
diligenti a sciorre i paggi,
e por le some
in terra e i carriaggi.
27
Oltre una
buona quantità d'argento
ch'in diverse
vasella era formato,
ed alcun
muliebre vestimento
di lavoro
bellissimo fregiato,
e per stanze
reali un paramento
d'oro e di
seta in Fiandra lavorato,
ed altre cose
ricche in copia grande;
fiaschi di
vin trovar, pane e vivande.
28
Al trar degli
elmi, tutti vider come
avea lor dato
aiuto una donzella:
fu conosciuta
all'auree crespe chiome
ed alla
faccia delicata e bella.
L'onoran
molto, e pregano che 'l nome
di gloria
degno non asconda; ed ella,
che sempre
tra gli amici era cortese,
a dar di sé
notizia non contese.
29
Non si ponno
saziar di riguardarla;
che tal vista
l'avean ne la battaglia.
Sol mira ella
Ruggier, sol con lui parla:
altri non
prezza, altri non par che vaglia.
Vengono i
servi intanto ad invitarla
coi compagni
a goder la vettovaglia,
ch'apparecchiata
avean sopra una fonte
che difendea
dal raggio estivo un monte.
30
Era una de le
fonti di Merlino,
de le quattro
di Francia da lui fatte,
d'intorno
cinta di bel marmo fino,
lucido e
terso, e bianco più che latte.
Quivi
d'intaglio con lavor divino
avea Merlino
imagini ritratte:
direste che
spiravano, e, se prive
non fossero
di voce, ch'eran vive.
31
Quivi una
bestia uscir de la foresta
parea, di
crudel vista, odiosa e brutta,
ch'avea
l'orecchie d'asino, e la testa
di lupo e i
denti, e per gran fame asciutta;
branche avea
di leon; l'altro che resta,
tutto era
volpe: e parea scorrer tutta
e Francia e
Italia e Spagna ed Inghelterra,
l'Europa e
l'Asia, e al fin tutta la terra.
32
Per tutto
avea genti ferite e morte,
la bassa
plebe e i più superbi capi:
anzi nuocer
parea molto più forte
a re, a
signori, a principi, a satrapi.
Peggio facea
ne la romana corte,
che v'avea
uccisi cardinali e papi:
contaminato
avea la bella sede
di Pietro e
messo scandol ne la fede.
33
Par che
dinanzi a questa bestia orrenda
cada ogni
muro, ogni ripar che tocca.
Non si vede
città che si difenda:
se l'apre
incontra ogni castello e rocca.
Par che agli
onor divini anco s'estenda,
e sia adorata
da la gente sciocca,
e che le
chiavi s'arroghi d'avere
del cielo e
de l'abisso in suo potere.
34
Poi si vedea
d'imperiale alloro
cinto le
chiome un cavallier venire
con tre
giovini a par, che i gigli d'oro
tessuti avean
nel lor real vestire;
e, con
insegna simile, con loro
parea un leon
contra quel mostro uscire:
avean lor
nomi chi sopra la testa,
e chi nel
lembo scritto de la vesta.
35
L'un ch'avea
fin a l'elsa ne la pancia
la spada
immersa alla maligna fera,
Francesco
primo, avea scritto, di Francia;
Massimigliano
d'Austria a par seco era;
e Carlo
quinto imperator, di lancia
avea passato
il mostro alla gorgiera;
e l'altro,
che di stral gli fige il petto,
l'ottavo
Enrigo d'Inghilterra è detto.
36
Decimo ha
quel Leon scritto sul dosso,
ch'al brutto
mostro i denti ha ne l'orecchi;
e tanto l'ha
già travagliato e scosso,
che vi sono
arrivati altri parecchi.
Parea del
mondo ogni timor rimosso;
ed in emenda
degli errori vecchi
nobil gente
accorrea, non però molta,
onde alla
belva era la vita tolta.
37
I cavallieri
stavano e Marfisa
con desiderio
di conoscer questi
per le cui
mani era la bestia uccisa,
che fatti
avea tanti luoghi atri e mesti.
Avenga che la
pietra fosse incisa
dei nomi lor,
non eran manifesti.
Si pregavan
tra lor, che se sapesse
l'istoria
alcuno, agli altri la dicesse.
38
Voltò
Viviano a Malagigi gli occhi,
che stava a
udire, e non facea lor motto:
- A te
(disse) narrar l'istoria tocchi,
ch'esser ne
déi, per quel ch'io vegga, dotto.
Chi son
costor che con saette e stocchi
e lance a
morte han l'animal condotto? -
Rispose
Malagigi: - Non è istoria
di ch'abbia
autor fin qui fatto memoria.
39
Sappiate che
costor che qui scritto hanno
nel marmo i
nomi, al mondo mai non furo;
ma fra
settecento anni vi saranno,
con grande
onor del secolo futuro.
Merlino, il
savio incantator britanno,
fe' far la
fonte al tempo del re Arturo;
e di cose
ch'al mondo hanno a venire,
la fe' da
buoni artefici scolpire.
40
Questa bestia
crudele uscì del fondo
de lo 'nferno
a quel tempo che fur fatti
alle campagne
i termini, e fu il pondo
trovato e la
misura, e scritti i patti.
Ma non
andò a principio in tutto 'l mondo:
di sé
lasciò molti paesi intatti.
Al tempo
nostro in molti lochi sturba;
ma i populari
offende e la vil turba.
41
Dal suo
principio infin al secol nostro
sempre
è cresciuto, e sempre andrà crescendo:
sempre
crescendo, al lungo andar fia il mostro
il maggior
che mai fosse e lo più orrendo.
Quel Fiton
che per carte e per inchiostro
s'ode che fu
sì orribile e stupendo,
alla
metà di questo non fu tutto,
né tanto
abominevol né sì brutto.
42
Farà
strage crudel, né sarà loco
che non
guasti, contamini ed infetti:
e quanto
mostra la scultura, è poco
de' suoi
nefandi e abominosi effetti.
Al mondo, di
gridar mercé già roco,
questi, dei
quali i nomi abbiamo letti,
che chiari
splenderan più che piropo,
verranno a
dare aiuto al maggior uopo.
43
Alla fera
crudele il più molesto
non
sarà di Francesco il re de' Franchi:
e ben convien
che molti ecceda in questo,
e nessun
prima e pochi n'abbia a' fianchi;
quando in
splendor real, quando nel resto
di
virtù farà molti parer manchi,
che
già parver compiuti; come cede
tosto
ogn'altro splendor, che 'l sol si vede.
44
L'anno
primier del fortunato regno,
non ferma
ancor ben la corona in fronte,
passerà
l'Alpe, e romperà il disegno
di chi
all'incontro avrà occupato il monte,
da giusto
spinto e generoso sdegno,
che vendicate
ancor non sieno l'onte
che dal furor
da paschi e mandre uscito
l'esercito di
Francia avrà patito.
45
E quindi
scenderà nel ricco piano
di Lombardia,
col fior di Francia intorno,
e sì
l'Elvezio spezzerà, ch'invano
farà
mai più pensier d'alzare il corno.
Con grande e
de la Chiesa e de l'ispano
campo e del
fiorentin vergogna e scorno
espugnerà
il castel che prima stato
sarà
non espugnabile stimato.
46
Sopra
ogn'altr'arme, ad espugnarlo, molto
più
gli varrà quella onorata spada
con la qual
prima avrà di vita tolto
il mostro
corruttor d'ogni contrada.
Convien
ch'inanzi a quella sia rivolto
in fuga ogni
stendardo, o a terra vada;
né fossa, né
ripar, né grosse mura
possan da lei
tener città sicura.
47
Questo
principe avrà quanta eccellenza
aver felice
imperator mai debbia:
l'animo del
gran Cesar, la prudenza
di chi
mostrolla a Transimeno e a Trebbia,
con la
fortuna d'Alessandro, senza
cui saria
fumo ogni disegno, e nebbia.
Sarà
sì liberal, ch'io lo contemplo
qui non aver
né paragon né esemplo. -
48
Così
diceva Malagigi, e messe
desire a'
cavallier d'aver contezza
del nome
d'alcun altro ch'uccidesse
l'infernal
bestia, uccider gli altri avezza.
Quivi un
Bernardo tra' primi si lesse,
che Merlin
molto nel suo scritto apprezza.
- Fia nota
per costui (dicea) Bibiena,
quanto
Fiorenza sua vicina e Siena. -
49
Non mette
piede inanzi ivi persona
a Sismondo, a
Giovanni, a Ludovico:
un Gonzaga,
un Salviati, un d'Aragona,
ciascuno al
brutto mostro aspro nimico.
V'è
Francesco Gonzaga, né abandona
le sue
vestigie il figlio Federico;
ed ha il
cognato e il genero vicino,
quel di
Ferrara, e quel duca d'Urbino.
50
De l'un di
questi il figlio Guidobaldo
non vuol che
'l padre o ch'altri a dietro il metta.
Con Otobon
dal Flisco, Sinibaldo
caccia la
fera, e van di pari in fretta.
Luigi da
Gazolo il ferro caldo
fatto nel
collo le ha d'una saetta,
che con
l'arco gli diè Febo, quando anco
Marte la
spada sua gli messe al fianco.
51
Duo Erculi,
duo Ippoliti da Este,
un altro
Ercule, un altro Ippolito anco,
da Gonzaga,
de' Medici, le peste
seguon del
mostro, e l'han, cacciando, stanco.
Né Giuliano
al figliuol, né par che reste
Ferrante al
fratel dietro; né che manco
Andrea Doria
sia pronto; né che lassi
Francesco
Sforza, ch'ivi uomo lo passi.
52
Del generoso,
illustre e chiaro sangue
d'Avalo vi
son dui ch'han per insegna
lo scoglio,
che dal capo ai piedi d'angue
par che
l'empio Tifeo sotto si tegna.
Non è
di questi duo, per fare esangue
l'orribil
mostro, che più inanzi vegna:
l'uno
Francesco di Pescara invitto,
l'altro
Alfonso del Vasto ai piedi ha scritto.
53
Ma Consalvo
Ferrante ove ho lasciato,
l'ispano
onor, ch'in tanto pregio v'era,
che fu da
Malagigi sì lodato,
che pochi il
pareggiar di quella schiera?
Guglielmo si
vedea di Monferrato
fra quei che
morto avean la brutta fera;
ed eran pochi
verso gl'infiniti
ch'ella
v'avea chi morti e chi feriti.
54
In giuochi
onesti e parlamenti lieti,
dopo mangiar,
spesero il caldo giorno,
corcati su
finissimi tapeti
tra gli
arbuscelli ond'era il rivo adorno.
Malagigi e
Vivian, perché quieti
più
fosser gli altri, tenean l'arme intorno;
quando una
donna senza compagnia
vider, che
verso lor ratto venìa.
55
Questa era
quella Ippalca a cui fu tolto
Frontino, il
bon destrier, da Rodomonte.
L'avea il
dì inanzi ella seguito molto,
pregandolo
ora, ora dicendogli onte;
ma non
giovando, avea il camin rivolto
per ritrovar
Ruggiero in Agrismonte.
Tra via le fu
(non so già come) detto
che quivi il
troveria con Ricciardetto.
56
E perché il
luogo ben sapea (che v'era
stata altre
volte), se ne venne al dritto
alla fontana;
ed in quella maniera
ve lo
trovò, ch'io v'ho di sopra scritto.
Ma come buona
e cauta messaggera
che sa meglio
esequir che non l'è ditto,
quando vide
il fratel di Bradamante,
non conoscer
Ruggier fece sembiante.
57
A
Ricciardetto tutta rivoltosse,
sì
come drittamente a lui venisse;
e quel che la
conobbe, se le mosse
incontra, e
domandò dove ne gisse.
Ella
ch'ancora avea le luci rosse
del pianger
lungo, sospirando disse;
ma disse
forte, acciò che fosse espresso
a Ruggiero il
suo dir, che gli era presso.
58
- Mi traea
dietro (disse) per la briglia,
come imposto
m'avea la tua sorella,
un bel
cavallo e buono a maraviglia,
ch'ella molto
ama e che Frontino appella;
e l'avea
tratto più di trenta miglia
verso
Marsilia, ove venir debbe ella
fra pochi
giorni, e dove ella mi disse
ch'io
l'aspettassi fin che vi venisse.
59
Era sì
baldanzoso il creder mio,
ch'io non
stimava alcun di cor sì saldo,
che me
l'avesse a tor, dicendogli io
ch'era de la
sorella di Rinaldo.
Ma vano il
mio disegno ieri m'uscìo,
che me lo
tolse un Saracin ribaldo;
né per udir
di chi Frontino fusse,
a volermelo
rendere s'indusse.
60
Tutto ieri ed
oggi l'ho pregato; e quando
ho visto
uscir prieghi e minacce invano,
maledicendol
molto e bestemmiando,
l'ho lasciato
di qui poco lontano,
dove il
cavallo e sé molto affannando,
s'aiuta,
quanto può, con l'arme in mano
contra un
guerrier ch'in tal travaglio il mette,
che spero
ch'abbia a far le mie vendette. -
61
Ruggiero a
quel parlar salito in piede,
ch'avea
potuto a pena il tutto udire,
si volta a
Ricciardetto, e per mercede
e premio e
guidardon del ben servire
(prieghi
aggiungendo senza fin) gli chiede
che con la
donna solo il lasci gire
tanto che 'l
Saracin gli sia mostrato,
ch'a lei di
mano ha il buon destrier levato.
62
A
Ricciardetto, ancor che discortese
il concedere
altrui troppo paresse
di terminar
le a sé debite imprese,
al voler di
Ruggier pur si rimesse:
e quel
licenza dai compagni prese,
e con Ippalca
a ritornar si messe,
lasciando a
quei che rimanean, stupore,
con
maraviglia pur del suo valore.
63
Poi che dagli
altri allontanato alquanto
Ippalca
l'ebbe, gli narrò ch'ad esso
era mandata
da colei che tanto
avea nel core
il suo valore impresso;
e senza
finger più, seguitò quanto
la sua donna
al partir le avea commesso,
e che se
dianzi avea altrimente detto,
per la
presenza fu di Ricciardetto.
64
Disse, che
chi le avea tolto il destriero,
ancor detto
l'avea con molto orgoglio:
- Perché so
che 'l cavallo è di Ruggiero,
più
volontier per questo te lo toglio.
S'egli di
racquistarlo avrà pensiero,
fagli saper
(ch'asconder non gli voglio)
ch'io son
quel Rodomonte il cui valore
mostra per
tutto 'l mondo il suo splendore. -
65
Ascoltando,
Ruggier mostra nel volto,
di quanto
sdegno acceso il cor gli sia,
sì
perché caro avria Frontino molto,
sì
perché venìa il dono onde venìa
sì
perché in suo dispregio gli par tolto;
vede che
biasmo e disonor gli fia,
se torlo a
Rodomonte non s'affretta,
e sopra lui
non fa degna vendetta.
66
La donna
Ruggier guida, e non soggiorna,
che por lo
brama col Pagano a fronte;
e giunge ove
la strada fa dua corna:
l'un va
giù al piano, e l'altro va su al monte;
e questo e
quel ne la vallea ritorna,
dov'ella avea
lasciato Rodomonte.
Aspra, ma
breve era la via del colle;
l'altra
più lunga assai, ma piana e molle.
67
Il desiderio
che conduce Ippalca
d'aver
Frontino e vendicar l'oltraggio,
fa che 'l
sentier de la montagna calca,
onde molto
più corto era il viaggio.
Per l'altra
intanto il re d'Algier cavalca
col Tartaro e
cogli altri che detto aggio;
e giù
nel pian la via più facil tiene,
né con
Ruggier ad incontrar si viene.
68
Già
son le lor querele differite
fin che
soccorso ad Agramante sia
(questo
sapete); ed han d'ogni lor lite
la cagion,
Doralice, in compagnia.
Ora il
successo de l'istoria udite.
Alla fontana
è la lor dritta via,
ove Aldigier,
Marfisa, Ricciardetto,
Malagigi e
Vivian stanno a diletto.
69
Marfisa a'
prieghi de' compagni avea
veste da
donna ed ornamenti presi,
di quelli
ch'a Lanfusa si credea
mandare il
traditor de' Maganzesi;
e ben che
veder raro si solea
senza
l'osbergo e gli altri buoni arnesi,
pur quel
dì se li trasse; e come donna,
a' prieghi
lor lasciò vedersi in gonna.
70
Tosto che
vede il Tartaro Marfisa,
per la
credenza c'ha di guadagnarla,
in ricompensa
e in cambio ugual s'avisa
di Doralice,
a Rodomonte darla;
sì
come Amor si regga a questa guisa,
che vender la
sua donna o permutarla
possa
l'amante, né a ragion s'attrista,
se quando una
ne perde, una n'acquista.
71
Per dunque
provedergli di donzella,
acciò
per sé quest'altra si ritegna,
Marfisa, che
gli par leggiadra e bella,
e d'ogni
cavallier femina degna,
come abbia ad
aver questa, come quella,
subito cara,
a lui donar disegna;
e tutti i
cavallier che con lei vede,
a giostra
seco ed a battaglia chiede.
72
Malagigi e
Vivian, che l'arme aveano
come per
guardia e sicurtà del resto,
si mossero
dal luogo ove sedeano,
l'un come
l'altro alla battaglia presto,
perché
giostrar con amenduo credeano;
ma l'African
che non venìa per questo,
non ne fe'
segno o movimento alcuno:
sì che
la giostra restò lor contra uno.
73
Viviano
è il primo, e con gran cor si muove,
e nel venire
abbassa un'asta grossa:
e 'l re pagan
da le famose pruove
da l'altra
parte vien con maggior possa.
Dirizza l'uno
e l'altro, e segna dove
crede meglio
fermar l'aspra percossa.
Viviano
indarno a l'elmo il pagan fere;
che non lo fa
piegar, non che cadere.
74
Il re pagan,
ch'avea più l'asta dura,
fe' lo scudo
a Vivian parer di ghiaccio;
e fuor di
sella in mezzo alla verdura,
all'erbe e ai
fiori il fe' cadere in braccio.
Vien
Malagigi, e ponsi in aventura
di vendicare
il suo fratello avaccio;
ma poi
d'andargli appresso ebbe tal fretta,
che gli fe'
compagnia più che vendetta.
75
L'altro
fratel fu prima del cugino
coll'arme
indosso, e sul destrier salito;
e disfidato
contra il Saracino
venne a
scontrarlo a tutta briglia ardito.
Risonò
il colpo in mezzo a l'elmo fino
di quel pagan
sotto la vista un dito:
volò
al ciel l'asta in quattro tronchi rotta;
ma non mosse
il pagan per quella botta.
76
Il pagan
ferì lui dal lato manco;
e perché il
colpo fu con troppa forza,
poco lo
scudo, e la corazza manco
gli valse,
che s'aprir come una scorza.
Passò
il ferro crudel l'omero bianco:
piegò
Aldigier ferito a poggia e ad orza;
tra fiori ed
erbe al fin si vide avolto,
rosso su
l'arme, e pallido nel volto.
77
Con molto
ardir vien Ricciardetto appresso;
e nel venire
arresta sì gran lancia,
che mostra
ben, come ha mostrato spesso,
che
degnamente è paladin di Francia:
ed al pagan
ne facea segno espresso,
se fosse
stato pari alla bilancia;
ma sozzopra
n'andò, perché il cavallo
gli cadde
adosso, e non già per suo fallo.
78
Poi ch'altro
cavallier non si dimostra,
ch'al pagan
per giostrar volti la fronte,
pensa aver
guadagnato de la giostra
la donna, e
venne a lei presso alla fonte;
e disse: -
Damigella, sète nostra,
s'altri non
è per voi ch'in sella monte.
Nol potete
negar, né farne iscusa;
che di ragion
di guerra così s'usa. -
79
Marfisa,
alzando con un viso altiero
la faccia,
disse: - Il tuo parer molto erra.
Io ti concedo
che diresti il vero,
ch'io sarei
tua per la ragion di guerra,
quando mio
signor fosse o cavalliero
alcun di
questi ch'hai gittato in terra.
Io sua non
son, né d'altri son che mia:
dunque me
tolga a me chi mi desia.
80
So scudo e
lancia adoperare anch'io,
e più
d'un cavalliero in terra ho posto. -
- Datemi
l'arme, disse, e il destrier mio, -
agli scudier
che l'ubbidiron tosto.
Trasse la
gonna, ed in farsetto uscìo;
e le belle
fattezze e il ben disposto
corpo
mostrò, ch'in ciascuna sua parte,
fuor che nel
viso, assimigliava a Marte.
81
Poi che fu
armata, la spada si cinse
e sul
destrier montò d'un leggier salto;
e qua e
là tre volte e più lo spinse,
e quinci e
quindi fe' girare in alto;
e poi,
sfidando il Saracino, strinse
la grossa
lancia e cominciò l'assalto.
Tal nel campo
troian Pentesilea
contra il
tessalo Achille esser dovea.
82
Le lance
infin al calce si fiaccaro
a quel
superbo scontro, come vetro;
né pero chi
le corsero, piegaro,
che si
notasse, un dito solo a dietro.
Marfisa che
volea conoscer chiaro
s'a
più stretta battaglia simil metro
le serverebbe
contra il fier pagano,
se gli
rivolse con la spada in mano.
83
Bestemmiò
il cielo e gli elementi il crudo
pagan, poi
che restar la vide in sella:
ella, che gli
pensò romper lo scudo,
non men
sdegnosa contra il ciel favella.
Già
l'uno e l'altro ha in mano il ferro nudo
e su le fatal
arme si martella:
l'arme fatali
han parimente intorno,
che mai non
bisognar più di quel giorno.
84
Sì
buona è quella piastra e quella maglia,
che spada o
lancia non le taglia o fora;
sì che
potea seguir l'aspra battaglia
tutto quel
giorno e l'altro appresso ancora.
Ma Rodomonte
in mezzo lor si scaglia,
e riprende il
rival de la dimora,
dicendo: - Se
battaglia pur far vuoi,
finiàn
la cominciata oggi fra noi.
85
Facemmo, come
sai, triegua con patto
di dar
soccorso alla milizia nostra.
Non
debbiàn, prima che sia questo fatto,
incominciare
altra battaglia o giostra. -
Indi a
Marfisa, riverente in atto
si volta, e
quel messaggio le dimostra;
e le racconta
come era venuto
a chieder lor
per Agramante aiuto.
86
La priega poi
che le piaccia non solo
lasciar
quella battaglia o differire,
ma che voglia
in aiuto del figliuolo
del re Troian
con essi lor venire;
onde la fama
sua con maggior volo
potrà
far meglio infin al ciel salire,
che, per
querela di poco momento,
dando a tanto
disegno impedimento.
87
Marfisa, che
fu sempre disiosa
di provar
quei di Carlo a spada e a lancia,
né l'avea
indotta a venire altra cosa
di sì
lontana regione in Francia,
se non per
esser certa se famosa
lor nominanza
era per vero o ciancia,
tosto d'andar
con lor partito prese,
che
d'Agramante il gran bisogno intese.
88
Ruggiero in
questo mezzo avea seguito
indarno
Ippalca per la via del monte;
e
trovò, giunto al loco, che partito
per altra via
se n'era Rodomonte:
e pensando
che lungi non era ito,
e che 'l
sentier tenea dritto alla fonte,
trottando in
fretta dietro gli venìa
per l'orme
ch'eran fresche in su la via.
89
Volse che
Ippalca a Montalban pigliasse
la via,
ch'una giornata era vicino;
perché s'alla
fontana ritornasse,
si torria
troppo dal dritto camino.
E disse a
lei, che già non dubitasse
che non
s'avesse a ricovrar Frontino:
ben le
farebbe a Montalbano, o dove
ella si
trovi, udir tosto le nuove.
90
E le diede la
lettera che scrisse
in
Agrismonte, e che si portò in seno;
e molte cose
a bocca anco le disse,
e la
pregò che l'escusasse a pieno.
Ne la memoria
Ippalca il tutto fisse,
prese licenza
e voltò il palafreno;
e non
cessò la buona messaggera,
ch'in
Montalban si ritrovò la sera.
91
Seguia
Ruggiero in fretta il Saracino
per l'orme
ch'apparian ne la via piana,
ma non lo
giunse prima che vicino
con
Mandricardo il vide alla fontana.
Già
promesso s'avean che per camino
l'un non
farebbe all'altro cosa strana,
né fin ch'al
campo si fosse soccorso,
a cui Carlo
era appresso a porre il morso.
92
Quivi giunto
Ruggier, Frontin conobbe,
e conobbe per
lui chi adosso gli era;
e su la
lancia fe' le spalle gobbe,
e
sfidò l'African con voce altiera.
Rodomonte
quel dì fe' più che Iobbe,
poi che
domò la sua superbia fiera;
e
ricusò la pugna ch'avea usanza
di sempre
egli cercar con ogni istanza.
93
Il primo
giorno e l'ultimo, che pugna
mai ricusasse
il re d'Algier, fu questo;
ma tanto il
desiderio che si giugna,
in soccorso
al suo re gli pare onesto,
che se
credesse aver Ruggier ne l'ugna
più
che mai lepre il pardo isnello e presto,
non se vorria
fermar tanto con lui,
che
fêsse un colpo de la spada o dui.
94
Aggiungi che
sapea ch'era Ruggiero
che seco per
Frontin facea battaglia,
tanto famoso,
ch'altro cavalliero
non è
ch'a par di lui di gloria saglia,
l'uom che
bramato ha di saper per vero
esperimento
quanto in arme vaglia;
e pur non
vuol seco accettar l'impresa:
tanto l'assedio
del suo re gli pesa.
95
Trecento
miglia sarebbe ito e mille,
se ciò
non fosse, a comperar tal lite;
ma se
l'avesse oggi sfidato Achille,
più
fatto non avria di quel ch'udite:
tanto a quel
punto sotto le faville
le fiamme
avea del suo furor sopite.
Narra a
Ruggier perché pugna rifiuti;
ed anco il
priega che l'impresa aiuti:
96
che facendol,
farà quel che far deve
al suo
signore un cavallier fedele.
Sempre che
questo assedio poi si leve,
avran ben
tempo da finir querele.
Ruggier
rispose a lui: - Mi sarà lieve
differir
questa pugna, fin che de le
forze di
Carlo si traggia Agramante,
pur che mi
rendi il mio Frontino inante.
97
Se di
provarti c'hai fatto gran fallo,
e fatto hai
cosa indegna ad un uom forte,
d'aver tolto
a una donna il mio cavallo,
vuoi ch'io
prolunghi fin che siamo in corte,
lascia
Frontino, e nel mio arbitrio dàllo.
Non pensare
altrimente ch'io sopporte
che la
battaglia qui tra noi non segua,
o ch'io ti
faccia sol d'un'ora triegua. -
98
Mentre
Ruggiero all'African domanda
o Frontino o battaglia
allora allora,
e quello in
lungo e l'uno e l'altro manda,
né vuol dare
il destrier, né far dimora;
Mandricardo
ne vien da un'altra banda,
e mette in
campo un'altra lite ancora,
poi che vede
Ruggier che per insegna
porta l'augel
che sopra gli altri regna.
99
Nel campo
azzur l'aquila bianca avea,
che de'
Troiani fu l'insegna bella:
perché
Ruggier l'origine traea
dal
fortissimo Ettòr, portava quella.
Ma questo
Mandricardo non sapea;
né vuol
patire, e grande ingiuria appella,
che ne lo
scudo un altro debba porre
l'aquila
bianca del famoso Ettorre.
100
Portava
Mandricardo similmente
l'augel che
rapì in Ida Ganimede.
Come l'ebbe
quel dì che fu vincente
al castel
periglioso, per mercede,
credo vi sia
con l'altre istorie a mente,
e come quella
fata gli lo diede
con tutte le
bell'arme che Vulcano
avea
già date al cavallier troiano.
101
Altra volta a
battaglia erano stati
Mandricardo e
Ruggier solo per questo;
e per che
caso fosser distornati,
io nol
dirò, che già v'è manifesto.
Dopo non
s'eran mai più raccozzati,
se non quivi
ora; e Mandricardo presto,
visto lo
scudo alzò il superbo grido
minacciando,
e a Ruggier disse: - Io ti sfido.
102
Tu la mia
insegna, temerario, porti;
né questo
è il primo dì ch'io te l'ho detto.
E credi,
pazzo, ancor ch'io tel comporti,
per una volta
ch'io t'ebbi rispetto?
Ma poi che né
minacce né conforti
ti pôn questa
follia levar del petto,
ti
mostrerò quanto miglior partito
t'era
d'avermi subito ubbidito.
103
Come ben
riscaldato arrido legno
a piccol
soffio subito s'accende,
così
s'avampa di Ruggier lo sdegno
al primo
motto che di questo intende.
- Ti pensi
(disse) farmi stare al segno,
perché
quest'altro ancor meco contende?
Ma
mostrerotti ch'io son buon per torre
Frontino a
lui, lo scudo a te d'Ettorre.
104
Un'altra
volta pur per questo venni
teco a
battaglia, e non è gran tempo anco;
ma
d'ucciderti allora mi contenni,
perché tu non
avevi spada al fianco.
Questi fatti
saran, quelli fur cenni;
e mal
sarà per te quell'augel bianco,
ch'antiqua
insegna è stata di mia gente:
tu te
l'usurpi, io 'l porto giustamente. -
105
- Anzi
t'usurpi tu l'insegna mia! -
rispose
Mandricardo; e trasse il brando,
quello che
poco inanzi per follia
avea gittato
alla foresta Orlando.
Il buon
Ruggier, che di sua cortesia
non
può non sempre ricordarsi, quando
vide il Pagan
ch'avea tratta la spada,
lasciò
cader la lancia ne la strada.
106
E tutto a un
tempo Balisarda stringe,
la buona
spada, e me' lo scudo imbraccia:
ma l'Africano
in mezzo il destrier spinge,
e Marfisa con
lui presta si caccia;
e l'uno
questo, e l'altro quel respinge,
e priegano
amendui che non si faccia.
Rodomonte si
duol che rotto il patto
due volte ha
Mandricardo, che fu fatto.
107
Prima,
credendo d'acquistar Marfisa,
fermato s'era
a far più d'una giostra;
or per privar
Ruggier d'una divisa,
di curar poco
il re Agramante mostra.
- Se pur
(dicea) déi fare a questa guisa,
finiàn
prima tra noi la lite nostra,
conveniente e
più debita assai,
ch'alcuna di
quest'altre che prese hai.
108
Con tal
condizion fu stabilita
la triegua e
questo accordo ch'è fra nui.
Come la pugna
teco avrò finita,
poi del
destrier risponderò a costui.
Tu del tuo
scudo, rimanendo in vita,
la lite avrai
da terminar con lui;
ma ti
darò da far tanto, mi spero,
che non
n'avanzarà troppo a Ruggiero. -
109
- La parte
che ti pensi, non n'avrai
(rispose
Mandricardo a Rodomonte):
io te ne
darò più che non vorrai,
e ti
farò sudar dal piè alla fronte:
e me ne
rimarrà per darne assai
(come non
manca mai l'acqua del fonte)
ed a Ruggiero
ed a mill'altri seco,
e a tutto il
mondo che la voglia meco. -
110
Moltiplicavan
l'ire e le parole
quando da
questo e quando da quel lato:
con Rodomonte
e con Ruggier la vuole
tutto in un
tempo Mandricardo irato;
Ruggier,
ch'oltraggio sopportar non suole,
non vuol
più accordo, anzi litigio e piato.
Marfisa or va
da questo or da quel canto
per riparar,
ma non può sola tanto.
111
Come il
villan, se fuor per l'alte sponde
trapela il
fiume e cerca nuova strada,
frettoloso a
vietar che non affonde
i verdi
paschi e la sperata biada,
chiude una
via ed un'altra, e si confonde;
che se ripara
quinci che non cada,
quindi vede
lassar gli argini molli,
e fuor
l'acqua spicciar con più rampolli:
112
così,
mentre Ruggiero e Mandricardo
e Rodomonte
son tutti sozzopra,
ch'ognun vuol
dimostrarsi più gagliardo,
ed ai
compagni rimaner di sopra,
Marfisa ad
acchetarli have riguardo,
e s'affatica,
e perde il tempo e l'opra;
che, come ne
spicca uno e lo ritira,
gli altri duo
risalir vede con ira.
113
Marfisa, che
volea porgli d'accordo,
dicea: -
Signori, udite il mio consiglio:
differire
ogni lite è buon ricordo
fin
ch'Agramante sia fuor di periglio.
S'ognun vuole
al suo fatto essere ingordo,
anch'io con
Mandricardo mi ripiglio;
e vo' vedere
al fin se guadagnarme,
come egli ha
detto, è buon per forza d'arme.
114
Ma se si de'
soccorrere Agramante,
soccorrasi, e
tra noi non si contenda. -
- Per me non
si starà d'andare inante
(disse
Ruggier), pur che 'l destrier si renda.
O che mi dia
il cavallo, a far di tante
una parola, o
che da me il difenda:
o che qui
morto ho da restare, o ch'io
in campo ho
da tornar sul destrier mio. -
115
Rispose
Rodomonte: - Ottener questo
non fia
così, come quell'altro, lieve.-
E
seguitò dicendo: - Io ti protesto
che, s'alcun
danno il nostro re riceve,
fia per tua
colpa; ch'io per me non resto
di fare a
tempo quel che far si deve.-
Ruggiero a
quel protesto poco bada;
ma stretto
dal furor stringe la spada.
116
Al re
d'Algier come cingial si scaglia,
e l'urta con
lo scudo e con la spalla;
e in modo lo
disordina e sbarraglia,
che fa che
d'una staffa il piè gli falla.
Mandricardo
gli grida: - O la battaglia
differisci,
Ruggiero, o meco falla; -
e crudele e
fellon più che mai fosse,
Ruggier su
l'elmo in questo dir percosse.
117
Fin sul collo
al destrier Ruggier s'inchina,
né, quando
vuolsi rilevar, si puote;
perché gli
sopragiunge la ruina
del figlio
d'Ulien che lo percuote.
Se non era di
tempra adamantina,
fesso l'elmo
gli avria fin tra le gote.
Apre Ruggier
le mani per l'ambascia,
e l'una il
fren, l'altra la spada lascia.
118
Se lo porta
il destrier per la campagna:
dietro gli
resta in terra Balisarda.
Marfisa che
quel dì fatta compagna
se gli era
d'arme, par ch'avampi ed arda,
che solo fra
que' duo così rimagna:
e come era
magnanima e gagliarda,
si drizza a
Mandricardo, e col potere
ch'avea
maggior, sopra la testa il fiere.
119
Rodomonte a
Ruggier dietro si spinge:
vinto
è Frontin, s'un'altra gli n'appicca;
ma
Ricciardetto con Vivian si stringe,
e tra
Ruggiero e 'l Saracin si ficca.
L'uno urta
Rodomonte e lo rispinge,
e da Ruggier
per forza lo dispicca;
l'altro la
spada sua, che fu Viviano,
pone a
Ruggier, già risentito, in mano.
120
Tosto che 'l
buon Ruggiero in sé ritorna,
e che Vivian
la spada gli appresenta,
a vendicar
l'ingiuria non soggiorna,
e verso il re
d'Algier ratto s'aventa,
come il leon
che tolto su le corna
dal bue sia
stato, e che 'l dolor non senta:
sì
sdegno ed ira ed impeto l'affretta,
stimula e
sferza a far la sua vendetta.
121
Ruggier sul
capo al Saracin tempesta:
e se la spada
sua si ritrovasse,
che, come ho
detto, al comminciar di questa
pugna, di man
gran fellonia gli trasse,
mi credo ch'a
difendere la testa
di Rodomonte
l'elmo non bastasse,
l'elmo che
fece il re far di Babelle
quando muover
pensò guerra alle stelle.
122
La Discordia,
credendo non potere
altro esser
quivi che contese e risse,
né vi dovesse
mai più luogo avere
o pace o
triegua, alla sorella disse
ch'omai
sicuramente a rivedere
i monachetti
suoi seco venisse.
Lasciànle
andare, e stiàn noi dove in fronte
Ruggiero avea
ferito Rodomonte.
123
Fu il colpo
di Ruggier di sì gran forza,
che fece in
su la groppa di Frontino
percuoter
l'elmo e quella dura scorza
di ch'avea
armato il dosso il Saracino,
e lui tre
volte e quattro a poggia e ad orza
piegar per
gire in terra a capo chino;
e la spada
egli ancora avria perduta,
se legata
alla man non fosse suta.
124
Avea Marfisa
a Mandricardo intanto
fatto sudar
la fronte, il viso e il petto,
ed egli aveva
a lei fatto altretanto;
ma sì
l'osbergo d'ambi era perfetto,
che mai poter
falsarlo in nessun canto,
e stati eran
sin qui pari in effetto:
ma in un
voltar che fece il suo destriero,
bisogno ebbe
Marfisa di Ruggiero.
125
Il destrier
di Marfisa in un voltarsi
che fece
stretto, ov'era molle il prato,
sdrucciolò
in guisa, che non poté aitarsi
di non tutto
cader sul destro lato;
e nel volere
in fretta rilevarsi,
da Brigliador
fu pel traverso urtato,
con che il
pagan poco cortese venne;
sì che
cader di nuovo gli convenne.
126
Ruggier che
la donzella a mal partito
vide giacer,
non differì il soccorso,
or che l'agio
n'avea, poi che stordito
da sé lontan
quell'altro era trascorso:
ferì
su l'elmo il Tartaro; e partito
quel colpo
gli avria il capo, come un torso,
se Ruggier
Balisarda avesse avuta,
o Mandricardo
in capo altra barbuta.
127
Il re
d'Algier che si risente in questo,
si volge
intorno, e Ricciardetto vede;
e si ricorda
che gli fu molesto
dianzi,
quando soccorso a Ruggier diede.
A lui si
drizza, e saria stato presto
a darli del
ben fare aspra mercede,
se con grande
arte e nuovo incanto tosto
non se gli
fosse Malagigi opposto.
128
Malagigi, che
sa d'ogni malia
quel che ne
sappia alcun mago eccellente,
ancor che 'l
libro suo seco non sia,
con che
fermare il sole era possente,
pur la
scongiurazione onde solia
commandare ai
demoni aveva a mente:
tosto in
corpo al ronzino un ne costringe
di Doralice,
ed in furor lo spinge.
129
Nel mansueto
ubino che sul dosso
avea la
figlia del re Stordilano,
fece entrar
un degli angel di Minosso
sol con
parole il frate di Viviano:
e quel che
dianzi mai non s'era mosso,
se non quanto
ubidito avea alla mano,
or
d'improviso spiccò in aria un salto,
che trenta
piè fu lungo e sedeci alto.
130
Fu grande il
salto, non però di sorte
che ne
dovesse alcun perder la sella.
Quando si
vide in alto, gridò forte
(che si tenne
per morta) la donzella.
Quel ronzin,
come il diavol se lo porte,
dopo un gran
salto se ne va con quella,
che pur grida
soccorso, in tanta fretta,
che non
l'avrebbe giunto una saetta.
131
Da la
battaglia il figlio d'Ulieno
si
levò al primo suon di quella voce;
e dove
furiava il palafreno,
per la donna
aiutar n'andò veloce.
Mandricardo
di lui non fece meno,
né più
a Ruggier, né più a Marfisa nòce;
ma, senza
chieder loro o paci o tregue,
e Rodomonte e
Doralice segue.
132
Marfisa
intanto si levò di terra,
e tutta
ardendo di disdegno e d'ira,
credesi far
la sua vendetta, ed erra;
che troppo
lungi il suo nimico mira.
Ruggier,
ch'aver tal fin vede la guerra,
rugge come un
leon, non che sospira.
Ben sanno che
Frontino e Brigliadoro
giunger non
ponno coi cavalli loro.
133
Ruggier non
vuol cessar fin che decisa
col re
d'Algier non l'abbia del cavallo:
non vuol
quietar il Tartaro Marfisa,
che provato a
suo senno anco non hallo.
Lasciar la
sua querela a questa guisa
parrebbe
all'uno e all'altro troppo fallo.
Di commune
parer disegno fassi
di chi offesi
gli avea seguire i passi.
134
Nel campo
saracin li troveranno,
quando non
possan ritrovarli prima;
che per levar
l'assedio iti seranno,
prima che 'l
re di Francia il tutto opprima.
Così
dirittamente se ne vanno
dove averli a
man salva fanno stima.
Già
non andò Ruggier così di botto,
che non
facesse ai suoi compagni motto.
135
Ruggier se ne
ritorna ove in disparte
era il fratel
de la sua donna bella,
e se gli
proferisce in ogni parte
amico, per
fortuna e buona e fella:
indi lo
priega (e lo fa con bella arte)
che saluti in
suo nome la sorella;
e questo
così ben gli venne detto,
che né a lui
diè né agli altri alcun sospetto.
136
E da lui, da
Vivian, da Malagigi,
dal ferito
Aldigier tolse commiato.
Si proferiro
anch'essi alli servigi
di lui,
debitor sempre in ogni lato.
Marfisa avea
sì il cor d'ire a Parigi,
che 'l
salutar gli amici avea scordato;
ma Malagigi
andò tanto e Viviano,
che pur la
salutaron di lontano;
137
e così
Ricciardetto; ma Aldigiero
giace, e
convien che suo malgrado resti.
Verso Parigi
avean preso il sentiero
quelli duo
prima, ed or lo piglian questi.
Dirvi,
Signor, ne l'altro canto spero
miracolosi e
sopraumani gesti,
che con danno
degli uomini di Carlo
ambe le
coppie fer, di ch'io vi parlo.
1
Molti
consigli de le donne sono
meglio
improviso, ch'a pensarvi, usciti;
che questo
è speziale e proprio dono
fra tanti e
tanti lor dal ciel largiti.
Ma può
mal quel degli uomini esser buono,
che maturo
discorso non aiti,
ove non
s'abbia a ruminarvi sopra
speso alcun
tempo e molto studio ed opra.
2
Parve, e non
fu però buono il consiglio
di Malagigi,
ancor che (come ho detto)
per questo di
grandissimo periglio
liberassi il
cugin suo Ricciardetto.
A levare indi
Rodomonte e il figlio
del re
Agrican, lo spirto avea costretto,
non
avvertendo che sarebbon tratti
dove i
cristian ne rimarrian disfatti.
3
Ma se spazio
a pensarvi avesse avuto,
creder si
può che dato similmente
al suo cugino
avria debito aiuto,
né fatto
danno alla cristiana gente.
Commandare
allo spirto avria potuto,
ch'alla via
di levante o di ponente
sì
dilungata avesse la donzella,
che non
n'udisse Francia più novella.
4
Così
gli amanti suoi l'avrian seguìta,
come a
Parigi, anco in ogn'altro loco;
ma fu questa
avvertenza inavvertita
da Malagigi,
per pensarvi poco:
e la
Malignità dal ciel bandita,
che sempre
vorria sangue e strage e fuoco,
prese la via
donde più Carlo afflisse,
poi che
nessuna il mastro gli prescrisse.
5
Il palafren
ch'avea il demonio al fianco,
portò
la spaventata Doralice,
che non poté
arrestarla fiume, e manco
fossa, bosco,
palude, erta o pendice;
fin che per
mezzo il campo inglese e franco,
e l'altra
moltitudine fautrice
de l'insegne
di Cristo, rassegnata
non l'ebbe al
padre suo re di Granata.
6
Rodomonte col
figlio d'Agricane
la seguitaro
il primo giorno un pezzo,
che le vedean
le spalle, ma lontane:
di vista poi
perderonla da sezzo,
e venner per
la traccia, come il cane
la lepre o il
capriol trovare avezzo;
né si fermar,
che furo in parte, dove
di lei ch'era
col padre ebbono nuove.
7
Guardati,
Carlo, che 'l ti viene addosso
tanto furor,
ch'io non ti veggo scampo:
né questi
pur, ma 'l re Gradasso è mosso
con
Sacripante a danno del tuo campo.
Fortuna, per
toccarti fin all'osso,
ti tolle a un
tempo l'uno e l'altro lampo
di forza e di
saper, che vivea teco;
e tu rimaso
in tenebre sei cieco.
8
Io ti dico
d'Orlando e di Rinaldo;
che l'uno al
tutto furioso e folle,
al sereno,
alla pioggia, al freddo, al caldo,
nudo va
discorrendo il piano e 'l colle:
l'altro, con
senno non troppo più saldo,
d'appresso al
gran bisogno ti si tolle;
che non
trovando Angelica in Parigi,
si parte, e
va cercandone vestigi.
9
Un
fraudolente vecchio incantatore
gli fe' (come
a principio vi si disse)
creder per un
fantastico suo errore,
che con
Orlando Angelica venisse:
ondè
di gelosia tocco nel core,
de la maggior
ch'amante mai sentisse,
venne a
Parigi, e come apparve in corte,
d'ire in
Bretagna gli toccò per sorte.
10
Or fatta la
battaglia onde portonne
egli l'onor
d'aver chiuso Agramante,
tornò
a Parigi, e monister di donne
e case e
rocche cercò tutte quante.
Se murata non
è tra le colonne,
l'avria
trovata il curioso amante.
Vedendo al
fin ch'ella non v'è né Orlando,
amenduo va
con gran disio cercando.
11
Pensò
che dentro Anglante o dentro a Brava
se la godesse
Orlando in festa e in giuoco;
e qua e
là per ritrovarla andava,
né in quel la
ritrovò né in questo loco.
A Parigi di
nuovo ritornava,
pensando che
tardar dovesse poco
di capitare
il paladino al varco;
che 'l suo
star fuor non era senza incarco.
12
Un giorno o
duo ne la città soggiorna
Rinaldo; e
poi ch'Orlando non arriva,
or verso
Anglante, or verso Brava torna,
cercando se
di lui novella udiva.
Cavalca e
quando annotta e quando aggiorna,
alla fresca
alba e all'ardente ora estiva;
e fa al lume
del sole e de la luna
dugento volte
questa via, non ch'una.
13
Ma l'antiquo
aversario, il qual fece Eva
all'interdetto
pome alzar la mano,
a Carlo un
giorno i lividi occhi leva,
che 'l buon
Rinaldo era da lui lontano;
e vedendo la
rotta che poteva
darsi in quel
punto al populo cristiano,
quanta
eccellenza d'arme al mondo fusse
fra tutti i
Saracini, ivi condusse.
14
Al re
Gradasso e al buon re Sacripante,
ch'eran fatti
compagni all'uscir fuore
de la piena
d'error casa d'Atlante,
di venire in
soccorso messe in core
alle genti
assediate d'Agramante,
e a
distruzion di Carlo imperatore:
ed egli per
l'incognite contrade
fe' lor la
scorta e agevolò le strade.
15
Ed ad un
altro suo diede negozio
d'affrettar
Rodomonte e Mandricardo
per le
vestigie donde l'altro sozio
a condur
Doralice non è tardo.
Ne manda
ancora un altro, perché in ozio
non stia
Marfisa né Ruggier gagliardo;
ma chi
guidò l'ultima coppia tenne
la briglia
più, né quando gli altri venne.
16
La coppia di
Marfisa e di Ruggiero
di mezza ora
più tarda si condusse;
però
ch'astutamente l'angel nero,
volendo agli
cristian dar de le busse,
provide che
la lite del destriero
per impedire
il suo desir non fusse,
che rinovata
si saria, se giunto
fosse
Ruggiero e Rodomonte a un punto.
17
I quattro
primi si trovaro insieme
onde potean
veder gli alloggiamenti
de l'esercito
oppresso e di chi 'l preme,
e le bandiere
in che feriano i venti.
Si
consigliaro alquanto; e fur l'estreme
conclusion
dei lor ragionamenti
di dare
aiuto, mal grado di Carlo,
al re
Agramante, e de l'assedio trarlo.
18
Stringonsi
insieme, e prendono la via
per mezzo ove
s'alloggiano i cristiani,
gridando
Africa e Spagna tuttavia;
e si scopriro
in tutto esser pagani.
Pel campo,
arme, arme risonar s'udia;
ma menar si
sentir prima le mani:
e de la
retroguardia una gran frotta,
non
ch'assalita sia, ma fugge in rotta.
19
L'esercito
cristian mosso a tumulto
sozzopra va
senza sapere il fatto.
Estima alcun
che sia un usato insulto
che Svizzari
o Guasconi abbino fatto.
Ma perch'alla
più parte è il caso occulto,
s'aduna
insieme ogni nazion di fatto,
altri a suon
di tamburo, altri di tromba:
grande
è 'l rumore, e fin al ciel rimbomba.
20
Il magno
imperator, fuor che la testa,
è
tutto armato, e i paladini ha presso;
e domandando
vien che cosa è questa
che le squadre
in disordine gli ha messo;
e
minacciando, or questi or quelli arresta;
e vede a
molti il viso o il petto fesso,
ad altri
insanguinare o il capo o il gozzo,
alcun tornar
con mano o braccio mozzo.
21
Giunge
più inanzi, e ne ritrova molti
giacere in
terra, anzi in vermiglio lago
nel proprio
sangue orribilmente involti,
né giovar lor
può medico né mago;
e vede dagli
busti i capi sciolti
e braccia e
gambe con crudele imago;
e ritrova dai
primi alloggiamenti
agli ultimi
per tutto uomini spenti.
22
Dove passato
era il piccol drappello,
di chiara
fama eternamente degno,
per lunga
riga era rimaso quello
al mondo
sempre memorabil segno.
Carlo mirando
va il crudel macello,
maraviglioso,
e pien d'ira e di sdegno,
come alcun,
in cui danno il fulgur venne,
cerca per
casa ogni sentier che tenne.
23
Non era agli
ripari anco arrivato
del re
african questo primiero aiuto,
che con
Marfisa fu da un altro lato
l'animoso
Ruggier sopravenuto.
Poi ch'una
volta o due l'occhio aggirato
ebbe la degna
coppia, e ben veduto
qual via
più breve per soccorrer fosse
l'assediato
signor, ratto si mosse.
24
Come quando
si dà fuoco alla mina,
pel lungo
solco de la negra polve
licenziosa
fiamma arde e camina
sì
ch'occhio a dietro a pena se le volve;
e qual si
sente poi l'alta ruina
che 'l duro
sasso o il grosso muro solve:
così
Ruggiero e Marfisa veniro,
e tai ne la
battaglia si sentiro.
25
Per lungo e
per traverso a fender teste
incominciaro,
e tagliar braccia e spalle
de le turbe
che male erano preste
ad espedire e
sgombrar loro il calle.
C'ha notato
il passar de le tempeste,
ch'una parte
d'un monte o d'una valle
offende, e
l'altra lascia, s'appresenti
la via di
questi duo fra quelle genti.
26
Molti che dal
furor di Rodomonte
e di quegli
altri primi eran fuggiti,
Dio
ringraziavan ch'avea lor sì pronte
gambe
concesse, e piedi sì spediti;
e poi, dando
del petto e de la fronte
in Marfisa e
in Ruggier, vedean scherniti,
come l'uom né
per star né per fuggire,
al suo fisso
destin può contradire.
27
Chi fugge
l'un pericolo, rimane
ne l'altro, e
paga il fio d'ossa e di polpe.
Così
cader coi figli in bocca al cane
suol,
sperando fuggir, timida volpe,
poi che la
caccia de l'antique tane
il suo vicin
che le dà mille colpe,
e cautamente
con fumo e con fuoco
turbata l'ha
da non temuto loco.
28
Negli ripari
entrò de' Saracini
Marfisa con
Ruggiero a salvamento.
Quivi tutti
con gli occhi al ciel supini
Dio
ringraziar del buono avvenimento.
Or non
v'è più timor de' paladini:
il più
tristo pagan ne sfida cento;
ed è concluso
che senza riposo
si torni a
fare il campo sanguinoso.
29
Corni,
bussoni, timpani moreschi
empieno il
ciel di formidabil suoni:
ne l'aria
tremolare ai venti freschi
si veggon le
bandiere e i gonfaloni.
Da l'altra
parte i capitan carleschi
stringon con
Alamanni e con Britoni
quei di
Francia, d'Italia e d'Inghilterra;
e si mesce
aspra e sanguinosa guerra.
30
La forza del
terribil Rodomonte,
quella di
Mandricardo furibondo,
quella del
buon Ruggier, di virtù fonte,
del re
Gradasso, sì famoso al mondo,
e di Marfisa
l'intrepida fronte,
col re
circasso a nessun mai secondo,
feron chiamar
san Gianni e san Dionigi
al re di
Francia, e ritrovar Parigi.
31
Di questi
cavallieri e di Marfisa
l'ardire
invitto e la mirabil possa
non fu,
Signor, di sorte, non fu in guisa
ch'imaginar,
non che descriver possa.
Quindi si
può stimar che gente uccisa
fosse quel
giorno, e che crudel percossa
avesse Carlo.
Arroge poi con loro,
con
Ferraù più d'un famoso Moro.
32
Molti per
fretta s'affogaro in Senna
(che 'l ponte
non potea supplire a tanti),
e desiar,
come Icaro, la penna,
perché la
morte avean dietro e davanti.
Eccetto
Uggieri e il marchese di Vienna,
i paladin fur
presi tutti quanti.
Olivier
ritornò ferito sotto
la spalla
destra, Uggier col capo rotto.
33
E se, come
Rinaldo e come Orlando,
lasciato
Brandimarte avesse il giuoco,
Carlo
n'andava di Parigi in bando,
se potea vivo
uscir di sì gran fuoco.
Ciò
che poté, fe' Brandimarte, e quando
non poté
più, diede alla furia loco.
Così
Fortuna ad Agramante arrise,
ch'un'altra
volta a Carlo assedio mise.
34
Di vedovelle
i gridi e le querele,
e d'orfani
fanciulli e di vecchi orbi,
ne l'eterno
seren dove Michele
sedea, salir
fuor di questi aer torbi;
e gli fecion
veder come il fedele
popul preda
de' lupi era e de' corbi,
di Francia,
d'Inghilterra e di Lamagna,
che tutta
avea coperta la campagna.
35
Nel viso
s'arrossì l'angel beato,
parendogli
che mal fosse ubidito
al Creatore,
e si chiamò ingannato
da la
Discordia perfida e tradito.
D'accender
liti tra i pagani dato
le avea
l'assunto, e mal era esequito;
anzi tutto il
contrario al suo disegno
parea aver
fatto, a chi guardava al segno.
36
Come servo
fedel, che più d'amore
che di
memoria abondi, e che s'aveggia
aver messo in
oblio cosa ch'a core
quanto la
vita e l'anima aver deggia,
studia con
fretta d'emendar l'errore,
né vuol che
prima il suo signor lo veggia:
così
l'angelo a Dio salir non volse,
se de
l'obligo prima non si sciolse.
37
Al monister,
dove altre volte avea
la Discordia
veduta, drizzò l'ali.
Trovolla
ch'in capitulo sedea
a nuova
elezion degli ufficiali;
e di veder
diletto si prendea,
volar pel
capo a' frati i breviali.
Le man le
pose l'angelo nel crine,
e pugna e
calci le diè senza fine.
38
Indi le roppe
un manico di croce
per la testa,
pel dosso e per le braccia.
Mercé grida
la misera a gran voce,
e le
genocchia al divin nunzio abbraccia.
Michel non
l'abandona, che veloce
nel campo del
re d'Africa la caccia;
e poi le
dice: - Aspettati aver peggio,
se fuor di
questo campo più ti veggio. -
39
Come che la
Discordia avesse rotto
tutto il
dosso e le braccia, pur temendo
un'altra
volta ritrovarsi sotto
a quei gran
colpi, a quel furor tremendo,
corre a
pigliare i mantici di botto,
ed agli
accesi fuochi esca aggiungendo,
ed
accendendone altri, fa salire
da molti cori
un alto incendio d'ire.
40
E Rodomonte e
Mandricardo e insieme
Ruggier
n'infiamma sì, che inanzi al Moro
li fa tutti
venire, or che non preme
Carlo i
pagani, anzi il vantaggio è loro.
Le differenze
narrano, ed il seme
fanno saper,
da cui produtte foro;
poi del re si
rimettono al parere,
chi di lor
prima il campo debba avere.
41
Marfisa del
suo caso anco favella,
e dice che la
pugna vuol finire,
che
cominciò col Tartaro; perch'ella
provocata da
lui vi fu a venire:
né, per dar
loco all'altre, volea quella
un'ora, non
che un giorno, differire;
ma d'esser
prima fa l'instanza grande,
ch'alla
battaglia il Tartaro domande.
42
Non men vuol
Rodomonte il primo campo
da terminar
col suo rival l'impresa,
che per
soccorrer l'africano campo
ha già
interrotta, e fin a qui sospesa.
Mette Ruggier
le sue parole a campo,
e dice che
patir troppo gli pesa
che Rodomonte
il suo destrier gli tenga,
e ch'a pugna
con lui prima non venga.
43
Per
più intricarla il Tartaro viene anche,
e niega che
Ruggiero ad alcun patto
debba
l'aquila aver da l'ale bianche;
e d'ira e di
furore è così matto,
che vuol,
quando dagli altri tre non manche,
combatter
tutte le querele a un tratto.
Né più
dagli altri ancor saria mancato,
se 'l
consenso del re vi fosse stato.
44
Con prieghi
il re Agramante e buon ricordi
fa quanto
può, perché la pace segua;
e quando al
fin tutti li vede sordi
non volere
assentire a pace o a triegua,
va
discorrendo come almen gli accordi
sì,
che l'un dopo l'altro il campo assegua:
e pel miglior
partito al fin gli occorre
ch'ognuno a
sorte il campo s'abbia a torre.
45
Fe' quattro
brevi porre: un Mandricardo
e Rodomonte
insieme scritto avea;
ne l'altro
era Ruggiero e Mandricardo.
Rodomonte e
Ruggier l'altro dicea;
dicea l'altro
Marfisa e Mandricardo.
Indi
all'arbitrio de l'instabil dea
li fece
trarre: e 'l primo fu il signore
di Sarza a
uscir con Mandricardo fuore.
46
Mandricardo e
Ruggier fu nel secondo;
nel terzo fu
Ruggiero e Rodomonte;
restò
Marfisa e Mandricardo in fondo,
di che la
donna ebbe turbata fronte.
Né Ruggier
più di lei parve giocondo:
sa che le
forze dei duo primi pronte
han tra lor
da finir le liti in guisa,
che non ne
fia per sé né per Marfisa.
47
Giacea non
lungi da Parigi un loco,
che volgea un
miglio o poco meno intorno:
lo cingea
tutto un argine non poco
sublime, a
guisa d'un teatro adorno.
Un castel
già vi fu, ma a ferro e a fuoco
le mura e i
tetti ed a ruina andorno.
Un simil
può vederne in su la strada,
qual volta a
Borgo il Parmigiano vada.
48
In questo
loco fu la lizza fatta,
di brevi
legni d'ogn'intorno chiusa,
per giusto
spazio quadra, al bisogno atta,
con due
capaci porte, come s'usa.
Giunto il
dì ch'al re par che si combatta
tra i
cavallier che non ricercan scusa,
furo appresso
alle sbarre in ambi i lati
contra i
rastrelli i padiglion tirati.
49
Nel padiglion
ch'è più verso ponente
sta il re
d'Algier, c'ha membra di gigante.
Gli pon lo
scoglio indosso del serpente
l'ardito
Ferraù con Sacripante.
Il re
Gradasso e Falsiron possente
sono in
quell'altro al lato di levante,
e metton di
sua man l'arme troiane
indosso al
successor del re Agricane.
50
Sedeva in
tribunale amplo e sublime
il re
d'Africa, e seco era l'Ispano;
poi
Stordilano, e l'altre genti prime
che riveria l'esercito
pagano.
Beato a chi
pôn dare argini e cime
d'arbori
stanza che gli alzi dal piano!
Grande
è la calca, e grande in ogni lato
populo
ondeggia intorno al gran steccato.
51
Eran con la
regina di Castiglia
regine e
principesse e nobil donne
d'Aragon, di
Granata e di Siviglia,
e fin di
presso all'atlantee colonne:
tra quai di
Stordilan sedea la figlia,
che di duo
drappi avea le ricche gonne,
l'un d'un
rosso mal tinto, e l'altro verde;
ma 'l primo
quasi imbianca e il color perde.
52
In abito succinta
era Marfisa,
qual si
convenne a donna ed a guerriera.
Termoodonte
forse a quella guisa
vide Ippolita
ornarsi e la sua schiera.
Già,
con la cotta d'arme alla divisa
del re
Agramante, in campo venut'era
l'araldo a
far divieto e metter leggi,
che né in
fatto né in detto alcun parteggi.
53
La spessa
turba aspetta disiando
la pugna, e
spesso incolpa il venir tardo
dei duo
famosi cavallieri; quando
s'ode dal
padiglion di Mandricardo
alto rumor
che vien moltiplicando.
Or sappiate,
Signor, che 'l re gagliardo
di Sericana e
'l Tartaro possente
fanno il
tumulto e 'l grido che si sente.
54
Avendo armato
il re di Sericana
di sua man
tutto il re di Tartaria,
per porgli al
fianco la spada soprana
che
già d'Orlando fu, se ne venìa;
quando nel
pome scritto Durindana
vide, e 'l
quartier ch'Almonte aver solia,
ch'a quel
meschin fu tolto ad una fonte
dal
giovenetto Orlando in Aspramonte.
55
Vedendola, fu
certo ch'era quella
tanto famosa
del signor d'Anglante,
per cui con
grande armata, e la più bella
che giamai si
partisse di Levante,
soggiogato
avea il regno di Castella,
e Francia
vinta esso pochi anni inante:
ma non
può imaginarsi come avenga
ch'or
Mandricardo in suo poter la tenga.
56
E
dimandògli se per forza o patto
l'avesse
tolta al conte, e dove e quando.
E Mandricardo
disse ch'avea fatto
gran
battaglia per essa con Orlando;
e come finto
quel s'era poi matto,
così
coprire il suo timor sperando,
ch'era d'aver
continua guerra meco,
fin che la
buona spada avesse seco.
57
E dicea
ch'imitato avea il castore,
il qual si
strappa i genitali sui,
vedendosi
alle spalle il cacciatore,
che sa che
non ricerca altro da lui.
Gradasso non
udì tutto il tenore,
che disse: -
Non vo' darla a te né altrui:
tanto oro,
tanto affanno e tanta gente
ci ho speso,
che è ben mia debitamente.
58
Cercati pur
fornir d'un'altra spada,
ch'io voglio
questa, e non ti paia nuovo.
Pazzo o
saggio ch'Orlando se ne vada,
averla
intendo, ovunque io la ritrovo.
Tu senza
testimoni in su la strada
te
l'usurpasti: io qui lite ne muovo.
La mia ragion
dirà mia scimitarra,
e faremo il
giudicio ne la sbarra.
59
Prima, di
guadagnarla t'apparecchia,
che tu
l'adopri contra a Rodomonte.
Di comprar
prima l'arme è usanza vecchia,
ch'alla
battaglia il cavallier s'affronte. -
- Più
dolce suon non mi viene all'orecchia
(rispose
alzando il Tartaro la fronte),
che quando di
battaglia alcun mi tenta;
ma fa che
Rodomonte lo consenta.
60
Fa che sia
tua la prima, e che si tolga
il re di
Sarza la tenzon seconda:
e non ti
dubitar ch'io non mi volga,
e ch'a te ed
ad ogni altro io non risponda. -
Ruggier
gridò: - Non vo' che si disciolga
il patto, o
più la sorte si confonda:
o Rodomonte
in campo prima saglia,
o sia la sua
dopo la mia battaglia.
61
Se di
Gradasso la ragion prevale,
prima
acquistar che porre in opra l'arme;
né tu
l'aquila mia da le bianche ale
prima usar
déi, che non me ne disarme:
ma poi
ch'è stato il mio voler già tale,
di mia
sentenza non voglio appellarme,
che sia
seconda la battaglia mia,
quando del re
d'Algier la prima sia.
62
Se turbarete
voi l'ordine in parte,
io totalmente
turbarollo ancora.
Io non
intendo il mio scudo lasciarte,
se contra me
non lo combatti or ora. -
- Se l'uno e
l'altro di voi fosse Marte
(rispose
Mandricardo irato allora),
non saria
l'un né l'altro atto a vietarme
la buona
spada o quelle nobili arme. -
63
E tratto da
la colera, aventosse
col pugno
chiuso al re di Sericana;
e la man
destra in modo gli percosse,
ch'abandonar
gli fece Durindana.
Gradasso, non
credendo ch'egli fosse
di
così folle audacia e così insana,
colto
improviso fu, che stava a bada,
e tolta si
trovò la buona spada.
64
Così
scornato, di vergogna e d'ira
nel viso
avampa, e par che getti fuoco;
e più
l'affligge il caso e lo martira,
poi che gli
accade in sì palese loco.
Bramoso di
vendetta si ritira,
a trar la
scimitarra, a dietro un poco.
Mandricardo
in sé tanto si confida,
che Ruggiero
anco alla battaglia sfida.
65
- Venite pure
inanzi amenduo insieme,
e vengane pel
terzo Rodomonte,
Africa e
Spagna e tutto l'uman seme;
ch'io son per
sempremai volger la fronte. -
Così
dicendo, quel che nulla teme,
mena
d'intorno la spada d'Almonte;
lo scudo
imbraccia, disdegnoso e fiero,
contra
Gradasso e contra il buon Ruggiero.
66
- Lascia la
cura a me (dicea Gradasso),
ch'io
guarisca costui de la pazzia. -
- Per Dio
(dicea Ruggier), non te la lasso,
ch'esser
convien questa battaglia mia. -
- Va indietro
tu! - Vavvi pur tu! - né passo
però
tornando, gridan tuttavia;
ed attaccossi
la battaglia in terzo,
ed era per
uscirne un strano scherzo,
67
se molti non
si fossero interposti
a quel furor,
non con troppo consiglio;
ch'a spese
lor quasi imparar che costi
voler altri
salvar con suo periglio.
Né tutto 'l
mondo mai gli avria composti,
se non venia
col re d'Ispagna il figlio
del famoso
Troiano, al cui cospetto
tutti ebbon
riverenza e gran rispetto.
68
Si fe'
Agramante la cagione esporre
di questa
nuova lite così ardente:
poi molto
affaticossi per disporre
che per
quella giornata solamente
a Mandricardo
la spada d'Ettorre
concedesse
Gradasso umanamente,
tanto
ch'avesse fin l'aspra contesa
ch'avea
già incontra a Rodomonte presa.
69
Mentre studia
placarli il re Agramante,
ed or con
questo ed or con quel ragiona;
da l'altro
padiglion tra Sacripante
e Rodomonte
un'altra lite suona.
Il re
circasso (come è detto inante)
stava di
Rodomonte alla persona,
ed egli e
Ferraù gli aveano indotte
l'arme del
suo progenitor Nembrotte.
70
Ed eran poi
venuti ove il destriero
facea,
mordendo, il ricco fren spumoso;
io dico il
buon Frontin, per cui Ruggiero
stava
iracondo e più che mai sdegnoso.
Sacripante
ch'a por tal cavalliero
in campo
avea, mirava curioso
se ben
ferrato e ben guernito e in punto
era il
destrier, come doveasi a punto.
71
E venendo a
guardargli più a minuto
i segni, le
fattezze isnelle ed atte,
ebbe, fuor
d'ogni dubbio, conosciuto
che questo
era il destrier suo Frontalatte,
che tanto
caro già s'avea tenuto,
per cui
già avea mille querele fatte;
e poi che gli
fu tolto, un tempo volse
sempre ire a
piedi: in modo gliene dolse.
72
Inanzi
Albracca glie l'avea Brunello
tolto di
sotto quel medesmo giorno
ch'ad
Angelica ancor tolse l'annello,
al conte
Orlando Balisarda e 'l corno,
e la spada a
Marfisa: ed avea quello,
dopo che fece
in Africa ritorno,
con Balisarda
insieme a Ruggier dato,
il qual
l'avea Frontin poi nominato.
73
Quando
conobbe non si apporre in fallo,
disse il
Circasso, al re d'Algier rivolto:
- Sappi,
signor, che questo è mio cavallo,
ch'ad
Albracca di furto mi fu tolto.
Bene avrei
testimoni da provallo;
ma perché son
da noi lontani molto,
s'alcun lo
niega, io gli vo' sostenere
con l'arme in
man le mie parole vere.
74
Ben son
contento, per la compagnia
in questi
pochi dì stata fra noi,
che prestato
il cavallo oggi ti sia,
ch'io veggo
ben che senza far non puoi;
però
con patto, se per cosa mia
e prestata da
me conoscer vuoi:
altrimente
d'averlo non far stima,
o se non lo
combatti meco prima. -
75
Rodomonte,
del quale un più orgoglioso
non ebbe mai
tutto il mestier de l'arme;
al quale in
esser forte e coraggioso
alcuno antico
d'uguagliar non parme;
rispose: -
Sacripante, ogn'altro ch'oso,
fuor che tu,
fosse in tal modo a parlarme,
con suo mal
si saria tosto avveduto
che meglio
era per lui di nascer muto.
76
Ma per la
compagnia che, come hai detto,
novellamente
insieme abbiamo presa,
ti son
contento aver tanto rispetto,
ch'io
t'ammonisca a tardar questa impresa,
fin che de la
battaglia veggi effetto,
che fra il
Tartaro e me tosto fia accesa:
dove porti
uno esempio inanzi spero,
ch'avrai di
grazia a dirmi: Abbi il destriero. -
77
Gli è
teco cortesia l'esser villano
(disse il
Circasso pien d'ira e di isdegno);
ma più
chiaro ti dico ora e più piano,
che tu non
faccia in quel destrier disegno:
che te lo
defendo io, tanto ch'in mano
questa
vindice mia spada sostegno;
e
metteròvi insino l'ugna e il dente,
se non
potrò difenderlo altrimente. -
78
Venner da le
parole alle contese,
ai gridi,
alle minacce, alla battaglia,
che per
molt'ira in più fretta s'accese,
che
s'accendesse mai per fuoco paglia.
Rodomonte ha
l'osbergo ed ogni arnese,
Sacripante
non ha piastra né maglia;
ma par
(sì ben con lo schermir s'adopra)
che tutto con
la spada si ricuopra.
79
Non era la
possanza e la fierezza
di Rodomonte,
ancor ch'era infinita,
più
che la providenza e la destrezza
con che sue forze
Sacripante aita.
Non
voltò ruota mai con più prestezza
il macigno
sovran che 'l grano trita,
che faccia
Sacripante or mano or piede
di qua di
là, dove il bisogno vede.
80
Ma
Ferraù, ma Serpentino arditi
trasson le
spade, e si cacciar tra loro,
dal re
Grandonio, da Isolier seguiti,
da molt'altri
signor del popul Moro.
Questi erano
i romori, i quali uditi
ne l'altro
padiglion fur da costoro,
quivi per
accordar venuti invano
col Tartaro,
Ruggiero e 'l Sericano.
81
Venne chi la
novella al re Agramante
riportò
certa, come pel destriero
avea con
Rodomonte Sacripante
incominciato
un aspro assalto e fiero.
Il re,
confuso di discordie tante,
disse a
Marsilio: - Abbi tu qui pensiero
che fra
questi guerrier non segua peggio,
mentre
all'altro disordine io proveggio. -
82
Rodomonte,
che 'l re, suo signor, mira,
frena
l'orgoglio, e torna indietro il passo;
né con minor
rispetto si ritira
al venir
d'Agramante il re circasso.
Quel domanda
la causa di tant'ira
con real viso
e parlar grave e basso:
e cerca, poi
che n'ha compreso il tutto,
porli
d'accordo; e non vi fa alcun frutto.
83
Il re
circasso il suo destrier non vuole
ch'al re
d'Algier più lungamente resti,
se non
s'umilia tanto di parole,
che lo venga
a pregar che glie lo presti.
Rodomonte,
superbo come suole,
gli risponde:
- Né 'l ciel, né tu faresti
che cosa che
per forza aver potessi,
da altri, che
da me, mai conoscessi. -
84
Il re chiede
al Circasso, che ragione
ha nel
cavallo, e come gli fu tolto:
e quel di
parte in parte il tutto espone,
ed esponendo
s'arrossisce in volto,
quando gli
narra che 'l sottil ladrone,
ch'in un alto
pensier l'aveva colto,
la sella su
quattro aste gli suffolse,
e di sotto il
destrier nudo gli tolse.
85
Marfisa che
tra gli altri al grido venne,
tosto che 'l
furto del cavallo udì,
in viso si
turbò, che le sovenne
che perdé la
sua spada ella quel dì:
e quel
destrier che parve aver le penne
da lei
fuggendo, riconobbe qui:
riconobbe
anco il buon re Sacripante,
che non avea
riconosciuto inante.
86
Gli altri
ch'erano intorno, e che vantarsi
Brunel di
questo aveano udito spesso,
verso lui
cominciaro a rivoltarsi,
e far palesi
cenni ch'era desso;
Marfisa
sospettando, ad informarsi
da questo e
da quell'altro ch'avea appresso,
tanto che
venne a ritrovar che quello
che le tolse
la spada era Brunello:
87
e seppe che
pel furto onde era degno
che gli
annodasse il collo un capestro unto,
dal re
Agramante al tingitano regno
fu, con
esempio inusitato, assunto.
Marfisa,
rinfrescando il vecchio sdegno,
disegnò
vendicarsene a quel punto,
e punir
scherni e scorni che per strada
fatti l'avea
sopra la tolta spada.
88
Dal suo
scudier l'elmo allacciar si fece;
che del resto
de l'arme era guernita.
Senza osbergo
io non trovo che mai diece
volte fosse
veduta alla sua vita,
dal giorno
ch'a portarlo assuefece
la sua
persona, oltre ogni fede ardita.
Con l'elmo in
capo andò dove fra i primi
Brunel sedea
negli argini sublimi.
89
Gli diede a
prima giunta ella di piglio
in mezzo il
petto, e da terra levollo,
come levar
suol col falcato artiglio
talvolta la
rapace aquila il pollo;
e là
dove la lite inanzi al figlio
era del re
Troian, così portollo.
Brunel, che
giunto in male man si vede,
pianger non
cessa e domandar mercede.
90
Sopra tutti i
rumor, strepiti e gridi,
di che 'l
campo era pien quasi ugualmente,
Brunel,
ch'ora pietade ora sussidi
domandando
venìa, così si sente,
ch'al suono
de' ramarichi e de' stridi
si fa
d'intorno accor tutta la gente.
Giunta inanzi
al re d'Africa, Marfisa
con viso
altier gli dice in questa guisa:
91
- Io voglio
questo ladro tuo vasallo
con le mie
mani impender per la gola,
perché il
giorno medesmo che 'l cavallo
a costui
tolle, a me la spada invola.
Ma se gli
è alcun che voglia dir ch'io fallo,
facciasi
inanzi e dica una parola;
ch'in tua
presenza gli vo' sostenere
che se ne
mente, e ch'io fo il mio dovere.
92
Ma perché si
potria forse imputarme
c'ho atteso a
farlo in mezzo a tante liti,
mentre che
questi più famosi in arme
d'altre
querele son tutti impediti;
tre giorni ad
impiccarlo io vo' indugiarme:
intanto o
vieni, o manda chi l'aiti;
che dopo, se
non fia chi me lo vieti,
farò
di lui mille uccellacci lieti.
93
Di qui presso
a tre leghe a quella torre
che siede
inanzi ad un piccol boschetto,
senza
più compagnia mi vado a porre,
che d'una mia
donzella e d'un valletto.
S'alcuno
ardisce di venirmi a torre
questo
ladron, là venga, ch'io l'aspetto. -
Così
disse ella; e dove disse, prese
tosto la via,
né più risposta attese.
94
Sul collo
inanzi del destrier si pone
Brunel, che
tuttavia tien per le chiome.
Piange il
misero e grida, e le persone,
in che sperar
solìa, chiama per nome.
Resta
Agramante in tal confusione
di questi
intrichi, che non vede come
poterli
sciorre; e gli par via più greve
che Marfisa
Brunel così gli leve.
95
Non che
l'apprezzi o che gli porti amore,
anzi
più giorni son che l'odia molto;
e spesso ha
d'impiccarlo avuto in core,
dopo che gli
era stato l'annel tolto.
Ma questo
atto gli par contra il suo onore,
sì che
n'avampa di vergogna in volto.
Vuole in
persona egli seguirla in fretta,
e a tutto suo
poter farne vendetta.
96
Ma il re
Sobrino, il quale era presente,
da questa
impresa molto il dissuade,
dicendogli
che mal conveniente
era
all'altezza di sua maestade,
se ben avesse
d'esserne vincente
ferma
speranza e certa sicurtade:
più
ch'onor, gli fia biasmo, che si dica
ch'abbia
vinta una femina a fatica.
97
Poco l'onore,
e molto era il periglio
d'ogni
battaglia che con lei pigliasse;
e che gli
dava per miglior consiglio,
che Brunello
alle forche aver lasciasse;
e se credesse
ch'uno alzar di ciglio
a torlo dal
capestro gli bastasse,
non dovea
alzarlo, per non contradire
che s'abbia
la giustizia ad esequire.
98
- Potrai
mandare un che Marfisa prieghi
(dicea) ch'in
questo giudice ti faccia,
con
promission ch'al ladroncel si leghi
il laccio al
collo, e a lei si sodisfaccia;
e quando anco
ostinata te lo nieghi,
se l'abbia, e
il suo desir tutto compiaccia:
pur che da
tua amicizia non si spicchi,
Brunello e
gli altri ladri tutti impicchi. -
99
Il re
Agramante volentier s'attenne
al parer di
Sobrin discreto e saggio;
e Marfisa
lasciò, che non le venne,
né
patì ch'altri andasse a farle oltraggio,
né di farla
pregare anco sostenne:
e
tolerò, Dio sa con che coraggio,
per poter
acchetar liti maggiori,
e del suo
campo tor tanti romori.
100
Di ciò
si ride la Discordia pazza,
che pace o
triegua ormai più teme poco.
Scorre di qua
e di là tutta la piazza,
né può
trovar per allegrezza loco.
La Superbia
con lei salta e gavazza,
e legne ed
esca va aggiungendo al fuoco:
e grida
sì, che fin ne l'alto regno
manda a
Michel de la vittoria segno.
101
Tremò
Parigi e turbidossi Senna
all'alta
voce, a quello orribil grido;
rimbombò
il suon fin alla selva Ardenna
sì che
lasciar tutte le fiere il nido.
Udiron l'Alpi
e il monte di Gebenna,
di Blaia e
d'Arli e di Roano il lido;
Rodano e
Sonna udì, Garonna e il Reno:
si strinsero
le madri i figli al seno.
102
Son cinque
cavallier c'han fisso il chiodo
d'essere i
primi a terminar sua lite,
l'una ne
l'altra aviluppata in modo,
che non
l'avrebbe Apolline espedite.
Commincia il
re Agramante a sciorre il nodo
de le prime
tenzon ch'aveva udite,
che per la
figlia del re Stordilano
eran tra il
re di Scizia e il suo Africano.
103
Il re
Agramante andò per porre accordo
di qua e di
là più volte a questo e a quello,
e a questo e
a quel più volte diè ricordo
da signor
giusto e da fedel fratello:
e quando
parimente trova sordo
l'un come
l'altro, indomito e rubello
di volere
esser quel che resti senza
la donna da
cui vien lor differenza;
104
s'appiglia al
fin, come a miglior partito,
di che
amendui si contentar gli amanti,
che de la
bella donna sia marito
l'uno de'
duo, quel che vuole essa inanti;
e da quanto
per lei sia stabilito,
più
non si possa andar dietro né avanti.
All'uno e
all'altro piace il compromesso,
sperando
ch'esser debbia a favor d'esso.
105
Il re di
Sarza, che gran tempo prima
di
Mandricardo amava Doralice,
ed ella
l'avea posto in su la cima
d'ogni favor
ch'a donna casta lice;
che debba in
util suo venire estima
la gran
sentenza che 'l può far felice:
né egli avea
questa credenza solo,
ma con lui
tutto il barbaresco stuolo.
106
Ognun sapea
ciò ch'egli avea già fatto
per essa in
giostre, in torniamenti, in guerra;
e che stia
Mandricardo a questo patto,
dicono tutti
che vaneggia ed erra.
Ma quel che
più fiate e più di piatto
con lei fu
mentre il sol stava sotterra,
e sapea
quanto avea di certo in mano,
ridea del
popular giudicio vano.
107
Poi lor
convenzion ratificaro
in man del re
quei duo prochi famosi,
ed indi alla
donzella se n'andaro.
Ed ella
abbassò gli occhi vergognosi,
e disse che
più il Tartaro avea caro:
di che tutti
restar maravigliosi;
Rodomonte
sì attonito e smarrito,
che di levar
non era il viso ardito.
108
Ma poi che
l'usata ira cacciò quella
vergogna che
gli avea la faccia tinta,
ingiusta e
falsa la sentenza appella;
e la spada
impugnando, ch'egli ha cinta,
dice, udendo
il re e gli altri, che vuol ch'ella
gli dia
perduta questa causa o vinta,
e non
l'arbitrio di femina lieve
che sempre
inchina a quel che men far deve.
109
Di nuovo
Mandricardo era risorto,
dicendo: -
Vada pur come ti pare: -
sì che
prima che 'l legno entrasse in porto,
v'era a
solcare un gran spazio di mare:
se non che 'l
re Agramante diede torto
a Rodomonte,
che non può chiamare
più
Mandricardo per quella querela;
e fe' cadere
a quel furor la vela.
110
Or Rodomonte
che notar si vede
dinanzi a
quei signor di doppio scorno,
dal suo re, a
cui per riverenza cede,
e da la donna
sua, tutto in un giorno,
quivi non
volse più fermare il piede;
e de la molta
turba ch'avea intorno
seco non
tolse più che duo sergenti,
ed
uscì dei moreschi alloggiamenti.
111
Come,
partendo, afflitto tauro suole,
che la
giuvenca al vincitor cesso abbia,
cercar le
selve e le rive più sole
lungi dai
paschi, o qualche arrida sabbia;
dove muggir
non cessa all'ombra e al sole,
né
però scema l'amorosa rabbia:
così
sen va di gran dolor confuso
il re d'Algier
da la sua donna escluso.
112
Per riavere
il buon destrier si mosse
Ruggier, che
già per questo s'era armato;
ma poi di
Mandricardo ricordasse,
a cui de la
battaglia era ubligato:
non
seguì Rodomonte, e ritornosse
per entrar
col re tartaro in steccato
prima che
'ntrasse il re di Sericana,
che l'altra
lite avea di Durindana.
113
Veder torsi
Frontin troppo gli pesa
dinanzi agli
occhi, e non poter vietarlo;
ma dato
ch'abbia fine a questa impresa,
ha ferma
intenzion di ricovrarlo.
Ma
Sacripante, che non ha contesa,
come Ruggier,
che possa distornarlo,
e che non ha
da far altro che questo,
per l'orme
vien di Rodomonte presto.
114
E tosto
l'avria giunto, se non era
un caso
strano che trovò tra via,
che lo fe'
dimorar fin alla sera,
e perder le
vestigie che seguia.
Trovò
una donna che ne la riviera
di Senna era
caduta, e vi peria,
s'a darle
tosto aiuto non veniva:
saltò
ne l'acqua e la ritrasse a riva.
115
Poi quando in
sella volse risalire,
aspettato non
fu dal suo destriero,
che fin a
sera si fece seguire,
e non si
lasciò prender di leggiero:
preselo al
fin, ma non seppe venire
più,
donde s'era tolto dal sentiero:
ducento
miglia errò tra piano e monte,
prima che
ritrovasse Rodomonte.
116
Dove
trovollo, e come fu conteso
con
disvantaggio assai di Sacripante,
come perdé il
cavallo e restò preso,
or non
dirò; c'ho da narrarvi inante
di quanto
sdegno e di quanta ira acceso
contra la
donna e contra il re Agramante
del campo
Rodomonte si partisse,
e ciò
che contra all'uno e all'altro disse.
117
Di cocenti
sospir l'aria accendea
dovunque
andava il Saracin dolente:
Ecco per la
pietà che gli n'avea,
da' cavi
sassi rispondea sovente.
- Oh feminile
ingegno (egli dicea),
come ti volgi
e muti facilmente,
contrario
oggetto proprio de la fede!
Oh infelice,
oh miser chi ti crede!
118
Né lunga
servitù, né grand'amore
che ti fu a
mille prove manifesto,
ebbono forza
di tenerti il core,
che non fossi
a cangiarsi almen sì presto.
Non perch'a
Mandricardo inferiore
io ti
paressi, di te privo resto;
né so trovar
cagione ai casi miei,
se non
quest'una, che femina sei.
119
Credo che
t'abbia la Natura e Dio
produtto, o
scelerato sesso, al mondo
per una soma,
per un grave fio
de l'uom, che
senza te saria giocondo:
come ha
produtto anco il serpente rio
e il lupo e
l'orso, e fa l'aer fecondo
e di mosche e
di vespe e di tafani,
e loglio e
avena fa nascer tra i grani.
120
Perché fatto
non ha l'alma Natura,
che senza te
potesse nascer l'uomo,
come s'inesta
per umana cura
l'un sopra
l'altro il pero, il corbo e 'l pomo?
Ma quella non
può far sempre a misura:
anzi, s'io
vo' guardar come io la nomo,
veggo che non
può far cosa perfetta,
poi che
Natura femina vien detta.
121
Non siate
però tumide e fastose,
donne, per
dir che l'uom sia vostro figlio;
che de le
spine ancor nascon le rose,
e d'una
fetida erba nasce il giglio:
importune,
superbe, dispettose,
prive d'amor,
di fede e di consiglio,
temerarie,
crudeli, inique, ingrate,
per
pestilenza eterna al mondo nate. -
122
Con queste ed
altre er infinite appresso
querele il re
di Sarza se ne giva,
or ragionando
in un parlar sommesso,
quando in un
suon che di lontan s'udiva,
in onta e in
biasmo del femineo sesso:
e certo da
ragion si dipartiva;
che per una o
per due che trovi ree,
che cento
buone sien creder si dee.
123
Se ben di
quante io n'abbia fin qui amate,
non n'abbia
mai trovata una fedele,
perfide tutte
io non vo' dir né ingrate,
ma darne
colpa al mio destin crudele.
Molte or ne
sono, e più già ne son state,
che non dan
causa ad uom che si querele;
ma mia
fortuna vuol che s'una ria
ne sia tra
cento, io di lei preda sia.
124
Pur vo' tanto
cercar prima ch'io mora,
anzi prima
che 'l crin più mi s'imbianchi,
che forse
dirò un dì, che per me ancora
alcuna sia
che di sua fé non manchi.
Se questo
avvien (che di speranza fuora
io non ne
son), non fia mai ch'io mi stanchi
di farla, a
mia possanza, gloriosa
con lingua e
con inchiostro, e in verso e in prosa.
125
Il Saracin
non avea manco sdegno
contra il suo
re, che contra la donzella;
e così
di ragion passava il segno,
biasmando
lui, come biasmando quella.
Ha disio di
veder che sopra il regno
gli cada
tanto mal, tanta procella,
ch'in Africa
ogni casa si funesti,
né pietra
salda sopra pietra resti;
126
e che spinto
del regno, in duolo e in lutto
viva
Agramante misero e mendico:
e ch'esso sia
che poi gli renda il tutto,
e lo riponga
nel suo seggio antico,
e de la fede
sua produca il frutto;
e gli faccia
veder ch'un vero amico
a dritto e a
torto esser dovea preposto,
se tutto 'l
mondo se gli fosse opposto.
127
E così
quando al re, quando alla donna
volgendo il
cor turbato, il Saracino
cavalca a
gran giornate, e non assonna,
e poco
riposar lascia Frontino.
Il dì
seguente o l'altro in su la Sonna
si
ritrovò, ch'avea dritto il camino
verso il mar
di Provenza, con disegno
di navigare
in Africa al suo regno.
128
Di barche e
di sottil legni era tutto
fra l'una
ripa e l'altra il fiume pieno,
ch'ad uso de
l'esercito condutto
da molti
lochi vettovaglie avieno;
perché in
poter de' Mori era ridutto,
venendo da
Parigi al lito ameno
d'Acquamorta,
e voltando invêr la Spagna,
ciò
che v'è da man destra di campagna.
129
Le
vettovaglie in carra ed in iumenti,
tolte fuor de
le navi, erano carche,
e tratte con
la scorta de le genti,
ove venir non
si potea con barche.
Avean piene
le ripe i grassi armenti
quivi
condotti da diverse marche;
e i
conduttori intorno alla riviera
per vari
tetti albergo avean la sera.
130
Il re
d'Algier, perché gli sopravenne
quivi la
notte e l'aer nero e cieco,
d'un ostier
paesan lo 'nvito tenne,
che lo
pregò che rimanesse seco.
Adagiato il
destrier, la mensa venne
di vari cibi
e di vin corso e greco;
che 'l
Saracin nel resto alla moresca
ma volse far
nel bere alla francesca.
131
L'oste con
buona mensa e miglior viso
studiò
di fare a Rodomonte onore;
che la
presenza gli diè certo aviso
ch'era uomo
illustre e pien d'alto valore:
ma quel che
da se stesso era diviso,
né quella
sera avea ben seco il core
(che mal suo
grado s'era ricondotto
alla donna
già sua), non facea motto.
132
Il buon
ostier, che fu dei diligenti
che mai si
sien per Francia ricordati,
quando tra le
nimiche e strane genti
l'albergo e'
beni suoi s'avea salvati,
per servir,
quivi, alcuni suoi parenti,
a tal
servigio pronti, avea chiamati;
de' quai non
era alcun di parlar oso,
vedendo il
Saracin muto e pensoso.
133
Di pensiero
in pensiero andò vagando
da se stesso
lontano il pagan molto,
col viso a
terra chino, né levando
sì gli
occhi mai, ch'alcun guardasse in volto.
Dopo un lungo
star cheto, suspirando,
sì
come d'un gran sonno allora sciolto,
tutto si
scosse, e insieme alzò le ciglia,
e
voltò gli occhi all'oste e alla famiglia.
134
Indi roppe il
silenzio, e con sembianti
più
dolci un poco e viso men turbato,
domandò
all'oste e agli altri circostanti
se d'essi
alcuno avea mogliere a lato.
Che l'oste e
che quegli altri tutti quanti
l'aveano, per
risposta gli fu dato.
Domanda lor
quel che ciascun si crede
de la sua
donna nel servargli fede.
135
Eccetto
l'oste, fer tutti risposta,
che si
credeano averle e caste e buone.
Disse l'oste:
- Ognun pur creda a sua posta;
ch'io so
ch'avete falsa opinione.
Il vostro
sciocco credere vi costa
ch'io stimi
ognun di voi senza ragione;
e così
far questo signor deve anco,
se non vi
vuol mostrar nero per bianco.
136
Perché,
sì come è sola la fenice,
né mai
più d'una in tutto il mondo vive,
così
né mai più d'uno esser si dice,
che de la
moglie i tradimenti schive.
Ognun si
crede d'esser quel felice,
d'esser quel
sol ch'a questa palma arrive.
Come è
possibil che v'arrivi ognuno,
se non ne
può nel mondo esser più d'uno?
137
Io fui
già ne l'error che siete voi,
che donna
casta anco più d'una fusse.
Un gentilomo
di Vinegia poi,
che qui mia
buona sorte già condusse,
seppe far
sì con veri esempi suoi,
che fuor de
l'ignoranza mi ridusse.
Gian
Francesco Valerio era nomato;
che 'l nome
suo non mi s'è mai scordato.
138
Le fraudi che
le mogli e che l'amiche
sogliano
usar, sapea tutte per conto:
e sopra
ciò moderne istorie e antiche,
e proprie
esperienze avea sì in pronto,
che mi
mostrò che mai donne pudiche
non si
trovaro, o povere o di conto;
e s'una casta
più de l'altra parse,
venìa,
perché più accorta era a celarse.
139
E fra l'altre
(che tante me ne disse,
che non ne
posso il terzo ricordarmi),
sì nel
capo una istoria mi si scrisse,
che non si
scrisse mai più saldo in marmi:
e ben parria
a ciascuno che l'udisse,
di queste rie
quel ch'a me parve e parmi.
E se, signor,
a voi non spiace udire,
a lor
confusion ve la vo' dire. -
140
Rispose il
Saracin: - Che puoi tu farmi,
che
più al presente mi diletti e piaccia,
che dirmi
istoria e qualche esempio darmi
che con
l'opinion mia si confaccia?
Perch'io
possa udir meglio, e tu narrarmi,
siedemi
incontra, ch'io ti vegga in faccia. -
Ma nel canto
che segue io v'ho da dire
quel che fe'
l'oste a Rodomonte udire.
1
Donne, e voi
che le donne avete in pregio,
per Dio, non
date a questa istoria orecchia,
a questa che
l'ostier dire in dispregio
e in vostra
infamia e biasmo s'apparecchia;
ben che né
macchia vi può dar né fregio
lingua
sì vile, e sia l'usanza vecchia
che 'l
volgare ignorante ognun riprenda,
e parli
più di quel che meno intenda.
2
Lasciate
questo canto, che senza esso
può
star l'istoria, e non sarà men chiara.
Mettendolo
Turpino, anch'io l'ho messo,
non per
malivolenza né per gara.
Ch'io v'ami,
oltre mia lingua che l'ha espresso,
che mai non
fu di celebrarvi avara,
n'ho fatto
mille prove; e v'ho dimostro
ch'io son, né
potrei esser se non vostro.
3
Passi, chi
vuol, tre carte o quattro, senza
leggerne
verso, e chi pur legger vuole,
gli dia
quella medesima credenza
che si suol
dare a finzioni e a fole.
Ma tornando
al dir nostro, poi ch'udienza
apparecchiata
vide a sue parole,
e darsi luogo
incontra al cavalliero,
così
l'istoria incominciò l'ostiero.
4
- Astolfo, re
de' Longobardi, quello
a cui
lasciò il fratel monaco il regno,
fu ne la
giovinezza sua sì bello,
che mai
poch'altri giunsero a quel segno.
N'avria a
fatica un tal fatto a penello
Apelle, o
Zeusi, o se v'è alcun più degno.
Bello era, ed
a ciascun così parea:
ma di molto
egli ancor più si tenea.
5
Non stimava
egli tanto per l'altezza
del grado
suo, d'avere ognun minore;
né tanto, che
di genti e di ricchezza,
di tutti i re
vicini era il maggiore;
quanto che di
presenza e di bellezza
avea per
tutto 'l mondo il primo onore.
Godea di
questo, udendosi dar loda,
quanto di
cosa volentier più s'oda.
6
Tra gli altri
di sua corte avea assai grato
Fausto
Latini, un cavallier romano:
con cui
sovente essendosi lodato
or del bel
viso or de la bella mano,
ed avendolo
un giorno domandato
se mai veduto
avea, presso o lontano,
altro uom di
forma così ben composto;
contra quel
che credea, gli fu risposto.
7
- Dico
(rispose Fausto) che secondo
ch'io veggo e
che parlarne odo a ciascuno,
ne la
bellezza hai pochi pari al mondo;
e questi
pochi io li restringo in uno.
Quest'uno
è un fratel mio, detto Iocondo.
Eccetto lui,
ben crederò ch'ognuno
di
beltà molto a dietro tu ti lassi;
ma questo sol
credo t'adegui e passi. -
8
Al re parve
impossibil cosa udire,
che sua la
palma infin allora tenne;
e d'aver
conoscenza alto desire
di sì
lodato giovene gli venne.
Fe' sì
con Fausto, che di far venire
quivi il
fratel prometter gli convenne;
ben ch'a
poterlo indur che ci venisse,
saria fatica,
e la cagion gli disse:
9
che 'l suo
fratello era uom che mosso il piede
mai non avea
di Roma alla sua vita,
che del ben
che Fortuna gli concede,
tranquilla e
senza affanni avea notrita:
la roba di
che 'l padre il lasciò erede,
né mai
cresciuta avea né minuita;
e che
parrebbe a lui Pavia lontana
più
che non parria a un altro ire alla Tana.
10
E la
difficultà saria maggiore
a poterlo
spiccar da la mogliere,
con cui
legato era di tanto amore,
che non
volendo lei, non può volere.
Pur per
ubbidir lui che gli è signore,
disse
d'andare e fare oltre il potere.
Giunse il re
a' prieghi tali offerte e doni,
che di negar
non gli lasciò ragioni.
11
Partisse, e
in pochi giorni ritrovosse
dentro di
Roma alle paterne case.
Quivi tanto
pregò, che 'l fratel mosse
sì ch'a
venire al re gli persuase;
e fece ancor
(ben che difficil fosse)
che la
cognata tacita rimase,
proponendole
il ben che n'usciria,
oltre
ch'obligo sempre egli l'avria.
12
Fisse Iocondo
alla partita il giorno:
trovò
cavalli e servitori intanto;
vesti fe' far
per comparire adorno,
che talor
cresce una beltà un bel manto.
La notte a
lato, e 'l dì la moglie intorno,
con gli occhi
ad or ad or pregni di pianto,
gli dice che
non sa come patire
potrà
tal lontananza e non morire;
13
che
pensandovi sol, da la radice
sveller si
sente il cor nel lato manco.
- Deh, vita
mia, non piagnere (le dice
Iocondo, e
seco piagne egli non manco);
così
mi sia questo camin felice,
come tornar
vo' fra duo mesi almanco:
né mi faria
passar d'un giorno il segno,
se mi donasse
il re mezzo il suo regno.-
14
Né la donna
perciò si riconforta:
dice che
troppo termine si piglia;
e s'al
ritorno non la trova morta,
esser non
può se non gran maraviglia.
Non lascia il
duol che giorni e notte porta,
che gustar
cibo, e chiuder possa ciglia;
tal che per
la pietà Iocondo spesso
si pente
ch'al fratello abbia promesso.
15
Dal collo un
suo monile ella si sciolse,
ch'una
crocetta avea ricca di gemme,
e di sante
reliquie che raccolse
in molti
luoghi un peregrin boemme;
ed il padre
di lei, ch'in casa il tolse
tornando
infermo, di Ierusalemme,
venendo a
morte poi ne lasciò erede:
questa
levossi ed al marito diede.
16
E che la
porti per suo amore al collo
lo prega,
sì che ognor gli ne sovenga.
Piacque il
dono al marito, ed accettollo;
non perché
dar ricordo gli convenga:
che né tempo
né assenza mai dar crollo,
né buona o
ria fortuna che gli avenga,
potrà
a quella memoria salda e forte
c'ha di lei
sempre, e avrà dopo la morte.
17
La notte
ch'andò inanzi a quella aurora
che fu il
termine estremo alla partenza,
al suo
Iocondo par ch'in braccio muora
la moglie,
che n'ha tosto da star senza.
Mai non si
dorme; e inanzi al giorno un'ora
viene il
marito all'ultima licenza.
Montò
a cavallo e si partì in effetto;
e la moglier
si ricorcò nel letto.
18
Iocondo ancor
duo miglia ito non era,
che gli venne
la croce raccordata,
ch'avea sotto
il guancial messo la sera,
poi per
oblivion l'avea lasciata.
- Lasso!
(dicea tra sé) di che maniera
troverò
scusa che mi sia accettata,
che mia
moglie non creda che gradito
poco da me
sia l'amor suo infinito? -
19
Pensa la
scusa, e poi gli cade in mente
che non
sarà accettabile né buona,
mandi
famigli, mandivi altra gente,
s'egli
medesmo non vi va in persona.
Si ferma, e
al fratel dice: - Or pianamente
fin a Baccano
al primo albergo sprona;
che dentro a
Roma è forza ch'io rivada:
e credo anco
di giugnerti per strada.
20
Non potria
fare altri il bisogno mio:
né dubitar,
ch'io sarò tosto teco. -
voltò
il ronzin di trotto, e disse a Dio;
né de'
famigli suoi volse alcun seco.
Già
cominciava, quando passò il rio,
dinanzi al
sole a fuggir l'aer cieco.
Smonta in
casa, va al letto, e la consorte
quivi ritrova
addormentata forte.
21
La cortina
levò senza far motto,
e vide quel
che men veder credea:
che la sua
casta e fedel moglie, sotto
la coltre, in
braccio a un giovene giacea.
Riconobbe
l'adultero di botto,
per la
pratica lunga che n'avea;
ch'era de la
famiglia sua un garzone,
allevato da
lui, d'umil nazione.
22
S'attonito
restasse e malcontento,
meglio
è pensarlo e farne fede altrui,
ch'esserne
mai per far l'esperimento
che con suo
gran dolor ne fe' costui.
Da lo sdegno
assalito, ebbe talento
di trar la
spada e uccidergli ambedui:
ma da l'amor
che porta, al suo dispetto,
all'ingrata
moglier, gli fu interdetto.
23
Né lo
lasciò questo ribaldo Amore
(vedi se
sì l'avea fatto vasallo)
destarla pur,
per non le dar dolore
che fosse da
lui colta in sì gran fallo.
Quanto poté
più tacito uscì fuore,
scese le
scale, e rimontò a cavallo;
e punto egli
d'amor, così lo punse,
ch'all'albergo
non fu, che 'l fratel giunse.
24
Cambiato a
tutti parve esser nel volto;
vider tutti
che 'l cor non avea lieto.
ma non
v'è chi s'apponga già di molto,
e possa
penetrar nel suo secreto.
Credeano che
da lor si fosse tolto
per gire a
Roma, e gito era a Corneto.
Ch'amor sia
del mal causa ognun s'avisa;
ma non
è già chi dir sappia in che guisa.
25
Estimasi il
fratel, che dolor abbia
d'aver la
moglie sua sola lasciata;
e pel
contrario duolsi egli ed arrabbia
che rimasa
era troppo accompagnata.
Con fronte
crespa e con gonfiate labbia
sta
l'infelice, e sol la terra guata.
Fausto ch'a
confortarlo usa ogni prova,
perché non sa
la causa, poca giova.
26
Di contrario
liquor la piaga gli unge,
e dove tor
dovria, gli accresce doglie;
dove dovria
saldar, più l'apre e punge:
questo gli fa
col ricordar la moglie.
Né posa
dì né notte: il sonno lunge
fugge col
gusto, e mai non si raccoglie:
e la faccia,
che dianzi era sì bella,
si cangia
sì, che più non sembra quella.
27
Par che gli
occhi se ascondin ne la testa;
cresciuto il
naso par nel viso scarno:
de la
beltà sì poca gli ne resta,
che ne
potrà far paragone indarno.
Col duol
venne una febbre sì molesta,
che lo fe'
soggiornar all'Arbia e all'Arno:
e se di bello
avea serbata cosa,
tosto
restò come al sol colta rosa.
28
Oltre ch'a
Fausto incresca del fratello
che veggia a
simil termine condutto,
via
più gl'incresce che bugiardo a quello
principe, a
chi lodollo, parrà in tutto:
mostrar di
tutti gli uomini il più bello
gli avea
promesso, e mostrerà il più brutto.
Ma pur
continuando la sua via,
seco lo
trasse al fin dentro a Pavia.
29
Già
non vuol che lo vegga il re improviso,
per non
mostrarsi di giudicio privo:
ma per
lettere inanzi gli dà aviso
che 'l suo
fratel ne viene a pena vivo;
e ch'era
stato all'aria del bel viso
un affanno di
cor tanto nocivo,
accompagnato
da una febbre ria,
che
più non parea quel ch'esser solia.
30
Grata ebbe la
venuta di Iocondo
quanto
potesse il re d'amico avere;
che non avea
desiderato al mondo
cosa
altretanto, che di lui vedere.
Né gli spiace
vederselo secondo,
e di bellezza
dietro rimanere;
ben che
conosca, se non fosse il male,
che gli saria
superiore o uguale.
31
Giunto, lo fa
alloggiar nel suo palagio,
lo visita
ogni giorno, ogni ora n'ode;
fa gran
provision che stia con agio,
e d'onorarlo
assai si studia e gode.
Langue
Iocondo, che 'l pensier malvagio
c'ha de la
ria moglier, sempre lo rode:
né 'l veder
giochi, né musici udire,
dramma del
suo dolor può minuire.
32
Le stanze
sue, che sono appresso al tetto
l'ultime,
inanzi hanno una sala antica.
Quivi solingo
(perche ogni diletto,
perch'ogni
compagnia prova nimica)
si ritraea,
sempre aggiungendo al petto
di più
gravi pensier nuova fatica:
e
trovò quivi (or chi lo crederia?)
chi lo
sanò de la sua piaga ria.
33
In capo de la
sala, ove è più scuro
(che non vi
s'usa le finestre aprire,)
vede che 'l
palco mal si giunge al muro,
e fa d'aria
più chiara un raggio uscire.
Pon l'occhio
quindi, e vede quel che duro
a creder fôra
a chi l'udisse dire:
non l'ode
egli d'altrui, ma se lo vede;
ed anco agli
occhi suoi propri non crede.
34
Quindi
scopria de la regina tutta
la più
secreta stanza e la più bella,
ove persona
non verria introdutta,
se per molto
fedel non l'avesse ella.
Quindi
mirando vide in strana lutta
ch'un nano
aviticchiato era con quella:
ed era quel
piccin stato sì dotto,
che la regina
avea messa di sotto.
35
Attonito
Iocondo e stupefatto,
e credendo
sognarsi, un pezzo stette;
e quando vide
pur che gli era in fatto
e non in
sogno, a se stesso credette.
- A uno
sgrignuto mostro e contrafatto
dunque
(disse) costei si sottomette,
che 'l
maggior re del mondo ha per marito,
più
bello e più cortese? oh che appetito! -
36
E de la
moglie sua, che così spesso
più
d'ogn'altra biasmava, ricordosse,
perché 'l
ragazzo s'avea tolto appresso:
ed or gli
parve che escusabil fosse.
Non era colpa
sua più che del sesso,
che d'un solo
uomo mai non contentosse:
e s'han tutte
una macchia d'uno inchiostro,
almen la sua
non s'avea tolto un mostro.
37
Il dì
seguente, alla medesima ora,
al medesimo
loco fa ritorno;
e la regina e
il nano vede ancora,
che fanno al
re pur il medesmo scorno.
Trova l'altro
dì ancor che si lavora,
e l'altro; e
al fin non si fa festa giorno:
e la regina
(che gli par più strano)
sempre si
duol che poco l'ami il nano.
38
Stette fra
gli altri un giorno a veder, ch'ella
era turbata e
in gran malenconia,
che due volte
chiamar per la donzella
il nano fatto
avea, n'ancor venìa.
Mandò
la terza volta, ed udì quella,
che: -
Madonna, egli giuoca (riferia);
e per non
stare in perdita d'un soldo,
a voi niega
venire il manigoldo. -
39
A sì
strano spettacolo Iocondo
raserena la
fronte e gli occhi e il viso;
e quale in
nome, diventò giocondo
d'effetto
ancora, e tornò il pianto in riso.
Allegro torna
e grasso e rubicondo,
che sembra un
cherubin del paradiso;
che 'l re, il
fratello e tutta la famiglia
di tal
mutazion si maraviglia.
40
Se da Iocondo
il re bramava udire
onde venisse
il subito conforto,
non men
Iocondo lo bramava dire,
e fare il re
di tanta ingiuria accorto;
ma non vorria
che, più di sé, punire
volesse il re
la moglie di quel torto;
sì che
per dirlo e non far danno a lei,
il re fece
giurar su l'agnusdei.
41
Giurar lo fe'
che né per cosa detta,
né che gli
sia mostrata che gli spiaccia,
ancor ch'egli
conosca che diretta-
mente a sua
Maestà danno si faccia,
tardi o per
tempo mai farà vendetta;
e di
più vuole ancor che se ne taccia,
sì che
né il malfattor giamai comprenda
in fatto o in
detto, che 'l re il caso intenda.
42
Il re,
ch'ogn'altra cosa, se non questa,
creder
potria, gli giurò largamente.
Iocondo la
cagion gli manifesta,
ond'era molti
dì stato dolente:
perché
trovata avea la disonesta
sua moglie in
braccio d'un suo vil sergente;
e che tal
pena al fin l'avrebbe morto,
se tardato a
venir fosse il conforto.
43
Ma in casa di
sua Altezza avea veduto
cosa che
molto gli scemava il duolo;
che se bene
in obbrobrio era caduto,
era almen
certo di non v'esser solo.
Così
dicendo, e al bucolin venuto,
gli
dimostrò il bruttissimo omiciuolo
che la
giumenta altrui sotto si tiene,
tocca di
sproni e fa giuocar di schene.
44
Se parve al
re vituperoso l'atto,
lo crederete
ben, senza ch'io 'l giuri.
Ne fu per
arrabbiar, per venir matto;
ne fu per dar
del capo in tutti i muri;
fu per
gridar, fu per non stare al patto:
ma forza
è che la bocca al fin si turi,
e che l'ira
trangugi amara ed acra,
poi che
giurato avea su l'ostia sacra.
45
- Che debbo
far, che mi consigli, frate,
(disse a
Iocondo), poi che tu mi tolli
che con degna
vendetta e crudeltate
questa
giustissima ira io non satolli? -
-
Lasciàn (disse Iocondo) queste ingrate,
e proviam se
son l'altre così molli:
facciàn
de le lor femine ad altrui
quel ch'altri
de le nostre han fatto a nui.
46
Ambi gioveni
siamo, e di bellezza,
che
facilmente non troviamo pari.
Qual femina
sarà che n'usi asprezza,
se contra i
brutti ancor non han ripari?
Se
beltà non varrà né giovinezza,
varranne
almen l'aver con noi danari.
Non vo' che
torni, che non abbi prima
di mille
moglie altrui la spoglia opima.
47
La lunga
assenza, il veder vari luoghi,
praticare
altre femine di fuore,
par che
sovente disacerbi e sfoghi
de l'amorose
passioni il core. -
Lauda il
parer, né vuol che si proròghi
il re
l'andata; e fra pochissime ore,
con due
scudieri, oltre alla compagnia
del cavallier
roman, si mette in via.
48
Travestiti
cercaro Italia, Francia,
le terre de'
Fiaminghi e de l'Inglesi;
e quante ne
vedean di bella guancia,
trovavan
tutte ai prieghi lor cortesi.
Davano, e
dato loro era la mancia;
e spesso
rimetteano i danar spesi.
Da loro
pregate foro molte, e foro
anch'altretante
che pregaron loro.
49
In questa
terra un mese, in quella dui
soggiornando,
accertarsi a vera prova
che non men
ne le lor, che ne l'altrui
femine, fede
e castità si trova.
Dopo alcun
tempo increbbe ad ambedui
di sempre
procacciar di cosa nuova;
che mal
poteano entrar ne l'altrui porte,
senza
mettersi a rischio de la morte.
50
Gli è
meglio una trovarne che di faccia
e di costumi
ad ambi grata sia;
che lor
communemente sodisfaccia,
e non n'abbin
d'aver mai gelosia.
- E perché
(dicea il re) vo' che mi spiaccia
aver
più te ch'un altro in compagnia?
So ben ch'in
tutto il gran femineo stuolo
una non
è che stia contenta a un solo.
51
Una, senza
sforzar nostro potere,
ma quando il
natural bisogno inviti,
in festa
goderemoci e in piacere,
che mai
contese non avren né liti.
Né credo che
si debba ella dolere:
che s'anco
ogn'altra avesse duo mariti,
più
ch'ad un solo, a duo saria fedele;
né forse
s'udirian tante querele. -
52
Di quel che
disse il re, molto contento
rimaner parve
il giovine romano.
Dunque
fermati in tal proponimento,
cercar molte
montagne e molto piano:
trovaro al
fin, secondo il loro intento,
una figliuola
d'uno ostiero ispano,
che tenea
albergo al porto di Valenza,
bella di modi
e bella di presenza.
53
Era ancor sul
fiorir di primavera
sua tenerella
e quasi acerba etade.
Di molti
figli il padre aggravat'era,
e nimico
mortal di povertade;
sì
ch'a disporlo fu cosa leggiera,
che desse lor
la figlia in potestade;
ch'ove
piacesse lor potesson trarla,
poi che
promesso avean di ben trattarla.
54
Pigliano la
fanciulla, e piacer n'hanno
or l'un or
l'altro in caritade e in pace,
come a
vicenda i mantici che danno,
or l'uno or
l'altro, fiato alla fornace.
Per veder
tutta Spagna indi ne vanno,
e passar poi
nel regno di Siface;
e 'l
dì che da Valenza si partiro,
ad albergare
a Zattiva veniro.
55
I patroni a
veder strade e palazzi
ne vanno, e
lochi publici e divini;
ch'usanza han
di pigliar simil solazzi
in ogni terra
ove entran peregrini;
e la
fanciulla resta coi ragazzi.
Altri i
letti, altri acconciano i ronzini,
altri hanno
cura che sia alla tornata
dei signor
lor la cena apparecchiata.
56
Ne l'albergo
un garzon stava per fante,
ch'in casa de
la giovene già stette
a' servigi
del padre, e d'essa amante
fu da' primi
anni, e del suo amor godette.
Ben
s'adocchiar, ma non ne fer sembiante,
ch'esser
notato ognun di lor temette:
ma tosto ch'i
patroni e la famiglia
lor dieron
luogo, alzar tra lor le ciglia.
57
Il fante
domandò dove ella gisse,
e qual dei
duo signor l'avesse seco.
A punto la
Fiammetta il fatto disse
(così
avea nome, e quel garzone il Greco).
- Quando
sperai che 'l tempo ohimè! venisse
(il Greco le
dicea) di viver teco,
Fiammetta,
anima mia, tu te ne vai,
e non so
più di rivederti mai.
58
Fannosi i
dolci miei disegni amari,
poi che sei
d'altri, e tanto mi ti scosti.
Io disegnava,
avendo alcun' danari
con gran
fatica e gran sudor riposti,
ch'avanzato
m'avea de' miei salari
e de le bene
andate di molti osti,
di tornare a
Valenza, e domandarti
al padre tuo
per moglie, e di sposarti. -
59
La fanciulla
negli omeri si stringe,
e risponde
che fu tardo a venire.
Piange il
Greco e sospira, e parte finge:
- Vuommi
(dice) lasciar così morire?
Con le tuo
braccia i fianchi almen mi cinge,
lasciami
disfogar tanto desire:
ch'inanzi che
tu parta, ogni momento
che teco io
stia mi fa morir contento. -
60
La pietosa
fanciulla rispondendo:
- Credi
(dicea) che men di te nol bramo;
ma né luogo
né tempo ci comprendo
qui, dove in
mezzo di tanti occhi siamo. -
Il Greco
soggiungea: - Certo mi rendo,
che s'un
terzo ami me di quel ch'io t'amo,
in questa
notte almen troverai loco
che ci potren
godere insieme un poco. -
61
- Come
potrò (diceagli la fanciulla),
che sempre in
mezzo a duo la notte giaccio?
e meco or
l'uno or l'altro si trastulla,
e sempre a
l'un di lor mi trovo in braccio? -
- Questo ti
fia (suggiunse il Greco) nulla;
che ben ti
saprai tor di questo impaccio,
e uscir di
mezzo lor, pur che tu voglia:
e déi voler,
quando di me ti doglia. -
62
Pensa ella
alquanto, e poi dice che vegna
quando creder
potrà ch'ognuno dorma;
e pianamente
come far convegna,
e de l'andare
e del tornar l'informa.
Il Greco,
sì come ella gli disegna,
quando sente
dormir tutta la torma,
viene
all'uscio e lo spinge, e quel gli cede:
entra pian
piano, e va a tenton col piede.
63
Fa lunghi i
passi, e sempre in quel di dietro
tutto si
ferma, e l'altro par che muova
a guisa che
di dar tema nel vetro,
non che 'l
terreno abbia a calcar, ma l'uova;
e tien la
mano inanzi simil metro,
va
brancolando infin che 'l letto trova:
e di
là dove gli altri avean le piante,
tacito si
cacciò col capo inante.
64
Fra l'una e
l'altra gamba di Fiammetta,
che supina
giacea, diritto venne;
e quando le
fu a par, l'abbracciò stretta,
e sopra lei
sin presso al dì si tenne.
Cavalcò
forte, e non andò a staffetta;
che mai
bestia mutar non gli convenne:
che questa
pare a lui che sì ben trotte,
che scender
non ne vuol per tutta notte.
65
Avea Iocondo
ed avea il re sentito
il calpestio
che sempre il letto scosse;
e l'uno e
l'altro, d'uno error schernito,
s'avea
creduto che 'l compagno fosse.
Poi ch'ebbe
il Greco il suo camin fornito,
sì
come era venuto, anco tornosse.
Saettò
il sol da l'orizzonte i raggi;
sorse
Fiammetta, e fece entrare i paggi.
66
Il re disse
al compagno motteggiando:
- Frate,
molto camin fatto aver déi;
e tempo
è ben che ti riposi, quando
stato a
cavallo tutta notte sei. -
Iocondo a lui
rispose di rimando,
e disse: - Tu
di' quel ch'io a dire avrei.
A te tocca
posare, e pro ti faccia,
che tutta
notte hai cavalcato a caccia. -
67
- Anch'io
(suggiunse il re) senza alcun fallo
lasciato
avria il mio can correre un tratto,
se m'avessi
prestato un po' il cavallo,
tanto che 'l
mio bisogno avessi fatto. -
Iocondo
replicò: - Son tuo vasallo,
e puoi far
meco e rompere ogni patto:
sì che
non convenia tal cenni usare;
ben mi potevi
dir: lasciala stare. -
68
Tanto replica
l'un, tanto soggiunge
l'altro, che
sono a grave lite insieme.
Vengon da'
motti ad un parlar che punge,
ch'ad amenduo
l'esser beffato preme.
Chiaman
Fiammetta (che non era lunge,
e de la
fraude esser scoperta teme)
per fare in
viso l'uno all'altro dire
quel che
negando ambi parean mentire.
69
- Dimmi (le
disse il re con fiero sguardo),
e non temer
di me né di costui;
chi tutta
notte fu quel sì gagliardo,
che ti godé
senza far parte altrui? -
Credendo l'un
provar l'altro bugiardo,
la risposta aspettavano
ambedui.
Fiammetta a'
piedi lor si gittò, incerta
di viver
più, vedendosi scoperta.
70
Domandò
lor perdono, che d'amore
ch'a un
giovinetto avea portato, spinta,
e da
pietà d'un tormentato core
che molto
avea per lei patito, vinta,
caduta era la
notte in quello errore;
e
seguitò, senza dir cosa finta,
come tra lor
con speme si condusse,
ch'ambi
credesson che 'l compagno fusse.
71
Il re e
Iocondo si guardaro in viso,
di maraviglia
e di stupor confusi;
né d'aver
anco udito lor fu aviso,
ch'altri duo
fusson mai così delusi.
Poi scoppiaro
ugualmente in tanto riso,
che con la
bocca aperta e gli occhi chiusi,
potendo a
pena il fiato aver del petto,
a dietro si
lasciar cader sul letto.
72
Poi ch'ebbon
tanto riso, che dolere
se ne
sentiano il petto, e pianger gli occhi,
disson tra
lor: - Come potremo avere
guardia, che
la moglier non ne l'accocchi,
se non giova
tra duo questa tenere,
e stretta
sì, che l'uno e l'altro tocchi?
Se più
che crini avesse occhi il marito,
non potria
far che non fosse tradito.
73
Provate mille
abbiamo, e tutte belle;
né di tante
una è ancor che ne contraste.
Se provian
l'altre, fian simili anch'elle;
ma per ultima
prova costei baste.
Dunque
possiamo creder che più felle
non sien le
nostre, o men de l'altre caste:
e se son come
tutte l'altre sono,
che torniamo
a godercile fia buono. -
74
Conchiuso
ch'ebbon questo, chiamar fero
per Fiammetta
medesima il suo amante;
e in presenza
di molti gli la diero
per moglie, e
dote gli fu bastante.
Poi montaro a
cavallo, e il lor sentiero
ch'era a
ponente, volsero a levante;
ed alle mogli
lor se ne tornaro,
di ch'affanno
mai più non si pigliaro. -
75
L'ostier qui
fine alla sua istoria pose,
che fu con
molta attenzione udita.
Udilla il
Saracin, né gli rispose
parola mai,
fin che non fu finita.
Poi disse: -
Io credo ben che de l'ascose
feminil frode
sia copia infinita;
né si potria
de la millesma parte
tener memoria
con tutte le carte. -
76
Quivi era un
uom d'età, ch'avea più retta
opinion degli
altri, e ingegno e ardire;
e non potendo
ormai, che sì negletta
ogni femina
fosse, più patire,
si volse a
quel ch'avea l'istoria detta,
e gli disse:
- Assai cose udimo dire,
che veritade
in sé non hanno alcuna:
e ben di
queste è la tua favola una.
77
A chi te la
narrò non do credenza,
s'evangelista
ben fosse nel resto;
ch'opinione,
più ch'esperienza
ch'abbia di
donne, lo facea dir questo.
L'avere ad
una o due malivolenza,
fa ch'odia e
biasma l'altre oltre all'onesto;
ma se gli
passa l'ira, io vo' tu l'oda,
più
ch'ora biasmo, anco dar lor gran loda.
78
E se
vorrà lodarne, avra maggiore
il campo
assai, ch'a dirne mal non ebbe:
di cento
potrà dir degne d'onore
verso una
trista che biasmar si debbe.
Non biasmar
tutte, ma serbarne fuore
la
bontà d'infinite si dovrebbe;
e se 'l
Valerio tuo disse altrimente,
disse per
ira, e non per quel che sente.
79
Ditemi un
poco: è di voi forse alcuno
ch'abbia
servato alla sua moglie fede?
che nieghi
andar, quando gli sia oportuno,
all'altrui
donna, e darle ancor mercede?
credete in
tutto 'l mondo trovarne uno?
chi 'l dice,
mente; e folle è ben chi 'l crede.
Trovatene vo'
alcuna che vi chiami?
(non parlo de
le publiche ed infami).
80
Conoscete
alcun voi, che non lasciasse
la moglie
sola, ancor che fosse bella,
per seguire altra
donna, se sperasse
in breve e
facilmente ottener quella?
Che farebbe
egli, quando lo pregasse
o desse
premio a lui donna o donzella?
Credo, per
compiacere or queste or quelle,
che tutti
lasciaremmovi la pelle.
81
Quelle che i
lor mariti hanno lasciati,
le più
volte cagione avuta n'hanno.
Del suo di
casa, li veggon svogliati,
e che fuor,
de l'altrui bramosi, vanno.
Dovriano
amar, volendo essere amati,
e tor con la
misura ch'a lor danno.
Io farei (se
a me stesse il darla e torre)
tal legge,
ch'uom non vi potrebbe opporre.
82
Saria la
legge, ch'ogni donna colta
in adulterio,
fosse messa a morte,
se provar non
potesse ch'una volta
avesse
adulterato il suo consorte:
se provar lo
potesse, andrebbe asciolta,
né temeria il
marito né la corte.
Cristo ha
lasciato nei precetti suoi:
non far
altrui quel che patir non vuoi.
83
La
incontinenza è quanto mal si puote
imputar lor,
non già a tutto lo stuolo.
Ma in questo
chi ha di noi più brutte note?
che
continente non si trova un solo.
E molto più
n'ha ad arrossir le gote,
quando
bestemmia, ladroneccio, dolo,
usura ed
omicidio, e se v'è peggio,
raro, se non
dagli uomini, far veggio. -
84
Appresso alle
ragioni avea il sincero
e giusto
vecchio in pronto alcuno esempio
di donne, che
né in fatto né in pensiero
mai di lor
castità patiron scempio.
Ma il
Saracin, che fuggia udire il vero,
lo
minacciò con viso crudo ed empio,
sì che
lo fece per timor tacere;
ma già
non lo mutò di suo parere.
85
Posto ch'ebbe
alle liti e alle contese
termine il re
pagan, lasciò la mensa;
indi nel
letto per dormir si stese
fin al partir
de l'aria scura e densa:
ma de la
notte, a sospirar l'offese
più de
la donna ch'a dormir, dispensa.
Quindi parte
all'uscir del nuovo raggio,
e far disegna
in nave il suo viaggio.
86
Però
ch'avendo tutto quel rispetto
ch'a buon
cavallo dee buon cavalliero,
a quel suo
bello e buono, ch'a dispetto
tenea di
Sacripante e di Ruggiero;
vedendo per
duo giorni averlo stretto
più
che non si dovria sì buon destriero,
lo pon, per
riposarlo, e lo rassetta
in una barca,
e per andar più in fretta.
87
Senza indugio
al nocchier varar la barca,
e dar fa i
remi all'acqua da la sponda.
Quella, non
molto grande e poco carca,
se ne va per
la Sonna giù a seconda.
Non fugge il
suo pensier né se ne scarca
Rodomonte per
terra né per onda:
lo trova in
su la proda e in su la poppa;
e se cavalca,
il porta dietro in groppa.
88
Anzi nel
capo, o sia nel cor gli siede,
e di fuor
caccia ogni conforto e serra.
Di ripararsi
il misero non vede,
da poi che
gli nimici ha ne la terra.
Non sa da chi
sperar possa mercede,
se gli fanno
i domestici suoi guerra:
la notte e 'l
giorno e sempre è combattuto
da quel
crudel che dovria dargli aiuto.
89
Naviga il
giorno e la notte seguente
Rodomonte col
cor d'affanni grave;
e non si
può l'ingiuria tor di mente,
che da la
donna e dal suo re avuto have;
e la pena e
il dolor medesmo sente,
che sentiva a
cavallo, ancora in nave:
né spegner
può, per star ne l'acqua, il fuoco,
né può
stato mutar, per mutar loco.
90
Come
l'infermo, che dirotto e stanco
di febbre
ardente, va cangiando lato;
o sia su
l'uno o sia su l'altro fianco
spera aver,
se si volge, miglior stato;
né sul destro
riposa né sul manco,
e per tutto
ugualmente è travagliato:
così
il pagano al male ond'era infermo
mal trova in
terra e male in acqua schermo.
91
Non puote in
nave aver più pazienza,
e si fa porre
in terra Rodomonte.
Lion passa e
Vienna, indi Valenza
e vede in
Avignone il ricco ponte;
che queste
terre ed altre ubidienza,
che son tra
il fiume e 'l celtibero monte,
rendean al re
Agramante e al re di Spagna
dal dì
che fur signor de la campagna.
92
Verso
Acquamorta a man dritta si tenne
con animo in
Algier passare in fretta;
e sopra un
fiume ad una villa venne
e da Bacco e
da Cerere diletta,
che per le
spesse ingiurie, che sostenne
dai soldati,
a votarsi fu costretta.
Quinci il
gran mare, e quindi ne l'apriche
valli vede
ondeggiar le bionde spiche.
93
Quivi ritrova
una piccola chiesa
di nuovo
sopra un monticel murata,
che poi
ch'intorno era la guerra accesa,
i sacerdoti
vota avean lasciata.
Per stanza fu
da Rodomonte presa;
che pel sito,
e perch'era sequestrata
dai campi,
onde avea in odio udir novella,
gli piacque
sì, che mutò Algieri in quella.
94
Mutò
d'andare in Africa pensiero,
sì
commodo gli parve il luogo e bello.
Famigli e
carriaggi e il suo destriero
seco
alloggiar fe' nel medesmo ostello.
Vicino a
poche leghe a Mompoliero
e ad alcun
altro ricco e buon castello
siede il
villaggio allato alla riviera;
sì che
d'avervi ogn'agio il modo v'era.
95
Standovi un
giorno il Saracin pensoso
(come pur era
il più del tempo usato),
vide venir
per mezzo un prato erboso,
che d'un
piccol sentiero era segnato,
una donzella
di viso amoroso
in compagnia
d'un monaco barbato;
e si traeano
dietro un gran destriero
sotto una
soma coperta di nero.
96
Chi la
donzella, chi 'l monaco sia,
chi portin
seco, vi debbe esser chiaro.
Conoscere
Issabella si dovria,
che 'l corpo
avea del suo Zerbino caro.
Lasciai che
vêr Provenza ne venìa
sotto la
scorta del vecchio preclaro,
che le avea
persuaso tutto il resto
dicare a Dio
del suo vivere onesto.
97
Come ch'in
viso pallida e smarrita
sia la
donzella ed abbia i crini inconti;
e facciano i
sospir continua uscita
del petto
acceso, e gli occhi sien duo fonti;
ed altri
testimoni d'una vita
misera e
grave in lei si veggan pronti;
tanto
però di bello anco le avanza,
che con le
Grazie Amor vi può aver stanza.
98
Tosto che 'l
Saracin vide la bella
donna
apparir, messe il pensiero al fondo,
ch'avea di
biasmar sempre e d'odiar quella
schiera
gentil che pur adorna il mondo.
E ben gli par
dignissima Issabella,
in cui locar
debba il suo amor secondo,
e spenger
totalmente il primo, a modo
che da l'asse
si trae chiodo con chiodo.
99
Incontra se
le fece, e col più molle
parlar che
seppe, e col miglior sembiante,
di sua
condizione domandolle;
ed ella ogni
pensier gli spiegò inante;
come era per
lasciare il mondo folle,
e farsi amica
a Dio con opre sante.
Ride il
pagano altier ch'in Dio non crede,
d'ogni legge
nimico e d'ogni fede.
100
E chiama
intenzione erronea e lieve,
e dice che
per certo ella troppo erra;
né men
biasmar che l'avaro si deve,
che 'l suo
ricco tesor metta sotterra:
alcuno util
per sé non ne riceve,
e da l'uso
degli altri uomini il serra.
Chiuder leon
si denno, orsi e serpenti,
e non le cose
belle ed innocenti.
101
Il monaco,
ch'a questo avea l'orecchia,
e per
soccorrer la giovane incauta,
che ritratta
non sia per la via vecchia,
sedea al
governo qual pratico nauta,
quivi di
spiritual cibo apparecchia
tosto una
mensa sontuosa e lauta.
Ma il
Saracin, che con mal gusto nacque,
non pur la
saporò, che gli dispiacque:
102
e poi
ch'invano il monaco interroppe,
e non poté
mai far sì che tacesse,
e che di
pazienza il freno roppe,
le mani
adosso con furor gli messe.
Ma le parole
mie parervi troppe
potriano
omai, se più se ne dicesse:
sì che
finirò il canto; e mi fia specchio
quel che per
troppo dire accade al vecchio.
1
O degli
uomini inferma e instabil mente!
come
siàn presti a variar disegno!
Tutti i
pensier mutamo facilmente,
più
quei che nascon d'amoroso sdegno.
Io vidi
dianzi il Saracin sì ardente
contra le
donne, e passar tanto il segno,
che non che
spegner l'odio, ma pensai
che non
dovesse intiepidirlo mai.
2
Donne gentil,
per quel ch'a biasmo vostro
parlò
contra il dover, sì offeso sono,
che sin che
col suo mal non gli dimostro
quanto abbia
fatto error, non gli perdono.
Io
farò sì con penna e con inchiostro,
ch'ognun
vedrà che gli era utile e buono
aver taciuto,
e mordersi anco poi
prima la
lingua, che dir mal di voi.
3
Ma che
parlò come ignorante e sciocco,
ve lo
dimostra chiara esperienza.
Incontra
tutte trasse fuor lo stocco
de l'ira,
senza farvi differenza:
poi
d'Issabella un sguardo sì l'ha tocco,
che subito
gli fa mutar sentenza.
Già in
cambio di quell'altra la disia,
l'ha vista a
pena, e non sa ancor chi sia.
4
E come il
nuovo amor lo punge e scalda,
muove alcune
ragion di poco frutto,
per romper
quella mente intera e salda
ch'ella avea
fissa al Creator del tutto.
Ma l'eremita
che l'è scudo e falda,
perché il
casto pensier non sia distrutto,
con argumenti
più validi e fermi,
quanto
più può, le fa ripari e schermi.
5
Poi che
l'empio pagan molto ha sofferto
con lunga
noia quel monaco audace,
e che gli ha
detto invan ch'al suo deserto
senza lei
può tornar quando gli piace;
e che nuocer
si vede a viso aperto,
e che seco
non vuol triegua né pace:
la mano al
mento con furor gli stese,
e tanto ne
pelò, quanto ne prese.
6
E sì
crebbe la furia, che nel collo
con man lo
stringe a guisa di tanaglia;
e poi ch'una
e due volte raggirollo,
da sé per
l'aria e verso il mar lo scaglia.
Che
n'avenisse, né dico né sollo:
varia fama
è di lui, né si raguaglia.
Dice alcun
che sì rotto a un sasso resta,
che 'l
piè non si discerne da la testa;
7
ed altri,
ch'a cadere andò nel mare,
ch'era
più di tre miglia indi lontano,
e che
morì per non saper notare,
fatti assai
prieghi e orazioni invano;
altri, ch'un
santo lo venne aiutare,
lo trasse al
lito con visibil mano.
Di queste,
qual si vuol, la vera sia:
di lui non
parla più l'istoria mia.
8
Rodomonte
crudel, poi che levato
s'ebbe da
canto il garrulo eremita,
si
ritornò con viso men turbato
verso la
donna mesta e sbigottita;
e col parlar
ch'è fra gli amanti usato,
dicea ch'era
il suo core e la sua vita
e 'l suo
conforto e la sua cara speme,
ed altri nomi
tai che vanno insieme.
9
E si
mostrò sì costumato allora,
che non le
fece alcun segno di forza.
Il sembiante
gentil che l'innamora,
l'usato orgoglio
in lui spegne ed ammorza:
e ben che 'l
frutto trar ne possa fuora,
passar non
però vuole oltre a la scorza;
che non gli
par che potesse esser buono,
quando da lei
non lo accettasse in dono.
10
E così
di disporre a poco a poco
a' suoi
piaceri Issabella credea.
Ella, che in
sì solingo e strano loco,
qual topo in
piede al gatto si vedea,
vorria
trovarsi inanzi in mezzo il fuoco;
e seco
tuttavolta rivolgea
s'alcun
partito, alcuna via fosse atta
a trarla
quindi immaculata e intatta.
11
Fa ne l'animo
suo proponimento
di darsi con
sua man prima la morte,
che 'l
barbaro crudel n'abbia il suo intento,
e che le sia
cagion d'errar sì forte
contra quel
cavallier ch'in braccio spento
l'avea
crudele e dispietata sorte;
a cui fatto
have col pensier devoto
de la sua
castità perpetuo voto.
12
Crescer
più sempre l'appetito cieco
vede del re
pagan, né sa che farsi.
Ben sa che
vuol venire all'atto bieco,
ove i
contrasti suoi tutti fien scarsi.
Pur
discorrendo molte cose seco,
il modo
trovò al fin di ripararsi,
e di salvar
la castità sua, come
io vi
dirò, con lungo e chiaro nome.
13
Al brutto
Saracin, che le venìa
già
contra con parole e con effetti
privi di
tutta quella cortesia
che mostrata
le avea ne' primi detti:
- Se fate che
con voi sicura io sia
del mio onor
(disse) e ch'io non ne sospetti,
cosa
all'incontro vi darò, che molto
più vi
varrà, ch'avermi l'onor tolto.
14
Per un piacer
di sì poco momento,
di che n'ha
sì abondanza tutto 'l mondo,
non
disprezzate un perpetuo contento,
un vero
gaudio a nullo altro secondo.
Potrete
tuttavia ritrovar cento
e mille donne
di viso giocondo;
ma chi vi
possa dar questo mio dono,
nessuno al
mondo, o pochi altri ci sono.
15
Ho notizia
d'un'erba, e l'ho veduta
venendo, e so
dove trovarne appresso,
che bollita
con elera e con ruta
ad un fuoco
di legna di cipresso,
e fra mano
innocenti indi premuta,
manda un
liquor, che, chi si bagna d'esso
tre volte il
corpo, in tal modo l'indura,
che dal ferro
e dal fuoco l'assicura.
16
Io dico, se
tre volte se n'immolla,
un mese
invulnerabile si trova.
Oprar
conviensi ogni mese l'ampolla;
che sua
virtù più termine non giova.
Io so far
l'acqua, ed oggi ancor farolla,
ed oggi ancor
voi ne vedrete prova:
e vi
può, s'io non fallo, esser più grata,
che d'aver
tutta Europa oggi acquistata.
17
Da voi
domando in guiderdon di questo,
che su la
fede vostra mi giuriate
che né in
detto né in opera molesto
mai
più sarete alla mia castitate. -
Così
dicendo, Rodomonte onesto
fe' ritornar;
ch'in tanta voluntate
venne
ch'inviolabil si facesse,
che
più ch'ella non disse, le promesse:
18
e servaralle
fin che vegga fatto
de la mirabil
acqua esperienza;
e sforzerasse
intanto a non fare atto,
a non far
segno alcun di violenza.
Ma pensa poi
di non tenere il patto,
perché non ha
timor né riverenza
di Dio o di
santi; e nel mancar di fede
tutta a lui
la bugiarda Africa cede.
19
Ad Issabella
il re d'Algier scongiuri
di non la
molestar fe' più di mille,
pur ch'essa
lavorar l'acqua procuri,
che far lo
può qual fu già Cigno e Achille.
Ella per
balze e per valloni oscuri
da le
città lontana e da le ville
ricoglie di
molte erbe; e il Saracino
non
l'abandona, e l'è sempre vicino.
20
Poi ch'in
più parti quant'era a bastanza
colson de
l'erbe e con radici e senza,
tardi si
ritornaro alla lor stanza;
dove quel
paragon di continenza
tutta la
notte spende, che l'avanza,
a bollir erbe
con molta avertenza:
e a tutta
l'opra e a tutti quei misteri
si trova
ognor presente il re d'Algieri.
21
Che
producendo quella notte in giuoco
con quelli
pochi servi ch'eran seco,
sentia, per
lo calor del vicin fuoco
ch'era
rinchiuso in quello angusto speco,
tal sete, che
bevendo or molto or poco,
duo baril
votar pieni di greco,
ch'aveano
tolto uno o duo giorni inanti
i suoi
scudieri a certi viandanti.
22
Non era
Rodomonte usato al vino,
perché la
legge sua lo vieta e danna:
e poi che lo
gustò, liquor divino
gli par,
miglior che 'l nettare o la manna;
e riprendendo
il rito saracino,
gran tazze e
pieni fiaschi ne tracanna.
Fece il buon
vino, ch'andò spesso intorno,
girare il
capo a tutti come un torno.
23
La donna in
questo mezzo la caldaia
dal fuoco
tolse, ove quell'erbe cosse;
e disse a
Rodomonte: - Acciò che paia
che mie
parole al vento non ho mosse,
quella che 'l
ver da la bugia dispaia,
e che
può dotte far le genti grosse,
te ne
farò l'esperienza ancora,
non ne
l'altrui, ma nel mio corpo or ora.
24
Io voglio a
far il saggio esser la prima
del felice
liquor di virtù pieno,
acciò
tu forse non facessi stima
che ci fosse
mortifero veneno.
Di questo
bagnerommi da la cima
del capo
giù pel collo e per lo seno:
tu poi tua
forza in me prova e tua spada,
se questo
abbia vigor, se quella rada.-
25
Bagnossi,
come disse, e lieta porse
all'incauto
pagano il collo ignudo,
incauto, e
vinto anco dal vino forse,
incontra a
cui non vale elmo né scudo.
Quel uom
bestial le prestò fede, e scorse
sì con
la mano e sì col ferro crudo,
che del bel
capo, già d'Amore albergo,
fe' tronco
rimanere il petto e il tergo.
26
Quel fe' tre
balzi; e funne udita chiara
voce,
ch'uscendo nominò Zerbino,
per cui
seguire ella trovò sì rara
via di fuggir
di man del Saracino.
Alma,
ch'avesti più la fede cara,
e 'l nome
quasi ignoto e peregrino
al tempo
nostro, de la castitade,
che la tua
vita e la tua verde etade,
27
vattene in
pace, alma beata e bella!
Così i
miei versi avesson forza, come
ben
m'affaticherei con tutta quella
arte che
tanto il parlar orna e come,
perché mille
e mill'anni e più, novella
sentisse il
mondo del tuo chiaro nome.
Vattene in
pace alla superna sede,
e lascia
all'altre esempio di tua fede.
28
All'atto
incomparabile e stupendo,
dal cielo il
Creator giù gli occhi volse,
e disse: -
Più di quella ti commendo,
la cui morte
a Tarquinio il regno tolse;
e per questo
una legge fare intendo
tra quelle
mie, che mai tempo non sciolse,
la qual per
le inviolabil'acque giuro
che non
muterà seculo futuro.
29
Per l'avvenir
vo' che ciascuna ch'aggia
il nome tuo,
sia di sublime ingegno,
e sia bella,
gentil, cortese e saggia,
e di vera
onestade arrivi al segno:
onde materia
agli scrittori caggia
di celebrare
il nome inclito e degno;
tal che
Parnasso, Pindo ed Elicone
sempre
Issabella, Issabella risuone. -
30
Dio
così disse, e fe' serena intorno
l'aria, e
tranquillo il mar più che mai fusse.
Fe' l'alma
casta al terzo ciel ritorno,
e in braccio
al suo Zerbin si ricondusse.
Rimase in
terra con vergogna e scorno
quel fier
senza pietà nuovo Breusse;
che poi che
'l troppo vino ebbe digesto,
biasmò
il suo errore, e ne restò funesto.
31
Placare o in
parte satisfar pensosse
a l'anima
beata d'Issabella,
se, poi ch'a
morte il corpo le percosse,
desse almen
vita alla memoria d'ella.
Trovò
per mezzo, acciò che così fosse,
di
convertirle quella chiesa, quella
dove abitava
e dove ella fu uccisa,
in un
sepolcro; e vi dirò in che guisa.
32
Di tutti i
lochi intorno fa venire
mastri, chi
per amore e chi per tema;
e fatto ben
seimila uomini unire,
de' gravi
sassi i vicin monti scema,
e ne fa una
gran massa stabilire,
che da la
cima era alla parte estrema
novanta
braccia; e vi rinchiude dentro
la chiesa,
che i duo amanti have nel centro.
33
Imita quasi
la superba mole
che fe'
Adriano all'onda tiberina.
Presso al
sepolcro una torre alta vuole;
ch'abitarvi
alcun tempo si destina.
Un ponte
stretto e di due braccia sole
fece su l'acqua
che correa vicina.
Lungo il
ponte, ma largo era sì poco,
che dava a
pena a duo cavalli loco;
34
a duo cavalli
che venuti a paro,
o ch'insieme
si fossero scontrati:
e non avea né
sponda né riparo,
e si potea
cader da tutti i lati.
Il passar
quindi vuol che costi caro
a guerrieri o
pagani o battezzati;
che de le
spoglie lor mille trofei
promette al
cimiterio di costei.
35
In dieci
giorni e in manco fu perfetta
l'opra del
ponticel che passa il fiume;
ma non fu
già il sepolcro così in fretta,
né la torre
condutta al suo cacume:
pur fu levata
sì, ch'alla veletta
starvi in
cima una guardia avea costume,
che d'ogni
cavallier che venìa al ponte,
col corno
facea segno a Rodomonte.
36
E quel
s'armava, e se gli venìa a opporre
ora su l'una,
ora su l'altra riva;
che se 'l
guerrier venìa di vêr la torre,
su l'altra
proda il re d' Algier veniva.
Il ponticello
è il campo ove si corre;
e se 'l
destrier poco del segno usciva,
cadea nel
fiume, ch'alto era e profondo:
ugual
periglio a quel non avea il mondo.
37
Aveasi
imaginato il Saracino,
che, per gir
spesso a rischio di cadere
dal ponticel
nel fiume a capo chino,
dove gli
converria molt'acqua bere,
del fallo a
che l'indusse il troppo vino,
dovesse netto
e mondo rimanere;
come l'acqua,
non men che 'l vino, estingua
l'error che
fa pel vino o mano o lingua.
38
Molti fra
pochi dì vi capitaro:
alcuni la via
dritta vi condusse,
ch'a quei che
verso Italia o Spagna andaro
altra non era
che più trita fusse;
altri
l'ardire, e, più che vita caro,
l'onore, a
farvi di sé prova indusse.
E tutti, ove
acquistar credean la palma,
lasciavan
l'arme, e molti insieme l'alma.
39
Di quelli
ch'abbattea, s'eran pagani,
si contentava
d'aver spoglie ed armi;
e di chi
prima furo, i nomi piani
vi facea
sopra, e sospendeale ai marmi:
ma ritenea in
prigion tutti i cristiani;
e che in
Algier poi li mandasse parmi.
Finita ancor
non era l'opra, quando
vi venne a
capitare il pazzo Orlando.
40
A caso venne
il furioso conte
a capitar su
questa gran riviera,
dove, come io
vi dico, Rodomonte
fare in
fretta facea, né finito era
la torre né
il sepolcro, e a pena il ponte:
e di tutte
arme, fuor che di visiera,
a quell'ora
il pagan si trovò in punto,
ch'Orlando al
fiume e al ponte è sopragiunto.
41
Orlando (come
il suo furor lo caccia)
salta la
sbarra e sopra il ponte corre.
Ma Rodomonte
con turbata faccia,
a piè,
com'era inanzi a la gran torre,
gli grida di
lontano e gli minaccia,
né se gli
degna con la spada opporre:
Indiscreto
villan, ferma le piante,
temerario,
importuno ed arrogante!
42
Sol per
signori e cavallieri è fatto
il ponte, non
per te, bestia balorda. -
Orlando,
ch'era in gran pensier distratto,
vien pur
inanzi e fa l'orecchia sorda.
- Bisogna
ch'io castighi questo matto -
disse il
pagano; e con la voglia ingorda
venìa
per traboccarlo giù ne l'onda,
non pensando
trovar chi gli risponda.
43
In questo
tempo una gentil donzella,
per passar
sovra il ponte, al fiume arriva,
leggiadramente
ornata e in viso bella,
e nei
sembianti accortamente schiva.
Era (se vi
ricorda, Signor) quella
che per ogni
altra via cercando giva
di
Brandimarte, il suo amator, vestigi,
fuor che,
dove era, dentro da Parigi.
44
Ne l'arrivar
di Fiordiligi al ponte
(che
così la donzella nomata era),
Orlando
s'attaccò con Rodomonte
che lo volea
gittar ne la riviera.
La donna,
ch'avea pratica del conte,
subito n'ebbe
conoscenza vera:
e
restò d'alta maraviglia piena,
de la follia
che così nudo il mena.
45
Fermasi a
riguardar che fine avere
debba il
furor dei duo tanti possenti.
Per far del
ponte l'un l'altro cadere
a por tutta
lor forza sono intenti.
- Come
è ch'un pazzo debba sì valere? -
seco il fiero
pagan dice tra' denti;
e qua e
là si volge e si raggira,
pieno di
sdegno e di superbia e d'ira.
46
Con l'una e
l'altra man va ricercando
far nuova
presa, ove il suo meglio vede;
or tra le
gambe, or fuor gli pone, quando
con arte il
destro, e quando il manco piede.
Simiglia
Rodomonte intorno a Orlando
lo stolido
orso che sveller si crede
l'arbor onde
è caduto; e come n'abbia
quello ogni
colpa, odio gli porta e rabbia.
47
Orlando, che
l'ingegno avea sommerso,
io non so
dove, e sol la forza usava,
l'estrema
forza a cui per l'universo
nessuno o
raro paragon si dava,
cader del
ponte si lasciò riverso
col pagano
abbracciato come stava.
Cadon nel
fiume e vanno al fondo insieme:
ne salta in
aria l'onda, e il lito geme.
48
L'acqua gli
fece distaccare in fretta.
Orlando
è nudo, e nuota com'un pesce:
di qua le
braccia, e di là i piedi getta,
e viene a
proda; e come di fuor esce,
correndo va,
né per mirare aspetta,
se in biasmo
o in loda questo gli riesce.
Ma il pagan,
che da l'arme era impedito,
tornò
più tardo e con più affanno al lito.
49
Sicuramente
Fiordiligi intanto
avea passato
il ponte e la riviera;
e guardato il
sepolcro in ogni canto,
se del suo
Brandimarte insegna v'era,
poi che né
l'arme sue vede né il manto,
di ritrovarlo
in altra parte spera.
Ma ritorniamo
a ragionar del conte,
che lascia a
dietro e torre e fiume e ponte.
50
Pazzia
sarà, se le pazzie d'Orlando
prometto
raccontarvi ad una ad una;
che tante e
tante fur, ch'io non so quando
finir: ma ve
n'andrò scegliendo alcuna
solenne ed
atta da narrar cantando,
e
ch'all'istoria mi parrà oportuna;
né quella
tacerò miraculosa,
che fu nei
Pirenei sopra Tolosa.
51
Trascorso
avea molto paese il conte,
come dal
grave suo furor fu spinto;
ed al fin
capitò sopra quel monte
per cui dal
Franco è il Tarracon distinto;
tenendo
tuttavia volta la fronte
verso
là dove il sol ne viene estinto:
e quivi
giunse in uno angusto calle,
che pendea
sopra una profonda valle.
52
Si vennero a
incontrar con esso al varco
duo
boscherecci gioveni, ch'inante
avean di
legna un loro asino carco;
e perché ben
s'accorsero al sembiante,
ch'avea di
cervel sano il capo scarco,
gli gridano
con voce minacciante,
o ch'a dietro
o da parte se ne vada,
e che si levi
di mezzo la strada.
53
Orlando non
risponde altro a quel detto,
se non che
con furor tira d'un piede,
e giunge a
punto l'asino nel petto
con quella
forza che tutte altre eccede;
ed alto il
leva, sì, ch'uno augelletto
che voli in
aria, sembra a chi lo vede.
Quel va a
cadere alla cima d'un colle,
ch'un miglio
oltre la valle il giogo estolle.
54
Indi verso i
duo gioveni s'aventa,
dei quali un,
più che senno, ebbe aventura,
che da la
balza, che due volte trenta
braccia
cadea, si gittò per paura.
A mezzo il
tratto trovò molle e lenta
una macchia
di rubi e di verzura,
a cui
bastò graffiargli un poco il volto:
del resto lo
mandò libero e sciolto.
55
L'altro
s'attacca ad un scheggion ch'usciva
fuor de la
roccia, per salirvi sopra;
perché si
spera, s'alla cima arriva,
di trovar via
che dal pazzo lo cuopra.
Ma quel nei
piedi (che non vuol che viva)
lo piglia,
mentre di salir s'adopra:
e quanto
più sbarrar puote le braccia,
le sbarra
sì, ch'in duo pezzi lo straccia;
56
a quella
guisa che veggiàn talora
farsi d'uno
aeron, farsi d'un pollo,
quando si
vuol de le calde interiora
che falcone o
ch'astor resti satollo.
Quanto
è bene accaduto che non muora
quel che fu a
risco di fiaccarsi il collo!
ch'ad altri
poi questo miracol disse,
sì che
l'udì Turpino, e a noi lo scrisse.
57
E queste ed
altre assai cose stupende
fece nel
traversar de la montagna.
Dopo molto
cercare, al fin discende
verso
meriggie alla terra di Spagna;
e lungo la
marina il camin prende,
ch'intorno a
Taracona il lito bagna:
e come vuol
la furia che lo mena,
pensa farsi
uno albergo in quella arena,
58
dove dal sole
alquanto si ricuopra;
e nel sabbion
si caccia arrido e trito.
Stando
così, gli venne a caso sopra
Angelica la
bella e il suo marito,
ch'eran
(sì come io vi narrai di sopra)
scesi dai
monti in su l'ispano lito.
A men d'un
braccio ella gli giunse appresso,
perché non
s'era accorta ancora d'esso.
59
Che fosse
Orlando, nulla le soviene:
troppo
è diverso da quel ch'esser suole.
Da indi in
qua che quel furor lo tiene,
è
sempre andato nudo all'ombra e al sole:
se fosse nato
all'aprica Siene,
o dove Ammone
il Garamante cole,
o presso ai
monti onde il gran Nilo spiccia,
non dovrebbe
la carne aver più arsiccia.
60
Quasi ascosi
avea gli occhi ne la testa,
la faccia
macra, e come un osso asciutta,
la chioma
rabuffata, orrida e mesta,
la barba
folta, spaventosa e brutta.
Non
più a vederlo Angelica fu presta,
che fosse a
ritornar, tremando tutta:
tutta
tremando, e empiendo il ciel di grida,
si volse per
aiuto alla sua guida.
61
Come di lei
s'accorse Orlando stolto,
per ritenerla
si levò di botto:
così
gli piacque il delicato volto,
così
ne venne immantinente giotto.
D'averla
amata e riverita molto
ogni ricordo
era in lui guasto e rotto.
Gli corre
dietro, e tien quella maniera
che terria il
cane a seguitar la fera.
62
Il giovine
che 'l pazzo seguir vede
la donna sua,
gli urta il cavallo adosso,
e tutto a un
tempo lo percuote e fiede,
come lo trova
che gli volta il dosso.
Spiccar dal
busto il capo se gli crede:
ma la pelle
trovò dura come osso,
anzi via
più ch'acciar; ch'Orlando nato
impenetrabile
era ed affatato.
63
Come Orlando
sentì battersi dietro,
girossi, e
nel girare il pugno strinse,
e con la
forza che passa ogni metro,
ferì
il destrier che 'l Saracino spinse.
Feril sul
capo, e come fosse vetro,
lo
spezzò sì, che quel cavallo estinse:
e rivoltosse
in un medesmo istante
dietro a
colei che gli fuggiva inante.
64
Caccia
Angelica in fretta la giumenta,
e con sferza
e con spron tocca e ritocca;
che le
parrebbe a quel bisogno lenta,
se ben
volasse più che stral da cocca.
De l'annel
c'ha nel dito si ramenta,
che
può salvarla, e se lo getta in bocca:
e l'annel,
che non perde il suo costume,
la fa sparir
come ad un soffio il lume.
65
O fosse la
paura, o che pigliasse
tanto
disconcio nel mutar l'annello,
o pur, che la
giumenta traboccasse,
che non posso
affermar questo né quello;
nel medesmo
momento che si trasse
l'annello in
bocca e celò il viso bello,
levò
le gambe ed uscì de l'arcione,
e si
trovò riversa in sul sabbione.
66
Più
corto che quel salto era dua dita,
aviluppata
rimanea col matto,
che con
l'urto le avria tolta la vita;
ma gran
ventura l'aiutò a quel tratto.
Cerchi pur,
ch'altro furto le dia aita
d'un'altra
bestia, come prima ha fatto;
che
più non è per riaver mai questa
ch'inanzi al
paladin l'arena pesta.
67
Non dubitate
già ch'ella non s'abbia
a provedere;
e seguitiamo Orlando,
in cui non
cessa l'impeto e la rabbia
perché si
vada Angelica celando.
Segue la
bestia per la nuda sabbia,
e se le vien
più sempre approssimando:
già
già la tocca, ed ecco l'ha nel crine,
indi nel
freno, e la ritiene al fine.
68
Con quella
festa il paladin la piglia,
ch'un altro
avrebbe fatto una donzella:
le rassetta
le redine e la briglia,
e spicca un
salto ed entra ne la sella;
e correndo la
caccia molte miglia,
senza riposo,
in questa parte e in quella:
mai non le
leva né sella né freno,
né le lascia
gustare erba né fieno.
69
Volendosi
cacciare oltre una fossa,
sozzopra se
ne va con la cavalla.
Non nocque a
lui, né sentì la percossa;
ma nel fondo
la misera si spalla.
Non vede
Orlando come trar la possa;
e finalmente
se l'arreca in spalla,
e su ritorna,
e va con tutto il carco,
quanto in tre
volte non trarrebbe un arco.
70
Sentendo poi
che gli gravava troppo,
la pose in
terra, e volea trarla a mano.
Ella il
seguia con passo lento e zoppo;
dicea
Orlando: - Camina! - e dicea invano.
Se l'avesse
seguito di galoppo,
assai non era
al desiderio insano.
Al fin dal
capo le levò il capestro,
e dietro la
legò sopra il piè destro;
71
e così
la strascina, e la conforta
che lo
potrà seguir con maggior agio.
Qual leva il
pelo, e quale il cuoio porta,
dei sassi
ch'eran nel camin malvagio.
La mal
condotta bestia restò morta
finalmente di
strazio e di disagio.
Orlando non
le pensa e non la guarda,
e via
correndo il suo camin non tarda.
72
Di trarla,
anco che morta, non rimase,
continoando
il corso ad occidente;
e tuttavia
saccheggia ville e case,
se bisogno di
cibo aver si sente;
e frutte e
carne e pan, pur ch'egli invase,
rapisce; ed
usa forza ad ogni gente:
qual lascia
morto e qual storpiato lassa;
poco si
ferma, e sempre inanzi passa.
73
Avrebbe
così fatto, o poco manco,
alla sua
donna, se non s'ascondea;
perché non
discernea il nero dal bianco,
e di giovar,
nocendo si credea.
Deh maledetto
sia l'annello ed anco
il cavallier
che dato le l'avea!
che se non
era, avrebbe Orlando fatto
di sé
vendetta e di mill'altri a un tratto.
74
Né questa
sola, ma fosser pur state
in man
d'Orlando quante oggi ne sono;
ch'ad ogni
modo tutte sono ingrate,
né si trova
tra loro oncia di buono.
Ma prima che
le corde rallentate
al canto
disugual rendano il suono,
fia meglio
differirlo a un'altra volta,
acciò
men sia noioso a chi l'ascolta.
1
Quando vincer
da l'impeto e da l'ira
si lascia la
ragion, né si difende,
e che 'l
cieco furor sì inanzi tira
o mano o
lingua, che gli amici offende;
se ben dipoi
si piange e si sospira,
non è
per questo che l'error s'emende.
Lasso! io mi
doglio e affliggo invan di quanto
dissi per ira
al fin de l'altro canto.
2
Ma simile son
fatto ad uno infermo,
che dopo
molta pazienza e molta,
quando contra
il dolor non ha più schermo,
cede alla
rabbia e a bestemmiar si volta.
Manca il
dolor, né l'impeto sta fermo,
che la lingua
al dir mal facea sì sciolta;
e si ravvede
e pente e n'ha dispetto:
ma quel c'ha
detto, non può far non detto.
3
Ben spero,
donne, in vostra cortesia
aver da voi
perdon, poi ch'io vel chieggio.
Voi
scusarete, che per frenesia,
vinto da
l'aspra passion, vaneggio.
Date la colpa
alla nimica mia,
che mi fa
star, ch'io non potrei star peggio,
e mi fa dir
quel di ch'io son poi gramo:
sallo Idio,
s'ella ha il torto; essa, s'io l'amo.
4
Non men son
fuor di me, che fosse Orlando;
e non son men
di lui di scusa degno,
ch'or per li
monti, or per le piagge errando,
scorse in
gran parte di Marsilio il regno,
molti
dì la cavalla strascinando
morta, come
era, senza alcun ritegno;
ma giunto ove
un gran fiume entra nel mare,
gli fu forza
il cadavero lasciare.
5
E perché sa
nuotar come una lontra,
entra nel
fiume, e surge all'altra riva.
Ecco un
pastor sopra un cavallo incontra,
che per
abeverarlo al fiume arriva.
Colui, ben
che gli vada Orlando incontra,
perché egli
è solo e nudo, non lo schiva.
- Vorrei del
tuo ronzin (gli disse il matto)
con la
giumenta mia far un baratto.
6
Io te la
mostrerò di qui, se vuoi;
che morta
là su l'altra ripa giace:
la potrai far
tu medicar dipoi;
altro
diffetto in lei non mi dispiace.
Con qualche
aggiunta il ronzin dar mi puoi:
smontane in
cortesia, perché mi piace. -
Il pastor
ride, e senz'altra risposta
va verso il
guado, e dal pazzo si scosta.
7
- Io voglio
il tuo cavallo: olà non odi? -
suggiunse
Orlando, e con furor si mosse.
Avea un
baston con nodi spessi e sodi
quel pastor
seco, e il paladin percosse.
La rabbia e
l'ira passò tutti i modi
del conte; e
parve fier più che mai fosse.
Sul capo del
pastore un pugno serra,
che spezza
l'osso, e morto il caccia in terra.
8
Salta a
cavallo, e per diversa strada
va
discorrendo, e molti pone a sacco.
Non gusta il
ronzin mai fieno né biada,
tanto ch'in
pochi dì ne riman fiacco:
ma non
però ch'Orlando a piedi vada,
che di
vetture vuol vivere a macco;
e quante ne
trovò, tante ne mise
in uso, poi
che i lor patroni uccise.
9
Capitò
al fin a Malega, e più danno
vi fece,
ch'egli avesse altrove fatto:
che oltre che
ponesse a saccomanno
il popul
sì, che ne restò disfatto,
né si poté
rifar quel né l'altr'anno;
tanti
n'uccise il periglioso matto,
vi
spianò tante case e tante accese,
che disfe'
più che 'l terzo del paese.
10
Quindi
partito, venne ad una terra,
Zizera detta,
che siede allo stretto
di
Zibeltarro, o vuoi di Zibelterra,
che l'uno e
l'altro nome le vien detto;
ove una barca
che sciogliea da terra
vide piena di
gente da diletto,
che
solazzando all'aura matutina,
gìa
per la tranquillissima marina.
11
Cominciò
il pazzo a gridar forte: -Aspetta! -
che gli venne
disio d'andare in barca.
Ma bene
invano e i gridi e gli urli getta;
che volentier
tal merce non si carca.
Per l'acqua
il legno va con quella fretta
che va per
l'aria irondine che varca.
Orlando urta
il cavallo e batte e stringe,
e con un
mazzafrusto all'acqua spinge.
12
Forza
è ch'al fin nell'acqua il cavallo entre,
ch'invan
contrasta, e spende invano ogni opra:
bagna i
genocchi, e poi la groppa e 'l ventre,
indi la
testa, e a pena appar di sopra.
Tornare a
dietro non si speri, mentre
la verga tra
l'orecchie se gli adopra.
Misero! o si
convien tra via affogare,
o nel lito
african passare il mare.
13
Non vede
Orlando più poppe né sponde
che tratto in
mar l'avean dal lito asciutto;
che son
troppo lontane, e le nasconde
agli occhi
bassi l'alto e mobil flutto:
e tuttavia il
destrier caccia tra l'onde,
ch'andar di
là dal mar dispone in tutto.
Il destrier,
d'acqua pieno e d'alma voto,
finalmente
finì la vita e il nuoto.
14
Andò
nel fondo, e vi traea la salma,
se non si
tenea Orlando in su le braccia.
Mena le gambe
e l'una e l'altra palma,
e soffia, e
l'onda spinge da la faccia.
Era l'aria
soave e il mare in calma:
e ben vi
bisognò più che bonaccia;
ch'ogni poco
che 'l mar fosse più sorto,
restava il
paladin ne l'acqua morto.
15
Ma la
Fortuna, che dei pazzi ha cura,
del mar lo
trasse nel lito di Setta,
in una
spiaggia, lungi da le mura
quanto sarian
duo tratti di saetta.
Lungo il mar
molti giorni alla ventura
verso levante
andò correndo in fretta;
fin che
trovò, dove tendea sul lito
di nera gente
esercito infinito.
16
Lasciamo il
paladin ch'errando vada:
ben di parlar
di lui tornerà tempo.
Quanto,
Signore, ad Angelica accada
dopo
ch'uscì di man del pazzo a tempo;
e come a
ritornare in sua contrada
trovasse e
buon navilio e miglior tempo,
e de l'India
a Medor desse lo scettro,
forse altri
canterà con miglior plettro.
17
Io sono a dir
tante altre cose intento,
che di seguir
più questa non mi cale.
Volger
conviemmi il bel ragionamento
al Tartaro,
che spinto il suo rivale,
quella
bellezza si godea contento,
a cui non
resta in tutta Europa uguale,
poscia che se
n'è Angelica partita,
e la casta
Issabella al ciel salita.
18
De la
sentenza Mandricardo altiero,
ch'in suo
favor la bella donna diede,
non
può fruir tutto il diletto intero;
che contra
lui son altre liti in piede.
L'una gli
muove il giovene Ruggiero,
perché
l'aquila bianca non gli cede;
l'altra il
famoso re di Sericana,
che da lui
vuol la spada Durindana.
19
S'affatica
Agramante, né disciorre,
né Marsilio
con lui, sa questo intrico:
né solamente
non li può disporre
che voglia
l'un de l'altro essere amico;
ma che
Ruggiero a Mandricardo torre
lasci lo
scudo del Troiano antico,
o Gradasso la
spada non gli vieti,
tanto che
questa o quella lite accheti.
20
Ruggier non
vuol ch'in altra pugna vada
con lo suo
scudo; né Gradasso vuole
che, fuor che
contra sé porti la spada
che 'l
glorioso Orlando portar suole.
- Al fin
veggiamo in cui la sorte cada
(disse
Agramante), e non sian più parole;
veggiàn
quel che Fortuna ne disponga,
e sia
preposto quel ch'ella preponga.
21
E se
compiacer meglio mi volete,
onde d'aver
ve n'abbia obligo ognora,
chi de' di
voi combatter, sortirete;
ma con patto,
ch'al primo ch'esca fuora,
amendue le
querele in man porrete:
sì
che, per sé vincendo, vinca ancora
pel compagno;
e perdendo l'un di vui,
così
perduto abbia per ambidui.
22
Tra Gradasso
e Ruggier credo che sia
di valor
nulla o poca differenza;
e di lor qual
si vuol venga fuor pria,
so ch'in arme
farà per eccellenza.
Poi la
vittoria da quel canto stia,
che
vorrà la divina providenza.
Il cavallier
non avrà colpa alcuna,
ma il tutto
imputerassi alla Fortuna. -
23
Steron taciti
al detto d'Agramante
e Ruggiero e
Gradasso; ed accordarsi
che qualunque
di loro uscirà inante,
e l'una briga
e l'altra abbia a pigliarsi.
Così
in duo brevi, ch'avean simigliante
ed ugual
forma, i nomi lor notarsi;
e dentro
un'urna quelli hanno rinchiusi,
versati
molto, e sozzopra confusi.
24
Un semplice
fanciul nell'urna messe
la mano, e
prese un breve; e venne a caso
ch'in questo
il nome di Ruggier si lesse,
essendo quel
del Serican rimaso.
Non si
può dir quanta allegrezza avesse,
quando
Ruggier si sentì trar del vaso,
e d'altra
parte il Sericano doglia;
ma quel che
manda il ciel, forza è che toglia.
25
Ogni suo
studio il Sericano, ogni opra
a favorire,
ad aiutar converte
perché
Ruggiero abbia a restar di sopra:
e le cose in
suo pro, ch'avea già esperte,
come or di
spada, or di scudo si cuopra,
qual sien
botte fallaci e qual sien certe,
quando
tentar, quando schivar fortuna
si dee, gli
torna a mente ad una ad una.
26
Il resto di
quel dì, che da l'accordo
e dal trar de
le sorti sopravanza,
è
speso dagli amici in dar ricordo,
chi a l'un
guerrier chi all'altro, come è usanza.
Il popul, di
veder la pugna ingordo,
s'affretta a
gara d'occupar la stanza:
né basta a
molti inanzi giorno andarvi,
che voglion
tutta notte anco veggiarvi.
27
La sciocca
turba disiosa attende
ch'i duo buon
cavallier vengano in prova;
che non mira
più lungi né comprende
di quel
ch'inanzi agli occhi si ritrova.
Ma Sobrino e
Marsilio, e chi più intende
e vede
ciò che nuoce e ciò che giova,
biasma questa
battaglia, ed Agramante,
che voglia
comportar che vada inante.
28
Né cessan
raccordargli il grave danno
che n'ha
d'avere il popul saracino,
muora
Ruggiero o il tartaro tiranno,
quel che
prefisso è dal suo fier destino:
d'un sol di
lor via più bisogno avranno
per
contrastare al figlio di Pipino,
che di dieci
altri mila che ci sono,
tra' quai
fatica è ritrovare un buono.
29
Conosce il re
Agramante che gli è vero,
ma non
può più negar ciò c'ha promesso.
Ben prega
Mandricardo e il buon Ruggiero,
che gli
ridonin quel c'ha lor concesso;
e tanto
più che 'l lor litigio è un zero,
né degno in
prova d'arme esser rimesso:
e s'in
ciò pur nol vogliono ubbidire,
voglino almen
la pugna differire.
30
Cinque o sei
mesi il singular certame,
o meno o
più, si differisca, tanto
che cacciato
abbin Carlo del reame,
tolto lo
scettro, la corona e il manto.
Ma l'un e
l'altro, ancor che voglia e brame
il re
ubbidir, pur sta duro da canto;
che tale
accordo obbrobrioso stima
a chi 'l
consenso suo vi darà prima,
31
Ma più
del re, ma più d'ognun ch'invano
spenda a
placare il Tartaro parole,
la bella
figlia del re Stordilano
supplice il
priega, e si lamenta e duole:
lo prega che
consenta al re africano
e voglia quel
che tutto il campo vuole;
si lamenta e
si duol che per lui sia
timida sempre
e piena d'angonia.
32
- Lassa!
(dicea) che ritrovar poss'io
rimedio mai
ch'a riposar mi vaglia,
s'or contra
questo, or quel, nuovo disio
vi
trarrà sempre a vestir piastra e maglia?
C'ha potuto
giovare al petto mio
il gaudio che
sia spenta la battaglia
per me da voi
contra quell'altro presa,
se un'altra
non minor se n'è già accesa?
33
Ohimè!
ch'invano i' me n'andava altiera
ch'un re
sì degno, un cavallier sì forte
per me
volesse in perigliosa e fiera
battaglia
porsi al risco de la morte;
ch'or veggo
per cagion tanto leggiera
non meno
esporvi alla medesma sorte.
Fu natural
ferocità di core
ch'a quella
v'istigò, più che 'l mio amore.
34
Ma se gli
è ver che 'l vostro amor sia quello
che vi
sforzate di mostrarmi ognora,
per lui vi
prego, e per quel gran flagello
che mi
percuote l'alma e che m'accora,
che non vi
caglia se 'l candido augello
ha ne lo
scudo quel Ruggiero ancora.
Utile o danno
a voi non so ch'importi,
che lasci
quella insegna o che la porti.
35
Poco
guadagno, e perdita uscir molta
de la
battaglia può, che per far sète:
quando
abbiate a Ruggier l'aquila tolta,
poca mercé
d'un gran travaglio avrete;
ma se Fortuna
le spalle vi volta
(che non
però nel crin presa tenete),
causate un
danno, ch'a pensarvi solo
mi sento il
petto già sparrar di duolo.
36
Quando la
vita a voi per voi non sia
cara, e
più amate un'aquila dipinta,
vi sia almen
cara per la vita mia:
non
sarà l'una senza l'altra estinta.
Non
già morir con voi grave mi fia:
son di
seguirvi in vita e in morte accinta;
ma non vorrei
morir sì malcontenta
come io
morrò, se dopo voi son spenta. -
37
Con tai
parole e simili altre assai,
che le
lacrime accompagnano e sospiri,
pregar non
cessa tutta notte mai
perch'alla
pace il suo amator ritiri;
e quel,
suggendo dagli umidi rai
quel dolce
pianto, e quei dolci martiri
da le
vermiglie labra più che rose,
lacrimando
egli ancor, così rispose:
38
- Deh, vita
mia, non vi mettete affanno,
deh non, per
Dio, di così lieve cosa;
che se Carlo
e 'l re d'Africa, e ciò c'hanno
qui di gente
moresca e di franciosa,
spiegasson le
bandiere in mio sol danno,
voi pur non
ne dovreste esser pensosa.
Ben mi
mostrate in poco conto avere,
se per me un
Ruggier sol vi fa temere.
39
E vi dovria
pur ramentar che, solo
(e spada io
non avea né scimitarra),
con un
troncon di lancia a un grosso stuolo
d'armati
cavallier tolsi la sbarra.
Gradasso,
ancor che con vergogna e duolo
lo dica,
pure, a chi 'l domanda, narra
che fu in
Soria a un castel mio prigioniero;
ed è
pur d'altra fama che Ruggiero.
40
Non niega
similmente il re Gradasso,
e sallo
Isolier vostro e Sacripante,
io dico
Sacripante, il re circasso,
e 'l famoso
Grifone ed Aquilante,
cent'altri e
più, che pure a questo passo
stati eran
presi alcuni giorni inante,
macometani e
gente di battesmo,
che tutti
liberai quel dì medesmo.
41
Non cessa
ancor la maraviglia loro
de la gran
prova ch'io feci quel giorno,
maggior, che
se l'esercito del Moro
e del Franco
inimici avessi intorno.
Ed or
potrà Ruggier, giovine soro,
farmi da solo
a solo o danno o scorno?
Ed or c'ho
Durindana e l'armatura
d'Ettòr,
vi de' Ruggier metter paura?
42
Deh, perché
dianzi in prova non venni io,
se far di voi
con l'arme io potea acquisto?
So che
v'avrei sì aperto il valor mio,
ch'avresti il
fin già di Ruggier previsto.
Asciugate le
lacrime, e, per Dio,
non mi fate
uno augurio così tristo;
e siate certa
che 'l mio onor m'ha spinto,
non ne lo
scudo il bianco augel dipinto. -
43
Così
disse egli; e molto ben risposto
gli fu da la
mestissima sua donna,
che non pur
lui mutato di proposto,
ma di luogo
avria mossa una colonna.
Ella era per
dover vincer lui tosto,
ancor
ch'armato, e ch'ella fosse in gonna;
e l'avea
indutto a dir, se 'l re gli parla
d'accordo
più, che volea contentarla.
44
E lo facea;
se non, tosto ch'al Sole
la vaga
Aurora fe' l'usata scorta,
l'animoso
Ruggier, che mostrar vuole
che con
ragion la bella aquila porta,
per non udir
più d'atti e di parole
dilazion, ma
far la lite corta,
dove circonda
il popul lo steccato,
sonando il
corno s'appresenta armato.
45
Tosto che
sente il Tartaro superbo,
ch'alla
battaglia il suono altier lo sfida,
non vuol
più de l'accordo intender verbo,
ma si lancia
del letto, ed arme grida;
e si dimostra
sì nel viso acerbo,
che Doralice
istessa non si fida
di dirgli
più di pace né di triegua:
e forza
è infin che la battaglia segua.
46
Subito
s'arma, ed a fatica aspetta
da' suoi
scudieri i debiti servigi;
poi monta
sopra il buon cavallo in fretta,
che del gran
difensor fu di Parigi;
e vien
correndo invêr la piazza eletta
a terminar
con l'arme i gran litigi.
Vi giunse il
re e la corte allora allora;
sì
ch'all'assalto fu poca dimora.
47
Posti lor
furo ed allacciati in testa
i lucidi
elmi, e date lor le lance.
Siegue la
tromba a dare il segno presta,
che fece a
mille impallidir le guance.
Posero l'aste
i cavallieri in resta,
e i corridori
punsero alle pance;
e venner con
tale impeto a ferirsi,
che parve il
ciel cader, la terra aprirsi.
48
Quinci e
quindi venir si vede il bianco
augel che
Giove per l'aria sostenne;
come ne la
Tessalia si vide anco
venir
più volte, ma con altre penne.
Quanto sia
l'uno e l'altro ardito e franco,
mostra il
portar de le massicce antenne;
e molto
più, ch'a quello incontro duro,
quai torri ai
venti, o scogli all'onde furo.
49
I tronchi fin
al ciel ne sono ascesi:
scrive
Turpin, verace in questo loco,
che dui o tre
giù ne tornaro accesi,
ch'eran
saliti alla sfera del fuoco.
I cavallieri
i brandi aveano presi:
e come quei
che si temeano poco,
si ritornaro
incontra; e a prima giunta
ambi alla
vista si ferir di punta.
50
Ferirsi alla
visiera al primo tratto;
e non
miraron, per mettersi in terra,
dare ai
cavalli morte, ch'è mal atto,
perch'essi
non han colpa de la guerra.
Chi pensa che
tra lor fosse tal patto,
non sa
l'usanza antiqua, e di molto erra:
senz'altro
patto, era vergogna e fallo
e biasmo
eterno a chi feria il cavallo.
51
Ferirsi alla
visiera, ch'era doppia,
ed a pena
anco a tanta furia resse.
L'un colpo
appresso all'altro si raddoppia:
le botte
più che grandine son spesse,
che spezza
fronde e rami e grano e stoppia,
e uscir invan
fa la sperata messe.
Se Durindana
e Balisarda taglia,
sapete, e
quanto in queste mani vaglia.
52
Ma degno di
sé colpo ancor non fanno,
sì
l'uno e l'altro ben sta su l'aviso.
Uscì
da Mandricardo il primo danno,
per cui fu
quasi il buon Ruggiero ucciso:
d'uno di quei
gran colpi che far sanno,
gli fu lo
scudo pel mezzo diviso,
e la corazza
apertagli di sotto;
e fin sul
vivo il crudel brando ha rotto.
53
L'aspra
percossa agghiacciò il cor nel petto,
per dubbio di
Ruggiero, ai circostanti,
nel cui favor
si conoscea lo affetto
dei
più inchinar, se non di tutti quanti.
E se Fortuna
ponesse ad effetto
quel che la
maggior parte vorria inanti,
già
Mandricardo saria morto o preso:
sì che
'l suo colpo ha tutto il campo offeso.
54
Io credo che
qualche agnol s'interpose
per salvar da
quel colpo il cavalliero.
Ma ben senza
più indugio gli rispose,
terribil
più che mai fosse, Ruggiero.
La spada in
capo a Mandricardo pose;
ma sì
lo sdegno fu subito e fiero,
e tal fretta
gli fe', ch'io men l'incolpo
se non
mandò a ferir di taglio il colpo.
55
Se Balisarda
lo giungea pel dritto,
l'elmo
d'Ettorre era incantato invano.
Fu sì
del colpo Mandricardo afflitto,
che si
lasciò la briglia uscir di mano.
D'andar tre
volte accenna a capo fitto,
mentre
scorrendo va d'intorno il piano
quel
Brigliador che conoscete al nome,
dolente ancor
de le mutate some.
56
Calcata serpe
mai tanto non ebbe,
né ferito
leon, sdegno e furore,
quanto il
Tartaro, poi che si riebbe
dal colpo che
di sé lo trasse fuore.
E quanto
l'ira e la superbia crebbe,
tanto e
più crebbe in lui forza e valore:
fece spiccare
a Brigliadoro un salto
verso
Ruggiero, e alzò la spada in alto.
57
Levossi in su
le staffe, ed all'elmetto
segnolli; e
si credette veramente
partirlo a
quella volta fin al petto:
ma fu di lui
Ruggier più diligente;
che, pria che
'l braccio scenda al duro effetto,
gli caccia
sotto la spada pungente,
e gli fa ne
la maglia ampla finestra,
che sotto
difendea l'ascella destra.
58
E Balisarda
al suo ritorno trasse
di fuori il
sangue tiepido e vermiglio,
e
vietò a Durindana che calasse
impetuosa con
tanto periglio;
ben che fin
su la groppa si piegasse
Ruggiero, e
per dolor strignesse il ciglio:
e s'elmo in
capo avea di peggior tempre,
gli era quel
colpo memorabil sempre.
59
Ruggier non
cessa, e spinge il suo cavallo,
e Mandricardo
al destro fianco trova.
Quivi scelta
finezza di metallo
e ben
condutta tempra poco giova
contra la
spada che non scende in fallo,
che fu
incantata non per altra prova,
che per far
ch'a' suoi colpi nulla vaglia
piastra
incantata ed incantata maglia.
60
Taglionne
quanto ella ne prese, e insieme
lasciò
ferito il Tartaro nel fianco,
che 'l ciel
bestemmia, e di tant'ira freme,
che 'l
tempestoso mare è orribil manco.
Or
s'apparecchia a por le forze estreme:
lo scudo ove
in azzurro è l'augel bianco,
vinto da
sdegno, si gittò lontano,
e messe al
brando e l'una e l'altra mano.
61
- Ah (disse a
lui Ruggier), senza più basti
a mostrar che
non merti quella insegna,
ch'or tu la
getti, e dianzi la tagliasti;
né potrai dir
mai più che ti convegna. -
Così
dicendo, forza è che egli attasti
con quanta
furia Durindana vegna;
che sì
gli grava e sì gli pesa in fronte,
che
più leggier potea cadervi un monte.
62
E per mezzo
gli fende la visiera;
buon per lui
che dal viso si discosta:
poi
calò su l'arcion che ferrato era,
né lo difese
averne doppia crosta:
giunse al fin
su l'arnese, e come cera
l'aperse con
la falda sopraposta;
e ferì
gravemente ne la coscia
Ruggier,
sì ch'assai stette a guarir poscia.
63
De l'un, come
de l'altro, fatte rosse
il sangue
l'arme avea con doppia riga;
tal che
diverso era il parer, chi fosse
di lor,
ch'avesse il meglio in quella briga.
Ma quel
dubbio Ruggier tosto rimosse
con la spada
che tanti ne castiga:
mena di
punta, e drizza il colpo crudo
onde gittato
avea colui lo scudo.
64
Fora de la
corazza il lato manco,
e di venire
al cor trova la strada,
che gli entra
più d'un palmo sopra il fianco:
sì che
convien che Mandricardo cada
d'ogni ragion
che può ne l'augel bianco,
o che
può aver ne la famosa spada;
e da la cara
vita cada insieme,
che,
più che spada e scudo, assai gli preme.
65
Non
morì quel meschin senza vendetta;
ch'a quel
medesmo tempo che fu colto,
la spada,
poco sua, menò di fretta;
ed a Ruggier
avria partito il volto,
se già
Ruggier non gli avesse intercetta
prima la
forza, e assai del vigor tolto:
di forza e di
vigor troppo gli tolse
dianzi, che
sotto il destro braccio il colse.
66
Da
Mandricardo fu Ruggier percosso
nel punto
ch'egli a lui tolse la vita;
tal ch'un
cerchio di ferro, anco che grosso,
e una cuffia
d'acciar ne fu partita.
Durindana
tagliò cotenna ed osso,
e nel capo a
Ruggiero entrò due dita.
Ruggier
stordito in terra si riversa,
e di sangue
un ruscel dal capo versa.
67
Il primo fu
Ruggier, ch'andò per terra;
e dipoi
stette l'altro a cader tanto,
che quasi
crede ognun che de la guerra
riporti
Mandricardo il pregio e il vanto:
e Doralice
sua, che con gli altri erra,
e che quel
dì più volte ha riso e pianto,
Dio
ringraziò con mani al ciel supine,
ch'avesse
avuta la pugna tal fine.
68
Ma poi
ch'appare a manifesti segni
vivo chi
vive, e senza vita il morto,
nei petti dei
fautor mutano regni:
di là
mestizia, e di qua vien conforto.
I re, i
signori, i cavallier più degni,
con Ruggier
ch'a fatica era risorto,
a rallegrarsi
ed abbracciarsi vanno,
e gloria
senza fine e onor gli danno.
69
Ognun
s'allegra con Ruggiero, e sente
il medesmo
nel cor, c'ha ne la bocca.
Sol Gradasso
il pensiero ha differente
tutto da quel
che fuor la lingua scocca:
mostra gaudio
nel viso; e occultamente
del glorioso
acquisto invidia il tocca;
e maledice o
sia destino o caso,
il qual
trasse Ruggier prima del vaso.
70
Che
dirò del favor, che de le tante
carezze e
tante, affettuose e vere,
che fece a
quel Ruggiero il re Agramante,
senza il qual
dare al vento le bandiere,
né volse
muover d'Africa le piante,
né senza lui
si fidò in tante schiere?
Or che del re
Agricane ha spento il seme,
prezza
più lui, che tutto il mondo insieme.
71
Né di tal
volontà gli uomini soli
eran verso
Ruggier, ma le donne anco,
che d'Africa
e di Spagna fra gli stuoli
eran venute
al tenitorio franco.
E Doralice
istessa, che con duoli
piangea
l'amante suo pallido e bianco,
forse con
l'altre ita sarebbe in schiera,
se di
vergogna un duro fren non era.
72
Io dico
forse, non ch'io ve l'accerti,
ma potrebbe
esser stato di leggiero:
tal la
bellezza e tali erano i merti,
i costumi e i
sembianti di Ruggiero.
Ella, per
quel che già ne siamo esperti,
sì
facile era a variar pensiero,
che per non
si veder priva d'amore,
avria potuto
in Ruggier porre il core.
73
Per lei buono
era vivo Mandricardo:
ma che ne
volea far dopo la morte?
Proveder le
convien d'un che gagliardo
sia notte e
dì ne' suoi bisogni, e forte.
Non era stato
intanto a venir tardo
il più
perito medico di corte,
che di
Ruggier veduta ogni ferita,
già
l'avea assicurato de la vita.
74
Con molta
diligenza il re Agramante
fece colcar
Ruggier ne le sue tende;
che notte e
dì veder sel vuole inante:
sì l'ama,
sì di lui cura si prende.
Lo scudo al
letto e l'arme tutte quante,
che fur di
Mandricardo, il re gli appende;
tutte le
appende, eccetto Durindana,
che fu
lasciata al re di Sericana.
75
Con l'arme
l'altre spoglie a Ruggier sono
date di
Mandricardo, e insieme dato
gli è
Brigliador, quel destrier bello e buono,
che per
furore Orlando avea lasciato.
Poi quello al
re diede Ruggiero in dono,
che s'avide
ch'assai gli saria grato.
Non
più di questo; che tornar bisogna
a chi
Ruggiero invan sospira e agogna.
76
Gli amorosi
tormenti che sostenne
Bradamante
aspettando, io v'ho da dire.
A Montalbano
Ippalca a lei rivenne
e nuova le
arrecò del suo desire.
Prima, di
quanto di Frontin le avenne
con
Rodomonte, l'ebbe a riferire;
poi di
Ruggier, che ritrovò alla fonte
con
Ricciardetto e' frati d'Agrismonte:
77
e che con
esso lei s'era partito
con speme di
trovare il Saracino,
e punirlo di
quanto avea fallito
d'aver tolto
a una donna il suo Frontino;
e che 'l
disegno poi non gli era uscito,
perché
diverso avea fatto il camino.
La cagione
anco, perché non venisse
a Montalban
Ruggier, tutta le disse;
78
e riferille
le parole a pieno,
ch'in sua
scusa Ruggier le avea commesse.
Poi si trasse
la lettera di seno,
ch'egli le
diè, perch'ella a lei la desse.
Con viso
più turbato che sereno
prese la
carta Bradamante, e lesse;
che, se non
fosse la credenza stata
già di
veder Ruggier, fôra più grata.
79
L'aver
Ruggiero ella aspettato, e invece
di lui
vedersi ora appagar d'un scritto,
del bel viso
turbar l'aria le fece
di timor, di
cordoglio e di despitto.
Baciò
la carta diece volte e diece,
avendo a chi
la scrisse il cor diritto.
Le lacrime
vietar, che su vi sparse,
che con
sospiri ardenti ella non l'arse.
80
Lesse la
carta quattro volte e sei,
e volse
ch'altretante l'imbasciata
replicata le
fosse da colei
che l'una e
l'altra avea quivi arrecata,
pur tuttavia
piangendo: e crederei
che mai non
si saria più racchetata,
se non avesse
avuto pur conforto
di riveder il
suo Ruggier di corto.
81
Termine a
ritornar quindici o venti
giorni avea
Ruggier tolto, ed affermato
l'avea ad
Ippalca poi con giuramenti
da non temer
che mai fosse mancato.
- Chi
m'assicura, ohimè, degli accidenti
(ella dicea),
c'han forza in ogni lato,
ma ne le
guerre più, che non distorni
alcun tanto
Ruggier, che più non torni?
82
Ohimè!
Ruggiero, ohimè! chi arìa creduto
ch'avendoti
amato io più di me stessa,
tu più
di me, non ch'altri, ma potuto
abbi amar
gente tua inimica espressa?
A chi
opprimer dovresti, doni aiuto:
chi tu
dovresti aitare, è da te oppressa.
Non so se
biasmo o laude esser ti credi,
ch'al premiar
e al punir sì poco vedi.
83
Fu morto da
Troian (non so se 'l sai)
il padre tuo;
ma fin ai sassi il sanno:
e tu del
figlio di Troian cura hai
che non
riceva alcun disnor né danno.
È questa
la vendetta che ne fai,
Ruggiero? e a
quei che vendicato l'hanno,
rendi tal
premio, che del sangue loro
me fai morir
di strazio e di martoro? -
84
Dicea la
donna al suo Ruggiero assente
queste parole
ed altre, lacrimando,
non una sola
volta, ma sovente.
Ippalca la
venìa pur confortando,
che Ruggier
servarebbe interamente
sua fede, e
ch'ella l'aspettasse, quando
altro far non
potea, fin a quel giorno
ch'avea
Ruggier prescritto al suo ritorno.
85
I conforti
d'Ippalca, e la speranza
che degli
amanti suole esser compagna,
alla tema e
al dolor tolgon possanza
di far che
Bradamante ognora piagna;
in Montalban
senza mutar mai stanza
voglion che
fin al termine rimagna,
fino al
promesso termine e giurato,
che poi fu da
Ruggier male osservato.
86
Ma ch'egli
alla promessa sua mancasse
non
però debbe aver la colpa affatto;
ch'una causa
ed un'altra sì lo trasse,
che gli fu
forza preterire il patto.
Convenne che
nel letto si colcasse,
e più
d'un mese si stesse di piatto
in dubbio di
morir, sì il dolor crebbe
dopo la pugna
che col Tartaro ebbe.
87
L'innamorata
giovane l'attese
tutto quel
giorno e desiollo invano,
né mai ne
seppe, fuor quanto ne 'ntese
ora da
Ippalca, e poi dal suo germano,
che le
narrò che Ruggier lui difese,
e Malagigi
liberò e Viviano.
Questa
novella, ancor ch'avesse grata,
pur di
qualche amarezza era turbata:
88
che di
Marfisa in quel discorso udito
l'alto valore
e le bellezze avea:
udì
come Ruggier s'era partito
con esso lei,
e che d'andar dicea
là
dove con disagio in debol sito
malsicuro
Agramante si tenea.
Sì
degna compagnia la donna lauda
ma non che se
n'allegri, o che l'applauda.
89
Né picciolo
è il sospetto che la preme;
che se
Marfisa è bella, come ha fama,
e che fin a
quel dì sien giti insieme,
è
maraviglia se Ruggier non l'ama.
Pur non vuol
creder anco, e spera e teme:
e 'l giorno
che la può far lieta e grama,
misera
aspetta; e sospirando stassi,
da Montalban
mai non movendo i passi.
90
Stando ella
quivi, il principe, il signore
del bel castello,
il primo de' suoi frati
(io non dico
d'etade, ma d'onore,
che di lui
prima dui n'erano nati),
Rinaldo, che
di gloria e di splendore
gli ha, come
il sol le stelle, illuminati,
giunse al
castello un giorno in su la nona;
né, fuor
ch'un paggio, era con lui persona.
91
Cagion del
suo venir fu, che da Brava
ritornandosi
un dì verso Parigi
(come v'ho
detto che sovente andava
per ritrovar
d'Angelica vestigi),
avea sentita
la novella prava
del suo
Viviano e del suo Malagigi,
ch'eran per
essere dati al Maganzese;
e
perciò ad Agrismonte la via prese.
92
Dove
intendendo poi ch'eran salvati,
e gli
aversari lor morti e distrutti,
e Marfisa e
Ruggiero erano stati,
che gli
aveano a quei termini ridutti;
e suoi
fratelli e suoi cugin tornati
a Montalbano
insieme erano tutti;
gli parve
un'ora un anno di trovarsi
con esso lor
là dentro ad abbracciarsi.
93
Venne Rinaldo
a Montalbano, e quivi
madre, moglie
abbracciò, figli e fratelli,
e i cugini
che dianzi eran captivi;
e parve,
quando egli arrivò tra quelli,
dopo gran
fame irondine ch'arrivi
col cibo in
bocca ai pargoletti augelli.
E poi ch'un
giorno vi fu stato o dui,
partissi, e
fe' partire altri con lui.
94
Ricciardo,
Alardo, Ricciardetto, e d'essi
figli
d'Amone, il più vecchio Guicciardo,
Malagigi e
Vivian, si furon messi
in arme
dietro al paladin gagliardo.
Bradamante
aspettando che s'appressi
il tempo
ch'al disio suo ne vien tardo,
inferma disse
agli fratelli ch'era,
e non volse
con lor venire in schiera.
95
E ben lor
disse il ver, ch'ella era inferma,
ma non per
febbre o corporal dolore:
era il disio
che l'alma dentro inferma,
e le fa
alterazion patir d'amore.
Rinaldo in
Montalban più non si ferma,
e seco mena
di sua gente il fiore.
Come a Parigi
appropinquosse, e quanto
Carlo
aiutò, vi dirà l'altro canto.
1
Che dolce
più, che più giocondo stato
saria di quel
d'un amoroso core?
che viver
più felice e più beato,
che
ritrovarsi in servitù d'Amore?
se non fosse
l'uom sempre stimulato
da quel
sospetto rio, da quel timore,
da quel
martìr, da quella frenesia,
da quella
rabbia detta gelosia.
2
Però
ch'ogni altro amaro che si pone
tra questa
soavissima dolcezza,
è un
augumento, una perfezione,
ed è
un condurre amore a più finezza.
L'acque parer
fa saporite e buone
la sete, e il
cibo pel digiun s'apprezza:
non conosce
la pace e non l'estima
chi provato
non ha la guerra prima.
3
Se ben non
veggon gli occhi ciò che vede
ognora il
core, in pace si sopporta.
Lo star
lontano, poi quando si riede,
quanto
più lungo fu, più riconforta.
Lo stare in
servitù senza mercede
(pur che non
resti la speranza morta)
patir si
può: che premio al ben servire
pur viene al
fin, se ben tarda a venire.
4
Gli sdegni,
le repulse, e finalmente
tutti i
martìr d'amor, tutte le pene,
fan per lor
rimembranza, che si sente
con miglior
gusto un piacer quando viene.
Ma se
l'infernal peste una egra mente
avvien
ch'infetti, ammorbi ed avelene;
se ben segue
poi festa ed allegrezza,
non la cura
l'amante e non l'apprezza.
5
Questa
è la cruda e avelenata piaga
a cui non val
liquor, non vale impiastro,
né murmure,
né imagine di saga,
né val lungo
osservar di benigno astro,
né quanta
esperienza d'arte maga
fece mai
l'inventor suo Zoroastro:
piaga crudel
che sopra ogni dolore
conduce
l'uom, che disperato muore.
6
Oh incurabil
piaga che nel petto
d'un amator
sì facile s'imprime,
non men per
falso che per ver sospetto!
piaga che
l'uom sì crudelmente opprime,
che la ragion
gli offusca e l'intelletto,
e lo tra'
fuor de le sembianze prime!
Oh iniqua
gelosia, che così a torto
levasti a
Bradamante ogni conforto!
7
Non di questo
ch'Ippalca e che 'l fratello
le avea nel
core amaramente impresso,
ma dico d'uno
annunzio crudo e fello
che le fu
dato pochi giorni appresso.
Questo era
nulla a paragon di quello
ch'io vi
dirò, ma dopo alcun digresso.
Di Rinaldo ho
da dir primieramente,
che vêr
Parigi vien con la sua gente.
8
Scontraro il
dì seguente invêr la sera
un cavallier
ch'avea una donna al fianco,
con scudo e
sopravesta tutta nera,
se non che
per traverso ha un fregio bianco.
Sfidò
alla giostra Ricciardetto, ch'era
dinanzi, e
vista avea di guerrier franco:
e quel, che
mai nessun ricusar volse,
girò
la briglia e spazio a correr tolse.
9
Senza dir
altro, o più notizia darsi
de l'esser
lor, si vengono all'incontro.
Rinaldo e gli
altri cavallier fermarsi
per veder
come seguiria lo scontro.
- Tosto
costui per terra ha da versarsi,
se in luogo
fermo a mio modo lo incontro -
dicea tra sé
medesmo Ricciardetto;
ma contrario
al pensier seguì l'effetto:
10
però
che lui sotto la vista offese
di tanto
colpo il cavalliero istrano,
che lo
levò di sella, e lo distese
più di
due lance al suo destrier lontano.
Di vendicarlo
incontinente prese
l'assunto
Alardo, e ritrovossi al piano
stordito e
male acconcio: sì fu crudo
lo scontro
fier, che gli spezzò lo scudo.
11
Guicciardo
pone incontinente in resta
l'asta, che
vede i duo germani in terra,
ben che
Rinaldo gridi: - Resta, resta;
che mia
convien che sia la terza guerra: -
ma l'elmo
ancor non ha allacciato in testa
sì che
Guicciardo al corso si disserra;
né più
degli altri si seppe tenere,
e ritrovossi
subito a giacere.
12
Vuol
Ricciardo, Viviano e Malagigi,
e l'un prima
de l'altro essere in giostra:
ma Rinaldo
pon fine ai lor litigi;
ch'inanzi a
tutti armato si dimostra,
dicendo loro:
- È tempo ire a Parigi;
e saria
troppo la tardanza nostra,
s'io volesse
aspettar fin che ciascuno
di voi fosse
abbattuto ad uno ad uno. -
13
Dissel tra
sé, ma non che fosse inteso,
che saria
stato agli altri ingiuria e scorno.
L'uno e
l'altro del campo avea già preso,
e si faceano
incontra aspro ritorno.
Non fu
Rinaldo per terra disteso,
che valea
tutti gli altri ch'avea intorno;
le lance si
fiaccar, come di vetro,
né i
cavallier si piegar oncia a dietro.
14
L'uno e
l'altro cavallo in guisa urtosse,
che gli fu
forza in terra a por le groppe.
Baiardo
immantinente ridrizzosse,
tanto ch'a
pena il correre interroppe.
Sinistramente
sì l'altro percosse,
che la spalla
e la schena insieme roppe.
Il cavallier
che 'l destrier morto vede,
lascia le
staffe ed è subito in piede.
15
Ed al figlio
d'Amon, che già rivolto
tornava a lui
con la man vota, disse:
- Signore, il
buon destrier che tu m'hai tolto,
perché caro
mi fu mentre che visse,
mi faria
uscir del mio debito molto,
se
così invendicato si morisse:
sì che
vientene, e fa ciò che tu puoi,
perché
battaglia esser convien tra noi. -
16
Disse Rinaldo
a lui: - Se 'l destrier morto,
e non altro
ci de' porre a battaglia,
un de' miei
ti darò, piglia conforto,
che men del
tuo non crederò che vaglia. -
Colui
soggiunse: - Tu sei malaccorto,
se creder
vuoi che d'un destrier mi caglia.
Ma poi che
non comprendi ciò ch'io voglio,
ti
spiegherò più chiaramente il foglio.
17
Vo' dir che
mi parria commetter fallo,
se con la
spada non ti provassi anco,
e non sapessi
s'in quest'altro ballo
tu mi sia
pari, o se più vali o manco.
Come ti
piace, o scendi, o sta a cavallo:
pur che le
man tu non ti tegna al fianco,
io son
contento ogni vantaggio darti:
tanto alla
spada bramo di provarti. -
18
Rinaldo molto
non lo tenne in lunga,
e disse: - La
battaglia ti prometto;
e perché tu
sia ardito, e non ti punga
di questi
c'ho d'intorno alcun sospetto,
andranno
inanzi fin ch'io gli raggiunga;
né meco
resterà fuor ch'un valletto
che mi tenga
il cavallo: - e così disse
alla sua
compagnia che se ne gisse.
19
La cortesia
del paladin gagliardo
commendò
molto il cavalliero estrano.
Smontò
Rinaldo, e del destrier Baiardo
diede al
valletto le redine in mano:
e poi che
più non vede il suo stendardo,
il qual di
lungo spazio è già lontano,
lo scudo
imbraccia e stringe il brando fiero,
e sfida alla
battaglia il cavalliero.
20
E quivi
s'incomincia una battaglia
di ch'altra
mai non fu più fiera in vista.
Non crede
l'un che tanto l'altro vaglia,
che troppo
lungamente gli resista.
Ma poi che 'l
paragon ben gli ragguaglia,
né l'un de
l'altro più s'allegra o attrista,
pongon
l'orgoglio ed il furor da parte,
ed al
vantaggio loro usano ogn'arte.
21
S'odon lor
colpi dispietati e crudi
intorno
rimbombar con suono orrendo,
ora i canti
levando a' grossi scudi,
schiodando or
piastre, e quando maglie aprendo.
Né qui
bisogna tanto che si studi
a ben ferir,
quanto a parar, volendo
star l'uno a
l'altro par; ch'eterno danno
lor
può causar il primo error che fanno.
22
Durò
l'assalto un'ora e più che 'l mezzo
d'un'altra;
ed era il sol già sotto l'onde,
ed era sparso
il tenebroso rezzo
de l'orizzon
fin all'estreme sponde;
né riposato o
fatto altro intermezzo
aveano alle
percosse furibonde
questi
guerrier, che non ira o rancore,
ma tratto
all'arme avea disio d'onore.
23
Rivolve
tuttavia tra sé Rinaldo
chi sia
l'estrano cavallier sì forte,
che non pur
gli sta contra ardito e saldo,
ma spesso il
mena a risco de la morte;
e già
tanto travaglio e tanto caldo
gli ha posto,
che del fin dubita forte:
e volentier,
se con suo onor potesse,
vorria che
quella pugna rimanesse.
24
Da l'altra
parte il cavallier estrano,
che
similmente non avea notizia
che quel
fosse il signor di Montalbano,
quel
sì famoso in tutta la milizia,
che gli avea
incontra con la spada in mano
condotto
così poca nimicizia,
era certo che
d'uom di più eccellenza
non potesson
dar l'arme esperienza.
25
Vorrebbe de
l'impresa esser digiuno,
ch'avea di
vendicare il suo cavallo;
e se potesse
senza biasmo alcuno,
si trarria
fuor del periglioso ballo.
Il mondo era
già tanto oscuro e bruno,
che tutti i
colpi quasi ivano in fallo.
Poco ferire e
men parar sapeano,
ch'a pena in
man le spade si vedeano.
26
Fu quel da
Montalbano il primo a dire
che far
battaglia non denno allo scuro,
ma quella
indugiar tanto e differire,
ch'avesse
dato volta il pigro Arturo;
e che
può intanto al padiglion venire,
ove di sé non
sarà men sicuro,
ma servito,
onorato e ben veduto,
quanto in
loco ove mai fosse venuto.
27
Non
bisognò a Rinaldo pregar molto,
che 'l
cortese baron tenne lo 'nvito.
Ne vanno
insieme ove il drappel raccolto
di Montalbano
era in sicuro sito.
Rinaldo al
suo scudiero avea già tolto
un bel
cavallo e molto ben guernito,
a spada e a
lancia e ad ogni prova buono,
ed a quel
cavallier fattone dono.
28
Il guerrier
peregrin conobbe quello
esser
Rinaldo, che venìa con esso;
che prima che
giungessero all'ostello,
venuto a caso
era a nomar se stesso:
e perché l'un
de l'altro era fratello,
si
sentìr dentro di dolcezza oppresso,
e di pietoso
affetto tocco il core;
e lacrimar
per gaudio e per amore.
29
Questo
guerriero era Guidon selvaggio,
che dianzi
con Marfisa e Sansonetto
e' figli
d'Olivier molto viaggio
avea fatto
per mar, come v'ho detto.
Di non veder
più tosto il suo lignaggio
il fellon
Pinabel gli avea interdetto,
avendol preso
e a bada poi tenuto
alla difesa
del suo rio statuto.
30
Guidon, che
questo esser Rinaldo udio,
famoso sopra
ogni famoso duce,
ch'avuto avea
più di veder disio,
che non ha il
cieco la perduta luce,
con molto
gaudio disse: - O signor mio,
qual fortuna
a combatter mi conduce
con voi, che
lungamente ho amato ed amo,
e sopra tutto
il mondo onorar bramo?
31
Mi
partorì Costanza ne le estreme
ripe del mar
Eusino: io son Guidone,
concetto de
lo illustre inclito seme,
come ancor
voi, del generoso Amone.
Di voi vedere
e gli altri nostri insieme
il desiderio
è del venir cagione;
e dove mia
intenzion fu d'onorarvi,
mi veggo
esser venuto a ingiuriarvi.
32
Ma scusimi
apo voi d'un error tanto,
ch'io non ho
voi né gli altri conosciuto;
e s'emendar
si può, ditemi quanto
far debbo,
ch'in ciò far nulla rifiuto. -
Poi che si fu
da questo e da quel canto
de' complessi
iterati al fin venuto,
rispose a lui
Rinaldo: - Non vi caglia
meco scusarvi
più de la battaglia:
33
che per
certificarne che voi sète
di nostra
antiqua stirpe un vero ramo,
dar miglior
testimonio non potete,
che 'l gran
valor ch'in voi chiaro proviamo.
Se più
pacifiche erano e quiete
vostre
maniere, mal vi credevamo;
che la damma
non genera il leone,
né le colombe
l'aquila o il falcone. -
34
Non, per
andar, di ragionar lasciando,
non di
seguir, per ragionar, lor via,
vennero ai
padiglioni; ove narrando
il buon
Rinaldo alla sua compagnia
che questo
era Guidon, che disiando
veder, tanto
aspettato aveano pria,
molto gaudio
apportò ne le sue squadre;
e parve a
tutti assimigliarsi al padre.
35
Non
dirò l'accoglienze che gli fero
Alardo,
Ricciardetto e gli altri dui;
che gli fece
Viviano ed Aldigiero,
e Malagigi,
frati e cugin sui;
ch'ogni
signor gli fece e cavalliero;
ciò
ch'egli disse a loro, ed essi a lui:
ma vi
concluderò che finalmente
fu ben veduto
da tutta la gente.
36
Caro Guidone
a' suoi fratelli stato
credo sarebbe
in ogni tempo assai;
ma lor fu al
gran bisogno ora più grato,
ch'esser
potesse in altro tempo mai.
Poscia che 'l
nuovo sole incoronato
del mare
uscì di luminosi rai,
Guidon coi
frati e coi parenti in schiera
se ne
tornò sotto la lor bandiera.
37
Tanto un
giorno ed un altro se n'andaro,
che di Parigi
alle assediate porte
a men di
dieci miglia s'accostaro
in ripa a
Senna; ove per buona sorte
Grifone ed
Aquilante ritrovaro,
i duo
guerrier da l'armatura forte:
Grifone il
bianco ed Aquilante il nero,
che
partorì Gismonda d'Oliviero.
38
Con essi
ragionava una donzella,
non
già di vil condizione in vista,
che di
sciamito bianco la gonnella
fregiata
intorno avea d'aurata lista;
molto
leggiadra in apparenza e bella,
fosse
quantunque lacrimosa e trista:
e mostrava
ne' gesti e nel sembiante
di cosa
ragionar molto importante.
39
Conobbe i
cavallier, come essi lui,
Guidon, che
fu con lor pochi dì inanzi;
ed a Rinaldo
disse: - Eccovi dui
a cui van
pochi di valore inanzi;
e se per
Carlo ne verran con nui,
non ne
staranno i Saracini inanzi. -
Rinaldo di
Guidon conferma il detto,
che l'uno e
l'altro era guerrier perfetto.
40
Gli avea
riconosciuti egli non manco;
però
che quelli sempre erano usati,
l'un tutto
nero, e l'altro tutto bianco
vestir su
l'arme, e molto andare ornati.
Da l'altra
parte essi conobbero anco
e salutar
Guidon, Rinaldo e i frati;
ed abbracciar
Rinaldo come amico,
messo da
parte ogni lor odio antico.
41
S'ebbero un
tempo in urta e in gran dispetto
per
Truffaldin, che fôra lungo a dire;
ma quivi
insieme con fraterno affetto
s'accarezzar,
tutte obliando l'ire.
Rinaldo poi
si volse a Sansonetto,
ch'era
tardato un poco più a venire,
e lo raccolse
col debito onore,
a pieno
istrutto del suo gran valore.
42
Tosto che la
donzella più vicino
vide Rinaldo,
e conosciuto l'ebbe
(ch'avea
notizia d'ogni paladino),
gli disse una
novella che gl'increbbe;
e
cominciò: - Signore, il tuo cugino,
a cui la
Chiesa e l'alto Imperio debbe,
quel
già sì saggio ed onorato Orlando,
è
fatto stolto, e va pel mondo errando.
43
Onde causato
così strano e rio
accidente gli
sia, non so narrarte.
La sua spada
e l'altr'arme ho vedute io,
che per li
campi avea gittate e sparte;
e vidi un
cavallier cortese e pio
che le
andò raccogliendo da ogni parte,
e poi di
tutte quelle un arbuscello
fe', a guisa
di trofeo, pomposo e bello.
44
Ma la spada
ne fu tosto levata
dal figliuol
d'Agricane il dì medesmo.
Tu pòi
considerar quanto sia stata
gran perdita
alla gente del battesmo
l'essere
un'altra volta ritornata
Durindana in
poter del paganesmo.
Né
Brigliadoro men, ch'errava sciolto
intorno
all'arme, fu dal pagan tolto.
45
Son pochi
dì ch'Orlando correr vidi
senza
vergogna e senza senno, ignudo,
con urli
spaventevoli e con gridi:
ch'è
fatto pazzo in somma ti conchiudo;
e non avrei,
fuor ch'a questi occhi fidi,
creduto mai
sì acerbo caso e crudo. -
Poi
narrò che lo vide giù dal ponte
abbracciato
cader con Rodomonte.
46
- A qualunque
io non creda esser nimico
d'Orlando
(soggiungea) di ciò favello,
acciò
ch'alcun di tanti a ch'io lo dico,
mosso a
pietà del caso strano e fello,
cerchi o a
Parigi o in altro luogo amico
ridurlo, fin
che si purghi il cervello.
Ben so, se
Brandimarte n'avrà nuova,
sarà
per farne ogni possibil prova. -
47
Era costei la
bella Fiordiligi,
più
cara a Brandimarte che se stesso,
la qual, per
lui trovar, venìa a Parigi:
e de la spada
ella suggiunse appresso,
che discordia
e contesa e gran litigi
tra il
Sericano e l' Tartaro avea messo;
e ch'avuta
l'avea, poi fu casso,
di vita
Mandricardo, al fin Gradasso.
48
Di
così strano e misero accidente
Rinaldo senza
fin si lagna e duole;
né il core
intenerir men se ne sente,
che soglia
intenerirsi il ghiaccio al sole:
e con
disposta ed immutabil mente,
ovunque
Orlando sia, cercar lo vuole,
con speme,
poi che ritrovato l'abbia,
di farlo
risanar di quella rabbia.
49
Ma già
lo stuolo avendo fatto unire,
sia
volontà del cielo o sia aventura,
vuol fare i
Saracin prima fuggire,
e liberar le
parigine mura.
Ma consiglia
l'assalto differire,
che vi par
gran vantaggio, a notte scura,
ne la terza
vigilia o ne la quarta,
ch'avrà
l'acqua di Lete il Sonno sparta.
50
Tutta la
gente alloggiar fece al bosco,
e quivi la
posò per tutto 'l giorno;
ma poi che 'l
sol, lasciando il mondo fosco,
alla nutrice
antiqua fe' ritorno,
ed orsi e
capre e serpi senza tosco
e l'altre
fere ebbeno il cielo adorno,
che state
erano ascose al maggior lampo,
mosse Rinaldo
il taciturno campo:
51
e venne con
Grifon, con Aquilante,
con Vivian,
con Alardo e con Guidone,
con
Sansonetto, agli altri un miglio inante,
a cheti passi
e senza alcun sermone.
Trovò
dormir l'ascolta d'Agramante:
tutta
l'uccise, e non ne fe' un prigione.
Indi
arrivò tra l'altra gente Mora,
che non fu
visto né sentito ancora.
52
Del campo
d'infedeli a prima giunta
la ritrovata
guardia all'improviso
lasciò
Rinaldo sì rotta e consunta,
ch'un sol non
ne restò, se non ucciso.
Spezzata che
lor fu la prima punta,
i Saracin non
l'avean più da riso,
che
sonnolenti, timidi ed inermi,
poteano a tai
guerrier far pochi schermi.
53
Fece Rinaldo
per maggior spavento
dei Saracini,
al mover de l'assalto,
a trombe e a
corni dar subito vento,
e, gridando,
il suo nome alzar in alto.
Spinse
Baiardo, e quel non parve lento;
che dentro
all'alte sbarre entrò d'un salto,
e
versò cavallier, pestò pedoni,
ed
atterrò trabacche e padiglioni.
54
Non fu
sì ardito tra il popul pagano,
a cui non
s'arricciassero le chiome,
quando
sentì Rinaldo e Montalbano
sonar per
l'aria, il formidato nome.
Fugge col
campo d'Africa l'ispano,
né perde
tempo a caricar le some;
ch'aspettar
quella furia più non vuole,
ch'aver
provata anco si piagne e duole.
55
Guidon lo
segue, e non fa men di lui;
né men fanno
i duo figli d'Oliviero,
Alardo e
Ricciardetto, e gli altri dui:
col brando Sansonetto
apre il sentiero:
Aldigiero e
Vivian provar altrui
fan quanto in
arme l'uno e l'altro è fiero.
Così
fa ognun che segue lo stendardo
di
Chiaramonte, da guerrier gagliardo.
56
Settecento
con lui tenea Rinaldo
in Montalbano
e intorno a quelle ville,
usati a
portar l'arme al freddo e al caldo,
non
già più rei dei Mirmidon d'Achille.
Ciascun
d'essi al bisogno era sì saldo,
che cento
insieme non fuggian per mille;
e se ne
potean molti sceglier fuori,
che d'alcun
dei famosi eran migliori.
57
E se Rinaldo
ben non era molto
ricco né di
città né di tesoro,
facea
sì con parole e con buon volto,
e ciò
ch'avea partendo ognor con loro,
ch'un di quel
numer mai non gli fu tolto
per offerire
altrui più somma d'oro.
Questi da
Montalban mai non rimuove,
se non lo stringe
un gran bisogno altrove.
58
Ed or,
perch'abbia il Magno Carlo aiuto,
lasciò
con poca guardia il suo castello.
Tra gli
African questo drappel venuto,
questo
drappel del cui valor favello,
ne fece quel
che del gregge lanuto
sul falanteo
Galeso il lupo fello,
o quel che
soglia, del barbato, appresso
il barbaro
Cinifio, il leon spesso.
59
Carlo,
ch'aviso da Rinaldo avuto
avea che
presso era a Parigi giunto,
e che la
notte il campo sproveduto
volea
assalir, stato era in arme e in punto;
e quando
bisognò, venne in aiuto
coi paladini;
e ai paladini aggiunto
avea il
figliol del ricco Monodante,
di Fiordiligi
il fido e saggio amante;
60
ch'ella
più giorni per sì lunga via
cercato avea
per tutta Francia invano.
Quivi
all'insegne che portar solia,
fu da lei conosciuto
di lontano.
Come lei
Brandimarte vide pria,
lasciò
la guerra, e tornò tutto umano,
e corse ad
abbracciarla; e d'amor pieno,
mille volte
baciolla o poco meno.
61
De le lor
donne e de le lor donzelle
si fidar
molto a quella antica etade.
Senz'altra
scorta andar lasciano quelle
per piani e
monti e per strane contrade;
ed al ritorno
l'han per buone e belle,
né mai tra
lor suspizione accade.
Fiordiligi
narrò quivi al suo amante,
che fatto
stolto era il signor d'Anglante.
62
Brandimarte
sì strana e ria novella
credere ad
altri a pena avria potuto;
ma lo
credette a Fiordiligi bella,
a cui
già maggior cose avea creduto.
Non pur
d'averlo udito gli dice ella,
ma che con
gli occhi propri l'ha veduto
(c'ha
conoscenza e pratica d'Orlando,
quanto alcun
altro), e dice dove e quando
63
E gli narra
del ponte periglioso,
che Rodomonte
ai cavallier difende,
ove un
sepolcro adorna e fa pomposo
di sopraveste
e d'arme di chi prende.
Narra c'ha
visto Orlando furioso
far cose
quivi orribili e stupende;
che nel fiume
il pagan mandò riverso,
con gran
periglio di restar summerso.
64
Brandimarte,
che 'l conte amava quanto
si può
compagno amar, fratello o figlio,
disposto di
cercarlo, e di far tanto,
non ricusando
affanno né periglio,
che per opra
di medico o d'incanto
si ponga a
quel furor qualche consiglio,
così
come trovossi armato in sella,
si mise in
via con la sua donna bella.
65
Verso la
parte ove la donna il conte
avea veduto,
il lor camin drizzaro,
di giornata
in giornata, fin ch'al ponte
che guarda il
re d'Algier, si ritrovaro.
La guardia ne
fe' segno a Rodomonte;
e gli
scudieri a un tempo gli arrecaro
l'arme e il
cavallo: e quel si trovò in punto,
quando fu
Brandimarte al passo giunto.
66
Con voce qual
conviene al suo furore
il Saracino a
Brandimarte grida:
- Qualunque
tu ti sia, che, per errore
di via o di
mente, qui tua sorte guida,
scendi e
spogliati l'arme, e fanne onore
al gran
sepolcro, inanzi ch'io t'uccida,
e che vittima
all'ombre tu sia offerto:
ch'io 'l
farò poi, né te n'avrò alcun merto. -
67
Non volse
Brandimarte a quell'altiero
altra
risposta dar, che de la lancia.
Sprona
Batoldo, il suo gentil destriero,
e inverso
quel con tanto ardir si lancia,
che mostra
che può star d'animo fiero
con qual si
voglia al mondo alla bilancia:
e Rodomonte,
con la lancia in resta,
lo stretto
ponte a tutta briglia pesta.
68
Il suo
destrier ch'avea continuo uso
d'andarvi
sopra, e far di quel sovente
quando uno e
quando un altro cader giuso,
alla giostra
correa sicuramente;
l'altro, del
corso insolito confuso,
venìa
dubbioso, timido e tremente.
Trema anco il
ponte, e par cader ne l'onda,
oltre che
stretto e che sia senza sponda.
69
I cavallier,
di giostra ambi maestri,
che le lance
avean grosse come travi,
tali qual fur
nei lor ceppi silvestri,
si dieron
colpi non troppo soavi.
Ai lor
cavalli esser possenti e destri
non
giovò molto agli aspri colpi e gravi;
che si versar
di pari ambi sul ponte,
e seco i
signor lor tutti in un monte.
70
Nel volersi
levar con quella fretta
che lo
spronar de' fianchi insta e richiede,
l'asse del
ponticel lor fu sì stretta,
che non
trovaro ove fermare il piede;
sì che
una sorte uguale ambi li getta
ne l'acqua; e
gran rimbombo al ciel ne riede,
simile a quel
ch'uscì del nostro fiume,
quando ci
cadde il mal rettor del lume.
71
I duo cavalli
con tutto 'l pondo
dei
cavallier, che steron fermi in sella,
a cercar la
rivera insin al fondo,
se v'era
ascosa alcuna ninfa bella.
Non è
già il primo salto né 'l secondo,
che
giù del ponte abbia il pagano in quella
onda spiccato
col destrero audace;
però
sa ben come quel fondo giace:
72
sa dove
è saldo e sa dove è più molle,
sa dove
è l'acqua bassa e dove è l'alta.
Dal fiume il
capo e il petto e i fianchi estolle,
e Brandimarte
a gran vantaggio assalta.
Brandimarte
il corrente in giro tolle:
ne la sabbia
il destrier, che 'l fondo smalta,
tutto si
ficca, e non può riaversi,
con rischio
di restarvi ambi sommersi.
73
L'onda si
leva e li fa andar sozzopra,
e dove
è più profonda li trasporta:
va Brandimarte
sotto, e 'l destrier sopra.
Fiordiligi
dal ponte afflitta e smorta
e le lacrime
e i voti e i prieghi adopra:
- Ah
Rodomonte, per colei che morta
tu riverisci,
non esser sì fiero,
ch'affogar
lasci un tanto cavalliero!
74
Deh, cortese
signor, s'unque tu amasti,
di me, ch'amo
costui, pietà ti vegna.
Di farlo tuo
prigion, per Dio, ti basti;
che s'orni il
sasso tuo di quella insegna,
di quante
spoglie mai tu gli arrecasti,
questa fia la
più bella e la più degna. -
E seppe
sì ben dir, ch'ancor che fosse
sì
crudo il re pagan, pur lo commosse;
75
e fe' che 'l
suo amator ratto soccorse,
che sotto
acqua il destrier tenea sepolto,
e de la vita
era venuto in forse,
e senza sete
avea bevuto molto.
Ma aiuto non
però prima gli porse,
che gli ebbe
il brando e dipoi l'elmo tolto.
De l'acqua
mezzo morto il trasse, e porre
con molti
altri lo fe' ne la sua torre.
76
Fu ne la
donna ogni allegrezza spenta,
quando
prigion vide il suo amante gire;
ma di questo
pur meglio si contenta,
che di
vederlo nel fiume perire.
Di se stessa,
e non d'altri, si lamenta,
che fu cagion
di farlo ivi venire,
per averli
narrato ch'avea il conte
riconosciuto
al periglioso ponte.
77
Quindi si
parte, avendo già concetto
di menarvi
Rinaldo paladino,
o il Selvaggio
Guidone, o Sansonetto,
o altri de la
corte di Pipino,
in acqua e in
terra cavallier perfetto
da poter
contrastar col Saracino;
se non
più forte, almen più fortunato
che
Brandimarte suo non era stato.
78
Va molti
giorni, prima che s'abbatta
in alcun
cavallier ch'abbia sembiante
d'esser come
lo vuol, perché combatta
col Saracino
e liberi il suo amante.
Dopo molto
cercar di persona atta
al suo
bisogno, un le vien pur avante,
che
sopravesta avea ricca ed ornata,
a tronchi di
cipressi ricamata.
79
Chi costui
fosse, altrove ho da narrarvi;
che prima
ritornar voglio a Parigi,
e de la gran
sconfitta seguitarvi,
ch'a' Mori
diè Rinaldo e Malagigi.
Quei che
fuggiro io non saprei contarvi,
né quei che
fur cacciati ai fiumi stigi.
Levò a
Turpino il conto l'aria oscura,
che di
contarli s'avea preso cura.
80
Nel primo
sonno dentro al padiglione
dormia
Agramante; e un cavallier lo desta,
dicendogli
che fia fatto prigione,
se la fuga
non è via più che presta.
Guarda il re
intorno, e la confusione
vede dei
suoi, che van senza far testa
chi qua chi
là fuggendo inermi e nudi,
che non han
tempo di pur tor gli scudi.
81
Tutto confuso
e privo di consiglio
si facea
porre indosso la corazza,
quando con
Falsiron vi giunse il figlio,
Grandonio e
Balugante e quella razza;
e al re
Agramante mostrano il periglio
di restar
morto o preso in quella piazza:
e che
può dir, se salva la persona,
che Fortuna
gli sia propizia e buona.
82
Così
Marsilio e così il buon Sobrino,
e così
dicon gli altri ad una voce,
ch'a sua
distruzion tanto è vicino,
quanto a
Rinaldo il qual ne vien veloce;
che s'aspetta
che giunga il paladino
con tanta
gente, e un uom tanto feroce,
render certo
si può ch'egli e i suo' amici
rimarran
morti, o in man degli nimici.
83
Ma ridur si
può in Arli o sia in Narbona
con quella
poca gente c'ha d'intorno;
che l'una e
l'altra terra è forte e buona
da mantener
la guerra più d'un giorno:
e quando
salva sia la sua persona,
si
potrà vendicar di questo scorno,
rifacendo
l'esercito in un tratto,
onde al fin
Carlo ne sarà disfatto.
84
Il re
Agramante al parer lor s'attenne,
ben che 'l
partito fosse acerbo e duro.
Andò
verso Arli, e parve aver le penne,
per quel
camin che più trovò sicuro.
Oltre alle
guide, in gran favor gli venne
che la
partita fu per l'aer scuro.
Ventimila tra
d'Africa e di Spagna
fur, ch'a
Rinaldo uscir fuor de la ragna.
85
Quei ch'egli
uccise e quei che i suoi fratelli,
quei che i
duo figli del signor di Vienna,
quei che
provaro empi nimici e felli
i settecento
a cui Rinaldo accenna,
e quei che
spense Sansonetto, e quelli
che ne la
fuga s'affogaro in Senna,
chi potesse
contar, conteria ancora
ciò
che sparge d'april Favonio e Flora.
86
Istima alcun
che Malagigi parte
ne la
vittoria avesse de la notte;
non che di
sangue le campagne sparte
fosser per
lui, né per lui teste rotte:
ma che
gl'infernali angeli per arte
facesse uscir
da le tartaree grotte,
e con tante
bandiere e tante lance,
ch'insieme
più non ne porrian due France;
87
e che facesse
udir tanti metalli,
tanti tamburi
e tanti varii suoni,
tanti
anitriri in voce di cavalli,
tanti gridi e
tumulti di pedoni,
che risonare
e piani e monti e valli
dovean de le
longique regioni:
ed ai Mori
con questo un timor diede,
che li fece
voltare in fuga il piede.
88
Non si
scordò il re d'Africa Ruggiero,
ch'era ferito
e stava ancora grave.
Quanto poté
più acconcio s'un destriero
lo fece por,
ch'avea l'andar soave;
e poi che
l'ebbe tratto ove il sentiero
fu più
sicuro, il fe' posar in nave,
e verso Arli
portar commodamente,
dove s'avea a
raccor tutta la gente.
89
Quei ch'a
Rinaldo e a Carlo dier le spalle
(fur, credo,
centomila o poco manco),
per campagne,
per boschi e monte e valle
cercaro uscir
di man del popul franco;
ma la
più parte trovò chiuso il calle,
e fece rosso
ov'era verde e bianco.
Così
non fece il re di Sericana,
ch'avea da
lor la tenda più lontana:
90
anzi, come
egli sente che 'l signore
di Montalbano
è questo che gli assalta,
gioisce di
tal iubilo nel core,
che qua e
là per allegrezza salta.
Loda e
ringrazia il suo sommo Fattore,
che quella
notte gli occorra tant'alta
e sì
rara aventura d'acquistare
Baiardo, quel
destrier che non ha pare.
91
Avea quel re
gran tempo desiato
(credo
ch'altrove voi l'abbiate letto)
d'aver la
buona Durindana a lato,
e cavalcar
quel corridor perfetto.
E già
con più di centomila armato
era venuto in
Francia a questo effetto;
e con Rinaldo
già sfidato s'era
per quel
cavallo alla battaglia fiera;
92
e sul lito
del mar s'era condutto
ove dovea la
pugna diffinire:
ma Malagigi a
turbar venne il tutto,
che fe' il
cugin, mal grado suo, partire,
avendol sopra
un legno in mar ridutto.
Lungo saria
tutta l'istoria dire.
Da indi in
qua stimò timido e vile
sempre
Gradasso il paladin gentile.
93
Or che
Gradasso esser Rinaldo intende
costui
ch'assale il campo, se n'allegra.
Si veste
l'arme, e la sua alfana prende,
e cercando lo
va per l'aria negra:
e quanti ne
riscontra, a terra stende;
ed in confuso
lascia afflitta ed egra
la gente, o
sia di Libia o sia di Francia:
tutti li mena
a un par la buona lancia.
94
Lo va di qua
di là tanto cercando,
chiamando
spesso e quanto può più forte,
e sempre a
quella parte declinando,
ove
più folte son le genti morte,
ch'al fin
s'incontra in lui brando per brando
poi che le
lance loro ad una sorte
eran salite
in mille schegge rotte
sin al carro
stellato de la Notte.
95
Quando
Gradasso il paladin gagliardo
conosce, e
non perché ne vegga insegna,
ma per gli
orrendi colpi e per Baiardo,
che par che
sol tutto quel campo tegna;
non è,
gridando, a improverargli tardo
la prova che
di sé fece non degna:
ch'al dato
campo il giorno non comparse,
che tra lor
la battaglia dovea farse.
96
Suggiunse
poi: - Tu forse avevi speme,
se potevi
nasconderti quel punto,
che non mai
più per raccozzarci insieme
fossimo al
mondo: or vedi ch'io t'ho giunto.
Sie certo, se
tu andassi ne l'estreme
fosse di
Stige, o fossi in cielo assunto,
ti
seguirò, quando abbi il destrier teco,
ne l'alta
luce e giù nel mondo cieco.
97
Se d'aver
meco a far non ti dà il core,
e vedi
già che non puoi starmi a paro,
e più
stimi la vita che l'onore,
senza
periglio ci puoi far riparo,
quando mi
lasci in pace il corridore;
e viver puoi,
se sì t'è il viver caro:
ma vivi a
piè, che non merti cavallo,
s'alla
cavalleria fai sì gran fallo. -
98
A quel parlar
si ritrovò presente
con
Ricciardetto il cavallier Selvaggio;
e le Spade
ambi trassero ugualmente,
per far
parere il Serican mal saggio.
Ma Rinaldo
s'oppose immantinente,
e non
patì che se gli fêsse oltraggio,
dicendo: -
Senza voi dunque non sono
a chi
m'oltraggia per risponder buono? -
99
Poi se ne
ritornò verso il pagano,
e disse: -
Odi, Gradasso; io voglio farte,
e tu
m'ascolti, manifesto e piano
ch'io venni
alla marina a ritrovarte:
e poi ti
sosterrò con l'arme in mano,
che
t'avrò detto il vero in ogni parte;
e sempre che
tu dica mentirai,
ch'alla
cavalleria mancass'io mai.
100
Ma ben ti
priego che prima che sia
pugna tra
noi, che pianamente intenda
la
giustissima e vera scusa mia,
acciò
ch'a torto più non mi riprenda;
e poi Baiardo
al termine di pria
tra noi
vorrò ch'a piedi si contenda
da solo a
solo in solitario lato,
sì
come a punto fu da te ordinato. -
101
Era cortese
il re di Sericana,
come ogni cor
magnanimo esser suole;
ed è
contento udir la cosa piana,
e come il
paladin scusar si vuole.
Con lui ne
viene in ripa alla fiumana,
ove Rinaldo
in semplici parole
alla sua vera
istoria trasse il velo,
e
chiamò in testimonio tutto 'l cielo:
102
e poi chiamar
fece il figliuol di Buovo,
l'uom che di
questo era informato a pieno,
ch'a parte a
parte replicò di nuovo
l'incanto
suo, né disse più né meno.
Soggiunse poi
Rinaldo: - Ciò ch'io provo
col
testimonio, io vo' che l'arme sieno,
che ora e in
ogni tempo che ti piace,
te n'abbiano
a far prova più verace. -
103
Il re
Gradasso, che lasciar non volle
per la
seconda la querela prima,
le scuse di
Rinaldo in pace tolle,
ma se son
vere o false in dubbio stima.
Non tolgon
campo più sul lito molle
di Barcelona,
ove lo tolser prima;
ma
s'accordaro per l'altra matina
trovarsi a
una fontana indi vicina:
104
ove Rinaldo
seco abbia il cavallo,
che posto sia
communemente in mezzo:
se 'l re
uccide Rinaldo o il fa vassallo,
se ne pigli
il destrier senz'altro mezzo,
ma se
Gradasso è quel che faccia fallo,
che sia
condotto all'ultimo ribrezzo,
o, per
più non poter, che gli si renda,
da lui
Rinaldo Durindana prenda.
105
Con
maraviglia molta e più dolore
(come v'ho
detto) avea Rinaldo udito
da Fiordiligi
bella, ch'era fuore
de
l'intelletto il suo cugino uscito.
Avea de
l'arme inteso anco il tenore,
e del litigio
che n'era seguito;
e ch'in somma
Gradasso avea quel brando
ch'ornò
di mille e mille palme Orlando.
106
Poi che furon
d'accordo, ritornosse
il re
Gradasso ai servitori sui
ben che dal
paladin pregato fosse
che ne
venisse ad alloggiar con lui.
Come fu
giorno, il re pagano armosse;
così
Rinaldo: e giunsero ambedui
ove dovea non
lungi alla fontana
combattersi
Baiardo e Durindana.
107
De la
battaglia che Rinaldo avere
con Gradasso
dovea da solo a solo,
parean gli
amici suoi tutti temere,
e inanzi il
caso ne faceano il duolo.
Molto ardir,
molta forza, alto sapere
avea
Gradasso; ed or che del figliuolo
del gran
Milone avea la spada al fianco,
di timor per
Rinaldo era ognun bianco.
108
E più
degli altri il frate di Viviano
stava di
questa pugna in dubbio e in tema,
ed anco
volentier vi porria mano
per farla
rimaner d'effetto scema:
ma non vorria
che quel da Montalbano
seco venisse
a inimicizia estrema;
ch'anco avea
di quell'altra seco sdegno,
che gli
turbò, quando il levò sul legno.
109
Ma stiano gli
altri in dubbio, in tema, in doglia:
Rinaldo se ne
va lieto e sicuro,
sperando
ch'ora il biasmo se gli toglia,
ch'avere a
torto gli parea pur duro;
sì che
quei da Pontieri e d'Altafoglia
faccia cheti
restar, come mai furo.
Va con
baldanza e sicurtà di core
di riportarne
il trionfale onore.
110
Poi che l'un
quinci e l'altro quindi giunto
fu quasi a un
tempo in su la chiara fonte,
s'accarezzaro,
e fero a punto a punto
così
serena ed amichevol fronte,
come di sangue
e d'amistà congiunto
fosse
Gradasso a quel di Chiaramonte.
Ma come poi
s'andassero a ferire,
vi voglio a
un'altra volta differire.
1
Soviemmi che
cantar io vi dovea
(già
lo promisi, e poi m'uscì di mente)
d'una
sospizion che fatto avea
la bella
donna di Ruggier dolente,
de l'altra
più spiacevole e più rea,
e di
più acuto e venenoso dente,
che per quel
ch'ella udì da Ricciardetto,
a devorare il
cor l'entrò nel petto.
2
Dovea
cantarne, ed altro incominciai,
perché
Rinaldo in mezzo sopravenne;
e poi Guidon
mi diè che fare assai,
che tra
camino a bada un pezzo il tenne.
D'una cosa in
un'altra in modo entrai,
che mal di
Bradamante mi sovenne:
sovienmene
ora, e vo' narrarne inanti
che di
Rinaldo e di Gradasso io canti.
3
Ma bisogna
anco, prima ch'io ne parli,
che
d'Agramante io vi ragioni un poco,
ch'avea
ridutte le reliquie in Arli,
che gli
restar del gran notturno fuoco,
quando a
raccor lo sparso campo e a darli
soccorso e
vettovaglie era atto il loco:
l'Africa
incontra, e la Spagna ha vicina,
ed è
in sul fiume assiso alla marina.
4
Per tutto 'l
regno fa scriver Marsilio
gente a piedi
e a cavallo, e trista e buona.
Per forza e
per amore ogni navilio
atto a
battaglia s'arma in Barcelona.
Agramante
ogni dì chiama a concilio;
né a spesa né
a fatica si perdona.
Intanto gravi
esazioni e spesse
tutte hanno
le città d'Africa oppresse.
5
Egli ha fatto
offerire a Rodomonte,
perché
ritorni (ed impetrar nol puote),
una cugina
sua, figlia d'Almonte,
e 'l bel
regno d'Oran dargli per dote.
Non si volse
l'altier muover dal ponte,
ove tant'arme
e tante selle vote
di quei che
son già capitati al passo
ha ragunate,
che ne cuopre il sasso.
6
Già
non volse Marfisa imitar l'atto
di Rodomonte:
anzi com'ella intese
ch'Agramante
da Carlo era disfatto,
sue genti
morte, saccheggiate e prese,
e che con
pochi in Arli era ritratto,
senza
aspettare invito, il camin prese:
venne in
aiuto de la sua corona,
e l'aver gli
proferse e la persona.
7
E gli
menò Brunello, e gli ne fece
libero dono,
il qual non avea offeso:
l'avea tenuto
dieci giorni e diece
notti sempre
in timor d'essere appeso;
e poi che né
con forza né con prece
da nessun
vide il patrocinio preso,
in sì
sprezzato sangue non si volse
bruttar
l'altiere mani, e lo disciolse.
8
Tutte
l'antique ingiurie gli remesse,
e seco in
Arli ad Agramante il trasse.
Ben dovete
pensar che gaudio avesse
il re di lei
ch'ad aiutarlo andasse:
e del gran
conto ch'egli ne facesse,
volse che
Brunel prova le mostrasse;
che quel di
ch'ella gli avea fatto cenno,
di volerlo
impiccar, fe' da buon senno.
9
Il manigoldo,
in loco inculto ed ermo,
pasto di
corvi e d'avoltoi lasciollo.
Ruggier
ch'un'altra volta gli fu schermo,
e che 'l
laccio gli avria tolto dal collo,
la giustizia
di Dio fa ch'ora infermo
s'è
ritrovato, ed aiutar non puollo:
e quando il
seppe, era già il fatto occorso;
sì che
restò Brunel senza soccorso.
10
Intanto
Bradamante iva accusando
che
così lunghi sian quei venti giorni,
li quai
finiti, il termine era quando
a lei
Ruggiero ed alla fede torni.
A chi aspetta
di carcere o di bando
uscir, non
par che 'l tempo più soggiorni
a dargli
libertade, o de l'amata
patria vista
gioconda e disiata.
11
In quel duro
aspettare ella talvolta
pensa ch'Eto
e Piròo sia fatto zoppo;
o sia la
ruota guasta, ch'a dar volta
le par che
tardi, oltr'all'usato, troppo.
Più
lungo di quel giorno a cui, per molta
fede, nel
cielo il giusto Ebreo fe' intoppo,
più de
la notte ch'Ercole produsse,
parea lei
ch'ogni notte, ogni dì fusse.
12
Oh quante
volte da invidiar le diero
e gli orsi e
i ghiri e i sonnacchiosi tassi!
che quel
tempo voluto avrebbe intero
tutto dormir,
che mai non si destassi;
né potere
altro udir, fin che Ruggiero
dal pigro
sonno lei non richiamassi.
Ma non pur
questo non può far, ma ancora
non
può dormir di tutta notte un'ora.
13
Di qua di
là va le noiose piume
tutte
premendo, e mai non si riposa.
Spesso aprir
la finestra ha per costume,
per veder
s'anco di Titon la sposa
sparge
dinanzi al matutino lume
il bianco
giglio e la vermiglia rosa:
non meno
ancor, poi che nasciuto è 'l giorno,
brama vedere
il ciel di stelle adorno.
14
Poi che fu
quattro o cinque giorni appresso
il termine a
finir, piena di spene
stava
aspettando d'ora in ora il messo
che le apportasse:
- Ecco Ruggier che viene. -
Montava sopra
un'alta torre spesso,
ch'i folti
boschi e le campagne amene
scopria
d'intorno, e parte de la via
onde di
Francia a Montalban si gìa.
15
Se di lontano
o splendor d'arme vede,
o cosa tal
ch'a cavallier simiglia,
che sia il
suo disiato Ruggier crede,
e rasserena i
begli occhi e le ciglia;
se disarmato
o viandante a piede,
che sia messo
di lui speranza piglia:
e se ben poi
fallace la ritrova,
pigliar non
cessa una ed un'altra nuova.
16
Credendolo
incontrar, talora armossi,
scese dal
monte e giù calò nel piano;
né lo
trovando, si sperò che fossi
per altra
strada giunto a Montalbano:
e col disir
con ch'avea i piedi mossi
fuor del
castel, ritornò dentro invano.
Né qua né
là trovollo; e passò intanto
il termine
aspettato da lei tanto.
17
Il termine
passò d'uno, di dui,
di tre
giorni, di sei, d'otto e di venti;
né vedendo il
suo sposo, né di lui
sentendo
nuova, incominciò lamenti
ch'avrian
mosso a pietà nei regni bui
quelle Furie
crinite di serpenti;
e fece
oltraggio a' begli occhi divini,
al bianco
petto, all'aurei crespi crini.
18
- Dunque fia
ver (dicea) che mi convegna
cercare un
che mi fugge e mi s'asconde?
Dunque debbo
prezzare un che mi sdegna?
Debbo pregar
chi mai non mi risponde?
Patirò
che chi m'odia, il cor mi tegna?
un che
sì stima sue virtù profonde,
che bisogno
sarà che dal ciel scenda
immortal dea
che 'l cor d'amor gli accenda.
19
Sa questo
altier ch'io l'amo e ch'io l'adoro,
né mi vuol
per amante né per serva.
Il crudel sa che
per lui spasmo e moro,
e dopo morte
a darmi aiuto serva.
E perché io
non gli narri il mio martoro
atto a piegar
la sua voglia proterva,
da me
s'asconde, come aspide suole,
che, per star
empio, il canto udir non vuole.
20
Deh, ferma,
Amor, costui che così sciolto
dinanzi al
lento mio correr s'affretta;
o tornami nel
grado onde m'hai tolto
quando né a
te né ad altri era suggetta!
Deh, come
è il mio sperar fallace e stolto,
ch'in te con
prieghi mai pietà si metta;
che ti
diletti, anzi ti pasci e vivi
di trar dagli
occhi lacrimosi rivi!
21
Ma di che
debbo lamentarmi, ahi lassa
fuor che del
mio desire irrazionale?
ch'alto mi
leva, e sì ne l'aria passa,
ch'arriva in
parte ove s'abbrucia l'ale;
poi non
potendo sostener, mi lassa
dal ciel
cader: né qui finisce il male;
che le
rimette, e di nuovo arde: ond'io
non ho mai
fine al precipizio mio.
22
Anzi via
più che del disir, mi deggio
di me doler,
che sì gli apersi il seno;
onde cacciata
ha la ragion di seggio,
ed ogni mio
poter può di lui meno.
Quel mi
trasporta ognor di male in peggio,
né lo posso
frenar, che non ha freno:
e mi fa certa
che mi mena a morte,
perch'aspettando
il mal noccia più forte.
23
Deh perché
voglio anco di me dolermi?
Ch'error, se
non d'amarti, unqua commessi?
Che
maraviglia, se fragili e infermi
feminil sensi
fur subito oppressi?
Perché
dovev'io usar ripari e schermi
che la somma
beltà non mi piacessi,
gli alti
sembianti e le sagge parole?
Misero
è ben chi veder schiva il sole!
24
Ed oltre al
mio destino, io ci fui spinta
da le parole
altrui degne di fede:
somma
felicità mi fu dipinta,
ch'esser
dovea di questo amor mercede.
Se la
persuasione, ohimè! fu finta,
se fu inganno
il consiglio che mi diede
Merlin, posso
di lui ben lamentarmi,
ma non d'amar
Ruggier posso ritrarmi.
25
Di Merlin
posso e di Melissa insieme
dolermi, e mi
dorrò d'essi in eterno,
che
dimostrare i frutti del mio seme
mi fero dagli
spirti de lo 'nferno,
per pormi sol
con questa falsa speme
in
servitù; né la cagion discerno,
se non
ch'erano forse invidiosi
dei miei
dolci, sicuri, almi riposi. -
26
Sì
l'occupa il dolor, che non avanza
loco ove in
lei conforto abbia ricetto;
ma, mal grado
di quel, vien la speranza
e vi vuole
alloggiare in mezzo il petto,
rifrescandole
pur la rimembranza
di quel ch'al
suo partir l'ha Ruggier detto:
e vuol,
contra il parer degli altri affetti,
che d'ora in
ora il suo ritorno aspetti.
27
Questa
speranza dunque la sostenne,
finito i
venti giorni, un mese appresso;
sì che
il dolor sì forte non le tenne,
come tenuto
avria, l'animo oppresso.
Un dì
che per la strada se ne venne,
che per
trovar Ruggier solea far spesso,
novella
udì la misera, ch'insieme
fe' dietro
all'altro ben fuggir la speme.
28
Venne a
incontrare un cavallier guascone
che dal campo
african venìa diritto,
ove era stato
da quel dì prigione,
che fu inanzi
a Parigi il gran conflitto.
Da lei fu
molto posto per ragione,
fin che si
venne al termine prescritto.
Domandò
di Ruggiero, e in lui fermosse;
né fuor di
questo segno più si mosse.
29
Il cavallier
buon conto ne rendette,
che ben
conoscea tutta quella corte:
e
narrò di Ruggier, che contrastette
da solo a
solo a Mandricardo forte;
e come egli
l'uccise, e poi ne stette
ferito
più d'un mese presso a morte:
e s'era la
sua istoria qui conclusa,
fatto avria
di Ruggier la vera escusa.
30
Ma come poi
soggiunse, una donzella
esser nel
campo, nomata Marfisa,
che men non
era che gagliarda, bella,
né meno
esperta d'arme in ogni guisa;
che lei
Ruggiero amava e Ruggiero ella,
ch'egli da
lei, ch'ella da lui divisa
si vedea
raro, e ch'ivi ognuno crede
che s'abbiano
tra lor data la fede;
31
e che come
Ruggier si faccia sano,
il matrimonio
publicar si deve;
e ch'ogni re,
ogni principe pagano
gran piacere
e letizia ne riceve,
che de l'uno
e de l'altro sopraumano
conoscendo il
valor, sperano in breve
far una razza
d'uomini da guerra
la più
gagliarda che mai fosse in terra;
32
credea il
Guascon quel che dicea, non senza
cagion; che
ne l'esercito de' Mori
openione e
universal credenza,
e publico
parlar n'era di fuori.
I molti segni
di benivolenza
stati tra lor
facean questi romori;
che tosto o
buona o ria che la fama esce
fuor d'una
bocca, in infinito cresce.
33
L'esser
venuta a' Mori ella in aita
con lui, né
senza lui comparir mai,
avea questa
credenza stabilita;
ma poi l'avea
accresciuta pur assai,
ch'essendosi
del campo già partita
portandone
Brunel (come io contai),
senza esservi
d'alcuno richiamata,
sol per veder
Ruggier v'era tornata.
34
Sol per lui
visitar, che gravemente
languia
ferito, in campo venuta era,
non una sola
volta, ma sovente;
vi stava il
giorno e si partia la sera:
e molto
più da dir dava alla gente,
ch'essendo
conosciuta così altiera,
che tutto 'l
mondo a sé le parea vile,
solo a
Ruggier fosse benigna e umile;
35
come il
Guascon questo affermò per vero,
fu Bradamante
da cotanta pena,
da cordoglio
assalita così fiero,
che di quivi
cader si tenne a pena.
Voltò,
senza far motto, il suo destriero,
di gelosia,
d'ira e di rabbia piena;
e da sé
discacciata ogni speranza,
ritornò
furibonda alla sua stanza.
36
E senza
disarmarsi, sopra il letto,
col viso
volta in giù, tutta si stese,
ove per non
gridar, sì che sospetto
di sé
facesse, i panni in bocca prese;
e ripetendo
quel che l'avea detto
il cavalliero,
in tal dolor discese,
che
più non lo potendo sofferire,
fu forza a
disfogarlo, e così a dire:
37
- Misera! a
chi mai più creder debb'io?
Vo' dir
ch'ognuno è perfido e crudele,
se perfido e
crudel sei, Ruggier mio,
che sì
pietoso tenni e sì fedele.
Qual
crudeltà, qual tradimento rio
unqua
s'udì per tragiche querele,
che non trovi
minor, se pensar mai
al mio merto
e al tuo debito vorai?
38
Perché,
Ruggier, come di te non vive
cavallier di
più ardir, di più bellezza,
né che a gran
pezzo al tuo valore arrive,
né a' tuoi
costumi, né a tua gentilezza;
perché non
fai che fra tue illustri e dive
virtù,
si dica ancor ch'abbi fermezza?
si dica
ch'abbi inviolabil fede?
a chi
ogn'altra virtù s'inchina e cede.
39
Non sai che
non compar, se non v'è quella,
alcun valore,
alcun nobil costume?
come né cosa
(e sia quanto vuol bella)
si può
vedere ove non splenda lume.
Facil ti fu
ingannare una donzella
di cui tu
signore eri, idolo e nume,
a cui potevi
far con tue parole
creder che
fosse oscuro e freddo il sole.
40
Crudel, di
che peccato a doler t'hai,
se d'uccider
chi t'ama non ti penti?
Se 'l mancar
di tua fé sì leggier fai,
di ch'altro
peso il cor gravar ti senti?
Come tratti
il nimico, se tu dai
a me, che
t'amo sì, questi tormenti?
Ben
dirò che giustizia in ciel non sia,
s'a veder
tardo la vendetta mia.
41
Se
d'ogn'altro peccato assai più quello
de l'empia
ingratitudine l'uomo grava,
e per questo
dal ciel l'angel più bello
fu relegato
in parte oscura e cava;
e se gran
fallo aspetta gran flagello
quando debita
emenda il cor non lava;
guarda
ch'aspro flagello in te non scenda,
che mi se'
ingrato e non vuoi farne emenda.
42
Di furto
ancora, oltre ogni vizio rio,
di te,
crudele, ho da dolermi molto.
Che tu mi
tenga il cor, non ti dico io;
di questo io
vo' che tu ne vada assolto:
dico di te,
che t'eri fatto mio
e poi contra
ragion mi ti sei tolto.
Renditi,
iniquo, a me; che tu sai bene
che non si
può salvar chi l'altrui tiene.
43
Tu m'hai,
Ruggier, lasciata: io te non voglio,
né lasciarti
volendo anco potrei;
ma per uscir
d'affanno e di cordoglio,
posso e
voglio, finire i giorni miei.
Di non
morirti in grazia sol mi doglio;
che se
concesso m'avessero i dei
ch'io fossi
morta quando t'era grata,
morte non fu
giamai tanto beata. -
44
Così
dicendo, di morir disposta,
salta dal
letto, e di rabbia infiammata
si pon la
spada alla sinistra costa;
ma si ravvede
poi che tutta è armata.
Il miglior
spirto in questo le s'accosta,
e nel cor le
ragiona: - O donna nata
di tant'alto
lignaggio, adunque vuoi
finir con
sì gran biasmo i giorni tuoi?
45
Non è
meglio ch'al campo tu ne vada,
ove morir si
può con laude ognora?
Quivi,
s'avvien ch'inanzi a Ruggier cada,
del morir tuo
si dorrà forse ancora:
ma s'a morir
t'avvien per la sua spada,
chi
sarà mai che più contenta muora?
Ragione
è ben che di vita ti privi,
poi
ch'è cagion ch'in tanta pena vivi.
46
Verrà
forse anco che prima che muori
farai
vendetta di quella Marfisa
che t'ha con
fraudi e disonesti amori,
da te
Ruggiero alienando, uccisa. -
Questi
pensieri parveno migliori
alla
donzella; e tosto una divisa
si fe' su
l'arme, che volea inferire
disperazione
e voglia di morire.
47
Era la
sopraveste del colore
in che riman
la foglia che s'imbianca
quando del
ramo è tolta, o che l'umore
che facea
vivo l'arbore le manca.
Ricamata a
tronconi era, di fuore,
di cipresso
che mai non si rinfranca,
poi ch'ha
sentita la dura bipenne;
l'abito al
suo dolor molto convenne.
48
Tolse il
destrier ch'Astolfo aver solea,
e quella
lancia d'or, che, sol toccando,
cader di
sella i cavallier facea.
Perché la le
diè Astolfo, e dove e quando,
e da chi
prima avuta egli l'avea,
non credo che
bisogni ir replicando.
Ella la
tolse, non però sapendo
che fosse del
valor ch'era, stupendo.
49
Senza
scudiero e senza compagnia
scese dal
monte, e si pose in camino
verso Parigi
alla più dritta via,
ove era
dianzi il campo saracino;
che la
novella ancora non s'udia,
che l'avesse
Rinaldo paladino,
aiutandolo
Carlo e Malagigi,
fatto tor da
l'assedio di Parigi.
50
Lasciati avea
i Cadurci e la cittade
di Caorse
alle spalle, e tutto 'l monte
ove nasce
Dordona, e le contrade
scopria di
Monferrante e di Clarmonte,
quando venir
per le medesme strade
vide una
donna di benigna fronte,
ch'uno scudo
all'arcione avea attaccato;
e le venian
tre cavallieri a lato.
51
Altre donne e
scudier venivano anco,
qual dietro e
qual dinanzi, in lunga schiera.
Domandò
ad un che le passò da fianco,
la figlia
d'Amon, chi la donna era;
e quel le
disse: - Al re del popul franco
questa donna,
mandata messaggera
fin di
là dal polo artico, è venuta
per lungo mar
da l'Isola Perduta.
52
Altri
Perduta, altri ha nomata Islanda
l'isola,
donde la regina d'essa,
di
beltà sopra ogni beltà miranda,
dal ciel non
mai, se non a lei, concessa,
lo scudo che
vedete, a Carlo manda;
ma ben con
patto e condizione espressa,
ch'al miglior
cavallier lo dia, secondo
il suo parer,
ch'oggi si trovi al mondo.
53
Ella, come si
stima, e come in vero
è la
più bella donna che mai fosse,
così
vorria trovare un cavalliero
che sopra
ogn'altro avesse ardire e posse:
perché
fondato e fisso è il suo pensiero,
da non cader
per centomila scosse,
che sol chi
terrà in arme il primo onore,
abbia d'esser
suo amante e suo signore.
54
Spera ch'in
Francia, alla famosa corte
di Carlo
Magno, il cavallier si trove,
che d'esser
più d'ogn'altro ardito e forte
abbia fatto
veder con mille prove.
I tre che son
con lei come sue scorte,
re sono
tutti, e dirovvi anco dove:
uno in
Svezia, uno in Gotia, in Norvegia uno,
che pochi
pari in arme hanno o nessuno.
55
Questi tre,
la cui terra non vicina,
ma men
lontana è all'Isola Perduta
(detta
così, perché quella marina
da pochi
naviganti è conosciuta),
erano amanti,
e son, de la regina,
e a gara per
moglier l'hanno voluta;
e per
aggradir lei, cose fatt'hanno,
che, fin che
giri il ciel, dette saranno.
56
Ma né questi
ella, né alcun altro vuole,
ch'al mondo
in arme esser non creda il primo.
- Ch'abbiate
fatto prove (lor dir suole)
in questi
luoghi appresso, poco istimo;
e s'un di
voi, qual fra le stelle il sole,
fra gli altri
duo sarà, ben lo sublimo:
ma non
però che tenga il vanto parme
del miglior
cavallier ch'oggi port'arme.
57
A Carlo
Magno, il quale io stimo e onoro
pel
più savio signor ch'al mondo sia,
son per
mandare un ricco scudo d'oro,
con patto e
condizion ch'esso lo dia
al cavalliero
il quale abbia fra loro
il vanto e il
primo onor di gagliardia.
Sia il
cavalliero o suo vasallo o d'altri,
il parer di
quel re vo' che mi scaltri.
58
Se, poi che
Carlo avrà lo scudo avuto,
e
l'avrà dato a quel sì ardito e forte,
che
d'ogn'altro migliore abbia creduto,
che 'n sua si
trovi o in alcun'altra corte,
uno di voi
sarà, che con l'aiuto
di sua
virtù lo scudo mi riporte;
porrò
in quello ogni amore, ogni disio,
e quel
sarà il marito e 'l signor mio. -
59
Queste parole
han qui fatto venire
questi tre re
dal mar tanto discosto,
che
riportarne lo scudo, o morire
per man di
chi l'avrà, s'hanno proposto. -
Ste' molto
attenta Bradamante a udire
quanto le fu
da lo scudier risposto;
il qual poi
l'entrò inanzi, e così punse
il suo
cavallo, che i compagni giunse.
60
Dietro non
gli galoppa né gli corre
ella;
ch'adagio il suo camin dispensa,
e molte cose
tuttavia discorre,
che son per
accadere: e in somma pensa
che questo
scudo di Francia sia per porre
discordia e
rissa e nimicizia immensa
fra paladini
ed altri, se vuol Carlo
chiarir chi
sia il miglior, e a colui darlo.
61
Le preme il
cor questo pensier; ma molto
più le
lo preme e strugge in peggior guisa
quel ch'ebbe
prima, di Ruggier, che tolto
il suo amor
le abbia e datolo a Marfisa.
Ogni suo
senso in questo è sì sepolto,
che non mira
la strada, né divisa
ove arrivar,
né se troverà inanzi
commodo
albergo ove la notte stanzi.
62
Come nave,
che vento da la riva,
o
qualch'altro accidente abbia disciolta,
va di
nochiero e di governo priva
ove la porti
o meni il fiume in volta;
così
l'amante giovane veniva,
tutta a
pensare al suo Ruggier rivolta,
ove vuol
Rabican; che molte miglia
lontano
è il cor che de' girar la briglia.
63
Leva al fin
gli occhi, e vede il sol che 'l tergo
avea mostrato
alle città di Bocco,
e poi s'era
attuffato, come il mergo,
in grembo
alla nutrice oltr'a Marocco:
e se disegna
che la frasca albergo
le dia ne'
campi, fa pensier di sciocco;
che soffia un
vento freddo, e l'aria grieve
pioggia la
notte le minaccia o nieve.
64
Con maggior
fretta fa movere il piede
al suo
cavallo; e non fece via molta,
che lasciar
le campagne a un pastor vede,
che s'avea la
sua gregge inanzi tolta.
La donna lui
con molta istanza chiede
che le
'nsegni ove possa esser raccolta
o ben o mal;
che mal sì non s'alloggia,
che non sia
peggio star fuori alla pioggia.
65
Disse il
pastore: - Io non so loco alcuno
ch'io vi
sappia insegnar, se non lontano
più di
quattro o di sei leghe, for ch'uno
che si chiama
la rocca di Tristano.
Ma d'alloggiarvi
non succede a ognuno;
perché
bisogna, con la lancia in mano
che se
l'acquisti e che se la difenda
il cavallier
che d'alloggiarvi intenda.
66
Se, quando
arriva un cavallier, si trova
vota la
stanza, il castellan l'accetta;
ma vuol se
sopravien poi gente nuova,
ch'uscir
fuori alla giostra gli prometta.
Se non vien,
non accade che si mova:
se vien,
forza è che l'arme si rimetta
e con lui
giostri, e chi di lor val meno.
ceda
l'albergo ed esca al ciel sereno.
67
Se duo, tre,
quattro o più guerrieri a un tratto
vi giungon
prima, in pace albergo v'hanno;
e chi di poi
vien solo, ha peggior patto,
perché seco
giostrar quei più lo fanno.
Così,
se prima un sol si sarà fatto
quivi
alloggiar, con lui giostrar voranno
in duo, tre,
quattro o più che verran dopo;
sì
che, s'avrà valor, gli fia a grande uopo.
68
Non men, se
donna capita o donzella,
accompagnata
o sola a questa rocca,
e poi
v'arrivi un'altra, alla più bella
l'albergo, ed
alla men star di fuor tocca. -
Domanda
Bradamante ove sia quella;
e il buon
pastor non pur dice con bocca,
ma le
dimostra il loco anco con mano,
da cinque o
dai sei miglia indi lontano.
69
La donna,
ancor che Rabican ben trotte,
solecitar
però non lo sa tanto
per quelle
vie tutte fangose e rotte
da la stagion
ch'era piovosa alquanto,
che prima
arrivi, che la cieca notte
fatt'abbia
oscuro il mondo in ogni canto.
Trovò
chiusa la porta; e a chi n'avea
la guardia
disse ch'alloggiar volea.
70
Rispose quel,
ch'era occupato il loco
da donne e da
guerrier che venner dianzi,
e stavano
aspettando intorno al fuoco
che posta
fosse lor la cena inanzi.
- Per lor non
credo l'avrà fatta il cuoco,
s'ella
v'è ancor, né l'han mangiata inanzi
(disse la
donna): or va, che qui gli attendo;
che so
l'usanza, e di servarla intendo.-
71
Parte la
guardia, e porta l'imbasciata
là
dove i cavallier stanno a grand'agio,
la qual non
poté lor troppo esser grata,
ch'all'aer li
fa uscir freddo e malvagio;
ed era una
gran pioggia incomminciata.
Si levan
pure, e piglian l'arme adagio:
restano gli
altri; e quei non troppo in fretta
escono
insieme ove la donna aspetta.
72
Eran tre
cavallier che valean tanto,
che pochi al
mondo valean più di loro;
ed eran quei
che 'l dì medesmo a canto
veduti a
quella messaggiera foro;
quei ch'in
Islanda s'avean dato vanto
di Francia
riportar lo scudo d'oro:
e perché
avean meglio i cavalli punti,
prima di
Bradamante eran giunti.
73
Di loro in
arme pochi erano migliori,
ma di quei
pochi ella sarà ben l'una;
ch'a nessun
patto rimaner di fuori
quella notte
intendea molle e digiuna.
Quei dentro
alle finestre e ai corridori
miran la
giostra al lume de la luna,
che mal grado
de' nugoli lo spande
e fa veder,
ben che la pioggia è grande.
74
Come
s'allegra un bene acceso amante
ch'ai dolci
furti per entrar si trova,
quando al fin
senta dopo indugie tante,
che 'l
taciturno chiavistel si muova;
così
volontarosa Bradamante
di far di sé
coi cavallieri prova,
s'allegrò
quando udì le porte aprire,
calare il
ponte, e fuor li vide uscire.
75
Tosto che
fuor del ponte i guerrier vede
uscire
insieme o con poco intervallo,
si volge a
pigliar campo, e di poi riede
cacciando a
tutta briglia il buon cavallo,
e la lancia
arrestando, che le diede
il suo cugin,
che non si corre in fallo,
che fuor di
sella è forza che trabocchi,
se fosse
Marte, ogni guerrier che tocchi.
76
Il re di
Svezia, che primier si mosse,
fu primier
anco a riversciarsi al piano:
con tanta
forza l'elmo gli percosse
l'asta che
mai non fu abbassata invano.
Poi corse il
re di Gotia, e ritrovosse
coi piedi in
aria al suo destrier lontano.
Rimase il
terzo sottosopra volto,
ne l'acqua e
nel pantan mezzo sepolto.
77
Tosto ch'ella
ai tre colpi tutti gli ebbe
fatto andar
coi piedi alti e i capi bassi,
alla rocca ne
va, dove aver debbe
la notte
albergo; ma prima che passi,
v'è
chi la fa giurar che n'uscirebbe,
sempre ch'a
giostrar fuori altri chiamassi.
Il signor de
là dentro, che 'l valore
ben n'ha
veduto, le fa grande onore.
78
Così
le fa la donna che venuta
era con
quegli tre quivi la sera,
come io dicea,
da l'Isola Perduta,
mandata al re
di Francia messaggiera.
Cortesemente
a lei che la saluta,
sì
come graziosa e affabil era,
si leva
incontra, e con faccia serena
piglia per
mano, e seco al fuoco mena.
79
La donna,
cominciando a disarmarsi,
s'avea lo
scudo e dipoi l'elmo tratto;
quando una
cuffia d'oro, in che celarsi
soleano i
capei lunghi e star di piatto,
uscì
con l'elmo; onde caderon sparsi
giù
per le spalle, e la scopriro a un tratto
e la feron
conoscer per donzella,
non men che
fiera in arme, in viso bella.
80
Quale al
cader de le cortine suole
parer fra
mille lampade la scena,
d'archi e di
più d'una superba mole,
d'oro e di
statue e di pitture piena;
o come suol
fuor de la nube il sole
scoprir la
faccia limpida e serena:
così,
l'elmo levandosi dal viso,
mostrò
la donna aprisse il paradiso.
81
Già
son cresciute e fatte lunghe in modo
le belle
chiome che tagliolle il frate,
che dietro al
capo ne può fare un nodo,
ben che non
sian come son prima state.
Che
Bradamante sia, tien fermo e sodo
(che ben
l'avea veduta altre fiate)
il signor de
la rocca; e più che prima
or
l'accarezza e mostra farne stima.
82
Siedono al
fuoco, e con giocondo e onesto
ragionamento
dan cibo all'orecchia,
mentre, per
ricreare ancora il resto
del corpo,
altra vivanda s'apparecchia.
La donna
all'oste domandò se questo
modo
d'albergo è nuova usanza o vecchia,
e quando ebbe
principio, e chi la pose;
e 'l
cavalliero a lei così rispose:
83
- Nel tempo
che regnava Fieramonte,
Clodione, il
figliuolo, ebbe una amica
leggiadra e
bella e di maniere conte
quant'altra
fosse a quella etade antica;
la quale
amava tanto, che la fronte
non rivolgea
da lei, più che si dica
che facesse
da Ione il suo pastore,
perch'avea
ugual la gelosia all'amore.
84
Qui la tenea;
che 'l luogo avuto in dono
avea dal
padre, e raro egli n'uscia;
e con lui
dieci cavallier ci sono,
e dei miglior
di Francia tuttavia.
Qui stando,
venne a capitarci il buono
Tristano, ed
una donna in compagnia,
liberata da
lui poch'ore inante,
che traea
presa a forza un fier gigante.
85
Tristano ci
arrivò che 'l sol già volto
avea le
spalle ai liti di Siviglia;
e
domandò qui dentro esser raccolto,
perché non
c'è altra stanza a dieci miglia.
Ma Clodion,
che molto amava e molto
era geloso, in
somma si consiglia
che
forestier, sia chi si voglia, mentre
ci stia la
bella donna, qui non entre.
86
Poi che con
lunghe ed iterate preci
non poté aver
qui albergo il cavalliero:
- Or quel che
far con prieghi io non ti feci,
che 'l facci
(disse) tuo mal grado, spero, -
E
sfidò Clodion con tutti i dieci
che tenea
appresso, e con un grido altiero
se gli
offerse con lancia e spada in mano
provar che
discortese era e villano;
87
con patto,
che se fa che con lo stuolo
suo cada in
terra, ed ei stia in sella forte,
ne la rocca
alloggiar vuole egli solo,
e vuol gli
altri serrar fuor de le porte.
Per non patir
quest'onta, va il figliuolo
del re di
Francia a rischio de la morte;
ch'aspramente
percosso cade in terra,
e cadon gli
altri, e Tristan fuor li serra.
88
Entrato ne la
rocca, trova quella
la qual v'ho
detta a Clodion sì cara,
e ch'avea, a
par d'ogn'altra, fatto bella
Natura, a dar
bellezze così avara.
Con lei
ragiona: intanto arde e martella
di fuor
l'amante aspra passione amara;
il qual non
differisce a mandar prieghi
al cavallier,
che dar non gli la nieghi.
89
Tristano,
ancor che lei molto non prezze,
né prezzar,
fuor ch'Isotta, altra potrebbe
(ch'altra né
ch'ami vuol né ch'accarezze
la pozion che
già incantata bebbe),
pur, perché
vendicarsi de l'asprezze
che Clodion
gli ha usate si vorebbe:
- Di far gran
torto mi parria (gli disse)
che tal
bellezza del suo albergo uscisse.
90
E quando a
Clodion dormire incresca
solo alla
frasca, e compagnia domandi,
una giovane
ho meco bella e fresca,
non
però di bellezze così grandi.
Questa
sarò contento che fuor esca,
e
ch'ubbidisca a tutti i suoi comandi;
ma la
più bella mi par dritto e giusto
che stia con
quel di noi ch'è più robusto. -
91
Escluso
Clodione e malcontento,
andò
sbuffando tutta notte in volta,
come s'a quei
che ne l'alloggiamento
dormiano ad
agio, fêsse egli l'ascolta;
e molto
più che del freddo e del vento,
si dolea de
la donna che gli è tolta.
La mattina
Tristano a cui ne 'ncrebbe,
gli la rendé,
donde il dolor fin ebbe:
92
perché gli
disse, e lo fe' chiaro e certo,
che qual
trovolla, tal gli la rendea;
e ben che
degno era d'ogni onta in merto
de la
discortesia ch'usata avea,
pur contentar
d'averlo allo scoperto
fatto star
tutta notte si volea:
né l'escusa
accettò, che fosse Amore
stato cagion di
così grave errore;
93
ch'Amor de'
far gentile un cor villano,
e non far
d'un gentil contrario effetto.
Partito che
si fu di qui Tristano,
Clodion non
ste' molto a mutar tetto;
ma prima
consegnò la rocca in mano
a un cavallier,
che molto gli era accetto,
con patto
ch'egli e chi da lui venisse,
quest'uso in
albergar sempre seguisse:
94
che 'l
cavallier ch'abbia maggior possanza,
e la donna
beltà, sempre ci alloggi;
e chi vinto
riman, voti la stanza,
dorma sul
prato, o altrove scenda e poggi.
E finalmente
ci fe' por l'usanza
che vedete
durar fin al dì d'oggi. -
Or, mentre il
cavallier questo dicea,
lo scalco por
la mensa fatto avea.
95
Fatto l'avea
ne la gran sala porre,
di che non
era al mondo la più bella;
indi con torchi
accesi venne a torre
le belle
donne, e le condusse in quella.
Bradamante,
all'entrar, con gli occhi scorre,
e similmente
fa l'altra donzella;
e tutte piene
le superbe mura
veggon di
nobilissima pittura.
96
Di sì
belle figure è adorno il loco,
che per mirarle
oblian la cena quasi,
ancor che ai
corpi non bisogni poco,
pel travaglio
del dì lassi rimasi,
e lo scalco
si doglia e doglia il coco,
che i cibi
lascin raffreddar nei vasi.
Pur fu chi
disse: - Meglio fia che voi
pasciate
prima il ventre, e gli occhi poi. -
97
S'erano
assisi, e porre alle vivande
voleano man,
quando il signor s'avide
che
l'alloggiar due donne è un error grande:
l'una ha da
star, l'altra convien che snide.
Stia la
più bella, e la men fuor si mande,
dove la
pioggia bagna e 'l vento stride.
Perché non vi
son giunte amendue a un'ora,
l'una ha a
partire, e l'altra a far dimora.
98
Chiama duo
vecchi, e chiama alcune sue
donne di
casa, a tal giudizio buone;
e le donzelle
mira, e di lor due
chi la
più bella sia, fa paragone.
Finalmente
parer di tutti fue
ch'era
più bella la figlia d'Amone;
e non men di
beltà l'altra vincea,
che di valore
i guerrier vinti avea.
99
Alla donna
d'Islanda, che non sanza
molta
sospizion stava di questo,
il signor
disse: - Che serviàn l'usanza,
non v'ha,
donna, a parer se non onesto.
A voi convien
procacciar d'altra stanza,
quando a noi
tutti è chiaro e manifesto
che costei di
bellezze e di sembianti,
ancor
ch'inculta sia, vi passa inanti. -
100
Come si vede
in un momento oscura
nube salir
d'umida valle al cielo,
che la faccia
che prima era sì pura
cuopre del
sol con tenebroso velo;
così
la donna alla sentenza dura
che fuor la
caccia ove è la pioggia e 'l gielo,
cangiar si
vide, e non parer più quella
che fu pur
dianzi sì gioconda e bella.
101
S'impallidisce
e tutta cangia in viso,
che tal
sentenza udir poco le aggrada.
Ma Bradamante
con un saggio aviso,
che per
pietà non vuol che se ne vada,
rispose: - A
me non par che ben deciso,
né che ben
giusto alcun giudicio cada,
ove prima non
s'oda quanto nieghi
la parte o
affermi, e sue ragioni alleghi.
102
Io ch'a
difender questa causa toglio,
dico: o
più bella o men ch'io sia di lei,
non venni
come donna qui, né voglio
che sian di
donna ora i progressi miei.
Ma chi
dirà, se tutta non mi spoglio,
s'io sono o
s'io non son quel ch'è costei?
E quel che
non si sa non si de' dire,
e tanto men,
quando altri n'ha a patire.
103
Ben son degli
altri ancor, c'hanno le chiome
lunghe,
com'io, né donne son per questo.
Se come
cavallier la stanza, o come
donna
acquistata m'abbia, è manifesto:
perché dunque
volete darmi nome
di donna, se
di maschio è ogni mio gesto?
La legge
vostra vuol che ne sian spinte
donne da
donne, e non da guerrier vinte.
104
Poniamo
ancor, che, come a voi pur pare,
io donna sia
(che non però il concedo),
ma che la mia
beltà non fosse pare
a quella di
costei; non però credo
che mi
vorreste la mercé levare
di mia
virtù, se ben di viso io cedo.
Perder per
men beltà giusto non parmi
quel c'ho
acquistato per virtù con l'armi.
105
E quando
ancor fosse l'usanza tale,
che chi perde
in beltà ne dovesse ire,
io ci vorrei
restare, o bene o male
che la mia
ostinazion dovesse uscire.
Per questo,
che contesa diseguale
è tra
me e questa donna, vo' inferire
che,
contendendo di beltà, può assai
perdere, e
meco guadagnar non mai.
106
E se guadagni
e perdite non sono
in tutto
pari, ingiusto è ogni partito:
sì
ch'a lei per ragion, sì ancor per dono
spezial, non
sia l'albergo proibito.
E s'alcuno di
dir che non sia buono
e dritto il
mio giudizio sarà ardito,
sarò
per sostenergli a suo piacere,
che 'l mio
sia vero, e falso il suo parere. -
107
La figliuola
d'Amon, mossa a pietade
che questa
gentil donna debba a torto
esser
cacciata ove la pioggia cade,
ove né tetto,
ove né pure è un sporto,
al signor de
l'albergo persuade
con ragion
molte e con parlare accorto,
ma molto
più con quel ch'al fin concluse,
che resti
cheto e accetti le sue scuse.
108
Qual sotto il
più cocente ardore estivo,
quando di ber
più desiosa è l'erba,
il fior
ch'era vicino a restar privo
di tutto
quell'umor ch'in vita il serba,
sente l'amata
pioggia e si fa vivo;
così,
poi che difesa sì superba
si vide
apparecchiar la messaggera,
lieta e bella
tornò come prim'era.
109
La cena,
stata lor buon pezzo avante,
né ancor pur
tocca, al fin godersi in festa,
senza che
più di cavalliero errante
nuova venuta
fosse lor molesta.
La goder gli
altri, ma non Bradamante,
pure
all'usanza addolorata e mesta;
che quel
timor, che quel sospetto ingiusto
che sempre avea
nel cor, le tollea il gusto.
110
Finita
ch'ella fu (che saria forse
stata
più lunga, se 'l desir non era
di cibar gli
occhi), Bradamante sorse,
e sorse
appresso a lei la messaggera.
Accennò
quel signore ad un che corse
e prestamente
allumò molta cera,
che splender
fe' la sala in ogni canto.
Quel che
seguì dirò ne l'altro canto.
1
Timagora,
Parrasio, Polignoto,
Protogene,
Timante, Apollodoro,
Apelle,
più di tutti questi noto,
e Zeusi, e
gli altri ch'a quei tempi foro;
di quai la
fama (mal grado di Cloto,
che spinse i
corpi e dipoi l'opre loro)
sempre
starà, fin che si legga e scriva,
mercé degli
scrittori, al mondo viva:
2
e quei che
furo a' nostri dì, o sono ora,
Leonardo,
Andrea Mantegna, Gian Bellino,
duo Dossi, e
quel ch'a par sculpe e colora,
Michel,
più che mortale, angel divino;
Bastiano,
Rafael, Tizian, ch'onora
non men
Cador, che quei Venezia e Urbino;
e gli altri
di cui tal l'opra si vede,
qual de la
prisca età si legge e crede:
3
questi che
noi veggiàn pittori, e quelli
che
già mille e mill'anni in pregio furo,
le cose che
son state, coi pennelli
fatt'hanno,
altri su l'asse, altri sul muro.
Non
però udiste antiqui, né novelli
vedeste mai
dipingere il futuro:
e pur si sono
istorie anco trovate,
che son
dipinte inanzi che sian state.
4
Ma di saperlo
far non si dia vanto
pittore
antico né pittor moderno;
e ceda pur
quest'arte al solo incanto,
del qual
trieman gli spirti de lo 'nferno.
La sala ch'io
dicea ne l'altro canto,
Merlin col
libro, o fosse al lago Averno,
o fosse sacro
alle Nursine grotte,
fece far dai
demonii in una notte.
5
Quest'arte,
con che i nostri antiqui fenno
mirande
prove, a nostra etade è estinta.
Ma ritornando
ove aspettar mi denno
quei che la
sala hanno a veder dipinta,
dico ch'a uno
scudier fu fatto cenno,
ch'accese i
torchi; onde la notte, vinta
dal gran
splendor, si dileguò d'intorno;
né più
vi si vedria, se fosse giorno.
6
Quel signor
disse lor: - Vo' che sappiate,
che de le
guerre che son qui ritratte,
fin al
dì d'oggi poche ne son state;
e son prima
dipinte, che sian fatte.
Chi l'ha
dipinte, ancor l'ha indovinate.
Quando
vittoria avran, quando disfatte
in Italia
saran le genti nostre,
potrete qui
veder come si mostre.
7
Le guerre
ch'i Franceschi da far hanno
di là
da l'Alpe, o bene o mal successe,
dal tempo suo
fin al millesim'anno,
Merlin
profeta in questa sala messe;
il qual
mandato fu dal re britanno
al franco re
ch'a Marcomir successe:
e perché lo
mandassi, e perché fatto
da Merlin fu
il lavor, vi dirò a un tratto.
8
Re
Fieramonte, che passò primiero
con
l'esercito franco in Gallia il Reno,
poi che
quella occupò, facea pensiero
di porre alla
superba Italia il freno.
Faceal
perciò, che più 'l romano Impero
vedea di
giorno in giorno venir meno:
e per tal
causa col britanno Arturo
volse far
lega; ch'ambi a un tempo furo.
9
Artur,
ch'impresa ancor senza consiglio
del profeta
Merlin non fece mai,
di Merlin,
dico, del demonio figlio,
che del
futuro antivedeva assai,
per lui
seppe, e saper fece il periglio
a Fieramonte,
a che di molti guai
porrà
sua gente, s'entra ne la terra
ch'Apenin
parte, e il mare e l'Alpe serra.
10
Merlin gli
fe' veder che quasi tutti
gli altri che
poi di Francia scettro avranno,
o di ferro
gli eserciti distrutti,
o di fame o
di peste si vedranno;
e che brevi
allegrezze e lunghi lutti,
poco guadagno
ed infinito danno
riporteran
d'Italia; che non lice
che 'l Giglio
in quel terreno abbia radice.
11
Re Fieramonte
gli prestò tal fede,
ch'altrove
disegnò volger l'armata;
e Merlin, che
così la cosa vede,
ch'abbia a
venir, come se già sia stata,
avere a'
prieghi di quel re si crede
la sala per
incanto istoriata,
ove dei
Franchi ogni futuro gesto,
come
già stato sia, fa manifesto.
12
Acciò
chi poi succederà, comprenda
che, come ha
d'acquistar vittoria e onore,
qualor
d'Italia la difesa prenda
incontra
ogn'altro barbaro furore;
così,
s'avvien ch'a danneggiarla scenda,
per porle il
giogo e farsene signore,
comprenda,
dico, e rendasi ben certo
ch'oltre a
quei monti avrà il sepulcro aperto. -
13
Così
disse; e menò le donne dove
incomincian
l'istorie: e Singiberto
fa lor veder,
che per tesor si muove,
che gli ha
Maurizio imperatore offerto.
- Ecco che
scende dal monte di Giove
nel pian da
l'Ambra e dal Ticino aperto.
Vedete Eutar,
che non pur l'ha respinto,
ma volto in
fuga e fracassato e vinto.
14
Vedete
Clodoveo, ch'a più di cento
mila persone
fa passare il monte:
vedete il
duca là di Benevento,
che con numer
dispar vien loro a fronte.
Ecco finge
lasciar l'alloggiamento,
e pon gli
aguati: ecco, con morti ed onte,
al vin
lombardo la gente francesca
corre, e
riman come la lasca all'esca.
15
Ecco in
Italia Childiberto quanta
gente di
Francia e capitani invia;
né più
che Clodoveo, si gloria e vanta
ch'abbia
spogliata o vinta Lombardia;
che la spada
del ciel scende con tanta
strage de'
suoi, che n'è piena ogni via,
morti di
caldo e di profluvio d'alvo;
sì che
di dieci un non ne torna salvo.
16
Mostra
Pipino, e mostra Carlo appresso,
come in
Italia un dopo l'altro scenda,
e v'abbia
questo e quel lieto successo,
che venuto
non v'è perché l'offenda;
ma l'uno,
acciò il pastor Stefano oppresso,
l'altro
Adriano, e poi Leon difenda:
l'un doma
Aistulfo, e l'altro vince e prende
il
successore, e al papa il suo onor rende.
17
Lor mostra
appresso un giovene Pipino,
che con sua
gente par che tutto cuopra
da le Fornaci
al lito pelestino;
e faccia con
gran spesa e con lung'opra
il ponte a
Malamocco, e che vicino
giunga a
Rialto, e vi combatta sopra.
Poi fuggir
sembra, e che i suoi lasci sotto
l'acque; che
'l ponte il vento e 'l mar gli han rotto.
18
- Ecco Luigi
Borgognon, che scende
là
dove par che resti vinto e preso,
e che giurar
gli faccia chi lo prende,
che
più da l'arme sue non sarà offeso.
Ecco che 'l
giuramento vilipende;
ecco di nuovo
cade al laccio teso;
ecco vi
lascia gli occhi, e come talpe
lo riportano
i suoi di qua da l'Alpe.
19
Vedete un Ugo
d'Arli far gran fatti,
e che
d'Italia caccia i Berengari;
e due o tre
volte gli ha rotti e disfatti,
or dagli Unni
rimessi, or dai Bavari.
Poi da
più forza è stretto di far patti
con
l'inimico, e non sta in vita guari;
né guari dopo
lui vi sta l'erede,
e 'l regno
intero a Berengario cede.
20
Vedete un
altro Carlo, che a' conforti
del buon
Pastor fuoco in Italia ha messo;
e in due
fiere battaglie ha duo re morti,
Manfredi
prima, e Coradino appresso.
Poi la sua
gente, che con mille torti
sembra tenere
il nuovo regno oppresso,
di qua e di
là per le città divisa,
vedete a un
suon di vespro tutta uccisa. -
21
Lor mostra
poi (ma vi parea intervallo
di molti e
molti, non ch'anni, ma lustri)
scender dai
monti un capitano Gallo,
e romper
guerra ai gran Visconti illustri;
e con gente
francesca a piè e a cavallo
par
ch'Alessandria intorno cinga e lustri;
e che 'l duca
il presidio dentro posto,
e fuor abbia
l'aguato un po' discosto;
22
e la gente di
Francia malaccorta,
tratta con
arte ove la rete è tesa,
col conte
Armeniaco, la cui scorta
l'avea
condotta all'infelice impresa,
giaccia per
tutta la campagna morta,
parte sia
tratta in Alessandria presa:
e di sangue
non men che d'acqua grosso,
il Tanaro si
vede il Po far rosso.
23
Un, detto de
la Marca, e tre Angioini
mostra l'un
dopo l'altro, e dice: - Questi
a Bruci, a
Dauni, a Marsi, a Salentini
vedete come
son spesso molesti.
Ma né de'
Franchi val né de' Latini
aiuto
sì, ch'alcun di lor vi resti:
ecco li
caccia fuor del regno, quante
volte vi
vanno, Alfonso e poi Ferrante.
24
Vedete Carlo
ottavo, che discende
da l'Alpe, e
seco ha il fior di tutta Francia,
che passa il
Liri e tutto 'l regno prende
senza mai
stringer spada o abbassar lancia,
fuor che lo
scoglio ch'a Tifeo si stende
su le
braccia, sul petto e su la pancia;
che del buon
sangue d'Avalo al contrasto
la
virtù trova d'Inico del Vasto. -
25
Il signor de
la rocca, che venìa
quest'istoria
additando a Bradamante,
mostrato che
l'ebbe Ischia, disse: - Pria
ch'a vedere
altro più vi meni avante,
io vi
dirò quel ch'a me dir solia
il bisavolo
mio, quand'io era infante,
e quel che
similmente mi dicea
che da suo
padre udito anch'esso avea;
26
e 'l padre
suo da un altro, o padre o fosse
avolo, e l'un
da l'altro sin a quello
ch'a udirlo
da quel proprio ritrovosse,
che l'imagini
fe' senza pennello,
che qui
vedete bianche, azzurre e rosse:
udì
che, quando al re mostrò il castello
ch'or mostro
a voi su quest'altiero scoglio,
gli disse
quel ch'a voi riferir voglio.
27
Udì
che gli dicea ch'in in questo loco
di quel buon
cavallier che lo difende
con tanto
ardir, che par disprezzi il fuoco
che
d'ogn'intorno e sino al Faro incende,
nascer debbe
in quei tempi o dopo poco
(e ben gli
disse l'anno e le calende)
un
cavalliero, a cui sarà secondo
ogn'altro che
sin qui sia stato al mondo.
28
Non fu Nireo
sì bel, non sì eccellente
di forze
Achille, e non sì ardito Ulisse,
non sì
veloce Lada, non prudente
Nestor, che
tanto seppe e tanto visse,
non tanto
liberal, tanto clemente,
l'antica fama
Cesare descrisse;
che verso
l'uom ch'in Ischia nascer deve,
non abbia
ogni lor vanto a restar lieve.
29
E se si
gloriò l'antiqua Creta,
quando il
nipote in lei nacque di Celo,
se Tebe fece
Ercole e Bacco lieta,
se si
vantò dei duo gemelli Delo;
né questa
isola avrà da starsi cheta,
che non
s'esalti e non si levi in cielo,
quando
nascerà in lei quel gran marchese
ch'avrà
sì d'ogni grazia il ciel cortese.
30
Merlin gli
disse, e replicògli spesso,
ch'era
serbato a nascere all'etade
che
più il romano Imperio saria oppresso,
acciò
per lui tornasse in libertade.
Ma perché
alcuno de' suoi gesti appresso
vi
mostrerò, predirli non accade. -
Così
disse; e tornò all'istoria dove
di Carlo si
vedean l'inclite prove.
31
- Ecco
(dicea) sì pente Ludovico
d'aver fatto
in ltalia venir Carlo;
che sol per
travagliar l'emulo antico
chiamato ve
l'avea, non per cacciarlo;
e se gli scuopre
al ritornar nimico
con Veneziani
in lega, e vuol pigliarlo.
Ecco la
lancia il re animoso abbassa,
apre la
strada e, lor mal grado, passa.
32
Ma la sua
gente ch'a difesa resta
del nuovo
regno, ha ben contraria sorte;
che Ferrante,
con l'opra che gli presta
il signor
mantuan, torna sì forte,
ch'in pochi
mesi non ne lascia testa,
o in terra o
in mar, che non sia messa a morte:
poi per un
uom che gli è con fraude estinto,
non par che
senta il gaudio d'aver vinto. -
33
Così
dicendo, mostragli il marchese
Alfonso di
Pescara, e dice: - Dopo
che costui
comparito in mille imprese
sarà
più risplendente che piropo,
ecco qui ne
l'insidie che gli ha tese
con un
trattato doppio il rio Etiopo,
come scannato
di saetta cade
il miglior
cavallier di quella etade.
34
Poi mostra
ove il duodecimo Luigi
passa con
scorta italiana i monti,
e svelto il
Moro, pon la Fiordaligi
nel fecondo
terren già de' Visconti.
Indi manda
sua gente pei vestigi
di Carlo, a
far sul Garigliano i ponti;
la quale
appresso andar rotta e dispersa
si vede, e
morta e nel fiume summersa.
35
Vedete in
Puglia non minor macello
de l'esercito
franco in fuga volto;
e Consalvo
Ferrante ispano è quello
che due volte
alla trappola l'ha colto.
E come qui
turbato, così bello
mostra
Fortuna al re Luigi il volto
nel ricco
pian che, fin dove Adria stride,
tra l'Apenino
e l'Alpe il Po divide. -
36
Così
dicendo, se stesso riprende
che quel
ch'avea a dir prima abbia lasciato;
e torna a
dietro, e mostra uno che vende
il castel che
'l signor suo gli avea dato;
mostra il
perfido Svizzero che prende
colui ch'a
sua difesa l'ha assoldato:
le quai due
cose, senza abbassar lancia,
han dato la
vittoria al re di Francia.
37
Poi mostra
Cesar Borgia col favore
di questo re
farsi in Italia grande;
ch'ogni baron
di Roma, ogni signore
suggietto a
lei, par ch'in esilio mande.
Poi mostra il
re che di Bologna fuore
leva la Sega,
e vi fa entrar le Giande;
poi come
volge i Genovesi in fuga
fatti
ribelli, e la città suggiuga.
38
- Vedete
(dice poi) di gente morta
coperta in
Giaradada la campagna.
Par ch'apra
ogni cittade al re la porta,
e che Venezia
a pena vi rimagna.
Vedete come
al papa non comporta
che, passati
i confini di Romagna,
Modana al
duca di Ferrara toglia,
né qui si
fermi, e 'l resto tor gli voglia:
39
e fa,
all'incontro, a lui Bologna torre;
che v'entra
la Bentivola famiglia.
Vedete il
campo de' Francesi porre
a sacco
Brescia, poi che la ripiglia;
e quasi a un
tempo Felsina soccorre,
e 'l campo
ecclesiastico sgombiglia:
e l'uno e
l'altro poi nei luoghi bassi
par si riduca
del lito de Chiassi.
40
Di qua la
Francia, e di là il campo ingrossa
la gente
ispana; e la battaglia è grande.
Cader si vede
e far la terra rossa
la gente
d'arme in amendua le bande.
Piena di
sangue uman pare ogni fossa:
Marte sta in
dubbio u' la vittoria mande.
Per
virtù d'un Alfonso al fin si vede
che resta il
Franco, e che l'Ispano cede,
41
e che Ravenna
saccheggiata resta.
Si morde il
papa per dolor le labbia,
e fa da'
monti, a guisa di tempesta,
scendere in
fretta una tedesca rabbia,
ch'ogni
Francese, senza mai far testa,
di qua da
l'Alpe par che cacciat'abbia,
e che posto
un rampollo abbia del Moro
nel giardino
onde svelse i Gigli d'oro.
42
Ecco torna il
Francese: eccolo rotto
da l'infedele
Elvezio ch'in suo aiuto
con troppo
rischio ha il giovine condotto,
del quale il
padre avea preso e venduto.
Vedete poi
l'esercito, che sotto
la ruota di
Fortuna era caduto,
creato il
novo re, che si prepara
de l'onta
vendicar ch'ebbe a Novara:
43
e con migliore
auspizio ecco ritorna.
Vedete il re
Francesco inanzi a tutti,
che
così rompe a' Svizzeri le corna,
che poco
resta a non gli aver distrutti:
sì che
'l titolo mai più non gli adorna,
ch'usurpato
s'avran quei villan brutti,
che domator
de' principi, e difesa
si nomeran de
la cristiana Chiesa.
44
Ecco, mal
grado de la lega, prende
Milano, e
accorda il giovene Sforzesco.
Ecco Borbon
che la città difende
pel re di
Francia dal furor tedesco.
Eccovi poi,
che mentre altrove attende
ad altre
magne imprese il re Francesco,
né sa quanta
superbia e crudeltade
usino i suoi,
gli è tolta la cittade.
45
Ecco un altro
Francesco ch'assimiglia
di
virtù all'avo, e non di nome solo;
che, fatto
uscirne i Galli, si ripiglia
col favor de
la Chiesa il patrio suolo.
Francia anco
torna, ma ritien la briglia,
né scorre
Italia, come suole, a volo;
che 'l bon
duca di Mantua sul Ticino
le chiude il
passo, e le taglia il camino.
46
Federico,
ch'ancor non ha la guancia
de' primi
fiori sparsa, si fa degno
di gloria
eterna, ch'abbia con la lancia,
ma più
con diligenza e con ingegno,
Pavia difesa
dal furor di Francia,
e del Leon
del mar rotto il disegno.
Vedete duo
marchesi, ambi terrore
di nostre
genti, ambi d'Italia onore;
47
ambi d'un
sangue, ambi in un nido nati.
Di quel
marchese Alfonso il primo è figlio,
il qual
tratto dal Negro negli aguati,
vedeste il
terren far di sé vermiglio.
Vedete quante
volte son cacciati
d'Italia i
Franchi pel costui consiglio.
L'altro di
sì benigno e lieto aspetto
il Vasto
signoreggia, e Alfonso è detto.
48
- Questo
è il buon cavallier, di cui dicea,
quando
l'isola d'Ischia vi mostrai,
che
già profetizzando detto avea
Merlino a
Fieramonte cose assai:
che diferire
a nascere dovea
nel tempo che
d'aiuto più che mai
l'afflitta
Italia, la Chiesa e l'Impero
contra ai
barbari insulti avria mistiero.
49
Costui dietro
al cugin suo di Pescara
con
l'auspicio di Prosper Colonnese,
vedete come
la Bicocca cara
fa parere
all'Elvezio e più al Francese.
Ecco di nuovo
Francia si prepara
di ristaurar
le mal successe imprese:
scende il re
con un campo in Lombardia,
un altro per
pigliar Napoli invia.
50
Ma quella che
di noi fa come il vento
d'arida
polve, che l'aggira in volta,
la leva fin
al cielo, e in un momento
a terra la
ricaccia, onde l'ha tolta;
fa ch'intorno
a Pavia crede di cento
mila persone
aver fatto raccolta
il re, che
mira a quel che di man gli esce,
non se la
gente sua si scema o cresce.
51
Così
per colpa de' ministri avari,
e per
bontà del re che se ne fida,
sotto
l'insegne si raccoglion rari,
quando la
notte il campo all'arme grida,
che si vede
assalir dentro ai ripari
dal sagace
Spagnuol, che con la guida
di duo del
sangue d'Avalo ardiria
farsi nel
cielo e ne lo 'nferno via.
52
Vedete il
meglio de la nobiltade
di tutta
Francia alla campagna estinto.
Vedete quante
lance e quante spade
han
d'ogn'intorno il re animoso cinto;
vedete che 'l
destrier sotto gli cade:
né per questo
si rende o chiama vinto,
ben ch'a lui
solo attenda, a lui sol corra
lo stuol
nimico, e non è chi 'l soccorra.
53
Il re
gagliardo si difende a piede,
e tutto de
l'ostil sangue si bagna:
ma
virtù al fine a troppa forza cede.
Ecco il re
preso, ed eccolo in Ispagna:
ed a quel di
Pescara dar si vede,
ed a chi mai
da lui non si scompagna,
a quel del
Vasto, le prime corone
del campo
rotto e del gran re prigione.
54
Rotto a Pavia
l'un campo, l'altro ch'era,
per dar
travaglio a Napoli, in camino,
restar si
vede, come, se la cera
gli manca o
l'oglio, resta il lumicino.
Ecco che 'l re
ne la prigione ibera
lascia i
figliuoli, e torna al suo domìno:
ecco fa a un
tempo egli in Italia guerra;
ecco altri la
fa a lui ne la sua terra.
55
Vedete gli
omicidi e le rapine
in ogni parte
far Roma dolente;
e con incendi
e stupri le divine
e le profane
cose ire ugualmente.
Il campo de
la lega le ruine
mira
d'appresso, e 'l pianto e 'l grido sente;
e dove ir
dovria inanzi, torna indietro,
e prender
lascia il successor di Pietro.
56
Manda
Lotrecco il re con nuove squadre,
non
più per fare in Lombardia l'impresa,
ma per levar
de le mani empie e ladre
il capo e
l'altre membra de la Chiesa;
che tarda
sì, che trova al Santo Padre
non esser
più la libertà contesa.
Assedia la
cittade ove sepolta
è la
sirena, e tutto il regno volta.
57
Ecco l'armata
imperial si scioglie
per dar
soccorso alla città assediata;
ed ecco il
Doria che la via le toglie,
e l'ha nel
mar sommersa, arsa e spezzata.
Ecco Fortuna
come cangia voglie,
sin qui a'
Francesi sì propizia stata;
che di febbre
gli uccide, e non di lancia,
sì che
di mille un non ne torna in Francia. -
58
La sala
queste ed altre istorie molte,
che tutte
saria lungo riferire,
in vari e bei
colori avea raccolte;
ch'era ben
tal che le potea capire.
Tornano a
rivederle due e tre volte,
né par che se
ne sappiano partire;
e rilegon
più volte quel ch'in oro
si vedea
scritto sotto il bel lavoro.
59
Le belle
donne e gli altri quivi stati
mirando e
ragionando insieme un pezzo,
fur dal
signore a riposar menati,
ch'onorar gli
osti suoi molt'era avezzo.
Già
sendo tutti gli altri addormentati,
Bradamante a
corcar si va da sezzo,
e si volta or
su questo or su quel fianco,
né può
dormir sul destro né sul manco.
60
Pur chiude
alquanto appresso all'alba i lumi,
e di veder le
pare il suo Ruggiero,
il qual le
dica: - Perché ti consumi,
dando
credenza a quel che non è vero?
Tu vedrai
prima all'erta andare i fiumi,
ch'ad altri
mai, ch'a te, volga il pensiero.
S'io non
amassi te, né il cor potrei
né le pupille
amar degli occhi miei. -
61
E par che le
suggiunga: - Io son venuto
per
battezzarmi e far quanto ho promesso;
e s'io son
stato tardi, m'ha tenuto
altra ferita,
che d'amore, oppresso. -
Fuggesi in
questo il sonno, né veduto
è
più Ruggier che se ne va con esso.
Rinuova
allora i pianti la donzella,
e ne la mente
sua così favella:
62
- Fu quel che
piacque, un falso sogno; e questo
che mi
tormenta, ahi lassa! è un veggiar vero.
Il ben fu
sogno a dileguarsi presto,
ma non
è sogno il martire aspro e fiero.
Perch'or non
ode e vede il senso desto
quel ch'udire
e veder parve al pensiero?
A che
condizione, occhi miei, sete,
che chiusi il
ben, e aperti il mal vedete?
63
Il dolce
sonno mi promise pace,
ma l'amaro
veggiar mi torna in guerra:
il dolce
sonno è ben stato fallace,
ma l'amaro
veggiare, ohimè! non erra.
Se 'l vero
annoia, e il falso sì mi piace,
non oda o
vegga mai più vero in terra:
se 'l dormir
mi dà gaudio, e il veggiar guai,
possa io
dormir senza destarmi mai.
64
O felice
animai ch'un sonno forte
sei mesi tien
senza mai gli occhi aprire!
Che s'assimigli
tal sonno alla morte,
tal veggiare
alla vita, io non vo' dire;
ch'a
tutt'altre contraria la mia sorte
sente morte a
veggiar, vita a dormire:
ma s'a tal
sonno morte s'assimiglia,
deh, Morte,
or ora chiudimi le ciglia! -
65
De
l'orizzonte il sol fatte avea rosse
l'estreme
parti, e dileguato intorno
s'eran le
nubi, e non parea che fosse
simile
all'altro il cominciato giorno;
quando
svegliata Bradamante armosse
per fare a
tempo al suo camin ritorno,
rendute
avendo grazie a quel signore
del buono
albergo e de l'avuto onore.
66
E
trovò che la donna messaggera,
con damigelle
sue, con suoi scudieri
uscita de la
rocca, venut'era
là
dove l'attendean quei tre guerrieri;
quei che con
l'asta d'oro essa la sera
fatto avea
riversar giù dei destrieri,
e che patito
avean con gran disagio
la notte
l'acqua e il vento e il ciel malvagio.
67
Arroge a
tanto mal, ch'a corpo voto
ed essi e i
lor cavalli eran rimasi,
battendo i
denti e calpestando il loto:
ma quasi lor
più incresce, e senza quasi
incresce e
preme più, che farà noto
la
messaggera, appresso agli altri casi,
alla sua
donna, che la prima lancia
gli abbia
abbattuti, c'han trovata in Francia.
68
E presti o di
morire, o di vendetta
subito far
del ricevuto oltraggio,
acciò
la messaggera, che fu detta
Ullania, che
nomata più non aggio,
la mala
opinion ch'avea concetta
forse di lor,
si tolga del coraggio,
la figliuola
d'Amon sfidano a giostra,
tosto che
fuor del ponte ella si mostra;
69
non pensando
però che sia donzella,
che nessun
gesto di donzella avea.
Bradamante
ricusa, come quella
ch'in fretta
gìa, né soggiornar volea.
Pur tanto e
tanto fur molesti, ch'ella,
che negar
senza biasmo non potea,
abbassò
l'asta, ed a tre colpi in terra
li
mandò tutti; e qui finì la guerra:
70
che senza
più voltarsi mostrò loro
lontan le
spalle, e dileguossi tosto.
Quei che, per
guadagnar lo scudo d'oro,
di paese
venian tanto discosto,
poi che senza
parlar ritti si foro,
che ben
l'avean con ogni ardir deposto,
stupefatti
parean di maraviglia,
né verso
Ullania ardian d'alzar le ciglia;
71
che con lei
molte volte per camino
dato s'avean
troppo orgogliosi vanti:
che non
è cavallier né paladino
ch'al minor
di lor tre durasse avanti.
La donna,
perché ancor più a capo chino
vadano, e
più non sian così arroganti,
fa lor saper
che fu femina quella,
non paladin,
che li levò di sella.
72
- Or che
dovete (diceva ella), quando
così
v'abbia una femina abbattuti,
pensar che
sia Rinaldo o che sia Orlando,
non senza
causa in tant'onore avuti?
S'un d'essi
avrà lo scudo, io vi domando
se migliori
di quel che siate suti
contra una
donna, contra lor sarete?
Non credo io
già, né voi forse il credete.
73
Questo vi
può bastar; né vi bisogna
del valor
vostro aver più chiara prova:
e quel di voi
che temerario aggogna
far di sé in
Francia esperienza nuova,
cerca
giungere il danno alla vergogna
in che ieri
ed oggi s'è trovato e trova;
se forse egli
non stima utile e onore,
qualor per
man di tai guerrier si muore. -
74
Poi che ben
certi i cavallieri fece
Ullania, che
quell'era una donzella,
la qual fatto
avea nera più che pece
la fama lor,
ch'esser solea sì bella;
e dove una
bastava, più di diece
persone il
detto confermar di quella;
essi fur per
voltar l'arme in se stessi,
da tal dolor,
da tanta rabbia oppressi.
75
E da lo
sdegno e da la furia spinti,
l'arme si
spoglian, quante n'hanno indosso;
né si lascian
la spada onde eran cinti,
e del castel
la gittano nel fosso:
e giuran, poi
che gli ha una donna vinti,
e fatto sul
terren battere il dosso,
che, per
purgar sì grave error, staranno
senza mai
vestir l'arme intero un anno;
76
e che
n'andranno a piè pur tuttavia,
o sia la
strada piana, o scenda e saglia;
né, poi che
l'anno anco finito sia,
saran per
cavalcare o vestir maglia,
s'altr'arme,
altro destrier da lor non fia
guadagnato
per forza di battaglia.
Così
senz'arme, per punir lor fallo,
essi a
piè se n'andar, gli altri a cavallo.
77
Bradamante la
sera ad un castello
ch'alla via
di Parigi si ritrova,
di Carlo e di
Rinaldo suo fratello,
ch'avean
rotto Agramante, udì la nuova.
Quivi ebbe
buona mensa e buono ostello:
ma questo ed
ogn'altro agio poco giova;
che poco
mangia e poco dorme, e poco,
non che
posar, ma ritrovar può loco.
78
Non
però di costei voglio dir tanto,
ch'io non
ritorni a quei duo cavallieri
che d'accordo
legato aveano a canto
la solitaria
fonte i duo destrieri.
La pugna lor,
di che vo' dirvi alquanto,
non è
per acquistar terre né imperi,
ma perché
Durindana il più gagliardo
abbia ad
avere, e a cavalcar Baiardo.
79
Senza che
tromba o segno altro accennasse
quando a
muover s'avean, senza maestro
che lo
schermo e 'l ferir lor ricordasse,
e lor
pungesse il cor d'animoso estro,
l'uno e
l'altro d'accordo il ferro trasse,
e si venne a
trovare agile e destro.
I spessi e
gravi colpi a farsi udire
incominciaro,
ed a scaldarsi l'ire.
80
Due spade
altre non so per prova elette
ad esser
ferme e solide e ben dure,
ch'a tre
colpi di quei si fosser rette,
ch'erano fuor
di tutte le misure:
ma quelle fur
di tempre sì perfette,
per tante
esperienze sì sicure,
che ben
poteano insieme riscontrarsi
con mille
colpi e più, senza spezzarsi.
81
Or qua
Rinaldo, or là mutando il passo,
con gran
destrezza e molta industria ed arte
fuggia di
Durindana il gran fracasso,
che sa ben
come spezza il ferro e parte.
Ferìa
maggior percosse il re Gradasso;
ma quasi
tutte al vento erano sparte:
se coglieva
talor, coglieva in loco
ove potea
gravare e nuocer poco.
82
L'altro con
più ragion sua spada inchina,
e fa spesso
al pagan stordir le braccia;
e quando ai
fianchi e quando ove confina
la corazza
con l'elmo, gli la caccia:
ma trova
l'armatura adamantina,
sì
ch'una maglia non ne rompe o straccia.
Se dura e
forte la ritrova tanto,
avvien
perch'ella è fatta per incanto.
83
Senza prender
riposo erano stati
gran pezzo
tanto alla battaglia fisi,
che volti gli
occhi in nessun mai de' lati
aveano, fuor
che nei turbati visi;
quando da
un'altra zuffa distornati,
e da tanto
furor furon divisi.
Ambi voltaro
a un gran strepito il ciglio,
e videro
Baiardo in gran periglio.
84
Vider Baiardo
a zuffa con un mostro
ch'era
più di lui grande, ed era augello:
avea
più lungo di tre braccia il rostro;
l'altre
fattezze avea di vipistrello;
avea la piuma
negra come inchiostro;
avea
l'artiglio grande, acuto e fello;
occhi di
fuoco, e sguardo avea crudele;
l'ale avea
grandi, che parean due vele.
85
Forse era
vero augel, ma non so dove
o quando un
altro ne sia stato tale.
Non ho veduto
mai, né letto altrove,
fuor ch'in
Turpin, d'un sì fatto animale:
questo
rispetto a credere mi muove,
che l'augel
fosse un diavolo infernale
che Malagigi
in quella forma trasse,
acciò
che la battaglia disturbasse.
86
Rinaldo il
credette anco, e gran parole
e sconce poi
con Malagigi n'ebbe.
Egli
già confessar non glielo vuole;
e perché tor
di colpa si vorrebbe,
giura pel
lume che dà lume al sole,
che di questo
imputato esser non debbe.
Fosse augello
o demonio, il mostro scese
sopra
Baiardo, e con l'artiglio il prese.
87
Le redine il
destrier, ch'era possente,
subito rompe,
e con sdegno e con ira
contra
l'augello i calci adopra e 'l dente;
ma quel
veloce in aria si ritira:
indi ritorna,
e con l'ugna pungente
lo va
battendo, e d'ogn'intorno aggira.
Baiardo
offeso, e che non ha ragione
di schermo
alcun, ratto a fuggir si pone.
88
Fugge Baiardo
alla vicina selva,
e va cercando
le più spesse fronde.
Segue di
sopra la pennuta belva
con gli occhi
fisi ove la via seconde;
ma pure il
buon destrier tanto s'inselva,
ch'al fin
sotto una grotta si nasconde.
Poi che
l'alato ne perde la traccia,
ritorna in
cielo, e cerca nuova caccia.
89
Rinaldo e 'l
re Gradasso, che partire
veggono la
cagion de la lor pugna,
restan
d'accordo quella differire
fin che
Baiardo salvino da l'ugna
che per la
scura selva il fa fuggire;
con patto,
che qual d'essi lo raggiugna,
a quella
fonte lo restituisca,
ove la lite
lor poi si finisca.
90
Seguendo, si
partir da la fontana,
l'erbe
novellamente in terra peste.
Molto da lor
Baiardo s'allontana,
ch'ebbon le
piante in seguir lui mal preste.
Gradasso, che
non lungi avea l'alfana,
sopra vi
salse, e per quelle foreste
molto lontano
il paladin lasciosse,
tristo e
peggio contento che mai fosse.
91
Rinaldo perdé
l'orme in pochi passi
del suo
destrier, che fe' strano viaggio;
ch'andò
rivi cercando, arbori e sassi,
il più
spinoso luogo, il più selvaggio,
acciò
che da quella ugna si celassi,
che cadendo
dal ciel gli facea oltraggio.
Rinaldo, dopo
la fatica vana,
ritornò
ad aspettarlo alla fontana,
92
se da
Gradasso vi fosse condutto,
sì
come tra lor dianzi si convenne.
Ma poi che
far si vide poco frutto,
dolente e a
piedi in campo se ne venne.
Or torniamo a
quell'altro, al quale in tutto
diverso da
Rinaldo il caso avvenne.
Non per
ragion, ma per suo gran destino
sentì
anitrire il buon destrier vicino;
93
e lo
trovò ne la spelonca cava,
da l'avuta
paura anco sì oppresso,
ch'uscire
allo scoperto non osava:
perciò
l'ha in suo potere il pagan messo.
Ben de la
convenzion si raccordava,
ch'alla fonte
tornar dovea con esso;
ma non
è più disposto d'osservarla,
e così
in mente sua tacito parla:
94
- Abbial chi
aver lo vuol con lite e guerra:
io d'averlo
con pace più disio.
Da l'uno
all'altro capo de la terra
già
venni, e sol per far Baiardo mio.
Or ch'io l'ho
in mano, ben vaneggia ed erra
chi crede che
depor lo volesse io.
Se Rinaldo lo
vuol, non disconviene,
come io
già in Francia, or s'egli in India viene.
95
Non men
sicura a lui fia Sericana,
che
già due volte Francia a me sia stata. -
Così
dicendo, per la via più piana
ne venne in
Arli, e vi trovò l'armata;
e quindi con
Baiardo e Durindana
si
partì sopra una galea spalmata.
Ma questo a
un'altra volta; ch'or Gradasso,
Rinaldo e
tutta Francia a dietro lasso.
96
Voglio
Astolfo seguir, ch'a sella e a morso,
a uso facea
andar di palafreno
l'ippogrifo
per l'aria a sì gran corso,
che l'aquila
e il falcon vola assai meno.
Poi che de'
Galli ebbe il paese scorso
da un mare a
l'altro e da Pirene al Reno,
tornò
verso ponente alla montagna
che separa la
Francia da la Spagna.
97
Passò
in Navarra, ed indi in Aragona,
lasciando a
chi 'l vedea gran maraviglia.
Restò
lungi a sinistra Taracona,
Biscaglia a
destra, ed arrivò in Castiglia.
Vide Gallizia
e 'l regno d'Ulisbona,
poi volse il
corso a Cordova e Siviglia;
né
lasciò presso al mar né fra campagna
città,
che non vedesse tutta Spagna.
98
Vide le Gade
e la meta che pose
ai primi
naviganti Ercole invitto.
Per l'Africa
vagar poi si dispose
dal mar
d'Atlante ai termini d'Egitto.
Vide le
Baleariche famose,
e vide Eviza
appresso al camin dritto.
Poi volse il
freno, e tornò verso Arzilla
sopra 'l mar
che da Spagna dipartilla.
99
Vide Marocco,
Feza, Orano, Ippona,
Algier,
Buzea, tutte città superbe,
c'hanno
d'altre città tutte corona,
corona d'oro,
e non di fronde o d'erbe.
Verso Biserta
e Tunigi poi sprona:
vide Capisse
e l'isola d'Alzerbe
e Tripoli e
Bernicche e Tolomitta,
sin dove il
Nilo in Asia si tragitta.
100
Tra la marina
e la silvosa schena
del fiero
Atlante vide ogni contrada.
Poi
diè le spalle ai monti di Carena,
e sopra i
Cirenei prese la strada;
e traversando
i campi de l'arena,
venne a'
confin di Nubia in Albaiada.
Rimase dietro
il cimiter di Batto
e l'gran
tempio d'Amon, ch'oggi è disfatto.
101
Indi giunse
ad un'altra Tremisenne,
che di
Maumetto pur segue lo stilo.
Poi volse
agli altri Etiopi le penne,
che contra
questi son di là dal Nilo.
Alla
città di Nubia il camin tenne
tra Dobada e
Coalle in aria a filo.
Questi
cristiani son, quei saracini;
e stan con
l'arme in man sempre a' confini.
102
Senapo
imperator de la Etiopia,
ch'in loco
tien di scettro in man la croce,
di gente, di
cittadi e d'oro ha copia
quindi fin
là dove il mar Rosso ha foce;
e serva quasi
nostra fede propia,
che
può salvarlo da l'esilio atroce.
Gli è,
s'io non piglio errore, in questo loco
ove al
battesmo loro usano un fuoco.
103
Dismontò
il duca Astolfo alla gran corte
dentro di
Nubia, e visitò il Senapo.
Il castello
è più ricco assai che forte,
ove dimora
d'Etiopia il capo.
Le catene dei
ponti e de le porte,
gangheri e
chiavistei da piedi a capo,
e finalmente
tutto quel lavoro
che noi di
ferro usiamo, ivi usan d'oro.
104
Ancor che del
finissimo metallo
vi sia tale
abondanza, è pur in pregio.
Colonnate di
limpido cristallo
son le gran
logge del palazzo regio.
Fan rosso,
bianco, verde, azzurro e giallo
sotto i bei
palchi un relucente fregio,
divisi tra
proporzionati spazi,
rubin,
smeraldi, zafiri e topazi.
105
In mura, in
tetti, in pavimenti sparte
eran le
perle, eran le ricche gemme.
Quivi il
balsamo nasce; e poca parte
n'ebbe appo
questi mai Ierusalemme.
Il muschio
ch'a noi vien, quindi si parte;
quindi vien
l'ambra, e cerca altre maremme:
vengon le
cose in somma da quel canto,
che nei paesi
nostri vaglion tanto.
106
Si dice che
'l soldan, re de l'Egitto,
a quel re
dà tributo e sta suggetto,
perch'è
in poter di lui dal camin dritto
levare il
Nilo, e dargli altro ricetto,
e per questo
lasciar subito afflitto
di fame il
Cairo e tutto quel distretto.
Senapo detto
è dai sudditi suoi;
gli
diciàn Presto o Preteianni noi.
107
Di quanti re
mai d'Etiopia foro,
il più
ricco fu questi e il più possente;
ma con tutta
sua possa e suo tesoro,
gli occhi
perduti avea miseramente.
E questo era
il minor d'ogni martoro:
molto era
più noioso e più spiacente,
che,
quantunque ricchissimo si chiame,
cruciato era
da perpetua fame.
108
Se per
mangiare o ber quello infelice
venìa
cacciato dal bisogno grande,
tosto apparia
l'infernal schiera ultrice,
le mostruose
arpie brutte e nefande,
che col
griffo e con l'ugna predatrice
spargeano i
vasi, e rapian le vivande;
e quel che
non capia lor ventre ingordo,
vi rimanea
contaminato e lordo.
109
E questo,
perch'essendo d'anni acerbo,
e vistosi
levato in tanto onore,
che, oltre
alle ricchezze, di più nerbo
era di tutti
gli altri e di più core;
divenne, come
Lucifer, superbo,
e
pensò muover guerra al suo Fattore.
Con la sua
gente la via prese al dritto
al monte onde
esce il gran fiume d'Egitto.
110
Inteso avea
che su quel monte alpestre,
ch'oltre alle
nubi e presso al ciel si leva,
era quel
paradiso che terrestre
si dice, ove
abitò già Adamo ed Eva.
Con camelli,
elefanti, e con pedestre
esercito,
orgoglioso si moveva
con gran
desir, se v'abitava gente,
di farla alle
sue leggi ubbidiente.
111
Dio gli
ripresse il temerario ardire,
e
mandò l'angel suo tra quelle frotte,
che centomila
ne fece morire,
e
condannò lui di perpetua notte.
Alla sua
mensa poi fece venire
l'orrendo
mostro da l'infernal grotte,
che gli
rapisce e contamina i cibi,
né lascia che
ne gusti o ne delibi.
112
Ed in desperazion
continua il messe
uno che
già gli avea profetizzato
che le sue
mense non sariano oppresse
da la rapina
e da l'odore ingrato,
quando venir
per l'aria si vedesse
un cavallier
sopra un cavallo alato.
Perché dunque
impossibil parea questo,
privo d'ogni
speranza vivea mesto.
113
Or che con
gran stupor vede la gente
sopra ogni
muro e sopra ogn'alta torre
entrare il
cavalliero, immantinente
è chi
a narrarlo al re di Nubia corre,
a cui la
profezia ritorna a mente;
ed obliando
per letizia torre
la fedel
verga, con le mani inante
vien
brancolando al cavallier volante.
114
Astolfo ne la
piazza del castello
con spaziose
ruote in terra scese.
Poi che fu il
re condotto inanzi a quello,
inginochiossi,
e le man giunte stese,
e disse: -
Angel di Dio, Messi novello,
s'io non
merto perdono a tante offese,
mira che
proprio è a noi peccar sovente,
a voi
perdonar sempre a chi si pente.
115
Del mio error
consapevole, non chieggio
né chiederti
ardirei gli antiqui lumi.
Che tu lo
possa far, ben creder deggio,
che sei de'
cari a Dio beati numi.
Ti basti il
gran martìr ch'io non ci veggio,
senza
ch'ognor la fame mi consumi:
almen
discaccia le fetide arpie,
che non
rapiscan le vivande mie.
116
E di marmore
un tempio ti prometto
edificar de
l'alta regia mia,
che tutte
d'oro abbia le porte e 'l tetto,
e dentro e
fuor di gemme ornato sia;
e dal tuo
santo nome sarà detto,
e del miracol
tuo scolpito fia. -
Così
dicea quel re che nulla vede,
cercando
invan baciare al duca il piede.
117
Rispose
Astolfo: - Né l'angel di Dio,
né son Messia
novel, né dal cielo vegno;
ma son
mortale e peccatore anch'io,
di tanta
grazia a me concessa indegno.
Io
farò ogn'opra acciò che 'l mostro rio,
per morte o
fuga, io ti levi del regno.
S'io il fo,
me non, ma Dio ne loda solo,
che per tuo
aiuto qui mi drizzò il volo.
118
Fa questi
voti a Dio, debiti a lui;
a lui le
chiese edifica e gli altari. -
Così
parlando, andavano ambidui
verso il
castello fra i baron preclari.
Il re
commanda ai servitori sui
che subito il
convito si prepari,
sperando che
non debba essergli tolta
la vivanda di
mano a questa volta.
119
Dentro una
ricca sala immantinente
apparecchiossi
il convito solenne.
Col Senapo
s'assise solamente
il duca
Astolfo, e la vivanda venne.
Ecco per
l'aria lo stridor si sente,
percossa
intorno da l'orribil penne;
ecco venir
l'arpie brutte e nefande,
tratte dal
cielo a odor de le vivande.
120
Erano sette
in una schiera, e tutte
volto di
donne avean, pallide e smorte,
per lunga
fame attenuate e asciutte,
orribili a
veder più che la morte.
L'alaccie
grandi avean, deformi e brutte;
le man
rapaci, e l'ugne incurve e torte;
grande e
fetido il ventre, e lunga coda,
come di serpe
che s'aggira e snoda.
121
Si sentono
venir per l'aria, e quasi
si veggon
tutte a un tempo in su la mensa
rapire i cibi
e riversare i vasi:
e molta
feccia il ventre lor dispensa,
tal che gli
è forza d'atturare i nasi;
che non si
può patir la puzza immensa.
Astolfo, come
l'ira lo sospinge,
contra gli
ingordi augelli il ferro stringe.
122
Uno sul
collo, un altro su la groppa
percuote, e
chi nel petto, e chi ne l'ala;
ma come fera
in su 'n sacco di stoppa,
poi langue il
colpo, e senza effetto cala:
e quei non vi
lasciar piatto né coppa
che fosse
intatta, né sgombrar la sala,
prima che le
rapine e il fiero pasto
contaminato
il tutto avesse e guasto.
123
Avuto avea
quel re ferma speranza
nel duca, che
l'arpie gli discacciassi;
ed or che
nulla ove sperar gli avanza,
sospira e
geme, e disperato stassi.
Viene al duca
del corno rimembranza,
che suole
aitarlo ai perigliosi passi;
e conchiude
tra sé, che questa via
per
discacciare i mostri ottima sia.
124
E prima fa
che 'l re con suoi baroni
di calda cera
l'orecchia si serra,
acciò
che tutti, come il corno suoni,
non abbiano a
fuggir fuor de la terra.
Prende la
briglia, e salta sugli arcioni
de
l'ippogrifo, ed il bel corno afferra;
e con cenni
allo scalco poi commanda
che riponga
la mensa e la vivanda.
125
E così
in una loggia s'apparecchia
con altra
mensa altra vivanda nuova.
Ecco l'arpie
che fan l'usanza vecchia:
Astolfo il
corno subito ritrova.
Cli augelli,
che non han chiusa l'orecchia,
udito il
suon, non puon stare alla prova;
ma vanno in
fuga pieni di paura,
né di cibo né
d'altro hanno più cura.
126
Subito il
paladin dietro lor sprona:
volando esce
il destrier fuor de la loggia,
e col castel
la gran città abandona,
e per l'aria,
cacciando i mostri, poggia.
Astolfo il
corno tuttavolta suona:
fuggon
l'arpie verso la zona roggia,
tanto che
sono all'altissimo monte
ove il Nilo
ha, se in alcun luogo ha, fonte.
127
Quasi de la
montagna alla radice
entra
sotterra una profonda grotta,
che
certissima porta esser si dice
di ch'allo
'nferno vuol scender talotta.
Quivi
s'è quella turba predatrice,
come in
sicuro albergo, ricondotta,
e giù
sin di Cocito in su la proda
scesa, e
più là, dove quel suon non oda.
128
All'infernal
caliginosa buca
ch'apre la
strada a chi abandona il lume,
finì
l'orribil suon l'inclito duca,
e fe'
raccorre al suo destrier le piume.
Ma prima che
più inanzi io lo conduca,
per non mi
dipartir dal mio costume,
poi che da
tutti i lati ho pieno il foglio,
finire il
canto, e riposar mi voglio.
1
Oh famelice,
inique e fiere arpie
ch'all'accecata
Italia e d'error piena,
per punir
forse antique colpe rie,
in ogni mensa
alto giudicio mena!
Innocenti
fanciulli e madri pie
cascan di
fame, e veggon ch'una cena
di questi
mostri rei tutto divora
ciò
che del viver lor sostegno fôra.
2
Troppo
fallò chi le spelonche aperse,
che
già molt'anni erano state chiuse;
onde il
fetore e l'ingordigia emerse,
ch'ad
ammorbare Italia si diffuse.
Il bel vivere
allora si summerse;
e la quiete
in tal modo s'escluse,
ch'in guerre,
in povertà sempre e in affanni
è dopo
stata, ed è per star molt'anni:
3
fin ch'ella
un giorno ai neghitosi figli
scuota la
chioma, e cacci fuor di Lete,
gridando lor:
- Non fia chi rassimigli
alla
virtù di Calai e di Zete?
che le mense
dal puzzo e dagli artigli
liberi, e
torni a lor mondizia liete,
come essi
già quelle di Fineo, e dopo
fe' il
paladin quelle del re etiopo. -
4
Il paladin
col suono orribil venne
le brutte
arpie cacciando in fuga e in rotta,
tanto ch'a
piè d'un monte si ritenne,
ove esse
erano entrate in una grotta.
L'orecchie
attente allo spiraglio tenne,
e l'aria ne
sentì percossa e rotta
da pianti e
d'urli e da lamento eterno:
segno
evidente quivi esser lo 'nferno.
5
Astolfo si
pensò d'entrarvi dentro,
e veder quei
c'hanno perduto il giorno,
e penetrar la
terra fin al centro,
e le bolge
infernal cercare intorno.
- Di che
debbo temer (dicea) s'io v'entro,
che mi posso
aiutar sempre col corno?
Farò
fuggir Plutone e Satanasso,
e 'l can
trifauce leverò dal passo. -
6
De l'alato
destrier presto discese,
e lo
lasciò legato a un arbuscello:
poi si
calò ne l'antro, e prima prese
il corno,
avendo ogni sua speme in quello.
Non
andò molto inanzi, che gli offese
il naso e gli
occhi un fumo oscuro e fello,
più
che di pece grave e che di zolfo:
non sta
d'andar per questo inanzi Astolfo.
7
Ma quando va
più inanzi, più s'ingrossa
il fumo e la
caligine, e gli pare
ch'andare
inanzi più troppo non possa;
che
sarà forza a dietro ritornare.
Ecco, non sa
che sia, vede far mossa
da la volta
di sopra, come fare
il cadavero
appeso al vento suole,
che molti
dì sia stato all'acqua e al sole.
8
Sì
poco, e quasi nulla era di luce
in quella
affumicata e nera strada,
che non
comprende e non discerne il duce
chi questo
sia che sì per l'aria vada;
e per notizia
averne si conduce
a dargli uno
o due colpi de la spada.
Stima poi
ch'un spirto esser quel debbia;
che gli par
di ferir sopra la nebbia.
9
Allor
sentì parlar con voce mesta:
- Deh, senza
fare altrui danno, giù cala!
Pur troppo il
negro fumo mi molesta,
che dal fuoco
infernal qui tutto esala. -
Il duca
stupefatto allor s'arresta,
e dice
all'ombra: - Se Dio tronchi ogni ala
al fumo,
sì ch'a te più non ascenda,
non ti
dispiaccia che 'l tuo stato intenda.
10
E se vuoi che
di te porti novella
nel mondo su,
per satisfarti sono. -
L'ombra
rispose: - Alla luce alma e bella
tornar per
fama ancor sì mi par buono,
che le parole
è forza che mi svella
il gran desir
c'ho d'aver poi tal dono,
e che 'l mio
nome e l'esser mio ti dica,
ben che 'l
parlar mi sia noia e fatica. -
11
E
cominciò: - Signor, Lidia sono io,
del re di Lidia
in grande altezza nata,
qui dal
giudicio altissimo di Dio
al fumo
eternamente condannata,
per esser
stata al fido amante mio,
mentre io
vissi, spiacevole ed ingrata.
D'altre
infinite è questa grotta piena,
poste per
simil fallo in simil pena.
12
Sta la cruda
Anassarete più al basso,
ove è
maggiore il fumo e più martire.
Restò
converso al mondo il corpo in sasso
e l'anima qua
giù venne a patire,
poi che veder
per lei l'afflitto e lasso
suo amante
appeso poté sofferire.
Qui presso
è Dafne, ch'or s'avvede quanto
errasse a
fare Apollo correr tanto.
13
Lungo saria
se gl'infelici spirti
de le femine
ingrate, che qui stanno,
volesse ad
uno ad uno riferirti;
che tanti
son, ch'in infinito vanno.
Più
lungo ancor saria gli uomini dirti,
a' quai
l'essere ingrato ha fatto danno,
e che puniti
sono in peggior loco,
ove il fumo
gli accieca, e cuoce il fuoco.
14
Perché le
donne più facili e prone
a creder son,
di più supplicio è degno
chi lor fa
inganno. Il sa Teseo e Iasone
e chi
turbò a Latin l'antiquo regno;
sallo
ch'incontra sé il frate Absalone
per Tamar
trasse a sanguinoso sdegno;
ed altri ed
altre: che sono infiniti,
che lasciato
han chi moglie e chi mariti.
15
Ma per narrar
di me più che d'altrui,
e palesar
l'error che qui mi trasse,
bella, ma
altiera più, sì in vita fui,
che non so
s'altra mai mi s'aguagliasse:
né ti saprei
ben dir, di questi dui,
s'in me
l'orgoglio o la beltà avanzasse;
quantunque il
fasto o l'alterezza nacque
da la
beltà ch'a tutti gli occhi piacque.
16
Era in quel
tempo in Tracia un cavalliero
estimato il
miglior del mondo in arme,
il qual da
più d'un testimonio vero
di singular
beltà sentì lodarme;
tal che
spontaneamente fe' pensiero
di volere il
suo amor tutto donarme,
stimando
meritar per suo valore,
che caro aver
di lui dovessi il core.
17
In Lidia
venne; e d'un laccio più forte
vinto
restò, poi che veduta m'ebbe.
Con gli altri
cavallier si messe in corte
del padre
mio, dove in gran fama crebbe.
L'alto valore
e le più d'una sorte
prodezze che
mostrò, lungo sarebbe
a
raccontarti, e il suo merto infinito,
quando egli
avesse a più grato uom servito.
18
Panfilia e
Caria e il regno de' Cilici
per opra di
costui mio padre vinse;
che
l'esercito mai contra i nimici,
se non quanto
volea costui, non spinse.
Costui, poi
che gli parve i benefici
suoi
meritarlo, un dì col re si strinse
a domandargli
in premio de le spoglie
tante
arrecate, ch'io fossi sua moglie.
19
Fu repulso
dal re, ch'in grande stato
maritar
disegnava la figliuola,
non a costui
che cavallier privato
altro non
tien che la virtude sola:
e 'l padre
mio troppo al guadagno dato,
e
all'avarizia, d'ogni vizio scuola,
tanto
apprezza costumi, o virtù ammira,
quanto
l'asino fa il suon de la lira.
20
Alceste, il
cavallier di ch'io ti parlo
(che
così nome avea), poi che si vede
repulso da
chi più gratificarlo
era
più debitor, commiato chiede;
e lo
minaccia, nel partir, di farlo
pentir che la
figliuola non gli diede.
Se
n'andò al re d'Armenia, emulo antico
del re di
Lidia e capital nimico;
21
e tanto stimulò,
che lo dispose
a pigliar
l'arme e far guerra a mio padre.
Esso per
l'opre sue chiare e famose
fu fatto
capitan di quelle squadre.
Pel re
d'Armenia tutte l'altre cose
disse
ch'acquisteria: sol le leggiadre
e belle
membra mie volea per frutto
de l'opra
sua, vinto ch'avesse il tutto.
22
Io non ti
potre' esprimere il gran danno
ch'Alceste al
padre mio fa in quella guerra.
Quattro
eserciti rompe, e in men d'un anno
lo mena a
tal, che non gli lascia terra,
fuor ch'un
castel ch'alte pendici fanno
fortissimo; e
là dentro il re si serra
con la
famiglia che più gli era accetta,
e col tesor
che trar vi puote in fretta.
23
Quivi
assedionne Alceste; ed in non molto
termine a tal
disperazion ne trasse,
che per buon
patto avria mio padre tolto
che moglie e
serva ancor me gli lasciasse
con la
metà del regno, s'indi assolto
restar d'ogni
altro danno si sperasse.
Vedersi in
breve de l'avanzo privo
era ben
certo, e poi morir captivo.
24
Tentar, prima
ch'accada, si dispone
ogni rimedio
che possibil sia;
e me, che
d'ogni male era cagione,
fuor de la
rocca, ov'era Alceste invia.
Io vo ad
Alceste con intenzione
di dargli in
preda la persona mia,
e pregar che
la parte che vuol tolga
del regno
nostro, e l'ira in pace volga.
25
Come ode
Alceste ch'io vo a ritrovarlo,
mi viene
incontra pallido e tremante:
di vinto e di
prigione, a riguardarlo,
più
che di vincitore, have sembiante.
Io che
conosco ch'arde, non gli parlo
sì
come avea già disegnato inante:
vista
l'occasion, fo pensier nuovo
conveniente
al grado in ch'io lo trovo.
26
A maledir
comincio l'amor d'esso,
e di sua
crudeltà troppo a dolermi,
ch'iniquamente
abbia mio padre oppresso,
e che per
forza abbia cercato avermi;
che con
più grazia gli saria successo
indi a non
molti dì, se tener fermi
saputo avesse
i modi cominciati,
ch'al re ed a
tutti noi sì furon grati.
27
E se ben da
principio il padre mio
gli avea
negata la domanda onesta
(però
che di natura è un poco rio,
né mai si
piega alla prima richiesta),
farsi per
ciò di ben servir restio
non doveva
egli, e aver l'ira sì presta;
anzi, ognor
meglio oprando, tener certo
venire in
breve al desiato merto.
28
E quando anco
mio padre a lui ritroso
stato fosse,
io l'avrei tanto pregato,
ch'avria
l'amante mio fatto mio sposo.
Pur, se
veduto io l'avessi ostinato,
avrei fatto
tal opra di nascoso,
che di me
Alceste si saria lodato.
Ma poi ch'a
lui tentar parve altro modo,
io di mai non
l'amar fisso avea il chiodo.
29
E se ben era
a lui venuta, mossa
da la
pietà ch'al mio padre portava,
sia certo che
non molto fruir possa
il piacer
ch'al dispetto mio gli dava;
ch'era per
far di me la terra rossa,
tosto ch'io
avessi alla sua voglia prava
con questa
mia persona satisfatto
di quel che
tutto a forza saria fatto.
30
Queste parole
e simili altre usai,
poi che
potere in lui mi vidi tanto;
e 'l
più pentito lo rendei, che mai
si trovasse
ne l'eremo alcun santo.
Mi cadde a'
piedi, e supplicommi assai,
che col
coltel che si levò da canto
(e volea in
ogni modo ch'io 'l pigliassi)
di tanto
fallo suo mi vendicassi.
31
Poi ch'io lo
trovo tale, io fo disegno
la gran
vittoria insin al fin seguire:
gli do
speranza di farlo anco degno
che la
persona mia potrà fruire,
s'emendando
il suo error, l'antiquo regno
al padre mio
farà restituire;
e nel tempo a
venir vorrà acquistarme
servendo,
amando, e non mai più per arme.
32
Così
far mi promesse, e ne la rocca
intatta mi
mandò, come a lui venni,
né di
baciarmi pur s'ardì la bocca:
vedi s'al
collo il giogo ben gli tenni;
vedi se bene
Amor per me lo tocca,
se convien
che per lui più strali impenni.
Al re
d'Armenia andò, di cui dovea
esser per
patto ciò che si prendea:
33
e con quel
miglior modo ch'usar puote,
lo priega
ch'al mio padre il regno lassi,
del qual le
terre ha depredate e vote,
ed a goder
l'antiqua Armenia passi.
Quel re,
d'ira infiammando ambe le gote,
disse ad
Alceste che non vi pensassi;
che non si
volea tor da quella guerra,
fin che mio
padre avea palmo di terra.
34
E s'Alceste
è mutato alle parole
d'una vil
feminella, abbiasi il danno.
Già a'
prieghi esso di lui perder non vuole
quel ch'a
fatica ha preso in tutto un anno.
Di nuovo
Alceste il priega, e poi si duole
che seco
effetto i prieghi suoi non fanno.
All'ultimo
s'adira, e lo minaccia
che vuol, per
forza o per amor, lo faccia.
35
L'ira
multiplicò sì, che li spinse
da le male
parole ai peggior fatti.
Alceste
contra il re la spada strinse
fra mille
ch'in suo aiuto s'eran tratti,
e mal grado
lor tutti, ivi l'estinse;
e quel
dì ancor gli Armeni ebbe disfatti,
con l'aiuto
de' Cilici e de' Traci
che pagava
egli, e d'altri suoi seguaci.
36
Seguitò
la vittoria, ed a sue spese,
senza
dispendio alcun del padre mio,
ne rendé
tutto il regno in men d'un mese.
Poi per
ricompensarne il danno rio,
oltr'alle
spoglie che ne diede, prese
in parte, e
gravò in parte di gran fio
Armenia e
Capadocia che confina,
e scorse
Ircania fin su la marina.
37
In luogo di
trionfo, al suo ritorno,
facemmo noi
pensier dargli la morte.
Restammo poi,
per non ricever scorno;
che lo
veggiàn troppo d'amici forte.
Fingo
d'amarlo, e più di giorno in giorno
gli do
speranza d'essergli consorte;
ma prima
contra altri nimici nostri
dico voler
che sua virtù dimostri.
38
E quando sol,
quando con poca gente
lo mando a
strane imprese e perigliose,
da farne
morir mille agevolmente:
ma lui
successer ben tutte le cose;
che
tornò con vittoria, e fu sovente
con orribil
persone e mostruose,
con Griganti
a battaglia e Lestrigoni,
ch'erano
infesti a nostre regioni.
39
Non fu da
Euristeo mai, non fu mai tanto
da la
matrigna esercitato Alcide
in Lerna, in
Nemea, in Tracia, in Erimanto,
alle valli
d'Etolia, alle Numide,
sul Tevre, su
l'Ibero e altrove; quanto
con prieghi
finti e con voglie omicide
esercitato fu
da me il mio amante,
cercando io
pur di torlomi davante.
40
Né potendo
venire al primo intento,
vengone ad un
di non minore effetto:
gli fo quei
tutti ingiuriar, ch'io sento
che per lui
sono, e a tutti in odio il metto.
Egli che non
sentia maggior contento
che
d'ubbidirmi, senza alcun rispetto
le mani ai
cenni miei sempre avea pronte,
senza
guardare un più d'un altro in fronte.
41
Poi che mi
fu, per questo mezzo, aviso
spento aver
del mio padre ogni nimico,
e per lui
stesso Alceste aver conquiso,
che non si
avea, per noi, lasciato amico;
quel ch'io
gli avea con simulato viso
celato fin
allor, chiaro gli esplico:
che grave e
capitale odio gli porto,
e pur
tuttavia cerco che sia morto.
42
Considerando
poi, s'io lo facessi,
ch'in publica
ignominia ne verrei
(sapeasi
troppo quanto io gli dovessi,
e crudel
detta sempre ne sarei),
mi parve fare
assai ch'io gli togliessi
di mai venir
più inanzi agli occhi miei.
Né veder né
parlar mai più gli volsi,
né messo
udi', né lettera ne tolsi.
43
Questa mia
ingratitudine gli diede
tanto
martìr, ch'al fin dal dolor vinto,
e dopo un
lungo domandar mercede,
infermo
cadde, e ne rimase estinto.
Per pena
ch'al fallir mio si richiede,
or gli occhi
ho lacrimosi, e il viso tinto
del negro
fumo: e così avrò in eterno;
che nulla
redenzione è ne l'inferno. -
44
Poi che non
parla più Lidia infelice,
va il duca
per saper s'altri vi stanzi:
ma la
caligine alta ch'era ultrice
de l'opre
ingrate, si gl'ingrossa inanzi,
ch'andare un
palmo sol più non gli lice;
anzi a forza
tornar gli conviene, anzi,
perché la
vita non gli sia intercetta
dal fumo, i
passi accelerar con fretta.
45
Il mutar
spesso de le piante ha vista
di corso, e
non di chi passeggia o trotta.
Tanto,
salendo inverso l'erta, acquista,
che vede dove
aperta era la grotta;
e l'aria,
già caliginosa e trista,
dal lume
cominciava ad esser rotta.
Al fin con
molto affanno e grave ambascia
esce de
l'antro, e dietro il fumo lascia.
46
E perché del
tornar la via sia tronca
a quelle
bestie c'han sì ingorde l'epe,
raguna sassi,
e molti arbori tronca,
che v'eran
qual d'amomo e qual di pepe;
e come
può, dinanzi alla spelonca
fabrica di
sua man quasi una siepe:
e gli succede
così ben quell'opra,
che
più l'arpie non torneran di sopra.
47
Il negro fumo
de la scura pece,
mentre egli
fu ne la caverna tetra,
non
macchiò sol quel ch'apparia, ed infece,
ma sotto i
panni ancora entra e penètra;
sì che
per trovare acqua andar lo fece
cercando un
pezzo; e al fin fuor d'una pietra
vide una
fonte uscir ne la foresta,
ne la qual si
lavò dal piè alla testa.
48
Poi monta il
volatore, e in aria s'alza
per giunger
di quel monte in su la cima,
che non
lontan con la superna balza
dal cerchio
de la luna esser si stima.
Tanto
è il desir che di veder lo 'ncalza,
ch'al cielo
aspira, e la terra non stima.
De l'aria
più e più sempre guadagna,
tanto ch'al
giogo va de la montagna.
49
Zafir,
rubini, oro, topazi e perle,
e diamanti e
crisoliti e iacinti
potriano i
fiori assimigliar, che per le
liete piaggie
v'avea l'aura dipinti:
sì
verdi l'erbe, che possendo averle
qua
giù, ne fôran gli smeraldi vinti;
né men belle
degli arbori le frondi,
e di frutti e
di fior sempre fecondi.
50
Cantan fra i
rami gli augelletti vaghi
azzurri e
bianchi e verdi e rossi e gialli.
Murmuranti
ruscelli e cheti laghi
di limpidezza
vincono i cristalli.
Una dolce
aura che ti par che vaghi
a un modo
sempre e dal suo stil non falli,
facea
sì l'aria tremolar d'intorno,
che non potea
noiar calor del giorno:
51
e quella ai
fiori, ai pomi e alla verzura
gli odor
diversi depredando giva,
e di tutti
faceva una mistura
che di
soavità l'alma notriva.
Surgea un
palazzo in mezzo alla pianura,
ch'acceso
esser parea di fiamma viva:
tanto
splendore intorno e tanto lume
raggiava,
fuor d'ogni mortal costume.
52
Astolfo il
suo destrier verso il palagio
che
più di trenta miglia intorno aggira,
a passo lento
fa muovere ad agio,
e quinci e
quindi il bel paese ammira;
e giudica,
appo quel, brutto e malvagio,
e che sia al
ciel ed a natura in ira
questo
ch'abitian noi fetido mondo:
tanto
è soave quel, chiaro e giocondo.
53
Come egli
è presso al luminoso tetto,
attonito
riman di maraviglia;
che tutto
d'una gemma è 'l muro schietto,
più
che carbonchio lucida e vermiglia.
O stupenda
opra, o dedalo architetto!
Qual fabrica
tra noi le rassimiglia?
Taccia
qualunque le mirabil sette
moli del
mondo in tanta gloria mette.
54
Nel lucente
vestibulo di quella
felice casa
un vecchio al duca occorre,
che 'l manto
ha rosso, e bianca la gonnella,
che l'un
può al latte, e l'altro al minio opporre.
I crini ha
bianchi, e bianca la mascella
di folta
barba ch'al petto discorre;
ed è
sì venerabile nel viso,
ch'un degli
eletti par del paradiso.
55
Costui con
lieta faccia al paladino,
che riverente
era d'arcion disceso,
disse: - O
baron, che per voler divino
sei nel
terrestre paradiso asceso;
come che né
la causa del camino,
né il fin del
tuo desir da te sia inteso;
pur credi che
non senza alto misterio
venuto sei da
l'artico emisperio.
56
Per imparar
come soccorrer déi
Carlo, e la
santa fé tor di periglio
venuto meco a
consigliar ti sei
per
così lunga via, senza consiglio.
Né a tuo
saper, né a tua virtù vorrei
ch'esser qui
giunto attribuissi, o figlio;
che né il tuo
corno, né il cavallo alato
ti valea, se
da Dio non t'era dato.
57
Ragionerem
più ad agio insieme poi,
e ti
dirò come a procedere hai:
ma prima
vienti a ricrear con noi;
che 'l digiun
lungo de' noiarti ormai. -
Continuando
il vecchio i detti suoi,
fece
meravigliare il duca assai,
quando
scoprendo il nome suo, gli disse
esser colui
che l'evangelio scrisse:
58
quel tanto al
Redentor caro Giovanni,
per cui il
sermone tra i fratelli uscìo,
che non dovea
per morte finir gli anni;
sì che
fu causa che 'l figliuol di Dio
a Pietro
disse: - Perché pur t'affanni,
s'io vo' che
così aspetti il venir mio? -
Ben che non
disse: egli non de' morire,
si vede pur
che così volse dire.
59
Quivi fu
assunto, e trovò compagnia,
che prima
Enoch, il patriarca, v'era;
eravi insieme
il gran profeta Elia,
che non han
vista ancor l'ultima sera;
e fuor de
l'aria pestilente e ria
si goderan
l'eterna primavera,
fin che dian
segno l'angeliche tube,
che torni
Cristo in su la bianca nube.
60
Con
accoglienza grata il cavalliero
fu dai santi
alloggiato in una stanza;
fu provisto
in un'altra al suo destriero
di buona
biada, che gli fu a bastanza.
De' frutti a
lui del paradiso diero,
di tal sapor,
ch'a suo giudicio, sanza
scusa non
sono i duo primi parenti,
se per quei
fur sì poco ubbidienti.
61
Poi ch'a
natura il duca aventuroso
satisfece di
quel che se le debbe,
come col
cibo, così col riposo,
che tutti e
tutti i commodi quivi ebbe;
lasciando
già l'Aurora il vecchio sposo,
ch'ancor per
lunga età mai non l'increbbe,
si vide
incontra ne l'uscir del letto
il discipul
da Dio tanto diletto;
62
che lo prese
per mano, e seco scorse
di molte cose
di silenzio degne:
e poi disse:
- Figliuol, tu non sai forse
che in
Francia accada, ancor che tu ne vegne.
Sappi che 'l
vostro Orlando, perché torse
dal camin
dritto le commesse insegne,
è
punito da Dio, che più s'accende
contra chi
egli ama più, quando s'offende.
63
Il vostro
Orlando, a cui nascendo diede
somma
possanza Dio con sommo ardire,
e fuor de
l'uman uso gli concede
che ferro
alcun non lo può mai ferire;
perché a
difesa di sua santa fede
così
voluto l'ha costituire,
come Sansone
incontra a' Filistei
costituì
a difesa degli Ebrei:
64
renduto ha il
vostro Orlando al suo Signore
di tanti
benefici iniquo merto;
che quanto
aver più lo dovea in favore,
n'è
stato il fedel popul più deserto.
Sì
accecato l'avea l'incesto amore
d'una pagana,
ch'avea già sofferto
due volte e
più venire empio e crudele,
per dar la
morte al suo cugin fedele.
65
E Dio per
questo fa ch'egli va folle,
e mostra nudo
il ventre, il petto e il fianco;
e
l'intelletto sì gli offusca e tolle,
che non
può altrui conoscere, e sé manco.
A questa
guisa si legge che volle
Nabuccodonosor
Dio punir anco,
che sette
anni il mandò il furor pieno,
sì
che, qual bue, pasceva l'erba e il fieno.
66
Ma
perch'assai minor del paladino,
che di Nabucco,
è stato pur l'eccesso,
sol di tre
mesi dal voler divino
a purgar
questo error termine è messo.
Né ad altro
effetto per tanto camino
salir qua su
t'ha il Redentor concesso,
se non perché
da noi modo tu apprenda,
come ad
Orlando il suo senno si renda.
67
Gli è
ver che ti bisogna altro viaggio
far meco, e
tutta abbandonar la terra.
Nel cerchio
de la luna a menar t'aggio,
che dei
pianeti a noi più prossima erra,
perché la
medicina che può saggio
rendere
Orlando, là dentro si serra.
Come la luna
questa notte sia
sopra noi
giunta, ci porremo in via. -
68
Di questo e
d'altre cose fu diffuso
il parlar de
l'apostolo quel giorno.
Ma poi che 'l
sol s'ebbe nel mar rinchiuso,
e sopra lor
levò la luna il corno,
un carro
apparecchiòsi, ch'era ad uso
d'andar
scorrendo per quei cieli intorno:
quel
già ne le montagne di Giudea
da' mortali
occhi Elia levato avea.
69
Quattro
destrier via più che fiamma rossi
al giogo il
santo evangelista aggiunse;
e poi che con
Astolfo rassettossi,
e prese il
freno, inverso il ciel li punse.
Ruotando il
carro, per l'aria levossi,
e tosto in
mezzo il fuoco eterno giunse;
che 'l
vecchio fe' miracolosamente,
che, mentre
lo passar, non era ardente.
70
Tutta la
sfera varcano del fuoco,
ed indi vanno
al regno de la luna.
Veggon per la
più parte esser quel loco
come un
acciar che non ha macchia alcuna;
e lo trovano
uguale, o minor poco
di ciò
ch'in questo globo si raguna,
in questo
ultimo globo de la terra,
mettendo il
mar che la circonda e serra.
71
Quivi ebbe
Astolfo doppia meraviglia:
che quel
paese appresso era sì grande,
il quale a un
picciol tondo rassimiglia
a noi che lo
miriam da queste bande;
e ch'aguzzar
conviengli ambe le ciglia,
s'indi la
terra e 'l mar ch'intorno spande,
discerner
vuol; che non avendo luce,
l'imagin lor
poco alta si conduce.
72
Altri fiumi,
altri laghi, altre campagne
sono
là su, che non son qui tra noi;
altri piani,
altre valli, altre montagne,
c'han le
cittadi, hanno i castelli suoi,
con case de
le quai mai le più magne
non vide il
paladin prima né poi:
e vi sono
ample e solitarie selve,
ove le ninfe
ognor cacciano belve.
73
Non stette il
duca a ricercar il tutto;
che là
non era asceso a quello effetto.
Da l'apostolo
santo fu condutto
in un vallon
fra due montagne istretto,
ove
mirabilmente era ridutto
ciò
che si perde o per nostro diffetto,
o per colpa
di tempo o di Fortuna:
ciò
che si perde qui, là si raguna.
74
Non pur di
regni o di ricchezze parlo,
in che la
ruota instabile lavora;
ma di quel
ch'in poter di tor, di darlo
non ha
Fortuna, intender voglio ancora.
Molta fama
è là su, che, come tarlo,
il tempo al
lungo andar qua giù divora:
là su
infiniti prieghi e voti stanno,
che da noi
peccatori a Dio si fanno.
75
Le lacrime e
i sospiri degli amanti,
l'inutil
tempo che si perde a giuoco,
e l'ozio
lungo d'uomini ignoranti,
vani disegni
che non han mai loco,
i vani
desideri sono tanti,
che la
più parte ingombran di quel loco:
ciò
che in somma qua giù perdesti mai,
là su
salendo ritrovar potrai.
76
Passando il
paladin per quelle biche,
or di questo
or di quel chiede alla guida.
Vide un monte
di tumide vesiche,
che dentro
parea aver tumulti e grida;
e seppe
ch'eran le corone antiche
e degli
Assiri e de la terra lida,
e de' Persi e
de' Greci, che già furo
incliti, ed
or n'è quasi il nome oscuro.
77
Ami d'oro e
d'argento appresso vede
in una massa,
ch'erano quei doni
che si fan
con speranza di mercede
ai re, agli
avari principi, ai patroni.
Vede in
ghirlande ascosi lacci; e chiede,
ed ode che
son tutte adulazioni.
Di cicale
scoppiate imagine hanno
versi ch'in
laude dei signor si fanno.
78
Di nodi d'oro
e di gemmati ceppi
vede c'han
forma i mal seguiti amori.
V'eran
d'aquile artigli; e che fur, seppi,
l'autorità
ch'ai suoi danno i signori.
I mantici
ch'intorno han pieni i greppi,
sono i fumi
dei principi e i favori
che danno un
tempo ai ganimedi suoi,
che se ne van
col fior degli anni poi.
79
Ruine di
cittadi e di castella
stavan con
gran tesor quivi sozzopra.
Domanda, e sa
che son trattati, e quella
congiura che
sì mal par che si cuopra.
Vide serpi
con faccia di donzella,
di monetieri
e di ladroni l'opra:
poi vide
bocce rotte di più sorti,
ch'era il
servir de le misere corti.
80
Di versate
minestre una gran massa
vede, e
domanda al suo dottor ch'importe.
- L'elemosina
è (dice) che si lassa
alcun, che
fatta sia dopo la morte. -
Di vari fiori
ad un gran monte passa,
ch'ebbe
già buono odore, or putia forte.
Questo era il
dono (se però dir lece)
che
Costantino al buon Silvestro fece.
81
Vide gran
copia di panie con visco,
ch'erano, o
donne, le bellezze vostre.
Lungo
sarà, se tutte in verso ordisco
le cose che
gli fur quivi dimostre;
che dopo
mille e mille io non finisco,
e vi son
tutte l'occurrenze nostre:
sol la pazzia
non v'è poca né assai;
che sta qua
giù, né se ne parte mai.
82
Quivi ad
alcuni giorni e fatti sui,
ch'egli
già avea perduti, si converse;
che se non
era interprete con lui,
non discernea
le forme lor diverse.
Poi giunse a
quel che par sì averlo a nui,
che mai per
esso a Dio voti non ferse;
io dico il
senno: e n'era quivi un monte,
solo assai
più che l'altre cose conte.
83
Era come un
liquor suttile e molle,
atto a
esalar, se non si tien ben chiuso;
e si vedea
raccolto in varie ampolle,
qual più,
qual men capace, atte a quell'uso.
Quella
è maggior di tutte, in che del folle
signor
d'Anglante era il gran senno infuso;
e fu da
l'altre conosciuta, quando
avea scritto
di fuor: Senno d'Orlando.
84
E così
tutte l'altre avean scritto anco
il nome di
color di chi fu il senno.
Del suo gran
parte vide il duca franco;
ma molto
più maravigliar lo fenno
molti ch'egli
credea che dramma manco
non dovessero
averne, e quivi dénno
chiara
notizia che ne tenean poco;
che molta
quantità n'era in quel loco.
85
Altri in amar
lo perde, altri in onori,
altri in
cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
altri ne le
speranze de' signori,
altri dietro
alle magiche sciocchezze;
altri in
gemme, altri in opre di pittori,
ed altri in
altro che più d'altro aprezze.
Di sofisti e
d'astrologhi raccolto,
e di poeti
ancor ve n'era molto.
86
Astolfo tolse
il suo; che gliel concesse
lo scrittor
de l'oscura Apocalisse.
L'ampolla in
ch'era al naso sol si messe,
e par che
quello al luogo suo ne gisse:
e che Turpin
da indi in qua confesse
ch'Astolfo
lungo tempo saggio visse;
ma ch'uno
error che fece poi, fu quello
ch'un'altra
volta gli levò il cervello.
87
La più
capace e piena ampolla, ov'era
il senno che
solea far savio il conte,
Astolfo
tolle; e non è sì leggiera,
come
stimò, con l'altre essendo a monte.
Prima che 'l
paladin da quella sfera
piena di luce
alle più basse smonte,
menato fu da
l'apostolo santo
in un palagio
ov'era un fiume a canto;
88
ch'ogni sua
stanza avea piena di velli
di lin, di
seta, di coton, di lana,
tinti in vari
colori e brutti e belli.
Nel primo
chiostro una femina cana
fila a un
aspo traea da tutti quelli,
come
veggiàn l'estate la villana
traer dai
bachi le bagnate spoglie,
quando la
nuova seta si raccoglie.
89
V'è
chi, finito un vello, rimettendo
ne viene un
altro, e chi ne porta altronde:
un'altra de
le filze va scegliendo
il bel dal
brutto che quella confonde.
- Che lavor
si fa qui, ch'io non l'intendo? -
dice a
Giovanni Astolfo; e quel risponde:
- Le vecchie
son le Parche, che con tali
stami filano
vite a voi mortali.
90
Quanto dura
un de' velli, tanto dura
l'umana vita,
e non di più un momento.
Qui tien
l'occhio e la Morte e la Natura,
per saper
l'ora ch'un debba esser spento.
Sceglier le
belle fila ha l'altra cura,
perché si
tesson poi per ornamento
del paradiso;
e dei più brutti stami
si fan per li
dannati aspri legami. -
91
Di tutti i
velli ch'erano già messi
in aspo, e
scelti a farne altro lavoro,
erano in
brevi piastre i nomi impressi,
altri di
ferro, altri d'argento o d'oro:
e poi fatti
n'avean cumuli spessi,
de' quali,
senza mai farvi ristoro,
portarne via
non si vedea mai stanco
un vecchio, e
ritornar sempre per anco.
92
Era quel
vecchio sì espedito e snello,
che per
correr parea che fosse nato;
e da quel
monte il lembo del mantello
portava pien
del nome altrui segnato.
Ove n'andava,
e perché facea quello,
ne l'altro
canto vi sarà narrato,
se d'averne
piacer segno farete
con quella
grata udienza che solete.
1
Chi
salirà per me, madonna, in cielo
a riportarne
il mio perduto ingegno?
che, poi
ch'uscì da' bei vostri occhi il telo
che 'l cor mi
fisse, ognor perdendo vegno.
Né di tanta
iattura mi querelo,
pur che non
cresca, ma stia a questo segno;
ch'io dubito,
se più si va scemando,
di venir tal,
qual ho descritto Orlando.
2
Per riaver
l'ingegno mio m'è aviso
che non
bisogna che per l'aria io poggi
nel cerchio
de la luna o in paradiso;
che 'l mio
non credo che tanto alto alloggi.
Ne' bei
vostri occhi e nel sereno viso,
nel sen
d'avorio e alabastrini poggi
se ne va
errando; ed io con queste labbia
lo
corrò, se vi par ch'io lo riabbia.
3
Per gli ampli
tetti andava il paladino
tutte mirando
le future vite,
poi ch'ebbe
visto sul fatal molino
volgersi
quelle ch'erano già ordite:
e scorse un
vello che più che d'or fino
splender
parea; né sarian gemme trite,
s'in filo si
tirassero con arte,
da
comparargli alla millesma parte.
4
Mirabilmente
il bel vello gli piacque,
che tra
infiniti paragon non ebbe;
e di sapere
alto disio gli nacque,
quando
sarà tal vita, e a chi si debbe.
L'evangelista
nulla gliene tacque:
che venti
anni principio prima avrebbe
che col .M. e
col .D. fosse notato
l'anno
corrente dal Verbo incarnato,
5
E come di
splendore e di beltade
quel vello
non avea simile o pare,
così
saria la fortunata etade
che dovea
uscirne al mondo singulare;
perché tutte
le grazie inclite e rade
ch'alma
Natura, o proprio studio dare,
o benigna
Fortuna ad uomo puote,
avrà
in perpetua ed infallibil dote.
6
- Del re de'
fiumi tra l'altiere corna
or siede umil
(diceagli) e piccol borgo:
dinanzi il
Po, di dietro gli soggiorna
d'alta palude
un nebuloso gorgo;
che,
volgendosi gli anni, la più adorna
di tutte le
città d'Italia scorgo,
non pur di
mura e d'ampli tetti regi,
ma di bei
studi e di costumi egregi.
7
Tanta
esaltazione e così presta,
non
fortuìta o d'aventura casca;
ma l'ha
ordinata il ciel, perché sia questa
degna in che
l'uom di ch'io ti parlo, nasca:
che, dove il
frutto ha da venir, s'inesta
e con studio
si fa crescer la frasca;
e l'artefice
l'oro affinar suole,
in che legar
gemma di pregio vuole.
8
Né sì
leggiadra né sì bella veste
unque ebbe
altr'alma in quel terrestre regno;
e raro
è sceso e scenderà da queste
sfere superne
un spirito sì degno,
come per
farne Ippolito da Este
n'have l'eterna
mente alto disegno.
Ippolito da
Este sarà detto
l'uom a chi
Dio sì ricco dono ha eletto.
9
Quegli
ornamenti che divisi in molti,
a molti
basterian per tutti ornarli,
in suo
ornamento avrà tutti raccolti
costui, di
c'hai voluto ch'io ti parli.
Le virtudi
per lui, per lui soffolti
saran gli
studi; e s'io vorrò narrar li
alti suoi
merti, al fin son sì lontano,
ch'Orlando il
senno aspetterebbe invano. -
10
Così
venìa l'imitator di Cristo
ragionando
col duca: e poi che tutte
le stanze del
gran luogo ebbono visto,
onde l'umane
vite eran condutte,
sul fiume
usciro, che d'arena misto
con l'onde
discorrea turbide e brutte;
e vi trovar
quel vecchio in su la riva,
che con
gl'impressi nomi vi veniva.
11
Non so se vi
sia a mente, io dico quello
ch'al fin de
l'altro canto vi lasciai,
vecchio di
faccia, e sì di membra snello,
che d'ogni
cervio è più veloce assai.
Degli altrui
nomi egli si empìa il mantello;
scemava il
monte, e non finiva mai:
ed in quel
fiume che Lete si noma,
scarcava,
anzi perdea la ricca soma.
12
Dico che,
come arriva in su la sponda
del fiume,
quel prodigo vecchio scuote
il lembo
pieno, e ne la turbida onda
tutte lascia
cader l'impresse note.
Un numer
senza fin se ne profonda,
ch'un minimo
uso aver non se ne puote;
e di cento
migliaia che l'arena
sul fondo
involve, un se ne serva a pena.
13
Lungo e
d'intorno quel fiume volando
givano corvi
ed avidi avoltori,
mulacchie e
vari augelli, che gridando
facean
discordi strepiti e romori;
ed alla preda
correan tutti, quando
sparger
vedean gli amplissimi tesori:
e chi nel
becco, e chi ne l'ugna torta
ne prende; ma
lontan poco li porta.
14
Come vogliono
alzar per l'aria i voli,
non han poi
forza che 'l peso sostegna;
sì che
convien che Lete pur involi
de' ricchi
nomi la memoria degna.
Fra tanti
augelli son duo cigni soli,
bianchi,
Signor, come è la vostra insegna,
che vengon
lieti riportando in bocca
sicuramente
il nome che lor tocca.
15
Così
contra i pensieri empi e maligni
del vecchio
che donar li vorria al fiume,
alcuno ne
salvan gli augelli benigni:
tutto
l'avanzo oblivion consume.
Or se ne van
notando i sacri cigni,
ed or per
l'aria battendo le piume,
fin che
presso alla ripa del fiume empio
trovano un
colle, e sopra il colle un tempio.
16
All'Inmmortalitade
il luogo è sacro,
ove una bella
ninfa giù del colle
viene alla
ripa del leteo lavacro,
e di bocca
dei cigni i nomi tolle;
e quelli
affige intorno al simulacro
ch'in mezzo
il tempio una colonna estolle,
quivi li
sacra, e ne fa tal governo,
che vi si pôn
veder tutti in eterno.
17
Chi sia quel
vecchio, e perché tutti al rio
senza alcun
frutto i bei nomi dispensi,
e degli
augelli, e di quel luogo pio
onde la bella
ninfa al fiume viensi,
aveva Astolfo
di saper desio
i gran
misteri e gl'incogniti sensi;
e
domandò di tutte queste cose
l'uomo di
Dio, che così gli rispose:
18
- Tu déi
saper che non si muove fronda
là
giù che segno qui non se ne faccia.
Ogni effetto
convien che corrisponda
in terra e in
ciel, ma con diversa faccia.
Quel vecchio,
la cui barba il petto inonda,
veloce
sì che mai nulla l'impaccia,
gli effetti
pari e la medesima opra
che 'l Tempo
fa là giù, fa qui di sopra.
19
Volte che son
le fila in su la ruota,
là
giù la vita umana arriva al fine.
La fama
là, qui ne riman la nota;
ch'immortali
sariano ambe e divine,
se non che
qui quel da la irsuta gota,
e là
giù il Tempo ognor ne fa rapine.
Questi le
getta, come vedi, al rio;
e quel
l'immerge ne l'eterno oblio.
20
E come qua su
i corvi e gli avoltori
e le
mulacchie e gli altri varii augelli
s'affaticano
tutti per trar fuori
de l'acqua i
nomi che veggion più belli:
così
là giù ruffiani, adulatori,
buffon,
cinedi, accusatori, e quelli
che viveno
alle corti e che vi sono
più
grati assai che 'l virtuoso e 'l buono,
21
e son
chiamati cortigian gentili,
perché sanno
imitar l'asino e 'l ciacco;
de' lor
signor, tratto che n'abbia i fili
la giusta
Parca, anzi Venere e Bacco,
questi di
ch'io ti dico, inerti e vili,
nati solo ad
empir di cibo il sacco,
portano in
bocca qualche giorno il nome;
poi ne
l'oblio lascian cader le some.
22
Ma come i
cigni che cantando lieti
rendeno salve
le medaglie al tempio,
così
gli uomini degni da' poeti
son tolti da
l'oblio, più che morte empio.
Oh bene
accorti principi e discreti,
che seguite
di Cesare l'esempio,
e gli
scrittor vi fate amici, donde
non avete a
temer di Lete l'onde!
23
Son, come i
cigni, anco i poeti rari,
poeti che non
sian del nome indegni;
sì
perché il ciel degli uomini preclari
non pate mai
che troppa copia regni,
sì per
gran colpa dei signori avari
che lascian
mendicare i sacri ingegni;
che le
virtù premendo, ed esaltando
i vizi,
caccian le buone arti in bando.
24
Credi che Dio
questi ignoranti ha privi
de lo
'ntelletto, e loro offusca i lumi;
che de la
poesia gli ha fatto schivi,
acciò
che morte il tutto ne consumi.
Oltre che del
sepolcro uscirian vivi,
ancor
ch'avesser tutti i rei costumi,
pur che
sapesson farsi amica Cirra,
più
grato odore avrian che nardo o mirra.
25
Non sì
pietoso Enea, né forte Achille
fu, come
è fama, né sì fiero Ettorre;
e ne son
stati e mille a mille e mille
che lor si
puon con verità anteporre:
ma i donati
palazzi e le gran ville
dai
descendenti lor, gli ha fatto porre
in questi
senza fin sublimi onori
da l'onorate
man degli scrittori.
26
Non fu
sì santo né benigno Augusto
come la tuba
di Virgilio suona.
L'aver avuto
in poesia buon gusto
la
proscrizion iniqua gli perdona.
Nessun sapria
se Neron fosse ingiusto,
né sua fama
saria forse men buona,
avesse avuto
e terra e ciel nimici,
se gli
scrittor sapea tenersi amici.
27
Omero
Agamennòn vittorioso,
e fe' i
Troian parer vili ed inerti;
e che
Penelopea fida al suo sposo
dai Prochi
mille oltraggi avea sofferti.
E se tu vuoi
che 'l ver non ti sia ascoso,
tutta al
contrario l'istoria converti:
che i Greci
rotti, e che Troia vittrice,
e che
Penelopea fu meretrice.
28
Da l'altra
parte odi che fama lascia
Elissa,
ch'ebbe il cor tanto pudico;
che riputata
viene una bagascia,
solo perché
Maron non le fu amico.
Non ti
maravigliar ch'io n'abbia ambascia,
e se di
ciò diffusamente io dico.
Gli scrittori
amo, e fo il debito mio;
ch'al vostro
mondo fui scrittore anch'io.
29
E sopra tutti
gli altri io feci acquisto
che non mi
può levar tempo né morte:
e ben
convenne al mio lodato Cristo
rendermi
guidardon di sì gran sorte.
Duolmi di
quei che sono al tempo tristo,
quando la
cortesia chiuso ha le porte;
che con
pallido viso e macro e asciutto
la notte e 'l
dì vi picchian senza frutto.
30
Sì che
continuando il primo detto,
sono i poeti
e gli studiosi pochi;
che dove non
han pasco né ricetto,
insin le fere
abbandonano i lochi. -
Così
dicendo il vecchio benedetto
gli occhi
infiammò, che parveno duo fuochi;
poi volto al
duca con un saggio riso
tornò
sereno il conturbato viso.
31
Resti con lo
scrittor de l'evangelo
Astolfo
ormai, ch'io voglio far un salto,
quanto sia in
terra a venir fin dal cielo;
ch'io non
posso più star su l'ali in alto.
Torno alla
donna a cui con grave telo
mosso avea
gelosia crudele assalto.
Io la lasciai
ch'avea con breve guerra
tre re
gittati, un dopo l'altro, in terra;
32
e che giunta
la sera ad un castello
ch'alla via
di Parigi si ritrova,
d'Agramante,
che rotto dal fratello
s'era ridotto
in Arli, ebbe la nuova.
Certa che 'l
suo Ruggier fosse con quello,
tosto
ch'apparve in ciel la luce nuova,
verso
Provenza, dove ancora intese
che Carlo lo
seguia, la strada prese.
33
Verso
Provenza per la via più dritta
andando,
s'incontrò in una donzella,
ancor che
fosse lacrimosa e afflitta,
bella di
faccia e di maniere bella.
Questa era
quella sì d'amor traffitta
per lo
figliuol di Monodante, quella
donna gentil
ch'avea lasciato al ponte
l'amante suo
prigion di Rodomonte.
34
Ella
venìa cercando un cavalliero,
ch'a far
battaglia usato, come lontra,
in acqua e in
terra fosse, e così fiero,
che lo
potesse al pagan porre incontra.
La sconsolata
amica di Ruggiero,
come
quest'altra sconsolata incontra,
cortesemente
la saluta, e poi
le chiede la
cagion dei dolor suoi.
35
Fiordiligi
lei mira, e veder parle
un cavallier
ch'al suo bisogno fia;
e comincia
del ponte a ricontarle,
ove impedisce
il re d'Algier la via;
e ch'era
stato appresso di levarle
l'amante suo:
non che più forte sia;
ma sapea
darsi il Saracino astuto
col ponte
stretto e con quel fiume aiuto.
36
- Se sei
(dicea) sì ardito e sì cortese,
come ben
mostri l'uno e l'altro in vista,
mi vendica,
per Dio, di chi mi prese
il mio
signore, e mi fa gir sì trista;
o consigliami
almeno in che paese
possa io
trovare un ch'a colui resista,
e sappia
tanto d'arme e di battaglia,
che 'l fiume
e 'l ponte al pagan poco vaglia.
37
Oltre che tu
farai quel che conviensi
ad uom
cortese e a cavalliero errante,
in beneficio
il tuo valor dispensi
del
più fedel d'ogni fedele amante.
De l'altre
sue virtù non appertiensi
a me narrar;
che sono tante e tante,
che chi non
n'ha notizia, si può dire
che sia del
veder privo e de l'udire. -
38
La magnanima
donna, a cui fu grata
sempre ogni
impresa che può farla degna
d'esser con
laude e gloria nominata,
subito al
ponte di venir disegna:
ed ora tanto
più, ch'è disperata,
vien
volentier, quando anco a morir vegna;
che
credendosi, misera! esser priva
del suo
Ruggiero, ha in odio d'esser viva.
39
- Per quel
ch'io vaglio, giovane amorosa
(rispose
Bradamante), io m'offerisco
di far
l'impresa dura e perigliosa,
per altre
cause ancor, ch'io preterisco;
ma
più, che del tuo amante narri cosa
che narrar di
pochi uomini avvertisco,
che sia in
amor fedel; ch'a fé ti giuro
ch'in
ciò pensai ch'ognun fosse pergiuro. -
40
Con un sospir
quest'ultime parole
finì,
con un sospir ch'uscì dal core;
poi disse: -
Andiamo; - e nel seguente sole
giunsero al
fiume, al passo pien d'orrore.
Scoperte da
la guardia che vi suole
farne segno
col corno al suo signore,
il pagan
s'arma; e quale è 'l suo costume,
sul ponte
s'apparecchia in ripa al fiume:
41
e come vi
compar quella guerriera,
di porla a
morte subito minaccia,
quando de
l'arme e del destrier su ch'era,
al gran
sepolcro oblazion non faccia.
Bradamante
che sa l'istoria vera,
come per lui
morta Issabella giaccia,
che
Fiordiligi detto le l'avea,
al Saracin
superbo rispondea:
42
- Perché vuoi
tu, bestial, che gli innocenti
facciano
penitenza del tuo fallo?
Del sangue
tuo placar costei convienti:
tu
l'uccidesti, e tutto 'l mondo sallo.
Sì che
di tutte l'arme e guernimenti
di tanti che
gittati hai da cavallo,
oblazione e
vittima più accetta
avrà,
ch'io te l'uccida in sua vendetta.
43
E di mia man
le fia più grato il dono,
quando, come
ella fu, son donna anch'io:
né qui venuta
ad altro effetto sono,
ch'a vendicarla;
e questo sol disio.
Ma far tra
noi prima alcun patto è buono,
che 'l tuo
valor si compari col mio.
S'abbattuta
sarò, di me farai
quel che
degli altri tuoi prigion fatt'hai:
44
ma s'io
t'abbatto, come io credo e spero,
guadagnar
voglio il tuo cavallo e l'armi,
e quelle
offerir sole al cimitero,
e tutte
l'altre distaccar da' marmi;
e voglio che
tu lasci ogni guerriero. -
Rispose
Rodomonte: - Giusto parmi
che sia come
tu di'; ma i prigion darti
già
non potrei, ch'io non gli ho in queste parti.
45
Io gli ho al
mio regno in Africa mandati:
ma ti
prometto, e ti do ben la fede,
che se
m'avvien per casi inopinati
che tu stia
in sella e ch'io rimanga a piede,
farò
che saran tutti liberati
in tanto
tempo quanto si richiede
di dare a un
messo ch'in fretta si mandi
e far quel
che, s'io perdo, mi commandi.
46
Ma s'a te
tocca star di sotto, come
piu si
conviene, e certo so che fia,
non vo' che
lasci l'arme, né il tuo nome,
come di
vinta, sottoscritto sia:
al tuo bel
viso, a' begli occhi, alle chiome,
che spiran
tutti amore e leggiadria,
voglio donar
la mia vittoria; e basti
che ti
disponga amarmi, ove m'odiasti.
47
Io son di tal
valor, son di tal nerbo,
ch'aver non
déi d'andar di sotto a sdegno. -
Sorrise
alquanto, ma d'un riso acerbo
che fece
d'ira, più che d'altro, segno,
la donna, né
rispose a quel superbo;
ma
tornò in capo al ponticel di legno,
spronò
il cavallo, e con la lancia d'oro
venne a
trovar quell'orgoglioso Moro.
48
Rodomonte
alla giostra s'apparecchia:
viene a gran
corso; ed è sì grande il suono
che rende il
ponte, ch'intronar l'orecchia
può
forse a molti che lontan ne sono.
La lancia
d'oro fe' l'usanza vecchia;
che quel
pagan, sì dianzi in giostra buono,
levò
di sella, e in aria lo sospese,
indi sul
ponte a capo in giù lo stese.
49
Nel trapassar
ritrovò a pena loco
ove entrar
col destrier quella guerriera;
e fu a gran
risco, e ben vi mancò poco,
ch'ella non
traboccò ne la riviera:
ma Rabicano,
il quale il vento e 'l fuoco
concetto avean,
sì destro ed agil era,
che nel
margine estremo trovò strada;
e sarebbe ito
anco su 'n fil di spada.
50
Ella si
volta, e contra l'abbattuto
pagan
ritorna; e con leggiadro motto:
- Or puoi
(disse) veder chi abbia perduto,
e a chi di
noi tocchi di star di sotto. -
Di maraviglia
il pagan resta muto,
ch'una donna
a cader l'abbia condotto;
e far
risposta non poté o non volle,
e fu come uom
pien di stupore e folle.
51
Di terra si
levò tacito e mesto;
e poi
ch'andato fu quattro o sei passi,
lo scudo e
l'elmo, e de l'altre arme il resto
tutto si
trasse, e gittò contra i sassi;
e solo e a
piè fu a dileguarsi presto:
non che
commission prima non lassi
a un suo
scudier, che vada a far l'effetto
dei prigion
suoi, secondo che fu detto.
52
Partissi; e
nulla poi più se n'intese,
se non che
stava in una grotta scura.
Intanto
Bradamante avea sospese
di costui
l'arme all'alta sepoltura,
e fattone
levar tutto l'arnese,
il qual dei
cavallieri, alla scrittura,
conobbe de la
corte esser di Carlo;
non
levò il resto, e non lasciò levarlo.
53
Oltr'a quel
del figliuol di Monodante,
v'è
quel di Sansonetto e d'Oliviero,
che per
trovare il principe d'Anglante,
quivi
condusse il più dritto sentiero.
Quivi fur
presi, e furo il giorno inante
mandati via
dal Saracino altiero.
Di questi
l'arme fe' la donna torre
da l'alta
mole, e chiuder ne la torre.
54
Tutte l'altre
lasciò pender dai sassi,
che fur
spogliate ai cavallier pagani.
V'eran l'arme
d'un re, del quale i passi
per
Frontalatte mal fur spesi e vani:
io dico l'arme
del re de' Circassi,
che dopo
lungo errar per colli e piani,
venne quivi a
lasciar l'altro destriero;
e poi
senz'arme andossene leggiero.
55
S'era partito
disarmato e a piede
quel re pagan
dal periglioso ponte,
sì
come gli altri ch'eran di sua fede,
partir da sé
lasciava Rodomonte.
Ma di tornar
più al campo non gli diede
il cor;
ch'ivi apparir non avria fronte:
che per quel
che vantossi, troppo scorno
gli saria
farvi in tal guisa ritorno.
56
Di pur cercar
nuovo desir lo prese
colei che sol
avea fissa nel core.
Fu l'aventura
sua, che tosto intese
(io non vi
saprei dir chi ne fu autore)
ch'ella
tornava verso il suo paese:
onde esso,
come il punge e sprona Amore,
dietro alla
pesta subito si pone.
Ma tornar
voglio alla figlia d'Amone.
57
Poi che
narrato ebbe con altro scritto
come da lei
fu liberato il passo;
a Fiordiligi
ch'avea il core afflitto,
e tenea il
viso lacrimoso e basso,
domandò
umanamente ov'ella dritto
volea che
fosse, indi partendo, il passo.
Rispose
Fiordiligi: - Il mio camino
vo' che sia in
Arli al campo saracino,
58
ove navilio e
buona compagnia
spero trovar
da gir ne l'altro lito.
Mai non mi
fermerò fin ch'io non sia
venuta al mio
signore e mio marito.
Voglio
tentar, perché in prigion non stia,
più
modi e più; che se mi vien fallito
questo che
Rodomonte t'ha promesso,
ne voglio
avere uno ed un altro appresso. -
59
- Io
m'offerisco (disse Bradamante)
d'accompagnarti
un pezzo de la strada,
tanto che tu
ti vegga Arli davante,
ove per amor
mio vo' che tu vada
a trovar quel
Ruggier del re Agramante,
che del suo
nome ha piena ogni contrada;
e che gli
rendi questo buon destriero,
onde
abbattuto ho il Saracino altiero.
60
Voglio ch'a
punto tu gli dica questo:
- Un
cavallier che di provar si crede,
e fare a
tutto 'l mondo manifesto
che contra
lui sei mancator di fede;
acciò
ti trovi apparecchiato e presto,
questo
destrier, perch'io tel dia, mi diede.
Dice che
trovi tua piastra e tua maglia,
e che
l'aspetti a far teco battaglia. -
61
Digli questo,
e non altro; e se quel vuole
saper da te
ch'io son, di' che nol sai. -
Quella
rispose umana come suole:
- Non
sarò stanca in tuo servizio mai,
spender la
vita, non che le parole;
che tu ancora
per me così fatto hai. -
Grazie le
rende Bradamante, e piglia
Frontino, e
le lo porge per la briglia.
62
Lungo il
fiume le belle e pellegrine
giovani vanno
a gran giornate insieme,
tanto che
veggono Arli, e le vicine
rive odon
risonar del mar che freme.
Bradamante si
ferma alle confine
quasi de'
borghi ed alle sbarre estreme,
per dare a
Fiordiligi atto intervallo,
che condurre
a Ruggier possa il cavallo.
63
Vien
Fiordiligi, ed entra nel rastrello,
nel ponte e
ne la porta; e seco prende
chi le fa
compagnia fin all'ostello
ove abita
Ruggiero, e quivi scende;
e, secondo il
mandato, al damigello
fa l'imbasciata,
e il buon Frontin gli rende:
indi va, che
risposta non aspetta,
ad eseguire
il suo bisogno in fretta.
64
Ruggier riman
confuso e in pensier grande,
e non sa
ritrovar capo né via
di saper chi
lo sfide, e chi gli mande
a dire
oltraggio e a fargli cortesia.
Che costui
senza fede lo domande,
o possa
domandar uomo che sia,
non sa veder
né imaginare; e prima,
ch'ogn'altro
sia che Bradamante, istima.
65
Che fosse
Rodomonte, era più presto
ad aver, che
fosse altri, opinione;
e perché
ancor da lui debba udir questo,
pensa, né
imaginar può la cagione.
Fuor che con
lui, non sa di tutto 'l resto
del mondo,
con chi lite abbia e tenzone.
Intanto la
donzella di Dordona
chiede
battaglia, e forte il corno suona.
66
Vien la nuova
a Marsilio e ad Agramante,
ch'un
cavallier di fuor chiede battaglia.
A caso
Serpentin loro era avante,
ed
impetrò di vestir piastra e maglia,
e promesse
pigliar questo arrogante.
Il popul
venne sopra la muraglia;
né fanciullo
restò, né restò veglio,
che non fosse
a veder chi fêsse meglio.
67
Con ricca
sopravesta e bello arnese
Serpentin da
la Stella in giostra venne.
Al primo
scontro in terra si distese:
il destrier
aver parve a fuggir penne.
Dietro gli
corse la donna cortese,
e per la
briglia al Saracin lo tenne,
e disse: -
Monta, e fa che 'l tuo signore
mi mandi un
cavallier di te migliore. -
68
Il re
african, ch'era con gran famiglia
sopra le mura
alla giostra vicino,
del cortese
atto assai si maraviglia,
ch'usato ha
la donzella a Serpentino.
- Di ragion
può pigliarlo, e non lo piglia, -
diceva,
udendo il popul saracino.
Serpentin
giunge, e come ella commanda,
un miglior da
sua parte al re domanda.
69
Grandonio di
Volterna furibondo,
il più
superbo cavallier di Spagna,
pregando fece
sì, che fu il secondo,
ed
uscì con minacce alla campagna.
- Tua
cortesia nulla ti vaglia al mondo;
che, quando
da me vinto tu rimagna,
al mio signor
menar preso ti voglio:
ma qui
morrai, s'io posso, come soglio. -
70
La donna
disse lui: - Tua villania
non vo' che
men cortese far mi possa,
ch'io non ti
dica che tu torni pria
che sul duro
terren ti doglian l'ossa.
Ritorna, e
di' al tuo re da parte mia,
che per
simile a te non mi son mossa;
ma per trovar
guerrier che 'l pregio vaglia,
son qui
venuta a domandar battaglia. -
71
Il mordace
parlare, acre ed acerbo,
gran fuoco al
cor del Saracino attizza;
sì che
senza poter replicar verbo,
volta il
destrier con colera e con stizza.
Volta la
donna, e contra quel superbo
la lancia
d'oro e Rabicano drizza.
Come l'asta
fatal lo scudo tocca,
coi piedi al
cielo il Saracin trabocca.
72
Il destrier
la magnanima guerriera
gli prese, e
disse: - Pur tel prediss'io,
che far la
mia imbasciata meglio t'era,
che de la
giostra aver tanto disio.
Di', al re,
ti prego, che fuor de la schiera
elegga un
cavallier che sia par mio;
né voglia con
voi altri affaticarme,
ch'avete poca
esperienza d'arme. -
73
Quei da le
mura, che stimar non sanno
chi sia il
guerriero in su l'arcion sì saldo,
quei
più famosi nominando vanno,
che tremar li
fan spesso al maggior caldo.
Che
Brandimarte sia, molti detto hanno:
la più
parte s'accorda esser Rinaldo:
molti su
Orlando avrian fatto disegno;
ma il suo
caso sapean di pietà degno.
74
La terza
giostra il figlio di Lanfusa
chiedendo,
disse: - Non che vincer speri,
ma perché di
cader più degna scusa
abbian,
cadendo anch'io, questi guerrieri. -
E poi di
tutto quel ch'in giostra s'usa
si messe in
punto; e di cento destrieri
che tenea in
stalla, d'un tolse l'eletta,
ch'avea il
correre acconcio, e di gran fretta.
75
Contra la
donna per giostrar si fece;
ma prima
salutolla, ed ella lui.
Disse la
donna: - Se saper mi lece,
ditemi in
cortesia che siate vui. -
Di questo
Ferraù le satisfece,
ch'usò
di rado di celarsi altrui.
Ella
soggiunse: - Voi già non rifiuto,
ma avria
più volentieri altri voluto. -
76
- E chi? -
Ferraù disse. Ella rispose:
- Ruggiero; -
e a pena il poté proferire,
e sparse d'un
color come di rose
la bellissima
faccia in questo dire.
Soggiunse al
detto poi: - Le cui famose
lode a tal
prova m'han fatto venire.
Altro non
bramo, e d'altro non mi cale,
che di provar
come egli in giostra vale. -
77
Semplicemente
disse le parole
che forse
alcuno ha già prese a malizia.
Rispose
Ferraù: - Prima si vuole
provar tra
noi chi sa più di milizia.
Se di me
avvien quel che di molti suole,
poi
verrà ad emendar la mia tristizia
quel gentil
cavallier che tu dimostri
aver tanto
desio che teco giostri. -
78
Parlando
tuttavolta la donzella
teneva la
visiera alta dal viso.
Mirando
Ferraù la faccia bella,
si sente
rimaner mezzo conquiso,
e taciturno
dentro a sé favella:
- Questo un
angel mi par del paradiso;
e ancor che
con la lancia non mi tocchi,
abbattuto son
già da' suoi begli occhi. -
79
Preson del
campo; e come agli altri avvenne,
Ferraù
se n'uscì di sella netto.
Bradamante il
destrier suo gli ritenne,
e disse: -
Torna, e serva quel c'hai detto. -
Ferraù
vergognoso se ne venne,
e
ritrovò Ruggier ch'era al cospetto
del re
Agramante; e gli fece sapere
ch'alla
battaglia il cavallier lo chere.
80
Ruggier non
conoscendo ancor chi fosse
chi a sfidar
lo mandava alla battaglia,
quasi certo
di vincere, allegrosse;
e le piastre
arrecar fece e la maglia:
né l'aver
visto alle gravi percosse,
che gli altri
sian caduti, il cor gli smaglia.
Come
s'armasse, e come uscisse, e quanto
poi ne
seguì, lo serbo all'altro canto.
1
Convien
ch'ovunque sia, sempre cortese
sia un cor
gentil, ch'esser non può altrimente;
che per
natura e per abito prese
quel che di
mutar poi non è possente.
Convien
ch'ovunque sia, sempre palese
un cor villan
si mostri similmente.
Natura
inchina al male, e viene a farsi
l'abito poi
difficile a mutarsi.
2
Di cortesia,
di gentilezza esempi
fra gli
antiqui guerrier si vider molti,
e pochi fra i
moderni; ma degli empi
costumi
avvien ch'assai ne vegga e ascolti
in quella
guerra, Ippolito, che i tempi
di segni
ornaste agli nimici tolti,
e che traeste
lor galee captive
di preda
carche alle paterne rive.
3
Tutti gli
atti crudeli ed inumani
ch'usasse mai
Tartaro o Turco o Moro,
(non
già con volontà de' Veneziani,
che sempre
esempio di giustizia foro),
usaron
l'empie e scelerate mani
di rei
soldati, mercenari loro.
Io non dico
or di tanti accesi fuochi
ch'arson le
ville e i nostri ameni lochi:
4
ben che fu
quella ancor brutta vendetta,
massimamente
contra voi, ch'appresso
Cesare
essendo, mentre Padua stretta
era
d'assedio, ben sapea che spesso
per voi
più d'una fiamma fu interdetta,
e spento il
fuoco ancor, poi che fu messo,
da villaggi e
da templi, come piacque,
all'alta
cortesia che con voi nacque.
5
Io non parlo
di questo né di tanti
altri lor
discortesi e crudeli atti;
ma sol di
quel che trar dai sassi i pianti
debbe poter,
qual volta se ne tratti:
quel
dì, Signor, che la famiglia inanti
vostra
mandaste là dove ritratti
dai legni lor
con importuni auspici
s'erano in
luogo forte gl'inimici.
6
Qual Ettorre
ed Enea sin dentro ai flutti,
per abbruciar
le navi greche, andaro;
un Ercol vidi
e un Alessandro, indutti
da troppo
ardir, partirsi a paro a paro,
e spronando i
destrier, passarci tutti,
e i nemici
turbar fin nel riparo,
e gir
sì inanzi, ch'al secondo molto
aspro fu il
ritornare, e al primo tolto.
7
Salvossi il
Ferruffin, restò il Cantelmo.
Che cor, duca
di Sora, che consiglio
fu allora il
tuo, che trar vedesti l'elmo
fra mille
spade al generoso figlio,
e menar preso
a nave, e sopra un schelmo
troncargli il
capo? Ben mi maraviglio
che darti
morte lo spettacol solo
non poté,
quanto il ferro a tuo figliuolo.
8
Schiavon
crudele, onde hai tu il modo appreso
de la
milizia? In qual Scizia s'intende
ch'uccider si
debba un, poi che gli è preso,
che rende
l'arme, e più non si difende?
Dunque
uccidesti lui, perché ha difeso
la patria? Il
sole a torto oggi risplende,
crudel
seculo, poi che pieno sei
di Tiesti, di
Tantali e di Atrei.
9
Festi, barbar
crudel, del capo scemo
il più
ardito garzon che di sua etade
fosse da un
polo e l'altro, e da l'estremo
lito
degl'Indi a quello ove il sol cade.
Potea in
Antropofàgo, in Polifemo
la
beltà e gli anni suoi trovar pietade;
ma non in te,
più crudo e più fellone
d'ogni
Ciclope e d'ogni Lestrigone.
10
Simile
esempio non credo che sia
fra gli
antiqui guerrier, di quai li studi
tutti fur
gentilezza e cortesia;
né dopo la
vittoria erano crudi.
Bradamante
non sol non era ria
a quei
ch'avea, toccando lor gli scudi,
fatto uscir
de la sella, ma tenea
loro i
cavalli, e rimontar facea.
11
Di questa
donna valorosa e bella
io vi dissi
di sopra, che abbattuto
avea
Serpentin quel da la Stella,
Grandonio di
Volterra e Ferrauto,
e ciascun
d'essi poi rimesso in sella;
e dissi ancor
che 'l terzo era venuto,
da lei
mandato a disfidar Ruggiero,
là
dove era stimata un cavalliero.
12
Ruggier tenne
lo 'nvito allegramente,
e l'armatura
sua fece venire.
Or mentre che
s'armava al re presente,
tornaron quei
signor di nuovo a dire
chi fosse il
cavallier tanto eccellente,
che di lancia
sapea sì ben ferire;
e
Ferraù, che parlato gli avea,
fu domandato
se lo conoscea.
13
Rispose
Ferraù: - Tenete certo
che non
è alcun di quei ch'avete detto.
A me parea,
ch'il vidi a viso aperto,
il fratel di
Rinaldo giovinetto:
ma poi ch'io
n'ho l'alto valore esperto,
e so che non
può tanto Ricciardetto,
penso che sia
la sua sorella, molto
(per quel
ch'io n'odo) a lui simil di volto.
14
Ella ha ben
fama d'esser forte a pare
del suo
Rinaldo e d'ogni paladino;
ma, per
quanto io ne veggo oggi, mi pare
che val
più del fratel, più del cugino. -
Come Ruggier
lei sente ricordare,
del vermiglio
color che 'l matutino
sparge per
l'aria, si dipinge in faccia,
e nel cor
triema, e non sa che si faccia.
15
A questo
annunzio, stimulato e punto
da l'amoroso
stral, dentro infiammarse,
e per l'ossa
sentì tutto in un punto
correre un
giaccio che 'l timor vi sparse,
timor ch'un
nuovo sdegno abbia consunto
quel grande
amor che già per lui sì l'arse.
Di ciò
confuso non si risolveva,
s'incontra
uscirle, o pur restar doveva.
16
Or quivi
ritrovandosi Marfisa,
che d'uscire
alla giostra avea gran voglia,
ed era
armata, perché in altra guisa
è
raro, o notte o dì, che tu la coglia;
sentendo che
Ruggier s'arma, s'avisa
che di quella
vittoria ella si spoglia
se lascia che
Ruggiero esca fuor prima:
pensa ire
inanzi, e averne il pregio stima.
17
Salta a
cavallo, e vien spronando in fretta
ove nel campo
la figlia d'Amone
con
palpitante cor Ruggiero aspetta,
desiderosa
farselo prigione,
e pensa solo
ove la lancia metta,
perché del
colpo abbia minor lesione.
Marfisa se ne
vien fuor de la porta,
e sopra
l'elmo una fenice porta;
18
o sia per sua
superbia, dinotando
se stessa
unica al mondo in esser forte,
o pur sua
casta intenzion lodando
di viver
sempremai senza consorte.
La figliuola
d'Amon la mira; e quando
le fattezze
ch'amava non ha scorte,
come si nomi
le domanda, ed ode
esser colei
che del suo amor si gode;
19
o per dir
meglio, esser colei che crede
che goda del
suo amor, colei che tanto
ha in odio e
in ira, che morir si vede,
se sopra lei
non vendica il suo pianto.
Volta il
cavallo, e con gran furia riede,
non per desir
di porla in terra, quanto
di passarle
con l'asta in mezzo il petto,
e libera
restar d'ogni suspetto.
20
Forza
è a Marfisa ch'a quel colpo vada
a provar se
'l terreno è duro o molle;
e cosa tanto
insolita le accada,
ch'ella
n'è per venir di sdegno folle.
Fu in terra a
pena, che trasse la spada,
e vendicar di
quel cader si volle.
La figliuola
d'Amon non meno altiera
gridò:
- Che fai? tu sei mia prigioniera.
21
Se bene uso
con gli altri cortesia,
usar teco,
Marfisa, non la voglio,
come a colei
che d'ogni villania
odo che sei
dotata e d'ogni orgoglio. -
Marfisa a
quel parlar fremer s'udia
come un vento
marino in uno scoglio.
Grida, ma
sì per rabbia si confonde,
che non
può esprimer fuor quel che risponde.
22
Mena la
spada, e più ferir non mira
lei, che 'l
destrier, nel petto e ne la pancia:
ma Bradamante
al suo la briglia gira,
e quel da
parte subito si lancia;
e tutto a un
tempo con isdegno ed ira
la figliuola
d'Amon spinge la lancia,
e con quella
Marfisa tocca a pena,
che la fa
riversar sopra l'arena.
23
A pena ella
fu in terra, che rizzosse,
cercando far
con la spada mal'opra.
Di nuovo
l'asta Bradamante mosse,
e Marfisa di
nuovo andò sozzopra.
Ben che
possente Bradamante fosse,
non
però sì a Marfisa era di sopra,
che l'avesse
ogni colpo riversata;
ma tal
virtù ne l'asta era incantata.
24
Alcuni
cavallieri in questo mezzo,
alcuni, dico,
de la parte nostra,
se n'erano
venuti dove, in mezzo
l'un campo e
l'altro, si facea la giostra
(che non eran
lontani un miglio e mezzo),
veduta la
virtù che 'l suo dimostra;
il suo che
non conoscono altrimente
che per un
cavallier de la lor gente.
25
Questi
vedendo il generoso figlio
di Troiano
alle mura approssimarsi,
per ogni
caso, per ogni periglio
non volse
sproveduto ritrovarsi;
e fe' che
molti all'arme dier di piglio,
e che fuor
dei ripari appresentarsi.
Tra questi fu
Ruggiero, a cui la fretta
di Marfisa la
giostra avea intercetta.
26
L'inamorato
giovene mirando
stava il
successo, e gli tremava il core,
de la sua
cara moglie dubitando;
che di
Marfisa ben sapea il valore.
Dubitò,
dico, nel principio, quando
si mosse
l'una e l'altra con furore;
ma visto poi
come successe il fatto,
restò
maraviglioso e stupefatto:
27
e poi che fin
la lite lor non ebbe,
come avean
l'altre avute, al primo incontro,
nel cor
profundamente gli ne 'ncrebbe,
dubbioso pur
di qualche strano incontro.
De l'una egli
e de l'altra il ben vorrebbe;
ch'ama
amendue: non che da porre incontro
sien questi
amori: è l'un fiamma e furore,
l'altro
benivolenza più ch'amore.
28
Partita
volentier la pugna avria,
se con suo
onor potuto avesse farlo.
Ma quei
ch'egli avea seco in compagnia,
perché non
vinca la parte di Carlo,
che
già lor par che superior ne sia,
saltan nel
campo, e vogliono turbarlo.
Da l'altra
parte i cavallier cristiani
si fanno
inanzi, e son quivi alle mani.
29
Di qua di
là gridar si sente all'arme,
come usati
eran far quasi ogni giorno.
Monti chi
è a piè, chi non è armato s'arme,
alla bandiera
ognun faccia ritorno!
dicea con
chiaro e bellicoso carme
più
d'una tromba che scorrea d'intorno:
e come quelle
svegliano i cavalli,
svegliano i
fanti i timpani e i taballi.
30
La
scaramuccia fiera e sanguinosa,
quanto si
possa imaginar, si mesce.
La donna di
Dordona valorosa,
a cui
mirabilmente aggrava e incresce
che quel di
ch'era tanto disiosa,
di por
Marfisa a morte, non riesce;
di qua di
là si volge e si raggira,
se Ruggier
può veder, per cui sospira.
31
Lo riconosco
all'aquila d'argento
c'ha nello
scudo azzurro il giovinetto.
Ella con gli
occhi e col pensiero intento
si ferma a
contemplar le spalle e 'l petto,
le leggiadre
fattezze, e 'l movimento
pieno di
grazia; e poi con gran dispetto,
imaginando
ch'altra ne gioisse,
da furore
assalita così disse:
32
- Dunque
baciar sì belle e dolce labbia
deve altra,
se baciar non le poss'io?
Ah non sia
vero già ch'altra mai t'abbia;
che d'altra
esser non déi, se non sei mio.
Più
tosto che morir sola di rabbia,
che meco di
mia man mori, disio;
che se ben
qui ti perdo, almen l'inferno
poi mi ti
renda, e stii meco in eterno.
33
Se tu
m'occidi, è ben ragion che deggi
darmi de la
vendetta anco conforto;
che voglion
tutti gli ordini e le leggi,
che chi
dà morte altrui debba esser morto.
Né par
ch'anco il tuo danno il mio pareggi;
che tu mori a
ragione, io moro a torto.
Farò
morir chi brama, ohimè! ch'io muora;
ma tu,
crudel, chi t'ama e chi t'adora.
34
Perché non
déi tu, mano, essere ardita
d'aprir col
ferro al mio nimico il core?
che tante
volte a morte m'ha ferita
sotto la pace
in sicurtà d'amore,
ed or
può consentir tormi la vita,
né pur aver
pietà del mio dolore.
Contra questo
empio ardisci, animo forte:
vendica mille
mie con la sua morte. -
35
Gli sprona
contra in questo dir, ma prima:
- Guardati
(grida), perfido Ruggiero:
tu non
andrai, s'io posso, de la opima
spoglia del
cor d'una donzella altiero. -
Come Ruggiero
ode il parlare, estima
che sia la
moglie sua, com'era in vero,
la cui voce
in memoria sì bene ebbe,
ch'in mille
riconoscer la potrebbe.
36
Ben pensa
quel che le parole denno
volere
inferir più; ch'ella l'accusa
che la
convenzion ch'insieme fenno,
non le
osservava: onde per farne iscusa,
di volerle
parlar le fece cenno:
ma quella
già con la visiera chiusa
venìa
dal dolor spinta e da la rabbia,
per porlo, e
forse ove non era sabbia.
37
Quando
Ruggier la vede tanto accesa,
si ristringe
ne l'arme e ne la sella:
la lancia
arresta; ma la tien sospesa,
piegata in
parte ove non nuoccia a quella.
La donna,
ch'a ferirlo e a fargli offesa
venìa
con mente di pietà rubella,
non poté
sofferir, come fu appresso,
di porlo in
terra e fargli oltraggio espresso.
38
Così
lor lance van d'effetto vote
a quello
incontro; e basta ben s'Amore
con l'un
giostra e con l'altro, e gli percuote
d'una amorosa
lancia in mezzo il core.
Poi che la
donna sofferir non puote
di far onta a
Ruggier, volge il furore
che l'arde il
petto, altrove; e vi fa cose
che saran,
fin che giri il ciel, famose.
39
In poco
spazio ne gittò per terra
trecento e
più con quella lancia d'oro.
Ella sola
quel dì vinse la guerra,
messe ella
sola in fuga il popul Moro.
Ruggier di
qua di là s'aggira ed erra
tanto, che se
le accosta e dice: - Io moro,
s'io non ti
parlo: ohimè! che t'ho fatto io,
che mi debbi
fuggire? Odi, per Dio! -
40
Come ai
meridional tiepidi venti,
che spirano
dal mare il fiato caldo,
le nievi si
disciolveno e i torrenti,
e il ghiaccio
che pur dianzi era sì saldo;
così a
quei prieghi, a quei brevi lamenti
il cor de la
sorella di Rinaldo
subito
ritornò pietoso e molle,
che l'ira,
più che marmo, indurar volle.
41
Non vuol
dargli, o non puote, altra risposta;
ma da
traverso sprona Rabicano,
e quanto
può dagli altri si discosta,
ed a Ruggiero
accenna con la mano.
Fuor de la
moltitudine in reposta
valle si
trasse, ov'era un piccol piano
ch'in mezzo
avea un boschetto di cipressi
che parean
d'una stampa, tutti impressi.
42
In quel
boschetto era di bianchi marmi
fatta di
nuovo un'alta sepoltura.
Chi dentro
giaccia, era con brevi carmi
notato a chi
saperlo avesse cura.
Ma quivi
giunta Bradamante, parmi
che gia non
pose mente alla scrittura.
Ruggier
dietro il cavallo affretta e punge
tanto, ch'al
bosco e alla donzella giunge.
43
Ma ritorniamo
a Marfisa che s'era
in questo
mezzo in sul destrier rimessa,
e
venìa per trovar quella guerriera
che l'avea al
primo scontro in terra messa:
e la vide
partir fuor de la schiera,
e partir
Ruggier vide e seguir essa;
né si
pensò che per amor seguisse,
ma per finir
con l'arme ingiurie e risse.
44
Urta il
cavallo, e vien dietro alla pesta
tanto, ch'a
un tempo con lor quasi arriva.
Quanto sua
giunta ad ambi sia molesta,
chi vive
amando, il sa, senza ch'io 'l scriva.
Ma Bradamante
offesa più ne resta,
che colei
vede, onde il suo mal deriva.
Chi le
può tor che non creda esser vero
che l'amor ve
la sproni di Ruggiero?
45
E perfido
Ruggier di nuovo chiama.
- Non ti
bastava, perfido (disse ella),
che tua
perfidia sapessi per fama,
se non mi
facevi anco veder quella?
Di cacciarmi
da te veggo c'hai brama:
e per sbramar
tua voglia iniqua e fella,
io vo' morir;
ma sforzerommi ancora
che muora
meco chi è cagion ch'io mora. -
46
Sdegnosa
più che vipera, si spicca,
così
dicendo, e va contra Marfisa;
ed allo scudo
l'asta sì le appicca,
che la fa a
dietro riversare in guisa,
che quasi
mezzo l'elmo in terra ficca;
né si
può dir che sia colta improvisa:
anzi fa
incontra ciò che far si puote;
e pure in
terra del capo percuote.
47
La figliuola
d'Amon, che vuol morire
o dar morte a
Marfisa, è in tanta rabbia,
che non ha
mente di nuovo a ferire
con l'asta,
onde a gittar di nuovo l'abbia;
ma le pensa
dal busto dipartire
il capo mezzo
fitto ne la sabbia:
getta da sé
la lancia d'oro, e prende
la spada, e
del destrier subito scende.
48
Ma tarda
è la sua giunta; che si trova
Marfisa
incontra, e di tanta ira piena
(poi che s'ha
vista alla seconda prova
cader
sì facilmente su l'arena),
che pregar
nulla, e nulla gridar giova
a Ruggier che
di questo avea gran pena:
sì
l'odio e l'ira le guerriere abbaglia,
che fan da
disperate la battaglia.
49
A mezzo spada
vengono di botto;
e per la gran
superbia che l'ha accese,
van pur
inanzi, e si son già sì sotto,
ch'altro non
puon che venire alle prese.
Le spade, il
cui bisogno era interrotto,
lascian
cadere, e cercan nuove offese.
Priega Ruggiero
e supplica amendue,
ma poco
frutto han le parole sue.
50
Quando pur
vede che 'l pregar non vale,
di partirle
per forza si dispone:
leva di mano
ad amendua il pugnale,
ed al
piè d'un cipresso li ripone.
Poi che ferro
non han più da far male,
con prieghi e
con minaccie s'interpone:
ma tutto
è invan; che la battaglia fanno
a pugni e a
calci, poi ch'altro non hanno.
51
Ruggier non
cessa: or l'una or l'altra prende
per le man,
per le braccia, e la ritira;
e tanto fa,
che di Marfisa accende
contra di sé,
quanto si può più, l'ira.
Quella che
tutto il mondo vilipende,
alla amicizia
di Ruggier non mira.
Poi che da
Bradamante si distacca,
corre alla
spada, e con Ruggier s'attacca.
52
- Tu fai da
discortese e da villano,
Ruggiero, a
disturbar la pugna altrui;
ma ti
farò pentir con questa mano
che vo' che
basti a vincervi ambedui.
Cerca Ruggier
con parlar molto umano
Marfisa
mitigar; ma contra lui
la trova in
modo disdegnosa e fiera,
ch'un perder
tempo ogni parlar seco era.
53
All'ultimo
Ruggier la spada trasse,
poi che l'ira
anco lui fe' rubicondo.
Non credo che
spettacolo mirasse
Atene o Roma
o luogo altro del mondo,
che
così a' riguardanti dilettasse,
come
dilettò questo e fu giocondo
alla gelosa
Bradamante, quando
questo le
pose ogni sospetto in bando.
54
La sua spada
avea tolta ella di terra,
e tratta
s'era a riguardar da parte;
e le parea
veder che 'l dio di guerra
fosse
Ruggiero alla possanza e all'arte.
Una furia
infernal quando si sferra
sembra
Marfisa, se quel sembra Marte.
Vero è
ch'un pezzo il giovene gagliardo
di non far il
potere ebbe riguardo.
55
Sapea ben la
virtù de la sua spada;
che tante
esperienze n'ha già fatto.
Ove giunge,
convien che se ne vada
l'incanto, o
nulla giovi, e stia di piatto:
sì che
ritien che 'l colpo suo non cada
di taglio o
punta, ma sempre di piatto.
Ebbe a questo
Ruggier lunga avvertenza:
ma perdé pure
un tratto la pazienza;
56
perché
Marfisa una percossa orrenda
gli mena per
dividergli la testa.
Leva lo scudo
che 'l capo difenda
Ruggiero, e
'l colpo in su l'aquila pesta.
Vieta lo
'ncanto che lo spezzi o fenda;
ma di stordir
non però il braccio resta:
e s'avea
altr'arme che quelle d'Ettorre,
gli potea il
fiero colpo il braccio torre:
57
e saria sceso
indi alla testa, dove
disegnò
di ferir l'aspra donzella.
Ruggiero il
braccio manco a pena muove,
a pena
più sostien l'aquila bella.
Per questo
ogni pietà da sé rimuove;
par che negli
occhi avampi una facella:
e quanto
può cacciar, caccia una punta.
Marfisa, mal
per te, se n'eri giunta!
58
Io non vi so
ben dir come si fosse:
la spada
andò a ferire in un cipresso,
e un palmo e
più ne l'arbore cacciosse:
in modo era
piantato il luogo spesso.
In quel
momento il monte e il piano scosse
un gran
tremuoto; e si sentì con esso
da quell'avel
ch'in mezzo il bosco siede,
gran voce
uscir, ch'ogni mortale eccede.
59
Grida la voce
orribile: - Non sia
lite tra voi:
gli è ingiusto ed inumano
ch'alla
sorella il fratel morte dia,
o la sorella
uccida il suo germano.
Tu, mio
Ruggiero, e tu, Marfisa mia,
credete al
mio parlar che non è vano:
in un
medesimo utero d'un seme
foste
concetti, e usciste al mondo insieme.
60
Concetti
foste da Ruggier secondo:
vi fu
Galaciella genitrice,
i cui
fratelli avendole dal mondo
cacciato il
genitor vostro infelice,
senza guardar
ch'avesse in corpo il pondo
di voi,
ch'usciste pur di lor radice,
la fer,
perché s'avesse ad affogare,
s'un debol
legno porre in mezzo al mare.
61
Ma Fortuna
che voi, ben che non nati,
avea
già eletti a gloriose imprese,
fece che 'l
legno ai liti inabitati
sopra le
Sirti a salvamento scese;
ove, poi che
nel mondo v'ebbe dati,
l'anima
eletta al paradiso ascese.
Come Dio
volse e fu vostro destino,
a questo caso
io mi trovai vicino.
62
Diedi alla
madre sepoltura onesta,
qual potea
darsi in sì deserta arena;
e voi teneri
avolti ne la vesta
meco portai
sul monte di Carena;
e mansueta
uscir de la foresta
fecie
lasciare i figli una leena,
de le cui
poppe dieci mesi e dieci
ambi nutrir
con molto studio feci.
63
Un giorno che
d'andar per la contrada
e da la
stanza allontanar m'occorse,
vi sopravenne
a caso una masnada
d'Arabi (e
ricordarvene de' forse),
che te,
Marfisa, tolser ne la strada,
ma non poter
Ruggier, che meglio corse.
Restai de la
tua perdita dolente,
e di Ruggier
guardian più diligente.
64
Ruggier, se
ti guardò, mentre che visse,
il tuo
maestro Atlante, tu lo sai.
Di te senti'
predir le stelle fisse,
che tra'
cristiani a tradigion morrai;
e perché il
male influsso non seguisse,
tenertene
lontan m'affaticai:
né ostare al
fin potendo alla tua voglia,
infermo
caddi, e mi mori' di doglia.
65
Ma inanzi a
morte, qui dove previdi
che con
Marfisa aver pugna dovevi,
feci raccor
con infernal sussidi
a formar
questa tomba i sassi grevi;
ed a Caron
dissi con alti gridi:
- Dopo morte
non vo' lo spirto levi
di questo
bosco, fin che non ci giugna
Ruggier con
la sorella per far pugna. -
66
Così
lo spirto mio per le belle ombre
ha molti
dì aspettato il venir vostro:
sì che
mai gelosia più non t'ingombre,
o Bradamante,
ch'ami Ruggier nostro.
Ma tempo
è ormai che de la luce io sgombre,
e mi conduca
al tenebroso chiostro. -
Qui si
tacque; e a Marfisa ed alla figlia
d'Amon
lasciò e a Ruggier gran maraviglia.
67
Riconosce
Marfisa per sorella
Ruggier con
molto gaudio, ed ella lui;
e ad
abbracciarsi, senza offender quella
che per
Ruggiero ardea, vanno ambidui:
e rammentando
de l'età novella
alcune cose:
i' feci, io dissi, io fui;
vengon
trovando con più certo effetto,
tutto esser
ver quel c'ha lo spirto detto.
68
Ruggiero alla
sorella non ascose
quanto avea
nel cor fissa Bradamante;
e
narrò con parole affettuose
de le
obligazion che le avea tante:
e non
cessò, ch'in grand'amor compose
le discordie
ch'insieme ebbono avante;
e fe', per
segno di pacificarsi,
ch'umanamente
andaro ad abbracciarsi.
69
A domandar
poi ritornò Marfisa
chi stato
fosse, e di che gente il padre;
e chi
l'avesse morto, ed a che guisa,
s'in campo
chiuso o fra l'armate squadre;
e chi
commesso avea che fosse uccisa
dal mar
atroce la misera madre:
che se
già l'avea udito da fanciulla,
or ne tenea
poca memoria o nulla.
70
Ruggiero
incominciò, che da' Troiani
per la linea
d'Ettorre erano scesi;
che poi che
Astianatte de le mani
campò
d'Ulisse e da li aguati tesi,
avendo un de'
fanciulli coetani
per lui
lasciato, uscì di quei paesi;
e dopo un
lungo errar per la marina,
venne in
Sicilia e dominò Messina.
71
- I
descendenti suoi di qua dal Faro
signoreggiar
de la Calabria parte;
e dopo
più successioni andaro
ad abitar ne
la città di Marte.
Più
d'uno imperatore e re preclaro
fu di quel
sangue in Roma e in altra parte,
cominciando a
Costante e a Costantino,
sino a re
Carlo figlio de Pipino.
72
Fu Ruggier
primo e Gianbaron di questi,
Buovo,
Rambaldo, al fin Ruggier secondo,
che fe', come
d'Atlante udir potesti,
di nostra
madre l'utero fecondo.
De la
progenie nostra i chiari gesti
per l'istorie
vedrai celebri al mondo. -
Seguì
poi, come venne il re Agolante
con Almonte e
col padre d'Agramante;
73
e come
menò seco una donzella
ch'era sua
figlia, tanto valorosa,
che molti
paladin gittò di sella;
e di Ruggiero
al fin venne amorosa,
e per suo
amor del padre fu ribella,
e
battezzossi, e diventògli sposa.
Narrò
come Beltramo traditore
per la
cognata arse d'incesto amore;
74
e che la
patria e 'l padre e duo fratelli
tradì,
così sperando acquistar lei;
aperse Risa
agli nimici, e quelli
fer di lor
tutti i portamenti rei;
come Agolante
e i figli iniqui e felli
poser
Galaciella, che di sei
mesi era
grave, in mar senza governo,
quando fu
tempestoso al maggior verno.
75
Stava Marfisa
con serena fronte
fisa al
parlar che 'l suo german facea:
ed esser
scesa da la bella fonte
ch'avea
sì chiari rivi, si godea.
Quindi
Mongrana e quindi Chiaramonte
le due
progenie derivar sapea,
ch'al mondo
fu molti e molt'anni e lustri
splendide, e
senza par d'uomini illustri.
76
Poi che 'l
fratello al fin le venne a dire
che 'l padre
d'Agramante e l'avo e 'l zio
Ruggiero a
tradigion feron morire,
e posero la
moglie a caso rio;
non lo poté
più la sorella udire,
che lo
'nterroppe, e disse: - Fratel mio
(salva tua
grazia), avuto hai troppo torto
a non ti
vendicar del padre morto.
77
Se in Almonte
e in Troian non ti potevi
insanguinar,
ch'erano morti inante,
dei figli
vendicar tu ti dovevi.
Perché,
vivendo tu, vive Agramante?
Questa
è una macchia che mai non ti levi
dal viso; poi
che dopo offese tante
non pur posto
non hai questo re a morte,
ma vivi al
soldo suo ne la sua corte.
78
Io fo ben
voto a Dio (ch'adorar voglio
Cristo Dio
vero, ch'adorò mio padre)
che di questa
armatura non mi spoglio,
fin che
Ruggier non vendico e mia madre.
E vo'
dolermi, e fin ora mi doglio,
di te, se
più ti veggo fra le squadre
del re
Agramante o d'altro signor Moro,
se non col
ferro in man per danno loro. -
79
Oh come a
quel parlar leva la faccia
la bella
Bradamante, e ne gioisce!
E conforta
Ruggier che così faccia
come Marfisa
sua ben l'ammonisce;
e venga a
Carlo, e conoscer si faccia,
che tanto
onora, lauda e riverisce
del suo padre
Ruggier la chiara fama,
ch'ancor
guerrier senza alcun par lo chiama.
80
Ruggiero
accortamente le rispose
che da
principio questo far dovea;
ma per non
bene aver note le cose,
come ebbe
poi, tardato troppo avea.
Ora, essendo
Agramante che gli pose
la spada al
fianco, farebbe opra rea
dandogli
morte, e saria traditore;
che
già tolto l'avea per suo signore.
81
Ben, come a
Bradamante già promesse,
promettea a
lei di tentare ogni via,
tanto
ch'occasione, onde potesse
levarsi con
suo onor, nascer faria.
E se
già fatto non l'avea, non desse
la colpa a
lui, m'al re di Tartaria,
dal qual ne
la battaglia che seco ebbe,
lasciato fu,
come saper si debbe.
82
Ed ella
ch'ogni dì gli venìa al letto,
buon
testimon, quanto alcun altro, n'era.
Fu sopra
questo assai risposto e detto
da l'una e da
l'altra inclita guerriera.
L'ultima
conclusion, l'ultimo effetto
è che
Ruggier ritorni alla bandiera
del suo
signor, fin che cagion gli accada,
che
giustamente a Carlo se ne vada.
83
- Lascialo
pur andar (dicea Marfisa
a
Bradamante), e non aver timore:
fra pochi
giorni io farò bene in guisa
che non gli
fia Agramante più signore. -
Così
dice ella, né però devisa
quanto di
voler fare abbia nel core.
Tolta da lor
licenza, al fin Ruggiero
per tornare
al suo re volgea il destriero;
84
quando un pianto
s'udì da le vicine
valli sonar,
che li fe' tutti attenti.
A quella voce
fan l'orecchie chine,
che di femina
par che si lamenti.
Ma voglio
questo canto abbia qui fine,
e di quel che
voglio io, siate contenti;
che miglior
cose vi prometto dire,
s'all'altro
canto mi verrete a udire.
1
Se, come in
acquistar qualch'altro dono
che senza
industria non può dar Natura,
affaticate
notte e dì si sono
con somma
diligenza e lunga cura
le valorose
donne, e se con buono
successo
n'è uscit'opra non oscura;
così
si fosson poste a quelli studi
ch'immortal
fanno le mortal virtudi;
2
e che per sé
medesime potuto
avesson dar
memoria alle sue lode,
non mendicar
dagli scrittori aiuto,
ai quali
astio ed invidia il cor sì rode,
che 'l ben
che ne puon dir, spesso è taciuto,
e 'l mal,
quanto ne san, per tutto s'ode;
tanto il lor
nome sorgeria, che forse
viril fama a
tal grado unqua non sorse.
3
Non basta a
molti di prestarsi l'opra
in far l'un
l'altro glorioso al mondo,
ch'anco
studian di far che si discuopra
ciò
che le donne hanno fra lor d'immondo.
Non le
vorrian lasciar venir di sopra,
e quanto
puon, fan per cacciarle al fondo:
dico gli
antiqui; quasi l'onor debbia
d'esse il lor
oscurar, come il sol nebbia.
4
Ma non ebbe e
non ha mano né lingua,
formando in
voce o discrivendo in carte
(quantunque
il mal, quanto può, accresce e impingua,
e minuendo il
ben va con ogni arte),
poter
però, che de le donne estingua
la gloria
sì, che non ne resti parte;
ma non
già tal, che presso al segno giunga,
né ch'anco se
gli accosti di gran lunga:
5
ch'Arpalice
non fu, non fu Tomiri,
non fu chi
Turno, non chi Ettor soccorse;
non chi
seguita da Sidoni e Tiri
andò
per lungo mare in Libia a porse;
non Zenobia,
non quella che gli Assiri,
i Persi e
gl'Indi con vittoria scorse:
non fur
queste e poch'altre degne sole,
di cui per
arme eterna fama vole.
6
E di fedeli e
caste e sagge e forti
stato ne son,
non pur in Grecia e in Roma,
ma in ogni
parte ove fra gl'Indi e gli Orti
de le
Esperide il Sol spiega la chioma:
de le quai
sono i pregi agli onor morti,
sì
ch'a pena di mille una si noma;
e questo,
perché avuto hanno ai lor tempi
gli scrittori
bugiardi, invidi ed empi.
7
Non restate
però, donne, a cui giova
il bene
oprar, di seguir vostra via;
né da vostra
alta impresa vi rimuova
tema che
degno onor non vi si dia:
che, come
cosa buona non si trova
che duri
sempre, così ancor né ria.
Se le carte
sin qui state e gl'inchiostri
per voi non
sono, or sono a' tempi nostri.
8
Dianzi
Marullo ed il Pontan per vui
sono, e duo
Strozzi, il padre e 'l figlio, stati:
c'è il
Bembo, c'è il Capel, c'è chi, qual lui
vediamo, ha
tali i cortigian formati:
c'è un
Luigi Alaman: ce ne son dui,
di par da
Marte e da le Muse amati,
ambi del
sangue che regge la terra
che 'l Menzo
fende e d'alti stagni serra.
9
Di questi
l'uno, oltre che 'l proprio istinto
ad onorarvi e
a riverirvi inchina,
e far
Parnasso risonare e Cinto
di vostra
laude, e porla al ciel vicina;
l'amor, la
fede, il saldo e non mai vinto
per minacciar
di strazi e di ruina,
animo
ch'Issabella gli ha dimostro,
lo fa, assai
più che di se stesso, vostro:
10
sì che
non è per mai trovarsi stanco
di farvi onor
nei suoi vivaci carmi:
e s'altri vi
dà biasmo, non è ch'anco
sia
più pronto di lui per pigliar l'armi:
e non ha il
mondo cavallier che manco
la vita sua
per la virtù rispiarmi.
Dà
insieme egli materia ond'altri scriva,
e fa la
gloria altrui, scrivendo, viva.
11
Ed è
ben degno che sì ricca donna,
ricca di
tutto quel valor che possa
esser fra
quante al mondo portin gonna,
mai non si
sia di sua costanza mossa;
e sia stata
per lui vera colonna,
sprezzando di
Fortuna ogni percossa:
di lei degno
egli, e degna ella di lui;
né meglio
s'accoppiaro unque altri dui.
12
Nuovi trofei
pon su la riva d'Oglio;
ch'in mezzo a
ferri, a fuochi, a navi, a ruote
ha sparso
alcun tanto ben scritto foglio,
che 'l vicin
fiume invidia aver gli puote.
Appresso a
questo un Ercol Bentivoglio
fa chiaro il
vostro onor con chiare note,
e Renato
Trivulcio, e 'l mio Guidetto,
e 'l Molza, a
dir di voi da Febo eletto.
13
C'è 'l
duca de' Carnuti Ercol, figliuolo
del duca mio,
che spiega l'ali come
canoro cigno,
e va cantando a volo,
e fin al
cielo udir fa il vostro nome.
C'è il
mio signor del Vasto, a cui non solo
di dare a
mille Atene e a mille Rome
di sé materia
basta, ch'anco accenna
volervi
eterne far con la sua penna.
14
Ed oltre a
questi ed altri ch'oggi avete,
che v'hanno
dato gloria e ve la danno,
voi per voi
stesse dar ve la potete;
poi che
molte, lasciando l'ago e 'l panno,
son con le
Muse a spegnersi la sete
al fonte
d'Aganippe andate, e vanno;
e ne ritornan
tai, che l'opra vostra
è
più bisogno a noi, ch'a voi la nostra.
15
Se chi sian
queste, e di ciascuna voglio
render buon
conto, e degno pregio darle,
bisognerà
ch'io verghi più d'un foglio,
e ch'oggi il
canto mio d'altro non parle:
e s'a lodarne
cinque o sei ne toglio,
io potrei
l'altre offendere e sdegnarle.
Che
farò dunque? Ho da tacer d'ognuna,
o pur fra
tante sceglierne sol una?
16
Sceglieronne
una; e sceglierolla tale,
che superato
avrà l'invidia in modo,
che
nessun'altra potrà avere a male,
se l'altre
taccio, e se lei sola lodo.
Quest'una ha
non pur sé fatta immortale
col dolce
stil di che il meglior non odo;
ma può
qualunque di cui parli o scriva,
trar del
sepolcro, e far ch'eterno viva.
17
Come Febo la
candida sorella
fa più
di luce adorna, e più la mira,
che Venere o
che Maia o ch'altra stella
che va col
cielo o che da sé si gira:
così
facundia, più ch'all'altre, a quella
di ch'io vi
parlo, e più dolcezza spira;
e dà
tal forza all'alte sue parole,
ch'orna a'
dì nostri il ciel d'un altro sole.
18
Vittoria
è 'l nome; e ben conviensi a nata
fra le
vittorie, ed a chi, o vada o stanzi,
di trofei
sempre e di trionfi ornata,
la vittoria
abbia seco, o dietro o inanzi.
Questa
è un'altra Artemisia, che lodata
fu di
pietà verso il suo Mausolo; anzi
tanto
maggior, quanto è più assai bell'opra,
che por
sotterra un uom, trarlo di sopra.
19
Se
Laodamìa se la moglier di Bruto,
s'Arria,
s'Argia, s'Evadne, e s'altre molte
meritar laude
per aver voluto,
morti i
mariti, esser con lor sepolte;
quanto onore
a Vittoria è più dovuto,
che di Lete e
del rio che nove volte
l'ombre
circonda, ha tratto il suo consorte,
mal grado de
le Parche e de la Morte!
20
S'al fiero
Achille invidia de la chiara
meonia tromba
il Macedonico ebbe,
quanto,
invitto Francesco di Pescara,
maggior a te,
se vivesse or, l'avrebbe!
che sì
casta mogliere e a te sì cara
canti
l'eterno onor che ti si debbe,
e che per lei
sì 'l nome tuo rimbombe,
che da bramar
non hai più chiare trombe.
21
Se quanto dir
se ne potrebbe, o quanto
io n'ho
desir, volessi porre in carte,
ne direi
lungamente; ma non tanto,
ch'a dir non
ne restasse anco gran parte:
e di Marfisa
e dei compagni intanto
la bella
istoria rimarria da parte,
la quale io
vi promisi di seguire,
s'in questo
canto mi verreste a udire.
22
Ora essendo
voi qui per ascoltarmi,
ed io per non
mancar de la promessa,
serberò
a maggior ozio di provarmi
ch'ogni laude
di lei sia da me espressa;
non perch'io
creda bisognar miei carmi
a chi se ne
fa copia da se stessa;
ma sol per
satisfare a questo mio.
c'ho
d'onorarla e di lodar, disio.
23
Donne, io
conchiudo in somma, ch'ogni etate
molte ha di
voi degne d'istoria avute;
ma per
invidia di scrittori state
non sete dopo
morte conosciute:
il che
più non sarà, poi che voi fate
per voi
stesse immortal vostra virtute.
Se far le due
cognate sapean questo,
si sapria
meglio ogni lor degno gesto.
24
Di Bradamante
e di Marfisa dico,
le cui
vittoriose inclite prove
di ritornare
in luce m'affatico;
ma de le
diece mancanmi le nove.
Queste ch'io
so, ben volentieri esplìco;
sì
perché ogni bell'opra si de', dove
occulta sia,
scoprir, sì perché bramo
a voi, donne,
aggradir, ch'onoro ed amo.
25
Stava
Ruggier, com'io vi dissi, in atto
di partirsi,
ed avea commiato preso,
e dall'arbore
il brando già ritratto,
che, come
dianzi, non gli fu conteso;
quando un
gran pianto, che non lungo tratto
era lontan,
lo fe' restar sospeso;
e con le
donne a quella via si mosse,
per aiutar,
dove bisogno fosse.
26
Spingonsi
inanzi, e via più chiaro il suon ne
viene, e via
più son le parole intese.
Giunti ne la
vallea, trovan tre donne
che fan quel
duolo, assai strane in arnese;
che fin
all'ombilico ha lor le gonne
scorciate non
so chi poco cortese:
e per non
saper meglio elle celarsi,
sedeano in
terra, e non ardian levarsi.
27
Come quel
figlio di Vulcan, che venne
fuor de la
polve senza madre in vita,
e Pallade
nutrir fe' con solenne
cura
d'Aglauro, al veder troppo ardita,
sedendo,
ascosi i brutti piedi tenne
su la
quadriga da lui prima ordita;
così
quelle tre giovani le cose
secrete lor
tenean, sedendo, ascose.
28
Lo spettacolo
enorme e disonesto
l'una e
l'altra magnanima guerriera
fe' del color
che nei giardin di Pesto
esser la rosa
suol da primavera.
Riguardò
Bradamante, e manifesto
tosto le fu
ch'Ullania una d'esse era,
Ullania che
da l'Isola Perduta
in Francia
messaggera era venuta:
29
e riconobbe
non men l'altre due;
che dove vide
lei, vide esse ancora.
Ma se
n'andaron le parole sue
a quella de
le tre ch'ella più onora;
e le domanda
chi sì iniquo fue,
e sì
di legge e di costumi fuora,
che quei
segreti agli occhi altrui riveli,
che, quanto
può, par che Natura celi.
30
Ullania che
conosce Bradamante,
non meno
ch'alle insegne, alla favella,
esser colei
che pochi giorni inante
avea gittati
i tre guerrier di sella,
narra che ad
un castel poco distante
una ria gente
e di pietà ribella,
oltre all'ingiuria
di scorciarle i panni,
l'avea
battuta e fattol'altri danni.
31
Né le sa dir
che de lo scudo sia,
né dei tre re
che per tanti paesi
fatto le
avean sì lunga compagnia:
non sa se
morti, o sian restati presi;
e dice c'ha
pigliata questa via,
ancor ch'andare
a piè molto le pesi,
per
richiamarsi de l'oltraggio a Carlo,
sperando che
non sia per tolerarlo.
32
Alle
guerriere ed a Ruggier, che meno
non han
pietosi i cor, ch'audaci e forti,
de' bei visi
turbò l'aer sereno
l'udire, e
più il veder sì gravi torti:
et obliando
ogn'altro affar che avieno,
e senza che
li prieghi o che gli esorti
la donna
afflitta a far la sua vendetta,
piglian la
via verso quel luogo in fretta.
33
Di commune
parer le sopraveste,
mosse da gran
bontà, s'aveano tratte,
cha' ricoprir
le parti meno oneste
di quelle
sventurate assai furo atte.
Bradamante
non vuol ch'Ullania peste
le strade a
piè, ch'avea a piede anco fatte,
e se la leva
in groppa del destriero;
l'altra
Marfisa, l'altra il buon Ruggiero.
34
Ullania a
Bradamante che la porta,
mostra la via
che va al castel più dritta:
Bradamante
all'incontro lei conforta,
che la
vendicherà di chi l'ha afflitta.
Lascian la
valle, e per via lunga e torta
sagliono un
colle or a man manca or ritta;
e prima il
sol fu dentro il mare ascoso,
che volesser
tra via prender riposo.
35
Trovaro una
villetta che la schena
d'un erto
colle, aspro a salir, tenea;
ove ebbon
buono albergo e buona cena,
quale avere
in quel loco si potea.
Si mirano
d'intorno, e quivi piena
ogni parte di
donne si vedea,
quai giovani,
quai vecchie; e in tanto stuolo
faccia non
v'apparia d'un uomo solo.
36
Non
più a Iason di maraviglia denno,
né agli
Argonauti che venian con lui,
le donne che
i mariti morir fenno
e i figli e i
padri coi fratelli sui,
sì che
per tutta l'isola di Lenno
di viril
faccia non si vider dui;
che Ruggier
quivi, e chi con Ruggier era
maraviglia
ebbe all'alloggiar la sera.
37
Fero ad
Ullania ed alle damigelle
che venivan
con lei, le due guerriere
la sera
proveder di tre gonnelle,
se non
così polite, almeno intere.
A sé chiama
Ruggiero una di quelle
donne
ch'abitan quivi, e vuol sapere
ove gli
uomini sian, ch'un non ne vede;
ed ella a lui
questa risposta diede:
38
- Questa che
forse è maraviglia a voi,
che tante
donne senza uomini siamo,
è
grave e intolerabil pena a noi,
che qui
bandite misere viviamo.
E perché il
duro esilio più ci annoi,
padri, figli
e mariti, che sì amiamo,
aspro e lungo
divorzio da noi fanno,
come piace al
crudel nostro tiranno.
39
Da le sue
terre, le quai son vicine
a noi due
leghe, e dove noi siàn nate,
qui ci ha
mandato il barbaro in confine,
prima di
mille scorni ingiuriate;
ed ha gli
uomini nostri e noi meschine
di morte e
d'ogni strazio minacciate,
se quelli a
noi verranno, o gli fia detto
che noi
diàn lor, venendoci, ricetto.
40
Nimico
è sì costui del nostro nome,
che non ci
vuol, più ch'io vi dico, appresso,
né ch'a noi
venga alcun de' nostri, come
l'odor
l'ammorbi del femineo sesso.
Già
due volte l'onor de le lor chiome
s'hanno
spogliato gli alberi e rimesso,
da indi in
qua che 'l rio signor vaneggia
in furor
tanto: e non è chi 'l correggia;
41
che 'l populo
ha di lui quella paura
che maggior
aver può l'uom de la morte;
ch'aggiunto
al mal voler gli ha la natura
una possanza
fuor d'umana sorte.
Il corpo suo
di gigantea statura
è
più, che di cent'altri insieme, forte.
Né pure a noi
sue suddite è molesto,
ma fa alle
strane ancor peggio di questo.
42
Se l'onor
vostro, e queste tre vi sono
punto care,
ch'avete in compagnia,
più vi
sarà sicuro, utile e buono
non gir
più inanzi, e trovar altra via.
Questa al
castel de l'uom di ch'io ragiono,
a provar mena
la costuma ria
che v'ha
posta il crudel con scorno e danno
di donne e di
guerrier che di là vanno.
43
Marganor il fellon
(così si chiama
il signore,
il tiran di quel castello),
del qual
Nerone, o s'altri è ch'abbia fama
di
crudeltà, non fu più iniquo e fello,
il sangue
uman, ma 'l feminil più brama,
che 'l lupo
non lo brama de l'agnello.
Fa con onta
scacciar le donne tutte
da lor ria
sorte a quel castel condutte. -
44
Perché
quell'empio in tal furor venisse,
volson le
donne intendere e Ruggiero:
pregar colei,
ch'in cortesia seguisse,
anzi che
cominciasse il conto intero.
- Fu il
signor del castel (la donna disse)
sempre
crudel, sempre inumano e fiero;
ma tenne un
tempo il cor maligno ascosto,
né si
lasciò conoscer così tosto:
45
che mentre
duo suoi figli erano vivi,
molto diversi
dai paterni stili,
ch'amavan
forestieri, ed eran schivi
di crudeltade
e degli altri atti vili;
quivi le
cortesie fiorivan, quivi
i bei costumi
e l'opere gentili:
che 'l padre
mai, quantunque avaro fosse,
da quel che
lor piacea non li rimosse.
46
Le donne e i
cavallier che questa via
facean talor,
venian sì ben raccolti,
che si
partian de l'alta cortesia
dei duo
germani inamorati molti.
Amendui
questi di cavalleria
parimente i
santi ordini avean tolti:
Cilandro
l'un, l'altro Tanacro detto,
gagliardi,
arditi e di reale aspetto.
47
Ed eran
veramente, e sarian stati
sempre di
laude degni e d'ogni onore,
s'in preda
non si fossino sì dati
a quel desir
che nominiamo amore;
per cui dal
buon sentier fur traviati
al labirinto
ed al camin d'errore;
e ciò
che mai di buono aveano fatto,
restò
contaminato e brutto a un tratto.
48
Capitò
quivi un cavallier di corte
del greco
imperator, che seco avea
una sua donna
di maniere accorte,
bella quanto
bramar più si potea.
Cilandro in
lei s'inamorò sì forte,
che morir,
non l'avendo, gli parea:
gli parea che
dovesse, alla partita
di lei,
partire insieme la sua vita.
49
E perché i
prieghi non v'avriano loco,
di volerla
per forza si dispose.
Armossi, e
dal castel lontano un poco,
ove passar
dovean, cheto s'ascose.
L'usata
audacia e l'amoroso fuoco
non gli
lasciò pensar troppo le cose:
sì che
vedendo il cavallier venire,
l'andò
lancia per lancia ad assalire.
50
Al primo
incontro credea porlo in terra,
portar la
donna e la vittoria indietro:
ma 'l
cavallier, che mastro era di guerra,
l'osbergo gli
spezzò come di vetro.
Venne la
nuova al padre ne la terra,
che lo fe'
riportar sopra un ferètro;
e ritrovandol
morto, con gran pianto
gli
diè sepulcro agli antiqui avi a canto.
51
Né più
però né manco si contese
l'albergo e
l'accoglienza a questo e a quello,
perché non
men Tanacro era cortese,
né meno era
gentil di suo fratello.
L'anno
medesmo di lontan paese
con la moglie
un baron venne al castello,
a maraviglia
egli gagliardo, ed ella,
quanto si
possa dir, leggiadra e bella;
52
né men che
bella, onesta e valorosa,
e degna veramente
d'ogni loda:
il cavallier,
di stirpe generosa,
di tanto
ardir, quanto più d'altri s'oda.
E ben
conviensi a tal valor, che cosa
di tanto
prezzo e sì eccellente goda.
Olindro il
cavallier da Lungavilla,
la donna
nominata era Drusilla.
53
Non men di
questa il giovene Tanacro
arse, che 'l
suo fratel di quella ardesse,
che gli fe'
gustar fine acerbo ed acro
del desiderio
ingiusto ch'in lei messe.
Non men di
lui di violar del sacro
e santo
ospizio ogni ragione ellesse,
più
tosto che patir che 'l duro e forte
nuovo desir
lo conducesse a morte.
54
Ma perch'avea
dinanzi agli occhi il tema
del suo
fratel che n'era stato morto,
pensa di
torla in guisa, che non tema
ch'Olindro
s'abbia a vendicar del torto.
Tosto
s'estingue in lui, non pur si scema
quella
virtù su che solea star sorto;
ché non lo
sommergean dei vizi l'acque,
de le quai
sempre al fondo il padre giacque.
55
Con gran
silenzio fece quella notte
seco raccor
da vent'uomini armati;
e lontan dal
castel, fra certe grotte
che si trovan
tra via, messe gli aguati.
Quivi ad
Olindro il dì le strade rotte,
e chiusi i
passi fur da tutti i lati;
e ben che fe'
lunga difesa e molta,
pur la moglie
e la vita gli fu tolta.
56
Ucciso
Olindro, ne menò captiva
la bella
donna, addolorata in guisa,
ch'a patto
alcun restar non volea viva,
e di grazia
chiedea d'essere uccisa.
Per morir si
gittò giù d'una riva
che vi
trovò sopra un vallone assisa;
e non poté
morir, ma con la testa
rotta rimase,
e tutta fiacca e pesta.
57
Altrimente
Tanacro riportarla
a casa non
poté che s'una bara.
Fece con
diligenza medicarla;
che perder
non volea preda sì cara.
E mentre che
s'indugia a risanarla,
di celebrar
le nozze si prepara:
ch'aver
sì bella donna e sì pudica
debbe nome di
moglie, e non d'amica.
58
Non pensa
altro Tanacro, altro non brama,
d'altro non
cura, e d'altro mai non parla.
Si vede
averla offesa, e se ne chiama
in colpa, e
ciò che può, fa d'emendarla.
Ma tutto
è invano: quanto egli più l'ama,
quanto
più s'affatica di placarla,
tant'ella
odia più lui, tanto è più forte,
tanto
è più ferma in voler porlo a morte.
59
Ma non
però quest'odio così ammorza
la conoscenza
in lei, che non comprenda
che, se vuol
far quanto disegna, è forza
che simuli,
ed occulte insidie tenda;
e che 'l
desir sotto contraria scorza
(il quale
è sol come Tanacro offenda)
veder gli
faccia; e che si mostri tolta
dal primo
amore, e tutto a lui rivolta.
60
Simula il
viso pace; ma vendetta
chiama il cor
dentro, e ad altro non attende.
Molte cose
rivolge, alcune accetta,
altre ne lascia,
ed altre in dubbio appende.
Le par che
quando essa a morir si metta,
avrà
il suo intento; e quivi al fin s'apprende.
E dove meglio
può morire, o quando,
che 'l suo
caro marito vendicando?
61
Ella si
mostra tutta lieta, e finge
di queste
nozze aver sommo disio;
e ciò
che può indugiarle, a dietro spinge,
non ch'ella
mostri averne il cor restio.
Più de
l'altre s'adorna e si dipinge:
Olindro al
tutto par messo in oblio.
Ma che sian
fatte queste nozze vuole,
come ne la
sua patria far si suole.
62
Non era
però ver che questa usanza
che dir
volea, ne la sua patria fosse:
ma, perché in
lei pensier mai non avanza,
che spender
possa altrove, imaginosse
una bugia, la
qual le diè speranza
di far morir
chi 'l suo signor percosse:
e disse di
voler le nozze a guisa
de la sua
patria, e 'l modo gli devisa.
63
- La
vedovella che marito prende,
deve, prima
(dicea) ch'a lui s'appresse,
placar l'alma
del morto ch'ella offende,
facendo
celebrargli offici e messe,
in remission
de le passate mende,
nel tempio
ove di quel son l'ossa messe;
e dato fin
ch'al sacrificio sia,
alla sposa
l'annel lo sposo dia:
64
ma ch'abbia
in questo mezzo il sacerdote
sul vino ivi
portato a tale effetto
appropriate
orazion devote,
sempre il
liquor benedicendo, detto;
indi che 'l
fiasco in una coppa vote,
e dia alli
sposi il vino benedetto:
ma portare
alla sposa il vino tocca,
ed esser
prima a porvi su la bocca. -
65
Tanacro, che
non mira quanto importe
ch'ella le
nozze alla sua usanza faccia,
le dice: -
Pur che 'l termine si scorte
d'essere
insieme, in questo si compiaccia. -
Né s'avede il
meschin ch'essa la morte
d'Olindro
vendicar così procaccia,
e sì
la voglia ha in uno oggetto intensa,
che sol di
quello, e mai d'altro non pensa.
66
Avea seco
Drusilla una sua vecchia,
che seco
presa, seco era rimasa.
A sé
chiamolla, e le disse all'orecchia,
sì che
non poté udire uomo di casa:
- Un subitano
tosco m'apparecchia,
qual so che
sai comporre, e me lo invasa;
c'ho trovato
la via di vita torre
il traditor
figliuol di Marganorre.
67
E me so come,
e te salvar non meno:
ma diferisco
a dirtelo più ad agio. -
Andò
la vecchia, e apparecchiò il veneno,
ed
acconciollo, e ritornò al palagio.
Di vin dolce
di Candia un fiasco pieno
trovò
da por con quel succo malvagio,
e lo
serbò pel giorno de le nozze;
ch'omai tutte
l'indugie erano mozze.
68
Lo statuito
giorno al tempio venne,
di gemme
ornata e di leggiadre gonne,
ove
d'Olindro, come gli convenne,
fatto avea
l'arca alzar su due colonne.
Quivi
l'officio si cantò solenne:
trasseno a
udirlo tutti, uomini e donne,
e lieto
Marganor più de l'usato,
venne col
figlio e con gli amici a lato.
69
Tosto ch'al
fin le sante esequie foro,
e fu col
tosco il vino benedetto,
il sacerdote
in una coppa d'oro
lo
versò, come avea Drusilla detto.
Ella ne bebbe
quanto al suo decoro
si conveniva,
e potea far l'effetto:
poi
diè allo sposo con viso giocondo
il nappo; e
quel gli fe' apparire il fondo.
70
Renduto il
nappo al sacerdote, lieto
per
abbracciar Drusilla apre le braccia.
Or quivi il
dolce stile e mansueto
in lei si
cangia e quella gran bonaccia.
Lo spinge a
dietro, e gli ne fa divieto,
e par ch'arda
negli occhi e ne la faccia;
e con voce
terribile e incomposta
gli grida: -
Traditor, da me ti scosta!
71
Tu dunque
avrai da me solazzo e gioia,
io lagrime da
te, martìri e guai?
Io vo' per le
mie man ch'ora tu muoia:
questo
è stato venen, se tu nol sai.
Ben mi duol
c'hai troppo onorato boia,
che troppo
lieve e facil morte fai;
che mani e
pene io non so sì nefande,
che fosson pari
al tuo peccato grande.
72
Mi duol di
non vedere in questa morte
il sacrificio
mio tutto perfetto:
che s'io 'l
poteva far di quella sorte
ch'era il
disio, non avria alcun difetto.
Di ciò
mi scusi il dolce mio consorte:
riguardi al
buon volere, e l'abbia accetto;
che non
potendo come avrei voluto,
io t'ho fatto
morir come ho potuto.
73
E la punizion
che qui, secondo
il desiderio
mio, non posso darti,
spero l'anima
tua ne l'altro mondo
veder patire;
ed io starò a mirarti. -
Poi disse,
alzando con viso giocondo
i turbidi
occhi alle superne parti:
- Questa
vittima, Olindro, in tua vendetta
col buon
voler de la tua moglie accetta;
74
ed impetra
per me dal Signor nostro
grazia, ch'in
paradiso oggi io sia teco.
Se ti
dirà che senza merto al vostro
regno anima
non vien, di' ch'io l'ho meco;
che di questo
empio e scelerato mostro
le spoglie
opime al santo tempio arreco.
E che merti
esser puon maggior di questi,
spegner
sì brutte e abominose pesti? -
75
Finì
il parlare insieme con la vita;
e morta anco
parea lieta nel volto
d'aver la
crudeltà così punita
di chi il
caro marito le avea tolto.
Non so se
prevenuta, o se seguita
fu da lo
spirto di Tanacro sciolto:
fu prevenuta,
credo; ch'effetto ebbe
prima il
veneno in lui, perché più bebbe.
76
Marganor che
cader vede il figliuolo,
e poi restar
ne le sue braccia estinto,
fu per morir
con lui, dal grave duolo
ch'alla
sprovista lo trafisse, vinto.
Duo n'ebbe un
tempo, or si ritrova solo:
due femine a
quel termine l'han spinto.
La morte a
l'un da l'una fu causata;
e l'altra
all'altro di sua man l'ha data.
77
Amor,
pietà, sdegno, dolore ed ira,
disio di
morte e di vendetta insieme
quell'infelice
ed orbo padre aggira,
che, come il
mar che turbi il vento, freme.
Per
vendicarsi va a Drusilla, e mira
che di sua
vita ha chiuse l'ore estreme;
e come il
punge e sferza l'odio ardente,
cerca
offendere il corpo che non sente.
78
Qual serpe
che ne l'asta ch'alla sabbia
la tenga
fissa, indarno i denti metta;
o qual mastin
ch'al ciottolo che gli abbia
gittato il
viandante, corra in fretta,
e morda
invano con stizza e con rabbia,
né se ne
voglia andar senza vendetta:
tal Marganor
d'ogni mastin, d'ogni angue
via
più crudel, fa contra il corpo esangue.
79
E poi che per
stracciarlo e farne scempio
non si sfoga
il fellon né disacerba,
vien fra le
donne di che è pieno il tempio,
né più
l'una de l'altra ci riserba;
ma di noi fa
col brando crudo ed empio
quel che fa
con la falce il villan d'erba.
Non vi fu
alcun ripar, ch'in un momento
trenta
n'uccise, e ne ferì ben cento.
80
Egli da la
sua gente è sì temuto,
ch'uomo non
fu ch'ardisse alzar la testa.
Fuggon le
donne col popul minuto
fuor de la
chiesa, e chi può uscir, non resta.
Quel pazzo
impeto al fin fu ritenuto
dagli amici
con prieghi e forza onesta,
e lasciando
ogni cosa in pianto al basso,
fatto entrar
ne la rocca in cima al sasso.
81
E tuttavia la
colera durando,
di cacciar
tutte per partito prese;
poi che gli
amici e 'l populo pregando,
che non ci
uccise a fatto, gli contese:
e quel
medesmo dì fe' andare un bando,
che tutte gli
sgombrassimo il paese;
e darci qui
gli piacque le confine.
Misera chi al
castel più s'avvicine!
82
Da le mogli
così furo i mariti,
da le madri
così i figli divisi.
S'alcuni sono
a noi venire arditi,
nol sappia
già chi Marganor n'avisi;
che di multe
gravissime puniti
n'ha molti, e
molti crudelmente uccisi.
Al suo
castello ha poi fatto una legge,
di cui
peggior non s'ode né si legge.
83
Ogni donna
che trovin ne la valle,
la legge vuol
(ch'alcuna pur vi cade)
che percuotan
con vimini alle spalle,
e la faccian
sgombrar queste contrade:
ma scorciar
prima i panni, e mostrar falle
quel che
Natura asconde ed Onestade;
e s'alcuna vi
va, ch'armata scorta
abbia di
cavallier, vi resta morta.
84
Quelle
c'hanno per scorta cavallieri,
son da questo
nimico di pietate,
come vittime,
tratte ai cimiteri
dei morti
figli, e di sua man scannate.
Leva con
ignominia arme e destrieri,
e poi caccia
in prigion chi l'ha guidate:
e lo
può far; che sempre notte e giorno
si trova
più di mille uomini intorno.
85
E dir di
più vi voglio ancora, ch'esso,
s'alcun ne
lascia, vuol che prima giuri
su l'ostia
sacra, che 'l femineo sesso
in odio
avrà fin che la vita duri.
Se perder
queste donne e voi appresso
dunque vi
pare, ite a veder quei muri
ove alberga
il fellone, e fate prova
s'in lui
più forza o crudeltà si trova. -
86
Così
dicendo, le guerriere mosse
prima a
pietade, e poscia a tanto sdegno,
che se, come
era notte, giorno fosse,
sarian corse
al castel senza ritegno.
La bella
compagnia quivi pososse;
e tosto che
l'Aurora fece segno
che dar
dovesse al Sol loco ogni stella,
ripigliò
l'arme e si rimesse in sella.
87
Già
sendo in atto di partir, s'udiro
le strade
risonar dietro le spalle
d'un lungo
calpestio, che gli occhi in giro
fece a tutti
voltar giù ne la valle.
E lungi
quanto esser potrebbe un tiro
di mano,
andar per uno istretto calle
vider da
forse venti armati in schiera,
di che parte
in arcion, parte a pied'era;
88
e che traean
con lor sopra un cavallo
donna ch'al
viso aver parea molt'anni,
a guisa che
si mena un che per fallo
a fuoco o a
ceppo o a laccio si condanni:
la qual fu,
non ostante l'intervallo,
tosto
riconosciuta al viso e ai panni.
La riconobber
queste de la villa
esser la
cameriera di Drusilla:
89
la cameriera
che con lei fu presa
dal rapace
Tanacro, come ho detto,
ed a chi fu
dipoi data l'impresa
di quel venen
che fe' 'l crudele effetto.
Non era
entrata ella con l'altre in chiesa;
che di quel
che seguì stava in sospetto:
anzi in quel
tempo, de la villa uscita,
ove esser
sperò salva, era fugita.
90
Avuto
Marganor poi di lei spia,
la qual s'era
ridotta in Ostericche,
non ha
cessato mai di cercar via
come in man
l'abbia, acciò l'abruci o impicche:
e finalmente
l'Avarizia ria,
mossa da doni
e da proferte ricche,
ha fatto
ch'un baron, ch'assicurata
l'avea in sua
terra, a Marganor l'ha data:
91
e mandata
glie l'ha fin a Costanza
sopra un
somier, come la merce s'usa,
legata e
stretta, e toltole possanza
di far
parole, e in una cassa chiusa:
onde poi
questa gente l'ha ad istanza
de l'uom
ch'ogni pietade ha da sé esclusa,
quivi
condotta con disegno ch'abbia
l'empio a
sfogar sopra di lei sua rabbia.
92
Come il gran
fiume che di Vesulo esce,
quanto
più inanzi e verso il mar discende,
e che con lui
Lambra e Ticin si mesce,
ed Ada e gli
altri onde tributo prende,
tanto
più altiero e impetuoso cresce;
così
Ruggier, quante più colpe intende
di Marganor,
così le due guerriere
se gli fan
contra più sdegnose e fiere.
93
Elle fur
d'odio, elle fur d'ira tanta
contra il
crudel, per tante colpe, accese,
che di
punirlo, mal grado di quanta
gente egli
avea, conclusion si prese.
Ma dargli
presta morte troppo santa
pena lor
parve e indegna a tante offese;
ed era meglio
fargliela sentire,
fra strazio
prolungandola e martìre.
94
Ma prima
liberar la donna è onesto,
che sia
condotta da quei birri a morte.
Lentar di
briglia col calcagno presto
fece a'
presti destrier far le vie corte.
Non ebbon gli
assaliti mai di questo
uno incontro
più acerbo né più forte;
sì che
han di grazia di lasciar gli scudi
e la donna e
l'arnese, e fuggir nudi:
95
sì
come il lupo che di preda vada
carco alla
tana, e quando più si crede
d'esser
sicur, dal cacciator la strada
e da' suoi cani
attraversar si vede,
getta la
soma, e dove appar men rada
la scura
macchia inanzi, affretta il piede.
Già
men presti non fur quelli a fuggire,
che li fusson
quest'altri ad assalire.
96
Non pur la
donna e l'arme vi lasciaro,
ma de'
cavalli ancor lasciaron molti,
e da rive e
da grotte si lanciaro,
parendo lor
così d'esser più sciolti.
Il che alle
donne ed a Ruggier fu caro;
che tre di
quei cavalli ebbono tolti
per portar
quelle tre che 'l giorno d'ieri
feron sudar
le groppe ai tre destrieri.
97
Quindi
espediti segueno la strada
verso
l'infame e dispietata villa.
Voglion che
seco quella vecchia vada,
per veder la
vendetta di Drusilla.
Ella che teme
che non ben le accada,
lo niega
indarno, e piange e grida e strilla;
ma per forza
Ruggier la leva in groppa
del buon
Frontino, e via con lei galoppa.
98
Giunseno in
somma onde vedeano al basso
di molte case
un ricco borgo e grosso,
che non
serrava d'alcun lato il passo,
perché né
muro intorno avea né fosso.
Avea nel
mezzo un rilevato sasso
ch'un'alta rocca
sostenea sul dosso.
A quella si
drizzar con gran baldanza,
ch'esser
sapean di Marganor la stanza.
99
Tosto che son
nel borgo, alcuni fanti
che v'erano
alla guardia de l'entrata,
dietro
chiudon la sbarra, e già davanti
veggion che
l'altra uscita era serrata:
ed ecco
Marganorre, e seco alquanti
a piè
e a cavallo, e tutta gente armata;
che con brevi
parole, ma orgogliose,
la ria
costuma di sua terra espose.
100
Marfisa, la
qual prima avea composta
con
Bradamante e con Ruggier la cosa,
gli
spronò incontro in cambio di risposta;
e com'era
possente e valorosa,
senza
ch'abbassi lancia, o che sia posta
in opra
quella spada sì famosa,
col pugno in
guisa l'elmo gli martella,
che lo fa
tramortir sopra la sella.
101
Con Marfisa
la giovane di Francia
spinge a un
tempo il destrier, né Ruggier resta
ma con tanto
valor corre la lancia,
che sei,
senza levarsela di resta,
n'uccide, uno
ferito ne la pancia,
duo nel
petto, un nel collo, un ne la testa:
nel sesto che
fuggia l'asta si roppe,
ch'entrò
alle schene e riuscì alle poppe.
102
La figliuola
d'Amon quanti ne tocca
con la sua
lancia d'or, tanti n'atterra:
fulmine par,
che 'l cielo ardendo scocca,
che
ciò ch'incontra, spezza e getta a terra.
Il popul
sgombra, chi verso la rocca,
chi verso il
piano; altri si chiude e serra,
chi ne le
chiese e chi ne le sue case;
né, fuor che
morti, in piazza uomo rimase.
103
Marfisa
Marganorre avea legato
intanto con
le man dietro alle rene,
ed alla
vecchia di Drusilla dato,
ch'appagata e
contenta se ne tiene.
D'arder quel
borgo poi fu ragionato,
s'a penitenza
del suo error non viene:
levi la legge
ria di Marganorre,
e questa
accetti, ch'essa vi vuol porre.
104
Non fu
già d'ottener questo fatica;
con quella
gente, oltre al timor ch'avea
che
più faccia Marfisa che non dica,
ch'uccider
tutti ed abbruciar volea,
di Marganorre
affatto era nimica
e de la legge
sua crudele e rea.
Ma 'l populo
facea come i più fanno,
ch'ubbidiscon
più a quei che più in odio hanno.
105
Però
che l'un de l'altro non si fida,
e non ardisce
conferir sua voglia,
lo lascian
ch'un bandisca, un altro uccida,
a quel
l'avere, a questo l'onor toglia.
Ma il cor che
tace qui, su nel ciel grida,
fin che Dio e
santi alla vendetta invoglia;
la qual, se
ben tarda a venir, compensa
l'indugio poi
con punizione immensa.
106
Or quella
turba d'ira e d'odio pregna
con fatti e
con mal dir cerca vendetta:
com'è
in proverbio, ognun corre a far legna
all'arbore
che 'l vento in terra getta.
Sia
Marganorre esempio di chi regna;
che chi mal
opra, male al fine aspetta.
Di vederlo
punir de' suoi nefandi
peccati,
avean piacer piccioli e grandi.
107
Molti a chi
fur le mogli o le sorelle
o le figlie o
le madri da lui morte,
non
più celando l'animo ribelle,
correan per
dargli di lor man la morte:
e con fatica
lo difeser quelle
magnanime
guerriere e Ruggier forte;
che disegnato
avean farlo morire
d'affanno, di
disagio e di martire.
108
A quella
vecchia che l'odiava quanto
femina odiare
alcun nimico possa,
nudo in mano
lo dier, legato tanto,
che non si
scioglierà per una scossa;
ed ella, per
vendetta del suo pianto,
gli
andò facendo la persona rossa
con un
stimulo aguzzo ch'un villano,
che quivi si
trovò, le pose in mano.
109
La messaggera
e le sue giovani anco,
che
quell'onta non son mai per scordarsi,
non s'hanno
più a tener le mani al fianco,
né meno che
la vecchia, a vendicarsi;
ma sì
è il desir d'offenderlo, che manco
viene il
potere, e pur vorrian sfogarsi:
chi con sassi
il percuote, chi con l'unge;
altra lo
morde, altra cogli aghi il punge.
110
Come torrente
che superbo faccia
lunga pioggia
talvolta o nievi sciolte,
va ruinoso, e
giù da' monti caccia
gli arbori e
i sassi e i campi e le ricolte;
vien tempo
poi, che l'orgogliosa faccia
gli cade, e
sì le forze gli son tolte,
ch'un
fanciullo, una femina per tutto
passar lo
puote, e spesso a piede asciutto:
111
così
già fu che Marganorre intorno
fece tremar,
dovunque udiasi il nome;
or venuto
è chi gli ha spezzato il corno
di tanto
orgoglio, e sì le forze dome,
che gli puon
far sin a' bambini scorno,
chi pelargli
la barba e chi le chiome.
Quindi
Ruggiero e le donzelle il passo
alla rocca
voltar, ch'era sul sasso.
112
La diè
senza contrasto in poter loro
chi v'era
dentro, e così i ricchi arnesi,
ch'in parte
messi a sacco, in parte foro
dati ad
Ullania ed a' compagni offesi.
Ricovrato vi
fu lo scudo d'oro,
e quei tre re
ch'avea il tiranno presi,
li quai
venendo quivi, come parmi
d'avervi
detto, erano a piè senz'armi;
113
perché dal
dì che fur tolti di sella
da
Bradamante, a piè sempre eran iti
senz'arme, in
compagnia de la donzella
la qual
venìa da sì lontani liti.
Non so se
meglio o peggio fu di quella,
che di lor
armi non fusson guerniti.
Era ben
meglio esser da lor difesa;
ma peggio
assai, se ne perdean l'impresa:
114
perché stata
saria, com'eran tutte
quelle
ch'armate avean seco le scorte,
al cimitero
misere condutte
dei due
fratelli, e in sacrificio morte.
Gli è
pur men che morir, mostrar le brutte
e disoneste
parti, duro e forte;
e sempre
questo e ogn'altro obbrobrio amorza
il poter dir
che le sia fatto a forza.
115
Prima ch'indi
si partan le guerriere,
fan venir gli
abitanti a giuramento,
che daranno i
mariti alle mogliere
de la terra e
del tutto il reggimento;
e castigato
con pene severe
sarà
chi contrastare abbia ardimento.
In somma quel
ch'altrove è del marito,
che sia qui
de la moglie è statuito.
116
Poi si
feccion promettere ch'a quanti
mai verrian
quivi, non darian ricetto,
o fosson
cavallieri, o fosson fanti,
né 'ntrar li
lascerian pur sotto un tetto,
se per Dio
non giurassino e per santi,
o s'altro
giuramento v'è più stretto,
che sarian
sempre de le donne amici,
e dei nimici
lor sempre nimici;
117
e s'avranno
in quel tempo, e se saranno,
tardi o
più tosto, mai per aver moglie,
che sempre a
quelle sudditi saranno,
e ubbidienti
a tutte le lor voglie.
Tornar
Marfisa, prima ch'esca l'anno,
disse, e che
perdan gli arbori le foglie;
e se la legge
in uso non trovasse,
fuoco e ruina
il borgo s'aspettasse.
118
Né quindi si
partir, che de l'immondo
luogo
dov'era, fer Drusilla torre,
e col marito
in uno avel, secondo
ch'ivi potean
più riccamente porre.
La vecchia
facea intanto rubicondo
con lo
stimulo il dosso a Marganorre:
sol si dolea
di non aver tal lena,
che potesse
non dar triegua alla pena.
119
L'animose
guerriere a lato un tempio
videno quivi
una colonna in piazza,
ne la qual
fatt'avea quel tiranno empio
scriver la
legge sua crudele e pazza.
Elle,
imitando d'un trofeo l'esempio,
lo scudo
v'attaccaro e la corazza
di Marganorre
e l'elmo; e scriver fenno
la legge
appresso, ch'esse al loco denno.
120
Quivi
s'indugiar tanto, che Marfisa
fe' por la
legge sua ne la colonna,
contraria a
quella che già v'era incisa
a morte ed
ignominia d'ogni donna.
Da questa
compagnia restò divisa
quella
d'Islanda, per rifar la gonna;
che comparire
in corte obbrobrio stima,
se non si
veste ed orna come prima.
121
Quivi rimase
Ullania; e Marganorre
di lei
restò in potere: ed essa poi,
perché non
s'abbia in qualche modo a sciorre,
e le donzelle
un'altra volta annoi,
lo fe' un
giorno saltar giù d'una torre,
che non fe'
il maggior salto a' giorni suoi.
Non
più di lei, né più dei suoi si parli,
ma de la
compagnia che va verso Arli.
122
Tutto quel
giorno, e l'altro fin appresso
l'ora di
terza andaro; e poi che furo
giunti dove
in due strade è il camin fesso
(l'una va al
campo, e l'altra d'Arli al muro),
tornar gli
amanti ad abbracciarsi, e spesso
a tor
commiato, e sempre acerbo e duro.
Al fin le
donne in campo, e in Arli è gito
Ruggiero; ed
io il mio canto ho qui finito.
1
Cortesi
donne, che benigna udienza
date a' miei
versi, io vi veggo al sembiante,
che
quest'altra sì subita partenza
che fa
Ruggier da la sua fida amante,
vi dà
gran noia, e avete displicenza
poco minor
ch'avesse Bradamante;
e fate anco
argumento ch'esser poco
in lui
dovesse l'amoroso fuoco.
2
Per ogni
altra cagion ch'allontanato
contra la
voglia d'essa se ne fusse,
ancor
ch'avesse più tesor sperato
che Creso o
Crasso insieme non ridusse,
io crederia
con voi, che penetrato
non fosse al
cor lo stral che lo percusse;
ch'un almo
gaudio, un così gran contento
non potrebbe
comprare oro né argento.
3
Pur, per
salvar l'onor, non solamente
d'escusa, ma
di laude è degno ancora;
per salvar,
dico, in caso ch'altrimente
facendo,
biasmo ed ignominia fôra:
e se la donna
fosse renitente
ed ostinata
in fargli far dimora,
darebbe di sé
indizio e chiaro segno
o d'amar poco
o d'aver poco ingegno.
4
Che se
l'amante de l'amato deve
la vita amar
più de la propria, o tanto
(io parlo
d'uno amante a cui non lieve
colpo d'Amor
passò più là del manto);
al piacer
tanto più, ch'esso riceve,
l'onor di
quello antepor deve, quanto
l'onore
è di più pregio che la vita,
ch'a tutti
altri piaceri è preferita.
5
Fece Ruggiero
il debito a seguire
il suo
signor, che non se ne potea,
se non con
ignominia, dipartire;
che ragion di
lasciarlo non avea.
E s'Almonte
gli fe' il padre morire,
tal colpa in
Agramante non cadea;
ch'in molti
effetti avea con Ruggier poi
emendato ogni
error dei maggior suoi.
6
Farà
Ruggiero il debito a tornare
al suo
signore; ed ella ancor lo fece,
che sforzar
non lo volse di restare,
come potea,
con iterata prece.
Ruggier
potrà alla donna satisfare
a un altro
tempo, s'or non satisfece:
ma all'onor,
chi gli manca d'un momento,
non
può in cento anni satisfar né in cento.
7
Torna
Ruggiero in Arli, ove ha ritratta
Agramante la
gente che gli avanza.
Bradamante e
Marfisa, che contratta
col parentado
avean grande amistanza,
andaro
insieme ove re Carlo fatta
la maggior
prova avea di sua possanza,
sperando, o
per battaglia o per assedio,
levar di
Francia così lungo tedio.
8
Di
Bradamante, poi che conosciuta
in campo fu,
si fe' letizia e festa:
ognun la
riverisce e la saluta;
ed ella a
questo e a quel china la testa.
Rinaldo, come
udì la sua venuta,
le venne
incontra; né Ricciardo resta
né
Ricciardetto od altri di sua gente,
e la
raccoglion tutti allegramente.
9
Come s'intese
poi che la compagna
era Marfisa,
in arme sì famosa,
che dal
Cataio ai termini di Spagna
di mille
chiare palme iva pomposa;
non è
povero o ricco che rimagna
nel
padiglion: la turba disiosa
vien quinci e
quindi, e s'urta, storpia e preme
sol per veder
sì bella coppia insieme.
10
A Carlo
riverenti appresentarsi.
Questo fu il
primo dì (scrive Turpino)
che fu vista
Marfisa inginocchiarsi;
che sol le
parve il figlio di Pipino
degno, a cui
tanto onor dovesse farsi,
tra quanti, o
mai nel popul saracino
o nel
cristiano, imperatori e regi
per
virtù vide o per ricchezza egregi.
11
Carlo
benignamente la raccolse,
e le
uscì incontra fuor dei padiglioni;
e che sedesse
a lato suo poi volse
sopra tutti
re, principi e baroni.
Si diè
licenza a chi non se la tolse;
sì che
tosto restaro in pochi e buoni:
restaro i
paladini e i gran signori;
la vilipesa
plebe andò di fuori.
12
Marfisa
cominciò con grata voce:
- Eccelso,
invitto e glorioso Augusto,
che dal mar
Indo alla Tirinzia foce,
dal bianco
Scita all'Etiope adusto
riverir fai
la tua candida croce,
né di te
regna il più saggio o 'l più giusto;
tua fama,
ch'alcun termine non serra,
qui tratto
m'ha fin da l'estrema terra.
13
E, per
narrarti il ver, sola mi mosse
invidia, e
sol per farti guerra io venni,
acciò
che sì possente un re non fosse,
che non
tenesse la legge ch'io tenni.
Per questo ho
fatto le campagne rosse
del cristian
sangue; ed altri fieri cenni
era per farti
da crudel nimica,
se non cadea
chi mi t'ha fatto amica.
14
Quando nuocer
pensai più alle tue squadre,
io trovo (e
come sia dirò più adagio)
che 'l bon
Ruggier di Risa fu mio padre,
tradito a
torto dal fratel malvagio.
Portommi in
corpo mia misera madre
di là
dal mare, e nacqui in gran disagio.
Nutrimmi un
mago infin al settimo anno,
a cui gli
Arabi poi rubata m'hanno.
15
E mi vendero
in Persia per ischiava
a un re che
poi cresciuta io posi a morte;
che mia
virginità tor mi cercava.
Uccisi lui
con tutta la sua corte;
tutta cacciai
la sua progenie prava,
e presi il
regno; e tal fu la mia sorte,
che diciotto
anni d'uno o di due mesi
io non
passai, che sette regni presi.
16
E di tua fama
invidiosa, come
io t'ho
già detto, avea fermo nel core
la grande
altezza abbatter del tuo nome:
forse il
faceva, o forse era in errore.
Ma ora avvien
che questa voglia dome,
e faccia
cader l'ale al mio furore,
l'aver
inteso, poi che qui son giunta,
come io ti
son d'affinità congiunta.
17
E come il
padre mio parente e servo
ti fu, ti son
parente e serva anch'io:
e quella
invidia e quell'odio protervo
il qual io
t'ebbi un tempo, or tutto oblio;
anzi contra
Agramante io lo riservo,
e contra
ogn'altro che sia al padre o al zio
di lui stato
parente, che fur rei
di porre a
morte i genitori miei. -
18
E
seguitò, voler cristiana farsi,
e dopo
ch'avrà estinto il re Agramante,
voler
piacendo a Carlo, ritornarsi
a battezzare
il suo regno in Levante;
ed indi
contra tutto il mondo armarsi,
ove Macon
s'adori e Trivigante;
e con
promission, ch'ogni suo acquisto
sia de
l'Impero e de la fé di Cristo.
19
L'imperator,
che non meno eloquente
era, che
fosse valoroso e saggio,
molto
esaltando la donna eccellente,
e molto il
padre e molto il suo lignaggio,
rispose ad
ogni parte umanamente,
e
mostrò in fronte aperto il suo coraggio;
e conchiuse
ne l'ultima parola,
per parente
accettarla e per figliuola.
20
E qui si
leva, e di nuovo l'abbraccia,
e, come
figlia, bacia ne la fronte.
vengono tutti
con allegra faccia
quei di
Mongrana e quei di Chiaramonte.
Lungo a dir
fôra, quanto onor le faccia
Rinaldo, che
di lei le prove conte
vedute avea
più volte al paragone,
quando
Albracca assediar col suo girone.
21
Lungo a dir
fôra, quanto il giovinetto
Guidon
s'allegri di veder costei,
Aquilante e
Grifone e Sansonetto
ch'alla
città crudel furon con lei;
Malagigi e
Viviano e Ricciardetto,
ch'all'occision
de' Maganzesi rei
e di quei
venditori empi di Spagna
l'aveano
avuta sì fedel compagna.
22
Apparecchiar
per lo seguente giorno,
ed ebbe cura
Carlo egli medesmo,
che fosse un
luogo riccamente adorno,
ove prendesse
Marfisa battesmo.
I vescovi e
gran chierici d'intorno,
che le leggi
sapean del cristianesmo,
fece
raccorre, acciò da lor in tutta
la santa fé
fosse Marfisa istrutta.
23
Venne in
pontificale abito sacro
l'arcivesco
Turpino, e battizzolla:
Carlo dal
salutifero lavacro
con cerimonie
debite levolla.
Ma tempo
è ormai ch'al capo voto e macro
di senno si
soccorra con l'ampolla,
con che dal
ciel più basso ne venìa
il duca
Astolfo sul carro d'Elia.
24
Sceso era
Astolfo dal giro lucente
alla maggiore
altezza de la terra,
con la felice
ampolla che la mente
dovea sanare
al gram mastro di guerra.
Un'erba quivi
di virtù eccellente
mostra
Giovanni al duca d'Inghilterra:
con essa vuol
ch'al suo ritorno tocchi
al re di
Nubia e gli risani gli occhi;
25
acciò
per questi e per li primi merti
gente gli dia
con che Biserta assaglia.
E come poi
quei populi inesperti
armi ed
acconci ad uso di battaglia,
e senza danno
passi pei deserti
ove l'arena
gli uomini abbarbaglia,
a punto a
punto l'ordine che tegna,
tutto il
vecchio santissimo gl'insegna.
26
Poi lo fe'
rimontar su quello alato
che di
Ruggiero, e fu prima d'Atlante.
Il paladin
lasciò, licenziato
da San
Giovanni, le contrade sante;
e secondando
il Nilo a lato a lato,
tosto i Nubi
apparir si vide inante;
e ne la terra
che del regno è capo
scese da
l'aria, e ritrovò il Senapo.
27
Molto fu il
gaudio e molta fu la gioia
che
portò a quel signor nel suo ritorno;
che ben si
raccordava de la noia
che gli avea
tolta, de l'arpie, d'intorno.
Ma poi che la
grossezza gli discuoia
di quello
umor che già gli tolse il giorno,
e che gli
rende la vista di prima,
l'adora e
cole, e come un Dio sublima:
28
sì che
non pur la gente che gli chiede
per muover
guerra al regno di Biserta,
ma centomila
sopra gli ne diede,
e gli fe'
ancor di sua persona offerta.
La gente a
pena, ch'era tutta a piede,
potea capir
ne la campagna aperta;
che di
cavalli ha quel paese inopia,
ma d'elefanti
e de camelli copia.
29
La notte
inanzi il dì che a suo camino
l'esercito di
Nubia dovea porse,
montò
su l'ippogrifo il paladino,
e verso
mezzodì con fretta corse,
tanto che
giunse al monte che l'austrino
vento produce
e spira contra l'Orse.
Trovò
la cava, onde per stretta bocca,
quando si
desta, il furioso scocca.
30
E come
raccordògli il suo maestro,
avea seco
arrecato un utre voto,
il qual,
mentre ne l'antro oscuro e alpestro,
affaticato
dorme il fiero Noto,
allo
spiraglio pon tacito e destro:
ed è
l'aguato in modo al vento ignoto,
che,
credendosi uscir fuor la dimane,
preso e
legato in quello utre rimane.
31
Di tanta
preda il paladino allegro,
ritorna in
Nubia, e la medesma luce
si pone a
caminar col popul negro,
e vettovaglia
dietro si conduce.
A salvamento
con lo stuolo integro
verso
l'Atlante il glorioso duce
pel mezzo
vien de la minuta sabbia,
senza temer
che 'l vento a nuocer gli abbia.
32
E giunto poi
di qua dal giogo, in parte
onde il pian
si discuopre e la marina,
Astolfo
elegge la più nobil parte
del campo, e
la meglio atta a disciplina;
e qua e
là per ordine la parte
a piè
d'un colle, ove nel pian confina.
Quivi la
lascia, e su la cima ascende
in vista
d'uom ch'a gran pensieri intende.
33
Poi che,
inchinando le ginocchia, fece
al santo suo
maestro orazione,
sicuro che
sia udita la sua prece,
copia di
sassi a far cader si pone.
Oh quanto a
chi ben crede in Cristo, lece!
I sassi, fuor
di natural ragione
crescendo, si
vedean venire in giuso,
e formar
ventre e gambe e collo e muso:
34
e con chiari
anitrir giù per quei calli
venian
saltando, e giunti poi nel piano
scuotean le groppe,
e fatti eran cavalli,
chi baio e
chi leardo e chi rovano.
La turba
ch'aspettando ne le valli
stava alla
posta, lor dava di mano:
sì che
in poche ore fur tutti montati;
che con sella
e con freno erano nati.
35
Ottantamila
cento e dua in un giorno
fe', di
pedoni, Astolfo cavallieri.
Con questi
tutta scorse Africa intorno,
facendo
prede, incendi e prigionieri.
Posto
Agramante avea fin al ritorno
il re di
Fersa e 'l re degli Algazeri,
col re
Branzardo a guardia del paese:
e questi si
fer contra al duca inglese;
36
prima avendo
spacciato un suttil legno,
ch'a vele e a
remi andò battendo l'ali,
ad Agramante
aviso, come il regno
patia dal re
de' Nubi oltraggi e mali.
Giorno e
notte andò quel senza ritegno,
tanto che
giunse ai liti provenzali;
e
trovò in Arli il suo re mezzo oppresso,
che 'l campo
avea di Carlo un miglio appresso.
37
Sentendo il
re Agramante a che periglio,
per
guadagnare il regno di Pipino,
lasciava il
suo, chiamar fece a consiglio
principi e re
del popul saracino.
E poi ch'una
o due volte girò il ciglio
quinci a
Marsilio e quindi al re Sobrino,
i quai d'ogni
altro fur, che vi venisse,
i duo
più antiqui e saggi, così disse:
38
- Quantunque
io sappia come mal convegna
a un capitano
dir: non mel pensai,
pur lo
dirò; che quando un danno vegna
da ogni
discorso uman lontano assai,
a quel fallir
par che sia escusa degna:
e qui si
versa il caso mio; ch'errai
a lasciar
d'arme l'Africa sfornita,
se da li Nubi
esser dovea assalita.
39
Ma chi
pensato avria, fuor che Dio solo,
a cui non
è cosa futura ignota,
che dovesse
venir con sì gran stuolo
a farne danno
gente sì remota?
tra i quali e
noi giace l'instabil suolo
di quella
arena ognor da' venti mota.
Pur è
venuta ad assediar Biserta,
ed ha in gran
parte l'Africa deserta.
40
Or sopra
ciò vostro consiglio chieggio:
se partirmi
di qui senza far frutto,
o pur seguir
tanto l'impresa deggio,
che prigion
Carlo meco abbi condutto;
o come
insieme io salvi il nostro seggio,
e questo
imperial lasci distrutto.
S'alcun di
voi sa dir, priego nol taccia,
acciò
si trovi il meglio, e quel si faccia. -
41
Così
disse Agramante; e volse gli occhi
al re di
Spagna, che gli sedea appresso,
come
mostrando di voler che tocchi
di quel c'ha
detto, la risposta ad esso.
E quel, poi
che surgendo ebbe i ginocchi
per
riverenza, e così il capo flesso,
nel suo
onorato seggio si raccolse;
indi la
lingua a tai parole sciolse:
42
- O bene o
mal che la Fama ci apporti,
signor, di
sempre accrescere ha in usanza.
Perciò
non sarà mai ch'io mi sconforti,
o mai
più del dover pigli baldanza
per casi o
buoni o rei, che sieno sorti:
ma sempre
avrò di par tema e speranza
ch'esser
debban minori, e non del modo
ch'a noi per
tante lingue venir odo.
43
E tanto men
prestar gli debbo fede,
quanto
più al verisimile s'oppone.
Or se gli
è verisimile si vede,
ch'abbia con
tanto numer di persone
posto ne la
pugnace Africa il piede
un re di
sì lontana regione,
traversando
l'arene a cui Cambise
con male
augurio il popul suo commise.
44
Crederò
ben, che sian gli Arabi scesi
da le
montagne, ed abbian dato il guasto,
e
saccheggiato, e morti uomini e presi,
ove trovato
avran poco contrasto;
e che
Branzardo che di quei paesi
luogotenente
e viceré è rimasto,
per le decine
scriva le migliaia,
acciò
la scusa sua più degna paia.
45
Vo'
concedergli ancor che sieno i Nubi
per miracol
dal ciel forse piovuti:
o forse
ascosi venner ne le nubi;
poi che non
fur mai per camin veduti.
Temi tu che
tal gente Africa rubi,
se ben di
più soccorso non l'aiuti?
Il tuo presidio
avria ben trista pelle,
quando
temesse un populo sì imbelle.
46
Ma se tu
mandi ancor che poche navi,
pur che si
veggan gli stendardi tuoi,
non
scioglieran di qua sì tosto i cavi,
che
fuggiranno nei confini suoi
questi, o
sien Nubi o sieno Arabi ignavi,
ai quali il
ritrovarti qui con noi,
separato pel
mar da la tua terra,
ha dato ardir
di romperti la guerra.
47
Or piglia il
tempo che, per esser senza
il suo nipote
Carlo, hai di vendetta:
poi
ch'Orlando non c'è, far resistenza
non ti
può alcun de la nimica setta.
Se per non
veder lasci, o negligenza,
l'onorata
vittoria che t'aspetta,
volterà
il calvo, ove ora il crin ne mostra,
con molto
danno e lunga infamia nostra. -
48
Con questo ed
altri detti accortamente
l'Ispano
persuader vuol nel concilio
che non esca
di Francia questa gente,
fin che Carlo
non sia spinto in esilio.
Ma il re
Sobrin, che vide apertamente
il camino a
che andava il re Marsilio,
che
più per l'util proprio queste cose,
che pel
commun dicea, così rispose:
49
- Quando io
ti confortava a stare in pace,
fosse io
stato, signor, falso indovino;
o tu, se io
dovea pure esser verace,
creduto
avessi al tuo fedel Sobrino,
e non
più tosto a Rodomonte audace,
a Marbalusto,
a Alzirdo e a Martasino,
li quali ora
vorrei qui avere a fronte:
ma vorrei
più degli altri Rodomonte,
50
per
rinfacciargli che volea di Francia
far quel che
si faria d'un fragil vetro,
e in cielo e
ne lo 'nferno la tua lancia
seguire, anzi
lasciarsela di dietro;
poi nel
bisogno si gratta la pancia
ne l'ozio
immerso abominoso e tetro:
ed io, che
per predirti il vero allora
codardo detto
fui, son teco ancora;
51
e sarò
sempremai, fin ch'io finisca
questa vita
ch'ancor che d'anni grave,
porsi
incontra ogni dì per te s'arrisca
a qualunque
di Francia più nome have.
Né
sarà alcun, sia chi si vuol, ch'ardisca
di dir che
l'opre mie mai fosser prave:
e non han
più di me fatto, né tanto,
molti che si
donar di me più vanto.
52
Dico
così, per dimostrar che quello
ch'io dissi
allora, e che ti voglio or dire,
né da viltade
vien né da cor fello,
ma d'amor
vero e da fedel servire.
Io ti
conforto ch'al paterno ostello,
più
tosto che tu pòi, vogli redire;
che poco
saggio si può dir colui
che perde il
suo per acquistar l'altrui.
53
S'acquisto
c'è, tu 'l sai. Trentadui fummo
re tuoi
vassalli a uscir teco del porto:
or, se di
nuovo il conto ne rassummo,
c'è a
pena il terzo, e tutto 'l resto è morto.
Che non ne
cadan più, piaccia a Dio summo:
ma se tu vuoi
seguir, temo di corto,
che non ne
rimarrà quarto né quinto;
e 'l miser
popul tuo fia tutto estinto.
54
Ch'Orlando
non ci sia, ne aiuta; ch'ove
siàn
pochi, forse alcun non ci saria.
Ma per questo
il periglio non rimuove,
se ben
prolunga nostra sorte ria.
Ecci Rinaldo,
che per molte prove
mostra che non
minor d'Orlando sia:
c'è il
suo lignaggio e tutti i paladini,
timore eterno
a' nostri Saracini.
55
Ed hanno
appresso quel secondo Marte
(ben che i
nimici al mio dispetto lodo),
io dico il
valoroso Brandimarte,
non men
d'Orlando ad ogni prova sodo;
del qual
provata ho la virtude in parte,
parte ne
veggo all'altrui spese ed odo.
Poi son
più dì che non c'è Orlando stato;
e più
perduto abbiàn che guadagnato.
56
Se per
adietro abbiàn perduto, io temo
che da qui
inanzi perderen più in grosso.
Del nostro campo
Mandricardo è scemo:
Gradasso il
suo soccorso n'ha rimosso:
Marfisa n'ha
lasciata al punto estremo,
e così
il re d' Algier, di cui dir posso
che, se fosse
fedel come gagliardo,
poco uopo era
Gradasso o Mandricardo.
57
Ove sono a
noi tolti questi aiuti,
e tante mila
son dei nostri morti;
e quei ch'a
venir han, son già venuti,
né s'aspetta
altro legno che n'apporti:
quattro son
giunti a Carlo, non tenuti
manco
d'Orlando o di Rinaldo forti;
e con ragion;
che da qui sino a Battro
potresti mal
trovar tali altri quattro.
58
Non so se sai
chi sia Guidon Selvaggio
e Sansonetto
e i figli d'Oliviero.
Di questi fo
più stima e più tema aggio,
che d'ogni
altro lor duca e cavalliero
che di
Lamagna o d'altro stran linguaggio
sia contra
noi per aiutar l'Impero:
ben
ch'importa anco assai la gente nuova
ch' a' nostri
danni in campo si ritrova.
59
Quante volte
uscirai alla campagna,
tanto avrai
la peggiore, o sarai rotto.
Se spesso
perdé il campo Africa e Spagna,
quando
siàn stati sedici per otto,
che
sarà poi ch'Italia e che Lamagna
con Francia
è unita, e 'l populo anglo e scotto,
e che sei
contra dodici saranno?
Ch'altro si
può sperar, che biasmo e danno?
60
La gente qui,
là perdi a un tempo il regno,
s'in questa
impresa più duri ostinato;
ove, s'al
ritornar muti disegno,
l'avanzo di
noi servi con lo stato.
Lasciar
Marsilio è di te caso indegno,
ch'ognun te
ne terrebbe molto ingrato:
ma c'è
rimedio, far con Carlo pace;
ch'a lui deve
piacer, se a te pur piace.
61
Pur se ti par
che non ci sia il tuo onore,
se tu, che
prima offeso sei, la chiedi;
e la
battaglia più ti sta nel core,
che, come sia
fin qui successa, vedi;
studia almen
di restarne vincitore:
il che forse
averrà, se tu mi credi;
se d'ogni tua
querela a un cavalliero
darai
l'assunto, e se quel fia Ruggiero.
62
Io 'l so, e
tu 'l sai che Ruggier nostro è tale,
che
già da solo a sol con l'arme in mano
non men
d'Orlando o di Rinaldo vale,
né d'alcun
altro cavallier cristiano.
Ma se tu vuoi
far guerra universale,
ancor che 'l
valor suo sia sopraumano,
egli
però non sarà più ch'un solo,
ed
avrà di par suoi contra uno stuolo.
63
A me par, s'a
te par, ch'a dir si mandi
al re
cristian, che per finir le liti,
e perché
cessi il sangue che tu spandi
ognor de'
suoi, egli de' tuo' infiniti;
che contra un
tuo guerrier tu gli domandi
che metta in
campo uno dei suoi più arditi;
e faccian
questi duo tutta la guerra,
fin che l'un
vinca, e l'altro resti in terra:
64
con patto,
che qual d'essi perde, faccia
che 'l suo re
all'altro re tributo dia.
Questa
condizion non credo spiaccia
a Carlo,
ancor che sul vantaggio sia.
Mi fido
sì ne le robuste braccia
poi di
Ruggier, che vincitor ne fia;
e ragion
tanta è da la nostra parte,
che
vincerà, s'avesse incontra Marte. -
65
Con questi ed
altri più efficaci detti
fece Sobrin
sì che 'l partito ottenne;
e
gl'interpreti fur quel giorno eletti,
e quel
dì a Carlo l'imbasciata venne.
Carlo ch'avea
tanti guerrier perfetti,
vinta per sé
quella battaglia tenne,
di cui
l'impresa al buon Rinaldo diede,
in ch'avea,
dopo Orlando, maggior fede.
66
Di questo
accordo lieto parimente
l'uno
esercito e l'altro si godea;
che 'l
travaglio del corpo e de la mente
tutti avea
stanchi e a tutti rincrescea.
Ognun di
riposare il rimanente
de la sua
vita disegnato avea;
ognun
maledicea l'ire e i furori
ch'a risse e
a gare avean lor desti i cori.
67
Rinaldo che
esaltar molto si vede,
che Carlo in
lui di quel che tanto pesa,
via
più ch'in tutti gli altri, ha avuto fede,
lieto si
mette all'onorata impresa.
Ruggier non
stima; e veramente crede
che contra sé
non potrà far difesa:
che suo pari
esser possa non gli è aviso,
se ben in
campo ha Mandricardo ucciso.
68
Ruggier da
l'altra parte, ancor che molto
onor gli sia
che 'l suo re l'abbia eletto,
e pel miglior
di tutti i buoni tolto,
a cui
commetta un sì importante effetto;
pur mostra
affanno e gran mestizia in volto,
non per paura
che gli turbi il petto;
che non ch'un
sol Rinaldo, ma non teme
se fosse con
Rinaldo Orlando insieme:
69
ma perché
vede esser di lui sorella
la sua cara e
fidissima consorte
ch'ognor
scriver do stimula e martella,
come colei
ch'è ingiuriata forte.
Or s'alle
vecchie offese aggiunge quella
d'entrare in
campo a porle il frate a morte,
se la
farà, d'amante, così odiosa,
ch'a placarla
mai più fia dura cosa.
70
Se tacito
Ruggier s'affligge ed ange
de la
battaglia che mal grado prende,
la sua cara
moglier lacrima e piange,
come la nuova
indi a poche ore intende.
Batte il bel
petto, e l'auree chiome frange,
e le guance
innocenti irriga e offende;
e chiama con
ramarichi e querele
Ruggiero
ingrato, e il suo destin crudele.
71
D'ogni fin
che sortisca la contesa,
a lei non
può venir altro che doglia.
Ch'abbia a
morir Ruggiero in questa impresa,
pensar non
vuol; che par che 'l cor le toglia.
Quando anco,
per punir più d'una offesa,
la ruina di
Francia Cristo voglia,
oltre che
sarà morto il suo fratello,
seguirà
un danno a lei più acerbo e fello:
72
che non
potrà, se non con biasmo e scorno,
e nimicizia
di tutta sua gente,
fare al
marito suo mai più ritorno,
sì che
lo sappia ognun publicamente,
come s'avea,
pensando notte e giorno,
più
volte disegnato ne la mente:
e tra lor era
la promessa tale,
che 'l
ritrarsi e il pentir più poco vale.
73
Ma quella
usata ne le cose avverse
di non
mancarle di soccorsi fidi,
dico Melissa
maga, non sofferse
udirne il
pianto e i dolorosi gridi;
e venne a
consolarla, e le proferse,
quando ne
fosse il tempo, alti sussidi,
e disturbar
quella pugna futura
di ch'ella
piange e si pon tanta cura.
74
Rinaldo
intanto e l'inclito Ruggiero
apparechiavan
l'arme alla tenzone,
di cui dovea
l'eletta al cavalliero
che del
romano Imperio era campione:
e come quel,
che poi che 'l buon destriero
perdé
Baiardo, andò sempre pedone,
si elesse a
piè, coperto a piastra e a maglia,
con l'azza e
col pugnal far la battaglia.
75
O fosse caso,
o fosse pur ricordo
di Malagigi
suo provido e saggio,
che sapea
quanto Balisarda ingordo
il taglio
avea di fare all'arme oltraggio;
combatter
senza spada fur d'accordo
l'uno e
l'altro guerrier, come detto aggio.
Del luogo
s'accordar presso alle mura
de l'antiquo
Arli, in una gran pianura.
76
A pena avea
la vigilante Aurora
da l'ostel di
Titon fuor messo il capo,
per dare al
giorno terminato, e all'ora
ch'era
prefissa alla battaglia, capo;
quando di qua
e di là vennero fuora
i deputati; e
questi in ciascun capo
degli
steccati i padiglion tiraro,
appresso ai
quali ambi un altar fermaro.
77
Non molto
dopo, istrutto a schiera a schiera,
si vide uscir
l'esercito pagano.
In mezzo
armato e suntuoso v'era
di barbarica
pompa il re africano;
e s'un baio
corsier di chioma nera,
di fronte
bianca, e di duo piè balzano,
a par a par
con lui venìa Ruggiero,
a cui servir
non è Marsilio altiero.
78
L'elmo, che
dianzi con travaglio tanto
trasse di
testa al re di Tartaria,
l'elmo, che
celebrato in maggior canto
portò
il troiano Ettòr mill'anni pria,
gli porta il
re Marsilio a canto a canto:
altri
principi ed altra baronia
s'hanno
partite l'altr'arme fra loro,
ricche di
gioie e ben fregiate d'oro.
79
Da l'altra
parte fuor dei gran ripari
re Carlo
uscì con la sua gente d'arme,
con gli
ordini medesmi e modi pari
che terria se
venisse al fatto d'arme.
Cingonlo
intorno i suoi famosi pari;
e Rinaldo
è con lui con tutte l'arme,
fuor che
l'elmo che fu del re Mambrino,
che porta
Ugier Danese paladino.
80
E di due azze
ha il duca Namo l'una,
e l'altra
Salamon re di Bretagna.
Carlo da un
lato i suoi tutti raguna;
da l'altro
son quei d'Africa e di Spagna.
Nel mezzo non
appar persona alcuna:
voto riman
gran spazio di campagna,
che per bando
commune a chi vi sale,
eccetto ai
duo guerrieri, è capitale.
81
Poi che de
l'arme la seconda eletta
si diè
al campion del populo pagano,
duo
sacerdoti, l'un de l'una setta,
l'altro de
l'altra, uscir coi libri in mano.
In quel del
nostro è la vita perfetta
scritta di
Cristo; e l'altro è l'Alcorano.
Con quel de
l'Evangelio si fe' inante
l'imperator,
con l'altro il re Agramante.
82
Giunto Carlo
all'altar che statuito
i suoi gli
aveano, al ciel levò le palme,
e disse: - O
Dio, c'hai di morir patito
per redimer
da morte le nostr'alme;
o Donna, il
cui valor fu sì gradito,
che Dio prese
da te l'umane salme,
e nove mesi
fu nel tuo santo alvo,
sempre
serbando il fior virgineo salvo:
83
siatemi
testimoni, ch'io prometto
per me e per
ogni mia successione
al re
Agramante, ed a chi dopo eletto
sarà
al governo di sua regione,
dar venti
some ogni anno d'oro schietto,
s'oggi qui
riman vinto il mio campione;
e ch'io
prometto subito la triegua
incominciar,
che poi perpetua segua:
84
e se 'n
ciò manco, subito s'accenda
la formidabil
ira d'ambidui,
la qual me
solo e i miei figliuoli offenda,
non alcun
altro che sia qui con nui;
sì che
in brevissima ora si comprenda
che sia il
mancar de la promessa a vui. -
Così
dicendo, Carlo sul Vangelo
tenea la
mano, e gli occhi fissi al cielo.
85
Si levan
quindi, e poi vanno all'altare
che
riccamente avean pagani adorno;
ove
giurò Agramante, ch'oltre al mare
con
l'esercito suo faria ritorno,
ed a Carlo
daria tributo pare,
se restasse
Ruggier vinto quel giorno;
e perpetua
tra lor triegua saria,
coi patti
ch'avea Carlo detti pria.
86
E similmente
con parlar non basso,
chiamando in
testimonio il gran Maumette,
sul libro
ch'in man tiene il suo papasso,
ciò
che detto ha, tutto osservar promette.
Poi del campo
si partono a gran passo,
e tra i suoi
l'uno e l'altro si rimette:
poi quel par
di campioni a giurar venne;
e 'l
giuramento lor questo contenne:
87
Ruggier
promette, se de la tenzone
il suo re
viene o manda a disturbarlo,
che né suo
guerrier più, né suo barone
esser mai
vuol, ma darsi tutto a Carlo.
Giura Rinaldo
ancor, che se cagione
sarà
del suo signor quindi levarlo,
fin che non
resti vinto egli o Ruggiero,
si
farà d'Agramante cavalliero.
88
Poi che le
cerimonie finite hanno,
si ritorna
ciascun da la sua parte;
né
v'indugiano molto, che lor danno
le chiare
trombe segno al fiero marte.
Or gli
animosi a ritrovar si vanno,
con senno i
passi dispensando ed arte.
Ecco si vede
incominciar l'assalto,
sonar il
ferro, or girar basso, or alto.
89
Or inanzi col
calce, or col martello
accennan
quando al capo e quando al piede,
con tal
destrezza e con modo sì snello,
ch'ogni
credenza il raccontarlo eccede.
Ruggier che
combattea contro il fratello
di chi la
misera alma gli possiede,
a ferir lo
venìa con tal riguardo,
che stimato
ne fu manco gagliardo.
90
Era a parar,
più ch'a ferire, intento,
e non sapea
egli stesso il suo desire:
spegner
Rinaldo saria malcontento,
né vorria
volentieri egli morire.
Ma ecco
giunto al termine mi sento,
ove convien
l'istoria diferire.
Ne l'altro
canto il resto intenderete,
s'udir ne
l'altro canto mi vorrete.
1
L'affanno di
Ruggier ben veramente
è
sopra ogn'altro duro, acerbo e forte,
di cui
travaglia il corpo, e più la mente,
poi che di
due fuggir non può una morte;
o da Rinaldo,
se di lui possente
fia meno, o
se fia più, da la consorte:
che se 'l
fratel le uccide, sa ch'incorre
ne l'odio
suo, che più che morte aborre.
2
Rinaldo, che
non ha simil pensiero,
in tutti i
modi alla vittoria aspira:
mena de
l'azza dispettoso e fiero;
quando alle
braccia e quando al capo mira.
Volteggiando
con l'asta il buon Ruggiero
ribatte il
colpo, e quinci e quindi gìra;
e se percuote
pur, disegna loco
ove possa a
Rinaldo nuocer poco.
3
Alla
più parte dei signor pagani
troppo par
disegual esser la zuffa:
troppo
è Ruggier pigro a menar le mani,
troppo
Rinaldo il giovine ribuffa.
Smarrito in
faccia il re degli Africani
mira
l'assalto, e ne sospira e sbuffa:
ed accusa
Sobrin, da cui procede
tutto
l'error, che 'l mal consiglio diede.
4
Melissa in
questo tempo, ch'era fonte
di quanto
sappia incantatore o mago,
avea cangiata
la feminil fronte,
e del gran re
d'Algier presa l'imago:
sembrava al
viso, ai gesti Rodomonte,
e parea
armata di pelle di drago;
e tal lo
scudo e tal la spada al fianco
avea, quale
usava egli, e nulla manco.
5
Spinse il
demonio inanzi al mesto figlio
del re
Troiano, in forma di cavallo;
e con gran
voce e con turbato ciglio
disse: -
Signor, questo è pur troppo fallo,
ch'un giovene
inesperto a far periglio,
contra un
sì forte e sì famoso Gallo
abbiate
eletto in cosa di tal sorte,
che 'l regno
e l'onor d'Africa n'importe.
6
Non si lassi
seguir questa battaglia,
che ne
sarebbe in troppo detrimento.
Su Rodomonte
sia, né ve ne caglia,
l'avere il
patto rotto e 'l giuramento.
Dimostri
ognun come sua spada taglia:
poi ch'io ci
sono, ognun di voi val cento. -
Poté questo
parlar sì in Agramante,
che senza
più pensar si cacciò inante.
7
Il creder
d'aver seco il re d'Algieri
fece che si
curò poco del patto;
e non avria
di mille cavallieri
giunti in suo
aiuto sì gran stima fatto.
Perciò
lance abbassar, spronar destrieri
di qua di
là veduto fu in un tratto.
Melissa, poi
che con sue finte larve
la battaglia
attaccò, subito sparve.
8
I duo campion
che vedeno turbarsi
contra ogni
accordo, contra ogni promessa,
senza
più l'un con l'altro travagliarsi,
anzi ogni
ingiuria avendosi rimessa,
fede si
dàn né qua né là impacciarsi,
fin che la
cosa non sia meglio espressa,
chi stato sia
che i patti ha rotto inante,
o 'l vecchio
Carlo, o 'l giovene Agramante.
9
E replican
con nuovi giuramenti
d'esser
nimici a chi mancò di fede.
Sozzopra se
ne van tutte le genti:
chi porta
inanzi e chi ritorna il piede.
Chi sia fra i
vili, e chi tra i più valenti
in un atto
medesimo si vede:
son tutti
parimente al correr presti;
ma quei
corrono inanzi, e indietro questi.
10
Come levrier
che la fugace fera
correre
intorno ed aggirarsi mira,
né può
con gli altri cani andare in schiera,
che 'l
cacciator lo tien, si strugge d'ira,
si tormenta,
s'affligge e si dispera,
schiattisce
indarno, e si dibatte e tira;
così
sdegnosa infin allora stata
Marfisa era
quel dì con la cognata.
11
Fin a
quell'ora avean quel dì vedute
sì
ricche prede in spazioso piano;
e che fosser
dal patto ritenute
di non poter
seguirle e porvi mano,
ramaricate
s'erano e dolute,
e n'avean
molto sospirato invano.
Or che i
patti e le triegue vider rotte,
liete saltar
ne l'africane frotte.
12
Marfisa
cacciò l'asta per lo petto
al primo che
scontrò, due braccia dietro:
poi trasse il
brando, e in men che non l'ho detto,
spezzò
quattro elmi, che sembrar di vetro.
Bradamante
non fe' minore effetto;
ma l'asta
d'or tenne diverso metro:
tutti quei
che toccò, per terra mise;
duo tanti
fur, né però alcuno uccise.
13
Questo
sì presso l'una all'altra fero,
che
testimonie se ne fur tra loro;
poi si
scostaro, ed a ferir si diero,
ove le trasse
l'ira, il popul Moro.
Chi
potrà conto aver d'ogni guerriero
ch'a terra
mandi quella lancia d'oro?
o d'ogni
testa che tronca o divisa
sia da la
orribil spada di Marfisa?
14
Come al
soffiar de' più benigni venti,
quando
Apennin scuopre l'erbose spalle,
muovonsi a
par duo turbidi torrenti
che nel cader
fan poi diverso calle;
svellono i
sassi e gli arbori eminenti
da l'alte
ripe, e portan ne la valle
le biade e i
campi; e quasi a gara fanno
a chi far può
nel suo camin più danno:
15
così
le due magnanime guerriere,
scorrendo il
campo per diversa strada,
gran strage
fan ne l'africane schiere,
l'una con
l'asta, e l'altra con la spada.
Tiene
Agramante a pena alle bandiere
la gente sua,
ch'in fuga non ne vada.
Invan
domanda, invan volge la fronte;
né può
saper che sia di Rodomonte.
16
A conforto di
lui rotto avea il patto
(così
credea) che fu solennemente,
i dei
chiamando in testimonio, fatto;
poi s'era
dileguato sì repente.
Né Sobrin
vede ancor: Sobrin ritratto
in Arli
s'era, e dettosi innocente;
perché di
quel pergiuro aspra vendetta
sopra
Agramante il dì medesmo aspetta.
17
Marsilio anco
è fuggito ne la terra:
sì la
religion gli preme il core.
Perciò
male Agramante il passo serra
a quei che
mena Carlo imperatore,
d'Italia, di
Lamagna e d'Inghilterra,
che tutte
gente son d'alto valore;
ed hanno i
paladin sparsi tra loro,
come le gemme
in un riccamo d'oro:
18
e presso ai
paladini alcun perfetto
quanto esser
possa al mondo cavalliero,
Guidon
Selvaggio, l'intrepido petto,
e i duo
famosi figli d'Oliviero.
Io non voglio
ridir, ch'io l'ho già detto,
di quel par
di donzelle ardito e fiero.
Questi
uccidean di genti saracine
tanto, che
non v'è numero né fine.
19
Ma differendo
questa pugna alquanto,
io vo' passar
senza navilio il mare.
Non ho con
quei di Francia da far tanto,
ch'io non
m'abbia d'Astolfo a ricordare.
La grazia che
gli diè l'apostol santo
io v'ho
già detto, e detto aver mi pare,
che 'l re
Branzardo e il re de l'Algazera
per girli
incontra armasse ogni sua schiera.
20
Furon di quei
ch'aver poteano in fretta,
le schiere di
tutta Africa raccolte,
non men
d'inferma età che di perfetta;
quasi
ch'ancor le femine fur tolte.
Agramante
ostinato alla vendetta
avea
già vota l'Africa due volte.
Poche genti
rimase erano, e quelle
esercito
facean timido e imbelle.
21
Ben lo
mostrar; che gli nimici a pena
vider lontan,
che se n'andaron rotti.
Astolfo, come
pecore, li mena
dinanzi ai
suoi di guerreggiar più dotti,
e fa restarne
la campagna piena:
pochi a
Biserta se ne son ridotti.
Prigion
rimase Bucifar gagliardo;
salvossi ne
la terra il re Branzardo,
22
via
più dolente sol di Bucifaro,
che se tutto
perduto avesse il resto.
Biserta
è grande, e farle gran riparo
bisogna, e senza
lui mal può far questo:
poterlo
riscattar molto avria caro.
Mentre vi
pensa e ne sta afflitto e mesto,
gli viene in
mente come tien prigione
già
molti mesi il paladin Dudone.
23
Lo prese
sotto a Monaco in riviera
il re di
Sarza nel primo passaggio.
Da indi in
qua prigion sempre stato era
Dudon che del
Danese fu lignaggio.
Mutar costui
col re de l'Algazera
pensò
Branzardo, e ne mandò messaggio
al capitan
de' Nubi, perché intese
per vera
spia, ch'egli era Astolfo inglese.
24
Essendo
Astolfo paladin, comprende
che dee aver
caro un paladino sciorre.
Il gentil
duca, come il caso intende,
col re
Branzardo in un voler concorre.
Liberato
Dudon, grazie ne rende
al duca, e
seco si mette a disporre
le cose che
appertengono alla guerra,
così
quelle da mar, come da terra.
25
Avendo
Astolfo esercito infinito
da non gli
far sette Afriche difesa;
e rammentando
come fu ammonito
dal santo
vecchio che gli diè l'impresa
di tor
Provenza e d'Acquamorta il lito
di man di
Saracin che l'avean presa;
d'una gran
turba fece nuova eletta,
quella ch'al
mar gli parve manco inetta.
26
Ed avendosi
piene ambe le palme,
quanto potean
capir, di varie fronde
a lauri, a
cedri tolte, a olive, a palme,
venne sul
mare, e le gittò ne l'onde.
Oh felici, e
dal ciel ben dilette alme!
Grazia che
Dio raro a' mortali infonde!
Oh stupendo
miracolo che nacque
di quelle
frondi, come fur ne l'acque!
27
Crebbero in
quantità fuor d'ogni stima;
si feron
curve e grosse e lunghe e gravi;
le vene
ch'attraverso aveano prima,
mutaro in
dure spranghe e in grosse travi:
e rimanendo
acute inver la cima,
tutte in un
tratto diventaro navi
di differenti
qualitadi, e tante,
quante
raccolte fur da varie piante.
28
Miracol fu
veder le fronde sparte
produr fuste,
galee, navi da gabbia.
Fu mirabile
ancor, che vele e sarte
e remi avean,
quanto alcun legno n'abbia.
Non
mancò al duca poi chi avesse l'arte
di governarsi
alla ventosa rabbia;
che di Sardi
e di Corsi non remoti,
nocchier,
padron, pennesi ebbe e piloti.
29
Quelli che
entraro in mar, contati foro
ventiseimila,
e gente d'ogni sorte.
Dudon
andò per capitano loro,
cavallier
saggio, e in terra e in acqua forte.
Stava
l'armata ancora al lito moro,
miglior vento
aspettando, che la porte,
quando un
navilio giunse a quella riva,
che di presi
guerrier carco veniva.
30
Portava quei
ch'al periglioso ponte,
ove alla
giostre il campo era sì stretto,
pigliato avea
l'audace Rodomonte,
come
più volte io v'ho di sopra detto.
Il cognato
tra questi era del conte,
e 'l fedel
Brandimarte e Sansonetto,
ed altri
ancor, che dir non mi bisogna,
d'Alemagna,
d'Italia e di Guascogna.
31
Quivi il
nocchier, ch'ancor non s'era accorto
degli
inimici, entrò con la galea,
lasciando
molte miglia a dietro il porto
d'Algieri,
ove calar prima volea,
per un vento
gagliardo ch'era sorto,
e spinto
oltre il dover la poppa avea.
Venir tra i
suoi credette e in loco fido,
come vien
Progne al suo loquace nido.
32
Ma come poi
l'imperiale augello,
i gigli d'oro
e i pardi vide appresso,
restò
pallido in faccia, come quello
che 'l piede
incauto d'improviso ha messo
sopra il
serpente venenoso e fello,
dal pigro
sonno in mezzo l'erbe oppresso;
che
spaventato e smorto si ritira,
fuggendo
quel, ch'è pien di tosco e d'ira.
33
Già
non poté fuggir quindi il nocchiero,
né tener
seppe i prigion suoi di piatto.
Con
Brandimarte fu, con Oliviero,
con
Sansonetto e con molti altri tratto
ove dal duca
e dal figliuol d'Uggiero
fu lieto viso
agli suo' amici fatto;
e per mercede
lui che li condusse,
volson che condannato
al remo fusse.
34
Come io vi
dico, dal figliuol d'Otone
i cavallier
cristian furon ben visti,
e di mensa
onorati al padiglione,
d'arme e di
ciò che bisognò provisti.
Per amor
d'essi differì Dudone
l'andata sua;
che non minori acquisti
di ragionar
con tai baroni estima,
che d'esser
gito uno o duo giorni prima.
35
In che stato,
in che termine si trove
e Francia e
Carlo, istruzion vera ebbe;
e dove
più sicuramente, e dove,
per far
miglior effetto, calar debbe.
Mentre da lor
venìa intendendo nuove,
s'udì
un rumor che tuttavia più crebbe;
e un dar
all'arme ne seguì sì fiero,
che fece a
tutti far più d'un pensiero.
36
Il duca
Astolfo e la compagnia bella,
che
ragionando insieme si trovaro,
in un momento
armati furo e in sella,
e verso il
maggior grido in fretta andaro,
di qua di
là cercando pur novella
di quel
romore; e in loco capitaro,
ove videro un
uom tanto feroce,
che nudo e
solo a tutto 'l campo nuoce.
37
Menava un suo
baston di legno in volta,
che era
sì duro e sì grave e sì fermo,
che
declinando quel, facea ogni volta
cader in
terra un uom peggio ch'infermo.
Già a
più di cento avea la vita tolta;
né più
se gli facea riparo o schermo,
se non
tirando di lontan saette:
d'appresso
non è alcun già che l'aspette.
38
Dudone,
Astolfo, Brandimarte, essendo
corsi in
fretta al romore, ed Oliviero,
de la gran
forza e del valor stupendo
stavan
maravigliosi di quel fiero;
quando venir
s'un palafren correndo
videro una
donzella in vestir nero,
che corse a
Brandimarte e salutollo,
e gli
alzò a un tempo ambe le braccia al collo.
39
Questa era
Fiordiligi, che sì acceso
avea d'amor
per Brandimarte il core,
che quando al
ponte stretto il lasciò preso,
vicina ad
impazzar fu di dolore.
Di là
dal mare era passata, inteso
avendo dal
pagan che ne fu autore,
che mandato
con molti cavallieri
era prigion
ne la città d'Algieri.
40
Quando fu per
passare, avea trovato
a Marsilia
una nave di Levante,
ch'un vecchio
cavalliero avea portato
de la
famiglia del re Monodante;
il qual molte
province avea cercato,
quando per
mar, quando per terra errante,
per trovar
Brandimarte; che nuova ebbe
tra via di
lui, ch'in Francia il troverebbe.
41
Ed ella,
conosciuto che Bardino
era costui,
Bardino che rapito
al padre
Brandimarte piccolino,
ed a Rocca
Silvana avea notrito,
e la cagione
intesa del camino,
seco fatto
l'avea scioglier dal lito,
avendogli
narrato in che maniera
Brandimarte
passato in Africa era.
42
Tosto che
furo a terra, udir le nuove,
ch'assediata
d'Astolfo era Biserta:
che seco
Brandimarte si ritrove
udito avean,
ma non per cosa certa.
Or Fiordiligi
in tal fretta si muove,
come lo vede,
che ben mostra aperta
quella
allegrezza ch'i precessi guai
le fero la
maggior ch'avesse mai.
43
Il gentil
cavallier, non men giocondo
di veder la
diletta e fida moglie
ch'amava
più che cosa altra del mondo,
l'abraccia e
stringe e dolcemente accoglie:
né per
saziare al primo né al secondo
né al terzo
bacio era l'accese voglie;
se non
ch'alzando gli occhi ebbe veduto
Bardin che
con la donna era venuto.
44
Stese le
mani, ed abbracciar lo volle,
e insieme
domandar perché venìa;
ma di poterlo
far tempo gli tolle
il campo
ch'in disordine fuggia
dinanzi a
quel baston che 'l nudo folle
menava
intorno, e gli facea dar via.
Fiordiligi
mirò quel nudo in fronte,
e
gridò a Brandimarte: - Eccovi il conte! -
45
Astolfo tutto
a un tempo, ch'era quivi,
che questo
Orlando fosse, ebbe palese
per alcun
segno che dai vecchi divi
su nel
terrestre paradiso intese.
Altrimente
restavan tutti privi
di cognizion
di quel signor cortese;
che per lungo
sprezzarsi, come stolto,
avea di fera,
più che d'uomo, il volto.
46
Astolfo per
pietà che gli traffisse
il petto e il
cor, si volse lacrimando;
ed a Dudon
(che gli era appresso) disse,
ed indi ad
Oliviero: - Eccovi Orlando! -
Quei gli
occhi alquanto e le palpèbre fisse
tenendo in
lui, l'andar raffigurando;
e 'l
ritrovarlo in tal calamitade,
gli
empì di meraviglie e di pietade.
47
Piangeano
quei signor per la più parte:
sì lor
ne dolse, e lor ne 'ncrebbe tanto.
- Tempo
è (lor disse Astolfo) trovar arte
di risanarlo,
e non di fargli il pianto. -
E
saltò a piedi, e così Brandimarte,
Sansonetto,
Oliviero e Dudon santo;
e s'aventaro
al nipote di Carlo
tutti in un
tempo; che volean pigliarlo.
48
Orlando che
si vide fare il cerchio,
menò
il baston da disperato e folle;
ed a Dudon
che si facea coperchio
al capo de lo
scudo ed entrar volle,
fe' sentir
ch'era grave di soperchio:
e se non che
Olivier col brando tolle
parte del
colpo, avria il bastone ingiusto
rotto lo
scudo, l'elmo, il capo e il busto.
49
Lo scudo
roppe solo, e su l'elmetto
tempestò
sì, che Dudon cadde in terra.
Menò
la spada a un tempo Sansonetto;
e del baston
più di duo braccia afferra
con valor
tal, che tutto il taglia netto.
Brandimarte
ch'addosso se gli serra,
gli cinge i
fianchi, quanto può, con ambe
le braccia, e
Astolfo il piglia ne le gambe.
50
Scuotesi
Orlando, e lungi dieci passi
da sé
l'Inglese fe' cader riverso:
non fa
però che Brandimarte il lassi,
che con
più forza l'ha preso a traverso.
Ad Olivier che
troppo inanzi fassi,
menò
un pugno sì duro e sì perverso,
che lo fe'
cader pallido ed esangue,
e dal naso e
dagli occhi uscirgli il sangue.
51
E se non era
l'elmo più che buono,
ch'avea
Olivier, l'avria quel pugno ucciso:
cadde
però, come se fatto dono
avesse de lo
spirto al paradiso.
Dudone e
Astolfo che levati sono,
ben che
Dudone abbia gonfiato il viso,
e Sansonetto
che 'l bel colpo ha fatto,
adosso a
Orlando son tutti in un tratto.
52
Dudon con
gran vigor dietro l'abbraccia,
pur tentando
col piè farlo cadere:
Astolfo e gli
altri gli han prese le braccia,
né lo puon
tutti insieme anco tenere.
C'ha visto
toro a cui si dia la caccia,
e ch'alle
orecchie abbia le zanne fiere,
correr
mugliando, e trarre ovunque corre
i cani seco,
e non potersi sciorre;
53
imagini
ch'Orlando fosse tale,
che tutti
quei guerrier seco traea.
In quel tempo
Olivier di terra sale,
là
dove steso il gran pugno l'avea;
e visto che
così si potea male
far di lui
quel ch'Astolfo far volea,
si
pensò un modo, ed ad effetto il messe,
di far cader
Orlando, e gli successe.
54
Si fe' quivi
arrecar più d'una fune,
e con nodi
correnti adattò presto;
ed alle gambe
ed alle braccia alcune
fe' porre al
conte, ed a traverso il resto.
Di quelle i
capi poi partì in commune,
e li diede a
tenere a quello e a questo.
Per quella
via che maniscalco atterra
cavallo o
bue, fu tratto Orlando in terra.
55
Come egli
è in terra, gli son tutti adosso,
e gli legan
più forte e piedi e mani.
Assai di qua
di là s'è Orlando scosso,
ma sono i
suoi risforzi tutti vani.
Commanda
Astolfo che sia quindi mosso,
che dice
voler far che si risani.
Dudon
ch'è grande, il leva in su le schene,
e porta al
mar sopra l'estreme arene.
56
Lo fa lavar
Astolfo sette volte;
e sette volte
sotto acqua l'attuffa;
sì che
dal viso e da le membra stolte
leva la
brutta rugine e la muffa:
poi con certe
erbe, a questo effetto colte,
la bocca
chiuder fa, che soffia e buffa;
che non volea
ch'avesse altro meato
onde spirar,
che per lo naso, il fiato.
57
Aveasi Astolfo
apparecchiato il vaso
in che il
senno d'Orlando era rinchiuso;
e quello in
modo appropinquogli al naso,
che nel tirar
che fece il fiato in suso,
tutto il
votò: maraviglioso caso!
che
ritornò la mente al primier uso;
e ne' suoi
bei discorsi l'intelletto
rivenne,
più che mai lucido e netto.
58
Come chi da
noioso e grave sonno,
ove o vedere
abominevol forme
di mostri che
non son, né ch'esser ponno,
o gli par
cosa far strana ed enorme,
ancor si
maraviglia, poi che donno
è
fatto de' suoi sensi, e che non dorme;
così,
poi che fu Orlando d'error tratto,
restò
maraviglioso e stupefatto.
59
E
Brandimarte, e il fratel d'Aldabella,
e quel che 'l
senno in capo gli ridusse,
pur pensando
riguarda, e non favella,
come egli
quivi e quando si condusse.
Girava gli
occhi in questa parte e in quella,
né sapea
imaginar dove si fusse.
Si maraviglia
che nudo si vede,
e tante funi
ha da le spalle al piede.
60
Poi disse,
come già disse Sileno
a quei che lo
legar nel cavo speco:
<I>Solvite
me,</I> con viso sì sereno,
con guardo
sì men de l'usato bieco,
che fu
slegato; e de' panni ch'avieno
fatti arrecar
participaron seco,
consolandolo
tutti del dolore,
che lo
premea, di quel passato errore.
61
Poi che fu
all'esser primo ritornato
Orlando
più che mai saggio e virile,
d'amor si
trovò insieme liberato;
sì che
colei, che sì bella e gentile
gli parve
dianzi, e ch'avea tanto amato,
non stima
più se non per cosa vile.
Ogni suo
studio, ogni disio rivolse
a racquistar
quanto già amor gli tolse.
62
Narrò
Bardino intanto a Brandimarte,
che morto era
il suo padre Monodante;
e che a
chiamarlo al regno egli da parte
veniva prima
del fratel Gigliante,
poi de le
genti ch'abitan le sparte
isole in
mare, e l'ultime in Levante;
di che non
era un altro regno al mondo
sì
ricco, populoso, o sì giocondo.
63
Disse, tra
più ragion che dovea farlo,
che dolce
cosa era la patria; e quando
si disponesse
di voler gustarlo,
avria poi
sempre in odio andare errando.
Brandimarte
rispose voler Carlo
servir per
tutta questa guerra e Orlando;
e se potea
vederne il fin, che poi
penseria
meglio sopra i casi suoi.
64
Il dì
seguente la sua armata spinse
verso
Provenza il figlio del Danese.
Indi Orlando
col duca si ristrinse,
ed in che
stato era la guerra, intese:
tutta Biserta
poi d'assedio cinse,
dando
però l'onore al duca inglese
d'ogni
vittoria; ma quel duca il tutto
facea, come
dal conte venìa istrutto.
65
Ch'ordine
abbian tra lor, come s'assaglia
la gran
Biserta, e da che lato e quando,
come fu presa
alla prima battaglia,
chi ne l'onor
parte ebbe con Orlando,
s'io non vi
séguito ora, non vi caglia;
ch'io non me
ne vo molto dilungando.
In questo
mezzo di saper vi piaccia,
come dai
Franchi i Mori hanno la caccia.
66
Fu quasi il
re Agramante abbandonato
nel pericol
maggior di quella guerra;
che con molti
pagani era tornato
Marsilio e 'l
re Sobrin dentro alla terra,
poi su
l'armata è questo e quel montato,
che dubbio
avean di non salvarsi in terra;
e duci e
cavallier del popul Moro
molti seguito
avean l'esempio loro.
67
Pure
Agramante la pugna sostiene;
e quando
finalmente più non puote,
volta le
spalle, e la via dritta tiene
alle porte
non troppo indi remote.
Rabican
dietro in gran fretta gli viene,
che
Bradamante stimola e percuote:
d'ucciderlo
era disiosa molto;
che tante
volte il suo Ruggier le ha tolto.
68
Il medesmo
desir Marfisa avea,
per far del
padre suo tarda vendetta;
e con gli
sproni, quanto più potea,
facea il
destrier sentir ch'ella avea fretta.
Ma né l'una
né l'altra vi giungea
sì a
tempo, che la via fosse intercetta
al re
d'entrar ne la città serrata,
ed indi poi
salvarsi in su l'armata.
69
Come due
belle e generose parde
che fuor del
lascio sien di pari uscite,
poscia ch'i
cervi o le capre gagliarde
indarno aver
si veggano seguite,
vergognandosi
quasi, che fur tarde,
sdegnose se
ne tornano e pentite;
così
tornar le due donzelle, quando
videro il
pagan salvo, sospirando.
70
Non
però si fermar; ma ne la frotta
degli altri
che fuggivano, cacciarsi,
di qua di
là facendo ad ogni botta
molti cader
senza mai più levarsi.
A mal partito
era la gente rotta,
che per
fuggir non potea ancor salvarsi;
ch'Agramante
avea fatto per suo scampo
chiuder la
porta ch'uscia verso il campo,
71
e fatto sopra
il Rodano tagliare
i ponti
tutti. Ah sfortunata plebe,
che dove del
tiranno utile appare,
sempre
è in conto di pecore e di zebe!
Chi s'affoga
nel fiume e chi nel mare,
chi
sanguinose fa di sé le glebe.
Molti perir,
pochi restar prigioni;
che pochi a
farsi taglia erano buoni.
72
De la gran
moltitudine ch'uccisa
fu da ogni
parte in questa ultima guerra
(ben che la
cosa non fu ugual divisa;
ch'assai
più andar dei Saracin sotterra
per man di
Bradamante e di Marfisa),
se ne vede
ancor segno in quella terra;
che presso ad
Arli, ove il Rodano stagna,
piena di
sepolture è la campagna.
73
Fatto avea
intanto il re Agramante sciorre
e ritirar in
alto i legni gravi,
lasciando
alcuni, e i più leggieri, a torre
quei che
volean salvarsi in su le navi.
Vi ste' duo
dì per chi fuggia raccorre,
e perché
venti eran contrari e pravi.
Fece lor dar
le vele il terzo giorno;
ch'in Africa
credea di far ritorno.
74
Il re
Marsilio che sta in gran paura
ch'alla sua
Spagna il fio pagar non tocche,
e la tempesta
orribilmente oscura
sopra suoi
campi all'ultimo non scocche;
si fe' porre
a Valenza, e con gran cura
cominciò
a riparar castella e rocche,
e preparar la
guerra che fu poi
la sua ruina
e degli amici suoi.
75
Verso Africa
Agramante alzò le vele
de' legni
male armati, e voti quasi;
d'uomini
voti, e pieni di querele,
perch'in
Francia i tre quarti eran rimasi.
Chi chiama il
re superbo, chi crudele,
chi stolto; e
come avviene in simil casi,
tutti gli
voglion mal ne' lor secreti;
ma timor
n'hanno, e stan per forza cheti.
76
Pur duo
talora o tre schiudon le labbia,
ch'amici
sono, e che tra lor s'han fede,
e sfogano la
colera e la rabbia;
e 'l misero
Agramante ancor si crede
ch'ognun gli
porti amore, e pietà gli abbia:
e questo
gl'intervien, perché non vede
mai visi se
non finti, e mai non ode
se non
adulazion, menzogne e frode.
77
Erasi
consigliato il re africano
di non
smontar nel porto di Biserta,
però
ch'avea del popul nubiano,
che quel lito
tenea, novella certa;
ma tenersi di
sopra sì lontano,
che non fosse
acre la discesa ed erta;
mettersi in
terra, e ritornare al dritto
a dar
soccorso al suo populo afflitto.
78
Ma il suo
fiero destin che non risponde
a quella
intenzion provida e saggia,
vuol che
l'armata che nacque di fronde
miracolosamente
ne la spiaggia,
e vien
solcando inverso Francia l'onde,
con questa ad
incontrar di notte s'aggia,
a nubiloso
tempo, oscuro e tristo,
perché sia in
più disordine sprovisto.
79
Non ha avuto
Agramante ancora spia,
ch'Astolfo
mandi una armata sì grossa;
né creduto
anco a chi 'l dicesse, avria,
che cento
navi un ramuscel far possa:
e vien senza
temer ch'intorno sia
che contra
lui s'ardisca di far mossa;
né pone
guardie né veletta in gabbia,
che di
ciò che si scuopre avisar abbia.
80
Sì che
i navili che d'Astolfo avuti
avea Dudon,
di buona gente armati,
e che la sera
avean questi veduti,
ed alla volta
lor s'eran drizzati,
assalir gli
nimici sproveduti,
gittaro i
ferri, e sonsi incatenati,
poi ch'al
parlar certificati foro,
ch'erano Mori
e gli nimici loro.
81
Ne l'arrivar
i gran navili fenno
(spirando il
vento a' lor desir secondo),
nei Saracin
con tale impeto denno,
che molti
legni ne cacciaro al fondo.
Poi
cominciaro oprar le mani e il senno,
e ferro e
fuoco e sassi di gran pondo
tirar con tanta
e sì fiera tempesta,
che mai non
ebbe il mar simile a questa.
82
Quei di
Dudone, a cui possanza e ardire
più
del solito è lor dato di sopra
(che venuto
era il tempo di punire
i Saracin di
più d'una mal'opra),
sanno
appresso e lontan sì ben ferire,
che non trova
Agramante ove si cuopra.
Gli cade
sopra un nembo di saette;
da lato ha
spade e graffi e picche e accette.
83
D'alto cader
sente gran sassi e gravi
da machine
cacciati e da tormenti;
e prore e
poppe fraccassar de navi,
ed aprire
usci al mar larghi e patenti;
e 'l maggior
danno è de l'incendi pravi,
a nascer
presti, ad ammorzarsi lenti.
La sfortunata
ciurma si vuol torre
del gran
periglio, e via più ognor vi corre.
84
Altri che 'l
ferro e l'inimico caccia,
nel mar si
getta, e vi s'affoga e resta:
altri che
muove a tempo piedi e braccia,
va per
salvarsi o in quella barca o in questa;
ma quella,
grave oltre il dover, lo scaccia,
e la man, per
salir troppo molesta,
fa restare
attaccata ne la sponda:
ritorna il resto
a far sanguigna l'onda.
85
Altri che
spera in mar salvar la vita,
o perderlavi
almen con minor pena,
poi che
notando non ritrova aita,
e mancar
sente l'animo e la lena,
alla vorace
fiamma c'ha fuggita,
la tema di
annegarsi anco rimena:
s'abbraccia a
un legno ch'arde, e per timore
c'ha di due
morte, in ambe se ne muore.
86
Altri per
tema di spiedo o d'accetta
che vede
appresso, al mar ricorre invano,
perché dietro
gli vien pietra o saetta
che non lo
lascia andar troppo lontano.
Ma saria
forse, mentre che diletta
il mio
cantar, consiglio utile e sano
di finirlo,
più tosto che seguire
tanto, che
v'annoiasse il troppo dire.
1
Lungo
sarebbe, se i diversi casi
volessi dir
di quel naval conflitto;
e raccontarlo
a voi mi parria quasi,
magnanimo
figliuol d'Ercole invitto,
portar, come
si dice, a Samo vasi,
nottole
Atene, e crocodili a Egitto;
che quanto
per udita io ve ne parlo,
Signor,
miraste, e feste altrui mirarlo.
2
Ebbe lungo
spettacolo il fedele
vostro popul
la notte e 'l dì che stette,
come in
teatro, l'inimiche vele
mirando in Po
tra ferro e fuoco astrette.
Che gridi
udir si possano e querele,
ch'onde veder
di sangue umano infette,
per quanti
modi in tal pugna si muora,
vedeste, e a
molti il dimostraste allora.
3
Nol vide io
già, ch'era sei giorni inanti,
mutando
ogn'ora altre vetture, corso
con molta
fretta e molta ai piedi santi
del gran
Pastore a domandar soccorso:
poi né
cavalli bisognar né fanti;
ch'intanto al
Leon d'or l'artiglio e 'l morso
fu da voi
rotto sì, che più molesto
non l'ho
sentito da quel giorno a questo.
4
Ma Alfonsin
Trotto il qual si trovò in fatto,
Annibal e
Pier Moro e Afranio e Alberto,
e tre
Ariosti, e il Bagno e il Zerbinatto
tanto me ne
contar, ch'io ne fui certo:
me ne chiarir
poi le bandiere affatto,
vistone al
tempio il gran numero offerto,
e quindice
galee ch'a queste rive
con mille
legni star vidi captive.
5
Chi vide
quelli incendi e quei naufragi,
le tante
uccisioni e sì diverse,
che,
vendicando i nostri arsi palagi,
fin che fu
preso ogni navilio, ferse;
potrà,
veder le morti anco e i disagi
che 'l miser
popul d'Africa sofferse
col re
Agramante in mezzo l'onde salse,
la scura
notte che Dudon l'assalse.
6
Era la notte,
e non si vedea lume,
quando
s'incominciar l'aspre contese:
ma poi che 'l
zolfo e la pece e 'l bitume
sparso in
gran copia, ha prore e sponde accese,
e la vorace
fiamma arde e consume
le navi e le
galee poco difese;
sì
chiaramente ognun si vedea intorno,
che la notte
parea mutata in giorno.
7
Onde
Agramante che per l'aer scuro,
non avea
l'inimico in sì gran stima,
né aver
contrasto si credea sì duro,
che,
resistendo, al fin non lo reprima;
poi che
rimosse le tenèbre furo,
e vide quel
che non credeva in prima,
che le navi
nimiche eran duo tante,
fece pensier
diverso a quel d'avante.
8
Smonta con
pochi, ove in più lieve barca
ha
Brigliadoro e l'altre cose care.
Tra legno e
legno taciturno varca,
fin che si
trova in più sicuro mare
da' suoi
lontan, che Dudon preme e carca,
e mena a
condizioni acri ed amare.
Gli arde il
foco, il mar sorbe, il ferro strugge:
egli che
n'è cagion, via se ne fugge.
9
Fugge
Agramante ed ha con lui Sobrino,
con cui si
duol di non gli aver creduto,
quando
previde con occhio divino,
e 'l mal gli
annunziò, ch'or gli è avvenuto.
Ma torniamo
ad Orlando paladino,
che, prima
che Biserta abbia altro aiuto,
consiglia
Astolfo che la getti in terra,
sì che
a Francia mai più non faccia guerra.
10
E così
fu publicamente detto
che 'l campo
in arme al terzo dì sia istrutto.
Molti navili
Astolfo a questo effetto
tenuti avea,
né Dudon n'ebbe il tutto;
di quai diede
il governo a Sansonetto,
sì
buon guerrier al mar come all'asciutto:
e quel si
pose, in su l'ancore sorto,
contra a
Biserta, un miglio appresso al porto.
11
Come veri
cristiani Astolfo e Orlando,
che senza Dio
non vanno a rischio alcuno,
ne l'esercito
fan publico bando,
che sieno
orazion fatte e digiuno;
e che si
trovi il terzo giorno, quando
si
darà il segno, apparecchiato ognuno
per espugnar
Biserta, che data hanno,
vinta che
s'abbia, a fuoco e a saccomanno.
12
E
così, poi che le astinenze e i voti
devotamente
celebrati foro,
parenti,
amici, e gli altri insieme noti
si cominciaro
a convitar tra loro.
Dato restauro
a' corpi esausti e voti,
abbracciandosi
insieme lacrimoro,
tra loro
usando i modi e le parole
che tra i
più cari al dipartir si suole.
13
Dentro a
Biserta i sacerdoti santi
supplicando
col populo dolente,
battonsi il
petto, e con dirotti pianti
chiamano il
lor Macon che nulla sente.
Quante
vigilie, quante offerte, quanti
doni promessi
son privatamente!
quanto in
publico templi, statue, altari,
memoria
eterna de' lor casi amari!
14
E poi che dal
Cadì fu benedetto,
prese il
populo l'arme, e tornò al muro.
Ancor giacea
col suo Titon nel letto
la bella
Aurora, ed era il cielo oscuro,
quando
Astolfo da un canto, e Sansonetto
da un altro,
armati agli ordini lor furo:
e poi che 'l
segno che diè il conte udiro,
Biserta con
grande impeto assaliro.
15
Avea Biserta
da duo canti il mare,
sedea dagli
altri duo nel lito asciutto.
Con fabrica
eccellente e singulare
fu
antiquamente il suo muro costrutto.
Poco altro ha
che l'aiuti o la ripare;
che poi che
'l re Branzardo fu ridutto
dentro da
quella, pochi mastri, e poco
poté aver
tempo a riparare il loco.
16
Astolfo
dà l'assunto al re de' Neri,
che faccia a'
merli tanto nocumento
con
falariche, fonde e con arcieri,
che levi
d'affacciarsi ogni ardimento;
sì che
passin pedoni e cavallieri
fin sotto la
muraglia a salvamento,
che vengon,
chi di pietre e chi di travi,
chi d'asce e
chi d'altra materia gravi.
17
Chi questa
cosa e chi quell'altra getta
dentro alla
fossa, e vien di mano in mano;
di cui
l'acqua il dì inanzi fu intercetta,
sì che
in più parti si scopria il pantano.
Ella fu piena
ed atturata in fretta,
e fatto
uguale insin al muro il piano.
Astolfo,
Orlando ed Olivier procura
di far salir
i fanti in su le mura.
18
I Nubi d'ogni
indugio impazienti,
da la
speranza del guadagno tratti,
non mirando
a' pericoli imminenti,
coperti da
testuggini e da gatti,
con arieti e
loro altri istrumenti
a forar
torri, e porte rompere atti,
tosto si fero
alla città vicini;
né trovaro
sprovisti i Saracini:
19
che ferro e
fuoco e merli e tetti gravi
cader facendo
a guisa di tempeste,
per forza
aprian le tavole e le travi
de le machine
in lor danno conteste.
Ne l'aria
oscura e nei principi pravi
molto patir
le battezzate teste;
ma poi che 'l
sole uscì del ricco albergo,
voltò
Fortuna ai Saracini il tergo.
20
Da tutti i
canti risforzar l'assalto
fe' il conte
Orlando e da mare e da terra.
Sansonetto
ch'avea l'armata in alto,
entrò
nel porto e s'accostò alla terra;
e con frombe
e con archi facea d'alto,
e con vari
tormenti estrema guerra;
e facea
insieme espedir lance e scale,
ogni
apparecchio e munizion navale.
21
Facea
Oliviero, Orlando e Brandimarte,
e quel che fu
sì dianzi in aria ardito,
aspra e fiera
battaglia da la parte
che lungi al
mare era più dentro al lito.
Ciascun
d'essi venìa con una parte
de l'oste che
s'avean quadripartito.
Quale a mur,
quale a porte, e quale altrove,
tutti davan
di sé lucide prove.
22
Il valor di
ciascun meglio si puote
veder
così, che se fosser confusi:
chi sia degno
di premio e chi di note,
appare inanzi
a mill'occhi non chiusi.
Torri di
legno trannosi con ruote,
e gli
elefanti altre ne portano usi,
che su lor
dossi così in alto vanno,
che i merli
sotto a molto spazio stanno.
23
Vien
Brandimarte, e pon la scala a' muri,
e sale, e di
salir altri conforta:
lo seguon
molti intrepidi e sicuri;
che non
può dubitar chi l'ha in sua scorta.
Non è
chi miri, o chi mirar si curi,
se quella
scala il gran peso comporta.
Sol
Brandimarte agli nimici attende;
pugnando
sale, e al fine un merlo prende.
24
E con mano e
con piè quivi s'attacca,
salta sui
merli, e mena il brando in volta,
urta, riversa
e fende e fora e ammacca,
e di sé
mostra esperienza molta.
Ma tutto a un
tempo la scala si fiacca,
che troppa
soma e di soperchio ha tolta:
e for che
Brandimarte, giù nel fosso
vanno
sozzopra, e l'uno all'altro adosso.
25
Per
ciò non perde il cavallier l'ardire,
né pensa
riportare a dietro il piede;
ben che de'
suoi non vede alcun seguire,
ben che
berzaglio alla città si vede.
Pregavan
molti (e non volse egli udire)
che
ritornasse; ma dentro si diede:
dico che
giù ne la città d'un salto
dal muro entrò,
che trenta braccia era alto.
26
Come trovato
avesse o piume o paglia,
presse il
duro terren senza alcun danno;
e quei c'ha
intorno affrappa e fora e taglia,
come
s'affrappa e taglia e fora il panno.
Or contra
questi or contra quei si scaglia;
e quelli e
questi in fuga se ne vanno.
Pensano quei
di fuor, che l'han veduto
dentro
saltar, che tardo fia ogni aiuto.
27
Per tutto 'l
campo alto rumor si spande
di voce in
voce, e 'l mormorio e 'l bisbiglio.
La vaga Fama
intorno si fa grande,
e narra, ed
accrescendo va il periglio.
Ove era
Orlando (perché da più bande
si dava
assalto), ove d'Otone il figlio,
ove Olivier,
quella volando venne,
senza posar
mai le veloci penne.
28
Questi
guerrier, e più di tutti Orlando,
ch'amano
Brandimarte e l'hanno in pregio,
udendo che se
van troppo indugiando,
perderanno un
compagno così egregio,
piglian le
scale, e qua e là montando,
mostrano a
gara animo altiero e regio,
con sì
audace sembiante e sì gagliardo,
che i nimici
tremar fan con lo sguardo.
29
Come nel mar
che per tempesta freme,
assaglion
l'acque il temerario legno,
ch'or da la
prora, or da le parti estreme
cercano
entrar con rabbia e con isdegno;
il pallido
nocchier sospira e geme,
ch'aiutar
deve, e non ha cor né ingegno;
una onda
viene al fin, ch'occupa il tutto,
e dove quella
entrò, segue ogni flutto:
30
così
dipoi ch'ebbono presi i muri
questi tre
primi, fu sì largo il passo,
che gli altri
ormai seguir ponno sicuri,
che mille
scale hanno fermate al basso.
Aveano
intanto gli arieti duri
rotto in
più lochi, e con sì gran fraccasso,
che si poteva
in più che in una parte
soccorrer
l'animoso Brandimarte.
31
Con quel
furor che 'l re de' fiumi altiero,
quando rompe
talvolta argini e sponde,
e che nei
campi Ocnei s'apre il sentiero,
e i grassi
solchi e le biade feconde,
e con le sue
capanne il gregge intero,
e coi cani i
pastor porta ne l'onde;
guizzano i
pesci agli olmi in su la cima,
ove solean
volar gli augelli in prima:
32
con quel
furor l'impetuosa gente,
là
dove avea in più parti il muro rotto,
entrò
col ferro e con la face ardente
a distruggere
il popul mal condotto.
Omicidio,
rapina e man violente
nel sangue e
ne l'aver, trasse di botto
la ricca e
trionfal città a ruina,
che fu di
tutta l'Africa regina.
33
D'uomini
morti pieno era per tutto;
e de le
innumerabili ferite
fatto era un
stagno più scuro e più brutto
di quel che
cinge la città di Dite.
Di casa in
casa un lungo incendio indutto
ardea palagi,
portici e meschite.
Di pianti e
d'urli e di battuti petti
suonano i
voti e depredati tetti.
34
I vincitori
uscir de le funeste
porte
vedeansi di gran preda onusti,
chi con bei
vasi e chi con ricche veste,
chi con
rapiti argenti a' dei vetusti:
chi traea i
figli, e chi le madri meste:
fur fatti
stupri e mille altri atti ingiusti,
dei quali
Orlando una gran parte intese,
né lo poté
vietar, né 'l duca inglese.
35
Fu Bucifar de
l'Algazera morto
con esso un
colpo da Olivier gagliardo.
Perduta ogni
speranza, ogni conforto,
s'uccise di
sua mano il re Branzardo,
con tre
ferite, onde morì di corto,
fu preso
Folvo dal duca dal Pardo.
Questi eran
tre ch'al suo partir lasciato
avea
Agramante a guardia de lo stato.
36
Agramante
ch'intanto avea deserta
l'armata, e
con Sobrin n'era fuggito,
pianse da
lungi e sospirò Biserta,
veduto
sì gran fiamma arder sul lito.
Poi
più d'appresso ebbe novella certa
come de la
sua terra il caso era ito:
e d'uccider
se stesso in pensier venne,
e lo facea;
ma il re Sobrin lo tenne.
37
Dicea Sobrin:
- Che più vittoria lieta,
signor,
potrebbe il tuo inimico avere,
che la tua
morte udire, onde quieta
si speraria
poi l'Africa godere?
Questo
contento il viver tuo gli vieta:
quindi
avrà cagion sempre di temere.
Sa ben che
lungamente Africa sua
esser non
può, se non per morte tua.
38
Tutti i
sudditi tuoi, morendo, privi
de la
speranza, un ben che sol ne resta.
Spero che
n'abbi a liberar, se vivi,
e trar
d'affanno e ritornarne in festa.
So che, se
muori, siàn sempre captivi,
Africa sempre
tributaria e mesta.
Dunque, s'in
util tuo viver non vuoi,
vivi, signor,
per non far danno ai tuoi.
39
Dal soldano
d'Egitto, tuo vicino,
certo esser
puoi d'aver danari e gente:
malvolentieri
il figlio di Pipino
in Africa
vedrà tanto potente.
Verrà
con ogni sforzo Norandino
per
ritornarti in regno, il tuo parente:
Armeni,
Turchi, Persi, Arabi e Medi,
tutti in
soccorso avrai, se tu li chiedi. -
40
Con tali e
simil detti il vecchio accorto
studia
tornare il suo signore in speme
di
racquistarsi l'Africa di corto;
ma nel suo
cor forse il contrario teme:
sa ben quanto
è a mal termine e a mal porto,
e come spesso
invan sospira e geme
chiunque il
regno suo si lascia torre,
e per
soccorso a' barbari ricorre.
41
Annibal e
Iugurta di ciò foro
buon
testimoni, ed altri al tempo antico:
al tempo
nostro Ludovico il Moro,
dato in poter
d'un altro Ludovico.
Vostro
fratello Alfonso da costoro
ben ebbe
esempio (a voi, Signor mio, dico),
che sempre ha
riputato pazzo espresso
chi
più si fida in altri ch'in se stesso.
42
E però
ne la guerra che gli mnosse
del pontifice
irato un duro sdegno,
ancor che ne
le deboli sue posse
non potessi
egli far molto disegno,
e chi lo
difendea, d'Italia fosse
spinto, e
n'avesse il suo nimico il regno;
né per
minacce mai né per promesse
s'indusse che
lo stato altrui cedesse.
43
Il re
Agramante all'oriente avea
volta la
prora, e s'era spinto in alto,
quando da
terra una tempesta rea
mosse da
banda impetuoso assalto.
Il nocchier
ch'al governo vi sedea:
- Io veggo
(disse alzando gli occhi ad alto)
una procella
apparecchiar sì grave,
che
contrastar non le potrà la nave.
44
S'attendete,
signori, al mio consiglio,
qui da man
manca ha un'isola vicina,
a cui mi par
ch'abbiamo a dar di piglio,
fin che passi
il furor de la marina. -
Consentì
il re Agramante; e di periglio
uscì,
pigliando la spiaggia mancina,
che per
salute de' nocchier giace
tra gli Afri
e di Vulcan l'alta fornace.
45
D'abitazioni
è l'isoletta vota,
piena d'umil
mortelle e di ginepri,
ioconda
solitudine e remota
a cervi, a
daini, a capriuoli, a lepri;
e fuor ch'a
piscatori, è poco nota,
ove sovente a
rimondati vepri
sospendon,
per seccar, l'umide reti:
dormeno
intanto i pesci in mar quieti.
46
Quivi trovar
che s'era un altro legno,
cacciato da
fortuna, già ridutto:
il gran
guerrier ch'in Sericana ha regno,
levato
d'Arli, avea quivi condutto.
Con modo
riverente e di sé degno
l'un re con
l'altro s'abbracciò all'asciutto;
ch'erano
amici, e poco inanzi furo
compagni
d'arme al parigino muro.
47
Con molto
dispiacer Gradasso intese
del re
Agramante le fortune avverse:
poi
confortollo, e come re cortese,
con la
propria persona se gli offerse:
ma che egli
andasse all'infedel paese
d'Egitto, per
aiuto, non sofferse.
- Che vi sia
(disse) periglioso gire,
dovria
Pompeio i profugi ammonire.
48
E perché
detto m'hai che con l'aiuto
degli Etiopi,
sudditi al Senapo,
Astolfo a
torti l'Africa è venuto,
e ch'arsa ha
la città che n'era capo;
e ch'Orlando
è con lui, che diminuto
poco inanzi
di senno aveva il capo;
mi pare al
tutto un ottimo rimedio
aver pensato
a farti uscir di tedio.
49
Io
piglierò per amor tuo l'impresa
d'entrar col
conte a singular certame.
Contra me so
che non avrà difesa,
se tutto
fosse di ferro o di rame.
Morto lui,
stimo la cristiana Chiesa,
quel che
l'agnelle il lupo ch'abbia fame.
Ho poi
pensato (e mi fia cosa lieve)
di fare i
Nubi uscir d'Africa in breve.
50
Farò
che gli altri Nubi che da loro
il Nilo parte
e la diversa legge,
e gli Arabi e
i Macrobi, questi d'oro
ricchi e di
gente, e quei d'equino gregge,
Persi e
Caldei (perché tutti costoro
con altri
molti il mio scettro corregge);
farò
ch'in Nubia lor faran tal guerra,
che non si
fermeran ne la tua terra. -
51
Al re
Agramante assai parve oportuna
del re
Gradasso la seconda offerta;
e si
chiamò obligato alla Fortuna,
che l'avea
tratto all'isola deserta:
ma non vuol
torre a condizione alcuna,
se racquistar
credesse indi Biserta,
che battaglia
per lui Gradasso prenda;
che 'n
ciò gli par che l'onor troppo offenda.
52
- S'a
disfidar s'ha Orlando, son quell'io
(rispose) a
cui la pugna più conviene:
e pronto vi
sarò; poi faccia Dio
di me, come
gli pare, o male o bene. -
-
Facciàn (disse Gradasso) al modo mio,
a un nuovo
modo ch'in pensier mi viene:
questa
battaglia pigliamo ambedui
incontra
Orlando, e un altro sia con lui. -
53
- Pur ch'io
non resti fuor, non me ne lagno
(disse
Agramante), o sia primo o secondo:
ben so ch'in
arme ritrovar compagno
di te miglior
non si può in tutto 'l mondo. -
- Ed io
(disse Sobrin) dove rimagno?
E se vecchio
vi paio, vi rispondo
ch'io debbo
esser più esperto, e nel periglio
presso alla
forza è buono aver consiglio. -
54
D'una
vecchiezza valida e robusta
era Sobrino,
e di famosa prova;
e dice ch'in
vigor l'età vetusta
si sente pari
alla già verde e nuova.
Stimata fu la
sua domanda giusta;
e senza
indugio un messo si ritrova,
il qual si
mandi agli africani lidi,
e da lor
parte il conte Orlando sfidi;
55
che s'abbia a
ritrovar con numer pare
di cavallieri
armati in Lipadusa.
Una isoletta
è questa, che dal mare
medesmo che
li cinge, è circonfusa.
Non cessa il
messo a vela e a remi andare,
come quel che
prestezza al bisogno usa,
che fu a
Biserta; e trovò Orlando quivi,
ch'a suoi le
spoglie dividea e i captivi.
56
Lo 'nvito di
Gradasso e d'Agramante
e di Sobrino
in publico fu espresso,
tanto
giocondo al principe d'Anglante,
che d'ampli
doni onorar fece il messo.
Avea dai suoi
compagni udito inante,
che Durindana
al fianco s'avea messo
il re
Gradasso: onde egli, per desire
di
racquistarla, in India volea gire,
57
stimando non
aver Gradasso altrove,
poi
ch'udì che di Francia era partito.
Or più
vicin gli è offerto luogo, dove
spera che 'l
suo gli fia restituito.
Il bel corno
d'Almonte anco lo muove
ad accettar
sì volentier lo 'nvito,
e Brigliador
non men; che sapea in mano
esser venuti
al figlio di Troiano.
58
Per compagno
s'elegge alla battaglia
il fedel
Brandimarte e 'l suo cognato.
Provato ha
quanto l'uno e l'altro vaglia;
sa che da
trambi è sommamente amato.
Buon
destrier, buona piastra e buona maglia,
e spade cerca
e lance in ogni lato
a sé e a'
compagni: che sappiate parme,
che nessun
d'essi avea le solite arme.
59
Orlando (come
io v'ho detto più volte)
de le sue
sparse per furor la terra:
agli altri ha
Rodomonte le lor tolte,
ch'or alta
torre in ripa un fiume serra.
Non se ne
può per Africa aver molte;
sì
perché in Francia avea tratto alla guerra
il re
Agramante ciò ch'era di buono,
sì
perché poche in Africa ne sono.
60
Ciò
che di ruginoso e di brunito
aver si
può, fa ragunare Orlando;
e coi
compagni intanto va pel lito
de la futura
pugna ragionando.
Gli avvien
ch'essendo fuor del campo uscito
più di
tre miglia, e gli occhi al mare alzando,
vide calar
con le vele alte un legno
verso il lito
african senza ritegno.
61
Senza
nocchieri e senza naviganti,
sol come il
vento e sua fortuna il mena,
venìa
con le vele alte il legno avanti,
tanto che se
ritenne in su l'arena.
Ma prima che
di questo più vi canti,
l'amor ch'a
Ruggier porto mi rimena
alla sua
istoria, e vuol ch'io vi racconte
di lui e del
guerrier di Chiaramonte.
62
Di questi duo
guerrier dissi che tratti
s'erano fuor
del marziale agone,
viste
convenzion rompere e patti,
e turbarsi
ogni squadra e legione.
Chi prima i
giuramenti abbia disfatti,
e stato sia
di tanto mal cagione,
o l'imperator
Carlo, o il re Agramante,
studian saper
da chi lor passa avante.
63
Un servitor
intanto di Ruggiero,
ch'era fedele
e pratico ed astuto,
né pel
conflitto dei duo campi fiero
avea di vista
il patron mai perduto,
venne a
trovarlo, e la spada e 'l destriero
gli diede,
perché a' suoi fosse in aiuto.
Montò
Ruggiero e la sua spada tolse,
ma ne la
zuffa entrar non però volse.
64
Quindi si
parte; ma prima rinuova
la convenzion
che con Rinaldo avea;
che se
pergiuro il suo Agramante trova,
lo
lascierà con la sua setta rea.
Per quel
giorno Ruggier fare altra prova
d'arme non
volse; ma solo attendea
a fermar
questo e quello, e a domandarlo
chi prima
roppe, o 'l re Agramante, o Carlo.
65
Ode da tutto
'l mondo, che la parte
del re
Agramante fu, che roppe prima.
Ruggiero ama
Agramante, e se si parte
da lui per
questo, error non lieve stima.
Fur le gente
africane e rotte e sparte
(questo ho
già detto inanzi), e da la cima
de la volubil
ruota tratte al fondo,
come piacque
a colei ch'aggira il mondo.
66
Tra sé volve
Ruggiero e fa discorso,
se restar
deve, o il suo signor seguire.
Gli pon
l'amor de la sua donna un morso
per non
lasciarlo in Africa più gire:
lo volta e
gira, ed a contrario corso
lo sprona, e
lo minaccia di punire,
se l' patto e
'l giuramento non tien saldo,
che fatto
avea col paladin Rinaldo.
67
Non men da
l'altra parte sferza e sprona
la vigilante
e stimulosa cura,
che
s'Agramante in quel caso abbandona,
a
viltà gli sia ascritto ed a paura.
Se del restar
la causa parrà buona
a molti, a
molti ad accettar fia dura.
Molti diran
che non si de' osservare
quel ch'era
ingiusto e illicito a giurare.
68
Tutto quel
giorno e la notte seguente
stette
solingo, e così l'altro giorno,
pur
travagliando la dubbiosa mente,
se partir
deve o far quivi soggiorno.
Pel signor
suo conclude finalmente
di fargli
dietro in Africa ritorno.
Potea in lui
molto il coniugale amore,
ma vi potea
più il debito e l'onore.
69
Torna verso
Arli; che trovarvi spera
l'armata
ancor, ch'in Africa il trasporti:
né legno in
mar né dentro alla rivera,
né Saracini
vede, se non morti.
Seco al
partire ogni legno che v'era
trasse
Agramante, e 'l resto arse nei porti.
Fallitogli il
pensier, prese il camino
verso
Marsilia pel lito marino.
70
A qualche
legno pensa dar di piglio,
ch'a prieghi
o forza il porti all'altra riva.
Già
v'era giunto del Danese il figlio
con l'armata
de' barbari captiva.
Non si
avrebbe potuto un gran di miglio
gittar ne
l'acqua: tanto la copriva
la spessa
moltitudine de navi,
di vincitori
e di prigioni, gravi.
71
Le navi de'
pagani, ch'avanzaro
dal fuoco e
dal naufragio quella notte,
eccetto poche
ch'in fuga n'andaro,
tutte a
Marsilia avea Dudon condotte.
Sette di quei
ch'in Africa regnaro,
che, poi che
le lor genti vider rotte,
con sette
legni lor s'eran renduti,
stavan
dolenti, lacrimosi e muti.
72
Era Dudon
sopra la spiaggia uscito,
ch'a trovar
Carlo andar volea quel giorno;
e de' captivi
e de lor spoglie ordito
con lunga
pompa avea un trionfo adorno.
Eran tutti i
prigion stesi nel lito,
e i Nubi
vincitori allegri intorno,
che faceano
del nome di Dudone
intorno
risonar la regione.
73
Venne in
speranza di lontan Ruggiero,
che questa
fosse armata d'Agramante;
e, per
saperne il vero, urtò il destriero:
ma riconobbe,
come fu più inante,
il re de
Nasamona prigionero,
Bambirago,
Agricalte e Farurante,
Manilardo e
Balastro e Rimedonte,
che piangendo
tenean bassa la fronte.
74
Ruggier che
gli ama, sofferir non puote
che stian ne
la miseria in che li trova.
Quivi sa ch'a
venir con le man vote,
senza usar
forza, il pregar poco giova.
La lancia
abbassa, e chi li tien percuote;
e fa del suo
valor l'usata prova;
stringe la
spada, e in un piccol momento
ne fa cadere
intorno più di cento.
75
Dudone ode il
rumor, la strage vede
che fa
Ruggier, ma chi sia non conosce.
Vede i suoi
c'hanno in fuga volto il piede
con gran
timor, con pianto e con angosce.
Presto il
destrier, lo scudo e l'elmo chiede;
che
già avea armato e petto e braccia e cosce:
salta a
cavallo e si fa dar la lancia,
e non oblia
ch'è paladin di Francia.
76
Grida che si
ritiri ognun da canto,
spinge il
cavallo e fa sentir gli sproni.
Ruggier
cent'altri n'avea uccisi intanto,
e gran
speranza dato a quei prigioni:
e come venir
vide Dudon santo
solo a
cavallo, e gli altri esser pedoni,
stimò
che capo e che signor lor fosse;
e contra lui
con gran desir si mosse.
77
Già
mosso prima era Dudon; ma quando
senza lancia
Ruggier vide venire,
lunge da sé
la sua gittò, sdegnando
con tal
vantaggio il cavallier ferire.
Ruggiero, al
cortese atto riguardando,
disse fra sé:
- Costui non può mentire,
ch'uno non
sia di quei guerrier perfetti
che paladin
di Francia sono detti.
78
S'impetrar lo
potrò, vo' che 'l suo nome,
inanzi che
segua altro, mi palese; -
e così
domandollo: e seppe come
era Dudon
figliuol d'Uggier danese.
Dudon
gravò Ruggier poi d'ugual some,
e parimente
lo trovò cortese.
Poi che i
nomi tra lor s'ebbono detti,
si disfidaro,
e vennero agli effetti.
79
Avea Dudon
quella ferrata mazza
ch'in mille
imprese gli diè eterno onore:
con essa
mostra ben ch'egli è di razza
di quel
Danese pien d'alto valore.
La spada
ch'apre ogni elmo, ogni corazza,
di che non
era al mondo la migliore,
trasse
Ruggiero, e fece paragone
di sua
virtude al paladin Dudone.
80
Ma perché in
mente ognora avea di meno
offender la
sua donna, che potea;
ed era certo,
se spargea il terreno
del sangue di
costui, che la offendea
(de le case
di Francia istrutto a pieno,
la madre di
Dudone esser sapea
Armelina
sorella di Beatrice,
ch'era di
Bradamante genitrice):
81
per questo
mai di punta non gli trasse,
e di taglio
rarissimo ferìa.
Schermiasi,
ovunque la mazza calasse,
or
ribattendo, or dandole la via.
Crede Turpin
che per Ruggier restasse,
che Dudon
morto in pochi colpi avria:
né mai,
qualunque volta si scoperse,
ferir, se non
di piatto, lo sofferse.
82
Di piatto
usar potea, come di taglio,
Ruggier la
spada sua ch'avea gran schena;
e quivi a
strano giuoco di sonaglio
sopra Dudon
con tanta forza mena,
che spesso
agli occhi gli pon tal barbaglio,
che si ritien
di non cadere a pena.
Ma per esser
più grato a chi mi ascolta,
io differisco
il canto a un'altra volta.
1
L'odor
ch'è sparso in ben notrita e bella
o chioma o barba
o delicata vesta
di giovene
leggiadro o di donzella,
ch'Amor
sovente lacrimando desta,
se spira e fa
sentir di sé novella,
e dopo molti
giorni ancora resta;
mostra con
chiaro ed evidente effetto,
come a
principio buono era e perfetto.
2
L'almo liquor
che ai meditori suoi
fece Icaro
gustar con suo gran danno,
e che si dice
che già Celte e Boi
fe' passar
l'Alpe e non sentir l'affanno;
mostra che
dolce era a principio, poi
che si serva
ancor dolce al fin de l'anno.
L'arbor ch'al
tempo rio foglia non perde,
mostra ch'a
primavera era ancor verde.
3
L'inclita
stirpe che per tanti lustri
mostrò
di cortesia sempre gran lume,
e par
ch'ognor più ne risplenda e lustri,
fa che con
chiaro indizio si presume,
che chi
progenerò gli Estensi illustri,
dovea d'ogni
laudabile costume
che sublimar
al ciel gli uomini suole,
splender non
men che fra le stelle il sole.
4
Ruggier, come
in ciascun suo degno gesto,
d'alto valor,
di cortesia solea
dimostrar
chiaro segno e manifesto,
e sempre
più magnanimo apparea;
così
verso Dudon lo mostrò in questo,
col qual
(come di sopra io vi dicea)
dissimulato
avea quanto era forte,
per
pietà che gli avea di porlo a morte.
5
Avea Dudon
ben conosciuto certo,
ch'ucciderlo
Ruggier non l'ha voluto;
perch'or s'ha
ritrovato allo scoperto,
or stanco
sì, che più non ha potuto.
Poi che
chiaro comprende, e vede aperto
che gli ha
rispetto, e che va ritenuto;
quando di
forza e di vigor val meno,
di cortesia
non vuol cedergli almeno.
6
- Per Dio
(dice), signor, pace facciamo;
ch'esser non
può più la vittoria mia:
esser non
può più mia; che già mi chiamo
vinto e
prigion de la tua cortesia. -
Ruggier
rispose: - Ed io la pace bramo
non men di
te; ma che con patto sia,
che questi
sette re c'hai qui legati,
lasci ch'in
libertà mi sieno dati. -
7
E gli
mostrò quei sette re ch'io dissi
che stavano
legati a capo chino;
e gli
soggiunse che non gli impedissi
pigliar con
essi in Africa il camino.
E così
furo in libertà remissi
quei re; che
gliel concesse il paladino;
e gli
concesse ancor ch'un legno tolse,
quel ch'a lui
parve, e verso Africa sciolse.
8
Il legno
sciolse, e fe' scioglier la vela,
e se
diè al vento perfido in possanza,
che da
principio la gonfiata tela
drizzò
a camino, e diè al nocchier baldanza.
Il lito
fugge, e in tal modo si cela,
che par che
ne sia il mar rimaso sanza.
Ne l'oscurar
del giorno fece il vento
chiara la sua
perfidia e 'l tradimento.
9
Mutossi da la
poppa ne le sponde,
indi alla
prora, e qui non rimase anco:
ruota la
nave, ed i nocchier confonde;
ch'or di
dietro or dinanzi or loro è al fianco.
Surgono
altiere e minacciose l'onde:
mugliando
sopra il mar va il gregge bianco.
Di tante
morti in dubbio e in pena stanno,
quanto son
l'acque ch'a ferir li vanno.
10
Or da fronte
or da tergo il vento spira;
e questo
inanzi, e quello a dietro caccia:
un altro da
traverso il legno aggira;
e ciascun pur
naufragio gli minaccia.
Quel che
siede al governo, alto sospira
pallido e
sbigottito ne la faccia;
e grida
invano, e invan con mano accenna
or di
voltare, or di calar l'antenna.
11
Ma poco il
cenno, e 'l gridar poco vale:
tolto
è 'l veder da la piovosa notte.
La voce,
senza udirsi, in aria sale,
in aria che
ferìa con maggior botte
de' naviganti
il grido universale,
e 'l fremito
de l'onde insieme rotte:
e in prora e
in poppa e in amendue le bande
non si
può cosa udir, che si commande.
12
Da la rabbia
del vento che si fende
ne le
ritorte, escono orribil suoni:
di spessi
lampi l'aria si raccende,
risuona 'l
ciel di spaventosi tuoni.
V'è
chi corre al timon, chi i remi prende;
van per uso
agli uffici a che son buoni:
chi
s'affatica a sciorre e chi a legare;
vota altri
l'acqua, e torna il mar nel mare.
13
Ecco
stridendo l'orribil procella
che 'l
repentin furor di borea spinge,
la vela
contra l'arbore flagella:
il mar si
leva, e quasi il cielo attinge.
Frangonsi i
remi; e di fortuna fella
tanto la
rabbia impetuosa stringe,
che la prora
si volta, e verso l'onda
fa rimaner la
disarmata sponda.
14
Tutta sotto
acqua va la destra banda,
e sta per
riversar di sopra il fondo.
Ognun,
gridando, a Dio si raccomanda;
che
più che certi son gire al profondo.
D'uno in un
altro mal fortuna manda:
il primo
scorre, e vien dietro il secondo.
Il legno
vinto in più parti si lassa,
e dentro
l'inimica onda vi passa.
15
Muove crudele
e spaventoso assalto
da tutti i
lati il tempestoso verno.
Veggon
talvolta il mar venir tant'alto,
che par
ch'arrivi insin al ciel superno.
Talor fan
sopra l'onde in su tal salto,
ch'a mirar
giù par lor veder lo 'nferno.
O nulla o
poca speme è che conforte;
e sta
presente inevitabil morte.
16
Tutta la
notte per diverso mare
scorsero
errando ove cacciolli il vento;
il fiero
vento che dovea cessare
nascendo il
giorno, e ripigliò augumento.
Ecco dinanzi
un nudo scoglio appare:
voglion
schivarlo, e non v'hanno argumento.
Li porta, lor
mal grado, a quella via
il crudo
vento e la tempesta ria.
17
Tre volte e
quattro il pallido nocchiero
mette vigor
perché 'l timon sia volto
e trovi
più sicuro altro sentiero;
ma quel si
rompe, e poi dal mar gli è tolto.
Ha sì
la vela piena il vento fiero,
che non si
può calar poco né molto:
né tempo han
di riparo o di consiglio;
che troppo
appresso è quel mortal periglio.
18
Poi che senza
rimedio si comprende
la
irreparabil rotta de la nave,
ciascuno al
suo privato utile attende,
ciascun
salvar la vita sua cura have.
Chi
può più presto al palischermo scende;
ma quello
è fatto subito sì grave
per tanta
gente che sopra v'abbonda,
che poco
avanza a gir sotto la sponda.
19
Ruggier che
vide il comite e 'l padrone
e gli altri
abbandonar con fretta il legno,
come
senz'arme si trovò in giubbone,
campar su
quel battel fece disegno:
ma lo
trovò sì carco di persone,
e tante
venner poi, che l'acque il segno
passaro in
guisa, che per troppo pondo
con tutto il
carco andò il legnetto al fondo:
20
del mare al
fondo: e seco trasse quanti
lasciaro a
sua speranza il maggior legno.
Allor
s'udì con dolorosi pianti
chiamar
soccorso dal celeste regno:
ma quelle
voci andaro poco inanti,
che venne il
mar pien d'ira e di disdegno,
e subito
occupò tutta la via
onde il
lamento e il flebil grido uscia.
21
Altri
là giù, senza apparir più, resta;
altri risorge
e sopra l'onde sbalza;
chi vien
nuotando e mostra fuor la testa,
chi mostra un
braccio, e chi una gamba scalza.
Ruggier che
'l minacciar de la tempesta
temer non
vuol, dal fondo al sommo s'alza,
e vede il
nudo scoglio non lontano,
ch'egli e i
compagni avean fuggito invano.
22
Spera, per
forza di piedi e di braccia
nuotando, di
salir sul lito asciutto.
Soffiando
viene, e lungi da la faccia
l'onda
respinge e l'importuno flutto.
Il vento
intanto e la tempesta caccia
il legno
voto, e abbandonato in tutto
da quelli che
per lor pessima sorte
il disio di
campar trasse alla morte.
23
Oh fallace
degli uomini credenza!
campò
la nave che dovea perire;
quando il
padrone e i galleotti senza
governo alcun
l'avean lasciata gire.
Parve che si
mutasse di sentenza
il vento, poi
che ogni uom vide fuggire:
fece che 'l
legno a miglior via si torse,
né
toccò terra, e in sicura onda corse.
24
E dove col
nocchier tenne via incerta,
poi che non
l'ebbe, andò in Africa al dritto,
e venne a
capitar presso a Biserta
tre miglia o
due, dal lato verso Egitto;
e ne l'arena
sterile e deserta
restò,
mancando il vento e l'acqua, fitto.
Or quivi
sopravenne, a spasso andando,
come di sopra
io vi narrava, Orlando.
25
E disioso di
saper se fusse
la nave sola,
e fusse o vota o carca,
con
Brandimarte a quella si condusse
e col
cognato, in su una lieve barca.
Poi che sotto
coverta s'introdusse,
tutta la
ritrovò d'uomini scarca:
vi
trovò sol Frontino il buon destriero,
l'armatura e
la spada di Ruggiero;
26
di cui fu per
campar tanto la fretta,
ch'a tor la
spada non ebbe pur tempo.
Conobbe
quella il paladin, che detta
fu Balisarda,
e che già sua fu un tempo.
So che tutta
l'istoria avete letta,
come la tolse
a Falerina, al tempo
che le
distrusse anco il giardin sì bello,
e come a lui
poi la rubò Brunello;
27
e come sotto
il monte di Carena
Brunel ne fe'
a Ruggier libero dono.
Di che taglio
ella fosse e di che schena,
n'avea
già fatto esperimento buono;
io dico
Orlando: e però n'ebbe piena
letizia, e
ringrazionne il sommo Trono;
e si credette
(e spesso il disse dopo),
che Dio
gliele mandasse a sì grande uopo:
28
a sì
grande uopo, come era, dovendo
condursi col
signor di Sericana;
ch'oltre che
di valor fosse tremendo,
sapea ch'avea
Baiardo e Durindana.
L'altra
armatura, non la conoscendo,
non
apprezzò per cosa sì soprana,
come chi ne
fe' prova apprezzò quella,
per buona
sì, ma per più ricca e bella.
29
E perché gli
facean poco mestiero
l'arme
(ch'era inviolabile e affatato),
contento fu
che l'avesse Oliviero;
il brando no,
che sel pose egli a lato:
a Brandimarte
consegnò il destriero.
Così
diviso ed ugualmente dato
volse che
fosse a ciaschedun compagno
ch'insieme si
trovar, di quel guadagno.
30
Pel dì
de la battaglia ogni guerriero
studia aver
ricco e nuovo abito indosso.
Orlando
riccamar fa nel quartiero
l'alto Babel
dal fulmine percosso.
Un can
d'argento aver vuole Oliviero,
che giaccia,
e che la lassa abbia sul dosso,
con un motto
che dica: Fin che vegna:
e vuol d'oro
la vesta e di sé degna.
31
Fece disegno
Brandimarte, il giorno
de la
battaglia, per amor del padre,
e per suo
onor, di non andare adorno
se non di
sopraveste oscure ed adre.
Fiordiligi le
fe' con fregio intorno,
quanto
più seppe far, belle e leggiadre.
Di ricche
gemme il fregio era contesto;
d'un schietto
drappo e tutto nero il resto.
32
Fece la donna
di sua man le sopra-
vesti a cui
l'arme converrian più fine,
de' quai
l'osbergo il cavallier si cuopra,
e la groppa
al cavallo e 'l petto e 'l crine.
Ma da quel
dì che cominciò quest'opra,
continuando a
quel che le diè fine,
e dopo
ancora, mai segno di riso
far non poté,
né d'allegrezza in viso.
33
Sempre ha
timor nel cor, sempre tormento
che
Brandimarte suo non le sia tolto.
Già
l'ha veduto in cento lochi e cento
in gran
battaglie e perigliose avvolto;
né mai, come
ora, simile spavento
le
agghiacciò il sangue e impallidille il volto:
e questa
novità d'aver timore
le fa tremar
di doppia tema il core.
34
Poi che son
d'arme e d'ogni arnese in punto,
alzano al
vento i cavallier le vele.
Astolfo e
Sansonetto con l'assunto
riman del
grande esercito fedele.
Fiordiligi
col cor di timor punto,
empiendo il
ciel di voti e di querele,
quanto con
vista seguitar le puote,
segue le vele
in alto mar remote.
35
Astolfo a
gran fatica e Sansonetto
poté levarla
dal mirar ne l'onda
e ritrarla al
palagio, ove sul letto
la lasciaro
affannata e tremebonda.
Portava
intanto il bel numero eletto
dei tre buon
cavallier l'aura seconda.
Andò
il legno a trovar l'isola al dritto,
ove far si
dovea tanto conflitto.
36
Sceso nel
lito il cavallier d'Anglante,
il cognato
Oliviero e Brandimarte,
col
padiglione il lato di levante
primi
occupar; né forse il fer senz'arte.
Giunse quel
dì medesimo Agramante,
e
s'accampò da la contraria parte;
ma perché
molto era inchinata l'ora,
differir la
battaglia ne l'aurora.
37
Di qua e di
là sin alla nuova luce
stanno alla
guardia i servitori armati.
La sera
Brandimarte si conduce
là
dove i Saracin sono alloggiati,
e parla, con
licenza del suo duce,
al re
african; ch'amici erano stati:
e Brandimarte
già con la bandiera
del re
Agramante in Francia passato era.
38
Dopo i saluti
e 'l giunger mano a mano,
molte ragion,
sì come amico, disse
il fedel
cavalliero al re pagano,
perché a
questa battaglia non venisse:
e di riporgli
ogni cittade in mano,
che sia tra
'l Nilo e 'l segno ch'Ercol fisse,
con
volontà d'Orlando gli offeria,
se creder
volea al Figlio di Maria.
39
- Perché
sempre v'ho amato ed amo molto,
questo
consiglio (gli dicea) vi dono;
e quando
già, signor, per me l'ho tolto,
creder potete
ch'io l'estimo buono.
Cristo
conobbi Dio, Maumette stolto;
e bramo voi
por ne la via in ch'io sono:
ne la via di
salute, signor, bramo
che siate
meco, e tutti gli altri ch'amo.
40
Qui consiste
il ben vostro; né consiglio
altro potete
prender, che vi vaglia;
e men di
tutti gli altri, se col figlio
di Milon vi
mettete alla battaglia;
che 'l
guadagno del vincere al periglio
de la perdita
grande non si agguaglia.
Vincendo voi,
poco acquistar potete;
ma non perder
già poco, se perdete.
41
Quando
uccidiate Orlando, e noi venuti
qui per
morire o vincere con lui,
io non veggo
per questo che i perduti
domini a racquistar
s'abbian per vui.
Né dovete
sperar che sì si muti
lo stato de
le cose, morti nui,
ch'uomini a
Carlo manchino da porre
quivi a
guardar fin all'estrema torre. -
42
Così
parlava Brandimarte, ed era
per
suggiungere ancor molte altre cose;
ma fu con voce
irata e faccia altiera
dal pagano
interrotto, che rispose:
-
Temerità per certo e pazzia vera
è la
tua, e di qualunque che si pose
a consigliar
mai cosa o buona o ria,
ove chiamato
a consigliar non sia.
43
E che 'l
consiglio che mi dai, proceda
da ben che
m'hai voluto e vuommi ancora,
io non so, a
dire il ver, come io tel creda,
quando qui
con Orlando ti veggo ora.
Crederò
ben, tu che ti vedi in preda
di quel
dragon che l'anime devora,
che brami
teco nel dolore eterno
tutto 'l
mondo poter trarre all'inferno.
44
Ch'io vinca o
perda, o debba nel mio regno
tornare
antiquo, o sempre starne in bando,
in mente sua
n'ha Dio fatto disegno,
il qual né
io, né tu, né vede Orlando.
Sia quel che
vuol, non potrà ad atto indegno
di re
inchinarmi mai timor nefando.
S'io fossi
certo di morir, vo' morto
prima restar,
ch'al sangue mio far torto.
45
Or ti puoi
ritornar; che se migliore
non sei
dimani in questo campo armato,
che tu mi sia
paruto oggi oratore,
mal
troverassi Orlando accompagnato. -
Queste ultime
parole usciron fuore
del petto
acceso d'Agramante irato.
Ritornò
l'uno e l'altro, e ripososse,
fin che del
mare il giorno uscito fosse.
46
Nel
biancheggiar de la nuova alba armati,
e in un
momento fur tutti a cavallo.
Pochi sermon
si son tra loro usati:
non vi fu
indugio, non vi fu intervallo,
che i ferri
de le lance hanno abbassati.
Ma mi parria,
Signor, far troppo fallo,
se, per voler
di costor dir, lasciassi
tanto Ruggier
nel mar, che v'affogassi.
47
Il giovinetto
con piedi e con braccia
percotendo
venìa l'orribil onde.
Il vento e la
tempesta gli minaccia;
ma più
la coscienza lo confonde.
Teme che
Cristo ora vendetta faccia;
che, poi che
battezzar ne l'acque monde,
quando ebbe
tempo, sì poco gli calse,
or si
battezzi in queste amare e salse.
48
Gli ritornano
a mente le promesse
che tante
volte alla sua donna fece;
quel che
giurato avea quando si messe
contra
Rinaldo, e nulla satisfece.
A Dio, ch'ivi
punir non lo volesse,
pentito disse
quattro volte e diece;
e fece voto
di core e di fede
d'esser
cristian, se ponea in terra il piede:
49
e mai
più non pigliar spada né lancia
contra ai
fedeli in aiuto de' Mori;
ma che
ritorneria subito in Francia,
e a Carlo
renderia debiti onori;
né Bradamante
più terrebbe a ciancia,
e verria a
fine onesto dei suo' amori.
Miracol fu,
che sentì al fin del voto
crescersi
forza e agevolarsi il nuoto.
50
Cresce la
forza e l'animo indefesso:
Ruggier
percuote l'onde e le respinge,
l'onde che
seguon l'una all'altra presso,
di che una il
leva, un'altra lo sospinge.
Così
montando e discendendo spesso
con gran
travaglio, al fin l'arena attinge;
e da la parte
onde s'inchina il colle
più
verso il mar, esce bagnato e molle.
51
Fur tutti gli
altri che nel mar si diero,
vinti da
l'onde, e al fin restar ne l'acque.
Nel solitario
scoglio uscì Ruggiero,
come all'alta
Bontà divina piacque.
Poi che fu
sopra il monte inculto e fiero
sicur dal
mar, nuovo timor gli nacque
d'avere
esilio in sì strette confine,
e di morirvi
di disagio al fine.
52
Ma pur col
core indomito, e costante
di patir
quanto è in ciel di lui prescritto,
pei duri
sassi l'intrepide piante
mosse,
poggiando invêr la cima al dritto.
Non era cento
passi andato inante,
che vide
d'anni e d'astinenze afflitto
uom ch'avea
d'eremita abito e segno,
di molta
riverenza e d'onor degno;
53
che, come gli
fu presso: - Saulo, Saulo,
(gridò),
perché persegui la mia fede?
(come allor
il Signor disse a san Paulo,
che 'l colpo
salutifero gli diede).
Passar
credesti il mar, né pagar naulo,
e defraudare
altrui de la mercede.
Vedi che Dio,
c'ha lunga man, ti giunge
quando tu gli
pensasti esser più lunge. -
54
E
seguitò il santissimo eremita,
il qual la
notte inanzi avuto avea
in vision da
Dio, che con sua aita
allo scoglio
Ruggier giunger dovea:
e di lui
tutta la passata vita,
e la futura,
e ancor la morte rea,
figli e
nipoti ed ogni discendente
gli avea Dio
rivelato interamente.
55
Seguitò
l'eremita riprendendo
prima
Ruggiero; e al fin poi confortollo.
Lo riprendea
ch'era ito differendo
sotto il
soave giogo a porre il collo;
e quel che
dovea far, libero essendo,
mentre Cristo
pregando a sé chiamollo,
fatto avea
poi con poca grazia, quando
venir con
sferza il vide minacciando.
56
Poi
confortollo che non niega il cielo
tardi o per
tempo Cristo a chi gliel chiede;
e di quelli
operarii del Vangelo
narrò,
che tutti ebbono ugual mercede.
Con caritade
e con devoto zelo
lo venne
ammaestrando ne la fede,
verso la
cella sua con lento passo,
ch'era cavata
a mezzo il duro sasso.
57
Di sopra
siede alla devota cella
una piccola
chiesa che risponde
all'oriente,
assai commoda e bella:
di sotto un
bosco scende sin all'onde,
di lauri e di
ginepri e di mortella,
e di palme
fruttifere e feconde;
che riga
sempre una liquida fonte,
che
mormorando cade giù dal monte.
58
Eran degli
anni ormai presso a quaranta
che su lo
scoglio il fraticel si messe;
ch'a menar
vita solitaria e santa
luogo
oportuno il Salvator gli elesse.
Di frutte
colte or d'una or d'altra pianta,
e d'acqua
pura la sua vita resse,
che valida e
robusta e senza affanno
era venuta
all'ottantesimo anno.
59
Dentro la
cella il vecchio accese il fuoco,
e la mensa
ingombrò di vari frutti,
ove si
ricreò Ruggiero un poco,
poscia ch'i
panni e i capelli ebbe asciutti.
Imparò
poi più ad agio in questo loco
de nostra
fede i gran misteri tutti;
ed alla pura
fonte ebbe battesmo
il dì
seguente dal vecchio medesmo.
60
Secondo il
luogo, assai contento stava
quivi
Ruggier; che 'l buon servo di Dio
fra pochi
giorni intenzion gli dava
di rimandarlo
ove più avea disio.
Di molte cose
intanto ragionava
con lui
sovente, or al regno di Dio,
or agli
propri casi appertinenti,
or del suo
sangue alle future genti.
61
Avea il
Signor, che 'l tutto intende e vede,
rivelato al
santissimo eremita,
che Ruggier
da quel dì ch'ebbe la fede,
dovea sette
anni, e non più, stare in vita;
che per la
morte che sua donna diede
a Pinabel,
ch'a lui fia attribuita,
saria, e per
quella ancor di Bertolagi,
morto dai
Maganzesi empi e malvagi.
62
E che quel
tradimento andrà sì occulto,
che non se
n'udirà di fuor novella;
perché nel
proprio loco fia sepulto
ove anco
ucciso da la gente fella:
per questo
tardi vendicato ed ulto
fia da la
moglie e da la sua sorella.
E che col
ventre pien per lunga via
da la moglie
fedel cercato fia.
63
Fra l'Adice e
la Brenta a piè de' colli
ch'al troiano
Antenòr piacqueno tanto,
con le
sulfuree vene e rivi molli,
con lieti
solchi e prati ameni a canto,
che con
l'alta Ida volentier mutolli,
col sospirato
Ascanio e caro Xanto,
a parturir
verrà ne le foreste
che son poco
lontane al frigio Ateste.
64
E ch'in
bellezza ed in valor cresciuto
il parto suo,
che pur Ruggier fia detto,
e del sangue
troian riconosciuto
da quei
Troiani, in lor signor fia elletto;
e poi da
Carlo, a cui sarà in aiuto
incontra i
Longobardi giovinetto,
dominio
giusto avrà del bel paese,
e titolo
onorato di marchese.
65
E perché
dirà Carlo in latino: - <I>Este</I>
signori qui,
- quando faragli il dono,
nel secolo
futur nominato Este
sarà
il bel luogo con augurio buono;
e così
lascierà il nome d'Ateste
de le due
prime note il vecchio suono.
Avea Dio
ancora al servo suo predetta
di Ruggier la
futura aspra vendetta:
66
ch'in visione
alla fedel consorte
apparirà
dinanzi al giorno un poco;
e le
dirà chi l'avrà messo a morte,
e, dove
giacerà, mostrerà il loco:
onde ella poi
con la cognata forte
distruggerà
Pontieri a ferro e a fuoco;
né
farà a' Maganzesi minor danni
il figlio suo
Ruggiero, ov'abbia gli anni.
67
D'Azzi,
d'Alberti, d'Obici discorso
fatto gli
aveva, e di lor stirpe bella,
insino a
Nicolò, Leonello, Borso,
Ercole,
Alfonso, Ippolito e Issabella.
Ma il santo
vecchio, ch'alla lingua ha il morso,
non di quanto
egli sa però favella:
narra a
Ruggier quel che narrar conviensi;
e quel ch'in
sé de' ritener, ritiensi.
68
In questo
tempo Orlando e Brandimarte
e 'l marchese
Olivier col ferro basso
vanno a
trovare il saracino Marte
(che
così nominar si può Gradasso)
e gli altri
duo che da contraria parte
han mosso i
buon destrier più che di passo;
io dico il re
Agramante e 'l re Sobrino:
rimbomba al
corso il lito e 'l mar vicino.
69
Quando allo
scontro vengono a trovarsi,
e in tronchi
vola al ciel rotta ogni lancia,
del gran
rumor fu visto il mar gonfiarsi,
del gran
rumor che s'udì sino in Francia.
Venne Orlando
e Gradasso a riscontrarsi;
e potea stare
ugual questa bilancia,
se non era il
vantaggio di Baiardo,
che fe' parer
Gradasso più gagliardo.
70
Percosse egli
il destrier di minor forza,
ch'Orlando
avea, d'un urto così strano,
che lo fece
piegare a poggia e ad orza,
e poi cader,
quanto era lungo, al piano.
Orlando di
levarlo si risforza
tre volte e
quattro, e con sproni e con mano;
e quando al
fin nol può levar, ne scende,
lo scudo
imbraccia, e Balisarda prende.
71
Scontrossi
col re d'Africa Oliviero;
e fur di
quello incontro a paro a paro.
Brandimarte
restar senza destriero
fece Sobrin:
ma non si seppe chiaro
se v'ebbe il
destrier colpa o il cavalliero;
ch'avezzo era
cader Sobrin di raro.
O del
destriero o suo pur fosse il fallo,
Sobrin si
ritrovò giù del cavallo.
72
Or
Brandimarte che vide per terra
il re Sobrin,
non l'assalì altrimente,
ma contra il
re Gradasso si disserra,
ch'avea
abbattuto Orlando parimente.
Tra il
marchese e Agramante andò la guerra
come fu
cominciata primamente:
poi che si
roppon l'aste negli scudi,
s'eran
tornati incontra a stocchi ignudi.
73
Orlando, che
Gradasso in atto vede,
che par ch'a
lui tornar poco gli caglia;
né tornar
Brandimarte gli concede,
tanto lo
stringe e tanto lo travaglia;
si volge
intorno, e similmente a piede
vede Sobrin
che sta senza battaglia.
Vêr lui
s'aventa; e al muover de le piante
fa il ciel
tremar del suo fiero sembiante.
74
Sobrin che di
tanto uom vede l'assalto,
stretto ne
l'arme s'apparecchia tutto:
come
nocchiero a cui vegna a gran salto
muggendo
incontra il minaccioso flutto,
drizza la
prora; e quando il mar tant'alto
vede salire,
esser vorria all'asciutto.
Sobrin lo
scudo oppone alla ruina
che da la
spada vien di Falerina.
75
Di tal
finezza è quella Balisarda,
che l'arme le
puon far poco riparo;
in man poi di
persona sì gagliarda,
in man
d'Orlando, unico al mondo o raro,
taglia lo
scudo; e nulla la ritarda,
perché
cerchiato sia tutto d'acciaro:
taglia lo
scudo e sino al fondo fende,
e sotto a
quello in su la spalla scende.
76
Scende alla
spalla; e perché la ritrovi
di doppia
lama e di maglia coperta,
non vuol
però che molto ella le giovi,
che di gran
piaga non la lasci aperta.
Mena Sobrin;
ma indarno è che si provi
ferire
Orlando, a cui per grazia certa
diede il
Motor del cielo e de le stelle,
che mai forar
non se gli può la pelle.
77
Radoppia il
colpo il valoroso conte,
e pensa da le
spalle il capo torgli.
Sobrin che sa
il valor di Chiaramonte,
e che poco
gli val lo scudo opporgli,
s'arretra, ma
non tanto, che la fronte
non venisse
anco Balisarda a corgli.
Di piatto fu,
ma il colpo tanto fello,
ch'amaccò
l'elmo, e gl'intronò il cervello.
78
Cadde Sobrin
del fiero colpo in terra,
onde a gran
pezzo poi non è risorto.
Crede finita
aver con lui la guerra
il paladino,
e che si giaccia morto;
e verso il re
Gradasso si disserra,
che
Brandimarte non meni a mal porto:
che 'l pagan
d'arme e di spada l'avanza
e di
destriero, e forse di possanza.
79
L'ardito
Brandimarte in su Frontino,
quel buon
destrier che di Ruggier fu dianzi,
si porta
così ben col Saracino,
che non par
già che quel troppo l'avanzi:
e s'egli
avesse osbergo così fino
come il
pagan, gli staria meglio inanzi;
ma gli
convien (che mal si sente armato)
spesso dar
luogo or d'uno or d'altro lato.
80
Altro
destrier non è che meglio intenda
di quel
Frontino il cavalliero a cenno:
par che
dovunque Durindana scenda,
or quinci or
quindi abbia a schivarla senno.
Agramante e
Olivier battaglia orrenda
altrove
fanno, e giudicar si denno
per duo
guerrier di pari in arme accorti,
e pochi
differenti in esser forti.
81
Avea
lasciato, come io dissi, Orlando
Sobrino in
terra; e contra il re Gradasso,
soccorrer
Brandimarte disiando,
come si
trovò a piè, venìa a gran passo.
Era vicin per
assalirlo, quando
vide in mezzo
del campo andare a spasso
il buon
cavallo onde Sobrin fu spinto;
e per averlo,
presto si fu accinto.
82
Ebbe il
destrier, che non trovò contesa,
e levò
un salto, ed entrò ne la sella.
Ne l'una man
la spada tien sospesa,
mette l'altra
alla briglia ricca e bella.
Gradasso vede
Orlando, e non gli pesa,
ch'a lui ne
viene, e per nome l'appella.
Ad esso e a
Brandimarte e all'altro spera
far parer
notte, e che non sia ancor sera.
83
Voltasi al
conte, e Brandimarte lassa,
e d'una punta
lo trova al camaglio:
fuor che la
carne, ogni altra cosa passa:
per forar
quella è vano ogni travaglio.
Orlando a un
tempo Balisarda abbassa:
non vale
incanto ov'ella mette il taglio.
L'elmo, lo
scudo, l'osbergo e l'arnese,
venne
fendendo in giù ciò ch'ella prese;
84
e nel volto e
nel petto e ne la coscia
lasciò
ferito il re di Sericana,
di cui non fu
mai tratto sangue, poscia
ch'ebbe
quell'arme: or gli par cosa strana
che quella
spada (e n'ha dispetto e angoscia)
le tagli or
sì; né pur è Durindana.
E se
più lungo il colpo era o più appresso,
l'avria dal
capo insino al ventre fesso.
85
Non bisogna
più aver ne l'arme fede,
come avea
dianzi; che la prova è fatta.
Con
più riguardo e più ragion procede,
che non
solea; meglio al parar si adatta.
Brandimarte
ch'Orlando entrato vede,
che gli ha di
man quella battaglia tratta,
si pone in
mezzo all'una e all'altra pugna,
perché in
aiuto, ove è bisogno, giugna.
86
Essendo la
battaglia in tale istato,
Sobrin,
ch'era giaciuto in terra molto,
si
levò, poi ch'in sé fu ritornato;
e molto gli
dolea la spalla e 'l volto:
alzò
la vista e mirò in ogni lato;
poi dove vide
il suo signor, rivolto,
per dargli
aiuto i lunghi passi torse
tacito
sì, ch'alcun non se n'accorse.
87
Vien dietro
ad Olivier che tenea gli occhi
al re
Agramante e poco altro attendea;
e gli
ferì nei deretan ginocchi
il destrier
di percossa in modo rea,
che senza
indugio è forza che trabocchi.
Cade Olivier,
né 'l piede aver potea,
il manco
piè, ch'al non pensato caso
sotto il
cavallo in staffa era rimaso.
88
Sobrin radoppia
il colpo, e di riverso
gli mena, e
se gli crede il capo torre;
ma lo vieta
l'acciar lucido e terso,
che
temprò già Vulcan, portò già Ettorre.
Vede il
periglio Brandimarte, e verso
il re Sobrino
a tutta briglia corre;
e lo fere in
sul capo, e gli dà d'urto;
ma il fiero
vecchio è tosto in piè risurto;
89
e torna ad
Olivier per dargli spaccio,
sì
ch'espedito all'altra vita vada;
o non
lasciare almen ch'esca d'impaccio,
ma che si
stia sotto 'l cavallo a bada.
Olivier c'ha
di sopra il miglior braccio,
sì che
si può difender con la spada,
di qua di
là tanto percuote e punge,
che, quanta
è lunga, fa Sobrin star lunge.
90
Spera,
s'alquanto il tien da sé rispinto,
in poco
spazio uscir di quella pena.
Tutto di
sangue il vede molle e tinto,
e che ne
versa tanto in su l'arena,
che gli par
ch'abbia tosto a restar vinto:
debole
è sì, che si sostiene a pena.
Fa per
levarsi Olivier molte prove,
né da dosso
il destrier però si muove.
91
Trovato ha
Brandimarte il re Agramante,
e cominciato
a tempestargli intorno:
or con
Frontin gli è al fianco, or gli è davante,
con quel
Frontin che gira come un torno.
Buon cavallo
ha il figliuol di Monodante:
non l'ha
peggiore il re di Mezzogiorno;
ha Brigliador
che gli donò Ruggiero
poi che lo
tolse a Mandricardo altiero.
92
Vantaggio ha
bene assai de l'armatura;
a tutta prova
l'ha buona e perfetta.
Brandimarte
la sua tolse a ventura,
qual poté
avere a tal bisogno in fretta:
ma sua
animosità sì l'assicura,
ch'in miglior
tosto di cangiarla aspetta;
come che 'l
re african d'aspra percossa
la spalla
destra gli avea fatta rossa;
93
e serbi da
Gradasso anco nel fianco
piaga da non
pigliar però da giuoco.
Tanto
l'attese al varco il guerrier franco,
che di
cacciar la spada trovò loco.
Spezzò
lo scudo, e ferì il braccio manco,
e poi ne la
man destra il toccò un poco.
Ma questo un
scherzo si può dire e un spasso
verso quel
che fa Orlando e 'l re Gradasso.
94
Gradasso ha
mezzo Orlando disarmato;
l'elmo gli ha
in cima e da dui lati rotto,
e fattogli
cader lo scudo al prato,
osbergo e maglia
apertagli di sotto:
non l'ha
ferito già, ch'era affatato.
Ma il
paladino ha lui peggio condotto:
in faccia, ne
la gola, in mezzo il petto
l'ha ferito,
oltre a quel che già v'ho detto.
95
Gradasso
disperato, che si vede
del proprio
sangue tutto molle e brutto,
e ch'Orlando
del suo dal capo al piede
sta dopo
tanti colpi ancora asciutto;
leva il
brando a due mani, e ben si crede
partirgli il
capo, il petto, il ventre e 'l tutto:
e a punto,
come vuol, sopra la fronte
percuote a
mezza spada il fiero conte.
96
E s'era altro
ch'Orlando, l'avria fatto,
l'avria
sparato fin sopra la sella:
ma, come
colto l'avesse di piatto,
la spada
ritornò lucida e bella.
De la
percossa Orlando stupefatto,
vide, mirando
in terra, alcuna stella:
lasciò
la briglia, e 'l brando avria lasciato;
ma di catena
al braccio era legato.
97
Del suon del
colpo fu tanto smarrito
il corridor
ch'Orlando avea sul dorso,
che
discorrendo il polveroso lito,
mostrando
gìa quanto era buono al corso.
De la
percossa il conte tramortito,
non ha valor
di ritenergli il morso.
Segue
Gradasso, e l'avria tosto giunto,
poco
più che Baiardo avesse punto.
98
Ma nel voltar
degli occhi, il re Agramante
vide condotto
all'ultimo periglio:
che ne l'elmo
il figliuol di Monodante
col braccio
manco gli ha dato di piglio;
e glie l'ha
dislacciato già davante,
e tenta col
pugnal nuovo consiglio:
né gli
può far quel re difesa molta,
perché di man
gli ha ancor la spada tolta.
99
Volta
Gradasso, e più non segue Orlando,
ma, dove vede
il re Agramante, accorre.
L'incauto
Brandimarte, non pensando
ch'Orlando
costui lasci da sé torre,
non gli ha né
gli occhi né 'l pensiero, instando
il coltel ne
la gola al pagan porre.
Giunge
Gradasso, e a tutto suo potere
con la spada
a due man l'elmo gli fere.
100
Padre del
ciel, dà fra gli eletti tuoi
spiriti luogo
al martir tuo fedele,
che giunto al
fin de' tempestosi suoi
viaggi, in
porto ormai lega le vele.
Ah Durindana,
dunque esser tu puoi
al tuo
signore Orlando sì crudele,
che la
più grata compagnia e più fida
ch'egli abbia
al mondo, inanzi tu gli uccida?
101
Di ferro un
cerchio grosso era duo dita
intorno
all'elmo, e fu tagliato e rotto
dal
gravissimo colpo, e fu partita
la cuffia de
l'acciar ch'era di sotto.
Brandimarte
con faccia sbigottita
giù
del destrier si riversciò di botto;
e fuor del
capo fe' con larga vena
correr di
sangue un fiume in su l'arena.
102
Il conte si
risente, e gli occhi gira,
ed ha il suo
Brandimarte in terra scorto;
e sopra in
atto il Serican gli mira,
che ben
conoscer può che glie l'ha morto.
Non so se in
lui poté più il duolo o l'ira;
ma da
piangere il tempo avea sì corto,
che
restò il duolo, e l'ira uscì più in fretta.
Ma tempo
è ormai che fine al canto io metta.
1
Qual duro
freno o qual ferrigno nodo,
qual, s'esser
può, catena di diamante
farà
che l'ira servi ordine e modo,
che non
trascorra oltre al prescritto inante,
quando
persona che con saldo chiodo
t'abbia
già fissa Amor nel cor costante,
tu vegga o
per violenza o per inganno
patire o
disonore o mortal danno?
2
E s'a crudel,
s'ad inumano effetto
quell'impeto
talor l'animo svia,
merita
escusa, perché allor del petto
non ha
ragione imperio né balìa.
Achille, poi
che sotto il falso elmetto
vide
Patròclo insanguinar la via,
d'uccider chi
l'uccise non fu sazio,
se nol traea,
se non ne facea strazio.
3
Invitto
Alfonso, simile ira accese
la vostra
gente il dì che vi percosse
la fronte il
grave sasso, e sì v'offese,
ch'ognun
pensò che l'alma gita fosse:
l'accese in
tal furor, che non difese
vostri
inimici argini o mura o fosse,
che non
fossino insieme tutti morti,
senza lasciar
chi la novella porti.
4
Il vedervi
cader causò il dolore
che i vostri
a furor mosse e a crudeltade.
S'eravate in
piè voi, forse minore
licenza
avriano avute le lor spade.
Eravi assai,
che la Bastia in manche ore
v'aveste
ritornata in potestade,
che tolta in
giorni a voi non era stata
da gente
cordovese e di Granata.
5
Forse fu da
Dio vindice permesso
che vi
trovaste a quel caso impedito,
acciò
che 'l crudo e scelerato eccesso
che dianzi
fatto avean, fosse punito:
che, poi
ch'in lor man vinto si fu messo
il miser
Vestidel, lasso e ferito,
senz'arme fu
tra cento spade ucciso
dal popul la
più parte circonciso.
6
Ma perch'io
vo' concludere, vi dico
che
nessun'altra quell'ira pareggia,
quando
signor, parente, o sozio antico
dinanzi agli
occhi ingiuriar ti veggia.
Dunque
è ben dritto per sì caro amico,
che subit'ira
il cor d'Orlando feggia;
che de
l'orribil colpo che gli diede
il re
Gradasso, morto in terra il vede.
7
Quel nomade
pastor che vedut'abbia
fuggir
strisciando l'orrido serpente
che il
figliuol che giocava ne la sabbia,
ucciso gli ha
col venenoso dente,
stringe il
baston con colera e con rabbia;
tal la spada
d'ogni altra più tagliente
stringe con
ira il cavallier d'Anglante:
il primo che
trovò, fu 'l re Agramante;
8
che
sanguinoso e de la spada privo,
con mezzo
scudo e con l'elmo disciolto,
e ferito in
più parti ch'io non scrivo,
s'era di man
di Brandimarte tolto,
come di
piè all'astor sparvier mal vivo,
a cui
lasciò alla coda invido o stolto.
Orlando
giunse, e messe il colpo giusto
ove il capo
si termina col busto.
9
Sciolto era
l'elmo e disarmato il collo,
sì che
lo tagliò netto come un giunco.
Cadde, e
diè nel sabbion l'ultimo crollo
del regnator
di Libia il grave trunco.
Corse lo
spirto all'acque, onde tirollo
Caron nel
legno suo col graffio adunco.
Orlando sopra
lui non si ritarda,
ma trova il
Serican con Balisarda.
10
Come vide
Gradasso d'Agramante
cadere il
busto dal capo diviso;
quel
ch'accaduto mai non gli era inante,
tremò
nel core e si smarrì nel viso;
e all'arrivar
del cavallier d'Anglante,
presago del
suo mal, parve conquiso.
Per schermo
suo partito alcun non prese,
quando il
colpo mortal sopra gli scese.
11
Orlando lo
ferì nel destro fianco
sotto
l'ultima costa; e il ferro, immerso
nel ventre,
un palmo uscì dal lato manco,
di sangue sin
all'elsa tutto asperso.
Mostrò
ben che di man fu del più franco
e del meglior
guerrier de l'universo
il colpo
ch'un signor condusse a morte,
di cui non
era in Pagania il più forte.
12
Di tal
vittoria non troppo gioioso,
presto di
sella il paladin si getta;
e col viso
turbato e lacrimoso
a Brandimarte
suo corre a gran fretta.
Gli vede
intorno il campo sanguinoso:
l'elmo che
par ch'aperto abbia una accetta,
se fosse
stato fral più che di scorza,
difeso non
l'avria con minor forza.
13
Orlando
l'elmo gli levò dal viso,
e
ritrovò che 'l capo sino al naso
fra l'uno e
l'altro ciglio era diviso:
ma pur gli
è tanto spirto anco rimaso,
che de' suoi
falli al Re del paradiso
può
domandar perdono anzi l'occaso;
e confortare
il conte, che le gote
sparge di
pianto, a pazienza puote;
14
e dirgli: -
Orlando, fa che ti raccordi
di me ne
l'orazion tue grate a Dio;
né men ti
raccomando la mia Fiordi... -
ma dir non
poté: - ... ligi -, e qui finio.
E voci e
suoni d'angeli concordi
tosto in aria
s'udir, che l'alma uscìo;
la qual
disciolta dal corporeo velo
fra dolce
melodia salì nel cielo.
15
Orlando,
ancor che far dovea allegrezza
di sì
devoto fine, e sapea certo
che
Brandimarte alla suprema altezza
salito era
(che 'l ciel gli vide aperto);
pur da la
umana volontade, avezza
coi fragil
sensi, male era sofferto
ch'un tal
più che fratel gli fosse tolto,
e non aver di
pianto umido il volto.
16
Sobrin che
molto sangue avea perduto,
che gli
piovea sul fianco e su le gote,
riverso
già gran pezzo era caduto,
e aver ne
dovea ormai le vene vote.
Ancor giacea
Olivier, né riavuto
il piede
avea, né riaver lo puote
se non
ismosso, e de lo star che tanto
gli fece il
destrier sopra, mezzo infranto:
17
e se 'l
cognato non venìa ad aitarlo
(sì
come lacrimoso era e dolente),
per sé
medesmo non potea ritrarlo;
e tanta
doglia e tal martìr ne sente,
che ritratto
che l'ebbe, né a mutarlo
né a
fermarvisi sopra era possente;
e n'ha
insieme la gamba sì stordita,
che muover
non si può, se non si aita.
18
De la
vittoria poco rallegrosse
Orlando; e
troppo gli era acerbo e duro
veder che
morto Brandimarte fosse,
né del
cognato molto esser sicuro.
Sobrin, che
vivea ancora, ritrovosse,
ma poco
chiaro avea con molto oscuro;
che la sua
vita per l'uscito sangue
era vicina a
rimanere esangue.
19
Lo fece tor,
che tutto era sanguigno,
il conte, e
medicar discretamente;
e confortollo
con parlar benigno,
come se stato
gli fosse parente;
che dopo il
fatto nulla di maligno
in sé tenea,
ma tutto era clemente.
Fece dei
morti arme e cavalli torre;
del resto a'
servi lor lasciò disporre.
20
Qui de la
istoria mia, che non sia vera,
Federigo
Fulgoso è in dubbio alquanto;
che con
l'armata avendo la riviera
di Barberia
trascorsa in ogni canto,
capitò
quivi, e l'isola sì fiera,
montuosa e
inegual ritrovò tanto,
che non
è, dice, in tutto il luogo strano,
ove un sol
piè si possa metter piano:
21
né verisimil
tien che ne l'alpestre
scoglio sei
cavallieri, il fior del mondo,
potesson far
quella battaglia equestre.
Alla quale
obiezion così rispondo:
ch'a quel
tempo una piazza de le destre,
che sieno a
questo, avea lo scoglio al fondo;
ma poi, ch'un
sasso che 'l tremuoto aperse,
le cadde
sopra, e tutta la coperse.
22
Sì
che, o chiaro fulgor de la Fulgosa
stirpe, o
serena, o sempre viva luce,
se mai mi
riprendeste in questa cosa,
e forse
inanti a quello invitto duce
per cui la
vostra patria or si riposa,
lascia ogni
odio, e in amor tutta s'induce;
vi priego che
non siate a dirgli tardo,
ch'esser
può che né in questo io sia bugiardo.
23
In questo
tempo, alzando gli occhi al mare,
vide Orlando
venire a vela in fretta
un navilio
leggier, che di calare
facea
sembiante sopra l'isoletta.
Di chi si
fosse, io non voglio or contare,
perc'ho
più d'uno altrove che m'aspetta.
Veggiamo in
Francia, poi che spinto n'hanno
i Saracin, se
mesti o lieti stanno.
24
Veggiàn
che fa quella fedele amante
che vede il
suo contento ir sì lontano;
dico la
travagliata Bradamante,
poi che
ritrova il giuramento vano,
ch'avea fatto
Ruggier pochi dì inante,
udendo il
nostro e l'altro stuol pagano.
Poi ch'in
questo ancor manca, non le avanza
in ch'ella
debba più metter speranza.
25
E ripetendo i
pianti e le querele
che pur
troppo domestiche le furo,
tornò
a sua usanza a nominar crudele
Ruggiero, e
'l suo destin spietato e duro.
Indi
sciogliendo al gran dolor le vele,
il ciel, che
consentia tanto pergiuro,
né fatto
n'avea ancor segno evidente,
ingiusto
chiama, debole e impotente.
26
Ad accusar
Melissa si converse,
e maledir
l'oracol de la grotta;
ch'a lor
mendace suasion s'immerse
nel mar
d'amore, ov'è a morir condotta.
Poi con
Marfisa ritornò a dolerse
del suo
fratel che le ha la fede rotta:
con lei grida
e si sfoga, e le domanda,
piangendo,
aiuto, e se le raccomanda.
27
Marfisa si
ristringe ne le spalle,
e, quel sol
che pò far, le dà conforto;
né crede che
Ruggier mai così falle,
ch'a lei non
debba ritornar di corto.
E se non
torna pur, sua fede dalle,
ch'ella non
patirà sì grave torto;
o che
battaglia piglierà con esso,
o gli
farà osservar ciò c'ha promesso.
28
Così
fa ch'ella un poco il duol raffrena;
ch'avendo ove
sfogarlo, è meno acerbo.
Or ch'abbiam
vista Bradamante in pena,
chiamar
Ruggier pergiuro, empio e superbo;
veggiamo
ancor, se miglior vita mena
il fratel suo
che non ha polso o nerbo,
osso o
medolla che non senta caldo
de le fiamme
d'amor; dico Rinaldo.
29
dico Rinaldo,
il qual, come sapete,
Angelica la bella
amava tanto;
né l'avea
tratto all'amorosa rete
sì la
beltà di lei, come l'incanto.
Aveano gli
altri paladin quiete,
essendo ai
Mori ogni vigore affranto:
tra i
vincitori era rimaso solo
egli captivo
in amoroso duolo.
30
Cento messi a
cercar che di lei fusse
avea mandato,
e cerconne egli stesso.
Al fine a
Malagigi si ridusse,
che nei
bisogni suoi l'aiutò spesso.
A narrar il
suo amor se gli condusse
col viso
rosso e col ciglio demesso;
indi lo
priega che gli insegni dove
la desiata
Angelica si trove.
31
Gran
maraviglia di sì strano caso
va rivolgendo
a Malagigi il petto.
Sa che sol
per Rinaldo era rimaso
d'averla
cento volte e più nel letto:
ed egli
stesso, acciò che persuaso
fosse di
questo, avea assai fatto e detto
con prieghi e
con minacce per piegarlo;
né mai avuto
avea poter di farlo:
32
e tanto
più, ch'allor Rinaldo avrebbe
tratto fuor
Malagigi di prigione.
Fare or
spontaneamente lo vorrebbe,
che nulla
giova, e n'ha minor cagione.
Poi priega
lui che ricordar si debbe
pur quanto ha
offeso in questo oltr'a ragione;
che per
negargli già, vi mancò poco
di non farlo
morire in scuro loco.
33
Ma quanto a
Malagigi le domande
di Rinaldo
importune più pareano,
tanto, che
l'amor suo fosse più grande,
indizio
manifesto gli faceano.
I prieghi che
con lui vani non spande,
fan che
subito immerge ne l'oceano
ogni memoria
de la ingiuria vecchia,
e che a
dargli soccorso s'apparecchia.
34
Termine tolse
alla risposta, e spene
gli
diè, che favorevol gli saria,
e che gli
saprà dir la via che tiene
Angelica, o
sia in Francia o dove sia.
E quindi
Malagigi al luogo viene
ove i demoni
scongiurar solia,
ch'era fra
monti inaccessibil grotta:
apre il
libro, e li spirti chiama in frotta.
35
Poi ne
sceglie un che de' casi d'amore
avea notizia,
e da lui saper volle,
come sia che
Rinaldo ch'avea il core
dianzi
sì duro, or l'abbia tanto molle:
e di quelle
due fonti ode il tenore,
di che l'una
dà il fuoco, e l'altra il tolle;
e al mal che
l'una fa, nulla soccorre,
se non
l'altra acqua che contraria corre.
36
Ed ode come
avendo già di quella
che l'amor
caccia, beuto Rinaldo,
ai lunghi
prieghi d'Angelica bella
si
dimostrò così ostinato e saldo;
e che poi
giunto per sua iniqua stella
a ber ne
l'altra l'amoroso caldo,
tornò
ad amar, per forza di quelle acque,
lei che pur
dianzi oltr'al dover gli spiacque.
37
Da iniqua
stella e fier destin fu giunto
a ber la
fiamma in quel ghiacciato rivo;
perché
Angelica venne quasi a un punto
a ber ne
l'altro di dolcezza privo,
che d'ogni
amor le lasciò il cor sì emunto,
ch'indi ebbe
lui più che le serpi a schivo:
egli
amò lei, e l'amor giunse al segno
in ch'era
già di lei l'odio e lo sdegno.
38
Del caso
strano di Rinaldo a pieno
fu Malagigi
dal demonio istrutto,
che gli
narrò d'Angelica non meno,
ch'a un
giovine african si donò in tutto;
e come poi
lasciato avea il terreno
tutto
d'Europa, e per l'instabil flutto
verso India
sciolto avea dai liti ispani
su l'audaci
galee de' Catallani.
39
Poi che venne
il cugin per la risposta,
molto gli
disuase Malagigi
di più
Angelica amar, che s'era posta
d'un
vilissimo barbaro ai servigi;
ed ora
sì da Francia si discosta,
che mal
seguir se ne potria i vestigi:
ch'era
oggimai più là ch'a mezza strada,
per andar con
Medoro in sua contrada.
40
La partita
d'Angelica non molto
sarebbe grave
all'animoso amante;
né pur gli
avria turbato il sonno, o tolto
il pensier di
tornarsene in Levante:
ma sentendo
ch'avea del suo amor colto
un Saracino
le primizie inante,
tal passione
e tal cordoglio sente,
che non fu in
vita sua, mai, più dolente.
41
Non ha poter
d'una risposta sola;
triema il cor
dentro, e trieman fuor le labbia;
non
può la lingua disnodar parola;
la bocca ha
amara, e par che tosco v'abbia.
Da Malagigi
subito s'invola;
e come il
caccia la gelosa rabbia,
dopo gran
pianto e gran ramaricarsi,
verso Levante
fa pensier tornarsi.
42
Chiede
licenza al figlio di Pipino:
e trova scusa
che 'l destrier Baiardo,
che ne mena
Gradasso saracino
contra il
dover di cavallier gagliardo,
lo muove per
suo onore a quel camino,
acciò
che vieti al Serican bugiardo
di mai
vantarsi che con spada o lancia
l'abbia
levato a un paladin di Francia.
43
Lasciollo
andar con sua licenza Carlo,
ben che ne fu
con tutta Francia mesto;
ma finalmente
non seppe negarlo,
tanto gli
parve il desiderio onesto.
Vuol Dudon,
vuol Guidone accompagnarlo;
ma lo niega
Rinaldo a quello e a questo.
Lascia
Parigi, e se ne va via solo,
pien di
sospiri e d'amoroso duolo.
44
Sempre ha in
memoria, e mai non se gli tolle,
ch'averla
mille volte avea potuto,
e mille volte
avea ostinato e folle
di sì
rara beltà fatto rifiuto;
e di tanto
piacer ch'aver non volle,
sì
bello e sì buon tempo era perduto:
ed ora
eleggerebbe un giorno corto
averne solo,
e rimaner poi morto.
45
Ha sempre in
mente, e mai non se ne parte,
come esser
puote ch'un povero fante
abbia del cor
di lei spinto da parte
merito e amor
d'ogni altro primo amante.
Con tal
pensier che 'l cor gli straccia e parte,
Rinaldo se ne
va verso Levante;
e dritto al
Reno e a Basilea si tiene,
fin che
d'Ardenna alla gran selva viene.
46
Poi che fu
dentro a molte miglia andato
il paladin
pel bosco aventuroso,
da ville e da
castella allontanato,
ove aspro era
più il luogo e periglioso,
tutto in un
tratto vide il ciel turbato,
sparito il
sol tra nuvoli nascoso,
ed uscir fuor
d'una caverna oscura
un strano
mostro in feminil figura.
47
Mill'occhi in
capo avea senza palpèbre;
non
può serrarli, e non credo che dorma:
non men che
gli occhi, avea l'orecchie crebre;
avea in loco
de crin serpi a gran torma.
Fuor de le
diaboliche tenèbre
nel mondo
uscì la spaventevol forma.
Un fiero e
maggior serpe ha per la coda,
che pel petto
si gira e che l'annoda.
48
Quel ch'a
Rinaldo in mille e mille imprese
più
non avvenne mai, quivi gli avviene;
che come vede
il mostro ch'all'offese
se gli
apparecchia, e ch'a trovar lo viene,
tanta paura,
quanta mai non scese
in altri
forse, gli entra ne le vene:
ma pur
l'usato ardir simula e finge,
e con trepida
man la spada stringe.
49
S'acconcia il
mostro in guisa al fiero assalto,
che si
può dir che sia mastro di guerra:
vibra il
serpente venenoso in alto,
e poi contra
Rinaldo si disserra;
di qua di
là gli vien sopra a gran salto.
Rinaldo
contra lui vaneggia ed erra:
colpi a
dritto e a riverso tira assai,
ma non ne
tira alcun che fera mai.
50
Il mostro al
petto il serpe ora gli appicca,
che sotto
l'arme e sin nel cor l'agghiaccia;
ora per la
visiera gliele ficca,
e fa ch'erra
pel collo e per la faccia.
Rinaldo da
l'impresa si dispicca,
e quanto
può con sproni il destrier caccia:
ma la Furia
infernal già non par zoppa,
che spicca un
salto, e gli è subito in groppa.
51
Vada al
traverso, al dritto, ove si voglia,
sempre ha con
lui la maledetta peste;
né sa modo
trovar, che se ne scioglia,
ben che 'l
destrier di calcitrar non reste.
Triema a
Rinaldo il cor come una foglia:
non
ch'altrimente il serpe lo moleste;
ma tanto
orror ne sente e tanto schivo,
che stride e
geme, e duolsi ch'egli è vivo.
52
Nel
più tristo sentier, nel peggior calle
scorrendo va,
nel più intricato bosco,
ove ha
più asprezza il balzo, ove la valle
è
più spinosa, ov'è l'aer più fosco,
così
sperando torsi da le spalle
quel brutto,
abominoso, orrido tosco;
e ne saria
mal capitato forse,
se tosto non
giungea chi lo soccorse.
53
Ma lo
soccorse a tempo un cavalliero
di bello
armato e lucido metallo,
che porta un
giogo rotto per cimiero,
di rosse
fiamme ha pien lo scudo giallo;
così
trapunto il suo vestire altiero,
così
la sopravesta del cavallo:
la lancia ha
in pugno, e la spada al suo loco,
e la mazza
all'arcion, che getta foco.
54
Piena d'un
foco eterno è quella mazza,
che senza
consumarsi ognora avampa:
né per buon
scudo o tempra di corazza
o per
grossezza d'elmo se ne scampa.
Dunque si
debbe il cavallier far piazza,
giri ove vuol
l'inestinguibil lampa:
né manco
bisognava al guerrier nostro,
per levarlo
di man del crudel mostro.
55
E come
cavallier d'animo saldo,
ove ha udito
il rumor, corre e galoppa,
tanto che
vede il mostro che Rinaldo
col brutto
serpe in mille nodi agroppa,
e sentir
fagli a un tempo freddo e caldo;
che non ha
via di torlosi di groppa.
Va il
cavalliero, e fere il mostro al fianco,
e lo fa
trabboccar dal lato manco.
56
Ma quello
è a pena in terra che si rizza,
e il lungo
serpe intorno aggira e vibra.
Quest'altro
più con l'asta non l'attizza;
ma di farla
col fuoco si delibra.
La mazza
impugna, e dove il serpe guizza,
spessi come
tempesta i colpi libra;
né lascia
tempo a quel brutto animale,
che possa
farne un solo o bene o male:
57
e mentre a
dietro il caccia o tiene a bada,
e lo
percuote, e vendica mille onte,
consiglia il
paladin che se ne vada
per quella
via che s'alza verso il monte.
Quel
s'appiglia al consiglio ed alla strada;
e senza
dietro mai volger la fronte,
non cessa,
che di vista se gli tolle,
ben che molto
aspro era a salir quel colle.
58
Il cavallier,
poi ch'alla scura buca
fece tornare
il mostro da l'inferno,
ove rode se
stesso e si manuca,
e da mille
occhi versa il pianto eterno;
per esser di
Rinaldo guida e duca
gli
salì dietro, e sul giogo superno
gli fu alle
spalle, e si mise con lui
per trarlo
fuor de' luoghi oscuri e bui.
59
Come Rinaldo
il vide ritornato,
gli disse che
gli avea grazia infinita,
e ch'era
debitore in ogni lato
di porre a
beneficio suo la vita.
Poi lo
domanda come sia nomato,
acciò
dir sappia chi gli ha dato aita,
e tra
guerrieri possa e inanzi a Carlo
de l'alta sua
bontà sempre esaltarlo.
60
Rispose il
cavallier: - Non ti rincresca
se 'l nome
mio scoprir non ti vogli'ora:
ben tel
dirò prima ch'un passo cresca
l'ombra; che
ci sarà poca dimora. -
Trovaro,
andando insieme, un'acqua fresca
che col suo
mormorio facea talora
pastori e
viandanti al chiaro rio
venire, e
berne l'amoroso oblio.
61
Signor,
queste eran quelle gelide acque,
quelle che
spengon l'amoroso caldo;
di cui
bevendo, ad Angelica nacque
l'odio
ch'ebbe di poi sempre a Rinaldo.
E s'ella un
tempo a lui prima dispiacque,
e se ne
l'odio il ritrovò sì saldo,
non
derivò, Signor, la causa altronde,
se non d'aver
beuto di queste onde.
62
Il cavallier
che con Rinaldo viene,
come si vede
inanzi al chiaro rivo,
caldo per la
fatica il destrier tiene,
e dice: - Il
posar qui non fia nocivo. -
- Non fia
(disse Rinaldo) se non bene;
ch'oltre che
prema il mezzogiorno estivo,
m'ha
così il brutto mostro travagliato,
che 'l
riposar mi fia commodo e grato. -
63
L'un e
l'altro smontò del suo cavallo,
e pascer lo
lasciò per la foresta;
e nel fiorito
verde a rosso e a giallo
ambi si
trasson l'elmo de la testa.
Corse Rinaldo
al liquido cristallo,
spinto da
caldo e da sete molesta,
e
cacciò, a un sorso del freddo liquore,
dal petto
ardente e la sete e l'amore.
64
Quando lo
vide l'altro cavalliero
la bocca
sollevar de l'acqua molle,
e ritrarne pentito
ogni pensiero
di quel desir
ch'ebbe d'amor sì folle;
si
levò ritto, e con sembiante altiero
gli disse
quel che dianzi dir non volle:
- Sappi,
Rinaldo, il nome mio è lo Sdegno,
venuto sol
per sciorti il giogo indegno. -
65
Così
dicendo, subito gli sparve,
e sparve
insieme il suo destrier con lui.
Questo a
Rinaldo un gran miracol parve;
s'aggirò
intorno, e disse: - Ove è costui? -
Stimar non sa
se sian magiche larve,
che Malagigi
un de' ministri sui
gli abbia
mandato a romper la catena
che
lungamente l'ha tenuto in pena:
66
o pur che Dio
da l'alta ierarchia
gli abbia per
ineffabil sua bontade
mandato, come
già mandò a Tobia,
un angelo a
levar di cecitade.
Ma buono o
rio demonio, o quel che sia,
che gli ha
renduta la sua libertade,
ringrazia e
loda; e da lui sol conosce
che sano ha
il cor da l'amorose angosce.
67
Gli fu nel
primier odio ritornata
Angelica; e
gli parve troppo indegna
d'esser, non
che sì lungi seguitata,
ma che per
lei pur mezza lega vegna.
Per Baiardo
riaver tutta fiata
verso India
in Sericana andar disegna,
sì
perché l'onor suo lo stringe a farlo,
sì per
averne già parlato a Carlo.
68
Giunse il
giorno seguente a Basilea,
ove la nuova
era venuta inante,
che 'l conte
Orlando aver pugna dovea
contra
Gradasso e contro il re Agramante.
Né questo per
aviso si sapea,
ch'avesse
dato il cavallier d'Anglante;
ma di Sicilia
in fretta venut'era
chi la
novella v'apportò per vera.
69
Rinaldo vuol
trovarsi con Orlando
alla
battaglia, e se ne vede lunge.
Di dieci in
dieci miglia va mutando
cavalli e
guide, e corre e sferza e punge.
Passa il Reno
a Costanza, e in su volando,
traversa
l'Alpe, ed in Italia giunge.
Verona a
dietro, a dietro Mantua lassa;
sul Po si
trova, e con gran fretta il passa.
70
Già
s'inchinava il sol molto alla sera,
e già
apparia nel ciel la prima stella,
quando
Rinaldo in ripa alla riviera
stando in
pensier s'avea da mutar sella,
o tanto
soggiornar, che l'aria nera
fuggisse
inanzi all'altra aurora bella,
venir si vede
un cavalliero inanti
cortese ne
l'aspetto e nei sembianti.
71
Costui, dopo
il saluto, con bel modo
gli
domandò s'aggiunto a moglie fosse.
Disse
Rinaldo: - Io son nel giugal nodo: -
ma di tal
domandar maravigliosse.
Soggiunse
quel: - Che sia così, ne godo. -
Poi, per
chiarir perché tal detto mosse,
disse: - Io
ti priego che tu sia contento
ch'io ti dia
questa sera alloggiamento;
72
che ti
farò veder cosa che debbe
ben
volentieri veder chi ha moglie a lato. -
Rinaldo,
sì perché posar vorrebbe,
ormai di
correr tanto affaticato;
sì
perché di vedere e d'udire ebbe
sempre
aventure un desiderio innato;
accettò
l'offerir del cavalliero,
e dietro gli
pigliò nuovo sentiero.
73
Un tratto
d'arco fuor di strada usciro,
e inanzi un
gran palazzo si trovaro,
onde scudieri
in gran frotta veniro
con torchi
accesi, e fero intorno chiaro.
Entrò
Rinaldo, e voltò gli occhi in giro,
e vide loco
il qual si vede raro,
di gran
fabrica e bella e bene intesa;
né a privato
uom convenia tanta spesa.
74
Di serpentin,
di porfido le dure
pietre fan de
la porta il ricco volto.
Quel che
chiude è di bronzo, con figure
che sembrano
spirar, muovere il volto.
Sotto un arco
poi s'entra, ove misture
di bel
musaico ingannan l'occhio molto.
Quindi si va
in un quadro ch'ogni faccia
de le sue
logge ha lunga cento braccia.
75
La sua porta
ha per sé ciascuna loggia,
e tra la
porta e sé ciascuna ha un arco:
d'ampiezza
pari son, ma varia foggia
fe'
d'ornamenti il mastro lor non parco.
Da ciascuno
arco s'entra, ove si poggia
sì
facil, ch'un somier vi può gir carco.
Un altro arco
di su trova ogni scala;
e s'entra per
ogni arco in una sala.
76
Gli archi di
sopra escono fuor del segno
tanto, che
fan coperchio alle gran porte;
e ciascun due
colonne ha per sostegno,
altre di
bronzo, altre di pietra forte.
Lungo
sarà, se tutti vi disegno
gli ornati
alloggiamenti de la corte;
e oltr'a quel
ch'appar, quanti agi sotto
la cava terra
il mastro avea ridotto.
77
L'alte
colonne e i capitelli d'oro,
da che i
gemmati palchi eran suffulti,
i peregrini
marmi che vi foro
da dotta mano
in varie forme sculti,
pitture e
getti, e tant'altro lavoro
(ben che la
notte agli occhi il più ne occulti),
mostran che
non bastaro a tanta mole
di duo re
insieme le ricchezze sole.
78
Sopra gli altri
ornamenti ricchi e belli,
ch'erano
assai ne la gioconda stanza,
v'era una
fonte che per più ruscelli
spargea
freschissime acque in abondanza.
Poste le
mense avean quivi i donzelli;
ch'era nel
mezzo per ugual distanza:
vedeva, e
parimente veduta era
da quattro
porte de la casa altiera.
79
Fatta da
mastro diligente e dotto
la fonte era
con molta e suttil opra,
di loggia a
guisa, o padiglion ch'in otto
facce
distinto, intorno adombri e cuopra.
Un ciel
d'oro, che tutto era di sotto
colorito di
smalto, le sta sopra;
ed otto
statue son di marmo bianco,
che sostengon
quel ciel col braccio manco.
80
Ne la man
destra il corno d'Amaltea
sculto aveva
lor l'ingenioso mastro,
onde con
grato murmure cadea
l'acqua di
fuore in vaso d'alabastro;
ed a
sembianza di gran donna avea
ridutto con
grande arte ogni pilastro.
Son d'abito e
di faccia differente,
ma grazia
hanno e beltà tutte ugualmente.
81
Fermava il
piè ciascuno di questi segni
sopra due
belle imagini più basse,
che con la
bocca aperta facean segni
che 'l canto
e l'armonia lor dilettasse;
e quell'atto
in che son, par che disegni
che l'opra e
studio lor tutto lodasse
le belle
donne che sugli omeri hanno,
se fosser
quei di cu' in sembianza stanno.
82
I simulacri
inferiori in mano
avean lunghe
ed amplissime scritture,
ove facean
con molta laude piano
i nomi de le
più degne figure;
e mostravano
ancor poco lontano
i propri loro
in note non oscure.
Mirò
Rinaldo a lume di doppieri
le donne ad
una ad una e i cavallieri.
83
La prima iscrizion
ch'agli occhi occorre,
con lungo
onor Lucrezia Borgia noma,
la cui
bellezza ed onestà preporre
debbe
all'antiqua la sua patria Roma.
I duo che
voluto han sopra sé torre
tanto
eccellente ed onorata soma,
noma lo
scritto, Antonio Tebaldeo,
Ercole Strozza:
un Lino ed uno Orfeo.
84
Non men
gioconda statua né men bella
si vede
appresso, e la scrittura dice:
- Ecco la
figlia d'Ercole, Issabella,
per cui
Ferrara si terrà felice
via
più, perché in lei nata sarà quella,
che d'altro
ben che prospera e fautrice
e benigna
Fortuna dar le deve,
volgendo gli
anni nel suo corso lieve. -
85
I duo che
mostran disiosi affetti
che la gloria
di lei sempre risuone,
Gian Iacobi
ugualmente erano detti,
l'uno
Calandra, e l'altro Bardelone.
Nel terzo e
quarto loco ove per stretti
rivi l'acqua
esce fuor del padiglione,
due donne
son, che patria, stirpe, onore
hanno di par,
di par beltà e valore.
86
Elissabetta
l'una e Leonora
nominata era
l'altra: e fia, per quanto
narrava il
marmo sculto, d'esse ancora
sì
gloriosa la terra di Manto,
che di
Vergilio, che tanto l'onora,
più
che di queste, non si darà vanto.
Avea la prima
a piè del sacro lembo
Iacobo
Sadoletto e Pietro Bembo.
87
Uno elegante
Castiglione, e un culto
Muzio Arelio
de l'altra eran sostegni.
Di questi
nomi era il bel marmo sculto,
ignoti
allora, or sì famosi e degni.
Veggon poi
quella a cui dal cielo indulto
tanta
virtù sarà, quanta ne regni,
o mai regnata
in alcun tempo sia,
versata da
Fortuna or buona or ria.
88
Lo scritto
d'oro esser costei dichiara
Lucrezia
Bentivoglia; e fra le lode
pone di lei,
che 'l duca di Ferrara
d'esserle
padre si rallegra e gode.
Di costei
canta con soave e chiara
voce un Camil
che 'l Reno e Felsina ode
con tanta
attenzion, tanto stupore,
con quanta
Anfriso udì già il suo pastore;
89
ed un per cui
la terra, ove l'Isauro
le sue dolci
acque insala in maggior vase,
nominata
sarà da l'Indo al Mauro,
e da
l'austrine all'iperboree case,
via
più che per pesare il romano auro,
di che
perpetuo nome le rimase;
Guido
Postumo, a cui doppia corona
Pallade
quinci, e quindi Febo dona.
90
L'altra che
segue in ordine, è Diana.
- Non guardar
(dice il marmo scritto) ch'ella
sia altiera
in vista; che nel core umana
non
sarà però men ch'in viso bella. -
Il dotto
Celio Calcagnin lontana
farà
la gloria e 'l bel nome di quella
nel regno di
Monese, in quel di Iuba,
in India e
Spagna udir con chiara tuba:
91
ed un Marco
Cavallo, che tal fonte
farà
di poesia nascer d'Ancona,
qual fe' il
cavallo alato uscir del monte,
non so se di
Parnasso o d'Elicona.
Beatrice
appresso a questo alza la fronte,
di cui lo
scritto suo così ragiona:
- Beatrice
bea, vivendo, il suo consorte,
e lo lascia
infelice alla sua morte;
92
anzi tutta
l'Italia, che con lei
fia triunfante,
e senza lei, captiva. -
Un signor di
Coreggio di costei
con alto stil
par che cantando scriva,
e Timoteo,
l'onor de' Bendedei:
ambi faran
tra l'una e l'altra riva
fermare al
suon de' lor soavi plettri
il fiume ove
sudar gli antiqui elettri.
93
Tra questo
loco e quel de la colonna
che fu
sculpita in Borgia, com'è detto,
formata in
alabastro una gran donna
era di tanto
e sì sublime aspetto,
che sotto
puro velo, in nera gonna,
senza oro e
gemme, in un vestire schietto,
tra le
più adorne non parea men bella,
che sia tra
l'altre la ciprigna stella.
94
Non si potea,
ben contemplando fiso,
conoscer se
più grazia o più beltade,
o maggior
maestà fosse nel viso,
o più
indizio d'ingegno o d'onestade.
- Chi
vorrà di costei (dicea l'inciso
marmo)
parlar, quanto parlar n'accade,
ben
torrà impresa più d'ogn'altra degna;
ma non
però ch'a fin mai se ne vegna. -
95
Dolce
quantunque e pien di grazia tanto
fosse il suo
bello e ben formato segno,
parea
sdegnarsi che con umil canto
ardisse lei
lodar sì rozzo ingegno,
com'era quel
che sol, senz'altri a canto
(non so
perché), le fu fatto sostegno.
Di tutto 'l
resto erano i nomi sculti;
sol questi
due l'artefice avea occulti.
96
Fanno le
statue in mezzo un luogo tondo,
che 'l
pavimento asciutto ha di corallo,
di freddo
soavissimo giocondo,
che rendea il
puro e liquido cristallo,
che di fuor
cade in un canal fecondo,
che 'l prato
verde, azzurro, bianco e giallo
rigando,
scorre per vari ruscelli,
grato alle
morbide erbe e agli arbuscelli.
97
Col cortese
oste ragionando stava
il paladino a
mensa; e spesso spesso,
senza
più differir, gli ricordava
che gli
attenesse quanto avea promesso:
e ad or ad or
mirandolo, osservava
ch'avea di
grande affanno il core oppresso;
che non
può star momento che non abbia
un cocente
sospiro in su le labbia.
98
Spesso la
voce dal disio cacciata
viene a
Rinaldo sin presso alla bocca
per
domandarlo; e quivi, raffrenata
di cortese
modestia, fuor non scocca.
Ora essendo
la cena terminata,
ecco un
donzello a chi l'ufficio tocca,
pon su la
mensa un bel nappo d'or fino,
di fuor di
gemme, e dentro pien di vino.
99
Il signor de
la casa allora alquanto
sorridendo, a
Rinaldo levò il viso;
ma chi ben lo
notava, più di pianto
parea
ch'avesse voglia che di riso.
Disse: - Ora
a quel che mi ricordi tanto,
che tempo sia
di sodisfar m'è aviso;
mostrarti un
paragon ch'esser de' grato
di vedere a
ciascun c'ha moglie allato.
100
Ciascun
marito, a mio giudizio, deve
sempre spiar
se la sua donna l'ama;
saper s'onore
o biasmo ne riceve,
se per lei
bestia, o se pur uom si chiama.
L'incarco de
le corna è lo più lieve
ch'al mondo
sia, se ben l'uom tanto infama:
lo vede quasi
tutta l'altra gente;
e chi l'ha in
capo, mai non se lo sente.
101
Se tu sai che
fedel la moglie sia,
hai di
più amarla e d'onorar ragione,
che non ha
quel che la conosce ria,
o quel che ne
sta in dubbio e in passione.
Di molte
n'hanno a torto gelosia
i lor mariti,
che son caste e buone:
molti di
molte anco sicuri stanno,
che con le
corna in capo se ne vanno.
102
Se vuoi saper
se la tua sia pudica
(come io
credo che credi, e creder déi;
ch'altrimente
far credere è fatica,
se chiaro
già per prova non ne sei),
tu per te
stesso, senza ch'altri il dica,
te
n'avvedrai, s'in questo vaso bei;
che per altra
cagion non è qui messo,
che per
mostrarti quanto io t'ho promesso.
103
Se béi con
questo, vedrai grande effetto;
che se porti
il cimier di Cornovaglia,
il vin ti
spargerai tutto sul petto,
né gocciola
sarà ch'in bocca saglia:
ma s'hai
moglie fedel, tu berai netto.
Or di veder
tua sorte ti travaglia. -
Così
dicendo, per mirar tien gli occhi,
ch'in seno il
vin Rinaldo si trabbocchi.
104
Quasi Rinaldo
di cercar suaso
quel che poi
ritrovar non vorria forse,
messa la mano
inanzi, e preso il vaso,
fu presso di
volere in prova porse:
poi, quanto
fosse periglioso il caso
a porvi i
labri, col pensier discorse.
Ma lasciate,
Signor, ch'io mi ripose;
poi
dirò quel che 'l paladin rispose.
1
O esecrabile
Avarizia, o ingorda
fame d'avere,
io non mi maraviglio
ch'ad alma
vile e d'altre macchie lorda,
sì
facilmente dar possi di piglio;
ma che meni
legato in una corda,
e che tu
impiaghi del medesmo artiglio
alcun, che
per altezza era d'ingegno,
se te schivar
potea, d'ogni onor degno.
2
Alcun la
terra e 'l mare e 'l ciel misura,
e render sa
tutte le cause a pieno
d'ogni opra,
d'ogni effetto di Natura,
e poggia
sì ch'a Dio riguarda in seno;
e non
può aver più ferma e maggior cura,
morso dal tuo
mortifero veleno,
ch'unir
tesoro: e questo sol gli preme,
e ponvi ogni
salute, ogni sua speme.
3
Rompe
eserciti alcuno, e ne le porte
si vede
entrar di bellicose terre,
ed esser
primo a porre il petto forte,
ultimo a
trarre, in perigliose guerre;
e non
può riparar che sino a morte
tu nel tuo
cieco carcere nol serre.
Altri d'altre
arti e d'altri studi industri,
oscuri fai,
che sarian chiari e illustri.
4
Che d'alcune
dirò belle e gran donne
ch'a
bellezza, a virtù de fidi amanti,
a lunga
servitù, più che colonne
io veggo
dure, immobili e costanti?
Veggo venir
poi l'Avarizia, e ponne
far
sì, che par che subito le incanti:
in un
dì, senza amor (chi fia che 'l creda?)
a un vecchio,
a un brutto, a un mostro le dà in preda.
5
Non è
senza cagion s'io me ne doglio:
intendami chi
può, che m'intend'io.
Né
però di proposito mi toglio,
né la materia
del mio canto oblio;
ma non
più a quel c'ho detto, adattar voglio,
ch'a quel
ch'io v'ho da dire, il parlar mio.
Or torniamo a
contar del paladino
ch'ad
assaggiare il vaso fu vicino.
6
Io vi dicea
ch'alquanto pensar volle,
prima ch'ai
labri il vaso s'appressasse.
Pensò,
e poi disse: - Ben sarebbe folle
chi quel che
non vorria trovar, cercasse.
Mia donna
è donna, ed ogni donna è molle:
lasciàn
star mia credenza come stasse.
Sin qui m'ha
il creder mio giovato, e giova:
che poss'io
megliorar per farne prova?
7
Potria poco
giovare e nuocer molto;
che 'l tentar
qualche volta Idio disdegna.
Non so s'in
questo io mi sia saggio o stolto;
ma non vo'
più saper, che mi convegna.
Or questo vin
dinanzi mi sia tolto:
sete non
n'ho, né vo' che me ne vegna;
che tal
certezza ha Dio più proibita,
ch'al primo
padre l'arbor de la vita.
8
Che come
Adam, poi che gustò del pomo
che Dio con
propria bocca gl'interdisse,
da la letizia
al pianto fece un tomo,
onde in
miseria poi sempre s'afflisse;
così,
se de la moglie sua vuol l'uomo
tutto saper
quanto ella fece e disse,
cade de
l'allegrezze in pianti e in guai,
onde non
può più rilevarsi mai. -
9
Così
dicendo il buon Rinaldo, e intanto
respingendo
da sé l'odiato vase,
vide abondare
un gran rivo di pianto
dagli occhi
del signor di quelle case,
che disse,
poi che racchetossi alquanto:
- Sia
maledetto chi mi persuase
ch'io facesse
la prova, ohimè! di sorte,
che mi
levò la dolce mia consorte.
10
Perché non ti
conobbi già dieci anni,
sì che
io mi fossi consigliato teco,
prima che
cominciassero gli affanni,
e 'l lungo
pianto onde io son quasi cieco?
Ma vo'
levarti da la scena i panni;
che 'l mio
mal vegghi, e te ne dogli meco:
e ti
dirò il principio e l'argumento
del mio non
comparabile tormento.
11
Qua su
lasciasti una città vicina,
a cui fa
intorno un chiaro fiume laco,
che poi si
stende e in questo Po declina,
e l'origine
sua vien di Benaco.
Fu fatta la
città, quando a ruina
le mura andar
de l'agenoreo draco.
Quivi nacque
io di stirpe assai gentile,
ma in pover
tetto e in facultade umile.
12
Se Fortuna di
me non ebbe cura
sì che
mi desse al nascer mio ricchezza,
al diffetto
di lei supplì Natura,
che sopra
ogni mio ugual mi diè bellezza.
Donne e
donzelle già di mia figura
arder
più d'una vidi in giovanezza;
ch'io ci
seppi accoppiar cortesi modi;
ben che stia
mal che l'uom se stesso lodi.
13
Ne la nostra
cittade era un uom saggio,
di tutte
l'arti oltre ogni creder dotto,
che quando
chiuse gli occhi al febeo raggio,
contava gli
anni suoi cento e ventotto.
Visse tutta
sua età solo e selvaggio,
se non
l'estrema; che d'Amor condotto,
con premio
ottenne una matrona bella,
e n'ebbe di
nascosto una cittella.
14
E per vietar
che simil la figliuola
alla matre
non sia, che per mercede
vendé sua
castità che valea sola
più
che quanto oro al mondo si possiede,
fuor del
commercio popular la invola;
ed ove
più solingo il luogo vede,
questo amplo
e bel palagio e ricco tanto
fece fare a'
demoni per incanto.
15
A vecchie
donne e caste fe' nutrire
la figlia
qui, ch'in gran beltà poi venne;
né che
potesse altr'uom veder, né udire
pur
ragionarne in quella età, sostenne.
E
perch'avesse esempio da seguire,
ogni pudica
donna che mai tenne
contra
illicito amor chiuse le sbarre,
ci fe'
d'intaglio o di color ritrarre:
16
non quelle
sol che di virtude amiche
hanno
sì il mondo all'età prisca adorno;
di quai la
fama per l'istorie antiche
non è
per veder mai l'ultimo giorno:
ma nel futuro
ancora altre pudiche
che faran
bella Italia d'ogn'intorno,
ci fe'
ritrarre in lor fattezze conte,
come otto che
ne vedi a questa fonte.
17
Poi che la
figlia al vecchio par matura
sì,
che ne possa l'uom cogliere i frutti;
o fosse mia
disgrazia o mia aventura,
eletto fui
degno di lei fra tutti.
I lati campi
oltre alle belle mura,
non meno i
pescarecci, che gli asciutti,
che ci son
d'ogn'intorno a venti miglia,
mi
consegnò per dote de la figlia.
18
Ella era
bella e costumata tanto,
che
più desiderar non si potea.
Di bei
trapunti e di riccami, quanto
mai ne
sapesse Pallade, sapea.
Vedila
andare, odine il suono e 'l canto:
celeste e non
mortal cosa parea.
E in modo
all'arti liberali attese,
che, quanto
il padre, o poco men n'intese.
19
Con grande
ingegno, e non minor bellezza
che fatta
l'avria amabil fin ai sassi,
era giunto un
amore, una dolcezza,
che par ch'a
rimembrarne il cor mi passi.
Non aveva
più piacer né più vaghezza,
che d'esser
meco ov'io mi stessi o andassi.
Senza aver
lite mai stemmo gran pezzo:
l'avemmo poi,
per colpa mia, da sezzo.
20
Morto il
suocero mio dopo cinque anni
ch'io
sottoposi il collo al giugal nodo,
non stero
molto a cominciar gli affanni
ch'io sento
ancora, e ti dirò in che modo.
Mentre mi
rinchiudea tutto coi vanni
l'amor di
questa mia che sì ti lodo,
una femina
nobil del paese,
quanto
accender si può, di me s'accese.
21
Ella sapea
d'incanti e di malie
quel che
saper ne possa alcuna maga:
rendea la
notte chiara, oscuro il die
fermava il
sol, facea la terra vaga.
Non potea
trar però le voglie mie,
che le
sanassin l'amorosa piaga
col rimedio
che dar non le potria
senza alta
ingiuria de la donna mia.
22
Non perché
fosse assai gentile e bella,
né perché
sapess'io che sì me amassi,
né per gran
don, né per promesse ch'ella
mi
fêsse molte, e di continuo instassi,
ottener poté
mai ch'una fiammella,
per darla a
lei, del primo amor levassi;
ch'a dietro
ne traea tutte mie voglie
il conoscermi
fida la mia moglie.
23
La speme, la
credenza, la certezza
che de la
fede di mia moglie avea,
m'avria fatto
sprezzar quanta bellezza
avesse mai la
giovane ledea,
o quanto
offerto mai senno e ricchezza
fu al gran
pastor de la montagna Idea.
Ma le repulse
mie non valean tanto,
che potesson
levarmela da canto.
24
Un dì
che mi trovò fuor del palagio
la maga, che
nomata era Melissa,
e mi poté
parlare a suo grande agio,
modo
trovò da por mia pace in rissa,
e con lo
spron di gelosia malvagio
cacciar del
cor la fé che v'era fissa.
Comincia a
comendar la intenzion mia,
ch'io sia
fedele a chi fedel mi sia.
25
- Ma che ti
sia fedel, tu non puoi dire,
prima che di
sua fé prova non vedi.
S'ella non
falle, e che potria fallire,
che sia
fedel, che sia pudica credi.
Ma se mai
senza te non la lasci ire,
se mai vedere
altr'uom non le concedi,
onde hai
questa baldanza, che tu dica
e mi vogli
affermar che sia pudica?
26
Scostati un
poco, scostati da casa;
fa che le
cittadi odano e i villaggi,
che tu sia
andato, e ch'ella sia rimasa;
agli amanti
dà commodo e ai messaggi.
S'a prieghi,
a doni non fia persuasa
di fare al
letto maritale oltraggi,
e che,
facendol, creda che si cele,
allora dir
potrai che sia fedele. -
27
Con tal
parole e simili non cessa
l'incantatrice,
fin che mi dispone
che de la
donna mia la fede espressa
veder voglia,
e provare a paragone.
- Ora
pogniamo (le soggiungo) ch'essa
sia qual non
posso averne opinione:
come
potrò di lei poi farmi certo
che sia di
punizion degna o di merto? -
28
Disse
Melissa: - Io ti darò un vasello
fatto da ber,
di virtù rara e strana;
qual
già per fare accorto il suo fratello
del fallo di
Genevra, fe' Morgana.
Chi la moglie
ha pudica, bee con quello:
ma non vi
può già ber chi l'ha puttana;
che 'l vin,
quando lo crede in bocca porre,
tutto si
sparge, e fuor nel petto scorre.
29
Prima che
parti, ne farai la prova,
e per lo
creder mio tu berai netto;
che credo
ch'ancor netta si ritrova
la moglie
tua: pur ne vedrai l'effetto.
Ma s'al
ritorno esperienza nuova
poi ne farai,
non t'assicuro il petto:
che se tu non
lo immolli, e netto bèi,
d'ogni marito
il più felice sei. -
30
L'offerta
accetto; il vaso ella mi dona:
ne fo la
prova, e mi succede a punto;
che, com'era
il disio, pudica e buona
la cara
moglie mia trovo a quel punto.
Dice Melissa:
- Un poco l'abbandona;
per un mese o
per duo stanne disgiunto:
poi torna;
poi di nuovo il vaso tolli;
prova se
bevi, o pur se 'l petto immolli. -
31
A me duro
parea pur di partire;
non perché di
sua fe' sì dubitassi,
come ch'io
non potea duo dì patire,
né un'ora
pur, che senza me restassi.
Disse
Melissa: - Io ti farò venire
a conoscere
il ver con altri passi.
Vo' che muti
il parlare e i vestimenti,
e sotto viso
altrui te l'appresenti. -
32
Signor, qui
presso una città difende
il Po fra
minacciose e fiere corna;
la cui
iuridizion di qui si stende
fin dove il
mar fugge dal lito e torna.
Cede
d'antiquità, ma ben contende
con le vicine
in esser ricca e adorna.
Le reliquie
troiane la fondaro,
che dal
flagello d'Attila camparo.
33
Astringe e
lenta a questa terra il morso
un cavallier
giovene, ricco e bello,
che dietro un
giorno a un suo falcone iscorso,
essendo
capitato entro il mio ostello,
vide la
donna, e sì nel primo occorso
gli piacque,
che nel cor portò il suggello;
né
cessò molte pratiche far poi,
per
inchinarla ai desideri suoi.
34
Ella gli fece
dar tante repulse,
che
più tentarla al fine egli non volse;
ma la
beltà di lei, ch'Amor vi sculse,
di memoria
però non se gli tolse.
Tanto Melissa
allosingommi e mulse,
ch'a tor la forma
di colui mi volse;
e mi
mutò (né so ben dirti come)
di faccia, di
parlar, d'occhi e di chiome.
35
Già
con mia moglie avendo simulato
d'esser
partito e gitone in Levante,
nel giovene
amator così mutato
l'andar, la
voce, l'abito e 'l sembiante,
me ne ritorno,
ed ho Melissa a lato,
che s'era
trasformata, e parea un fante;
e le
più ricche gemme avea con lei,
che mai
mandassin gl'Indi o gli Eritrei.
36
Io che l'uso
sapea del mio palagio,
entro sicuro
e vien Melissa meco;
e madonna
ritrovo a sì grande agio,
che non ha né
scudier né donna seco.
I miei
prieghi le espongo, indi il malvagio
stimulo
inanzi del mal far le arreco:
i rubini, i
diamanti e gli smeraldi,
che mosso
arebbon tutti i cor più saldi.
37
E le dico che
poco è questo dono
verso quel
che sperar da me dovea:
de la
commodità poi le ragiono,
che, non
v'essendo il suo marito, avea:
e le ricordo
che gran tempo sono
stato suo
amante, com'ella sapea;
e che l'amar
mio lei con tanta fede
degno era
avere al fin qualche mercede.
38
Turbossi nel
principio ella non poco,
divenne
rossa, ed ascoltar non volle;
ma il veder
fiammeggiar poi, come fuoco,
le belle
gemme, il duro cor fe' molle:
e con parlar
rispose breve e fioco,
quel che la
vita a rimembrar mi tolle;
che mi
compiaceria, quando credesse
ch'altra
persona mai nol risapesse.
39
Fu tal
risposta un venenato telo
di che me ne
senti' l'alma traffissa:
per l'ossa
andommi e per le vene un gelo;
ne le fauci
restò la voce fissa.
Levando
allora del suo incanto il velo,
ne la mia
forma mi tornò Melissa.
Pensa di che
color dovesse farsi,
ch'in tanto
error da me vide trovarsi.
40
Divenimmo
ambi di color di morte,
muti ambi,
ambi restiàn con gli occhi bassi.
Potei la
lingua a pena aver sì forte,
e tanta voce
a pena, ch'io gridassi:
- Me
tradiresti dunque tu, consorte,
quando tu
avessi chi 'l mio onor comprassi ? -
Altra
risposta darmi ella non puote,
che di rigar
di lacrime le gote.
41
Ben la
vergogna è assai, ma più lo sdegno
ch'ella ha,
da me veder farsi quella onta;
e multiplica
sì senza ritegno,
ch'in ira al
fine e in crudele odio monta.
Da me
fuggirsi tosto fa disegno;
e ne l'ora
che 'l Sol del carro smonta,
al fiume
corre, e in una sua barchetta
si fa calar
tutta la notte in fretta:
42
e la matina
s'appresenta avante
al cavallier
che l'avea un tempo amata,
sotto il cui
viso, sotto il cui sembiante
fu contra
l'onor mio da me tentata.
A lui che
n'era stato ed era amante,
creder si
può che fu la giunta grata.
Quindi ella
mi fe' dir ch'io non sperassi
che mai
più fosse mia, né più m'amassi.
43
Ah lasso! da
quel dì con lui dimora
in gran
piacere, e di me prende giuoco;
ed io del mal
che procacciammi allora,
ancor
languisco, e non ritrovo loco.
Cresce il mal
sempre, e giusto è ch'io ne muora;
e resta omai
da consumarci poco.
Ben credo che
'l primo anno sarei morto,
se non mi
dava aiuto un sol conforto.
44
Il conforto
ch'io prendo, è che di quanti
per dieci
anni mai fur sotto al mio tetto
(ch'a tutti
questo vaso ho messo inanti),
non ne trovo
un che non s'immolli il petto.
Aver nel caso
mio compagni tanti
mi dà
fra tanto mal qualche diletto.
Tu tra
infiniti sol sei stato saggio,
che far
negasti il periglioso saggio.
45
Il mio voler
cercare oltre alla meta
che de la
donna sua cercar si deve,
fa che mai
più trovare ora quieta
non
può la vita mia, sia lunga o breve.
Di ciò
Melissa fu a principio lieta:
ma
cessò tosto la sua gioia lieve;
ch'essendo
causa del mio mal stata ella,
io l'odiai
sì, che non potea vedella.
46
Ella d'esser
odiata impaziente
da me che
dicea amar più che sua vita,
ove donna
restarne immantinente
creduto avea,
che l'altra ne fosse ita;
per non aver
sua doglia sì presente,
non
tardò molto a far di qui partita;
e in modo
abbandonò questo paese,
che dopo mai
per me non se n'intese. -
47
Così
narrava il mesto cavalliero:
e quando fine
alla sua istoria pose,
Rinaldo
alquanto ste' sopra pensiero,
da
pietà vinto, e poi così rispose:
- Mal
consiglio di diè Melissa in vero,
che
d'attizzar le vespe ti propose;
e tu fusti a
cercar poco avveduto
quel che tu
avresti non trovar voluto.
48
Se d'avarizia
la tua donna vinta
a voler fede
romperti fu indutta,
non
t'ammirar; né prima ella né quinta
fu de le
donne prese in sì gran lutta;
e mente via
più salda ancora è spinta
per minor
prezzo a far cosa più brutta.
Quanti uomini
odi tu, che già per oro
han traditi
padroni e amici loro?
49
Non dovevi
assalir con sì fiere armi,
se bramavi
veder farle difesa.
Non sai tu,
contra l'oro, che né i marmi
né 'l
durissimo acciar sta alla contesa?
Che
più fallasti tu a tentarla parmi,
di lei che
così tosto restò presa.
Se te
altretanto avesse ella tentato,
non so se tu
più saldo fossi stato. -
50
Qui Rinaldo
fe' fine, e da la mensa
levossi a un
tempo, e domandò dormire;
che riposare
un poco, e poi si pensa
inanzi al
dì d'un'ora o due partire.
Ha poco
tempo, e 'l poco c'ha, dispensa
con gran
misura, e invan nol lascia gire.
Il signor di
là dentro, a suo piacere,
disse, che si
potea porre a giacere;
51
ch'apparecchiata
era la stanza e 'l letto:
ma che se
volea far per suo consiglio,
tutta notte
dormir potria a diletto,
e dormendo
avanzarsi qualche miglio.
- Acconciar
ti farò (disse) un legnetto,
con che
volando, e senz'alcun periglio
tutta notte
dormendo vo' che vada,
e una
giornata avanzi de la strada. -
52
La proferta a
Rinaldo accettar piacque,
e molto
ringraziò l'oste cortese:
poi senza
indugio là, dove ne l'acque
da' naviganti
era aspettato, scese.
Quivi a
grande agio riposato giacque,
mentre il
corso del fiume il legno prese,
che da sei
remi spinto, lieve e snello
pel fiume
andò, come per l'aria augello.
53
Così
tosto come ebbe il capo chino,
il cavallier
di Francia adormentosse;
imposto
avendo già, come vicino
giungea a
Ferrara, che svegliato fosse.
Restò
Melara nel lito mancino;
nel lito
destro Sermide restosse:
Figarolo e
Stellata il legno passa,
ove le corna
il Po iracondo abbassa.
54
De le due
corna il nocchier prese il destro,
e
lasciò andar verso Vinegia il manco;
passò
il Bondeno: e già il color cilestro
si vedea in
oriente venir manco,
che votando
di fior tutto il canestro,
l'Aurora vi
facea vermiglio e bianco;
quando,
lontan scoprendo di Tealdo
ambe le
rocche, il capo alzò Rinaldo.
55
- O
città bene aventurosa (disse),
di cui
già Malagigi, il mio cugino,
contemplando
le stelle erranti e fisse,
e
costringendo alcun spirto indovino,
nei secoli
futuri mi predisse
(già
ch'io facea con lui questo camino)
ch'ancor la
gloria tua salirà tanto,
ch'avrai di
tutta Italia il pregio e 'l vanto. -
56
Così
dicendo, e pur tuttavia in fretta
su quel
battel che parea aver le penne,
scorrendo il
re de' fiumi, all'isoletta
ch'alla
cittade è più propinqua, venne:
e ben che
fosse allora erma e negletta,
pur
s'allegrò di rivederla, e fenne
non poca
festa; che sapea quanto ella,
volgendo gli
anni, saria ornata e bella.
57
Altra fiata
che fe' questa via,
udì da
Malagigi, il qual seco era,
che
settecento volte che si sia
girata col
monton la quarta sfera,
questa la
più ioconda isola fia
di quante
cinga mar, stagno o riviera;
sì
che, veduta lei, non sarà ch'oda
dar
più alla patria di Nausicaa loda.
58
Udì
che di bei tetti posta inante
sarebbe a
quella sì a Tiberio cara;
che cederian
l'Esperide alle piante
ch'avria il
bel loco, d'ogni sorte rara;
che tante
spezie d'animali, quante
vi fien, né
in mandra Circe ebbe né in hara;
che v'avria
con le Grazie e con Cupido
Venere
stanza, e non più in Cipro o in Gnido:
59
e che sarebbe
tal per studio e cura
di chi al
sapere ed al potere unita
la voglia
avendo, d'argini e di mura
avria
sì ancor la sua città munita,
che contra
tutto il mondo star sicura
potria, senza
chiamar di fuori aita:
e che d'Ercol
figliuol, d'Ercol sarebbe
padre il
signor che questo e quel far debbe.
60
Così
venìa Rinaldo ricordando
quel che
già il suo cugin detto gli avea,
de le future
cose divinando,
che spesso
conferir seco solea.
E tuttavia
l'umil città mirando:
- Come esser
può ch'ancor (seco dicea)
debban
così fiorir queste paludi
de tutti i
liberali e degni studi?
61
e crescer
abbia di sì piccol borgo
ampla cittade
e di sì gran bellezza?
e ciò
ch'intorno è tutto stagno e gorgo,
sien lieti e
pieni campi di ricchezza?
Città,
sin ora a riverire assorgo
l'amor, la
cortesia, la gentilezza
de' tuoi
signori, e gli onorati pregi
dei
cavallier, dei cittadini egregi.
62
L'ineffabil
bontà del Redentore,
de' tuoi
principi il senno e la iustizia,
sempre con
pace, sempre con amore
ti tenga in
abondanza ed in letizia;
e ti difenda
contra ogni furore
de' tuoi
nimici, e scuopra lor malizia:
del tuo
contento ogni vicino arrabbi,
più
tosto che tu invidia ad alcuno abbi. -
63
Mentre
Rinaldo così parla, fende
con tanta
fretta il suttil legno l'onde,
che con
maggiore a logoro non scende
falcon ch'al
grido del padron risponde.
Del destro
corno il destro ramo prende
quindi il
nocchiero, e mura e tetti asconde:
San Georgio a
dietro, a dietro s'allontana
la torre e de
la Fossa e di Gaibana.
64
Rinaldo, come
accade ch'un pensiero
un altro
dietro, e quello un altro mena,
si venne a
ricordar del cavalliero
nel cui
palagio fu la sera a cena;
che per
questa cittade, a dire il vero,
avea giusta
cagion di stare in pena:
e ricordossi
del vaso da bere,
che mostra
altrui l'error de la mogliere;
65
e ricordossi
insieme de la prova
che d'aver
fatta il cavallier narrolli;
che di quanti
avea esperti, uomo non trova
che bea nel
vaso, e 'l petto non s'immolli.
Or si pente,
or tra sé dice: - È mi giova
ch'a tanto
paragon venir non volli.
Riuscendo,
accertava il creder mio;
non
riuscendo, a che partito era io?
66
Gli è
questo creder mio, come io l'avessi
ben certo, e
poco accrescer lo potrei:
sì
che, s'al paragon mi succedessi,
poco il
meglio saria ch'io ne trarrei;
ma non
già poco il mal, quando vedessi
quel di
Clarice mia, ch'io non vorrei.
Metter saria
mille contra uno a giuoco;
che perder si
può molto, e acquistar poco. -
67
Stando in
questo pensoso il cavalliero
di
Chiaramonte, e non alzando il viso,
con molta
attenzion fu da un nocchiero
che gli era
incontra, riguardato fiso:
e perché di
veder tutto il pensiero
che
l'occupava tanto, gli fu aviso,
come uom che
ben parlava ed avea ardire,
a seco
ragionar lo fece uscire.
68
La somma fu
del lor ragionamento,
che colui
malaccorto era ben stato,
che ne la
moglie sua l'esperimento
maggior che
può far donna, avea tentato;
che quella
che da l'oro e da l'argento
difende il
cor di pudicizia armato,
tra mille
spade via più facilmente
difenderallo,
e in mezzo al fuoco ardente.
69
Il nocchler
suggiungea: - Ben gli dicesti,
che non dovea
offerirle sì gran doni;
che
contrastare a questi assalti e a questi
colpi non
sono tutti i petti buoni.
Non so se
d'una giovane intendesti
(ch'esser
pò che tra voi se ne ragioni),
che nel
medesmo error vide il consorte,
di ch'esso
avea lei condannata a morte.
70
Dovea in
memoria avere il signor mio,
che l'oro e
'l premio ogni durezza inchina;
ma, quando
bisognò, l'ebbe in oblio,
ed ei si
procacciò la sua ruina.
Così
sapea lo esempio egli, com'io,
che fu in
questa città di qui vicina,
sua patria e
mia, che 'l lago e la palude
del rifrenato
Menzo intorno chiude:
71
d'Adonio
voglio dir, che 'l ricco dono
fe' alla
moglie del giudice, d'un cane. -
- Di questo
(disse il paladino) il suono
non passa
l'Alpe, e qui tra voi rimane;
perché né in
Francia, né dove ito sono,
parlar n'udi'
ne le contrade estrane:
sì che
dì pur, se non t'incresce il dire;
che
volentieri io mi t'acconcio a udire. -
72
Il nocchier
cominciò: - Già fu di questa
terra un
Anselmo di famiglia degna,
che la sua
gioventù con lunga vesta
spese in
saper ciò ch'Ulpiano insegna
e di nobil
progenie, bella e onesta
moglie
cercò, ch'al grado suo convegna;
e d'una terra
quindi non lontana
n'ebbe una di
bellezza sopraumana;
73
e di bei modi
e tanto graziosi,
che parea
tutto amore e leggiadria;
e di molto
più forse, ch'ai riposi,
ch'allo stato
di lui non convenia.
Tosto che
l'ebbe, quanti mai gelosi
al mondo fur,
passò di gelosia:
non
già ch'altra cagion gli ne desse ella,
che d'esser
troppo accorta e troppo bella.
74
Ne la
città medesma un cavalliero
era d'antiqua
e d'onorata gente,
che discendea
da quel lignaggio altiero
ch'uscì
d'una mascella di serpente,
onde
già Manto, e chi con essa fero
la patria
mia, disceser similmente.
Il cavallier,
ch'Adonio nominosse,
di questa
bella donna inamorosse.
75
E per venire
a fin di questo amore,
a spender
cominciò senza ritegno
in vestire,
in conviti, in farsi onore,
quanto
può farsi un cavallier più degno.
Il tesor di
Tiberio imperatore
non saria
stato a tante spese al segno.
Io credo ben
che non passar duo verni,
ch'egli
uscì fuor di tutti i ben paterni.
76
La casa
ch'era dianzi frequentata
matina e sera
tanto dagli amici,
sola
restò, tosto che fu privata
di starne, di
fagian, di coturnici.
Egli che capo
fu de la brigata,
rimase
dietro, e quasi fra mendici.
Pensò,
poi ch'in miseria era venuto,
d'andare ove
non fosse conosciuto.
77
Con questa
intenzione una mattina,
senza far
motto altrui, la patria lascia;
e con sospiri
e lacrime camina
lungo lo
stagno che le mura fascia.
La donna che
del cor gli era regina,
già
non oblia per la seconda ambascia.
Ecco un'alta
aventura che lo viene
di sommo male
a porre in sommo bene.
78
Vede un
villan che con un gran bastone
intorno
alcuni sterpi s'affatica.
Quivi Adonio
si ferma, e la cagione
di tanto
travagliar vuol che gli dica.
Disse il
villan, che dentro a quel macchione
veduto avea
una serpe molto antica,
di che
più lunga e grossa a' giorni suoi
non vide, né
credea mai veder poi;
79
e che non si
voleva indi partire,
che non
l'avesse ritrovata e morta.
Come Adonio
lo sente così dire,
con poca
pazienza lo sopporta.
Sempre solea
le serpi favorire;
che per
insegna il sangue suo le porta
in memoria
ch'uscì sua prima gente
de' denti
seminati di serpente.
80
e disse e
fece col villano in guisa
che, suo mal
grado, abbandonò l'impresa;
sì che
da lui non fu la serpe uccisa,
né più
cercata, né altrimenti offesa.
Adonio ne va
poi dove s'avisa
che sua
condizion sia meno intesa;
e dura con
disagio e con affanno
fuor de la
patria appresso al settimo anno.
81
Né mai per
lontananza, né strettezza
del viver,
che i pensier non lascia ir vaghi,
cessa Amor
che sì gli ha la mano avezza,
ch'ognor non
li arda il core, ognor impiaghi.
È
forza al fin che torni alla bellezza
che son di
riveder sì gli occhi vaghi.
Barbuto,
afflitto, e assai male in arnese,
là
donde era venuto, il camin prese.
82
In questo
tempo alla mia patria accade
mandare uno
oratore al Padre santo,
che resti
appresso alla sua Santitade
per alcun
tempo e non fu detto quanto.
Gettan la
sorte, e nel giudice cade.
Oh giorno a
lui cagion sempre di pianto!
Fe' scuse,
pregò assai, diede e promesse
per non
partirsi; e al fin sforzato cesse.
83
Non gli parea
crudele e duro manco
a dover
sopportar tanto dolore,
che se veduto
aprir s'avesse il fianco,
e vedutosi
trar con mano il core.
Di geloso
timor pallido e bianco
per la sua
donna, mentre staria fuore,
lei con quei
modi che giovar si crede,
supplice
priega a non mancar di fede:
84
dicendole ch'a
donna né bellezza,
né
nobiltà, né gran fortuna basta,
sì che
di vero onor monti in altezza,
se per nome e
per opre non è casta;
e che quella
virtù via più si prezza,
che di sopra
riman quando contrasta,
e ch'or gran
campo avria per questa assenza,
di far di
pudicizia esperienza.
85
Con tai le
cerca ed altre assai parole
persuader
ch'ella gli sia fedele.
De la dura
partita ella si duole,
con che
lacrime, oh Dio! con che querele!
E giura che
più tosto oscuro il sole
vedrassi, che
gli sia mai sì crudele,
che rompa
fede; e che vorria morire
più
tosto ch'aver mai questo desire.
86
Ancor ch'a
sue promesse e a suoi scongiuri
desse
credenza e si achetasse alquanto,
non resta che
più intender non procuri,
e che materia
non procacci al pianto.
Avea uno
amico suo, che dei futuri
casi predir
teneva il pregio e 'l vanto;
e d'ogni
sortilegio e magica arte,
o il tutto, o
ne sapea la maggior parte.
87
Diegli,
pregando di vedere assunto,
se la sua
moglie, nominata Argia,
nel tempo che
da lei starà disgiunto,
fedele e casta,
o pel contario fia.
Colui da
prieghi vinto, tolle il punto,
il ciel
figura come par che stia.
Anselmo il
lascia in opra, e l'altro giorno
a lui per la
risposta fa ritorno.
88
L'astrologo
tenea le labra chiuse,
per non dire
al dottor cosa che doglia,
e cerca di
tacer con molte scuse.
Quando pur
del suo mal vede c'ha voglia,
che gli
romperà fede gli concluse,
tosto ch'egli
abbia il piè fuor de la soglia,
non da
bellezza né da prieghi indotta,
ma da
guadagno e da prezzo corrotta.
89
Giunte al
timore, al dubbio ch'avea prima,
queste
minacce dei superni moti,
come gli
stesse il cor, tu stesso stima,
se d'amor gli
accidenti ti son noti.
E sopra ogni
mestizia che l'opprima,
e che
l'afflitta mente aggiri e arruoti,
è 'l
saper come, vinta d'avarizia,
per prezzo
abbia a lasciar sua pudicizia.
90
Or per far
quanti potea far ripari
da non
lasciarla in quel error cadere
(perché il
bisogno a dispogliar gli altari
tra' l'uom
talvolta, che sel trova avere),
ciò
che tenea di gioie e di danari
(che n'avea
somma) pose in suo potere:
rendite e
frutti d'ogni possessione,
e ciò
c'ha al mondo, in man tutto le pone.
91
- Con
facultade (disse) che ne' tuoi
non sol
bisogni te li goda e spenda,
ma che ne
possi far ciò che ne vuoi,
li consumi,
li getti, e doni e venda;
altro conto
saper non ne vo' poi,
pur che, qual
ti lascio or, tu mi ti renda:
pur che, come
or tu sei, mi sie rimasa,
fa che io non
trovi né poder né casa. -
92
La prega che
non faccia, se non sente
ch'egli ci
sia, ne la città dimora;
ma ne la
villa, ove più agiatamente
viver
potrà d'ogni commercio fuora.
Questo dicea,
però che l'umil gente
che nel
gregge o ne' campi gli lavora,
non gli era
aviso che le caste voglie
contaminar
potessero alla moglie.
93
Tenendo
tuttavia le belle braccia
al timido
marito al collo Argia,
e di lacrime
empiendogli la faccia,
ch'un
fiumicel dagli occhi le n'uscia;
s'attrista
che colpevole la faccia,
come di fé
mancata già gli sia;
che questa
sua sospizion procede,
perché non ha
ne la sua fede fede.
94
Troppo
sarà, s'io voglio ir rimembrando
ciò
ch'al partir da tramendua fu detto.
- Il mio onor
(dice al fin) ti raccomando: -
piglia
licenza, e partesi in effetto;
e ben si
sente veramente, quando
volge il
cavallo, uscire il cor del petto.
Ella lo
segue, quanto seguir puote,
con gli occhi
che le rigano le gote.
95
Adonio
intanto misero e tapino,
e (come io
dissi) pallido e barbuto,
verso la
patria avea preso il camino,
sperando di
non esser conosciuto.
Sul lago
giunse alla città vicino,
là
dove avea dato alla biscia aiuto,
ch'era
assediata entro la macchia forte
da quel
villan che por la volea a morte.
96
Quivi
arrivando in su l'aprir del giorno,
ch'ancor
splendea nel cielo alcuna stella,
si vede in
peregrino abito adorno
venir pel
lito incontra una donzella
in signoril
sembiante, ancor ch'intorno
non
l'apparisse né scudier né ancella.
Costei con
grata vista lo raccolse,
e poi la
lingua a tai parole sciolse:
97
- Se ben non
mi conosci, o cavalliero,
son tua
parente, e grande obligo t'aggio:
parente son,
perché da Cadmo fiero
scende
d'amenduo noi l'alto lignaggio.
Io son la
fata Manto, che 'l primiero
sasso messi a
fondar questo villaggio;
e dal mio
nome (come ben forse hai
contare
udito) Mantua la nomai.
98
De le fate io
son una; ed il fatale
stato per
farti anco saper ch'importe,
nascemo a un
punto, che d'ogn'altro male
siamo capaci,
fuor che de la morte.
Ma giunto
è con questo essere immortale
condizion non
men del morir forte;
ch'ogni
settimo giorno ogniuna è certa
che la sua
forma in biscia si converta.
99
Il vedersi
coprir del brutto scoglio,
e gir
serpendo, è cosa tanto schiva,
che non
è pare al mondo altro cordoglio;
tal che
bestemmia ogniuna d'esser viva.
E l'obbligo
ch'io t'ho (perché ti voglio
insiememente
dire onde deriva),
tu saprai che
quel dì, per esser tali,
siamo a
periglio d'infiniti mali.
100
Non è
sì odiato altro animale in terra,
come la
serpe; e noi, che n'abbiàn faccia,
patimo da
ciascuno oltraggio e guerra;
che chi ne
vede, ne percuote e caccia.
Se non
troviamo ove tornar sotterra,
sentiamo
quanto pesa altrui le braccia.
Meglio saria
poter morir, che rotte
e storpiate
restar sotto le botte.
101
L'obligo
ch'io t'ho grande, è ch'una volta
che tu
passavi per quest'ombre amene,
per te di
mano fui d'un villan tolta,
che gran
travagli m'avea dati e pene.
Se tu non
eri, io non andava asciolta,
ch'io non
portassi rotto e capo e schene,
e che
sciancata non restassi e storta,
se ben non vi
potea rimaner morta:
102
perché quei
giorni che per terra il petto
traemo
avvolte in serpentile scorza,
il ciel ch'in
altri tempi è a noi suggetto,
niega
ubbidirci, e prive siàn di forza.
In altri
tempi ad un sol nostro detto
il sol si
ferma e la sua luce ammorza;
l'immobil
terra gira e muta loco;
s'infiamma il
ghiaccio, e si congela il fuoco.
103
Ora io son
qui per renderti mercede
del beneficio
che mi festi allora.
Nessuna
grazia indarno or mi si chiede
ch'io son del
manto viperino fuora.
Tre volte
più che di tuo padre erede
non
rimanesti, io ti fo ricco or ora:
né vo' che
mai più povero diventi,
ma quanto
spendi più, che più augumenti.
104
E perché so
che ne l'antiquo nodo,
in che
già Amor t'avinse, anco ti trovi,
voglioti
dimostrar l'ordine e 'l modo
ch'a
disbramar tuoi desideri giovi.
Io voglio, or
che lontano il marito odo,
che senza
indugio il mio consiglio provi;
vadi a trovar
la donna che dimora
fuori alla
villa, e sarò teco io ancora. -
105
E
seguitò narrandogli in che guisa
alla sua
donna vuol che s'appresenti;
dico come
vestir, come precisa-
mente abbia a
dir, come la prieghi e tenti;
e che forma
essa vuol pigliar, devisa;
che, fuor che
'l giorno ch'erra tra serpenti,
in tutti gli
altri si può far, secondo
che
più le pare, in quante forme ha il mondo.
106
Messe in
abito lui di peregrino
il qual per
Dio di porta in porta accatti:
mutosse ella
in un cane, il più piccino
di quanti mai
n'abbia Natura fatti,
di pel lungo,
più bianco ch'armellino,
di grato
aspetto e di mirabili atti.
Così
trasfigurato, entraro in via
verso la casa
de la bella Argia:
107
e dei
lavoratori alle capanne
prima ch'altrove,
il giovene fermosse;
e
cominciò a sonar certe sue canne,
al cui suono
danzando il can rizzosse.
La voce e 'l
grido alla padrona vanne,
e fece
sì, che per veder si mosse.
Fece il romeo
chiamar ne la sua corte,
sì
come del dottor traea la sorte.
108
E quivi
Adonio a comandare al cane
incominciò,
ed il cane a ubbidir lui,
e far danze
nostral, farne d'estrane,
con passi e
continenze e modi sui,
e finalmente
con maniere umane
far
ciò che comandar sapea colui,
con tanta
attenzion, che chi lo mira,
non batte gli
occhi, e a pena il fiato spira.
109
Gran
maraviglia, ed indi gran desire
venne alla
donna di quel can gentile;
e ne fa per
la balia proferire
al cauto
peregrin prezzo non vile,
- S'avessi
più tesor, che mai sitire
potesse
cupidigia feminile
(colui
rispose), non saria mercede
di comprar
degna del mio cane un piede. -
110
E per mostrar
che veri i detti foro,
con la balia
in un canto si ritrasse,
e disse al
cane, ch'una marca d'oro
a quella
donna in cortesia donasse.
Scossesi il
cane, e videsi il tesoro.
Disse Adonio
alla balia, che pigliasse,
soggiungendo:
- Ti par che prezzo sia,
per cui
sì bello e util cane io dia?
111
Cosa, qual
vogli sia, non gli domando,
di ch'io ne
torni mai con le man vote;
e quando
perle, e quando annella, e quando
leggiadra
veste e di gran prezzo scuote.
Pur di' a
madonna, che fia al suo comando;
per oro no,
ch'oro pagar nol puote:
ma se vuol
ch'una notte seco io giaccia,
abbiasi il
cane, e 'l suo voler ne faccia. -
112
Così
dice: e una gemma allora nata
le dà,
ch'alla padrona l'appresenti.
Pare alla
balia averne più derata,
che di pagar
dieci ducati o venti.
Torna alla
donna, e le fa l'imbasciata;
e la conforta
poi, che si contenti
d'acquistare
il bel cane; ch'acquistarlo
per prezzo
può, che non si perde a darlo.
113
La bella
Argia sta ritrosetta in prima;
parte, che la
sua fé romper non vuole,
parte,
ch'esser possibile non stima
tutto
ciò che ne suonan le parole.
La balia le
ricorda, e rode e lima,
che tanto ben
di rado avvenir suole;
e fe' che
l'agio un altro dì si tolse,
che 'l can
veder senza tanti occhi volse.
114
Quest'altro
comparir ch'Adonio fece,
fu la ruina e
del dottor la morte.
Facea nascer
le doble a diece a diece,
filze di
perle, e gemme d'ogni sorte:
sì che
il superbo cor mansuefece,
che tanto
meno a contrastar fu forte,
quanto poi
seppe che costui ch'inante
gli fa
partito, è 'l cavallier suo amante.
115
De la puttana
sua balia i conforti,
i prieghi de
l'amante e la presenza,
il veder che
guadagno se l'apporti,
del misero
dottor la lunga assenza,
lo sperar
ch'alcun mai non lo rapporti,
fero ai casti
pensier tal violenza,
ch'ella
accettò il bel cane, e per mercede
in braccio e
in preda al suo amator si diede.
116
Adonio
lungamente frutto colse
de la sua
bella donna, a cui la fata
grande amor
pose, e tanto le ne volse,
che sempre
star con lei si fu ubligata.
Per tutti i
segni il sol prima si volse,
ch'al giudice
licenza fosse data:
al fin
tornò, ma pien di gran sospetto
per quel che
già l'astrologo avea detto.
117
Fa, giunto ne
la patria, il primo volo
a casa de
l'astrologo, e gli chiede,
se la sua
donna fatto inganno e dolo,
o pur servato
gli abbia amore e fede.
Il sito
figurò colui del polo,
ed a tutti i
pianeti il luogo diede:
poi rispose
che quel ch'avea temuto,
come predetto
fu, gli era avvenuto;
118
che da doni
grandissimi corrotta,
data ad altri
s'avea la donna in preda.
Questa al
dottor nel cor fu sì gran botta,
che lancia e
spiedo io vo' che ben le ceda.
Per esserne
più certo, ne va allotta
(ben che pur
troppo allo indivino creda)
ov'è
la balia, e la tira da parte,
e per saperne
il certo usa grande arte.
119
Con larghi
giri circondando prova
or qua or
là di ritrovar la traccia;
e da
principio nulla ne ritrova,
con ogni
diligenza che ne faccia;
ch'ella, che non
avea tal cosa nuova,
stava negando
con immobil faccia;
e come bene
istrutta, più d'un mese
tra il dubbio
e 'l certo il suo patron sospese.
120
Quanto dovea
parergli il dubio buono,
se pensava il
dolor ch'avria del certo!
Poi
ch'indarno provò con priego e dono,
che da la
balia il ver gli fosse aperto,
né
toccò tasto ove sentisse suono
altro che
falso; come uom ben esperto,
aspettò
che discordia vi venisse;
ch'ove femine
son, son liti e risse.
121
E come egli
aspettò, così gli avvenne;
ch'al primo
sdegno che tra loro nacque,
senza suo
ricercar, la balia venne
il tutto a
ricontargli, e nulla tacque.
Lungo a dir
fôra ciò che 'l cor sostenne,
come la mente
costernata giacque
del giudice
meschin, che fu sì oppresso,
che stette
per uscir fuor di se stesso:
122
e si dispose
al fin, da l'ira vinto,
morir, ma
prima uccider la sua moglie;
e che
d'amendue i sangui un ferro tinto
levassi lei
di biasmo, e sé di doglie.
Ne la
città se ne ritorna, spinto
da
così furibonde e cieche voglie;
indi alla
villa un suo fidato manda,
e quanto
esequir debba, gli commanda.
123
Commanda al
servo, ch'alla moglie Argia
torni alla
villa, e in nome suo le dica
ch'egli
è da febbre oppresso così ria,
che di
trovarlo vivo avrà fatica;
sì
che, senza aspettar più compagnia,
venir debba
con lui, s'ella gli è amica
(verrà:
sa ben che non farà parola);
e che tra via
le seghi egli la gola.
124
A chiamar la
patrona andò il famiglio,
per far di
lei quanto il signor commesse.
Dato prima al
suo cane ella di piglio,
montò
a cavallo ed a camin si messe.
L'avea il
cane avisata del periglio,
ma che
d'andar per questo ella non stesse;
ch'avea ben
disegnato e proveduto
onde nel gran
bisogno avrebbe aiuto.
125
Levato il
servo del camino s'era;
e per diverse
e solitarie strade
a studio capitò
su una riviera
che
d'Apennino in questo fiume cade;
ov'era bosco
e selva oscura e nera,
lungi da
villa e lungi da cittade.
Gli parve
loco tacito e disposto
per l'effetto
crudel che gli fu imposto.
126
Trasse la
spada e alla padrona disse
quanto
commesso il suo signor gli avea;
sì che
chiedesse, prima che morisse,
perdono a Dio
d'ogni colpa rea.
Non ti so dir
com'ella si coprisse:
quando il
servo ferirla si credea,
più
non la vide, e molto d'ogn'intorno
l'andò
cercando, e al fin restò con scorno.
127
Torna al
patron con gran vergogna ed onta,
tutto
attonito in faccia e sbigottito;
e l'insolito
caso gli racconta,
ch'egli non
sa come si sia seguito.
Ch'a' suoi
servigi abbia la moglie pronta
la fata
Manto, non sapea il marito;
che la balia
onde il resto avea saputo,
questo, non
so perché, gli avea taciuto.
128
Non sa che
far; che né l'oltraggio grave
vendicato ha,
né le sue pene ha sceme.
Quel ch'era
una festuca, ora è una trave,
tanto gli
pesa, tanto al cor gli preme.
L'error che
sapean pochi, or sì aperto have,
che senza
indugio si palesi, teme.
Potea il
primo celarsi; ma il secondo,
publico in
breve fia per tutto il mondo.
129
Conosce ben
che, poi che 'l cor fellone
avea scoperto
il misero contra essa,
ch'ella, per
non tornargli in suggezione,
d'alcun
potente in man si sarà messa;
il qual se la
terrà con irrisione
ed ignominia
del marito espressa;
e forse anco
verrà d'alcuno in mano,
che ne fia
insieme adultero e ruffiano.
130
Sì
che, per rimediarvi, in fretta manda
intorno messi
e lettere a cercarne:
ch'in quel
loco, ch'in questo ne domanda
per
Lombardia, senza città lasciarne.
Poi va in
persona, e non si lascia banda
ove o non
vada o mandivi a spiarne:
né mai
può ritrovar capo né via
di venire a
notizia, che ne sia.
131
Al fin chiama
quel servo a chi fu imposta
l'opra crudel
che poi non ebbe effetto,
e fa che lo
conduce ove nascosta
se gli era
Argia, sì come gli avea detto;
che forse in
qualche macchia il dì reposta,
la notte si
ripara ad alcun tetto.
Lo guida il
servo ove trovar si crede
la folta
selva, e un gran palagio vede.
132
Fatto avea
farsi alla sua fata intanto
la bella
Argia con subito lavoro
d'alabastri
un palagio per incanto,
dentro e di
fuor tutto fregiato d'oro.
Né lingua
dir, né cor pensar può quanto
avea
beltà di fuor, dentro tesoro.
Quel che
iersera sì ti parve bello,
del mio
signor, saria un tugurio a quello.
133
E di panni di
razza, e di cortine
tessute
riccamente e a varie fogge,
ornate eran
le stalle e le cantine,
non sale pur,
non pur camere e logge;
vasi d'oro e
d'argento senza fine,
gemme cavate,
azzurre e verdi e rogge,
e formate in
gran piatti e in coppe e in nappi,
e senza fin
d'oro e di seta drappi.
134
Il giudice,
sì come io vi dicea,
venne a
questo palagio a dar di petto,
quando né una
capanna si credea
di ritrovar,
ma solo il bosco schietto.
Per l'alta
maraviglia che n'avea,
esser si
credea uscito d'intelletto:
non sapea se
fosse ebbro o se sognassi,
o pur se 'l
cervel scemo a volo andassi.
135
Vede inanzi
alla porta uno Etiopo
con naso e
labri grossi; e ben gli è avviso
che non
vedesse mai, prima né dopo,
un
così sozzo e dispiacevol viso;
poi di
fattezze, qual si pinge Esopo,
d'attristar,
se vi fosse, il paradiso;
bisunto e
sporco, e d'abito mendico:
né a mezzo
ancor di sua bruttezza io dico.
136
Anselmo che
non vede altro da cui
possa saper
di chi la casa sia,
a lui
s'accosta, e ne domanda a lui;
ed ei
risponde: - Questa casa è mia. -
Il giudice
è ben certo che colui
lo beffi e
che gli dica la bugia:
ma con
scongiuri il negro ad affermare
che sua
è la casa, e ch'altri non v'ha a fare;
137
e gli
offerisce, se la vuol vedere,
che dentro
vada, e cerchi come voglia;
e se v'ha
cosa che gli sia in piacere
o per sé o
per gli amici, se la toglia.
Diede il
cavallo al servo suo a tenere
Anselmo, e
messe il piè dentro alla soglia;
e per sale e
per camere condutto,
da basso e
d'alto andò mirando il tutto.
138
La forma, il
sito, il ricco e bel lavoro
va
contemplando, e l'ornamento regio;
e spesso
dice: - Non potria quant'oro
è
sotto il sol pagare il loco egregio. -
A questo gli
risponde il brutto Moro,
e dice: - E
questo ancor trova il suo pregio:
se non d'oro
o d'argento, nondimeno
pagar lo
può quel che vi costa meno. -
139
E gli fa la
medesima richiesta
ch'avea
già Adonio alla sua moglie fatta.
De la brutta
domanda e disonesta,
persona lo
stimò bestiale e matta.
Per tre
repulse e quattro egli non resta;
e tanti modi
a persuaderlo adatta,
sempre
offerendo in merito il palagio,
che fe'
inchinarlo al suo voler malvagio.
140
La moglie
Argia che stava appresso ascosa,
poi che lo
vide nel suo error caduto,
saltò
fuora gridando: - Ah degna cosa
che io veggo
di dottor saggio tenuto! -
Trovato in
sì mal'opra e viziosa,
pensa se
rosso far si deve e muto.
O terra,
acciò ti si gettassi dentro,
perché allor
non t'apristi insino al centro?
141
La donna in
suo discarco, ed in vergogna
d'Anselmo, il
capo gl'intronò di gridi,
dicendo: -
Come te punir bisogna
di quel che
far con sì vil uom ti vidi,
se per seguir
quel che natura agogna,
me, vinta a'
prieghi del mio amante, uccidi?
ch'era bello
e gentile; e un dono tale
mi fe', ch'a
quel nulla il palagio vale.
142
S'io ti parvi
esser degna d'una morte,
conosci che
ne sei degno di cento:
e ben ch'in
questo loco io sia sì forte,
ch'io possa
di te fare il mio talento;
pure io non
vo' pigliar di peggior sorte
altra
vendetta del tuo fallimento.
Di par
l'avere e 'l dar, marito, poni;
fa, com'io a
te, che tu a me ancor perdoni:
143
e sia la pace
e sia l'accordo fatto,
ch'ogni
passato error vada in oblio;
né ch'in
parole io possa mai né in atto
ricordarti il
tuo error, né a me tu il mio. -
Il marito ne
parve aver buon patto,
né
dimostrossi al perdonar restio.
Così a
pace e concordia ritornaro,
e sempre poi
fu l'uno all'altro caro. -
144
Così
disse il nocchiero; e mosse a riso
Rinaldo al
fin de la sua istoria un poco;
e diventar
gli fece a un tratto il viso,
per l'onta
del dottor, come di fuoco.
Rinaldo Argia
molto lodò, ch'avviso
ebbe d'alzare
a quello augello un gioco
ch'alla
medesma rete fe' cascallo,
in che cadde
ella, ma con minor fallo.
145
Poi che
più in alto il sole il camin prese,
fe' il
paladino apparecchiar la mensa,
ch'avea la
notte il Mantuan cortese
provista con
larghissima dispensa.
Fugge a
sinistra intanto il bel paese,
ed a man
destra la palude immensa:
viene e
fuggesi Argenta e 'l suo girone
col lito ove
Santerno il capo pone.
146
Allora la
Bastia credo non v'era,
di che non
troppo si vantar Spagnuoli
d'avervi su
tenuta la bandiera;
ma più
da pianger n'hanno i Romagniuoli.
E quindi a
filo alla dritta riviera
cacciano il
legno, e fan parer che voli.
Lo volgon poi
per una fossa morta,
ch'a
mezzodì presso a Ravenna il porta.
147
Ben che
Rinaldo con pochi danari
fosse
sovente, pur n'avea sì alora,
che cortesia
ne fece a' marinari,
prima che li
lasciasse alla buon'ora.
Quindi
mutando bestie e cavallari,
Arimino
passò la sera ancora;
né in
Montefiore aspetta il matutino,
e quasi a par
col sol giunge in Urbino.
148
Quivi non era
Federico allora,
né
l'Issabetta, né 'l buon Guido v'era,
né Francesco
Maria, ne Leonora,
che con
cortese forza e non altiera
avesse
astretto a far seco dimora
sì
famoso guerrier più d'una sera;
come fer
già molti anni, ed oggi fanno
a donne e a
cavallier che di là vanno.
149
Poi che quivi
alla briglia alcun nol prende,
smonta
Rinaldo a Cagli alla via dritta.
Pel monte che
'l Metauro o il Gauno fende,
passa
Apennino e più non l'ha a man ritta;
passa gli
Ombri e gli Etrusci, e a Roma scende;
da Roma ad
Ostia; e quindi si tragitta
per mare alla
cittade a cui commise
il pietoso
figliuol l'ossa d'Anchise.
150
Muta ivi
legno, e verso l'isoletta
di Lipadusa
fa ratto levarsi;
quella che fu
dai combattenti eletta,
ed ove
già stati erano a trovarsi.
Insta
Rinaldo, e gli nocchieri affretta,
ch'a vela e a
remi fan ciò che può farsi;
ma i venti
avversi e per lui mal gagliardi,
lo fecer, ma
di poco, arrivar tardi.
151
Giunse ch'a
punto il principe d'Anglante
fatta avea
l'utile opra e gloriosa:
avea Gradasso
ucciso ed Agramante,
ma con dura
vittoria e sanguinosa.
Morto n'era
il figliuol di Monodante;
e di grave
percossa e perigliosa
stava Olivier
languendo in su l'arena,
e del
piè guasto avea martìre e pena.
152
Tener non
poté il conte asciutto il viso,
quando
abbracciò Rinaldo, e che narrolli
che gli era
stato Brandimarte ucciso,
che tanta
fede e tanto amor portolli.
Né men
Rinaldo, quando sì diviso
vide il capo
all'amico, ebbe occhi molli:
poi quindi ad
abbracciar si fu condotto
Olivier che
sedea col piede rotto.
153
La
consolazion che seppe, tutta
diè
lor, ben che per sé tor non la possa;
che giunto si
vedea quivi alle frutta,
anzi poi che
la mensa era rimossa.
Andaro i
servi alla città distrutta,
e di Gradasso
e d'Agramante l'ossa
ne le ruine
ascoser di Biserta,
e quivi
divulgar la cosa certa.
154
De la
vittoria ch'avea avuto Orlando,
s'allegrò
Astolfo e Sansonetto molto;
non sì
però, come avrian fatto, quando
non fosse a
Brandimarte il lume tolto.
Sentir lui
morto il gaudio va scemando
sì,
che non ponno asserenare il volto.
Or chi
sarà di lor, ch'annunzio voglia
a Fiordiligi
dar di sì gran doglia?
155
La notte che
precesse a questo giorno,
Fiordiligi
sognò che quella vesta
che, per
mandarne Brandimarte adorno,
avea trapunta
e di sua man contesta,
vedea per
mezzo sparsa e d'ogn'intorno
di gocce
rosse, a guisa di tempesta:
parea che di
sua man così l'avesse
riccamata
ella, e poi se ne dogliessse.
156
E parea dir:
- Pur hammi il signor mio
commesso
ch'io la faccia tutta nera:
or perché
dunque riccamata holl'io
contra sua
voglia in sì strana maniera? -
Di questo
sogno fe' giudicio rio;
poi la
novella giunse quella sera:
ma tanto
Astolfo ascosa le la tenne,
ch'a lei con
Sansonetto se ne venne.
157
Tosto
ch'entraro, e ch'ella loro il viso
vide di
gaudio in tal vittoria privo;
senz'altro
annunzio sa, senz'altro avviso,
che
Brandimarte suo non è più vivo.
Di ciò
le resta il cor così conquiso,
e così
gli occhi hanno la luce a schivo,
e così
ogn'altro senso se le serra,
che come
morta andar si lascia in terra.
158
Al tornar de
lo spirto, ella alle chiome
caccia le
mani; ed alle belle gote,
indarno
ripetendo il caro nome,
fa danno ed
onta più che far lor puote:
straccia i
capelli e sparge; e grida, come
donna talor
che 'l demon rio percuote,
o come s'ode
che già a suon di corno
Menade corse,
ed aggirossi intorno.
159
Or questo or
quel pregando va, che porto
le sia un
coltel, sì che nel cor si fera:
or correr
vuol là dove il legno in porto
dei duo
signor defunti arrivato era,
e de l'uno e
de l'altro così morto
far crudo
strazio e vendetta acra e fiera:
or vuol
passare il mare, e cercar tanto,
che possa al
suo signor morire a canto.
160
- Deh perché,
Brandimarte, ti lasciai
senza me
andare a tanta impresa? (disse).
Vedendoti
partir, non fu più mai
che
Fiordiligi tua non ti seguisse.
T'avrei
giovato, s'io veniva, assai,
ch'avrei
tenute in te le luci fisse;
e se Gradasso
avessi dietro avuto,
con un sol
grido io t'avrei dato aiuto;
161
o forse esser
potrei stata sì presta,
ch'entrando
in mezzo, il colpo t'avrei tolto:
fatto scudo
t'avrei con la mia testa;
che morendo
io, non era il danno molto.
Ogni modo io
morrò; né fia di questa
dolente morte
alcun profitto colto,
che, quando
io fossi morta in tua difesa,
non potrei
meglio aver la vita spesa.
162
Se pur ad
aiutarti i duri fati
avessi avuti
e tutto il cielo avverso,
gli ultimi
baci almeno io t'avrei dati,
almen t'avrei
di pianto il viso asperso;
e prima che
con gli angeli beati
fosse lo
spirto al suo Fattor converso,
detto gli
avrei: Va in pace, e là m'aspetta;
ch'ovunque
sei, son per seguirti in fretta.
163
È
questo, Brandimarte, è questo il regno
di che
pigliar lo scettro ora dovevi?
Or
così teco a Dammogire io vegno?
così
nel real seggio mi ricevi?
Ah Fortuna
crudel, quanto disegno
mi rompi! oh
che speranze oggi mi levi!
Deh, che
cesso io, poi c'ho perduto questo
tanto mio
ben, ch'io non perdo anco il resto? -
164
Questo ed
altro dicendo, in lei risorse
il furor con
tanto impeto e la rabbia,
ch'a stracciare
il bel crin di nuovo corse,
come il bel
crin tutta la colpa n'abbia.
Le mani
insieme si percosse e morse,
nel sen si
cacciò l'ugne e ne le labbia.
Ma torno a
Orlando ed a' compagni, intanto
ch'ella si
strugge e si consuma in pianto.
165
Orlando, col
cognato che non poco
bisogno avea
di medico e di cura,
ed
altretanto, perché in degno loco
avesse
Brandimarte sepultura,
verso il
monte ne va che fa col fuoco
chiara la
notte, e il dì di fumo oscura.
Hanno
propizio il vento, e a destra mano
non e quel lito
lor molto lontano.
166
Con fresco
vento ch'in favor veniva,
sciolser la
fune al declinar del giorno,
mostrando lor
la taciturna diva
la dritta via
col luminoso corno;
e sorser
l'altro dì sopra la riva
ch'amena
giace ad Agringento intorno.
Quivi Orlando
ordinò per l'altra sera
ciò
ch'a funeral pompa bisogno era.
167
Poi che
l'ordine suo vide essequito,
essendo omai
del sole il lume spento,
fra molta
nobiltà ch'era allo 'nvito
de' luoghi
intorno corsa in Agringento,
d'accesi
torchi tutto ardendo 'l lito,
e di grida
sonando e di lamento,
tornò
Orlando ove il corpo fu lasciato,
che vivo e
morto avea con fede amato.
168
Quivi Bardin
di soma d'anni grave
stava
piangendo alla bara funèbre,
che pel gran
pianto ch'avea fatto in nave,
dovrìa
gli occhi aver pianti e le palpèbre.
Chiamando il
ciel crudel, le stelle prave,
ruggia come
un leon ch'abbia la febre.
Le mani erano
intanto empie e ribelle
ai crin
canuti e alla rugosa pelle.
169
Levossi, al
ritornar del paladino,
maggiore il
grido, e raddoppiossi il pianto.
Orlando,
fatto al corpo più vicino,
senza parlar
stette a mirarlo alquanto,
pallido come
colto al matutino
è da
sera il ligustro o il molle acanto;
e dopo un
gran sospir, tenendo fisse
sempre le
luci in lui, così gli disse:
170
- O forte, o
caro, o mio fedel compagno,
che qui sei
morto, e so che vivi in cielo,
e d'una vita
v'hai fatto guadagno,
che non ti
può mai tor caldo né gielo,
perdonami, se
ben vedi ch'io piagno;
perché
d'esser rimaso mi querelo,
e ch'a tanta
letizia io non son teco;
non
già perché qua giù tu non sia meco.
171
Solo senza te
son; né cosa in terra
senza te
posso aver più, che mi piaccia.
Se teco era
in tempesta e teco in guerra,
perché non
anco in ozio ed in bonaccia?
Ben grande e
'l mio fallir, poi che mi serra
di questo
fango uscir per la tua traccia.
Se negli
affanni teco fui, perch'ora
non sono a
parte del guadagno ancora?
172
Tu
guadagnato, e perdita ho fatto io:
sol tu
all'acquisto, io non son solo al danno.
Partecipe
fatto e del dolor mio
l'Italia, il
regno franco e l'alemanno.
Oh quanto,
quanto il mio signore e zio,
oh quanto i
paladin da doler s'hanno!
quanto
l'Imperio e la cristiana Chiesa,
che perduto
han la sua maggior difesa!
173
Oh quanto si
torrà per la tua morte
di terrore a'
nimici e di spavento!
Oh quanto
Pagania sarà più forte!
quanto animo
n'avrà, quanto ardimento!
Oh come star
ne dee la tua consorte!
Sin qui ne
veggo il pianto, e 'l grido sento.
So che
m'accusa, e forse odio mi porta,
che per me
teco ogni sua speme è morta.
174
Ma,
Fiordiligi, almen resti un conforto
a noi che
siàn di Brandimarte privi;
ch'invidiar
lui con tanta gloria morto
denno tutti i
guerrier ch'oggi son vivi.
Quei Deci, e
quel nel roman foro absorto,
quel
sì lodato Codro dagli Argivi,
non con
più altrui profitto e più suo onore
a morte si
donar, del tuo signore. -
175
Queste parole
ed altre dicea Orlando.
Intanto i
bigi, i bianchi, i neri frati,
e tutti gli
altri chierci, seguitando
andavan con
lungo ordine accoppiati,
per l'alma
del defunto Dio pregando,
che gli
donasse requie tra' beati.
Lumi inanzi e
per mezzo e d'ogn'intorno,
mutata aver
parean la notte in giorno.
176
Levan la
bara, ed a portarla foro
messi a
vicenda conti e cavallieri.
Purpurea seta
la copria, che d'oro
e di gran
perle avea compassi altieri:
di non men
bello e signoril lavoro
avean gemmati
e splendidi origlieri;
e giacea
quivi il cavallier con vesta
di color
pare, e d'un lavor contesta.
177
Trecento agli
altri eran passati inanti,
de'
più poveri tolti de la terra,
parimente
vestiti tutti quanti
di panni
negri e lunghi sin a terra.
Cento paggi
seguian sopra altretanti
grossi
cavalli e tutti buoni a guerra;
e i cavalli
coi paggi ivano il suolo
radendo col
lor abito di duolo.
178
Molte
bandiere inanzi e molte dietro,
che di
diverse insegne eran dipinte,
spiegate
accompagnavano il ferètro;
le quai
già tolte a mille schiere vinte,
e guadagnate
a Cesare ed a Pietro
avean le
forze ch'or giaceano estinte.
Scudi v'erano
molti, che di degni
guerrieri, a
chi fur tolti, aveano i segni.
179
Venian cento
e cent'altri a diversi usi
de l'esequie
ordinati; ed avean questi,
come anco il
resto, accesi torchi; e chiusi,
più
che vestiti, eran di nere vesti.
Poi seguia
Orlando, e ad or ad or suffusi
di lacrime
avea gli occhi e rossi e mesti;
né più
lieto di lui Rinaldo venne:
il piè
Olivier, che rotto avea, ritenne.
180
Lungo
sarà s'io vi vo' dire in versi
le cerimonie,
e raccontarvi tutti
i dispensati
manti oscuri e persi,
gli accesi
torchi che vi furon strutti.
Quindi alla
chiesa catedral conversi,
dovunque
andar, non lasciaro occhi asciutti:
sì
bel, sì buon, sì giovene a pietade
mosse ogni
sesso, ogni ordine, ogni etade.
181
Fu posto in
chiesa; e poi che da le donne
di lacrime e
di pianti inutil opra,
e che dai
sacerdoti ebbe eleisonne
e gli altri
santi detti avuto sopra,
in una arca
il serbar su due colonne:
e quella
vuole Orlando che si cuopra
di ricco
drappo d'or, sin che reposto
in un
sepulcro sia di maggior costo.
182
Orlando di
Sicilia non si parte,
che manda a
trovar porfidi e alabastri.
Fece fare il
disegno, e di quell'arte
inarrar con
gran premio i miglior mastri.
Fe' le
lastre, venendo in questa parte,
poi drizzar
Fiordiligi, e i gran pilastri;
che quivi (essendo
Orlando già partito)
si fe' portar
da l'africano lito.
183
E vedendo le
lacrime indefesse,
ed ostinati a
uscir sempre i sospiri,
né per far
sempre dire uffici e messe,
mai satisfar
potendo a' suoi disiri;
di non
partirsi quindi in cor si messe,
fin che del
corpo l'anima non spiri:
e nel
sepolcro fe' fare una cella,
e vi si
chiuse, e fe' sua vita in quella.
184
Oltre che
messi e lettere le mande,
vi va in
persona Orlando per levarla.
Se viene in
Francia, con pension ben grande
compagna vuol
di Galerana farla:
quando
tornare al padre anco domande,
sin alla
Lizza vuole accompagnarla:
edificar le
vuole un monastero,
quando
servire a Dio faccia pensiero.
185
Stava ella
nel sepulcro; e quivi attrita
da penitenza,
orando giorno e notte,
non
durò lunga età, che di sua vita
da la Parca
le fur le fila rotte.
Già
fatto avea da l'isola partita,
ove i Ciclopi
avean l'antique grotte,
i tre
guerrier di Francia, afflitti e mesti
che 'l quarto
lor compagno a dietro resti.
186
Non volean
senza medico levarsi,
che d'Olivier
s'avesse a pigliar cura;
la qual,
perché a principio mal pigliarsi
poté,
fatt'era faticosa e dura:
e quello
udiano in modo lamentarsi,
che del suo
caso avean tutti paura.
Tra lor di
ciò parlando, al nocchier nacque
un pensiero,
e lo disse; e a tutti piacque.
187
Disse ch'era
di là poco lontano
in un solingo
scoglio uno eremita,
a cui ricorso
mai non s'era invano,
o fosse per
consiglio o per aita;
e facea
alcuno effetto soprumano,
dar lume a
ciechi, e tornar morti a vita,
fermare il
vento ad un segno di croce,
e far
tranquillo il mar quando è più atroce:
188
e che non
denno dubitare, andando
a ritrovar
quel uomo a Dio sì caro,
che lor non
renda Olivier sano, quando
fatto ha di
sua virtù segno più chiaro.
Questo consiglio
sì piacque ad Orlando,
che verso il
santo loco si drizzaro;
né mai
piegando dal camin la prora,
vider lo
scoglio al sorger de l'aurora.
189
Scorgendo il
legno uomini in acqua dotti,
sicuramente
s'accostaro a quello.
Quivi
aiutando servi e galeotti,
declinano il
marchese nel battello:
e per le
spumose onde fur condotti
nel duro
scoglio, ed indi al santo ostello;
al santo
ostello, a quel vecchio medesmo,
per le cui
mani ebbe Ruggier battesmo.
190
Il servo del
Signor del paradiso
raccolse
Orlando ed i compagni suoi,
e benedilli
con giocondo viso,
e de' lor
casi dimandolli poi;
ben che de
lor venuta avuto avviso
avesse prima
dai celesti eroi.
Orlando gli
rispose esser venuto
per ritrovare
al suo Oliviero aiuto;
191
ch'era,
pugnando per la fé di Cristo,
a periglioso
termine ridutto.
Levògli
il santo ogni sospetto tristo,
e gli
promisse di sanarlo in tutto.
Né d'unguento
trovandosi provisto,
né d'altra
umana medicina istrutto,
andò
alla chiesa, ed orò al Salvatore;
ed indi
uscì con gran baldanza fuore:
192
e in nome de
le eterne tre Persone,
Padre e
Figliuolo e Spirto Santo, diede
ad Olivier la
sua benedizione.
Oh
virtù che dà Cristo a chi gli crede!
Cacciò
dal cavalliero ogni passione,
e ritornolli
a sanitade il piede,
più
fermo e più espedito che mai fosse:
e presente
Sobrino a ciò trovosse.
193
Giunto Sobrin
de le sue piaghe a tanto,
che star
peggio ogni giorno se ne sente,
tosto che
vede del monaco santo
il miracolo
grande ed evidente,
si dispon di
lasciar Macon da canto,
e Cristo
confessar vivo e potente:
e domanda con
cor di fede attrito,
d'iniciarsi
al nostro sacro rito.
194
Così
l'uom giusto lo battezza, ed anco
gli rende,
orando, ogni vigor primiero.
Orlando e gli
altri cavallier non manco
di tal
conversion letizia fero,
che di veder
che liberato e franco
del
periglioso mal fosse Oliviero.
Maggior
gaudio degli altri Ruggier ebbe;
e molto in
fede e in devozione accrebbe.
195
Era Ruggier
dal dì che giunse a nuoto
su questo
scoglio, poi statovi ognora.
Fra quei
guerrieri il vecchiarel devoto
sta
dolcemente, e li conforta ed ora
a voler,
schivi di pantano e loto,
mondi passar
per questa morta gora
c'ha nome
vita, che sì piace a' sciocchi;
ed alla via
del ciel sempre aver gli occhi.
196
Orlando un
suo mandò sul legno, e trarne
fece pane e
buon vin, cacio e persutti;
e l'uom di
Dio, ch'ogni sapor di starne
pose in
oblio, poi ch'avvezzossi a' frutti,
per
carità mangiar fecero carne,
e ber del
vino, e far quel che fer tutti.
Poi ch'alla
mensa consolati foro,
di molte cose
ragionar tra loro.
197
E come accade
nel parlar sovente,
ch'una cosa
vien l'altra dimostrando,
Ruggier
riconosciuto finalmente
fu da
Rinaldo, da Olivier, da Orlando,
per quel
Ruggiero in arme sì eccellente,
il cui valor
s'accorda ognun lodando:
né Rinaldo
l'avea raffigurato
per quel che
provò già ne lo steccato.
198
Ben l'avea il
re Sobrin riconosciuto,
tosto che 'l
vide col vecchio apparire;
ma volse
inanzi star tacito e muto,
che porsi in
aventura di fallire.
Poi ch'a
notizia agli altri fu venuto
che questo
era Ruggier, di cui l'ardire,
la cortesia e
'l valore alto e profondo
si facea
nominar per tutto il mondo;
199
e sapendosi
già ch'era cristiano,
tutti con
lieta e con serena faccia
vengono a
lui: chi gli tocca la mano,
e chi lo
bacia, e chi lo stringe e abbraccia.
Sopra gli
altri il signor di Montalbano
d'accarezzarlo
e fargli onor procaccia.
Perch'esso
più degli altri, io 'l serbo a dire
ne l'altro
canto, se 'l vorrete udire.
1
Spesso in
poveri alberghi e in picciol tetti,
ne le
calamitadi e nei disagi,
meglio
s'aggiungon d'amicizia i petti,
che fra
ricchezze invidiose ed agi
de le piene
d'insidie e di sospetti
corti regali
e splendidi palagi,
ove la
caritade è in tutto estinta,
né si vede
amicizia, se non finta.
2
Quindi avvien
che tra principi e signori
patti e
convenzion son sì frali.
Fan lega oggi
re, papi e imperatori;
doman saran
nimici capitali:
perché, qual
l'apparenze esteriori,
non hanno i
cor, non han gli animi tali;
che non
mirando al torto più ch'al dritto,
attendon
solamente al lor profitto.
3
Questi,
quantunque d'amicizia poco
sieno capaci,
perché non sta quella
ove per cose
gravi, ove per giuoco
mai senza
finzion non si favella;
pur, se talor
gli ha tratti in umil loco
insieme una
fortuna acerba e fella,
in poco tempo
vengono a notizia
(quel che in
molto non fer) de l'amicizia.
4
Il santo
vecchiarel ne la sua stanza
giunger gli
ospiti suoi con nodo forte
ad amor vero
meglio ebbe possanza,
ch'altri non
avria fatto in real corte.
Fu questo poi
di tal perseveranza,
che non si
sciolse mai fin alla morte.
Il vecchio li
trovò tutti benigni,
candidi
più nel cor, che di fuor cigni.
5
Trovolli
tutti amabili e cortesi,
non de la
iniquità ch'io v'ho dipinta
di quei che
mai non escono palesi,
ma sempre van
con apparenza finta.
Di quanto
s'eran per adietro offesi
ogni memoria
fu tra loro estinta;
e se d'un
ventre fossero e d'un seme,
non si
potriano amar più tutti insieme.
6
Sopra gli
altri il signor di Montalbano
accarezzava e
riveria Ruggiero;
sì
perché già l'avea con l'arme in mano
provato
quanto era animoso e fiero,
sì per
trovarlo affabile ed umano
più
che mai fosse al mondo cavalliero:
ma molto
più, che da diverse bande
si conoscea
d'avergli obligo grande.
7
Sapea che di
gravissimo periglio
egli avea
liberato Ricciardetto,
quando il re
ispano gli fe' dar di piglio
e con la
figlia prendere nel letto;
e ch'avea
tratto l'uno e l'altro figlio
del duca
Buovo (com'io v'ho detto)
di man dei
Saracini e dei malvagi
ch'eran col
maganzese Bertolagi.
8
Questo debito
a lui parea di sorte,
ch'ad amar lo
stringeano e ad onorarlo;
e gli ne
dolse e gli ne 'ncrebbe forte,
che prima non
avea potuto farlo,
quando era
l'un ne l'africana corte,
e l'altro
agli servigi era di Carlo.
Or che fatto
cristian quivi lo trova,
quel che non
fece prima, or far gli giova.
9
Proferte
senza fine, onore e festa
fece a
Ruggiero il paladin cortese.
Il prudente
eremita, come questa
benivolenza
vide, adito prese.
Entrò
dicendo: - A fare altro non resta
(e lo spero
ottener senza contese),
che come
l'amicizia è tra voi fatta,
tra voi sia
ancora affinità contratta;
10
acciò
che de le due progenie illustri
che non han
par di nobiltade al mondo,
nasca un
lignaggio che più chiaro lustri,
che 'l chiaro
sol, per quanto gira a tondo;
e come andran
più inanzi ed anni e lustri,
sarà
più bello, e durerà (secondo
che Dio
m'ispira, acciò ch'a voi nol celi)
fin che
terran l'usato corso i cieli. -
11
E seguitando
il suo parlar più inante,
fa il santo
vecchio sì, che persuade
che Rinaldo a
Ruggier dia Bradamante,
ben che
pregar né l'un né l'altro accade.
Loda Olivier
col principe d'Anglante,
che far si
debba questa affinitade;
il che speran
ch'approvi Amone e Carlo,
e debba tutta
Francia commendarlo.
12
Così
dicean; ma non sapean ch'Amone,
con
voluntà del figlio di Pipino,
n'avea dato
in quei giorni intenzione
all'imperator
greco Costantino,
che gliele
domandava per Leone
suo figlio e
successor nel gran domìno.
Se n'era, pel
valor che n'avea inteso,
senza
vederla, il giovinetto acceso.
13
Riposto gli
avea Amon, che da sé solo
non era per
concludere altramente,
né pria che
ne parlasse col figliuolo
Rinaldo, da
la corte allora assente;
il qual
credea che vi verrebbe a volo,
e che di
grazia avria sì gran parente:
pur, per
molto rispetto che gli avea,
risolver
senza lui non si volea.
14
Or Rinaldo
lontan dal padre, quella
pratica
imperial tutta ignorando,
quivi a
Ruggier promette la sorella
di suo
parere, e di parer d'Orlando
e degli altri
ch'avea seco alla cella,
ma sopra
tutti l'eremita instando:
e crede
veramente che piacere
debba ad Amon
quel parentado avere.
15
Quel
dì e la notte, e del seguente giorno
steron gran
parte col monaco saggio,
quasi
obliando al legno far ritorno,
ben che il
vento spirasse al lor viaggio.
Ma i lor
nocchieri, a cui tanto soggiorno
increscea
omai, mandar più d'un messaggio,
che sì
li stimular de la partita,
ch'a forza li
spiccar da l'eremita.
16
Ruggier che
stato era in esilio tanto,
né da lo
scoglio avea mai mosso il piede,
tolse licenza
da quel mastro santo
ch'insegnata
gli avea la vera fede.
La spada
Orlando gli rimesse a canto,
l'arme
d'Ettorre, e il buon Frontin gli diede;
sì per
mostrar del suo amor segno espresso,
sì per
saper che dianzi erano d'esso.
17
E quantunque
miglior ne l'incantata
spada ragione
avesse il paladino,
che con pena
e travaglio già levata
l'avea dal
formidabile giardino,
che non avea
Ruggiero a cui donata
dal ladro fu,
che gli diè ancor Frontino;
pur volentier
gliele donò col resto
de l'arme,
tosto che ne fu richiesto.
18
Fur benedetti
dal vecchio devoto,
e sul navilio
al fin si ritornaro.
I remi
all'acqua, e dier le vele al Noto;
e fu lor
sì sereno il tempo e chiaro,
che non vi
bisognò priego né voto,
fin che nel
porto di Marsilia entraro.
Ma quivi
stiano tanto, ch'io conduca
insieme
Astolfo, il glorioso duca.
19
Poi che de la
vittoria Astolfo intese,
che
sanguinosa e poco lieta s'ebbe;
vedendo che
sicura da l'offese
d'Africa
oggimai Francia esser potrebbe,
pensò
che 'l re de' Nubi in suo paese
con
l'esercito suo rimanderebbe
per la strada
medesima che tenne
quando contra
Biserta se ne venne.
20
L'armata che
i pagan roppe ne l'onde,
già
rimandata avea il figliuol d'Ugiero;
di cui, nuovo
miracolo, le sponde
(tosto che ne
fu uscito il popul nero)
e le poppe e
le prore mutò in fronde,
e ritornolle
al suo stato primiero:
poi venne il
vento, e come cosa lieve
levolle in
aria, e fe' sparire in breve.
21
Chi a piedi e
chi in arcion tutte partita
d'Africa fer
le nubiane schiere.
Ma prima
Astolfo si chiamò infinita
grazia al
Senapo ed immortale avere;
che gli venne
in persona a dare aita
con ogni
sforzo ed ogni suo potere.
Astolfo lor
ne l'uterino claustro
a portar
diede il fiero e turbido austro.
22
Negli utri,
dico, il vento diè lor chiuso,
ch'uscir di
mezzodì suol con tal rabbia,
che muove a
guisa d'onde, e leva in suso,
e ruota fin
in ciel l'arrida sabbia;
acciò
se lo portassero a lor uso,
che per
camino a far danno non abbia;
e che poi,
giunti ne la lor regione,
avessero a
lassar fuor di prigione.
23
Scrive
Turpino, come furo ai passi
de l'alto
Atlante, che i cavalli loro
tutti in un
tempo diventaron sassi;
sì
che, come venir, se ne tornoro.
Ma tempo
è omai ch'Astolfo in Francia passi;
e
così, poi che del paese moro
ebbe provisto
ai luoghi principali,
all'ippogrifo
suo fe' spiegar l'ali.
24
Volò
in Sardigna in un batter di penne,
e di Sardigna
andò nel lito corso;
e quindi
sopra il mar la strada tenne,
torcendo
alquanto a man sinistra il morso.
Ne le maremme
all'ultimo ritenne
de la ricca
Provenza il leggier corso;
dove
seguì de l'ippogrifo quanto
gli disse
già l'evangelista santo.
25
Hagli
commesso il santo evangelista,
che
più, giunto in Provenza, non lo sproni;
e
ch'all'impeto fier più non resista
con sella e
fren, ma libertà gli doni.
Già
avea il più basso ciel che sempre acquista
del perder
nostro, al corno tolti i suoni;
che muto era
restato, non che roco,
tosto
ch'entrò 'l guerrier nel divin loco.
26
Venne Astolfo
a Marsilia, e venne a punto
il dì
che v'era Orlando ed Oliviero
e quel da
Montalbano insieme giunto
col buon
Sobrino e col meglior Ruggiero.
La memoria
del sozio lor defunto
vietò
che i paladini non potero
insieme
così a punto rallegrarsi,
come in tanta
vittoria dovea farsi.
27
Carlo avea di
Sicilia avuto avviso
dei duo re
morti e di Sobrino preso,
e ch'era
stato Brandimarte ucciso;
poi di
Ruggiero avea non meno inteso:
e ne stava
col lor lieto e col viso
d'aver
gittato intolerabil peso,
che gli fu
sopra gli omeri sì greve,
che
starà un pezzo pria che si rileve.
28
Per onorar
costor ch'eran sostegno
del santo
Imperio e la maggior colonna,
Carlo
mandò la nobiltà del regno
ad
incontrarli fin sopra la Sonna.
Egli
uscì poi col suo drappel più degno
di re e di
duci, e con la propria donna,
fuor de le
mura, in compagnia di belle
e ben ornate
e nobili donzelle.
29
L'imperator
con chiara e lieta fronte,
i paladini e
gli amici e i parenti,
la
nobiltà, la plebe fanno al conte
ed agli altri
d'amor segni evidenti:
gridar s'ode
Mongrana e Chiaramonte.
Sì
tosto non finir gli abbracciamenti,
Rinaldo e
Orlando insieme ed Oliviero
al signor
loro appresentar Ruggiero;
30
e gli narrar
che di Ruggier di Risa
era figliuol,
di virtù uguale al padre:
se sia
animoso e forte, ed a che guisa
sappia ferir,
san dir le nostre squadre.
Con
Bradamante in questo vien Marfisa,
le due
compagne nobili e leggiadre:
ad abbracciar
Ruggier vien la sorella;
con
più rispetto sta l'altra donzella.
31
L'imperator
Ruggier fa risalire,
ch'era per
riverenza sceso a piede,
e lo fa a par
a par seco venire,
e di
ciò ch'a onorarlo si richiede,
un punto sol
non lassa preterire.
Ben sapea che
tornato era alla fede;
che tosto che
i guerrier furo all'asciutto,
certificato
avean Carlo del tutto.
32
Con pompa
trionfal, con festa grande
tornaro
insieme dentro alla cittade,
che di frondi
verdeggia e di ghirlande:
coperte a
panni son tutte le strade:
nembo d'erbe
e di fior d'alto si spande,
e sopra e
intorno ai vincitori cade,
che da
verroni e da finestre amene
donne e
donzelle gittano a man piene.
33
Al volgersi
dei canti in vari lochi
trovano archi
e trofei subito fatti,
che di
Biserta le ruine e i fochi
mostran
dipinti, ed altri degni fatti;
altrove
palchi con diversi giuochi
e spettacoli
e mimmi e scenici atti:
ed è
per tutti i canti il titol vero
scritto: - Ai
liberatori de l'Impero. -
34
Fra il suon
d'argute trombe e di canore
pifare e
d'ogni musica armonia,
fra riso e
plauso, iubilo e favore
del populo
ch'a pena vi capia,
smontò
al palazzo il magno imperatore,
ove
più giorni quella compagnia
con
torniamenti, personaggi e farse,
danze e
conviti attese a dilettarse.
35
Rinaldo un
giorno al padre fe' sapere
che la
sorella a Ruggier dar volea;
ch'in
presenza d'Orlando per mogliere,
e d'Olivier,
promessa glie l'avea;
li quali
erano seco d'un parere,
che parentado
far non si potea
per
nobiltà di sangue e per valore,
che fosse a
questo par, non che migliore.
36
Ode Amone il
figliuol con qualche sdegno,
che, senza
conferirlo seco, gli osa
la figlia
maritar, ch'esso ha disegno
che del
figliuol di Costantin sia sposa,
non di
Ruggier, il qual non ch'abbi regno,
ma non
può al mondo dir: questa è mia cosa;
né sa che
nobiltà poco si prezza,
e men
virtù, se non v'è ancor ricchezza.
37
Ma più
d'Amon la moglie Beatrice
biasma il
figliuolo e chiamalo arrogante;
e in segreto
e in palese contradice
che di
Ruggier sia moglie Bradamante:
a tutta sua
possanza imperatrice
ha disegnato
farla di Levante.
Sta Rinaldo
ostinato che non vuole
che manchi un
iota de le sue parole.
38
La madre,
ch'aver crede alle sue voglie
la magnanima
figlia, la conforta
che dica che,
più tosto ch'esser moglie
d'un pover
cavallier, vuole esser morta;
né mai
più per figliuola la raccoglie,
se questa
ingiuria dal fratel sopporta:
nieghi pur
con audacia, e tenga saldo;
che per
sforzar non la sarà Rinaldo.
39
Sta
Bradamante tacita, né al detto
de la madre
s'arrisca a contradire;
che l'ha in
tal riverenza e in tal rispetto,
che non
potria pensar non l'ubbidire.
Da l'altra
parte terria gran difetto,
se quel che
non vuol far, volesse dire.
Non vuol,
perché non può; che 'l poco e 'l molto
poter di sé
disporre Amor le ha tolto.
40
Né negar, né
mostrarsene contenta
s'ardisce; e
sol sospira, e non risponde:
poi quando
è in luogo ch'altri non la senta,
versan
lacrime gli occhi a guisa d'onde;
e parte del
dolor che la tormenta,
sentir fa al
petto ed alle chiome bionde,
che l'un
percuote, e l'altro straccia e frange;
e così
parla, e così seco piange:
41
-
Ahimè ! vorrò quel che non vuol chi deve
poter del
voler mio più che poss'io?
Il voler di
mia madre avrò in sì lieve
stima, ch'io
lo posponga al voler mio?
Deh! qual
peccato puote esser sì grieve
a una
donzella, qual biasmo sì rio,
come questo
sarà, se, non volendo
chi sempre ho
da ubbidir, marito prendo?
42
Avrà,
misera me! dunque possanza
la materna
pietà, ch'io t'abandoni,
o mio
Ruggiero, e ch'a nuova speranza,
a desir
nuovo, a nuovo amor mi doni?
O pur la
riverenza e l'osservanza
ch'ai buoni
padri denno i figli buoni,
porrò
da parte, e solo avrò rispetto
al mio bene,
al mio gaudio, al mio diletto?
43
So quanto,
ahi lassa! debbo far, so quanto
di buona
figlia al debito conviensi;
io 'l so: ma
che mi val, se non può tanto
la ragion,
che non possino più i sensi?
s'Amor la
caccia e la far star da canto,
né lassa
ch'io disponga, né ch'io pensi
di me dispor,
se non quanto a lui piaccia,
e sol, quanto
egli detti, io dica e faccia?
44
Figlia
d'Amone e di Beatrice sono,
e son, misera
me! serva d'Amore.
Dai genitori
miei trovar perdono
spero e
pietà, s'io caderò in errore:
ma s'io
offenderò Amor, chi sarà buono
a schivarmi
con prieghi il suo furore,
che sol
voglia una di mie scuse udire,
e non mi
faccia subito morire?
45
Ohimè!
con lunga ed ostinata prova
ho cercato
Ruggier trarre alla fede;
ed hollo
tratto al fin: ma che mi giova,
se 'l mio ben
fare in util d'altri cede?
Così,
ma non per sé, l'ape rinuova
il mele ogni
anno, e mai non lo possiede.
Ma vo' prima
morir, che mai sia vero,
ch'io pigli
altro marito, che Ruggiero.
46
S'io non
sarò al mio padre ubbidiente,
né alla mia
madre, io sarò al mio fratello,
che molto e
molto è più di lor prudente,
né gli ha la
troppa età tolto il cervello.
E a questo
che Rinaldo vuol, consente
Orlando
ancora; e per me ho questo e quello:
li quali duo
più onora il mondo e teme,
che l'altra
nostra gente tutta insieme.
47
Se questi il
fior, se questi ognuno stima
la gloria e
lo splendor di Chiaramonte;
se sopra gli
altri ognun gli alza e sublima
più
che non è del piede alta la fronte;
perché debbo
voler che di me prima
Amon
disponga, che Rinaldo e 'l conte?
Voler nol
debbo, tanto men, che messa
in dubbio al
Greco, e a Ruggier fui promessa. -
48
Se la donna
s'affligge e si tormenta,
né di Ruggier
la mente è più quieta;
ch'ancor che
di ciò nuova non si senta
per la
città, pur non è a lui segreta.
Seco di sua
fortuna si lamenta,
la qual fruir
tanto suo ben gli vieta,
poi che
ricchezze non gli ha date e regni,
di che
è stata sì larga a mille indegni.
49
Di tutti gli
altri beni, o che concede
Natura al
mondo, o proprio studio acquista,
aver tanta e
tal parte egli si vede,
qual e quanta
altri aver mai s'abbia vista;
ch'a sua
bellezza ogni bellezza cede,
ch'a sua
possanza è raro chi resista:
di
magnanimità, di splendor regio
a nessun,
più ch'a lui, si debbe il pregio.
50
Ma il volgo,
nel cui arbitrio son gli onori,
che, come
pare a lui, li leva e dona
(né dal nome
del volgo voglio fuori,
eccetto l'uom
prudente, trar persona;
che né papi
né re né imperatori
non ne tra'
scettro, mitra né corona;
ma la
prudenza, ma il giudizio buono,
grazie che
dal ciel date a pochi sono);
51
questo volgo
(per dir quel ch'io vo' dire)
ch'altro non
riverisce che ricchezza,
né vede cosa
al mondo, che più ammire,
e senza,
nulla cura e nulla apprezza,
sia quanto
voglia la beltà, l'ardire,
la possanza
del corpo, la destrezza,
la
virtù, il senno, la bontà; e più in questo
di ch'ora vi
ragiono, che nel resto.
52
Dicea
Ruggier: - Se pur è Amon disposto
che la
figliuola imperatrice sia,
con Leon non
concluda così tosto:
almen termine
un anno anco mi dia;
ch'io spero
intanto, che da me deposto
Leon col
padre de l'imperio fia;
e poi che
tolto avrò lor le corone,
genero
indegno non sarò d'Amone.
53
Ma se fa
senza indugio, come ha detto,
suocero de la
figlia Costantino;
s'alla
promessa non avrà rispetto
di Rinaldo e
d'Orlando suo cugino,
fattami
inanzi al vecchio benedetto,
al marchese
Uliviero, al re Sobrino,
che
farò? vo' patir sì grave torto?
o, prima che
patirlo, esser pur morto?
54
Deh che
farò? farò dunque vendetta
contra il
padre di lei di questo oltraggio?
Non miro
ch'io non son per farlo in fretta,
o s'in
tentarlo io mi sia stolto o saggio.
Ma voglio
presupor ch'a morte io metta
l'iniquo
vecchio e tutto il suo lignaggio:
questo non mi
farà però contento;
anzi in tutto
sarà contra il mio intento.
55
E fu sempre
il mio intento, ed è, che m'ami
la bella
donna, e non che mi sia odiosa:
ma, quando
Amone uccida, o facci o trami
cosa al
fratello o agli altri suoi dannosa,
non le do
iusta causa che mi chiami
nimico, e
più non voglia essermi sposa?
Che debbo
dunque far? debbol patire?
Ah non, per
Dio! più tosto io vo' morire.
56
Anzi non vo'
morir; ma vo' che muoia
con
più ragion questo Leone Augusto,
venuto a
disturbar tanta mia gioia:
o vo' che
muoia egli e 'l suo padre ingiusto.
Elena bella
all'amator di Troia
non
costò sì, né a tempo più vetusto
Proserpina a
Piritoo, come voglio
ch'al padre e
al figlio costi il mio cordoglio.
57
Può
esser, vita mia, che non ti doglia
lasciare il
tuo Ruggier per questo Greco?
Potrà
tuo padre far che tu lo toglia,
ancor
ch'avesse i tuoi fratelli seco?
Ma sto in
timor, ch'abbi più tosto voglia
d'esser
d'accordo con Amon, che meco;
e che ti paia
assai miglior partito
Cesare aver,
ch'un privato uom marito.
58
Sarà
possibil mai che nome regio,
titolo
imperial, grandezza e pompa,
di Bradamante
mia l'animo egregio,
il gran
valor, l'alta virtù corrompa?
sì
ch'abbia da tenere in minor pregio
la data fede,
e le promesse rompa?
né più
tosto d'Amon farsi nimica,
che quel che
detto m'ha, sempre non dica? -
59
Diceva queste
ed altre cose molte
ragionando
fra sé Ruggiero; e spesso
le dicea in
guisa ch'erano raccolte
da chi talor
se gli trovava appresso:
sì che
il tormento suo più di due volte
era a colei
per cui pativa, espresso,
a cui non
dolea meno il sentir lui
così
doler, che i propri affanni sui.
60
Ma più
d'ogni altro duol che le sia detto,
che tormenti
Ruggier, di questo ha doglia,
ch'intende
che s'affligge per sospetto
ch'ella lui
lasci, e che quel Greco voglia.
Onde,
acciò si conforti, e che del petto
questa
credenza e questo error si toglia,
per una di
sue fide cameriere
gli fe'
queste parole un dì sapere:
61
- Ruggier,
qual sempre fui, tal esser voglio
fin alla
morte, e più, se più si puote.
O siami Amor
benigno o m'usi orgoglio,
o me Fortuna
in alto o in basso ruote,
immobil son
di vera fede scoglio
che
d'ogn'intorno il vento e il mar percuote:
né già
mai per bonaccia né per verno
luogo mutai,
né muterò in eterno.
62
Scarpello si
vedrà di piombo o lima
formare in
varie imagini diamante,
prima che
colpo di Fortuna, o prima
ch'ira d'Amor
rompa il mio cor costante;
e si
vedrà tornar verso la cima
de l'alpe il
fiume turbido e sonante,
che per nuovi
accidenti, o buoni o rei,
faccino altro
viaggio i pensier miei.
63
A voi,
Ruggier, tutto il dominio ho dato
di me, che
forse è più ch'altri non crede.
So ben ch'a
nuovo principe giurato
non fu di
questa mai la maggior fede.
So che né al
mondo il più sicuro stato
di questo, re
né imperator possiede.
Non vi
bisogna far fossa né torre,
per dubbio
ch'altri a voi lo venga a torre.
64
Che, senza
ch'assoldiate altra persona,
non
verrà assalto a cui non si resista.
Non è
ricchezza ad espugnarmi buona,
né sì
vil prezzo un cor gentile acquista.
Né
nobiltà, né altezza di corona,
ch'al sciocco
volgo abbagliar suol la vista,
non
beltà, ch'in lieve animo può assai,
vedrò,
che più di voi mi piaccia mai.
65
Non avete a temer
ch'in forma nuova
intagliare il
mio cor mai più si possa:
sì
l'imagine vostra si ritrova
sculpita in
lui, ch'esser non può rimossa.
Che 'l cor
non ho di cera, è fatto prova;
che gli
diè cento, non ch'una percossa,
Amor, prima
che scaglia ne levasse,
quando
all'imagin vostra lo ritrasse.
66
Avorio e
gemma ed ogni pietra dura
che meglio da
l'intaglio si difende,
romper si
può; ma non ch'altra figura
prenda, che
quella ch'una volta prende.
Non è
il mio cor diverso alla natura
del marmo o
d'altro ch'al ferro contende.
Prima esser
può che tutto Amor lo spezze,
che lo possa
sculpir d'altre bellezze. -
67
Suggiunse a
queste altre parole molte,
piene d'amor,
di fede e di conforto,
da ritornarlo
in vita mille volte,
se stato
mille volte fosse morto.
Ma quando
più de la tempesta tolte
queste
speranze esser credeano in porto,
da un nuovo
turbo impetuoso e scuro
rispinte in
mar, lungi dal lito, furo:
68
però
che Bradamante, ch'eseguire
vorria molto
più ancor, che non ha detto,
rivocando nel
cor l'usato ardire,
e lasciando
ir da parte ogni rispetto,
s'appresenta
un dì a Carlo, e dice: - Sire,
s'a vostra
Maestade alcuno effetto
io feci mai,
che le paresse buono,
contenta sia
di non negarmi un dono.
69
E prima che
più espresso io le lo chieggia,
su la real
sua fede mi prometta
farmene
grazia; e vorrò poi, che veggia
che
sarà iusta la domanda e retta. -
- Merta la
tua virtù che dar ti deggia
ciò
che domandi, o giovane diletta
(rispose
Carlo); e giuro, se ben parte
chiedi del
regno mio, di contentarte. -
70
- Il don
ch'io bramo da l'Altezza vostra,
è che
non lasci mai marito darme
(disse la
damigella), se non mostra
che
più di me sia valoroso in arme.
Con qualunche
mi vuol, prima o con giostra
o con la
spada in mano ho da provarme.
Il primo che
mi vinca, mi guadagni:
chi vinto
sia, con altra s'accompagni. -
71
Disse
l'imperator con viso lieto,
che la
domanda era di lei ben degna;
e che stesse
con l'animo quieto,
che
farà a punto quanto ella disegna.
Non è
questo parlar fatto in segreto
sì,
ch'a notizia altrui tosto non vegna;
e quel giorno
medesimo alla vecchia
Beatrice e al
vecchio Amon corre all'orecchia.
72
Li quali
parimente arser di grande
sdegno contro
alla figlia, e di grand'ira;
che vider ben
con queste sue domande,
ch'ella a
Ruggier più ch'a Leone aspira:
e presti per
vietar che non si mande
questo ad
effetto, a ch'ella intende e mira,
la levaro con
fraude de la corte,
e la menaron
seco a Roccaforte.
73
Quest'era una
fortezza ch'ad Amone
donato Carlo
avea pochi dì inante,
tra Pirpignano
assisa e Carcassone,
in loco a
ripa il mar, molto importante.
Quivi la
ritenean come in prigione
con pensier
di mandarla un dì in Levante;
sì
ch'ogni modo, voglia ella o non voglia,
lasci Ruggier
da parte, e Leon toglia.
74
La valorosa
donna, che non meno
era modesta,
ch'animosa e forte;
ancor che
posto guardia non l'avieno,
e potea
entrare e uscir fuor de le porte;
pur stava
ubbidiente sotto il freno
del padre: ma
patir prigione e morte,
ogni
martìre e crudeltà più tosto
che mai
lasciar Ruggier, s'avea proposto.
75
Rinaldo, che
si vide la sorella
per astuzia
d'Amon tolta di mano,
e che dispor
non potrà più di quella,
e ch'a
Ruggier l'avrà promessa invano;
si duol del
padre, e contra a lui favella,
posto il
rispetto filial lontano.
Ma poco cura
Amon di tai parole,
e di sua
figlia a modo suo far vuole.
76
Ruggier, che
questo sente, ed ha timore
di rimaner de
la sua donna privo,
e che l'abbia
o per forza o per amore
Leon, se
resta lungamente vivo;
senza
parlarne altrui si mette in core
di far che
muoia, e sia d'Augusto, Divo;
e tor, se non
l'inganna la sua speme,
al padre e a
lui la vita e 'l regno insieme.
77
L'arme che
fur già del troiano Ettorre,
e poi di
Mandricardo, si riveste,
e fa la sella
al buon Frontino porre,
e cimier
muta, scudo e sopraveste.
A questa
impresa non gli piacque torre
l'aquila
bianca nel color celeste,
ma un candido
liocorno, come giglio,
vuol ne lo
scudo, e 'l campo abbia vermiglio.
78
Sceglie de'
suoi scudieri il più fedele,
e quel vuole
e non altri in compagnia;
e gli fa
commission, che non rivele
in alcun loco
mai, che Ruggier sia.
Passa la Mosa
e 'l Reno, e passa de le
contrade
d'Ostericche, in Ungheria;
e lungo
l'Istro per la destra riva
tanto
cavalca, ch'a Belgrado arriva.
79
Ove la Sava nel
Danubio scende,
e verso il
mar maggior con lui dà volta,
vede gran
gente in padiglioni e tende
sotto
l'insegne imperial raccolta;
che
Costantino ricovrare intende
quella
città che i Bulgari gli han tolta.
Costantin
v'è in persona, e 'l figliuol seco
con quanto
può tutto l'imperio greco.
80
Dentro a
Belgrado, e fuor per tutto il monte,
e giù
fin dove il fiume il piè gli lava,
l'esercito
del Bulgari gli è a fronte;
e l'uno e
l'altro a ber viene alla Sava.
Sul fiume il
Greco per gittare il ponte,
il Bulgar per
vietarlo armato stava,
quando
Ruggier vi giunse; e zuffa grande
attaccata
trovò fra le due bande.
81
I Greci son
quattro contr'uno, ed hanno
navi coi
ponti da gittar ne l'onda;
e di voler
fiero sembiante fanno
passar per
forza alla sinistra sponda.
Leone
intanto, con occulto inganno
dal fiume
discostandosi, circonda
molto paese,
e poi vi torna, e getta
ne l'altra
ripa i ponti, e passa in fretta:
82
e con gran
gente, chi in arcion, chi a piede
(che non
n'avea di ventimila un manco),
cavalcò
lungo la riviera, e diede
con fiero
assalto agl'inimici al fianco.
L'imperator,
tosto che 'l figlio vede
sul fiume
comparirsi al lato manco,
ponte
aggiungendo a ponte e nave a nave,
passa di
là con quanto esercito have.
83
Il capo, il
re de' Bulgari Vatrano,
animoso e
prudente e pro' guerriero,
di qua e di
là s'affaticava invano
per riparare
a un impeto sì fiero;
quando
cingendol con robusta mano
Leon, gli fe'
cader sotto il destriero:
e poi che dar
prigion mai non si volse,
con mille
spade la vita gli tolse.
84
I Bulgari sin
qui fatto avean testa;
ma quando il
lor signor si vider tolto,
e crescer
d'ogn'intorno la tempesta,
voltar le
spalle ove avean prima il volto.
Ruggier, che
misto vien fra i Greci, e questa
sconfitta vede,
senza pensar molto,
i Bulgari
soccorrer si dispone,
perch'odia
Costantino e più Leone.
85
Sprona
Frontin che sembra al corso un vento,
e inanzi a
tutti i corridori passa;
e tra la
gente vien, che per spavento
al monte
fugge, e la pianura lassa.
Molti ne
ferma, e fa voltare il mento
contra i
nimici, e poi la lancia abassa;
e con
sì fier sembiante il destrier muove,
che fin nel
ciel Marte ne teme e Giove.
86
Dinanzi agli
altri un cavalliero adocchia,
che riccamato
nel vestir vermiglio
avea d'oro e
di seta una pannocchia
con tutto il
garbo, che parea di miglio;
nipote a
Costantin per la sirocchia,
ma che non
gli era men caro, che figlio:
gli spezza
scudo e osbergo, come vetro,
e fa la
lancia un palmo apparir dietro.
87
Lascia quel
morto, e Balisarda stringe
verso uno
stuol che più si vede appresso;
e contra a
questo e contra a quel si spinge,
ed a chi
tronco ed a chi il capo ha fesso:
a chi nel
petto, a chi nel fianco tinge
il brando, e
a chi l'ha ne la gola messo:
taglia busti,
anche, braccia, mani e spalle;
e il sangue,
come un rio, corre alla valle.
88
Non è,
visti quei colpi, chi gli faccia
contrasto
più, così n'è ognun smarrito;
sì che
si cangia subito la faccia
de la
battaglia; che tornando ardito,
il petto
volge, e ai Greci dà la caccia
il Bulgaro
che dianzi era fuggito:
in un momento
ogni ordine disciolto
si vede, e
ogni stendardo a fuggir volto.
89
Leone Augusto
s'un poggio eminente,
vedendo i
suoi fuggir, s'era ridutto;
e sbigottito
e mesto ponea mente
(perch'era in
loco che scopriva il tutto)
al cavallier
ch'uccidea tanta gente,
che per lui
sol quel campo era distrutto:
e non
può far, se ben n'è offeso tanto,
che non lo
lodi e gli dia in arme il vanto.
90
Ben comprende
all'insegne e sopravesti,
all'arme
luminose e ricche d'oro,
che
quantunque il guerrier dia aiuto a questi
nimici suoi,
non sia però di loro.
Stupido mira
i soprumani gesti,
e talor pensa
che dal sommo coro
sia per
punire i Greci un agnol sceso,
che tante e
tante volte hanno Dio offeso.
91
E come uom
d'alto e di sublime core,
ove l'avrian
molt'altri in odio avuto,
egli
s'innamorò del suo valore,
né veder
fargli oltraggio avria voluto:
gli sarebbe
per un de' suoi che muore,
vederne morir
sei manco spiaciuto,
e perder anco
parte del suo regno,
che veder
morto un cavallier sì degno.
92
Come bambin,
se ben la cara madre
iraconda lo
batte e da sé caccia,
non ha
ricorso alla sorella o al padre,
ma a lei
ritorna, e con dolcezza abbraccia;
così
Leon, se ben le prime squadre
Ruggier gli
uccide, e l'altre gli minaccia,
non lo
può odiar, perch'all'amor più tira
l'alto valor,
che quella offesa all'ira.
93
Ma se Leon
Ruggiero ammira ed ama,
mi par che
duro cambio ne riporte;
che Ruggiero
odia lui, né cosa brama
più
che di dargli di sua man la morte.
Molto con gli
occhi il cerca, ed alcun chiama,
che gliele
mostri; ma la buona sorte
e la prudenza
de l'esperto Greco
non
lasciò mai che s'affrontasse seco.
94
Leone,
acciò che la sua gente affatto
non fosse
uccisa, fe' sonar raccolta;
ed
all'imperatore un messo ratto
a pregarlo
mandò, che desse volta
e ripassasse
il fiume; e che buon patto
n'avrebbe, se
la via non gli era tolta:
ed esso con
non molti che raccolse,
al ponte
ond'era entrato, i passi volse.
95
Molti in
poter de' Bulgari restaro
per tutto il
monte, e sin al fiume uccisi;
e vi restavan
tutti, se 'l riparo
non gli
avesse del rio tosto divisi.
Molti cader
dai ponti e s'affogaro;
e molti,
senza mai volgere i visi,
quindi
lontano iro a trovare il guado;
e molti fur
prigion tratti in Belgrado.
96
Finita la
battaglia di quel giorno,
ne la qual,
poi che il lor signor fu estinto,
danno i
Bulgari avriano avuto e scorno,
se per lor
non avesse il guerrier vinto,
il buon
guerrier che 'l candido liocorno
ne lo scudo
vermiglio avea dipinto;
a lui si
trasson tutti, da cui questa
vittoria
conoscean, con gioia e festa.
97
Uno il
saluta, un altro se gl'inchina,
altri la
mano, altri gli bacia il piede:
ognun, quanto
più può, se gli avvicina,
e beato si
tien chi appresso il vede,
e più
chi 'l tocca; che toccar divina
e
sopranatural cosa si crede.
Lo pregan
tutti, e vanno al ciel le grida,
che sia lor
re, lor capitan, lor guida.
98
Ruggier
rispose lor, che capitano
e re
sarà, quel che fia lor più a grado;
ma né a
baston né a scettro ha da por mano,
né per quel
giorno entrar vuole in Belgrado:
che prima che
si faccia più lontano
Leon Augusto,
e che ripassi il guado,
lo vuol
seguir, né torsi da la traccia,
fin che nol
giunga e che morir nol faccia;
99
che mille
miglia e più, per questo solo
era venuto, e
non per altro effetto.
Così
senza indugiar lascia lo stuolo,
e si volge al
camin che gli vien detto,
che verso il
ponte fa Leone a volo,
forse per
dubbio che gli sia intercetto.
Gli va dietro
per l'orma in tanta fretta,
che 'l suo
scudier non chiama e non aspetta.
100
Leone ha nel
fuggir tanto vantaggio
(fuggir si
può ben dir, più che ritrarse),
che trova
aperto e libero il passaggio;
poi rompe il
ponte, e lascia le navi arse.
Non v'arriva
Ruggier, ch'ascoso il raggio
era del sol,
né sa dove alloggiarse.
Cavalca
inanzi, che lucea la luna,
né mai trova
castel né villa alcuna.
101
Perché non sa
dove si por, camina
tutta la
notte, né d'arcion mai scende.
Ne lo spuntar
del nuovo sol vicina
a man
sinistra una città comprende;
ove di star
tutto quel dì destina,
acciò
l'ingiuria al suo Frontino emende,
a cui, senza
posarlo o trargli briglia,
la notte
fatto avea far tante miglia.
102
Ungiardo era
signor di quella terra,
suddito e
caro a Costantino molto,
ove avea per
cagion di quella guerra
da cavallo e
da piè buon numer tolto.
Quivi ove
altrui l'entrata non si serra,
entra
Ruggiero, e v'è sì ben raccolto,
che non gli
accade di passar più avante
per aver
miglior loco e più abondante.
103
Nel medesimo
albergo in su la sera
un cavallier
di Romania alloggiosse,
che si
trovò ne la battaglia fiera,
quando
Ruggier pei Bulgari si mosse,
ed a pena di
man fuggito gli era,
ma spaventato
più ch'altri mai fosse;
sì
ch'ancor triema, e pargli ancora intorno
avere il
cavallier dal liocorno.
104
Conosce,
tosto che lo scudo vede,
che 'l
cavallier che quella insegna porta,
è quel
che la sconfitta ai Greci diede,
per le cui
mani è tanta gente morta.
Corre al
palazzo, ed udienza chiede,
per dire a
quel signor cosa ch'importa;
e subito
intromesso, dice quanto
io mi riserbo
a dir ne l'altro canto.
1
Quanto
più su l'instabil ruota vedi
di Fortuna
ire in alto il miser uomo,
tanto
più tosto hai da vedergli i piedi
ove ora ha il
capo, e far cadendo il tomo.
Di questo
esempio è Policràte, e il re di
Lidia, e
Dionigi, ed altri ch'io non nomo,
che ruinati
son da la suprema
gloria in un
dì ne la miseria estrema.
2
Così
all'incontro, quanto più depresso,
quanto
è più l'uom di questa ruota al fondo,
tanto a quel
punto più si trova appresso,
ch'a da
salir, se de' girarsi in tondo.
Alcun sul
ceppo quasi il capo ha messo,
che l'altro
giorno ha dato legge al mondo.
Servio e
Mario e Ventidio l'hanno mostro
al tempo
antico, e il re Luigi al nostro:
3
il re Luigi,
suocero del figlio
del duca mio;
che rotto a Santo Albino,
e giunto al
suo nimico ne l'artiglio,
a restar
senza capo fu vicino.
Scorse di
questo anco maggior periglio,
non molto
inanzi, il gran Matia Corvino.
Poi l'un, de'
Franchi passato quel punto,
l'altro al
regno degli Ungari fu assunto.
4
Si vede per
gli esempi di che piene
sono
l'antiche e le moderne istorie,
che 'l ben va
dietro al male, e 'l male al bene,
e fin son
l'un de l'altro e biasmi e glorie;
e che fidarsi
a l'uom non si conviene
in suo tesor,
suo regno e sue vittorie,
né disperarsi
per Fortuna avversa,
che sempre la
sua ruota in giro versa.
5
Ruggier per
la vittoria ch'avea avuto
di Leone e
del padre imperatore,
in tanta
confidenza era venuto
di sua
fortuna e di suo gran valore,
che senza
compagnia, senz'altro aiuto,
di poter egli
sol gli dava il core
fra cento a
piè e a cavallo armate squadre
uccider di
sua mano il figlio e il padre.
6
Ma quella,
che non vuol che si prometta
alcun di lei,
gli mostrò in pochi giorni,
come tosto
alzi e tosto al basso metta,
e tosto
avversa e tosto amica torni.
Lo fe'
conoscer quivi da chi in fretta
a
procacciargli andò disagi e scorni,
dal cavallier
che ne la pugna fiera
di man fuggito
a gran fatica gli era.
7
Costui fece
ad Ungiardo saper, come
quivi il
guerrier ch'avea le genti rotte
di Costantino
e per molt'anni dome,
stato era il
giorno, e vi staria la notte;
e che Fortuna
presa per le chiome,
senza che
più travagli o che più lotte,
darà
al suo re, se fa costui prigione;
ch'a'
Bulgari, lui preso, il giogo pone.
8
Ungiardo da
la gente, che fuggita
de la
battaglia, a lui s'era ridutta
(ch'a parte a
parte v'arrivò infinita,
perch'al
ponte passar non potea tutta),
sapea come la
strage era seguita,
che la
metà de' Greci avea distrutta;
e come un
cavallier solo era stato,
ch'un campo
rotto, e l'altro avea salvato:
9
e che sia da
se stesso senza caccia
venuto a dar
del capo ne la rete,
si
maraviglia, e mostra che gli piaccia,
con viso e
gesti e con parole liete.
Aspetta che
Ruggier dormendo giaccia;
poi manda le
sue gente chete chete,
e fa il buon
cavallier, ch'alcun sospetto
di questo non
avea, prender nel letto.
10
Accusato
Ruggier dal proprio scudo,
ne la
città di Novengrado resta
prigion
d'Ungiardo, il più d'ogni altro crudo,
che fa di
ciò maravigliosa festa.
E che
può far Ruggier, poi che gli è nudo,
ed è
legato già, quando si desta?
Ungiardo un
suo corrier spaccia a staffetta
a dar la
nuova a Costantino in fretta.
11
Avea levato
Costantin la notte
da le ripe di
Sava ogni sua schiera;
e seco a
Beleticche avea ridotte,
che
città del cognato Androfilo era,
padre di
quello a cui forate e rotte
(come se
state fossino di cera)
al primo
incontro l'arme avea il gagliardo
cavallier, or
prigion del fiero Ungiardo.
12
Quivi
fortificar facea le mura
l'imperatore,
e riparar le porte;
che de'
Bulgari ben non s'assicura,
che con la
guida d'un guerrier sì forte
non gli
faccino peggio che paura,
e 'l resto
ponghin di sua gente a morte.
Or che l'ode
prigion, né quelli teme,
né se con lor
sia il mondo tutto insieme.
13
L'imperator
nuota in un mar di latte,
né per
letizia sa quel che si faccia.
- Ben son le
genti bulgare disfatte, -
dice con
lieta e con sicura faccia.
Come de la
vittoria, chi combatte,
se troncasse
al nimico ambe le braccia,
certo saria,
così n'è certo, e gode
l'imperator,
poi che 'l guerrier preso ode.
14
Non ha minor
cagion di rallegrarsi
del padre il
figlio; ch'oltre che si spera
di racquistar
Belgrado, e soggiugarsi
ogni contrada
che de' Bulgari era;
disegna anco
il guerriero amico farsi
con benefici,
e seco averlo in schiera.
Né Rinaldo né
Orlando a Carlo Magno
ha da
invidiar, se gli è costui compagno.
15
Da questa
voglia è ben diversa quella
di Teodora, a
chi 'l figliuolo uccise
Ruggier con
l'asta che da la mammella
passò
alle spalle, e un palmo fuor si mise.
A Costantin,
del quale era sorella,
costei si
gittò a' piedi, e gli conquise
e intenerigli
il cor d'alta pietade
col largo
pianto che nel sen le cade.
16
- Io non mi
leverò da questi piedi
(diss'ella),
signor mio, se del fellone
ch'uccise il
mio figliuol, non mi conciedi
di vendicare,
or che l'abbiàn prigione.
Oltre che
stato t'è nipote, vedi
quanto
t'amò, vedi quant'opre buone
ha per te
fatto, e vedi s'avrai torto
di non lo
vendicar di chi l'ha morto.
17
Vedi che per
pietà del nostro duolo
ha Dio fatto
levar da la campagna
questo
crudele, e come augello a volo,
a dar ce l'ha
condotto ne la ragna,
acciò
in ripa di Stige il mio figliuolo
molto senza
vendetta non rimagna.
Dammi costui,
signore, e sii contento
ch'io
disacerbi il mio col suo tormento. -
18
Così
ben piange, e così ben si duole,
e così
bene ed efficace parla;
né dai piedi
levar mai se gli vuole,
ben che tre
volte e quattro per levarla
usasse
Costantino atti e parole;
ch'egli
è forzato al fin di contentarla:
e così
comandò che si facesse
colui
condurre, e in man di lei si desse.
19
E per non
fare in ciò lunga dimora,
condotto
hanno il guerrier del liocorno,
e dato in
mano alla crudel Teodora,
che non vi fu
intervallo più d'un giorno.
Il far che
sia squartato vivo, e muora
publicamente
con obbrobrio e scorno,
poca pena le
pare, e studia e pensa
altra
trovarne inusitata e immensa.
20
La femina
crudel lo fece porre,
incatenato e
mani e piedi e collo,
nel tenebroso
fondo d'una torre,
ove mai non
entrò raggio d'Apollo.
Fuor ch'un
poco di pan muffato, torre
gli fe' ogni
cibo, e senza ancor lassollo
duo dì
talora; e lo diè in guardia a tale,
ch'era di lei
più pronto a fargli male.
21
Oh! se d'Amon
la valorosa e bella
figlia, oh se
la magnanima Marfisa
avesse avuto
di Ruggier novella,
ch'in prigion
tormentasse a questa guisa;
per liberarlo
saria questa e quella
postasi al
rischio di restarne uccisa;
né Bradamante
avria, per dargli aiuto,
a Beatrice o
Amon rispetto avuto.
22
Re Carlo
intanto avendo la promessa
a costei
fatta in mente, che consorte
dar non le
lascierà, che sia men d'essa
al paragon de
l'arme ardito e forte;
questa sua
voluntà con trombe espressa
non solamente
fe' ne la sua corte,
ma in ogni
terra al suo imperio soggetta;
onde la fama
andò pel mondo in fretta.
23
Questa
condizion contiene il bando:
chi la figlia
d'Amon per moglie vuole,
star con lei
debba a paragon del brando
da l'apparire
al tramontar del sole;
e fin a
questo termine durando,
e non sia
vinto, senz'altre parole
la donna da
lui vinta esser s'intenda,
né possa ella
negar che non lo prenda;
24
e che
l'eletta ella de l'arme dona,
senza mirar
chi sia di lor, che chiede.
E lo potea
ben far, perch'era buona
con tutte
l'arme, o sia a cavallo o a piede.
Amon, che
contrastar con la Corona
non
può né vuole, al fin sforzato cede;
e ritornare a
corte si consiglia,
dopo molti
discorsi, egli e la figlia.
25
Ancor che
sdegno e colera la madre
contra la
figlia avea, pur per suo onore
vesti le fece
far ricche e leggiadre
a varie fogge
e di più d'un colore.
Bradamante
alla corte andò col padre;
e quando
quivi non trovò il suo amore,
più
non le parve quella corte, quella
che le solea
parer già così bella.
26
Come chi
visto abbia, l'aprile o il maggio,
giardin di
frondi e di bei fiori adorno,
e lo rivegga
poi che 'l sol il raggio
all'austro
inchina, e lascia breve il giorno,
lo trova
deserto, orrido e selvaggio;
così
pare alla donna al suo ritorno,
che da
Ruggier la corte abandonata
quella non
sia, ch'avea al partir lasciata.
27
Domandar non
ardisce che ne sia,
acciò
di sé non dia maggior sospetto;
ma pon
l'orecchia, e cerca tuttavia
che senza
domandar le ne sia detto.
Si sa ch'egli
è partito, ma che via
pres'abbia,
non fa alcun vero concetto;
perché
partendo ad altri non fe' motto,
ch'allo
scudier che seco avea condotto.
28
Oh come ella
sospira! oh come teme,
sentendo che
se n'è come fuggito!
Oh come sopra
ogni timor le preme,
che per porla
in oblio se ne sia gito!
che vistosi
Amon contra, ed ogni speme
perduta mai
più d'esserle marito,
si sia fatto
da lei lontano, forse
così
sperando dal suo amor disciorse;
29
e che
fatt'abbia ancor qualche disegno,
per
più tosto levarsela dal core,
d'andar
cercando d'uno in altro regno
donna per cui
si scordi il primo amore,
come si dice
che si suol d'un legno
talor chiodo
con chiodo cacciar fuore.
Nuovo pensier
ch'a questo poi succede,
le dipinge
Ruggier pieno di fede;
30
e lei, che
dato orecchie abbia, riprende,
a tanta
iniqua suspizione e stolta.
E così
l'un pensier Ruggier difende,
l'altro
l'accusa: ed ella amenduo ascolta,
e quando a
questo e quando a quel s'apprende,
né risoluta a
questo o a quel si volta.
Pur
all'opinion più tosto corre,
che
più le giova, e la contraria aborre.
31
E talor anco
che le torna a mente
quel che
più volte il suo Ruggier le ha detto,
come di grave
error, si duole e pente,
ch'avuto
n'abbia gelosia e sospetto;
e come fosse
al suo Ruggier presente,
chiamasi in
colpa, e se ne batte il petto.
- Ho fatto
error (dice ella), e me n'aveggio;
ma chi
n'è causa, è causa ancor di peggio.
32
Amor
n'è causa, che nel cor m'ha impresso
la forma tua
così leggiadra e bella;
e posto ci ha
l'ardir, l'ingegno appresso,
e la
virtù di che ciascun favella;
ch'impossibil
mi par, ch'ove concesso
ne sia il
veder, ch'ogni donna e donzella
non ne sia
accesa, e che non usi ogni arte
di sciorti
dal mio amore e al suo legarte.
33
Deh avesse
Amor così nei pensier miei
il tuo pensier,
come ci ha il viso sculto!
Io son ben
certa che lo troverei
palese tal,
qual io lo stimo occulto;
e che
sì fuor di gelosia sarei,
ch'ad or ad
or non mi farebbe insulto;
e dove a pena
or è da me respinta,
rimarria
morta, non che rotta e vinta.
34
Son simile
all'avar c'ha il cor sì intento
al suo
tesoro, e sì ve l'ha sepolto,
che non ne
può lontan viver contento,
né non sempre
temer che gli sia tolto.
Ruggiero, or
può, ch'io non ti veggo e sento,
in me,
più de la speme, il timor molto,
il qual ben che
bugiardo e vano io creda,
non posso far
di non mi dargli in preda.
35
Ma non
apparirà il lume sì tosto
agli occhi
miei del tuo viso giocondo,
contra ogni
mia credenza a me nascosto,
non so in
qual parte, o Ruggier mio, del mondo,
come il falso
timor sarà deposto
da la vera
speranza e messo al fondo.
Deh torna a
me, Ruggier, torna, e conforta
la speme che
'l timor quasi m'ha morta!
36
Come al
partir del sol si fa maggiore
l'ombra, onde
nasce poi vana paura;
e come
all'apparir del suo splendore
vien meno
l'ombra, e 'l timido assicura:
così
senza Ruggier sento timore;
se Ruggier
veggo, in me timor non dura.
Deh torna a
me, Ruggier, deh torna prima
che 'l timor
la speranza in tutto opprima!
37
Come la notte
ogni fiammella è viva,
e riman
spenta subito ch'aggiorna;
così,
quando il mio sol di sé mi priva,
mi leva
incontra il rio timor le corna:
ma non
sì tosto all'orizzonte arriva,
che 'l timor
fugge, e la speranza torna.
Deh torna a
me, deh torna, o caro lume,
e scaccia il
rio timor che mi consume!
38
Se 'l sol si
scosta, e lascia i giorni brevi,
quanto di
bello avea la terra asconde;
fremono i
venti, e portan ghiacci e nievi;
non canta
augel, né fior si vede o fronde:
così,
qualora avvien che da me levi,
o mio bel
sol, le tue luci gioconde,
mille timori,
e tutti iniqui, fanno
un aspro
verno in me più volte l'anno.
39
Deh torna a
me, mio sol, torna, e rimena
la desiata
dolce primavera!
Sgombra i
ghiacci e le nievi, e rasserena
la mente mia
sì nubilosa e nera. -
Qual Progne
si lamenta o Filomena
ch'a cercar
esca ai figliolini ita era,
e trova il
nido voto; o qual si lagna
turture c'ha
perduto la compagna:
40
tal
Bradamante si dolea, che tolto
le fosse
stato il suo Ruggier temea,
di lacrime
bagnando spesso il volto,
ma più
celatamente che potea.
Oh quanto,
quanto si dorria più molto,
s'ella
sapesse quel che non sapea,
che con pena
e con strazio il suo consorte
era in
prigion, dannato a crudel morte!
41
La
crudeltà ch'usa l'iniqua vecchia
contra il
buon cavallier che preso tiene,
e che di
dargli morte s'apparecchia
con nuovi
strazi e non usate pene,
la superna
Bontà fa ch'all'orecchia
del cortese
figliuol di Cesar viene;
e che gli
mette in cor, come l'aiute,
e non lasci
perir tanta virtute.
42
Il cortese
Leon che Ruggiero ama
(non che
sappi però che Ruggier sia),
mosso da quel
valor ch'unico chiama,
e che gli par
che soprumano sia,
molto fra sé
discorre, ordisce e trama,
e di salvarlo
al fin trova la via,
in guisa che
da lui la zia crudele
offesa non si
tenga e si querele.
43
Parlò
in secreto a chi tenea la chiave
de la
prigione; e che volea, gli disse,
vedere il
cavallier pria che sì grave
sentenza,
contra lui data, seguisse.
Giunta la
notte, un suo fedel seco have
audace e
forte, ed atto a zuffe e a risse;
e fa che 'l
castellan, senz'altrui dire
ch'egli fosse
Leon, gli viene aprire.
44
Il castellan,
senza ch'alcun de' sui
seco abbia,
occultamente Leon mena
col compagno
alla torre ove ha colui
che si serba
all'estrema d'ogni pena.
Giunti là
dentro, gettano amendui
al castellan
che volge lor la schena
per aprir lo
sportello, al collo un laccio,
e subito gli
dan l'ultimo spaccio.
45
Apron la
cataratta, onde sospeso
al canape,
ivi a tal bisogno posto,
Leon si cala,
e in mano ha un torchio acceso,
là
dove era Ruggier dal sol nascosto.
Tutto legato,
e s'una grata steso
lo trova,
all'acqua un palmo e men discosto.
L'avria in un
mese e in termine più corto,
per sé,
senz'altro aiuto, il luogo morto.
46
Leon Ruggier
con gran pietade abbraccia,
e dice: -
Cavallier, la tua virtude
indissolubilmente
a te m'allaccia
di voluntaria
eterna servitute;
e vuol che
più il tuo ben, che 'l mio, mi piaccia,
né curi per
la tua la mia salute,
e che la tua
amicizia al padre e a quanti
parenti io
m'abbia al mondo, io metta inanti.
47
Io son Leone,
acciò tu intenda, figlio
di Costantin,
che vengo a darti aiuto,
come vedi, in
persona, con periglio
(se mai dal
padre mio sarà saputo)
d'esser
cacciato, o con turbato ciglio
perpetuamente
esser da lui veduto;
che per la
gente la qual rotta e morta
da te gli fu
a Belgrado, odio ti porta. -
48
E
seguitò, più cose altre dicendo
da farlo
ritornar da morte a vita;
e lo vien
tuttavolta disciogliendo.
Ruggier gli
dice: - Io v'ho grazia infinita;
e questa vita
ch'or mi date, intendo
che sempremai
vi sia restituita,
che la
vogliate riavere, ed ogni
volta che per
voi spenderla bisogni. -
49
Ruggier fu
tratto di quel loco oscuro,
e in vece sua
morto il guardian rimase;
né conosciuto
egli né gli altri furo.
Leon
menò Ruggiero alle sue case,
ove a star
seco tacito e sicuro
per quattro o
per sei dì gli persuase;
che riaver
l'arme e 'l destrier gagliardo
gli faria
intanto, che gli tolse Ungiardo.
50
Ruggier fuggito,
il suo guardian strozzato
si trova il
giorno, e aperta la prigione.
Chi quel, chi
questo pensa che sia stato;
ne parla
ognun, né però alcun s'appone.
Ben di tutti
gli altri uomini pensato
più
tosto si saria, che di Leone;
che pare a
molti ch'avria causa avuto
di farne
strazio, e non di dargli aiuto.
51
Riman di
tanta cortesia Ruggiero
confuso
sì, sì pien di maraviglia,
e tramutato
sì da quel pensiero
che quivi
tratto l'avea tante miglia,
che mettendo
il secondo col primiero,
né a questo
quel, né questo a quel simiglia.
Il primo
tutto era odio, ira e veneno;
di pietade
è il secondo e d'amor pieno.
52
Molto la
notte e molto il giorno pensa,
d'altro non
cura ed altro non disia,
che da
l'obbligazion che gli avea immensa,
sciorsi con
pari e maggior cortesia.
Gli par, se
tutta sua vita dispensa
in lui
servire, o breve o lunga sia,
e se s'espone
a mille morti certe,
non gli
può tanto far, che più non merte.
53
Venuta quivi
intanto era la nuova
del bando
ch'avea fatto il re di Francia,
che chi vuol
Bradamante, abbia a far prova
con lei di
forza, con spada e con lancia.
Questo udir a
Leon sì poco giova,
che se gli
vede impallidir la guancia;
perché, come
uom che le sue forze ha note,
sa ch'a lei
pare in arme esser non puote.
54
Fra sé
discorre, e vede che supplire
può
con l'ingegno, ove il vigor sia manco,
facendo con
sue insegne comparire
questo
guerrier di cui non sa il nome anco;
che di
possanza iudica e d'ardire
poter star
contra a qualsivoglia Franco:
e crede ben,
s'a lui ne dà l'impresa,
che ne fia
vinta Bradamante e presa.
55
Ma due cose
ha da far: l'una, disporre
il cavallier,
che questa impresa accetti;
l'altra, nel
campo in vece sua lui porre
in modo che
non sia chi ne sospetti.
A sé lo
chiama, e 'l caso gli discorre,
e pregal poi
con efficaci detti,
ch'egli sia
quel ch'a questa pugna vegna
col nome
altrui, sotto mentita insegna.
56
L'eloquenza
del Greco assai potea;
ma più
de l'eloquenza potea molto
l'obbligo
grande che Ruggier gli avea,
da mai non ne
dovere essere isciolto:
sì che
quantunque duro gli parea,
e non
possibil quasi; pur con volto,
più
che con cor giocondo, gli rispose
ch'era per
far per lui tutte le cose.
57
Ben che da
fier dolor, tosto che questa
parola ha
detta, il cor ferir si senta,
che giorno e
notte e sempre lo molesta,
sempre
l'affligge e sempre lo tormenta,
e vegga la
sua morte manifesta;
pur è
mai per dir che se ne penta;
che prima
ch'a Leon non ubbidire,
mille volte,
non ch'una, è per morire.
58
Ben certo
è di morir; perché, se lascia
la donna, ha
da lasciar la vita ancora:
o che
l'accorerà il duolo e l'ambascia;
o se 'l duolo
e l'ambascia non l'accora,
con le man
proprie squarcerà la fascia
che cinge
l'alma, e ne la trarrà fuora;
ch'ogni altra
cosa più facil gli fia,
che poter lei
veder, che sua non sia.
59
Gli è
di morir disposto; ma che sorte
di morte
voglia far, non sa dir anco.
Pensa talor
di fingersi men forte,
e porger nudo
alla donzella il fianco;
che non fu
mai la più beata morte,
che se per
man di lei venisse manco.
Poi vede, se
per lui resta che moglie
sia di Leon,
che l'obbligo non scioglie:
60
perché ha
promesso contra Bradamante
entrare in
campo a singular battaglia;
non simulare,
e farne sol sembiante,
sì che
Leon di lui poco si vaglia.
Dunque
starà nel detto suo costante;
e ben che or
questo or quel pensier l'assaglia,
tutti li
scaccia, e solo a questo cede,
il qual
l'esorta a non mancar di fede.
61
Avea
già fatto apparecchiar Leone,
con licenza
del patre Costantino,
arme e
cavalli, e un numer di persone
qual gli
convenne, e entrato era in camino;
e seco avea
Ruggiero, a cui le buone
arme avea
fatto rendere e Frontino:
e tanto un
giorno e un altro e un altro andaro
ch'in Francia
ed a Parigi si trovaro.
62
Non volse
entrar Leon ne la cittate,
e i
padiglioni alla campagna tese;
e fe' il
medesmo dì per imbasciate,
che di sua
giunta il re di Francia intese.
L'ebbe il re
caro; e gli fu più fiate,
donando e
visitandolo, cortese.
De la venuta
sua la cagion disse
Leone, e lo
pregò che l'espedisse:
63
ch'entrar
facesse in campo la donzella
che marito
non vuol di lei men forte;
quando venuto
era per fare o ch'ella
moglier gli
fosse, o che gli desse morte.
Carlo tolse
l'assunto, e fece quella
comparir
l'altro dì fuor de le porte,
ne lo
steccato che la notte sotto
all'alte mura
fu fatto di botto.
64
La notte
ch'andò inanzi al terminato
giorno de la
battaglia, Ruggiero ebbe
simile a
quella che suole il dannato
aver, che la
matina morir debbe.
Eletto avea
combatter tutto armato,
perch'esser
conosciuto non vorrebbe;
né lancia né
destriero adoprar volse,
né, fuor che
'l brando, arme d'offesa tolse.
65
Lancia non
tolse; non perché temesse
di quella
d'or, che fu de l'Argalia,
e poi
d'Astolfo a cui costei successe,
che far gli
arcion votar sempre solia:
perché
nessun, ch'ella tal forza avesse,
o fosse fatta
per negromanzia,
avea saputo,
eccetto quel re solo
che far la
fece e la donò al figliuolo.
66
Anzi Astolfo
e la donna, che portata
l'aveano poi,
credean che non l'incanto,
ma la propria
possanza fosse stata,
che dato loro
in giostra avesse il vanto;
e che con
ogni altra asta ch'incontrata
fosse da lor,
farebbono altretanto.
La cagion
sola, che Ruggier non giostra,
è per
non far del suo Frontino mostra:
67
che lo potria
la donna facilmente
conoscer, se
da lei fosse veduto;
però
che cavalcato, e lungamente
in Montalban
l'avea seco tenuto.
Ruggier che
solo studia e solo ha mente
come da lei
non sia riconosciuto,
né vuol
Frontin, né vuol cos'altra avere,
che di far di
sé indizio abbia potere.
68
A questa
impresa un'altra spada volle;
che ben sapea
che contra a Balisarda
saria
ogn'osbergo, come pasta, molle;
ch'alcuna
tempra quel furor non tarda:
e tutto 'l
taglio anco a quest'altra tolle
con un
martello, e la fa men gagliarda.
Con quest'arme
Ruggiero al primo lampo
ch'apparve
all'orizzonte, entrò nel campo.
69
E per parer
Leon, le sopraveste
che dianzi
ebbe Leon, s'ha messe indosso;
e l'aquila de
l'or con le due teste
porta dipinta
ne lo scudo rosso.
E facilmente
si potean far queste
finzion;
ch'era ugualmente grande e grosso
l'un come
l'altro. Appresentossi l'uno;
l'altro non
si lasciò veder d'alcuno.
70
Era la
voluntà de la donzella
da
quest'altra diversa di gran lunga;
che, se
Ruggier su la spada martella
per
rintuzzarla, che non tagli o punga,
la sua la
donna aguzza, e brama ch'ella
entri nel
ferro, e sempre al vivo giunga,
anzi ogni
colpo sì ben tagli e fore,
che vada
sempre a ritrovargli il core.
71
Qual su le
mosse il barbaro si vede,
che 'l cenno
del partir fugoso attende,
né qua né
là poter fermare il piede,
gonfiar le
nare, e che l'orecchie tende;
tal l'animosa
donna che non crede
che questo
sia Ruggier con chi contende,
aspettando la
tromba, par che fuoco
ne le vene
abbia, e non ritrovi loco.
72
Qual talor,
dopo il tuono, orrido vento
subito segue,
che sozzopra volve
l'ondoso
mare, e leva in un momento
da terra fin
al ciel l'oscura polve;
fuggon le
fiere, e col pastor l'armento;
l'aria in
grandine e in pioggia si risolve;
udito il
segno la donzella, tale
stringe la
spada, e 'l suo Ruggiero assale.
73
Ma non
più quercia antica, o grosso muro
di ben
fondata torre a borea cede,
né più
all'irato mar lo scoglio duro,
che d'ogni
intorno il dì e la notte il fiede;
che sotto
l'arme il buon Ruggier sicuro,
che
già al troiano Ettòr Vulcano diede,
ceda all'odio
e al furor che lo tempesta
or ne'
fianchi, or nel petto, or ne la testa.
74
Quando di
taglio la donzella, quando
mena di
punta; e tutta intenta mira
ove cacciar
tra ferro e ferro il brando,
sì che
si sfoghi e disacerbi l'ira.
Or da un
lato, or da un altro il va tentando;
quando di
qua, quando di là s'aggira;
e si rode e
si duol che non le avegna
mai fatta
alcuna cosa che disegna.
75
Come chi
assedia una città che forte
sia di buon
fianchi e di muraglia grossa,
spesso
l'assalta, or vuol batter le porte,
or l'alte
torri, or atturar la fossa;
e pone
indarno le sue genti a morte,
né via sa
ritrovar ch'entrar vi possa:
così
molto s'affanna e si travaglia,
né può
la donna aprir piastra né maglia.
76
Quando allo
scudo e quando al buon elmetto,
quando
all'osbergo fa gittar scintille
con colpi
ch'alle braccia, al capo, al petto
mena dritti e
riversi, e mille e mille,
e spessi
più, che sul sonante tetto
la grandine
far soglia de le ville.
Ruggier sta
su l'avviso, e si difende
con gran destrezza,
e lei mai non offende.
77
Or si ferma,
or volteggia, or si ritira,
e con la man
spesso accompagna il piede.
Porge or lo
scudo, ed or la spada gira
ove girar la
man nimica vede.
O lei non
fere, o se la fere, mira
ferirla in
parte ove men nuocer crede.
La donna,
prima che quel dì s'inchine,
brama di dare
alla battaglia fine.
78
Si
ricordò del bando, e si ravvide
del suo
periglio, se non era presta;
che se in un
dì non prende o non uccide
il suo
domandator, presa ella resta.
Era
già presso ai termini d'Alcide
per attuffar
nel mar Febo la testa,
quando ella
cominciò di sua possanza
a difidarsi,
e perder la speranza.
79
Quanto
mancò più la speranza, crebbe
tanto
più l'ira, e radoppiò le botte;
che pur
quell'arme rompere vorrebbe,
ch'in tutto
un dì non avea ancora rotte:
come colui
ch'al lavorio che debbe,
sia stato
lento, e già vegga esser notte,
s'affretta
indarno, si travaglia e stanca,
fin che la
forza a un tempo e il dì gli manca.
80
O misera
donzella, se costui
tu
conoscessi, a cui dar morte brami,
se lo sapessi
esser Ruggier, da cui
de la tua
vita pendono li stami;
so ben
ch'uccider te, prima che lui,
vorresti; che
di te so che più l'ami:
e quando lui
Ruggiero esser saprai,
di questi
colpi ancor, so, ti dorrai.
81
Carlo e
molt'altri seco, che Leone
esser costui
credeansi, e non Ruggiero,
veduto come
in arme, al paragone
di
Bradamante, forte era e leggiero;
e, senza
offender lei, con che ragione
difender si
sapea; mutan pensiero,
e dicon: -
Ben convengono amendui;
ch'egli
è di lei ben degno, ella di lui. -
82
Poi che Febo
nel mar tutt'è nascoso,
Carlo, fatta
partir quella battaglia,
giudica che
la donna per suo sposo
prenda Leon,
ne ricusar lo vaglia.
Ruggier,
senza pigliar quivi riposo,
senz'elmo
trarsi o alleggierirsi maglia,
sopra un
picciol ronzin torna in gran fretta
ai padiglioni
ove Leon l'aspetta.
83
Gittò
Leone al cavallier le braccia
duo volte e
più fraternamente al collo;
e poi,
trattogli l'elmo da la faccia,
di qua e di
là con grande amor baciollo.
- Vo' (disse)
che di me sempre tu faccia
come ti par;
che mai trovar satollo
non mi
potrai, che me e lo stato mio
spender tu
possa ad ogni tuo disio.
84
Né veggo
ricompensa che mai questa
obligazion
ch'io t'ho, possi disciorre;
e non,
s'ancora io mi levi di testa
la mia
corona, e a te la venghi a porre. -
Ruggier, di
cui la mente ange e molesta
alto dolore,
e che la vita aborre,
poco
risponde, e l'insegne gli rende,
che n'avea
aute, e 'l suo liocorno prende.
85
E stanco
dimostrandosi e svogliato,
più
tosto che poté, da lui levosse;
ed al suo
alloggiamento ritornato,
poi che fu
mezzanotte, tutto armosse;
e sellato il
destrier, senza commiato,
e senza che
d'alcun sentito fosse,
sopra vi
salse, e si drizzò al camino
che
più piacer gli parve al suo Frontino.
86
Frontino or
per via dritta or per via torta,
quando per
selve e quando per campagna
il suo signor
tutta la notte porta,
che non cessa
un momento che non piagna:
chiama la
morte, e in quella si conforta,
che
l'ostinata doglia sola fragna;
né vede,
altro che morte, chi finire
possa
l'insopportabil suo martire.
87
- Di chi mi
debbo, ohimè! (dicea) dolere,
che
così m'abbia a un punto ogni ben tolto?
Deh, s'io non
vo' l'ingiuria sostenere
senza
vendetta, incontra a cui mi volto?
Fuor che me
stesso, altri non so vedere,
che m'abbia
offeso ed in miseria volto.
Io m'ho
dunque di me contra a me stesso
da vendicar,
c'ho tutto il mal commesso.
88
Pur, quando
io avessi fatto solamente
a me
l'ingiuria, a me forse potrei
donar perdon,
se ben difficilmente;
anzi vo' dir
che far non lo vorrei:
or quanto,
poi che Bradamante sente
meco
l'ingiuria ugual, men lo farei?
Quando bene a
me ancora io perdonassi,
lei non
convien ch'invendicata lassi.
89
Per vendicar
lei dunque debbo e voglio
ogni modo
morir, né ciò mi pesa;
ch'altra cosa
non so ch'al mio cordoglio,
fuor che la
morte, far possa difesa.
Ma sol,
ch'allora io non mori', mi doglio,
che fatto
ancora io non le aveva offesa.
Oh me felice,
s'io moriva allora
ch'era
prigion de la crudel Teodora!
90
Se ben
m'avesse ucciso, tormentato
prima ad
arbitrio di sua crudeltade,
da Bradamante
almeno avrei sperato
di ritrovare
al mio caso pietade.
Ma quando
ella saprà ch'avrò più amato
Leon di lei,
e di mia volontade
io me ne sia,
perch'egli l'abbia, privo;
avrà
ragion d'odiarmi e morto e vivo. -
91
Questo
dicendo e molte altre parole
che sospiri
accompagnano e singulti,
si trova
all'apparir del nuovo sole
fra scuri
boschi, in luoghi strani e inculti;
e perché
è disperato, e morir vuole,
e, più
che può, che 'l suo morir s'occulti,
questo luogo
gli par molto nascosto,
ed atto a far
quant'ha di sé disposto.
92
Entra nel
folto bosco, ove più spesse
l'ombrose
frasche e più intricate vede;
ma Frontin
prima al tutto sciolto messe
da sé
lontano, e libertà gli diede.
- O mio
Frontin (gli disse), s'a me stesse
di dare a'
merti tuoi degna mercede,
avresti a
quel destrier da invidiar poco,
che
volò al cielo, e fra le stelle ha loco.
93
Cillaro, so,
non fu, non fu Arione
di te
miglior, né meritò più lode;
né alcun
altro destrier di cui menzione
fatta da'
Greci o da' Latini s'ode.
Se ti fur par
ne l'altre parti buone,
di questa so
ch'alcun di lor non gode,
di potersi
vantar ch'avuto mai
abbia il
pregio e l'onor che tu avuto hai;
94
poi ch'alla
più che mai sia stata o sia
donna gentile
e valorosa e bella
sì
caro stato sei, che ti nutria,
e di sua man
ti ponea freno e sella.
Caro eri alla
mia donna: ah perché mia
la
dirò più, se mia non è più quella?
s'io l'ho
donata ad altri? Ohimè! che cesso
di volger
questa spada ora in me stesso?
95
Se Ruggier
qui s'affligge e si tormenta,
e le fere e
gli augelli a pietà muove
(ch'altri non
è che questi gridi senta
né vegga il
pianto che nel sen gli piove),
non dovete
pensar che più contenta
Bradamante in
Parigi si ritrove,
poi che scusa
non ha che la difenda,
o più
l'indugi, che Leon non prenda.
96
Ella, prima
ch'avere altro consorte
che 'l suo
Ruggier, vuol far ciò che può farsi;
mancar del
detto suo; Carlo e la corte,
i parenti e
gli amici inimicarsi:
e quando
altro non possa, al fin la morte
o col veneno
o con la spada darsi;
che le par
meglio assai non esser viva,
che, vivendo,
restar di Ruggier priva.
97
- Deh,
Ruggier mio (dicea), dove sei gito?
Puote esser
che tu sia tanto discosto,
che tu non
abbi questo bando udito,
a nessun
altro, fuor ch'a te, nascosto?
Se tu 'l
sapesse, io so che comparito
nessun altro
saria di te più tosto.
Misera me!
ch'altro pensar mi deggio,
se non quel
che pensar si possa peggio?
98
Come
è, Ruggier, possibil che tu solo
non abbi quel
che tutto il mondo ha inteso?
Se inteso
l'hai, né sei venuto a volo,
come esser
può che non sii morto o preso?
Ma chi
sapesse il ver, questo figliuolo
di Costantin
t'avrà alcun laccio teso;
il traditor
t'avrà chiusa la via,
acciò
prima di lui tu qui non sia.
99
Da Carlo
impetrai grazia, ch'a nessuno
men di me
forte avessi ad esser data,
con credenza
che tu fossi quell'uno
a cui star
contra io non potessi armata.
Fuor che te
solo, io non stimava alcuno:
ma de
l'audacia mia m'ha Dio pagata;
poi che
costui che mai più non fe' impresa
d'onore in
vita sua, così m'ha presa.
100
Se
però presa son per non avere
uccider lui
né prenderlo potuto;
il che non mi
par giusto; né al parere
mai son per
star, ch'in questo ha Carlo avuto.
So
ch'incostante io mi farò tenere,
se da quel
c'ho già detto ora mi muto;
ma né la
prima son né la sezzaia,
la qual
paruta sia incostante, e paia.
101
Basti che nel
servar fede al mio amante,
d'ogni
scoglio più salda mi ritrovi,
e passi in
questo di gran lunga quante
mai furo ai
tempi antichi, o sieno ai nuovi.
Che nel resto
mi dichino incostante,
non curo, pur
che l'incostanza giovi:
pur ch'io non
sia di costui torre astretta,
volubil
più che foglia anco sia detta. -
102
Queste parole
ed altre, ch'interrotte
da sospiri e
da pianti erano spesso,
seguì
dicendo tutta quella notte
ch'all'infelice
giorno venne appresso.
Ma poi che
dentro alle cimerie grotte
con l'ombre
sue Notturno fu rimesso,
il ciel,
ch'eternamente avea voluto
farla di
Ruggier moglie, le diè aiuto.
103
Fe' la
mattina la donzella altiera
Marfisa
inanzi a Carlo comparire,
dicendo ch'al
fratel suo Ruggier era
fatto gran
torto, e nol volea patire,
che gli fosse
levata la mogliera,
né pure una
parola gliene dire:
e contra chi
si vuol di provar toglie,
che
Bradamante di Ruggiero è moglie.
104
E inanzi agli
altri, a lei provar lo vuole,
quando pur di
negarlo fosse ardita,
ch'in sua
presenza ella ha quelle parole
dette a
Ruggier, che fa chi si marita;
e con la
cerimonia che si suole,
già
sì tra lor la cosa è stabilita,
che
più di sé non possono disporre,
né l'un
l'altro lasciar, per altri torre.
105
Marfisa, o 'l
vero o 'l falso che dicesse,
pur lo dicea,
ben credo con pensiero,
perché Leon
più tosto interrompesse
a dritto e a
torto, che per dire il vero,
e che di
volontade lo facesse
di
Bradamante, che a riaver Ruggiero
ed escluder
Leon, né la più onesta
né la
più breve via vedea di questa.
106
Turbato il re
di questa cosa molto,
Bradamante
chiamar fa immantinente;
e quanto di
provar Marfisa ha tolto,
le fa sapere,
ed ecci Amon presente.
Tien
Bradamante chino a terra il volto,
e confusa non
niega né consente,
in guisa che
comprender di leggiero
si può
che Marfisa abbia detto il vero.
107
Piace a
Rinaldo, e piace a quel d'Anglante
tal cosa
udir, ch'esser potrà cagione
che 'l
parentado non andrà più inante,
che
già conchiuso aver credea Leone;
e pur Ruggier
la bella Bradamante
mal grado
avrà de l'ostinato Amone;
e potran
senza lite, e senza trarla
di man per
forza al padre, a Ruggier darla.
108
Che se tra
lor queste parole stanno,
la cosa
è ferma, e non andrà per terra,
così
atterràn quel che promesso gli hanno,
più
onestamente e senza nuova guerra.
- Questo
è (diceva Amon), questo è un inganno
contra me
ordito: ma 'l pensier vostro erra;
ch'ancor che
fosse ver quanto voi finto
tra voi
v'avete, io non son però vinto.
109
Che
prosupposto (che né ancor confesso,
né vo'
credere ancor) ch'abbia costei
scioccamente
a Ruggier così promesso,
come voi
dite, e Ruggiero abbia a lei;
quando e dove
fu questo? che più espresso,
più
chiaro e piano intenderlo vorrei.
Stato so che
non è, se non è stato
prima che
Ruggier fosse battezzato.
110
Ma se gli
è stato inanzi che cristiano
fosse
Ruggier, non vo' che me ne caglia;
ch'essendo
ella fedele, egli pagano,
non
crederò che 'l matrimonio vaglia.
Non si debbe
per questo essere invano
posto al
risco Leon de la battaglia;
né il nostro
imperator credo vogli anco
venir del
detto suo per questo manco.
111
Quel ch'or mi
dite, era da dirmi quando
era intera la
cosa, né ancor fatto
a prieghi
costei Carlo avea il bando
che qui Leone
alla battaglia ha tratto. -
Così
contra Rinaldo e contra Orlando
Amon dicea,
per rompere il contratto
fra quei duo
amanti; e Carlo stava a udire,
né per l'un
né per l'altro volea dire.
112
Come si
senton, s'austro o borea spira,
per l'alte
selve murmurar le fronde;
o come
soglion, s'Eolo s'adira
contra
Nettunno, al lito fremer l'onde:
così
un rumor che corre e che s'aggira,
e che per
tutta Francia si difonde,
di questo
dà da dire e da udir tanto,
ch'ogni altra
cosa è muta in ogni canto.
113
Chi parla per
Ruggier, chi per Leone;
ma la
più parte è con Ruggiero in lega:
son dieci e
più per un che n'abbia Amone.
L'imperator
né qua né là si piega;
ma la causa
rimette alla ragione,
ed al suo
parlamento la delega.
Or vien
Marfisa, poi ch'è diferito
lo
sponsalizio, e pon nuovo partito;
114
e dice: - Con
ciò sia ch'esser non possa
d'altri
costei, fin che 'l fratel mio vive;
se Leon la
vuol pur, suo ardire e possa
adopri
sì, che lui di vita prive:
e chi manda
di lor l'altro alla fossa,
senza rivale
al suo contento arrive. -
Tosto Carlo a
Leon fa intender questo,
come anco
intender gli avea fatto il resto.
115
Leon che,
quando seco il cavalliero
del liocorno
sia, si tien sicuro
di riportar
vittoria di Ruggiero,
né gli abbia
alcun assunto a parer duro;
non sappiendo
che l'abbia il dolor fiero
tratto nel
bosco solitario e oscuro,
ma che, per
tornar tosto, uno o due miglia
sia andato a
spasso, il mal partito piglia.
116
Ben se ne
pente in breve; che colui
del qual
più del dover si promettea,
non comparve
quel dì, né gli altri dui
che lo
seguir, né nuova se n'avea;
e tor questa
battaglia senza lui
contra
Ruggier, sicur non gli parea:
mandò,
per schivar dunque danno e scorno,
per trovar il
guerrier dal liocorno.
117
Per cittadi
mandò, ville e castella,
d'appresso e
da lontan, per ritrovarlo;
né contento
di questo, montò in sella
egli in
persona, e si pose a cercarlo.
Ma non
n'avrebbe avuto già novella,
né l'avria
avuta uom di quei di Carlo,
se non era
Melissa che fe' quanto
mi serbo a
farvi udir ne l'altro canto.
1
Or, se mi
mostra la mia carta il vero,
non è
lontano a discoprirsi il porto;
sì che
nel lito i voti scioglier spero
a chi nel mar
per tanta via m'ha scorto;
ove, o di non
tornar col legno intero,
o d'errar
sempre, ebbi già il viso smorto.
Ma mi par di
veder, ma veggo certo,
veggo la
terra, e veggo il lito aperto.
2
Sento venir
per allegrezza un tuono
che fremer
l'aria e rimbombar fa l'onde:
odo di
squille, odo di trombe un suono
che l'alto
popular grido confonde.
Or comincio a
discernere chi sono
questi che
empion del porto ambe le sponde.
Par che tutti
s'allegrino ch'io sia
venuto a fin
di così lunga via.
3
Oh di che
belle e sagge donne veggio,
oh di che
cavallieri il lito adorno!
Oh di
ch'amici, a chi in eterno deggio
per la
letizia c'han del mio ritorno!
Mamma e
Ginevra e l'altre da Correggio
veggo del
molo in su l'estremo corno:
Veronica da
Gambera è con loro,
sì
grata a Febo e al santo aonio coro.
4
Veggo
un'altra Genevra, pur uscita
del medesmo
sangue, e Iulia seco;
veggo
Ippolita Sforza, e la notrita
Damigella
rivulzia al sacro speco:
veggo te,
Emilia Pia, te, Margherita,
ch'Angela
Borgia e Graziosa hai teco.
Con Ricciarda
da Este ecco le belle
Bianca e
Diana, e l'altre lor sorelle.
5
Ecco la
bella, ma più saggia e onesta,
Barbara
Turca, e la compagna è Laura:
non vede il
sol di più bontà di questa
coppia da
l'Indo all'estrema onda maura.
Ecco Genevra
che la Malatesta
casa col suo
valor sì ingemma e inaura,
che mai
palagi imperiali o regi
non ebbon
più onorati e degni fregi.
6
S'a quella
etade ella in Arimino era,
quando
superbo de la Gallia doma
Cesar fu in
dubbio, s'oltre alla riviera
dovea
passando inimicarsi Roma;
crederò
che piegata ogni bandiera,
e scarca di
trofei la ricca soma,
tolto avria
leggi e patti a voglia d'essa,
né forse mai
la libertade oppressa.
7
Del mio
signor di Bozolo la moglie,
la madre, le
sirocchie e le cugine,
e le Torelle
con le Bentivoglie,
e le Visconte
e le Palavigine;
ecco qui a
quante oggi ne sono, toglie,
e a quante o
greche o barbere o latine
ne furon mai,
di quai la fama s'oda,
di grazia e
di beltà la prima loda,
8
Iulia
Gonzaga, che dovunque il piede
volge, e
dovunque i sereni occhi gira,
non pur
ogn'altra di beltà le cede,
ma, come
scesa dal ciel dea, l'ammira.
La cognata
è con lei, che di sua fede
non mosse
mai, perché l'avesse in ira
Fortuna che
le fe' lungo contrasto.
Ecco Anna
d'Aragon, luce del Vasto;
9
Anna, bella,
gentil, cortese e saggia,
di
castità, di fede e d'amor tempio.
La sorella
è con lei, ch'ove ne irraggia
l'alta
beltà, ne pate ogn'altra scempio.
Ecco chi
tolto ha da la scura spiaggia
di Stige, e
fa con non più visto esempio,
mal grado de
le Parche e de la Morte,
splender nel
ciel l'invitto suo consorte.
10
Le Ferrarese
mie qui sono, e quelle
de la corte
d'Urbino; e riconosco
quelle di
Mantua, e quante donne belle
ha Lombardia,
quante il paese tosco.
Il cavallier
che tra lor viene, e ch'elle
onoran
sì, s'io non ho l'occhio losco,
da la luce
offuscato de' bei volti,
è 'l
gran lume aretin, l'Unico Accolti.
11
Benedetto, il
nipote, ecco là veggio,
c'ha purpureo
il capel, purpureo il manto,
col cardinal
di Mantua e col Campeggio,
gloria e
splendor del consistorio santo:
e ciascun
d'essi noto (o ch'io vaneggio)
al viso e ai
gesti rallegrarsi tanto
del mio
ritorno, che non facil parmi
ch'io possa
mai di tanto obligo trarmi.
12
Con lor
Lattanzio e Claudio Tolomei,
e Paulo Pansa
e 'l Dresino e Latino
Iuvenal
parmi, e i Capilupi miei,
e 'l Sasso e
'l Molza e Florian Montino;
e quel che
per guidarci ai rivi ascrei
mostra piano
e più breve altro camino,
Iulio
Camillo; e par ch'anco io ci scerna,
Marco Antonio
Flaminio, il Sanga, il Berna.
13
Ecco
Alessandro, il mio signor, Farnese:
oh dotta
compagnia che seco mena!
Fedro,
Capella, Porzio, il bolognese
Filippo, il
Volterano, il Madalena,
Blosio,
Pierio, il Vida cremonese,
d'alta
facondia inessicabil vena,
e Lascari e
Mussuro e Navagero,
e Andrea
Marone e 'l monaco Severo.
14
Ecco altri
duo Alessandri in quel drappello,
dagli Orologi
l'un, l'altro il Guarino.
Ecco Mario
d'Olvito, ecco il flagello
de' principi,
il divin Pietro Aretino.
Duo Ieronimi
veggo, l'uno è quello
di Veritade,
e l'altro il Cittadino.
Veggo il
Mainardo, veggo il Leoniceno,
il
Pannizzato, e Celio e il Teocreno.
15
Là
Bernardo Capel, là veggo Pietro
Bembo, che 'l
puro e dolce idioma nostro,
levato fuor
del volgare uso tetro,
quale esser
dee, ci ha col suo esempio mostro.
Guasparro
Obizi è quel che gli vien dietro,
ch'ammira e
osserva il sì ben speso inchiostro.
Io veggo il
Fracastorio, il Bevazano,
Trifon Gabriele,
e il Tasso più lontano.
16
Veggo
Nicolò Tiepoli, e con esso
Nicolò
Amanio in me affissar le ciglia;
Anton Fulgoso
ch'a vedermi appresso
al lito
mostra gaudio e maraviglia.
Il mio
Valerio è quel che là s'è messo
fuor de le
donne; e forse si consiglia
col Barignan
c'ha seco, come, offeso
sempre da
lor, non ne sia sempre acceso.
17
Veggo sublimi
e soprumani ingegni
di sangue e
d'amor giunti, il Pico e il Pio.
Colui che con
lor viene, e da' più degni
ha tanto
onor, mai più non conobbi io;
ma, se me ne
fur dati veri segni,
è
l'uom che di veder tanto desio,
Iacobo
Sanazar, ch'alle Camene
lasciar fa i
monti ed abitar l'arene.
18
Ecco il
dotto, il fedele, il diligente
secretario
Pistofilo, ch'insieme
con gli
Acciaiuoli e con l'Angiar mio sente
piacer, che
più del mar per me non teme.
Annibal
Malaguzzo, il mio parente,
veggo con
l'Adoardo, che gran speme
mi dà,
ch'ancor del mio nativo nido
udir
farà da Calpe agli Indi il grido.
19
Fa Vittor
Fausto, fa il Tancredi festa
di rivedermi,
e la fanno altri cento.
Veggo le
donne e gli uomini di questa
mia ritornata
ognun parer contento.
Dunque, a
finir la breve via che resta,
non sia
più indugio, or ch'ho propizio il vento;
e torniamo a
Melissa, e con che aita
salvò,
diciamo, al buon Ruggier la vita.
20
Questa
Melissa, come so che detto
v'ho molte
volte, avea sommo desire
che
Bradamante con Ruggier di stretto
nodo s'avesse
in matrimonio a unire;
e d'ambi il
bene e il male avea sì a petto,
che d'ora in
ora ne volea sentire.
Per questo
spirti avea sempre per via,
che, quando
andava l'un, l'altro venìa.
21
In preda del
dolor tenace e forte
Ruggier tra
le scure ombre vide posto,
il qual di
non gustar d'alcuna sorte
mai
più vivanda fermo era e disposto,
e col digiun
si volea dar la morte:
ma fu l'aiuto
di Melissa tosto;
che, del suo
albergo uscita, la via tenne
ove in Leone
ad incontrar si venne:
22
il qual
mandato, l'uno a l'altro appresso,
sua gente
avea per tutti i luoghi intorno;
e poscia era
in persona andato anch'esso
per trovare
il guerrier dal liocorno.
La saggia
incantatrice, la qual messo
freno e sella
a uno spirto avea quel giorno,
e l'avea
sotto in forma di ronzino,
trovò
questo figliuol di Costantino.
23
- Se de
l'animo è tal la nobiltate,
qual fuor,
signor (diss'ella), il viso mostra;
se la
cortesia dentro e la bontade
ben
corrisponde alla presenza vostra,
qualche
conforto, qualche aiuto date
al miglior
cavallier de l'età nostra;
che s'aiuto
non ha tosto e conforto,
non è
molto lontano a restar morto.
24
Il miglior
cavallier, che spada a lato
e scudo in
braccio mai portassi o porti;
il più
bello e gentil ch'al mondo stato
mai sia di
quanti ne son vivi o morti,
sol per
un'alta cortesia c'ha usato,
sta per
morir, se non ha chi 'l conforti.
Per Dio,
signor, venite, e fate prova
s'allo suo
scampo alcun consiglio giova. -
25
Ne l'animo a
Leon subito cade
che 'l
cavallier di chi costei ragiona,
sia quel che
per trovar fa le contrade
cercare
intorno, e cerca egli in persona;
sì
ch'a lei dietro, che gli persuade
sì
pietosa opra, in molta fretta sprona:
la qual lo
trasse (e non fer gran camino)
ove alla
morte era Ruggier vicino.
26
Lo ritrovar
che senza cibo stato
era tre
giorni, e in modo lasso e vinto,
ch'in
piè a fatica si saria levato,
per ricader,
se ben non fosse spinto.
Giacea
disteso in terra tutto armato,
con l'elmo in
testa, e de la spada cinto;
e guancial de
lo scudo s'avea fatto,
in che 'l
bianco liocorno era ritratto.
27
Quivi
pensando quanta ingiuria egli abbia
fatto alla
donna, e quanto ingrato e quanto
isconoscente
le sia stato, arrabbia,
non pur si
duole; e se n'affligge tanto,
che si morde
le man, morde le labbia,
sparge le
guance di continuo pianto;
e per la
fantasia che v'ha sì fissa,
né Leon venir
sente né Melissa;
28
né per questo
interrompe il suo lamento,
né cessano i
sospir, né il pianto cessa.
Leon si
ferma, e sta ad udire intento;
poi smonta
del cavallo, e se gli appressa.
Amore esser
cagion di quel tormento
conosce ben;
ma la persona espressa
non gli
è, per cui sostien tanto martire;
ch'anco
Ruggier non glie l'ha fatto udire.
29
Più
inanzi, e poi più inanzi i passi muta,
tanto che se
gli accosta a faccia a faccia;
e con
fraterno affetto lo saluta,
e se gli
china a lato, e al collo abbraccia.
Io non so
quanto ben questa venuta
di Leone
improvisa a Ruggier piaccia;
che teme che
lo turbi e gli dia noia,
e se gli
voglia oppor, perché non muoia.
30
Leon con le
più dolci e più soavi
parole che sa
dir, con quel più amore
che
può mostrar, gli dice: - Non ti gravi
d'aprirmi la
cagion del tuo dolore;
che pochi
mali al mondo son sì pravi,
che l'uomo
trar non se ne possa fuore,
se la cagion
si sa; né debbe privo
di speranza
esser mai, fin che sia vivo.
31
Ben mi duol
che celar t'abbi voluto
da me, che sai
s'io ti son vero amico,
non sol dipoi
ch'io ti son sì tenuto,
che mai dal
nodo tuo non mi districo,
ma fin allora
ch'avrei causa avuto
d'esserti
sempre capital nimico;
e dèi
sperar ch'io sia per darti aita
con l'aver,
con gli amici e con la vita.
32
Di meco
conferir non ti rincresca
il tuo
dolore, e lasciami far prova,
se forza, se
lusinga, acciò tu n'esca,
se gran
tesor, s'arte, s'astuzia giova.
Poi, quando
l'opra mia non ti riesca,
la morte sia
ch'al fin te ne rimuova:
ma non voler
venir prima a quest'atto,
che
ciò che si può far, non abbi fatto. -
33
E
seguitò con sì efficaci prieghi,
e con parlar
sì umano e sì benigno,
che non
può far Ruggier che non si pieghi;
che né di
ferro ha il cor né di macigno,
e vede,
quando la risposta nieghi,
che
farà discortese atto e maligno.
Risponde; ma
due volte o tre s'incocca
prima il
parlar, ch'uscir voglia di bocca.
34
- Signor mio
(disse al fin), quando saprai
colui ch'io
son (che son per dirtel ora),
mi rendo
certo che di me sarai
non men
contento, e forse più, ch'io muora.
Sappi ch'io
son colui che sì in odio hai:
io son
Ruggier ch'ebbi te in odio ancora;
e che con
intenzion di porti a morte,
già
son più giorni, usci' di questa corte;
35
acciò
per te non mi vedessi tolta
Bradamante,
sentendo esser d'Amone
la voluntade
a tuo favor rivolta.
Ma perché
ordina l'uomo, e Dio dispone,
venne il
bisogno ove mi fe' la molta
tua cortesia
mutar d'opinione;
e non pur
l'odio ch'io t'avea, deposi,
ma fe'
ch'esser tuo sempre io mi disposi.
36
Tu mi
pregasti, non sapendo ch'io
fossi
Ruggier, ch'io ti facessi avere
la donna;
ch'altretanto saria il mio
cor fuor del
corpo, o l'anima volere.
Se sodisfar
più tosto al tuo disio,
ch'al mio, ho
voluto, t'ho fatto vedere.
Tua fatta
è Bradamante; abbila in pace:
molto
più che 'l mio bene, il tuo mi piace.
37
Piaccia a te
ancora, se privo di lei
mi son,
ch'insieme io sia di vita privo;
che
più tosto senz'anima potrei,
che senza
Bradamante restar vivo.
Appresso, per
averla tu non sei
mai
legitimamente, fin ch'io vivo:
che tra noi
sposalizio è già contratto,
né duo mariti
ella può avere a un tratto. -
38
Riman Leon
sì pien di maraviglia,
quando
Ruggiero esser costui gli è noto,
che senza
muover bocca o batter ciglia
o mutar
piè, come una statua, è immoto:
a statua,
più ch'ad uomo, s'assimiglia,
che ne le
chiese alcun metta per voto.
Ben sì
gran cortesia questa gli pare,
che non ha
avuto e non avrà mai pare.
39
E conosciutol
per Ruggier, non solo
non scema il
ben che gli voleva pria;
ma sì
l'accresce, che non men del duolo
di Ruggiero
egli, che Ruggier, patia.
Per questo, e
per mostrarsi che figliuolo
d'imperator
meritamente sia,
non vuol, se
ben nel resto a Ruggier cede,
ch'in
cortesia gli metta inanzi il piede.
40
E dice: - Se
quel dì, Ruggier, ch'offeso
fu il campo
mio dal valor tuo stupendo,
ancor ch'io
t'avea in odio, avessi inteso
che tu fossi
Ruggier, come ora intendo;
così
la tua virtù m'avrebbe preso,
come fece
anco allor, non lo sapendo;
e così
spinto dal cor l'odio, e tosto
questo amor
ch'io ti porto, v'avria posto.
41
Che prima il
nome di Ruggiero odiassi,
ch'io sapessi
che tu fosse Ruggiero,
non
negherò: ma ch'or più inanzi passi
l'odio ch'io
t'ebbi, t'esca del pensiero.
E se, quando
di carcere io ti trassi,
n'avesse,
come or n'ho, saputo il vero;
il medesimo
avrei fatto anco allora,
ch'a
benefizio tuo son per far ora.
42
E s'allor
volentier fatto l'avrei,
ch'io non
t'era, come or sono, obligato;
quant'or
più farlo debbo, che sarei,
non lo
facendo, il più d'ogn'altro ingrato;
poi che
negando il tuo voler, ti sei
privo d'ogni
tuo bene, e a me l'hai dato.
Ma te lo
rendo, e più contento sono
renderlo a
te, ch'aver io avuto il dono.
43
Molto
più a te, ch'a me, costei conviensi,
la qual, ben
ch'io per li suoi merit'ami,
non è
però, s'altri l'avrà, ch'io pensi,
come tu, al
viver mio romper li stami.
Non vo' che
la tua morte mi dispensi,
che possi,
sciolto ch'ella avrà i legami
che son del
matrimonio ora fra voi,
per legitima
moglie averla io poi.
44
Non che di
lei, ma restar privo voglio
di ciò
c'ho al mondo, e de la vita appresso,
prima che
s'oda mai ch'abbia cordoglio
per mia
cagion tal cavalliero oppresso.
De la tua
difidenza ben mi doglio;
che tu che
puoi, non men che di te stesso,
di me dispor,
più tosto abbi voluto
morir di
duol, che da me avere aiuto. -
45
Queste parole
ed altre suggiungendo,
che tutte
saria lungo riferire,
e sempre le
ragion redarguendo,
ch'in
contrario Ruggier gli potea dire;
fe' tanto,
ch'al fin disse: - Io mi ti rendo,
e contento
sarò di non morire.
Ma quando ti
sciorrò l'obligo mai,
ché due volte
la vita dato m'hai? -
46
Cibo soave e
precioso vino
Melissa ivi
portar fece in un tratto;
e
confortò Ruggier, ch'era vicino,
non
s'aiutando, a rimaner disfatto.
Sentito in
questo tempo avea Frontino
cavalli
quivi, e v'era accorso ratto.
Leon pigliar
da li scudieri suoi
lo fe' e
sellare, ed a Ruggier dar poi;
47
il qual con
gran fatica, ancor ch'aiuto
avesse da
Leon, sopra vi salse:
così
quel vigor manco era venuto,
che pochi
giorni inanzi in modo valse,
che vincer
tutto un campo avea potuto,
e far quel
che fe' poi con l'arme false.
Quindi
partiti, giunser, che più via
non fer di
mezza lega, a una badia:
48
ove posaro il
resto di quel giorno,
e l'altro
appresso, e l'altro tutto intero,
tanto che 'l
cavallier dal liocorno
tornato fu
nel suo vigor primiero.
Poi con
Melissa e con Leon ritorno
alla
città real fece Ruggiero,
e vi
trovò che la passata sera
l'imbasciaria
de' Bulgari giunt'era.
49
Che quella
nazion, la qual s'avea
Ruggiero
eletto re, quivi a chiamarlo
mandava
questi suoi, che si credea
d'averlo in
Francia appresso al magno Carlo:
perché
giurargli fedeltà volea,
e dar di sé
dominio, e coronarlo.
Lo scudier di
Ruggier, che si ritrova
con questa
gente, ha di lui dato nuova.
50
De la
battaglia ha detto, ch'in favore
de' Bulgari a
Belgrado egli avea fatta,
ove Leon col
padre imperatore
vinto, e sua
gente avea morta e disfatta;
e per questo
l'avean fatto signore,
messo da
parte ogni uomo di sua schiatta:
e come a
Novengrado era poi stato
preso da
Ungiardo, e a Teodora dato:
51
e che venuta
era la nuova certa,
che 'l suo
guardian s'era trovato ucciso,
e lui
fuggito, e la prigione aperta:
che poi ne
fosse, non v'era altro avviso.
Entrò
Ruggier per via molto coperta
ne la
città, né fu veduto in viso.
La seguente
mattina egli e 'l compagno
Leone
appresentossi a Carlo Magno.
52
S'appresentò
Ruggier con l'augel d'oro
che nel campo
vermiglio avea due teste,
e come
disegnato era fra loro,
con le medesme
insegne e sopraveste
che, come
dianzi ne la pugna foro,
eran tagliate
ancor, forate e peste;
sì che
tosto per quel fu conosciuto,
ch'avea con
Bradamante combattuto.
53
Con ricche
vesti e regalmente ornato
Leon
senz'arme a par con lui venìa;
e dinanzi e
di dietro e d'ogni lato
avea onorata
e degna compagnia.
A Carlo
s'inchinò, che già levato
se gli era
incontra; e avendo tuttavia
Ruggier per
man, nel qual intente e fisse
ognuno avea
le luci, così disse:
54
- Questo
è il buon cavalliero il qual difeso
s'è
dal nascer del giorno al giorno estinto;
e poi che
Bradamante o morto o preso
o fuor non
l'ha de lo steccato spinto,
magnanimo
signor, se bene inteso
ha il vostro
bando, è certo d'aver vinto,
e d'aver lei
per moglie guadagnata;
e così
viene, acciò che gli sia data.
55
Oltre che di
ragion, per lo tenore
del bando,
non v'ha altr'uom da far disegno:
se s'ha da
meritarla per valore,
qual
cavallier più di costui n'è degno?
s'aver la dee
chi più le porta amore,
non è
chi 'l passi o ch'arrivi al suo segno.
Ed è
qui presto contra a chi s'oppone,
per difender
con l'arme sua ragione. -
56
Carlo e tutta
la corte stupefatta,
questo
udendo, restò; ch'avea creduto
che Leon la
battaglia avesse fatta,
non questo
cavallier non conosciuto.
Marfisa, che
con gli altri quivi tratta
s'era ad
udire, e ch'a pena potuto
avea tacer
fin che Leon finisse
il suo
parlar, si fece inanzi e disse:
57
- Poi che non
c'è Ruggier, che la contesa
de la moglier
fra sé e costui discioglia;
acciò
per mancamento di difesa
così
senza rumor non se gli toglia,
io che gli
son sorella, questa impresa
piglio contra
a ciascun, sia chi si voglia,
che dica aver
ragione in Bradamante,
o di merto a
Ruggiero andare inante. -
58
E con
tant'ira e tanto sdegno espresse
questo
parlar, che molti ebber sospetto,
che senza
attender Carlo che le desse
campo, ella
avesse a far quivi l'effetto.
Or non parve
a Leon che più dovesse
Ruggier
celarsi, e gli cavò l'elmetto;
e rivolto a
Marfisa: - Ecco lui pronto
a rendervi di
sé (disse) buon conto. -
59
Quale il
canuto Egeo rimase, quando
si fu alla
mensa scelerata accorto,
che quello
era il suo figlio, al quale, instando
l'iniqua
moglie, avea il veneno porto;
e poco
più che fosse ito indugiando
di conoscer
la spada, l'avria morto:
tal fu
Marfisa, quando il cavalliero
ch'odiato
avea, conobbe esser Ruggiero.
60
E corse senza
indugio ad abbracciarlo,
né dispiccar
se gli sapea dal collo.
Rinaldo,
Orlando, e di lor prima Carlo
di qua e di
là con grand'amor baciollo.
Né Dudon né
Olivier d'accarezzarlo,
né 'l re
Sobrin si può veder satollo.
Dei paladini
e dei baron nessuno
di far festa
a Ruggier restò digiuno.
61
Leone, il
qual sapea molto ben dire,
finiti che si
fur gli abbracciamenti,
cominciò
inanzi a Carlo a riferire,
udendo tutti
quei ch'eran presenti,
come la
gagliardia, come l'ardire
(ancor che
con gran danno di sue genti)
di Ruggier,
ch'a Belgrado avea veduto,
più
d'ogni offesa avea di sé potuto;
62
sì
ch'essendo di poi preso e condutto
a colei
ch'ogni strazio n'avria fatto,
di prigione
egli, mal grado di tutto
il parentado
suo, l'aveva tratto;
e come il
buon Ruggier, per render frutto
e mercede a
Leon del suo riscatto,
fe' l'alta
cortesia che sempre a quante
ne furo o
saran mai, passarà inante.
63
E seguendo
narrò di punto in punto
ciò
che per lui fatto Ruggiero avea;
e come poi da
gran dolor compunto,
che di
lasciar la moglie gli premea,
s'era
disposto di morire; e giunto
v'era vicin,
se non si soccorrea.
E con
sì dolci affetti il tutto espresse,
che quivi
occhio non fu ch'asciutto stesse.
64
Rivolse poi
con sì efficaci preghi
le sue parole
all'ostinato Amone,
che non sol
che lo muova, che lo pieghi,
che lo faccia
mutar d'opinione;
ma fa ch'egli
in persona andar non nieghi
a supplicar
Ruggier che gli perdone,
e per padre e
per suocero l'accette;
e così
Bradamante gli promette.
65
A cui
là dove, de la vita in forse,
piangea i
suoi casi in camera segreta,
con lieti
gridi in molta fretta corse
per
più d'un messo la novella lieta:
onde il
sangue ch'al cor, quando lo morse
prima il
dolor, fu tratto da la pieta,
a questo
annunzio il lasciò solo in guisa,
che quasi il
gaudio ha la donzella uccisa.
66
Ella riman
d'ogni vigor sì vota,
che di
tenersi in piè non ha balìa;
ben che di
quella forza ch'esser nota
vi debbe, e
di quel grande animo sia.
Non
più di lei, chi a ceppo, a laccio, a ruota
sia
condannato o ad altra morte ria,
e che
già agli occhi abbia la benda negra,
gridar
sentendo grazia, si rallegra.
67
Si rallegra
Mongrana e Chiaramonte,
di nuovo nodo
i dui raggiunti rami:
altretanto si
duol Gano col conte
Anselmo, e
con Falcon Gini e Ginami;
ma pur
coprendo sotto un'altra fronte
van lor
pensieri invidiosi e grami;
e occasione
attendon di vendetta,
come la volpe
al varco il lepre aspetta.
68
Oltre che
già Rinaldo e Orlando ucciso
molti in
più volte avean di quei malvagi;
ben che
l'ingiurie fur con saggio avviso
dal re
acchetate, ed i commun disagi;
avea di nuovo
lor levato il riso
l'ucciso
Pinabello e Bertolagi:
ma pur la
fellonia tenean coperta,
dissimulando
aver la cosa certa.
69
Gli
imbasciatori bulgari che in corte
di Carlo eran
venuti, come ho detto,
con speme di
trovare il guerrier forte
del liocorno,
al regno loro eletto;
sentendol
quivi, chiamar buona sorte
la lor, che
dato avea alla speme effetto;
e riverenti
ai piè se gli gittaro,
e che
tornassi in Bulgheria il pregaro;
70
ove in
Adrianopoli servato
gli era lo
scettro e la real corona:
ma venga egli
a difendersi lo stato;
ch'a danni
lor di nuovo si ragiona
che
più numer di gente apparecchiato
ha
Costantino, e torna anco in persona:
ed essi, se
'l suo re ponno aver seco,
speran di
torre a lui l'imperio greco.
71
Ruggiero
accettò il regno, e non contese
ai preghi
loro, e in Bulgheria promesse
di ritrovarsi
dopo il terzo mese,
quando
Fortuna altro di lui non fêsse.
Leone Augusto
che la cosa intese,
disse a
Ruggier, ch'alla sua fede stesse,
che, poi
ch'egli de' Bulgari ha il domìno,
la pace
è tra lor fatta e Costantino:
72
né da partir
di Francia s'avrà in fretta,
per esser
capitan de le sue squadre;
che d'ogni
terra ch'abbiano suggetta,
far la
rinunzia gli farà dal padre.
Non è
virtù che di Ruggier sia detta,
ch'a muover
sì l'ambiziosa madre
di
Bradamante, e far che 'l genero ami,
vaglia, come
ora udir, che re si chiami.
73
Fansi le
nozze splendide e reali,
convenienti a
chi cura ne piglia:
Carlo ne
piglia cura, e le fa quali
farebbe,
maritando una sua figlia.
I merti de la
donna erano tali,
oltre a
quelli di tutta sua famiglia,
ch'a quel
signor non parria uscir del segno,
se spendesse
per lei mezzo il suo regno.
74
Libera corte
fa bandire intorno,
ove sicuro
ognun possa venire;
e campo
franco sin al nono giorno
concede a chi
contese ha da partire.
Fe' alla
campagna l'apparato adorno
di rami
intesti e di bei fiori ordire,
d'oro e di
seta poi, tanto giocondo,
che 'l
più bel luogo mai non fu nel mondo.
75
Dentro a
Parigi non sariano state
l'innumerabil
genti peregrine,
povare e
ricche e d'ogni qualitate,
che v'eran,
greche, barbare e latine.
Tanti
signori, e imbascierie mandate
di tutto 'l
mondo, non aveano fine:
erano in
padiglion, tende e frascati
con gran
commodità tutti alloggiati.
76
Con
eccellente e singulare ornato
la notte
inanzi avea Melissa maga
il maritale
albergo apparecchiato,
di ch'era
stata già gran tempo vaga.
Già
molto tempo inanzi desiato
questa copula
avea quella presaga:
de l'avvenir
presaga, sapea quanta
bontade uscir
dovea da la lor pianta.
77
Posto avea il
genial letto fecondo
in mezzo un
padiglione amplo e capace,
il più
ricco, il più ornato, il più giocondo
che
già mai fosse o per guerra o per pace,
o prima o
dopo, teso in tutto 'l mondo;
e tolto ella
l'avea dal lito trace:
l'avea di
sopra a Costantin levato,
ch'a diporto
sul mar s'era attendato.
78
Melissa di
consenso di Leone,
o più
tosto per dargli maraviglia,
e mostrargli
de l'arte paragone,
ch'al gran
vermo infernal mette la briglia,
e che di lui,
come a lei par, dispone,
e de la a Dio
nimica empia famiglia;
fe' da
Costantinopoli a Parigi
portare il
padiglion dai messi stigi.
79
Di sopra a
Costantin ch'avea l'impero
di Grecia, lo
levò da mezzo giorno,
con le corde
e col fusto, e con l'intero
guernimento
ch'avea dentro e d'intorno:
lo fe' portar
per l'aria, e di Ruggiero
quivi lo fece
alloggiamento adorno.
Poi, finite
le nozze, anco tornollo
miraculosamente
onde levollo.
80
Eran degli
anni appresso che duo milia
che fu quel
ricco padiglion trapunto.
Una donzella
de la terra d'Ilia,
ch'avea il
furor profetico congiunto,
con studio di
gran tempo e con vigilia
lo fece di
sua man di tutto punto.
Cassandra fu
nomata, ed al fratello
inclito
Ettòr fece un bel don di quello.
81
Il più
cortese cavallier che mai
dovea del
ceppo uscir del suo germano
(ben che
sapea, da la radice assai
che quel per
molti rami era lontano)
ritratto avea
nei bei ricami gai
d'oro e di
varia seta, di sua mano.
L'ebbe,
mentre che visse, Ettorre in pregio
per chi lo
fece, e pel lavoro egregio.
82
Ma poi ch'a
tradimento ebbe la morte,
e fu 'l popul
troian da' Greci afflitto;
che Sinon
falso aperse lor le porte,
e peggio
seguitò, che non è scritto;
Menelao ebbe
il padiglione in sorte,
col quale a
capitar venne in Egitto,
ove al re
Proteo lo lasciò, se volse
la moglie
aver, che quel tiran gli tolse.
83
Elena
nominata era colei
per cui lo
padiglione a Proteo diede;
che poi
successe in man de' Tolomei,
tanto che
Cleopatra ne fu erede.
Da le genti
d'Agrippa tolto a lei
nel mar
Leucadio fu con altre prede:
in man
d'Augusto e di Tiberio venne,
e in Roma sin
a Costantin si tenne;
84
quel
Costantin di cui doler si debbe
la bella
Italia, fin che gir il cielo.
Costantin,
poi che 'l Tevero gl'increbbe,
portò
in Bisanzio il prezioso velo:
da un altro
Costantin Melissa l'ebbe.
Oro le corde,
avorio era lo stelo;
tutto
trapunto con figure belle,
più
che mai con pennel facesse Apelle.
85
Quivi le
Grazie in abito giocondo
una regina
aiutavano al parto:
sì
bello infante n'apparia, che 'l mondo
non ebbe un
tal dal secol primo al quarto.
Vedeasi Iove,
e Mercurio facondo,
Venere e
Marte, che l'avevano sparto
a man piene e
spargean d'eterei fiori,
di dolce
ambrosia e di celesti odori.
86
Ippolito
diceva una scrittura
sopra le
fasce in lettere minute.
In età
poi più ferma l'Aventura
l'avea per
mano, e inanzi era Virtute.
Mostrava nove
genti la pittura
con veste e
chiome lunghe, che venute
a domandar la
parte di Corvino
erano al
padre il tenero bambino.
87
Da Ercole
partirsi riverente
si vede, e da
la madre Leonora;
e venir sul
Danubio, ove la gente
corre a
vederlo, e come un Dio l'adora.
Vedesi il re
degli Ungari prudente,
che 'l maturo
sapere ammira e onora
in non matura
età tenera e molle,
e sopra tutti
i suoi baron l'estolle.
88
V'è
che negli infantili e teneri anni
lo scettro di
Strigonia in man gli pone:
sempre il
fanciullo se gli vede a' panni,
sia nel
palagio, sia nel padiglione:
o contra
Turchi, o contra gli Alemanni
quel re
possente faccia espedizione,
Ippolito gli
è appresso, e fiso attende
a' magnanimi
gesti, e virtù apprende.
89
Quivi si
vede, come il fior dispensi
de' suoi
primi anni in disciplina ed arte.
Fusco gli
è appresso, che gli occulti sensi
chiari gli
espone de l'antiche carte.
- Questo
schivar, questo seguir conviensi,
se immortal
brami e glorioso farte, -
par che gli
dica: così avea ben finti
i gesti lor
chi già gli avea dipinti.
90
Poi cardinale
appar, ma giovinetto,
sedere in
Vaticano a consistoro,
e con
facondia aprir l'alto intelletto,
e far di sé
stupir tutto quel coro.
- Qual fia
dunque costui d'età perfetto?
(parean con
maraviglia dir tra loro).
Oh se di
Pietro mai gli tocca il manto,
che fortunata
età! che secol santo! -
91
In altra
parte i liberali spassi
erano e i
giuochi del giovene illustre.
Or gli orsi
affronta sugli alpini sassi,
ora i
cingiali in valle ima e palustre:
or s'un
gianetto par che 'l vento passi,
seguendo o
caprio o cerva multilustre,
che giunta
par che bipartita cada
in parti
uguali a un sol colpo di spada.
92
Di filosofi
altrove e di poeti
si vede in
mezzo un'onorata squadra.
Quel gli
dipinge il corso de' pianeti,
questi la
terra, quello il ciel gli squadra:
questi meste
elegie, quel versi lieti,
quel canta
eroici, o qualche oda leggiadra.
Musici
ascolta, e vari suoni altrove;
né senza
somma grazia un passo muove.
93
In questa
prima parte era dipinta
del sublime
garzon la puerizia.
Cassandra
l'altra avea tutta distinta
di gesti di
prudenza, di iustizia,
di valor, di
modestia, e de la quinta
che tien con
lor strettissima amicizia,
dico de la
virtù che dona e spende;
de le qual
tutte illuminato splende.
94
In questa
parte il giovene si vede
col duca
sfortunato degl'Insubri,
ch'ora in
pace a consiglio con lui siede,
or armato con
lui spiega i colubri;
e sempre par
d'una medesma fede,
o ne' felici
tempi o nei lugubri:
ne la fuga lo
segue, lo conforta
ne
l'afflizion, gli è nel periglio scorta.
95
Si vede
altrove a gran pensieri intento
per salute
d'Alfonso e di Ferrara;
che va
cercando per strano argumento,
e trova, e fa
veder per cosa chiara
al giustissimo
frate il tradimento
che gli usa
la famiglia sua più cara:
e per questo
si fa del nome erede,
che Roma a
Ciceron libera diede.
96
Vedesi
altrove in arme relucente,
ch'ad aiutar
la Chiesa in fretta corre;
e con
tumultuaria e poca gente
a un esercito
istrutto si va opporre;
e solo il
ritrovarsi egli presente
tanto agli
Ecclesiastici soccorre,
che 'l fuoco
estingue pria ch'arder comince:
sì che
può dir, che viene e vede e vince.
97
Vedesi
altrove da la patria riva
pugnar
incontra la più forte armata,
che contra
Turchi o contra gente argiva
da' Veneziani
mai fosse mandata:
la rompe e
vince, ed al fratel captiva
con la gran
preda l'ha tutta donata;
né per sé
vedi altro serbarsi lui,
che l'onor
sol, che non può dare altrui.
98
Le donne e i
cavallier mirano fisi,
senza trarne
costrutto, le figure;
perché non
hanno appresso che gli avvisi
che tutte
quelle sien cose future.
Prendon
piacere a riguardare i visi
belli e ben
fatti, e legger le scritture.
Sol
Bradamante da Melissa istrutta
gode tra sé;
che sa l'istoria tutta.
99
Ruggiero,
ancor ch'a par di Bradamante
non ne sia
dotto, pur gli torna a mente
che fra i
nipoti suoi gli solea Atlante
commendar
questo Ippolito sovente.
Chi potria in
versi a pieno dir le tante
cortesie che
fa Carlo ad ogni gente?
Di vari
giochi è sempre festa grande,
e la mensa
ognor piena di vivande.
100
Vedesi quivi
chi è buon cavalliero;
che vi son
mille lance il giorno rotte:
fansi
battaglie a piedi e a destriero,
altre
accoppiate, altre confuse in frotte.
Più
degli altri valor mostra Ruggiero,
che vince
sempre, e giostra il dì e la notte;
e così
in danza, in lotta ed in ogni opra
sempre con
molto onor resta di sopra.
101
L'ultimo
dì, ne l'ora che 'l solenne
convito era a
gran festa incominciato;
che Carlo a
man sinistra Ruggier tenne,
e Bradamante
avea dal destro lato;
di verso la
campagna in fretta venne
contra le
mense un cavalliero armato,
tutto coperto
egli e 'l destrier di nero,
di gran
persona, e di sembiante altiero.
102
Quest'era il
re d'Algier, che per lo scorno
che gli fe'
sopra il ponte la donzella,
giurato avea
di non porsi arme intorno,
né stringer
spada, né montare in sella,
fin che non
fosse un anno, un mese e un giorno
stato, come
eremita, entro una cella.
Così a
quel tempo solean per se stessi
punirsi i
cavallier di tali eccessi.
103
Se ben di
Carlo in questo mezzo intese
e del re suo
signore ogni successo;
per non
disdirsi, non più l'arme prese,
che se non
pertenesse il fatto ad esso.
Ma poi che
tutto l'anno e tutto 'l mese
vede finito,
e tutto 'l giorno appresso
con nuove
arme e cavallo e spada e lancia
alla corte or
ne vien quivi in Francia.
104
Senza
smontar, senza chinar la testa,
e senza segno
alcun di riverenza,
mostra Carlo
sprezzar con la sua gesta,
e de tanti
signor l'alta presenza.
Maraviglioso
e attonito ognun resta,
che si pigli
costui tanta licenza.
Lasciano i
cibi e lascian le parole
per ascoltar
ciò che 'l guerrier dir vuole.
105
Poi che fu a
Carlo ed a Ruggiero a fronte,
con alta voce
ed orgoglioso grido:
- Son (disse)
il re di Sarza, Rodomonte,
che te,
Ruggiero, alla battaglia sfido;
e qui ti vo',
prima che 'l sol tramonte,
provar ch'al
tuo signor sei stato infido;
e che non
merti, che sei traditore,
fra questi
cavallieri alcun onore.
106
Ben che tua
fellonia si vegga aperta,
perché
essendo cristian non pòi negarla;
pur per farla
apparere anco più certa,
in questo
campo vengoti a provarla:
e se persona
hai qui che faccia offerta
di combatter
per te, voglio accettarla.
Se non basta
una, e quattro e sei n'accetto;
e a tutte
manterrò quel ch'io t'ho detto. -
107
Ruggiero a
quel parlar ritto levosse,
e con licenza
rispose di Carlo,
che mentiva
egli, e qualunqu'altro fosse,
che traditor
volesse nominarlo;
che sempre
col suo re così portosse,
che
giustamente alcun non può biasmarlo;
e ch'era
apparecchiato sostenere
che verso lui
fe' sempre il suo dovere:
108
e ch'a
difender la sua causa era atto,
senza torre
in aiuto suo veruno;
e che sperava
di mostrargli in fatto,
ch'assai
n'avrebbe e forse troppo d'uno.
Quivi
Rinaldo, quivi Orlando tratto,
quivi il
marchese, e 'l figlio bianco e 'l bruno,
Dudon,
Marfisa, contra il pagan fiero
s'eran per la
difesa di Ruggiero;
109
mostrando
ch'essendo egli nuovo sposo,
non dovea conturbar
le proprie nozze.
Ruggier
rispose lor: - State in riposo;
che per me
fôran queste scuse sozze. -
L'arme che
tolse al Tartaro famoso,
vennero, e
fur tutte le lunghe mozze.
Gli sproni il
conte Orlando a Ruggier strinse,
e Carlo al
fianco la spada gli cinse.
110
Bradamante e
Marfisa la corazza
posta gli
aveano, e tutto l'altro arnese.
Tenne Astolfo
il destrier di buona razza,
tenne la
staffa il figlio del Danese.
Feron
d'intorno far subito piazza
Rinaldo, Namo
ed Olivier marchese:
cacciaro in
fretta ognun de lo steccato
a tal bisogni
sempre apparecchiato.
111
Donne e
donzelle con pallida faccia
timide a
guisa di columbe stanno,
che da'
granosi paschi ai nidi caccia
rabbia de'
venti che fremendo vanno
con tuoni e
lampi, e 'l nero aer minaccia
grandine e
pioggia, e a' campi strage e danno:
timide stanno
per Ruggier; che male
a quel fiero
pagan lor parea uguale.
112
Così a
tutta la plebe e alla più parte
dei
cavallieri e dei baron parea;
che di
memoria ancor lor non si parte
quel ch'in
Parigi il pagan fatto avea;
che, solo, a
ferro e a fuoco una gran parte
n'avea
distrutta, e ancor vi rimanea,
e
rimarrà per molti giorni il segno:
né maggior
danno altronde ebbe quel regno.
113
Tremava,
più ch'a tutti gli altri, il core
a Bradamante;
non ch'ella credesse
che 'l
Saracin di forza, e del valore
che vien dal
cor, più di Ruggier potesse;
né che
ragion, che spesso dà l'onore
a chi l'ha
seco, Rodomonte avesse:
pur stare
ella non può senza sospetto;
che di
temere, amando, ha degno effetto.
114
Oh quanto
volentier sopra sé tolta
l'impresa
avria di quella pugna incerta,
ancor che
rimaner di vita sciolta
per quella
fosse stata più che certa!
Avria eletto
a morir più d'una volta,
se può
più d'una morte esser sofferta,
più
tosto che patir che 'l suo consorte
si ponesse a
pericol de la morte.
115
Ma non sa
ritrovar priego che vaglia,
perché
Ruggiero a lei l'impresa lassi.
A riguardare
adunque la battaglia
con mesto
viso e cor trepido stassi.
Quinci
Ruggier, quindi il pagan si scaglia,
e vengonsi a
trovar coi ferri bassi.
Le lance
all'incontrar parver di gielo;
i tronchi,
augelli a salir verso il cielo.
116
La lancia del
pagan, che venne a corre
lo scudo a
mezzo, fe' debole effetto:
tanto
l'acciar, che pel famoso Ettorre
temprato avea
Vulcano, era perfetto.
Ruggier la
lancia parimente a porre
gli
andò allo scudo, e gliele passò netto;
tutto che
fosse appresso un palmo grosso,
dentro e di
fuor d'acciaro, e in mezzo d'osso.
117
E se non che
la lancia non sostenne
il grave scontro,
e mancò al primo assalto,
e rotta in
schegge e in tronchi aver le penne
parve per
l'aria, tanto volò in alto;
l'osbergo
aprìa (si furiosa venne),
se fosse
stato adamantino smalto,
e
finìa la battaglia; ma si roppe:
posero in
terra ambi i destrier le groppe.
118
Con briglia e
sproni i cavallieri instando,
risalir feron
subito i destrieri;
e donde
gittar l'aste, preso il brando,
si tornato a
ferir crudeli e fieri:
di qua di
là con maestria girando
gli animosi
cavalli atti e leggieri,
con le
pungenti spade incominciaro
a tentar dove
il ferro era più raro.
119
Non si
trovò lo scoglio del serpente,
che fu
sì duro, al petto Rodomonte,
né di
Nembrotte la spada tagliente,
né 'l solito
elmo ebbe quel dì alla fronte;
che l'usate
arme, quando fu perdente
contra la
donna di Dordona al ponte,
lasciato avea
sospese ai sacri marmi,
come di sopra
avervi detto parmi.
120
Egli avea
un'altra assai buona armatura,
non come era
la prima già perfetta:
ma né questa
né quella né più dura
a Balisarda
si sarebbe retta;
a cui non
osta incanto né fattura,
né finezza
d'acciar né tempra eletta.
Ruggier di
qua di là sì ben lavora,
ch'al pagan
l'arme in più d'un loco fora.
121
Quando si
vide in tante parti rosse
il pagan
l'arme, e non poter schivare
che la
più parte di quelle percosse
non gli
andasse la carne a ritrovare;
a maggior
rabbia, a più furor si mosse,
ch'a mezzo il
verno il tempestoso mare:
getta lo
scudo, e a tutto suo potere
su l'elmo di
Ruggiero a due man fere.
122
Con quella
estrema forza che percuote
la machina
ch'in Po sta su due navi,
e levata con
uomini e con ruote
cader si
lascia su le aguzze travi;
fere il pagan
Ruggier, quanto più puote,
con ambe man
sopra ogni peso gravi:
giova l'elmo
incantato; che senza esso,
lui col
cavallo avria in un colpo fesso.
123
Ruggiero
andò due volte a capo chino,
e per cadere
e braccia e gambe aperse.
Raddoppia il
fiero colpo il Saracino,
che quel non
abbia tempo a riaverse:
poi vien col
terzo ancor; ma il brando fino
sì
lungo martellar più non sofferse;
che
volò in pezzi, ed al crudel pagano
disarmata
lasciò di sé la mano.
124
Rodomonte per
questo non s'arresta,
ma s'aventa a
Ruggier che nulla sente;
in tal modo
intronata avea la testa,
in tal modo
offuscata avea la mente.
Ma ben dal
sonno il Saracin lo desta:
gli cinge il
collo col braccio possente;
e con tal
nodo e tanta forza afferra,
che de
l'arcion lo svelle, e caccia in terra.
125
Non fu in
terra sì tosto, che risorse,
via
più che d'ira, di vergogna pieno;
però
che a Bradamante gli occhi torse,
e turbar vide
il bel viso sereno.
Ella al cader
di lui rimase in forse,
e fu la vita
sua per venir meno.
Ruggiero ad
emendar presto quell'onta,
stringe la
spada, e col pagan s'affronta.
126
Quel gli urta
il destrier contra, ma Ruggiero
lo cansa
accortamente, e si ritira,
e nel
passare, al fren piglia il destriero
con la man
manca, e intorno lo raggira;
e con la
destra intanto al cavalliero
ferire il
fianco o il ventre o il petto mira;
e di due
punte fe' sentirgli angoscia,
l'una nel
fianco, e l'altra ne la coscia.
127
Rodomonte,
ch'in mano ancor tenea
il pome e
l'elsa de la spada rotta,
Ruggier su
l'elmo in guisa percotea,
che lo potea
stordire all'altra botta.
Ma Ruggier
ch'a ragion vincer dovea,
gli prese il
braccio, e tirò tanto allotta,
aggiungendo
alla destra l'altra mano,
che fuor di
sella al fin trasse il pagano.
128
Sua forza o
sua destrezza vuol che cada
il pagan
sì, ch'a Ruggier resti al paro:
vo dir che
cadde in piè; che per la spada
Ruggiero
averne il meglio giudicaro.
Ruggier cerca
il pagan tenere a bada
lungi da sé,
né di accostarsi ha caro:
per lui non
fa lasciar venirsi adosso
un corpo
così grande e così grosso.
129
E
insanguinargli pur tuttavia il fianco
vede e la
coscia e l'altre sue ferite.
Spera che
venga a poco a poco manco,
sì che
al fin gli abbia a dar vinta la lite.
L'elsa e 'l
pome avea in mano il pagan anco,
e con tutte
le forze insieme unite
da sé
scagliolli, e sì Ruggier percosse,
che stordito
ne fu più che mai fosse.
130
Ne la guancia
de l'elmo, e ne la spalla
fu Ruggier
colto, e sì quel colpo sente,
che tutto ne
vacilla e ne traballa,
e ritto se
sostien difficilmente.
Il pagan
vuole entrar, ma il piè gli falla,
che per la
coscia offesa era impotente:
e 'l volersi
affrettar più del potere,
con un
ginocchio in terra il fa cadere.
131
Ruggier non
perde il tempo, e di grande urto
lo percuote
nel petto e ne la faccia;
e sopra gli
martella, e tien sì curto,
che con la
mano in terra anco lo caccia.
Ma tanto fa
il pagan che gli è risurto;
si stringe
con Ruggier sì, che l'abbraccia:
l'uno e
l'altro s'aggira, e scuote e preme,
arte
aggiungendo alle sue forze estreme.
132
Di forza a
Rodomonte una gran parte
la coscia e
'l fianco aperto aveano tolto.
Ruggiero avea
destrezza, avea grande arte,
era alla
lotta esercitato molto:
sente il
vantaggio suo, né se ne parte;
e donde il
sangue uscir vede più sciolto,
e dove
più ferito il pagan vede,
puon braccia
e petto, e l'uno e l'altro piede.
133
Rodomonte
pien d'ira e di dispetto
Ruggier nel
collo e ne le spalle prende:
or lo tira,
or lo spinge, or sopra il petto
sollevato da
terra lo sospende,
quinci e
quindi lo ruota, e lo tien stretto,
e per farlo
cader molto contende.
Ruggier sta
in sé raccolto, e mette in opra
senno e
valor, per rimaner di sopra.
134
Tanto le
prese andò mutando il franco
e buon
Ruggier, che Rodomonte cinse:
calcogli il
petto sul sinistro fianco,
e con tutta
sua forza ivi lo strinse.
La gamba
destra a un tempo inanzi al manco
ginocchio e
all'altro attraversogli e spinse;
e da la terra
in alto sollevollo,
e con la
testa in giù steso tornollo.
135
Del capo e de
le schene Rodomonte
la terra
impresse; e tal fu la percossa,
che da le
piaghe sue, come da fonte,
lungi
andò il sangue a far la terra rossa.
Ruggier, c'ha
la Fortuna per la fronte,
perché
levarsi il Saracin non possa,
l'una man col
pugnal gli ha sopra gli occhi,
l'altra alla
gola, al ventre gli ha i ginocchi.
136
Come
talvolta, ove si cava l'oro
là
tra' Pannoni o ne le mine ibere,
se improvisa
ruina su coloro
che vi
condusse empia avarizia, fere,
ne restano
sì oppressi, che può il loro
spirto a
pena, onde uscire, adito avere:
così
fu il Saracin non meno oppresso
dal vincitor,
tosto ch'in terra messo.
137
Alla vista de
l'elmo gli appresenta
la punta del
pugnal ch'avea già tratto;
e che si
renda, minacciando, tenta,
e di
lasciarlo vivo gli fa patto.
Ma quel, che
di morir manco paventa,
che di
mostrar viltade a un minimo atto,
si torce e
scuote, e per por lui di sotto
mette ogni
suo vigor, né gli fa motto.
138
Come mastin
sotto il feroce alano
che fissi i
denti ne la gola gli abbia,
molto
s'affanna e si dibatte invano
con occhi
ardenti e con spumose labbia,
e non
può uscire al predator di mano,
che vince di
vigor, non già di rabbia:
così
falla al pagano ogni pensiero
d'uscir di
sotto al vincitor Ruggiero.
139
Pur si torce
e dibatte sì, che viene
ad espedirsi
col braccio migliore;
e con la
destra man che 'l pugnal tiene,
che trasse
anch'egli in quel contrasto fuore,
tenta ferir
Ruggier sotto le rene:
ma il giovene
s'accorse de l'errore
in che potea
cader, per differire
di far quel
empio Saracin morire.
140
E due e tre
volte ne l'orribil fronte,
alzando,
più ch'alzar si possa, il braccio,
il ferro del
pugnale a Rodomonte
tutto
nascose, e si levò d'impaccio.
Alle squalide
ripe d'Acheronte,
sciolta dal
corpo più freddo che giaccio,
bestemmiando
fuggì l'alma sdegnosa,
che fu
sì altiera al mondo e sì orgogliosa.