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NE IRROGANTO di Mauro Novelli
… ictus …
Un doveroso ringraziamento va
a quanti, con serio e minuzioso lavoro, permettono la fruizione di testi
informatizzati attraverso l’opera di siti come www.liberliber.it.
Molti degli scritti che seguono sono il prodotto della loro encomiabile azione.
Paul-Henri Thiry d’Holbach,
L’arte di strisciare, ad
uso dei cortigiani
Certo che saprà farne buon uso, metto nelle mani
del lettore questo divertissement del barone d’Holbach:
che tratteggia efficacemente - e, mi sembra, elegantemente - una categoria
dello spirito umano che è sopravvissuta alla fine della monarchia; e s’esalta,
anzi, e prevale, e domina in quelle corti moderne che sono le aziende, e le
università, e i partiti, e i sindacati, e le stanze della burocrazia: ed altro
ancora.
La traduzione è condotta su: Essai sur l’art de ramper, à l’usage des Cortisans,
estratto da: Correspondance littéraire,
philosophique et critique adressée a un souverain d’Allemagne […] par le baron de
Grimm et par Diderot, Buisson,
Paris 1813, tomo quinto (dicembre 1790), pp. 611-619.
L’uomo di corte è senza alcun
dubbio il prodotto più curioso che la specie umana possa mostrare. E’ un
animale anfibio, in cui tutti i contrasti si trovano comunemente riuniti. Un
filosofo danese paragona il cortigiano alla statua composta da materia diverse
che Nabucodonosor vide in sogno. “La testa del cortigiano è, dice, di vetro, i
capelli sono d’oro, le mani sono di pece resina, il corpo è di gesso, il cuore
è metà di ferro e metà di fango, i piedi sono di paglia, ed il suo sangue è un
composto di acqua e argento vivo.”
Bisogna riconoscere che un animale
così strano è difficile da definire; ben lungi dall’essere conosciuto dagli
altri, può appena conoscersi sa sé; tuttavia sembra che, tutto sommato, lo si
possa mettere nella classe degli uomini: con questa differenza, però: che gli
uomini ordinari hanno un’anima sola, mentre l’uomo di corte pare che ne abbia
diverse. In effetti, un cortigiano è ora insolente, ora umile; ora della più
sordida avarizia e dell’avidità più insaziabile, ora delal
prodigalità più estrema; ora dell’audacia più netta, ora della più vergognosa
vigliaccheria; ora dell’arroganza più impertinenza, ora della più studiata
cortesia: in una parola, è un Proteo, un Giano, o piuttosto un Dio dell’India,
che si rappresenta con sette facce diverse.
Quali che siano, è per questi
animali così rari che le nazioni sembrano fatte; la Provvidenza le destina ai
loro minimi piaceri; il sovrano stesso non è che il loro uomo d’affari; quando
fa il suo dovere, non ha altro impiego che accontentare i loro bisogni e
soddisfare le loro fantasia: ben felici di lavorare per questi uomini necessari
di cui lo Stato non può fare a meno. Non è che per loro interesse che un
monarca deve aumentare le tassem fare la pace o la
guerra, immaginare mille invenzioni ingegnose per tormentare e salassare i suoi
popoli. In cambio di queste cure i cortigiani riconoscenti pagano il monarca
con compiacenze, assiduità, adulazioni, bassezze, e il talento di barattare
queste grazie con merci importanti è senza dubbio il più utile alla Corte.
A dire il vero i filosofi, che
generalmente sono persone di cattivo umore, considerano il mestiere di
cortigiano vile, infame, da impostori. I popoli ingrati non avvertono quanto
grandi sono gli obblighi che hanno verso questi grandi generosi che, per tenere
il sovrano di buon umore, sono dediti alla noia, si sacrificano ai suoi
capricci, immolano continuamente per lui il loro onore, la loro probità, il
loro amor proprio, la loro vergogna e i loro rimorsi. Questi imbecilli non
avvertono dunque il prezzo di questi sacrifici? Non pensano a quanto costa
essere un buon cortigiano? Per quanta forza di spirito si abbia, per quanto
corazzata sia la coscienza per l’abitudine di disprezzare la virtù e calestare la probità, gli uomini ordinari provano sempre
una pena infinita a soffocare nel loro cuore la voce della razione. Solo il
cortigiano giunge a ridurre al silenzio questa voce importuna; solo lui è
capace di uno sforzo tanto nobile.
Se esaminiamo le cose da questo
punto di vista vediamo che, di tutte le arti, la più difficile è quella di
strisciare. Quest’arte sublime è forse la più meravigliosa conquista dello
spirito umano. La natura ha messo nel cuore di tutti gli uomini un amor
proprio, un orgoglio, una fierezza che sono, di tutte le disposizioni, le più difficili
da vincere. L’anima si rivolta contro tutto ciò che cerca di deprimerla,
reagisce con vigore tutte le volte che la si ferisce in quel luogo sensibile; e
se non si prende di buon’ora l’abitudine di combattere, di comprimere, di
schiacciare questa potente energia, diviene impossibile padroneggiarla. A ciò
il cortigiano si esercita sin da piccolo, con uno studio senza dubbio più utile
di tutti quelli di cui ci vantiamo enfaticamente, e che annuncia in coloro che
hanno per tal via acquisito la facoltà di soggiogare la natura una forza di cui
pochissimi esseri sono dotati.E’ per questi sforzi
eroici, per queste battaglie, per queste vittorie che un abile cortigiano si
distingue e perviene ad un livello di insensibilità che tale da procurargli la
fiducia, gli onori, quelle grandezze che sono oggetto dell’invidia dei suoi
simili e di ammirazione pubblica.
Non si osi esaltare ancora i
sacrifici che la religione fa compiere a coloro che vogliono guadagnare il
cielo! Che non si parli della forza d’animo die filosofi alteri che prenendono disprezzare tutto ciò che gli uomini stimano! I
devoti ed i saggi non hanno potuto vincere l’amor proprio; l’orgoglio sembra
molto compatibile con la devozione e la filosofia. Solo al cortigiano è
riservato di trionfare su se stesso e di riportare una vittoria completa sui
sentimenti del suo cuore. Un perfetto cortigiano è senza alcun dubbio il più
sorprendente degli uomini. Non parlate più dell’abnegazione dei devoti per la
Divinità: la vera abnegazione è quella di un cortigiano per il suo padrone;
vedete come si annienta in sua presenza! Diviene una semplice macchina, o
piuttosto non è niente; attende da lui il suo essere; cerca di riconoscere nei
suoi tratti quello che deve avere lui stesso; è come cera molle, pronta a ricereve tutte le impressioni che gli si vorrà dare.
Vi sono dei mortali che hanno
qualche rigore nello spirito, un difetto di elasticità alla schiena, una
mancanza di fressibilità alla nuca. Questa infelice
costituzione fisica impedisce loro di perfezionarsi nell’arte di strisciare e
li rende incapaci di avanzare a Corte. I serpenti e i rettili arrivano alla
cima delle montagne e delle rocce, dove il più cavallo più impetuoso non può
inoltrarsi. La corte non è fatta per persone altere, inflessibili, incapaci di prestarsi
ai capricci o di cedere alle fantasie, e nemmeno, quando occorre, approvare o
favorire i crimini che la grandezza giudica necessaria al benessere dello
Stato.
Un buon cortigiano non deve mai
avere una opinione sua, ma solo quella del suo signore o del ministro, e la sua
sagacia deve sempre fargliela presentire; cosa che suppone un’esperienza
consumata ed una conoscenza profonda del cuore umano. Un cortigiano non deve
mai avere ragione, non gli è permesso di avere più spirito del suo signore o chi
chi gli distribuisce i suoi favori, deve sapere bene
che il sovrano e l’uomo in vista non possono mai essere ingannati.
Il cortigiano ben allevato deve
avere lo stomaco abbastanza forte per digerire tutti gli affronti che il suo
signore vorrà fargli. Deve imparare fin dalla più tenera infanzia a dominare la
sua fisionomia, per timore ch’essa tradisca i moti segreti del suo cuore o
sveli un dispetto involontario che un’offesa potrebbe farvi nascere. Per vivere
alla corte occorre avere un controllo completo sui muscoli del viso, al fine di
assistere senza batter ciglio alel cose più
disgustosamente sanguinose. Un musone, un uomo che abbia cattivo umore o
suscettibilità non vi riuscirebbe.
In effetti, tutti coloro che hanno
il potere nelle mani prendono molto male che qualcuno dia segno di avvertire le
punzecchiature che hanno la bontà di fare, o che dia mostra di lamentarsene.
Davanti al suo signore, il cortigiano deve imitare quel giovane spartano che
venne frustato per aver rubato una volpe; benché durante l’operazione l’animale
nascosto sotto il mantello gli straziasse il ventre, il dolore non gli fece
uscire il minimo grido. Quale arte, quale controllo di sé richiede questa
dissimulazione profonda che costituisce la prima caratteristica del vero
cortigiano! Bisogna che senza posa sappia blandire i rivali con un’apparenza di
amicizia, che mostri un viso aperto, affettuoso, a coloro che più detesta,
abbracciare con tenerezza il nemico che vorrebbe soffocare; bisogna infine che
le menzogne più impudenti non producano sul suo viso alcuna alterazione.
La grande arte del cortigiano,
l’oggetto essenziale del suo studio, è di informarsi sulle passioni ed i vizi
del suo signore, per afferrarlo dal lato debole: è assicurato che per questa
via otterrà la chiave del suo cuore. ama le donne? Bisogna procurargliene. E’
devoto? Bisogna diventare devoti o ipocriti. E’ ombroso? Gli si offrano
sospetti su tutti quelli che lo circondano. E’ pigro? Mai parlargli d’affari.
In una parola, bisogna servirlo a modo suo e soprattutto adularlo
continuamente. Se è uno sciocco, non si rischia nulla a essere prodighi di
adulazioni che è ben lungi dal meritare; ma se per caso ha dello spirito o del
buon senso, cosa che raramente è da temere, bisognerà avere qualche riguardo.
Il cortigiano dovrà curare di
essere affabile, affettuoso ed educato con tutti quelli chje
possono aiutarlo o nuocergli; può essere arrogante solo con quelli di cui non
ha bisogno. Deve sapere a memoria il prezzo di tutti quelli che incontra, deve
omaggiare profondamente la donna di camera di una dama di rango, conversare
familiarmente con il maggiordomo o il valletto di camera del ministro,
carezzare il cane del primo commesso. Infine, non gli è consentito di distarsi
un solo istante. La vita del cortigiano è uno studio continuo.
Come Arlecchino, un vero cortigiano
dev’essere amico di tutto il mondo, ma senza avere la debolezza di legarsi a
nessuno. Obbligato a vantarsi dell’amicizia e della sincerità, non deve mai
attaccarsi ad altri che all’uomo di potere, e questo attaccamento deve cessare
appena il suo potere cessa. E’indispensabile
detestare su due piedi chiunque dispiaccia al signore o al favorito influente.
Si giudichi da quanto s’è detto se
la vita di un perfetto cortigiano non è un lungo susseguirsi di penose sofferenze.
Le nazioni potranno mai pagare troppo un corpo di uomini che a tal punto si
consacrano al servizio del principe? Tutti i tesori dei popoli bastano appena a
ripagare degli eroi che si sacrificano interamente alla felicità pubblica; non
è giusto che degli uomini che si dannano così di buon grado per il vantaggio
dei loro concittadini siano almeno ben pagati in questo mondo?
Quale rispetto, quale venerazione
dovremo avere per quegli esseri privilegiati che il rango e la nascita rendono
naturalmente così fieri, vedendo il sacrificio generoso che fanno della loro
fierezza, della loro alterigia, del loro amor proprio! Non possiedono sempre
quel sublime abbandono di sé, tanto da adempiere al seguito del principe le
stesse funzioni che l’ultimo valletto compie al seguito del suo padrone? Non
trovano nulla di vile in tutto ciò che fanno per lui; che dico? si glorificano
degli impieghi più vili fatti per la sua sacra persona; ambiscono giorno e
notte la buona sorte di essergli utile, lo guardano a vista, si rendono
ministri compiacenti dei suoi piaceri, si accollano le loro sciocchezze o si
affrettano ad applaudirle; in una parola, un buon cortigiano è talmente assorto
nell’idea del suo dovere, che spesso s’inorgoglisce di fare cose cui un onesto lacché non vorrebbe mai prestarsi. Lo spirito del Vangelo è
l’umiltà;il Figlio dell’Uomo ci ha detto che chi si
esalta verrà umiliato, e il contrario non è meno sicuro. La gente di corte
segue il precetto alla lettera. Non siamo sorpresi, dunque, se la Provvidenza
li ricompensa a dismisura per la loro docilità e se loro abiezione procura loro
gli onori, la ricchezza ed il rispetto delle nazioni ben governate.