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PRIVILEGIA
NE IRROGANTO Documento
inserito il: 30-12-2012 |
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Il Tempo 30-12-2012 Perchè no. La ricetta del mio
Mario non funziona
Ho accennato su queste colonne al mio
rapporto di amicizia con Mario Monti: ci conosciamo da molti anni, abbiamo
più volte constatato la diversità di punti di vista tra noi e ne abbiamo
parlato, ma ci consideriamo amici. L'amicizia non è venuta meno neanche
quando il contrasto di opinioni è stato di pubblico dominio. Ho
accennato su queste colonne al mio rapporto di amicizia con Mario Monti: ci
conosciamo da molti anni, abbiamo più volte constatato la diversità di punti
di vista tra noi e ne abbiamo parlato, ma ci consideriamo amici. L'amicizia
non è venuta meno neanche quando il contrasto di opinioni è stato di pubblico
dominio.Ricordo bene quando, lui, commissario
europeo, ed io ci scontrammo sull'idea, che a me sembrava insensata, che
l'Europa avesse bisogno di un'armonizzazione fiscale. Ritenevo allora e ne
sono convinto ancora oggi che pretendere di fare indossare a tutti gli Stati
membri un vestito della stessa taglia, malgrado le diversità loro proprie,
fosse una grossa sciocchezza e sostenevo che la concorrenza fra diverse
politiche fiscali seguite dai vari Stati fosse altamente desiderabile.
Nonostante l'amicizia, come sanno i lettori di questo giornale, il governo
Monti non ha mai avuto il mio voto. Ho assistito, non senza raccapriccio,
alla prosecuzione ancora più drastica delle politiche economiche del triplo
Monti, che era riuscito a portare l'economia italiana al ristagno prima, alla
recessione poi. Le politiche montiane hanno trasformato la recessione in
depressione: il calo del reddito è divenuto maggiore, la disoccupazione è
aumentata, l'eccesso di prelievo fiscale ha impoverito le famiglie e sta
uccidendo le nostre imprese a decine, il debito pubblico è aumentato,
raggiungendo livelli senza precedenti, e non si sono fatte riforme ma solo
manovre, pudicamente ribattezzate «spending review». Appare, pertanto, strabiliante l'affermazione
recente del presidente del Consiglio convinto che: «Abbiamo salvato l'Italia
dal disastro». A parte il plurale maiestatico e la totale mancanza di senso
del ridicolo, l'affermazione è campata in aria fritta. Quale importante
indicatore economico è migliorato da quando il mio amico Mario è a capo del
governo? Come se non bastassero il fallimento delle politiche di «stabilità»
(parola che Monti ama molto, dimentico che la perfetta stabilità è offerta
dai cimiteri) e la puerile vanteria, Monti ha deciso di avventurarsi in
politica, non senza avere sottolineato a quanti e ben più importanti
incarichi questa decisione lo costringesse a rinunziare. Naturalmente, la sua
idea è di non fare politica in prima persona - non potrebbe né vorrebbe farlo
- ma per interposta persona, affidandosi a personaggi di grande credibilità
personale, politica e morale, che possano raccogliere i voti di una «società
civile» in crisi di astinenza di Monti a capo di un governo politico. Ho
qualche dubbio sulle potenzialità di tale progetto: né il leader degli
orfanelli di Amintore Fanfani, né quello dei nostalgici una volta del
fascismo, ora non si sa bene di cosa, mi sembrano in grado di dare smalto
all'aggregazione pro-montiana. È ben vero che di essa fanno parte anche Luca
Cordero di Montezemolo e il ministro Riccardi, fondatore della Comunità di
Sant'Egidio, ma non mi sembrano tagliati per il ruolo di vincitori di
consenso elettorale. In conclusione, temo che il destino riservi al mio amico
Mario un futuro triste, simile a quello che è toccato a Padoa-Schioppa,
Tremonti e simili. Il loro ruolo in politica ne ha irrimediabilmente lordato
la reputazione e appannato gravemente il ricordo. Chiunque venga dopo il
governo Monti avrà il compito non semplice di rimediare ai danni prodotti in
questi mesi da persone dotate delle migliori intenzioni e delle peggiori
nozioni, convinti che, spremendo il già tartassato contribuente, trasformando
l'Italia in uno stato di polizia fiscale, cedendo la sovranità nazionale a un
accordo internazionale pilotato e voluto dalla Germania, tutto sarebbe andato
nel migliore dei modi, nel migliore dei mondi possibili. Per capire che le
cose non stanno in questi termini non è necessario essere bocconiani, anche
se forse non lo impedisce. Ne è prova la posizione di due eminenti
bocconiani, i professori Giavazzi e Alesina che, andando all'assalto
dell'Agenda Monti, sostengono che «C'è troppo Stato in quell'agenda» e che,
quanto alle decantate riforme liberali, c'è «Troppo poco, troppo tardi». Se
si tiene conto che Francesco Giavazzi è stato incaricato da Monti di rivedere
i trasferimenti alle imprese, il che suggerisce che Monti lo stima, la
critica diventa ancora più significativa, chissà se il presidente del
Consiglio ne terrà conto. Personalmente ne dubito. Ma stia attento: agenda,
come mutande, è un gerundio che serve a nascondere vergogne. |
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