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Alessandro Tassoni
La Secchia Rapita
A CHI LEGGE
La Secchia
Rapita, poema di nuova spezie inventata dal Tassone, contiene una impresa
mezza eroica e mezza civile, fondata su l'istoria della guerra, che
passò tra i Bolognesi e i Modanesi al tempo dell'imperador Federico
Secondo, nella quale Enzio re di Sardigna, figliuolo del medesimo Federico,
combattendo in aiuto de' Modanesi, restò prigione e prima d'esser
liberato morí in Bologna, come oggidi ancora può vedersi dall'epitafio
della sua sepoltura nella chiesa di S. Domenico.
La secchia di
legno, per cagion della quale è fama che nascesse tal guerra, si
conserva tuttavia ndl' archivio della Catedrale di Modana, appesa alla volta
della stanza, con una catena di ferro, quale dicone che servisse a chiudere la
porta di Bologna, per onde entrarono i Modanesi quando rapiron la Secchia.
Di tal guerra
ne trattano il Sigonio e 'l Campanaccio istorici, e alcune Croniche in penna
della città di Modana, d'onde si può vedere che 'l Poema della Secchia
Rapita ha per tutto ricognizione d'istoria e di verità.
L'impresa
è una e perfetta, cioè con principio, mezzo e fine; e se non
è una d'un solo, Aristotile non prescrisse mai ai compositori cosi fatte
strettezze. E oggidí è chiaro che le azioni di molti dilettano piú che
quelle d'un solo, e che è piú curiosa da vedere una battaglia campale di
qual si voglia duello. Perciò che il diletto della poesia epica non
nasce dal vedere operare un uomo solo, ma dal sentir rappresentare verisimilmente
azioni maravigliose; le quali quanto sono piú, tanto piú dilettano. Ma
facendosi operare un sol uomo, non si può rappresentare in una impresa
sola gran numero d'azioni; adunque sarà sempre piú sicuro l'introdurre
piú d'uno. E per questo veggiamo che l'Ariosto, tutto che non abbia
unità di favola e introduca gran moltiplicità di persone, diletta
molto piú dell'Odissea d'Omero per la quantità e varietà delle
azioni maravigliose ben collegate insieme.
Ma comunque
si sia, quando l'autore compose questo Poema (che fu una state nella sua
gioventú) non fu per acquistar fama in poesia, ma per passatempo e per
curiosità di vedere come riuscivano questi due stili mischiati insieme,
grave e burlesco; imaginando che se ambidue di lettavano separati avrebbono eziandio
dilettato congiunti e misti, se la mistura fosse stata temperata con artificio
tale che dalla loro scambievole varietà tanto i dotti quanto gli idioti
avessero potuto cavarne gusto. Perciò che i dotti leggono ordinariamente
le poesie per ricreazione e si dilettano piú delle baie, quando sono ben dette,
che delle cose serie; e gl'idioti, oltre a gusto che cavano dalle cose
burlesche, sono eziandio rapiti dalla maraviglia, che le azioni eroiche
sogliono partorire.
Or questa
nuova strada, come si vede, è piaciuta comunemente. All'autore basta
averla inventata e messa in prova con questo saggio. Intanto, com'è
facile aggiugnere alle cose trovate, potrà forse qualch'altro avanzarsi
meglio per essa.
Egli nel
rappresentare le persone passate s'è servito di molte presenti, come i
pittori che cavano dai naturali moderni le faccie antiche; perciò che
è verisimile che quello che a' dí nostri veggiamo, altre volte sia
stato. Però dove egli ha toccato alcun vizio, è da considerare
che non sono vizi particolari, ma comuni del secolo. E che per esempio il Conte
di Culagna e Titta non sono persone determinate, ma le idee d'un codardo
vanaglorioso e d'un zerbin romanesco. E tanto basti etc.
[dall'edizione del
PAULINO CASTELVECCHIO
Al LETTORI.
Questo poema
della Secchia rapita non ha bisogno d'esser lodato per accreditarsi,
perciò che quale egli sia il giudicio commune il dimostra; benché non vi
sieno mancati de' cervelli stravolti, che l'hanno giudicato col giudicio dell'asino
il quale sentenziò che cantava meglio il cucco del rusignolo. Ma non
è maraviglia, poiché anche alla nostra età abbiamo veduti ingegni
che hanno anteposto il Morgante del Pulci alla Gierusalemme
del Tasso; e l'antica vide l'imperatore Adriano che anteponeva Ennio a Virgilio
e Celio a Salustio; ma bench'egli fosse imperatore, il suo giudicio depravato
il fe' riputare un maligno. Io non so se i morti godano dell'applauso, che
danno i vivi all'opere loro; ma stimo ben gran ventura che i vivi veggano date all'opere
loro quelle lodi che cosi di rado e con tanta difficultà a quelle de'
morti vengono concedute. L'invidia e la malignità sono due vizii
immascherati, che senza esser conosciuti danno ferite mortali, benché non
sempre i colpi loro abbiano effetto, perciò che trovano anch'essi
dell'armature incantate.
Ma passiamo
alle dichiarazioni del Salviani. Gli argomenti de' Canti sono del signore
Abbate Albertino Barisoni, come si può veder dalle prime copie stampate
in Parigi.
[dall'edizione del 1630 di A. Tassoni]
INDICE
Dichiarazioni (Note) di Gaspare Salviani alla Secchia Rapita
ARGOMENTO
Del bel Panaro il pian sotto due
scorte
a predar vanno i Bolognesi armati,
ma da Gherardo altri condotti a
morte,
altri dal Potta son rotti e fugati.
Gl'incalza di Bologna entro le porte
Manfredi, i cui guerrier co' vinti
entrati
fanno per una Secchia orribil guerra,
e tornan trionfanti a la lor terra.
1
Vorrei cantar
quel memorando sdegno
ch'infiammò
già ne' fieri petti umani
un'infelice e
vil Secchia di legno
che tolsero a
i Petroni i Gemignani.
Febo che mi
raggiri entro lo 'ngegno
l'orribil
guerra e gl'accidenti strani,
tu che sai
poetar servimi d'aio
e tiemmi per
le maniche del saio.
2
E tu nipote
del Rettor del mondo
del generoso
Carlo ultimo figlio,
ch'in giovinetta
guancia e 'n capel biondo
copri canuto
senno, alto consiglio,
se da gli
studi tuoi di maggior pondo
volgi talor
per ricrearti il ciglio,
vedrai, s'al
cantar mio porgi l'orecchia,
Elena
trasformarsi in una Secchia.
3
Già
l'aquila romana avea perduto
l'antico
nido, e rotto il fiero artiglio
tant'anni
formidabile e temuto
oltre i
Britanni ed oltre il mar vermiglio;
e liete, in
cambio d'arrecarle aiuto,
l'italiche
città del suo periglio,
ruzavano tra
lor non altrimenti
che disciolte
polledre a calci e denti.
4
Sol la reina
del mar d'Adria, volta
de l'Oriente
a le provincie, a i regni,
da le
discordie altrui libera e sciolta
ruminava
sedendo alti disegni,
e gran parte
di Grecia avea già tolta
di mano a gli
empi usurpatori indegni;
l'altre attendean
le feste a suon di squille
a dare il
sacco a le vicine ville.
5
Part'eran
ghibelline, e favorite
da l'imperio
aleman per suo interesse;
part'eran
guelfe, e con la Chiesa unite
che le pascea
di speme e di promesse:
quindi tra
quei del Sipa antica lite
e quei del
Potta ardea, quando successe
l'alto,
stupendo e memorabil caso,
che ne gli
annali scritto è di Parnaso.
6
Del celeste
Monton già il sol uscito
saettava co'
rai le nubi algenti,
parean
stellati i campi e 'l ciel fiorito,
e su 'l
tranquillo mar dormíeno i venti;
sol Zefiro
ondeggiar facea su 'l lito
l'erbetta
molle e i fior vaghi e ridenti,
e s'udian gli
usignuoli al primo albore
e gli asini
cantar versi d'amore:
7
quando il
calor de la stagion novella,
che movea i
grilli a saltellar ne' prati,
mosse
improvisamente una procella
di Bolognesi
a' loro insulti usati.
Sotto due
capi a depredar la bella
riviera del
Panaro usciro armati,
passaro il
fiume a guazzo, e la mattina
giunse a
Modana il grido e la ruina.
8
Modana siede in
una gran pianura
che da la
parte d'austro e d'occidente
cerchia di
balze e di scoscese mura
del selvoso
Apennin la schiena algente;
Apennin
ch'ivi tanto a l'aria pura
s'alza a
veder nel mare il sol cadente,
che su la
fronte sua cinta di gielo
par che s'incurvi
e che riposi il cielo.
9
Da l'oriente
ha le fiorite sponde
del bel
Panaro e le sue limpid'acque;
Bologna
incontro, e a la sinistra l'onde
dove il
figlio del sol già morto giacque;
Secchia ha da
l'aquilon, che si confonde
ne' giri che
mutar sempre le piacque,
divora i
liti, e d'infeconde arene
semina i
prati e le campagne amene.
10
Viveano i
Modanesi a la spartana
senza
muraglia allor né parapetto,
e la fossa in
piú luoghi era sí piana,
che s'entrava
ed usciva a suo diletto.
Il martellar de
la maggior campana
fe' piú che
in fretta ognun saltar del letto,
diedesi a
l'arma, e chi balzò le scale,
chi corse a
la finestra, e chi al pitale;
11
chi si mise
una scarpa e una pianella,
e chi una
gamba sola avea calzata,
chi si vestí
a rovescio la gonella,
chi
cambiò la camicia con l'amata;
fu chi prese
per targa una padella
e un secchio
in testa in cambio di celata,
e chi con un
roncone e la corazza
corse
bravando e minacciando in piazza.
12
Quivi trovar
che 'l Potta avea spiegato
lo stendardo maggior
con le trivelle,
ed egli
stesso era a cavallo armato
con la
braghetta rossa e le pianelle.
Scriveano i
Modanesi abbreviato
Pottà
per Potestà su le tabelle,
onde per
scherno i Bolognesi allotta
l'avean tra
lor cognominato il Potta.
13
Messer Lorenzo
Scotti, uom saggio e forte,
era allor
Potta, e decideva i piati.
Fanti e
cavalli in tanto ad una sorte
a la piazza
correan da tutti i lati.
Egli, poiché
guernite ebbe le porte,
una squadra
formò de' meglio armati,
e ne diede il
comando e lo stendardo
al figlio di
Rangon detto Gherardo.
14
Egli dicea: -
Va' figlio arditamente,
frena
l'orgoglio di que' marrabisi;
non t'esporre
a battaglia, acciò perdente
non resti,
mentre siam cosí divisi;
ma ferma a la
Fossalta la tua gente,
e guarda il
passo e aspetta novi avisi,
ch'io ti
sarò, se 'l mio pensier non falle,
innanzi sesta
armato anch'io a le spalle. -
15
Cosí andava a
l'impresa il cavaliero
dal fior de
la milizia accompagnato,
e spettacolo
in un leggiadro e fiero
si vedeva
apparir da un altro lato,
cento
donzelle in abito guerriero
col fianco e
'l petto di corazza armato,
e l'aste in
mano e le celate in testa,
comparvero in
succinta e pura vesta.
16
Venían
guidate da Renoppia bella
cacciatrice
ed arciera a l'armi avezza;
Renoppia di Gherardo
era sorella,
pari a lui di
valor, di gentilezza;
ma non avea
l'Italia altra donzella
pari di
grazia a lei né di bellezza,
e parea co'
virili atti e sembianti
rapir i cori
e spaventar gli amanti.
17
Bruni gli
occhi e i capegli, e rilucenti,
rose e gigli
il bel volto, avorio il petto,
le labbra di
rubin, di perle i denti,
d'angelo avea
la voce e l'intelletto.
Maccabrun da
l'Anguille in que' commenti
che fece
sopra quel gentil sonetto
Questa
barbuta e dispettosa vecchia,
scrive
ch'ell'era sorda da una orecchia.
18
Or giunta in
piazza ella dicea: - Signori,
noi siam
deboli sí, ma non di sorte
che non
possiamo almen per difensori
guardare i
passi e custodir le porte;
queste
compagne mie ben avran cori
da gire
anch'esse ad incontrar la morte,
né già
disdice a vergine ben nata
per difender
la patria, uscire armata.
19
Quel dí che
Barbarossa arse Milano,
mio nonno
guadagnò quest'armi in guerra;
Gherardo mio
fratel le chiudea in vano,
ché le porte
gittate abbiam per terra;
e s'al cor
non vien meno oggi la mano,
se 'l nemico
s'appressa a questa terra,
speriam che
col suo sangue e la sua morte
ei
proverà se sian di tempra forte. -
20
Accese i cor
di generoso sdegno
il magnanimo
ardir de la donzella,
onde con
l'armi fuor senza ritegno
correa la
gioventú feroce e bella.
Con maestoso
modo e di sé degno
il Potta la
raffrena e la rappella:
- Dove
andate, canaglia berettina,
senza
ordinanza e senza disciplina?
21
Credete forse
che colà v'aspetti
trebbiano in
fresco e torta in su 'l tagliere?
Adattatevi in
fila, uomini inetti,
nati a
mangiar l'altrui fatiche e bere. -
Cosí frenando
i temerari affetti
distingueva
in un tratto ordini e schiere.
Gherardo in
tanto in opportuno punto
era correndo
a la Fossalta giunto:
22
ché Bordocchio
Balzan, ch'avea condotto
la prima
squadra, allor quivi arrivato,
s'era con
molto ardir già spinto sotto
a la torre
onde il passo era guardato;
quei de la
torre aveano il ponte rotto
da un canto,
e 'l varco stretto indi serrato,
e 'l
difendean da merli e da finestre
con dardi,
mazzafrusti, archi e balestre.
23
Il capitan de
la Petronia gente,
ch'era un
omaccio assai polputo e grosso,
gridava da la
ripa del torrente
a i suoi,
ch'eran fermati, a piú non posso:
- Perché non
seguitadi alliegramente?
Avídi pora di
saltar un fosso?
O volídi
restar tutti a la coda?
Passadi
panirun pieni di broda. -
24
Cosí dicea,
quand'ecco in vista altera
vide giugner
Gherardo a l'altra riva,
onde a destra
piegar fe' la bandiera
contra 'l nemico
stuol ch'indi veniva;
e confidato
ne l'amica schiera,
i cui tamburi
già da lunge udiva,
spinse da
l'alta sponda i suoi soldati
dal notturno
cammin stanchi e affannati.
25
Allor
Gherardo a' suoi diceva: - O forti,
ecco Dio che
divide e che confonde
questi
bedani: udite i lor consorti
che sono del
Panaro anco a le sponde.
Prima del
giugner lor, questi fien morti,
pochi e
stanchi, e ridotti entro a quest'onde.
Seguitatemi
voi, ché larga strada
io vi
farò col petto e con la spada. -
26
Cosí dicendo
urta 'l cavallo, e dove
la battaglia
gli par piú perigliosa
si lancia in
mezzo a l'onda, e 'n giro move
la spada
fulminante e sanguinosa.
Non fe' il
capitan Curzio tante prove
sotto Lisbona
mai, né su la Mosa,
quante ne fe'
tra l'una e l'altra ripa
Gherardo
allor su 'l popolo dal Sipa.
27
Uccise il
Bertolotto, e 'l corpo grasso
spirò
ne l'acqua fresca, e fu l'orrore
de l'acqua
ch'abborriva, in su quel passo,
de l'orror de
la morte assai maggiore.
Uccise
appresso a lui mastro Galasso
cavadente perfetto
e ciurmatore:
vendea
ballotte e polvere e braghieri:
meglio per
lui non barattar mestieri.
28
Senza naso
lasciò Cesar Viano
fratel del
Podestà di Medicina,
e d'un dardo
cader fe' di lontano
trafitto un
figlio del dottor Guaina;
indi
ammazzò il barbier di Crespellano.
che portava
la spada a la mancina;
e mastro
Costantin da le Magliette,
che faceva le
gruccie a le civette.
29
Un certo
bell'umor de' Zambeccari
gli diede una
sassata ne la pancia,
e a un tempo
Gian Petronio Scadinari
gli
forò la braghetta con la lancia;
la buona
spada gli mandò del pari
come se fosse
stata una bilancia,
ch'a l'uno e
l'altro tagliò il capo netto,
e i tronchi
ne la rena ebber ricetto.
30
Qual
già su 'l Xanto il furibondo Achille
fe' del sangue
troian crescer quell'onda,
o Ippomedonte
a le tebane ville
fe' de
l'Asopo insanguinar la sponda,
tal il
giovane fier l'onde tranquille
fa rosseggiar
del sangue ostil che gronda:
ma da la
tanta copia infastidita
diede la Musa
a pochi nomi vita.
31
L'oste dal
Chiú, Zambon dal Moscadello,
facea tra gli
altri una crudel ruina;
una zazzera
avea da farinello,
senz'elmo in
testa e senza cappellina;
si
riscontrò con Sabatin Brunello,
primo
inventor de la salciccia fina,
che gli
tagliò quella testaccia riccia
con una
pestarola da salciccia.
32
Bordocchio
intanto il fiume avea passato
soverchiand'ogn'incontro,
ogni ritegno,
quando del
Potta, che venía, fu dato
da la torre a
Gherardo e a gl'altri il segno.
Se n'avvide
Bordocchio, e rivoltato
di ripassare a'
suoi facea disegno;
ma ne l'onda
il destrier sotto gli cade,
e rimase
prigion fra cento spade.
33
Quei ch'erano
con lui dianzi passati
dal figlio di
Rangon tutti fûr morti;
e già
gli altri fuggian rotti e sbandati,
del mal
consiglio lor, ma tardi, accorti;
quando in
aiuto da' vicini prati
vider venir
correndo i lor consorti,
che del
Panaro a la sinistra sponda
passâr piú
lenti, ov'è piú cupa l'onda.
34
Gian Maria de
la Grascia, un furbacciotto
ch'era di
quella squadra il capitano,
come vide
fuggir dal campo rotto
quei di
Bordocchio insanguinando il piano,
rinfacciò
lor con dispettoso motto
la fuga vile
e l'ardimento insano;
e furioso i
suoi quindi spingendo,
fe' de'
nemici un potticidio orrendo.
35
Radaldo
Ganaceti era su 'l ponte
con molti
suoi per impedir il passo,
e insieme col
destrier tutto in un monte
fu da la
sponda ruinato al basso.
Voltò
Gherardo a quel rumor la fronte
e in aiuto
de' suoi venía a gran passo,
quando
comparve 'l Potta al suon di mille
corni, gridi,
tamburi e trombe e squille.
36
Si raccoglie
il nemico, e si ritira
al terror di
tant'armi, al suono, a i lampi,
ma l'incalza
Gherardo, e al vanto aspira
d'aver col
suo valor rotti due campi;
corre a
destra, a sinistra, urta, raggira
il destriero,
e di sangue inonda i campi;
rotta ha la
spada, e porta ne lo scudo
cento saette,
e mezzo 'l capo ha ignudo.
37
Ma tratta da
l'arcion ferrata mazza,
Fantin
Vizzani e Prospero Castelli,
Astor de
l'Armi e Taddeo Bianchi ammazza
e 'l cavalier
Martin de gli Asinelli.
A questi
spada, scudo, elmo e corazza
fece levar,
ch'eran dorati e belli,
per onorarsen
poi; ma veramente
fu peccato
ammazzar sí nobil gente.
38
Spinte il
Potta in aiuto in tanto avea
le prime
insegne a i Gemignani stracchi;
ed egli verso
il ponte, ove parea
che piú
fossero i suoi deboli e fiacchi,
sopra una
mula a piú poter correa,
che mordendo
co' piè giucava a scacchi,
quando ferito
fu d'una zagaglia
quel de la
Grascia, e uscí de la battaglia.
39
Poiché
mirò de' capitani suoi
l'un fatto
prigionier, l'altro ferito
la progenie
antichissima de' Boi,
e si vide
ridotta a mal partito,
que' valorosi
che facean gli eroi,
senza
aspettar chi lor facesse invito,
chi a
cavallo, chi a piè per la campagna
si diedono a
menar de le calcagna.
40
Ma ratto fu
con una ronca in mano
il Potta lor
come un demonio addosso,
e tanti ne
mandò distesi al piano
che ne fu il
Ciel de la pietà commosso.
Quel fiume
crebbe sí di sangue umano
che piú
giorni durò tiepido e rosso,
e dove prima
il Fiumicel chiamato,
fu dappoi
sempre il Tepido nomato.
41
Tutto quel
dí, tutta la notte intiera
i miseri
Petroni ebber la caccia;
ne coperse
ogni strada, ogni riviera
Manfredi Pio,
che ne seguí la traccia.
Con trecento
cavalli a la leggiera
con tanto ardire
il giovane li caccia,
che su 'l
primo sparir de l'aria scura
si
trovò giunto a le nemiche mura.
42
La porta San
Felice aperta in fretta
fu a'
cittadini suoi, ch'erano esclusi,
ma tanta fu
la calca in quella stretta
che i
vincitori e i vinti entrar confusi.
Quei di
Manfredi un tiro di saetta
corser la
terra, e vi restavan chiusi,
s'ei da la
porta ove fermato s'era
non li
chiamava tosto a la bandiera.
43
Spinamonte
del Forno e Rolandino
Savignani e
Aliprando d'Arrigozzo
de' Denti da
Balugola e Albertino
Foschiera e
Calatran di Borgomozzo,
affannati dal
caldo e dal cammino
trovâr non
lunge da la porta un pozzo,
e una Secchia
calâr nuova d'abete
per
rinfrescarsi e discacciar la sete.
44
La carrucola
rotta e saltellante,
e la fune annodata
in quella mena,
e l'acqua
ch'era assai cupa e distante,
feron piú
tardi uscir la Secchia piena:
le si
avventaron tutti in un istante,
e Rolandino
avea bevuto a pena,
quand'ecco a
un tempo da diverse strade
fûr lor
intorno piú di cento spade.
45
Scarabocchio,
figliol di Pandragone,
Petronio Orso
e Ruffin dalla Ragazza
e Vianese
Albergati e Andrea Griffone
venían
gridando innanzi: - Ammazza, ammazza. -
ma i
Potteschi già pronti in su l'arcione,
d'elmo e di
scudo armati e di corazza,
strinser le
spade e rivoltâr le facce
a l'impeto
nemico e a le minacce.
46
E Spinamonte,
che la Secchia presa
per bere
avea, spargendo l'acqua in terra
e tagliando
la fune ond'era appesa,
se ne serví
contro i nemici in guerra;
con la
sinistra man la tien sospesa
per riparo, e
con l'altra il brando afferra;
l'aiutano i
compagni e fangli sponda
contra il
furor che d'ogni parte inonda.
47
Lotto
Aldrovandi e Campanon Ringhiera
gridavano
ambidue: - Canaglia matta,
lasciate
quella Secchia ove prim'era,
o la
bestialità vi sarà tratta. -
- Fatevi
innanzi voi, disse il Foschiera,
notate la
consegna che v'è fatta. -
E 'n questo
dire un manrovescio lascia,
e taglia a
Campanone una ganascia.
48
Non fu rapita
mai con piú fatica
Elena bella
al tempo di Sadocco,
né combattuta
Aristoclèa pudica,
al par di
quella Secchia da un baiocco.
Passata a
Calatran fu la lorica
sí che nel
ventre penetrò lo stocco
d'un fiero
colpo di Carlon Cartari,
falciatore
sovran de' macellari.
49
Rolandino
ferí d'un sopramano
Napulion di
Fazio Malvasía,
ed egli a lui
storpiò la manca mano
con una daga
che brandita avía.
Se di
Manfredi un poco piú lontano
era il
soccorso, alcun non ne fuggía;
restò
ferito quel de la Balugola,
e del tanto
gridar gli cadde l'ugola.
50
Manfredi in su
la porta i suoi raccoglie
e l'inimico
stuol frena e reprime,
e poiché dal
periglio si discioglie
torna, e
ripassa il Ren su l'orme prime;
né potendo
mostrar piú degne spoglie,
in atto di
trofeo leva sublime
sopra una
lancia l'acquistata Secchia,
ché presentarla
al Potta s'apparecchia;
51
parendo a lui
via piú nobile e degno
de la
vittoria, aver su 'l chiaro giorno
corsa
Bologna, e trattone quel pegno
che sarebbe
a' nemici eterno scorno.
Da la
Samoggia un messo a darne segno
a Modana
spedí senza soggiorno,
e tosto la
città si mise in core
di girgli
incontro e fargli un bell'onore.
52
Era vescovo
allor per aventura
de la
città messer Adam Boschetto,
che di quel
gregge avea solenne cura,
e 'l mantenea
d'ogni contagio netto;
non dava troppo
il guasto a la Scrittura,
ed era
entrato al popolo in concetto
che in cambio
di dir Vespro e Matutino
giucasse i
benefici a sbarraglino.
53
Questi,
poiché venir dal messaggiero
con quella
Secchia udí l'amica gente
tolta per
forza a un popolo sí fiero
di mezzo una
città tanto possente,
si mise
anch'egli in ordine col clero
per girla ad
incontrar solennemente,
e si fe'
porre intorno il piviale
ch'usava il
dí di Pasqua e di Natale.
54
Un superbo
robon di drappo rosso
si mise il
Potta e una beretta nera,
che mezzo
palmo largo e un dito grosso
avea l'orlo
d'intorno a la testiera;
gli Anziani
appo lui col lucco indosso
seguivano a
cavallo in lunga schiera
sopra certe
lor mule afflitte e grame,
che pareano
il ritratto de la fame.
55
Gli portava dinanzi
un paggio armato
la spada nuda
e la rotella bianca,
e avea dal
destro e dal sinistro lato
i due primi
Anzian, teste di banca;
lo stendardo
del popolo spiegato
portava il
cont'Ettòr da Villafranca,
giovinetto
che Marte avea nel core
e ne la bocca
e ne' begli occhi Amore.
56
Due compagnie
di lance e di corrazze,
una dinanzi e
l'altra iva di dietro;
i cursori del
popol con le mazze
facevan
ritirar le genti indietro,
che correan
tutte a gara come pazze
a la vicina
porta di San Pietro,
per veder
quella Secchia a la campagna
credendosi
che fosse una montagna.
57
In ultimo
cinquanta contadine
con le
gonnelle bianche di bucato,
ne le
canestre lor di vinco fine
portavan
pane, vin, torta in buon dato,
uova sode,
frittate e gelatine
al famoso
drappello affaticato
che venía con
la Secchia; e cosí andando
giunsero a la
Fossalta ragionando.
58
Quivi trovâr
che 'l prete de la cura
gía
confortando ancor gli agonizzanti,
gli assolvea
da' peccati, e ponea cura
fra i paterni
ricordi onesti e santi,
se 'n dito anella
avean per aventura,
o ne le borse
o nel giubbon contanti,
e per
guardargli da gli furti altrui
gli togliea
in serbo e gli mettea co' sui.
59
Manfredi in
tanto apparve, e conducea
distinta a
coppia a coppia la sua schiera-
Portar la
Secchia in alto egli facea
da Spinamonte
innanzi a la bandiera;
e di mirto e
di fior cinta l'avea,
sí che
spoglia parea pomposa e altera.
Subito il
Potta il corse ad abbracciare
dicendogli: -
Ben venga mio compare. -
60
Indi gli
chiese come avea potuto
con quella
Secchia uscir fuor di Bologna,
che non
l'avesse ucciso o ritenuto
quel popolo
per ira o per vergogna.
Ddisse
Manfredi: - Iddio sa dare aiuto
a chi si fida
in lui, quando bisogna:
il nemico a
seguirci ebbe due piedi,
e noi quattro
a fuggir, come tu vedi. -
61
Fêr poi
le Cataline il lor invito
su l'erba
fresca d'un fiorito prato,
e perché
ognun moriva d'appetito
in un
Avemaria fu sparecchiato.
Finita la
merenda, e risalito
a cavallo
ciascuno al loco usato,
ripresero il
cammino in vêr la porta
raccontando
fra lor la gente morta.
62
Sotto la
porta stava Monsignore
con lo
spruzzetto in man da l'acqua santa,
e intonando
la laude in quel tenore
che fa il
capon quando talvolta canta.
Quivi
smontaro tutti a farli onore,
e l'inchinâr
con l'una e l'altra pianta,
e a suon di
trombe se n'andâr con esso
a render
grazie a Dio del gran successo.
63
Ma la Secchia
fu subito serrata
ne la torre
maggior dove ancor stassi,
in alto per
trofeo posta e legata
con una gran
catena a' curvi sassi;
s'entra per
cinque porte ov'è guardata
e non
è cavalier che di là passi
né pellegrin
di conto, il qual non voglia
veder sí
degna e gloriosa spoglia.
ARGOMENTO
Mandano i Bolognesi ambasciatori
due volte a dimandar la Secchia in
vano:
onde con fieri ed ostinati cori
s'armano quinci e quindi il monte e
'l piano.
Chiamano Giove a concilio i Dei
minori,
contendono fra lor Marte e Vulcano:
Venere si ritira e si diparte,
e 'n terra se ne vien con Bacco e
Marte.
1
Già il
quarto dí volgea che vincitori
diêr la
rotta a' Petroni i Gemignani,
e per l'ira
che ardea ne' fieri cori
restavano
anco i morti in preda a i cani,
quando in
Modana entrâr due Ambasciatori
con pacifici
aspetti e modi umani;
e smontati al
Monton col vetturino,
chiesero a
l'oste s'egli avea buon vino.
2
Indi un messo
spedîr per impetrare
che l'ordine
ch'avean fosse ascoltato.
Cominciò
il campanaccio a dindonare
e in un
momento s'adunò il Senato.
Andâr gli
ambasciatori ad onorare
Alessandro
Fallopia e Gaspar Prato,
e li
condusser per diritta strada
a la sala ove
il Duca or tien la biada.
3
Un vecchio
ranticoso, affumicato,
pallido e
vizzo che parea l'inedia
e per forza
tener co' denti il fiato,
e potea far
da Lazzaro in comedia,
poi che due
volte intorno ebbe mirato,
incominciò
cosí da la sua sedia:
- Messeri, io
son Marcel di Bolognino
dottor di
legge e conte Palatino.
4
Il mio
collega è conte e cavaliero
e Ridolfo
Campeggi è nominato;
io son uomo
di pace, egli è guerriero;
io lettor de
lo Studio, egli soldato.
Or l'uno e l'altro
ha qui per messaggiero
il nostro
Reggimento a voi mandato,
per iscusarsi
del passato eccesso
che 'l popol
nostro ha contra voi commesso.
5
Il popol
nostro è un popol del demonio,
che non si
può frenar con alcun freno;
e s'io non
dico il ver, che san Petronio
mi faccia
oggi venir la vita meno.
Sarà
il collega mio buon testimonio,
che quando
l'altra notte ei passò il Reno,
fu mera
ivenzion d'un seduttore,
né il
Reggimento n'ebbe alcun sentore.
6
Ma non si
può disfar quel ch'è già fatto;
d'ogni vostro
disturbo assai ne spiace;
e siam venuti
qua per far riscatto
de' morti
nostri, e ad offerirvi pace:
ma vogliam
quella Secchia ad ogni patto,
che ci
rubò la vostra gente audace:
perché
altramente andría ogni cosa in zero,
e ci
scorrucciaremmo da dovero. -
7
Qui chiuse il
Bolognino il suo sermone,
e rise ognun
quanto potea piú forte.
Era capo di
banca un Rarabone
Dal Tasso,
arridottor cavato a sorte:
per sopra
nome gli dicean Tassone,
perch'era
grosso e avea le gambe corte.
Questi, poiché
'l Senato in lui s'affisse,
compose il
volto e si rivolse e disse:
8
- Che 'l
vostro Reggimento abbia mandati
due
personaggi suoi sí principali
a scusarsi
con noi de' danni dati
e a
condolersi de' passati mali,
nostra
ventura è certo; e registrati
ne fieno i
nomi lor ne' nostri Annali.
A noi ancora
inver molto dispiace
de' vostri
morti, che Dio gli abbia in pace:
9
e se per
sotterrargli or qui venite,
la vostra
ambascieria fia consolata;
ma quella
pace che voi ci offerite
col patto
della Secchia, è un po' intricata:
e conviene
aggiustar pria le partite
con cui voi
dite che ve l'ha rubata;
perché di
secchie non abbiam bisogno,
e ci crediam
che favelliate in sogno. -
10
Manfredi,
ch'era a quel parlar presente,
cavatosi il
capuccio e in piè levato,
- Figlio
è, disse, d'un becco, e se ne mente
chi vuol dir
ch'io la Secchia abbia rubato.
Di mezzo la
città nel dí lucente
io la trassi
per forza in sella armato:
e
tornerò, se me ne vien talento,
dov'è
quel pozzo e cacherovvi drento.
11
Siete mal
informato, a quel ch'io veggio,
messer
Marcello mio da un bolognino. -
- Cappita!
disse il cavalier Campeggio,
voi siete
bravo come un paladino.
Orsú
ripigliarem, ch'io me n'aveggio,
con le trombe
nel sacco oggi il cammino;
ma Gemignani
miei, io vi protesto
che ve ne
pentirete assai ben presto. -
12
Rispondeva
Manfredi; e ne potea
seguir
scandalo grave entro 'l Senato,
se 'l Potta
allor non vi s'interponea
con modo
imperioso e volto irato:
- Taci,
frasca merdosa, egli dicea;
ché questo
è ius antico inviolato
che possa un
messagier dir ciò che vuole
senza render
ragion di sue parole. -
13
Cosí gli
ambasciatori usciron fuore
ed a la
patria lor feron ritorno:
la quale il
Baldi principal dottore
mandò
con nuovi patti il terzo giorno;
e la terra offeria
di Grevalcore
se la Secchia
tornava al suo soggiorno.
Fu il dottor
Baldi molto accarezzato
e a le spese
del publico alloggiato.
14
Poscia di
nuovo s'adunò il Conseglio
dov'egli fu
introdotto il dí seguente.
Il Baldi,
ch'era astuto come veglio
e sapea
secondar l'onda corrente,
incominciò:
- Signori, esempio e speglio
d'onor e
senno a la futura gente,
io rendo
grazie a Dio che mi concede
di seder oggi
in cosí degna sede.
15
E vengovi a
propor cosa inudita
che vi
farà inarcar forse le ciglia.
Giace una
terra antica, e favorita
de le grazie
del cielo a meraviglia,
col
territorio vostro appunto unita.
e lontana di
qua tredici miglia.
Già vi
fu morto Pansa, e dal dolore
nominata da'
suoi fu Grevalcore.
16
Ancor dopo
tant'anni e tanti lustri
il suo nome
primier conserva e tiene:
furon
già stagni e valli ime e palustri,
or son
campagne arate e piagge amene;
non han
però gli agricoltori industri
tutte
asciugate ancor le natíe vene,
ma vi son
fondi di perpetui umori
che sogliono
abitar pesci canori.
17
Le Sirene de'
fossi, allettatrici
del sonno, di
color vari fregiate,
e del prato e
de l'onda abitatrici,
fanvi col
canto lor perpetua state;
i regni de
l'Aurora almi e felici
paiono
questi; ove son genti nate,
che ne'
costumi e ne' sembianti loro
rappresentano
ancor l'età de l'oro.
18
Or cosí degna
terra e principale
vi manda ad
offerir la patria mia
se quella
Secchia, che toglieste a un tale
de' nostri,
col malan che Dio gli dia,
quando i
vostri l'altrier fêr tanto male
e sforzaron la
porta che s'apría,
sarà
da voi al pozzo rimandata
publicamente,
d'onde fu levata.
19
Mentre vi
s'offre la fortuna in questo.
di cambiare
una Secchia in una terra,
ricordatevi
sol che volge presto
il calvo a
chi la chioma non afferra.
Se non
cogliete il tempo, i' vi protesto
ch'avrete
lunga e faticosa guerra,
né potrete
durare a la campagna
che
s'armerà con noi tutta Romagna. -
20
Qui tacque il
Baldi e nacque un gran bisbiglio,
né fu chi
rispondesse alcuna cosa:
ma si conobbe
in un girar di ciglio
che la mente
d'ognuno era dubbiosa.
Alfin per
consultare ogni periglio
e non urtare
in qualche pietra ascosa,
fecero al
Baldi dir, ch'era presente,
ch'avrebbe la
risposta il dí seguente.
21
Il dí che
venne, il cambio fu approvato,
e disser che la
Secchia eran per darla,
sottoscritto
il contratto e confirmato,
a qualunque
venisse a ripigliarla;
perch'altramente
non volea il Senato
con atto
indegno al pozzo ei rimandarla;
che in questo
il Reggimento era in errore
se credea di
dar legge al vincitore.
22
Il Baldi si
scusò che non avea
ordine
d'alterar la sua proposta,
ma che
l'istesso giorno egli volea
ritornare a
Bologna per la posta;
e se 'l
partito a la città piacea,
avrebbe
rimandato un messo a posta.
Cosí
conchiuso il Baldi fe' ritorno,
né si seppe
altro fino al terzo giorno.
23
Il terzo dí,
ch'ognun stava aspettando
che non
avesse piú la pace intoppo,
eccoti un
messaggier venir trottando
sopra d'un
vetturin spallato e zoppo,
e tratta
fuori una protesta o un bando,
l'affisse al
tronco d'un antico pioppo
che dinanzi a
la porta di sua mano
avea piantato
già san Gemignano.
24
Dicea la
carta: - Il popol bolognese
quel di
Modana sfida a guerra e morte
se non gli
torna in termine d'un mese
la Secchia
che rubò su le sue porte. -
Affisso il foglio,
subito riprese
il suo cammin
colui, spronando forte
quel tripode
animale; e in un momento
parve che via
lo si portasse il vento.
25
Qual resta il
pescator che ne la tana
mette la man
per trarne il granchio vivo,
e trova serpe
o velenosa rana
o qual si
voglia altro animal nocivo
tal la gente
del Potta altera e vana,
trovar
credendo un popolo corrivo,
quando sentí
quella protesta, tutta
raggrinzò
le mascelle e si fe' brutta.
26
Ma come
ambiziosa per natura,
dissimulando
il naturale affetto,
mostrò
di non curar quella scrittura
e le minacce
altrui volse in diletto:
non
ristorò le ruinate mura,
non
cavò de le fosse il morto letto,
né di ceder
mostrò sembianza alcuna
a la forza
nemica o a la fortuna.
27
Ma scrisse a
Federico in Alemagna
quant'era
occorso e di suo aiuto il chiese;
la milizia
del pian, de la montagna
a preparar
segretamente attese:
fe' lega per
un anno a la campagna
col popol
parmigian, col cremonese,
scrisse ne la
città fanti e cavalli,
indi tutta si
diede a feste e balli.
28
La fama in
tanto al ciel battendo l'ali
con gli avisi
d'Italia arrivò in corte,
ed al re
Giove fe' sapere i mali
che d'una
Secchia era per trar la sorte.
Giove, che
molto amico era a i mortali
e d'ogni
danno lor si dolea forte,
fe' sonar le
campane del suo impero
e a consiglio
chiamar gli Dei d'Omero.
29
Da le stalle
del ciel subito fuori
i cocchi
uscir sovra rotanti stelle,
e i muli da
lettiga e i corridori
con ricche
briglie e ricamate selle:
piú di cento
livree di servidori
si videro apparir
pompose e belle,
che con
leggiadra mostra e con decoro
seguivano i
padroni a concistoro.
30
Ma innanzi a
tutti il Prencipe di Delo
sopra d'una
carrozza da campagna
venía
correndo e calpestando il cielo
con sei
ginetti a scorza di castagna:
rosso il
manto, e 'l cappel di terziopelo
e al collo
avea il toson del re di Spagna:
e
ventiquattro vaghe donzellette
correndo gli
tenean dietro in scarpette.
31
Pallade
sdegnosetta e fiera in volto
venía su una
chinea di Bisignano,
succinta a
mezza gamba, in un raccolto
abito mezzo
greco e mezzo ispano:
parte il
crine annodato e parte sciolto
portava, e ne
la treccia a destra mano
un mazzo
d'aironi a la bizzarra,
e legata a
l'arcion la scimitarra.
32
Con due
cocchi venía la Dea d'Amore:
nel primo
er'ella e le tre Grazie e 'l figlio,
tutto porpora
ed or dentro e di fuore,
e i paggi di
color bianco e vermiglio;
nel secondo
sedean con grand'onore
cortigiani da
cappa e da consiglio,
il braccier
de la Dea, l'aio del putto,
ed il cuoco
maggior mastro Presciutto.
33
Saturno,
ch'era vecchio e accatarrato
e s'avea
messo dianzi un serviziale,
venía in una
lettiga riserrato
che sotto la
seggetta avea il pitale;
Marte sopra
un cavallo era montato
che facea
salti fuor del naturale;
le calze a
tagli e 'l corsaletto indosso,
e nel
cappello avea un pennacchio rosso.
34
Ma la Dea de
le biade e 'l Dio del vino
venner
congiunti e ragionando insieme;
Nettun si fe'
portar da quel delfino
che fra
l'onde del ciel notar non teme:
nudo, algoso
e fangoso era il meschino,
di che la
madre ne sospira e geme,
ed accusa il
fratel di poco amore
che lo tratti
cosí da pescatore.
35
Non comparve
la vergine Diana
che levata
per tempo era ita al bosco
a lavare il
bucato a una fontana
ne le maremme
del paese Tosco;
e non
tornò, che già la tramontana
girava il
carro suo per l'aer fosco;
venne sua
madre a far la scusa in fretta,
lavorando su
i ferri una calzetta.
36
Non
intervenne men Giunon Lucina,
che 'l capo
allora si volea lavare;
Menippo,
sovrastante a la cucina
di Giove,
andò le Parche ad iscusare
che facevano
il pan quella mattina,
indi avean
molta stoppa da filare;
Sileno
cantinier restò di fuori
per inacquare
il vin de' servidori.
37
De la reggia
del ciel s'apron le porte,
stridon le
spranghe e i chiavistelli d'oro;
passan gli
Dei da la superba corte
ne la sala
real del Concistoro:
quivi
sottratte a i fulmini di morte
splendon le
ricche mura e i fregi loro;
vi perde il
vanto suo qual piú lucente
e piú
pregiata gemma ha l'Oriente.
38
Posti a seder
ne' bei stellati palchi
i sommi eroi
de' fortunati regni,
ecco i
tamburi a un tempo e gli oricalchi
de l'apparir
del Re diedero segni.
Cento fra
paggi e camerieri e scalchi
veníeno, e
poscia i proceri piú degni;
e dopo questi
Alcide con la mazza,
capitan de la
guardia de la piazza.
39
E come quel
ch'ancor de la pazzia
non era ben
guarito intieramente,
per allargare
innanzi al Re la via
menava quella
mazza fra la gente;
ch'un
imbriaco svizzero paría,
di quei che
con villan modo insolente
sogliono
innanzi 'l Papa il dí di festa
romper a chi
le braccia, a chi la testa.
40
Col cappello
di Giove e con gli occhiali
seguiva indi
Mercurio, e in man tenea
una
borsaccia, dove de' mortali
le suppliche
e l'inchieste ei raccogliea;
dispensavale
poscia a due pitali
che ne' suoi
gabinetti il Padre avea,
dove con
molta attenzion e cura
tenea due
volte il giorno segnatura.
41
Venne al fin
Giove in abito reale
con quelle
stelle c'han trovate in testa,
e su le
spalle un manto imperiale
che soleva
portar quand'era festa;
lo scettro in
forma avea di pastorale
e sotto il
manto una pomposa vesta
donatagli dal
popol Sericano,
e Ganimede
avea la coda in mano.
42
A l'apparir
del Re surse repente
da i seggi
eterni l'immortal Senato,
e
chinò il capo umíle e riverente
fin che nel
trono eccelso ei fu locato.
Gli sedea la
Fortuna in eminente
loco a
sinistra, ed a la destra il Fato;
la Morte e 'l
Tempo gli facean predella,
e mostravan
d'aver la cacarella.
43
Girò
lo sguardo intorno, onde sereno
si fe' l'aer
e 'l ciel, tacquero i venti,
e la terra si
scosse e l'ampio seno
de l'oceano
a' suoi divini accenti.
Ei
cominciò dal dí che fu ripieno
di topi il
mondo e di ranocchi spenti,
e
narrò le battaglie ad una ad una
che ne' campi
seguîr poi de la luna.
44
- Or, disse, una
maggior se n'apparecchia
tra quei del
Sipa e la città del Potta:
sapete
ch'è tra lor ruggine vecchia
e che piú
volte s'han la testa rotta;
ma nuova gara
or sopra d'una Secchia
han messa in
campo; e se non è interrotta,
l'Italia e 'l
mondo sottosopra veggio:
intorno a
ciò vostro consiglio chieggio. -
45
Qui tacque
Giove, e 'l guardo a un tempo affisse
nel padre
suo, che gli sedea secondo.
Sorrise il
vecchio, e tirò un peto, e disse:
- Potta, i'
credea che ruinasse il mondo.
Che importa a
noi se guerra, liti e risse
turban
là giú quel miserabil fondo?
E se gli
uomini son lieti o turbati?
Io gli vorrei
veder tutti impiccati. -
46
Marte a
quella risposta alzando il ciglio
- O buon
vecchio, gridò, son teco anch'io;
che importa a
questo eterno alto consiglio
se stato
è colà giú turbato o rio?
Chi è
nato a perigliar, viva in periglio:
viva e goda
nel ciel chi è nato Dio.
Io, se la
Diva mia nol mi disdice,
l'una e
l'altra città farò infelice.
47
Sazierà
doppia strage il mio furore,
di corpi
morti inalzerò montagne;
farò
laghi di sangue e di sudore,
e tutte
inonderò quelle campagne. -
- Cavalier,
disse Palla, il tuo valore
san cantar
fin le trippe e le lasagne,
sí che
indarno ti studi e t'argomenti
di farlo or
noto a le celesti menti.
48
Ma s'hai
desio di qualche degna impresa,
facciam cosí:
va' tu co i Gemignani,
ch'io
sarò de' Petroni a la difesa,
e ti
verrò a incontrar là su que' piani.
Bologna
sempre fu a' miei studi intesa;
onde tenermi
a cintola le mani
or non debbo
per lei. Tu meco scendi
se palma di
valor, se gloria attendi. -
49
A quel parlar
si levò Febo e disse:
- Vergine
bella, i' verrò teco anch'io
in favor di
Bologna, ove ognor visse
l'antico
studio de le Muse e mio. -
Bacco, che in
Citerea le luci fisse
sempre tenute
avea con gran desio
- Cosí
dunque, rispose in volto irato,
fia il popol
mio da tutti abbandonato?
50
La
città ch'ognor vive in feste e canti
fra maschere
e tornei per onorarmi,
ch'ha si
dolce liquor, vedrà fra tanti
travagli suoi
qui neghittoso starmi?
Bella madre
d'Amor, che co' sembianti
puoi far
vinta cader la forza e l'armi,
tu meco
scendi: ch'io farò a costoro
di stoppa
rimaner la barba d'oro. -
51
Sfavillò
Citerea con un sorriso
che dicea: -
Bacia, bacia, anima accesa -
e gli diede
col ciglio a un tempo aviso.
che sarebbe
ita seco a quell'impresa.
Marte, che 'n
lei tenea lo sguardo fiso
avido di
litigio e di contesa,
vedendo
ch'ella avea d'andar desio,
disse: - A la
fè, che vo' venir anch'io.
52
Gite voi
altri pur dove v'aggrada,
ch'io vo' seguir
de la mia Diva i passi;
dove ella
volge il piè, convien ch'io vada,
e quei di voi
ch'ella abbandona, lassi.
Per lei
combatte questa invitta spada
e questa
destra; ed or per lei vedrassi
il Panaro
gonfiarsi, e in atto strano
portar
soccorso al Po di sangue umano. -
53
Sorrise
Palla, ma con occhio bieco
rimirollo
Vulcan ch'era in disparte;
e disse: -
Empio sicario, adunque meco
comune il
letto avrai per ricrearte?
E Giove
stesso accorderassi teco
nel vituperio
di sua figlia a parte?
Per Stige,
ch'io non so chi mi s'arresta
ch'io non ti
do di questo in su la testa. -
54
E strignendo
un martel ch'al fianco avea,
sollevò
il braccio, e di menar fece atto.
La manopola
allor ch'in man tenea
lanciògli
Marte, e balzò in piedi ratto
sgangherato
gridando: - Anima rea,
t'insegnerò
ben io di starti quatto. -
Giove che
vide accesa una battaglia,
stese lo
scettro e disse: - Olà, canaglia!
55
Dove credete
star? giuro a Macone
ch'io vi
gastigherò di tanto ardire;
venga il
fulmine tosto. - E l'Aquilone
il fulmine
arrecògli in questo dire.
Vulcan tratto
a' suoi piedi in ginocchione
chiedea
mercede e intiepidiva l'ire
lagrimando i
suoi casi e l'empia sorte,
ma piú
l'infedeltà de la consorte.
56
Citerea, che
si vide a mal partito,
per una
porticella di nascosto
da lo sdegno
del padre e del marito,
mentre questi
piagnea, s'involò tosto:
e dietro a
lei senza aspettar invito
corsero il
Dio de l'armi e 'l Dio del mosto;
ella in terra
con lor prese la via,
e in mezzo a
lor dormí su l'osteria.
57
Gli abbracciamenti,
i baci e i colpi lieti
tace la casta
Musa e vergognosa;
da la
congiunzion di que' pianeti
ritorce il
plettro e di cantar non osa:
mormora sol
fra sé detti segreti,
ch'al fuggir
de la notte umida ombrosa
fatto avean
Marte e 'l giovane tebano
trenta volte
cornuto il dio Vulcano.
58
L'oste di
Castelfranco un gran pollaio
con uova
fresche avea quanto la rena;
ne bebbero i
due amanti un centinaio,
che
smidollata si sentian la schiena:
ma la Diva ne
volle solo un paio,
che d'altro
forse avea la pancia piena.
La Diva, per
non dar di sé sospetto,
presa la
forma avea d'un giovinetto.
59
Di candido
ermesin tutto trinciato
sopra seta
vermiglia, era vestita,
con un
colletto bianco profumato,
calzetta
bianca e cinta colorita:
di bianco il
piè leggiadro era calzato;
non si potea
veder piú bella vita;
un pugnaletto
d'or cingeva al fianco,
e nel
cappello un pennacchietto bianco.
60
Ma l'oste
ch'era guercio e Bolognese,
tanto peggio
stimò ne' suoi concetti
quando
corcarsi in terzo egli comprese
l'amoroso
garzon fra tanti letti.
Sgombrarono
gli Dei tosto il paese,
che di colui
conobbero i sospetti,
temendo che
'l fellon con falso indizio
non gli
accusasse quivi al Malefizio.
61
A Modana
passâr quella mattina,
e ritrovâr
che vi si fea gran festa:
un palio di
teletta cremesina
correasi a
fiori d'or tutta contesta.
Vedendo
quella gente pellegrina,
ognuno a gara
ne facea richiesta;
e molti li
tenean per recitanti
venuti a
preparar comedie inanti.
62
Dicean che
Marte il Capitan Cardone,
e Bacco esser
dovea l'innamorato,
e quel vago
leggiadro e bel garzone
esser a far
da donna ammaestrato.
Cosí alle
volte ancor fuor di ragione
si tocca il
punto; e molti han profetato
che si
credean di favellare a caso:
la sorte ed
il saper stanno in un vaso.
63
Poscia che
passeggiata a parte a parte
ebber gli Dei
quella città fetente,
e ben
considerato il sito e l'arte
del
guerreggiare e 'l cor di quella gente,
a un'osteria
si trassero in disparte
ch'avea un
trebbian di Dio dolce e rodente,
e con capponi
e starne e quel buon vino
cenaron tutti
e tre da paladino.
64
Mentre questi
godean, da l'altro canto
Pallade e
Febo eran discesi in terra;
e concitando
gían Bologna intanto
e le
città de la Romagna in guerra.
Quanto
è dal Reno al Rubicone, e quanto
tra 'l monte
e 'l mar quivi s'estende e serra,
s'unisce con
Bologna e s'apparecchia
di gir con
l'armi a racquistar la Secchia.
65
L'intesero
gli amanti, e a la difesa
prepararono
anch'essi i lor vassalli:
Bacco
chiamò i Tedeschi a quell'impresa,
e andò
fin in Germania ad invitalli.
Essi
quand'ebber la sua voglia intesa,
in un momento
armar fanti e cavalli,
benedicendo
ottobre e San Martino,
e sperando
notar tutti nel vino.
66
Marte
restò in Italia a preparare
la milizia di
Parma e di Cremona;
Venere disse
che volea tentare
di far venir
un Re quivi in persona;
e passando
dov'Arno ha foce in mare,
si fe' da le
Nereidi a la Gorgona
portar, e
quindi a l'isola de' Sardi
ricca di
cacio e d'uomini bugiardi.
ARGOMENTO
Venere accende a l'armi il Re de' Sardi.
Ragunano lor forze i Gemignani:
s'uniscono co 'l Potta i tre
stendardi,
Tedeschi, Cremonesi e Parmigiani.
Passa il Re con piú popoli gagliardi
l'alpi, e discende a guerreggiar ne'
piani:
e 'l Potta il campo contra a quei dal
Sipa
del Panaro tragitta a l'altra ripa.
1
Era
tranquillo il mar, sereno il cielo,
taceva l'onda
e riposava il vento;
e ingemmata
di fior, sparsa di gelo,
l'alba sorgea
dal liquido elemento,
e squarciava
a la notte il fosco velo
stellato di
celeste e vivo argento:
quando la Dea
con amorose larve
ad Enzio re
nel fin del sonno apparve.
2
E 'n lui
mirando: - O generoso figlio
di Federico,
onor de l'armi, disse,
l'italiche
città vanno a scompiglio,
tornansi a
incrudelir l'antiche risse:
Modana sovra
l'altre è in gran periglio,
che fida
sempre al Sacro Imperio visse:
e tu qui
dormi in mezzo 'l mar nascoso?
Déstati e
prendi l'armi, uom neghittoso.
3
Va' in aiuto
de' tuoi, ché t'apparecchia
nuova fortuna
il ciel non preveduta:
tu salverai
quella famosa Secchia
che con tanto
valor fia combattuta,
che giornata
campal nuova né vecchia
non
sarà stata mai la piú temuta:
Modana
vincerà, ma con fatica,
e tu entrerai
ne la città nemica.
4
Quivi d'una
donzella acceso il core
ti fia, la
piú gentil di questa etade
che sí t'infiammerà
d'occulto ardore
che ti
farà languir di sua beltade;
al fin godrai
del suo felice amore,
e 'l nobil
seme tuo quella cittade
reggerà
poscia, e riputato fia
la gloria e
lo splendor di Lombardia. -
5
Qui sparve il
sonno e s'involò repente
da le luci
del Re la Dea d'amore:
ei
mirò le finestre, e in oriente
biancheggiar
vide il mattutino albore;
chiese tosto
i vestiti, e impaziente
si
lanciò de le piume; e tratta fuore
la spada
ch'avea dietro al capezzale,
menò
un colpo e ferí su l'orinale.
6
Quel fe' tre
balzi, e in cento pezzi rotto
cadde con la
coperta cremesina;
con lunga
riga fuor sparsa di botto
per la stanza
del Re corse l'orina.
Fe' in tanto
un paggio de la guardia motto
ch'era giunto
un corrier da la marina
col segno de l'Imperio
e la patente,
onde fu fatto
entrar subitamente.
7
Scrivea da
Spira Federico al figlio
che subito
mandasse armi in difesa
di Modana,
che posta era in periglio
per nuova
guerra in quelle parti accesa.
Letta la
carta il Re prese consiglio
d'andar egli
in persona a quell'impresa,
e tosto
armò d'amici e di vassalli
sovra 'l lito
pisan fanti e cavalli.
8
A Modana fra
tanto era arrivato
l'aviso, che
già 'l conte di Nebrona
con seicento
cavalli avea passato
l'Alpi, e
s'unía con l'armi di Cremona.
Questi da
Federico era mandato,
non potendo
venir egli in persona:
gran baron de
l'Imperio e lancia rotta,
e nemico
mortal de l'acqua cotta.
9
Da l'altra
parte era venuta nuova
ch'in armi si
mettea tutta Romagna;
onde
deliberâr d'uscir di cova
i Modanesi armati
a la campagna,
e far di sé
qualche onorata prova
col soccorso
d'Italia e d'Alemagna.
Lasciâr le
feste, e tutte le lor posse
furon da
varie parti a un tempo mosse,
10
con ordin che
dovesse il giorno sesto
al prato de'
Grassoni esser ridotta
da i capi lor
tutta la gente a sesto,
e l'insegna
aspettar quivi del Potta.
Musa, tu che
scrivesti in un digesto
que' nomi
eccelsi e le lor prove allotta,
dammene or
copia acciò che nel mio canto
i pronepoti
lor n'odano il vanto.
11
Il Prato de'
Grassoni a destra mano
dal ponte del
Panaro era distante
quanto un
arco potria tirar lontano,
e quivi ognun
dovea fermar le piante.
Chi dal monte
il dí sesto, e chi dal piano
dispiegò
le bandiere in un istante;
e 'l primo
ch'apparisse a la campagna
fu il conte
de la Rocca di Culagna.
12
Quest'era un
cavalier bravo e galante,
filosofo
poeta e bacchettone
ch'era fuor
de' perigli un Sacripante,
ma ne'
perigli un pezzo di polmone.
Spesso
ammazzato avea qualche gigante,
e si scopriva
poi ch'era un cappone,
onde i fanciulli
dietro di lontano
gli soleano
gridar: - Viva Martano. -
13
Avea ducento
scrocchi in una schiera,
mangiati da
la fame e pidocchiosi;
ma egli dicea
ch'eran duo mila e ch'era
una falange
d'uomini famosi:
dipinto avea
un pavon ne la bandiera
con ricami di
seta e d'or pomposi:
l'armatura
d'argento e molto adorna;
e in testa un
gran cimier di piume e corna.
14
Fu Irneo di
Montecuccoli il secondo,
figliolo del
signor di Montalbano,
giovane
disdegnoso e furibondo,
e di lingua e
di cor pronto e di mano;
a carte e a
dadi avría giucato il mondo,
e bestemmiava
Dio com'un marrano:
buon compagno
nel resto e senza pecche,
distruggitor
de le castagne secche.
15
Settecento
soldati ei conducea
da le terre
del padre e de' parenti;
ne lo stendardo
un Mongibello avea
che vomitava
al ciel faville ardenti.
L'onor de la
famiglia di Rodea,
Attolino, il
seguía con le sue genti,
a cui
l'Imperator de' regni greci
cinta la
spada avea con altri dieci.
16
Da Rodea, da
Magreda e Castelvecchio
conduceva
costui trecento fanti
con sí
leggiadro e nobile apparecchio
che parean
tutti cavalieri erranti:
su 'l cimier
per impresa avea uno specchio
cinto di
piume ignote e stravaganti.
E dopo lui fu
vista una bandiera
su gli argini
venir de la riviera.
17
Le ville de
la Motta e del Cavezzo,
Camposanto,
Solara e Malcantone
quivi
raccolto avean la feccia e 'l lezzo
d'ogn'omicida
rio, d'ogni ladrone;
quel clima
par da fiera stella avezzo
a morire o di
forca o di prigione:
fur
cinquecento, usati al caldo, al gielo,
a l'inculta
foresta, al nudo cielo.
18
Da Camillo
del Forno eran guidati
uom temerario
e sprezzator di morte,
di semplice
vermiglio avea segnati
il suo
stendardo e l'armatura forte;
non portava
cimier né fregi aurati,
né divisa o color
d'alcuna sorte,
fuor che
vermiglio; e sovra la sua gente
con nera e
folta barba era eminente.
19
La gente che
solcar soleva l'onda
e or solca il
letto del gran fiume estinto,
e quella dove
cade e si profonda
il Panaro
diviso e 'n dietro spinto,
lasciâr le
barche e i remi in su la sponda;
e mosse da
guerrier nobile instinto,
quivi
s'appresentar con lance e spiedi,
cento a
cavallo e novecento a piedi.
20
Per capitani
avean due schiericati
l'arciprete
Guidoni e 'l frate Bravi;
che dianzi
per ribelli ambo cacciati
avean con una
man d'uomini pravi
la Stellata e
'l Bonden poscia occupati,
e 'l transito
al Final chiuso a le navi.
Or rimessi
venían con queste schiere,
in abito di
guerra, in armi nere.
21
Alderan
Cimicelli e Grazio Monte
seguían dopo costoro
a mano a mano;
la Staggia
l'uno e la Verdeta ha pronte,
quei di
Roncaglia ha l'altro e di Panzano:
il destrier
che portò Bellorofonte
già in
alto, Grazio, e un argano Alderano
ne le
bandiere lor spiegano al vento:
e i soldati
fra tutti eran secento.
22
San Felice,
Midolla e Camurana,
secento a
piedi e ottanta erano in sella;
Nerazio
Bianchi e Tomasin Fontana
gli
conduceano a la tenzon novella:
Tomasin per
insegna avea una rana
armata con la
spada e la rotella;
Nerazio, che
reggea quei da cavallo,
avea una
mezza luna in campo giallo.
23
S'armò
dopo costor quella riviera
che da
Bomporto a la Bastía si stende;
povera gente,
ma superba e altera,
che 'n terra
e 'n acqua a provecchiarsi attende.
Fur
quattrocento; e ne la lor bandiera,
che di vermiglio
e d'or tutta risplende,
ritratto avea
un gonfietto da pallone
Bagarotto,
figliol di Rarabone.
24
Il sagace
Claretto era con esso,
ch'acceso di
Dogna Anna di Granata
giunt'era
tutt'afflitto il giorno stesso
che un
genovese gli l'avea rubata.
Gli ne fu
dato a Parma indizio espresso
che l'avrebbe
a Bomporto ritrovata;
ma quivi
giunto ne perdé i vestigi,
e
bestemmiò sessanta frati bigi.
25
Entrò
ne l'osteria per rinfrescarsi
e
ritrovò che Bagarotto a sorte
raccogliea
quivi i suoi soldati sparsi,
e d'armi
intorno cinte eran le porte.
Corsero l'uno
e l'altro ad abbracciarsi,
ch'erano
stati amici a la gran Corte,
e l'uno e
l'altro le speranze grame
avean
lasciate a i morti de la fame.
26
Narrò
Claretto del suo nuovo ardore
la lunga scena
e l'intricati effetti;
con quanti
scherni in varie forme Amore
già
tutti i suoi rivali avea negletti;
e com'or ei
perdea per piú dolore
la donna sua
nel colmo de' diletti.
Sorrise
Bagarotto e disse: - Frate,
tu sciorini
ogni dí nuove scappate.
27
Vieni meco a
la guerra, e lascia andare
cotesti amori
tuoi da scioperato:
la fama non
s'acquista a vagheggiare
un viso di
bertuccia immascherato. -
Claretto non
istette a replicare,
ché gli venne
desio d'esser soldato;
prese una
picca e si scordò di bere:
ma
ricordiamci noi de l'altre schiere.
28
Cittanova
spiegâr, Fredo e Cognento,
Piramo e
Tisbe morti a piè del moro:
esser potean
costor da quattrocento,
e 'l furiero
Manzol fu il duca loro,
giovane
d'alto e nobile talento,
a cui cedean
l'Agilità e 'l Decoro
nel ballar la
nizzarda e la canaria
e nel tagliar
le capriole in aria.
29
Quasi a un
tempo arrivar da un altro lato
Villavara,
Albareto e Navicelli;
eran trecento
e conduceagli al prato
il fiero
zoppo d'Ugolin Novelli:
dipinto ha ne
l'insegna un ciel turbato
che piove
sovra un campo di baccelli.
Indi venían
tra lor correndo a gara
quei del
Corleto e quei di Bazzovara:
30
Corleto
emulator di Grevalcore
ch'Augusto
nominò dal cor giocondo
quel dí che
fu d'Antonio vincitore,
onde poscia
con lui divise il mondo;
e Bazzovara
or campo di sudore
che fu d'armi
e d'amor campo fecondo,
là
dove il Labadin persona accorta
fe' il
beverone a la sua vacca morta.
31
Eran guidati
dal dottor Masello,
ch'avea
lasciato i libri a la ventura,
e s'era armato
che parea un Marcello,
con la giubba
a l'antica e l'armatura:
portava per
impresa un ravanello
con la
sementa d'or grande e matura;
e dietro a
lui venían quei di Rubiera
e di
Marzaglia armati in una schiera.
32
Bertoldo
Grillenzon li conducea,
gran giucator
di spada e lottatore;
ne la
bandiera un materasso avea
che sdrucito
spargea la lana fuore.
Questa
schiera de l'altra esser potea
se non
uguale, almen poco maggiore;
giugneano a
punto al numero di mille
gli armati
abitator di quattro ville.
33
Galvan
Castaldi e Franceschin Murano
l'insegne di
Porcile e del Montale
e le di
Cadiana e di Mugnano
uniro a
l'Osteria de le due scale.
Trecento con
le ronche avea Galvano;
l'altro di
picche avea numero eguale:
l'impresa di
Galvano è una stadera;
Franceschino
ha una gazza bianca e nera.
34
Ecco Alberto
Boschetti in sella armato,
conte di San
Cesario e di Bazzano;
ch'avendo
poco pria quindi cacciato
il presidio
nemico e 'l capitano,
s'era fatto
signor di quello stato
col valor de la fronte e de la mano;
ed or di
questi e d'altri suoi vassalli
per forza
armati avea cento cavalli.
35
Pomposo viene
e ne lo scudo porta
a onor di san
Lorenzo una gradella:
la lancia in
mano e al fianco avea la storta
tutta la
schiera sua leggiadra e bella.
Una volpe che
fa la gatta morta
spiegano
Collegara e Corticella
che Bernardo
Calori avea condotte,
trecento o
poco piú tagliaricotte.
36
Due figli
avea Rangon d'alto valore,
Gherardo il
forte e Giacopin l'astuto;
Gherardo che
d'etade era il maggiore
e 'n piú
sublime grado era venuto,
de le genti
paterne avea l'onore
e 'l governo
al fratel quivi ceduto;
ond'egli se
'n venía portando altero
una
conchiglia d'or sovra il cimiero.
37
Spilimberto,
Vignola e Savignano,
Castelnovo e
Campiglio in assemblea,
Ceiano e
Guia, Montorsolo e Marano,
con quei di
Malatigna armati avea.
Cento a caval
con le zagaglie in mano
e mille fanti
arcieri ei conducea,
ch'avean con
agli e porri e cipollette
avvelenati i
ferri a le saette.
38
Mentre questi
giugnean dal destro lato,
già
dal sinistro in campo era venuto
di
Prendiparte Pichi il figlio armato
col fior de
la Mirandola in aiuto:
fu Galeotto
il giovane nomato
per tutta
Italia allor noto e temuto;
e cento
cavalier carchi di maglia
sotto
l'impresa avea d'una tenaglia.
39
Campogaiano
poscia e San Martino
mandaron
cinquecento a la pedestre,
ch'aveano per
insegna un saracino
e armati eran
di ronche e di balestre:
Mauro Ruberti
ne tenea il domíno
sovrastante
maggior de le minestre;
vo' dir che
de le bocche avea la taglia
e dovea
compartir la vittovaglia.
40
Zaccaria
Tosabecchi allor reggea
di Carpi il
freno, uom vecchio e podagroso
a cui
l'età il vigor scemato avea
ma non lo
spirto altero e bellicoso.
Una figlia al
morir gli succedea
che 'l conte di
Solera avea per sposo,
zerbin de la
contrada e falimbello,
di Manfredi
cugin, detto Leonello.
41
Venne al
vecchio desío d'esser quel giorno
in campo, e
armò pedoni e cavalieri,
e una lettiga
fe' senza soggiorno
che portavano
a man quattro staffieri:
laminata di
ferro era d'intorno,
e si potea
assettar su due destrieri;
una tal
poscia forte a maraviglia
ne fece il
Contestabil di Castiglia;
42
e in Borgogna
l'usò contra i moschetti
del bellicoso
re de' fieri Galli.
Zaccaria
venne con ducento eletti,
parte asini
col fren, parte cavalli,
ma i pedoni a
tardar furon costretti
ché 'l conte,
che dovea tutti guidalli,
lasciò
il suocero andar per la piú corta
e
restò con la sposa a far la torta.
43
Zaccaria, che
si vide abbandonato
dal genero, partí
subito i fanti,
e
quattrocento al cavalier Brusato
e a Guido
Coccapan dienne altrettanti.
Il Cavalier
un elefante alato
ha
nell'insegna: e Guido ha due giganti
che giocano a
le noci: il vecchio ha un gatto
che insidia
un topo e stassi quatto quatto.
44
Quelli poi di
Formigine e Fiorano,
dove nascono
fichi in copia grande,
sono
trecento, e Uberto Petrezzano
gli guida, e
ne l'insegna un orco spande.
Baiamonte con
lui di Livizzano
quasi a un
tempo arrivò con le sue bande,
ducento fur
con partigiane in spalla;
e la bandiera
avean turchina e gialla.
45
Appresso
d'Uguccion di Castelvetro
l'insegna
apparve ch'era un cardo bianco.
Trecento
balestrier le tenean dietro
ch'avean
bolzoni e mazzafrustri al fianco.
Da Gorzan,
Maranello e da Ceretro
de' famosi Grisolfi
il buon Lanfranco
tratti avea
cinquecento in una schiera,
e portava un
frullon ne la bandiera;
46
onde la
Crusca poi gli mosse lite
che fu
rimessa al tribunal romano.
Con l'impresa
d'un pero e d'una vite
Stefano e
Ghin de' conti di Fogliano
avean con
l'armi foglianese unite
quelle di
Montezibio e di Varano,
ch'eran
ducento ottanta martorelli,
unti e
bisunti che parean porcelli.
47
Ma dove
lascio di Sassol la gente
che suol de
l'uve far nettare a Giove,
là
dove è il dí piú bello e piú lucente,
là
dove il ciel tutte le grazie piove?
quella terra
d'amor, di gloria ardente,
madre di
ciò ch'è piú pregiato altrove,
mandò
cento cavalli, e intorno a mille
fanti
raccolti da sue amene ville.
48
Roldano de la
Rosa è il duca loro
ch'un tempo
guerreggiando in Palestina
contra 'l
campo d'Egitto e contra 'l Moro
fe' del
sangue pagan strage e ruina;
sparsa di
rose e di fiammelle d'oro
avea
l'insegna azzurra e purpurina;
e dietro a
lui venía poco lontano
Folco Cesio
signor di Pompeiano;
49
Pompeiano ove
suol l'aura amorosa
struggere il
giel di que' nevosi monti;
Gommola e
Palaveggio a la famosa
donna del
seggio lor chinan le fronti.
Sotto
l'insegna avea d'una spinosa
Folco
raccolti de' piú arditi e pronti
trecento, che
su zoccoli ferrati
se ne venían
di chiaverine armati.
50
E quel ch'era
mirabile a vedere,
cinquanta
donne lor con gli archi in mano
avezze al
bosco a saettar le fiere,
e a colpir da
vicino e da lontano,
succinte in
gonna e faretrate arciere,
calavano con
lor dal monte al piano;
e la chioma
bizarra e ad arte incolta
ondeggiando
su 'l tergo iva disciolta.
51
Bruno di
Cervarola avea il domíno
di quella
terra e del vicin paese
di Moran, del
Pigneto e di Saltino;
uom vago di
litigi e di contese.
Con ducento
suoi sgherri entrò in cammino
subito che de
l'armi il suono intese;
e perch'era
un cervel fatto a capriccio,
portava per
impresa un pagliariccio.
52
Di Bianca
Pagliarola innamorato
fatte avea
già per lei prove diverse;
e a lei che
gli arse il cor duro e gelato
sempre di sue
vittorie il premio offerse:
or additando
il suo pensier celato
un
pagliariccio in campo bianco aperse,
ch'in mezzo
un telo avea fatto di maglia
e mostrava
nel cor la bianca paglia.
53
Appresso gli
venía Mombarranzone
col suo
signor Ranier, che di Pregnano
reggea la
nuova gente e 'l gonfalone
che mandato
gli avea Castellarano;
cinquanta con
le natiche in arcione,
e
quattrocento gían battendo il piano
con le scarpe
sdrucite e senza suola;
la loro
insegna è un bufalo che vola.
54
Brandola,
Ligurciano e Moncereto
conduceva
Scardin Capodibue,
ch'un diavolo
stizzato in un canneto
dipinto avea
ne le bandiere sue.
Col cimiero
di lauro e mirto e aneto
il signor di
Pazzan dietro gli fue,
che pretendea
gran vena in poesia,
né il meschin
s'accorgea ch'era pazzia.
55
Alessio era
il suo nome, e 'n sesta rima
composto avea
l'amor di Drusiana ;
nel resto fu
baron di molta stima,
e seco avea
Farneda e Montagnana.
Questa gente
contata con la prima,
non era da
giostrare a la quintana:
eran da cinquecento
ferraguti
di rampiconi
armati e pali acuti.
56
Di Veriga e
Bison l'insegna al vento,
ch'era in
campo azzurrino un sanguinaccio,
spiega Pancin
Grassetti, e quattrocento
fanti conduce
a suon di campanaccio:
ma piú di
questi ne mandaron cento
Montombraro,
Festato e 'l Gainaccio,
con l'impresa
d'un asino su un pero,
e Artimedor
Masetti è il condottiero.
57
Taddeo
Sertorio, di Castel d'Aiano
conte e
fratel di Monaca la bella,
conducea
Montetortore e Misano,
dove fu la
gran fuga, e la Rosella,
con archi e
spiedi porcherecci in mano,
spiegando in
campo bianco una padella;
trecento fur
che quelle vie ronchiose
con le piante
premean dure e callose.
58
Seguiva di
Monforte e di Montese,
Montespecchio
e Trentin poscia l'insegna:
Gualtier
figliuol di Paganel Cortese
l'avea
dipinta d'una porca pregna;
fur
quattrocento, e parte al tergo appese
accette avean
da far nel bosco legna,
parte forconi
in spalla, e parte mazze
e pelli
d'orsi in cambio di corazze.
59
Il conte di
Miceno era un signore
fratel del
Potta a Modana venuto,
dove invaghí
sí ognun del suo valore
che a viva
forza poi fu ritenuto:
non avea la
milizia uom di piú core,
né piú bravo
di lui né piú temuto:
corseggiò
un tempo il mar, poscia fu duce
in Francia: e
nominato era Voluce.
60
Gli
donò la città per ritenerlo
Miceno,
Monfestin, Salto e Trignano,
e Ranocchio e
Lavacchio e Montemerlo,
Sassomolato,
Riva e Disenzano:
un san
Giorgio parea proprio a vederlo,
armato a
piè con una picca in mano;
con ottocento
fanti al campo venne
con armi bianche
e un gran cimier di penne.
61
Panfilo Sassi
e Niccolò Adelardi
co'
Frignanesi lor seguiro appresso,
di concerto
spiegando i due stendardi
di Sestola e
Fanano a un tempo stesso;
l'uno ha tre
monti in aria e 'l motto tardi ,
l'altro nel
mar dipinto un arcipresso,
con l'uno
è Sassorosso, Olina e Acquaro;
Roccascaglia
con l'altro e Castellaro.
62
Eran mille
fra tutti. E dopo loro
venía una
gente indomita e silvestra;
San
Pellegrino, e giú fino a Pianoro
tutto il
girar di quella parte alpestra
dove sparge
il Dragone arena d'oro
a sinistra, e
'l Panaro ha il fonte a destra,
Redonelato e
Pelago e la Pieve
e Sant'Andrea
che padre è de la neve;
63
Fiumalbo e
Bucasol terre del vento,
Magrignan,
Montecreto e Cestellino;
esser potean da
mille e quatrocento
gl'inculti
abitator de l'Apennino:
Apennin
ch'alza sí la fronte e 'l mento
a vagheggiare
il ciel quindi vicino,
che le selve
del crin nevose e folte
servon di
scopa a le stellate volte.
64
Tutti a piedi
venían con gli stivali,
armati di
balestre a martinelle
che facevano
colpi aspri e mortali
e passavano i
giacchi e le rotelle:
pelliccioni
di lupi e di cinghiali
eran le vesti
lor pompose e belle;
spadacce al
fianco aveano e stocchi antichi,
e cappelline
in testa e pappafichi.
65
Ma chi fu il
duce de l'alpina schiera?
Fu Ramberto
Balugola il feroce
che portava
un fanciul ne la bandiera
che faceva a
un Giudeo baciar la croce.
Con armatura
rugginosa e nera
e piume in
testa di color di noce
venía superbo
a passi lunghi e tardi,
con una scure
in collo e in man tre dardi.
66
Da Ronchi lo
seguía poco lontano
Morovico
signor di quella terra:
Palagano e
Moccogno e Castrignano
guidava, e
quei di Santa Giulia in guerra.
Da
quattrocento con spuntoni in mano
co' piedi lor
calcavano la terra
dietro a
l'insegna d'una barca a vela,
e cantando
venían la fa-li-le-la .
67
Un giovinetto
di superbo core
che di sua
fresca etade in su 'l mattino
non avea
ancor segnato il primo fiore
del primo
pel, nomato Valentino,
avea dipinto
addormentato Amore,
e Medola
reggea, Montefiorino,
Mursian,
Rubbian, Massa e Povello,
Vedriola e de
l'Oche il gran castello.
68
Di
giavellotti armati e gianettoni,
di panciere e
di targhe eran costoro,
con
martingale e certi lor saioni
che chiamavano
i sassi a concistoro.
Sotto le
scarpe avean tanti tacconi,
che parea il
campo d'Agramante moro
che in
zoccoli marciasse a lume spento;
e non erano
piú che cinquecento.
69
Poiché la
fanteria de la montagna
fu veduta
passar di schiera in schiera,
il Potta fece
anch'egli a la campagna
uscir la
gente sua ch'armata s'era.
E già
quella di Parma e d'Alemagna
e di Cremona
giunta era la sera
da la parte
del Po, per la fatica
che da Reggio
temea, città nemica.
70
In Garfagnana
intanto avea intimato
a' cinque
capitan de le bandiere
che non
uscisser pria di quello stato
che vi
giungesse il Re con le sue schiere:
però
ch'anch'ei da Lucca avea mandato
a fare in
fretta a la città sapere
ch'ei venía
quindi, e domandava gente
da potersi
condur sicuramente.
71
E 'l giorno
che seguí, posto in cammino
per la
diritta via di Gallicano,
tra le coste
passò de l'Apennino
e discese al
Padul giú dal Frignano;
era con lui
Vetidio Carandino
con la
bandiera di Camporeggiano,
dove egli
avea dipinta una civetta
che portava
nel becco una scopetta.
72
Quella di
Castelnovo, ov'era un Santo
con le man
giunte lavorato a scacchi,
seguía per
retroguardia indietro alquanto
sotto la
guida di Simon Bertacchi.
Quivi
l'arredo regio è tutto quanto,
quivi veníeno
i servitori stracchi
e quei che 'l
vin di Lucca avea arrestati,
per some in
su le some addormentati.
73
Ma le due di
Soraggio e di Sillano
da Otton
Campora l'una era guidata,
l'altra da
Jaconia di Ponzio Urbano,
che porta una
fascina incoronata.
La stella
mattutina il Camporano
con una
cuffia rossa ha figurata:
E queste
quattro avean sei volte mille
fanti
raccolti da sessanta ville.
74
Ma trecento
cavalli avea la quinta
guidata da
Pandolfo Bellincino,
ove in campo
dorato era dipinta
la figura
gentil d'un babuino.
I cavalieri
avean la spada cinta,
attaccato a
l'arcione un balestrino,
lo scudo in
braccio e in mano una zagaglia;
e gíano a
destra man de la battaglia.
75
Però
che quindi anch'essi i Fiorentini
armatisi in
favor de' Bolognesi
costeggiando
venían cosí vicini
che poteano i
men cauti esser offesi.
Il Re seimila
fanti ghibellini,
sardi,
pisani, liguri e lucchesi
e due mila
cavalli avea con lui,
svevi e
tedeschi e parteggiani sui.
76
Intanto il
Potta le sue genti avea
divise in
terzo, e 'l buon Manfredi avanti
con due mila
cavalli in assemblea
se 'n giva, e
dopo lui veníano i fanti.
Eran
dodicimila e gli reggea
Gherardo, che
ne gli atti e ne' sembianti
parea un
volpon che conducesse i figli
a dar
l'assalto a un branco di conigli.
77
La terza schiera
fu di poche genti,
ma piena
d'ogni machina murale
e di que' piú
terribili instrumenti
che gli
antichi trovâr per far del male.
L'architetto
maggior de' ferramenti
Pasquin
Ferrari, gran zucca da sale,
la conducea
con mille balestrieri
e cento carri
e ventidue ingegneri.
78
Non si
fermò ne l'arrivare al ponte
il Potta, ma
passò di là da l'onda,
e dietro a
lui tutte le schiere conte
si condussero
in fretta a l'altra sponda:
quivi secento
a piè con l'armi pronte
trovar, da la
fruttifera e feconda
Nonantola
venuti, e dal vicino
contado di
Stuffione e Ravarino.
79
Gli conducean
due cavalier novelli
con armi e
piume di color di gigli,
Beltrando e
Gherardino, i due gemelli
che de la
bella Molza erano figli.
Era l'impresa
lor due fegatelli
con la veste a
quartier bianchi e vermigli,
le tramezze
di lauro e le frontiere:
e queste
ultime fur di tante schiere.
ARGOMENTO
Mentre dal Potta Castelfranco
è stretto,
Rubiera assalta il popolo reggiano.
Parte dal campo a quell'impresa
eletto
Gherardo, e se ne va notturno e
piano.
Muove assalto a la terra, onde
costretto
da la fame si parte il capitano.
Cadono i valorosi; e gli altri a
patto
fan de la vita lor vile riscatto.
1
Poiché fu
sorto in su la destra riva,
si
fermò il campo e s'ordinâr le schiere;
ne gli
usberghi lucenti il sol feriva
e ne traeva
fuor lampi e lumiere:
un venticel
che di ponente usciva
facea
ondeggiar le piume e le bandiere:
e per le rive
intorno e per le valli
romoreggiava
il ciel d'armi e cavalli.
2
Il Potta, ch'era
un uom molto eloquente
e solito a
salir spesso in ringhiera,
montato sopra
un argine eminente
che divideva
i campi e la riviera,
cinto di
capitani e nobil gente,
co 'l capo
disarmato e la montiera,
cosí parlava
al popolo feroce
con magnanimi
gesti e altera voce:
3
- O vero seme
del valor latino,
ben aveste
l'altrier da Federico
un privilegio
in foglio pecorino,
che vi ridona
il territorio antico
che terminava
già sopra 'l Lavino:
ma il
donativo suo non vale un fico,
se con
quest'armi che portiamo a canto
non ne
pigliamo noi possesso in tanto.
4
Sol
Castelfranco ne può far inciampo,
ché
rinforzato è di presidio grosso;
ma non
avrà da noi riparo o scampo,
se con
tant'armi gli giugniamo addosso:
quivi noi
fermeremo il nostro campo
contra 'l nemico
che non s'è ancor mosso;
e potremo
goder sicuri e lieti
de' beni
altrui, finché fortuna il vieti.
5
Tutte nostre
saran senza sospetti
queste ricche
campagne e questi armenti;
la salciccia,
i capponi e i tortelletti
da casa ci
verran cotti e bollenti,
e dormiremo
in quegli stessi letti
dove ora
dormon le nemiche genti:
il Re
giungerà in campo innanzi sera,
ché
già scesa dal monte è la sua schiera.
6
Ma che piú vi
trattengo o forti? Andiamo
a trar di
bizzaria questi capocchi,
leviamgli
Castelfranco; e poi vediamo
ciò
che faran con quel fuscel ne gli occhi,
ricco di
preda è quel castel, io bramo
ch'ognun ne
goda, a ciaschedun ne tocchi;
io per me
certo non ne vo' un quattrino,
e dono la mia
parte al piú meschino. -
7
Cosí dicendo
il fiero campo mosse
con tanta
fretta a la segnata impresa,
che l'inimico
a pena a tempo armosse,
per correr de
le mura a la difesa.
Subito
intorno fur cinte le fosse,
e adattate le
macchine da offesa:
al primo
colpo d'un trabucco vasto
fu arrandellato
un asino col basto.
8
La machina
mural da sé rimove
con impeto sí
fier quella bestiaccia,
che la
solleva in aria, e in piazza dove
piú turba
avea dentro il castel la caccia.
Trasecolaron
quelle genti nove
tutte, e l'un
l'altro si miraro in faccia
con le guance
di neve e 'l cor di gelo,
ch'un asino
cader vider dal cielo.
9
Era con molti
armati in quel presidio
un capitan di
poca matematica
di Casa
Bonason, detto Nasidio
perch'avea un
naso contro la prammatica:
questi
temendo un general eccidio,
subito co'
Potteschi attaccò pratica
d'uscir di
quel castel con la sua gente
se non avea
soccorso il dí seguente.
10
Fermato il
patto, il Re giunse la sera
con trombe e
fuochi e segni d'allegrezza;
ma il dí
seguente una novella fiera
converse tutto
il dolce in amarezza:
venne
correndo un messo da Rubiera
ch'aiuto
richiedea con gran prestezza
contra il
popol reggian, ch'a quella terra
mossa la
notte avea improvisa guerra.
11
Il popolo
reggian col modanese
professava
odio antico e nemicizia,
e avea contra
di lui col bolognese
piú volte
unita già la sua milizia;
ora,
dissimulando il tempo attese,
e per mostrar
la solita nequizia,
passato che
fu il Re, spinse a' suoi danni
seimila fra
soldati e saccomanni.
12
Il Re tosto
chiamar fece a consiglio
tutti gli
eroi de la città del Potta;
e poi ch'ebbe
narrato il gran periglio
ove quella
fortezza era ridotta,
rivolse a
destra mano il nobil ciglio,
dove sedea
l'onor di casa Scotta:
ed ei, poiché
fu sorto e si compose
la barba con
la man, sputò e rispose:
13
- A voi,
signor, come piú degno, tocca
sceglier fra
questi un capitano in fretta,
che vada a
liberar l'oppressa rocca
e a far su
quegli audaci aspra vendetta. -
Volea piú
dir, ma no 'l lasciò la bocca
aprir, che si
levò da la panchetta
e saltò
in mezzo il conte di Culagna
dicendo: -
V'andrò io, chi m'accompagna? -
14
Maravigliando
il Re si volse e disse:
- Chi
è costui sí ardito e baldanzoso? -
Il Potta si
guardò ch'ei no 'l sentisse,
e disse: -
Questi è un matto glorioso. -
Il Re, che avea
disio che si spedisse
a quella
impresa un capitan famoso,
rimise quella
eletta al Potta stesso
che conosceva
ognun meglio da presso.
15
Il Potta, che
sapea che i Parmegiani
eran nemici a
la tedescheria,
e ch'era un
accoppiar co' gatti i cani
se gli uni e
gli altri insieme a un tempo unía;
disegnò
di mandar contra i Reggiani
gli aiuti che
da Parma in campo avía
Giberto da
Correggio allor guidati,
tremila a
piedi e mille in sella armati.
16
Ma il carico
sovran diede a Gherardo
con cinquemila
fanti e quella schiera
ch'avea
Bertoldo sotto il suo stendardo
condotta da
Marzaglia e da Rubiera.
Ripassò
il ponte il cavalier gagliardo;
ma non giunse
a Marzaglia innanzi sera,
quivi ebbe
nuova de la terra presa,
ma che la
rocca ancor facea difesa.
17
Stettero in
dubbio i cavalier del Potta
se passavano
allor quella riviera,
o s'attendean
che fulminata e rotta
fosse dal
novo sol l'aria già nera.
Ed ecco
apparve lor su 'l fiume allotta
Marte, che
presa la sembianza fiera
di
Scalandrone da Bismanta avea,
bandito e
capitan di gente rea;
18
e inalzando
una face in su la sponda
che 'l varco
indi vicin tutto scopriva,
fe' sí che
tragittò di là da l'onda
subito il
campo a la sinistra riva.
Spirava il
vento e dibattea la fronda
sí ch'a fatica
il calpestio s'udiva.
A i capitani
allor Marte feroce
volgea lo
sguardo e la terribil voce;
19
e dicea lor:
- Venite meco, o forti,
ché
gl'inimici or vi do vinti e presi,
mentre che ne
la terra i male accorti
son quasi
tutti a depredar intesi,
aspettando
che 'l messo annunzio porti
che si sian
quelli de la rocca resi,
dove a
l'assedio in su la fossa armato
Foresto
Fontanella hanno lasciato.
20
Io la
perfidia lor patir non posso,
e vengo a
vendicarla ora con voi;
se lor
giugniamo a l'improviso addosso,
che potran
far, se fosser tutti eroi?
Gira,
Gherardo, tu a sinistra il fosso,
e chiudi il
passo co' soldati tuoi,
ch'io Giberto
e Bertoldo a piè del ponte
condurrò
cheti a l'inimico a fronte. -
21
Cosí parlava,
e Scalandrone il fiero
creduto fu da
ognun ch'era presente.
Gherardo a
manca man tenne il sentiero,
Giberto a
destra al lato di ponente,
e su gli elmi
inalzar fe' per cimiero
un segno
bianco a tutta la sua gente,
ché
già la squadra udia del Fontanella
cantar non
lungi la Rossina bella .
22
Passavan
cheti e taciturni avanti
senza ronde
scontrar né sentinelle,
quando
cessaro a l'improviso i canti
e i gridi e
gli urli andar fino a le stelle;
i cavalli
lasciaro addietro i fanti
allora, e
Marte accese due facelle,
e
illuminò cosí l'aer d'intorno
che parve
senza sol nascere il giorno.
23
Foresto, che
venir sopra si vede
gli stendardi
di Parma e di Rubiera,
si lascia
dietro anch'ei la gente a piede;
e passa
armato innanzi a la sua schiera.
Marte rimira
e Scalandrone il crede,
sprona il
cavallo e abbassa la visiera;
e 'l coglie a
punto al mezo de la pancia,
ma non sente
piegar né urtar la lancia.
24
Marte a
l'incontro al trapassar percosse
in guisa lui
d'un colpo sopramano
che gli
abbruciò la barba e 'l viso cosse,
e non parve mai
piú fedel cristiano:
ei se la
bebbe, e subito scontrosse
con Bertoldo,
ch'avea disteso al piano
col braghiero
in due pezzi Anselmo Arlotto,
grande
alchimista e in medicina dotto.
25
Ruppero
l'aste a quell'incontro fiero,
e con le
spade incominciâr la guerra.
L'animoso
Foresto avea un destriero
che non
trovava paragone in terra,
generoso di
cor, pronto e leggero;
e se
un'antica cronica non erra,
fu de la
razza di quel buon Frontino,
fatto
immortal da Monsignor Turpino.
26
Bertoldo avea
piú forza e piú fierezza,
ed era di
statura assai maggiore:
Foresto avea
piú grazia e piú destrezza,
picciolo il
corpo e grand'era 'l valore.
Ma l'uno e
l'altro fa di sua prodezza
mostra al
nemico e di suo eccelso core;
e la terra
è già tinta e inorridita
di sangue e di
bragiole e maglia trita.
27
Giberto
intanto avea rotta la lancia
nel ventre a
Gambatorta Scarlattino,
e col troncon
fatta crepar la pancia
d'un fiero
colpo a Stevanel Rossino;
quando tolse
una scure a Testarancia
figliuol di
Filippon da San Donnino,
e con essa a
due man fe' tal ruina,
che tolse il
vanto a quei de la tonnina.
28
Uccise
Braghetton da Bibianello
ch'un tempo a
Roma fece il cortigiano;
e 'l nome
v'intagliò co lo scarpello
sotto
Montecavallo a manca mano;
avea la
pancia come un carratello
e avría
bevuta la città d'Albano,
né mai
chiedeva a Dio nel suo pregare,
se non che
convertisse in vino il mare.
29
Gli divise la
pancia il colpo fiero
e una
borrachia ch'a l'arcione avea:
cadeano il
sangue e 'l vin sopra 'l sentiero,
e 'l misero
del vin piú si dolea.
l'alma
ch'usciva fuor col sangue nero
al vapor di
quel vin si ritraea:
e lieta
abbandonava il corpo grasso,
credendo
andar fra le delizie a spasso.
30
Uccise dopo
questi Alceo d'Ormondo
protonotario
e camerier d'onore
ne la corte papal,
capo del mondo
e di piú
cavalier conte e dottore;
e 'l miser
Baccarin da San Secondo
che de le
pappardelle era inventore
morto
lasciò con gli altri male accorti
sotto Rubiera
ad ingrassar quegli orti.
31
Prospero
d'Albinea, Feltrin Casola,
Marco Denaglia,
Brun da Mozzatella,
Berto da
Rondinara, Andrea Scaiola,
Stefano
Zobli, Gian da Torricella,
Guglielmo da
la Latta e Pier Mazzola
dal feroce
guerrier tratti di sella,
con Ugo Brama
e Gian Matteo Scaruffa
tutti rimaser
morti in quella zuffa.
32
A i colpi de
la forza di Giberto
gira gli
occhi Foresto; e i suoi soldati
vede da la
battaglia al campo aperto
fuggir chi
qua chi là tutti sbandati:
e temendo
restar quivi diserto,
ché cinto si
vedea da tutti i lati,
volge a
Bertoldo ed una punta abbassa,
e gli uccide
il cavallo e 'n terra il lassa:
33
e dove i suoi
fuggían da la battaglia
spronando
quel destrier che sembra un vento:
- Dunque,
gridava lor, brutta canaglia,
questo
è il vostro valore e l'ardimento?
Se non avete
tanto cor che vaglia
a sprezzar de
la morte ogni spavento
sí che
vogliate abbandonar la guerra,
ritiratevi
almen dentro la terra. -
34
Cosí disse, e
correndo in ver la porta
donde il
soccorso omai gli parea tardo,
piena la via
trovò di gente morta,
ch'ivi
già penetrato era Gherardo.
Allor
frenando l'impeto che 'l porta,
s'arresta
alquanto il giovane gagliardo,
pensando se
dovea quindi fuggire
tra l'ombre
de la notte o pur morire.
35
Spiccasi al
fine, e là dove difende
il nemico
l'uscita, entrar procaccia:
la testa a Furio
da la Coccia fende
e nel ventre
a Vivian la spada caccia:
il primo avea
il cervel fuor di calende
e l'altro era
un fanton lungo sei braccia,
l'un
nemicizia avea col sol d'agosto
e l'altro
rincaría le calde arrosto.
36
Ferí dopo
costor, con vario evento,
due
Gemignani, l'Erri e 'l Baciliero:
ne l'umbilico
l'un subito spento
cadè,
tocco d'un colpo assai leggiero:
l'altro,
ch'un'ernia avea piena di vento
né potea
camminar senza 'l braghiero,
ferito d'una
punta in quella parte,
esalò
il vento e si sanò contr'arte.
37
Giunto alfin
dove l'ultima bandiera
Forcierolo
Alberghetti avea fermata,
come che
cinta sia di gente fiera
la sforza, e
quindi a' suoi trova l'entrata;
né s'accorge
che lascia la sua schiera
tra i nemici
rinchiusa e abbandonata.
In tanto il
conte avea di San Donnino
sentito il
fiero suon del mattutino.
38
Questi era
de' Reggiani il generale,
grande di
Febo e di Bellona amico,
e stava
componendo un madrigale
quand'arrivò
l'esercito nemico.
Reggio non
ebbe mai suggetto eguale
o nel tempo
moderno o ne l'antico,
né di lui piú
stimato in pace e 'n guerra;
ed era
consiglier di Salinguerra.
39
Di
Salinguerra il poderoso dico
che tenne
già Ferrara e Francolino,
fin che fu
poi dal Papa suo nemico
sospinto fuor
del nobile domíno,
e
tornò a ripigliar lo scettro antico
il seme del
superbo Aldobrandino:
Si trova in
somma scritto in varie carte,
che 'l conte
era grand'uomo in ogni parte.
40
Tosto ch'ode
il romor, chiede da bere
a Livio suo
scudiero e l'armi chiede;
e beve in
fretta, e poi volge il bicchiere
sopra la
sottocoppa in su col piede:
s'adatta i
braccialetti e le gambiere;
s'affaccia a
la finestra; e guarda e vede
a quel romor,
senza notizia averne,
saltar di
casa ognun con le lanterne.
41
Già
avea l'usbergo, e subito s'allaccia
l'elmo con
piume candide di struzzo;
cigne la
spada e 'l forte scudo imbraccia,
e monta sopra
un nobile andaluzzo.
Gli portava
dinanzi una rondaccia
e una
balestra il sordo Malaguzzo,
era stizzato
e gli sapeva male
di non aver
finito il madrigale.
42
Giunto a la
porta e udito il gran fracasso
montò
subitamente in su le mura,
e mirò
intorno e vide giú nel basso
d'armi
coperto il ponte e la pianura,
vide i nemici
aver serrato il passo
e de' soldati
suoi l'aspra ventura,
onde pieno
d'angoscia e di dispetto
sospirò
forte e si percosse il petto.
43
E quivi a
canto a lui fatti passare
due mila
balestrier ch'in campo avea,
cominciò
l'inimico a saettare
che cacciarlo
di luogo ei si credea.
Come suol
rifuggir l'onda e tornare
fremendo nel
furor de la marea,
cosí fremea
ondeggiando e i forti scudi
opponea
l'inimico a i colpi crudi.
44
Ma non
partiva e non mutava loco:
e 'n tanto
l'alba uscía de l'oriente,
le cui
guancie di rose al sol di foco
mirando il
ciel ne divenia lucente.
Gherardo
rinfrescò la gente un poco
mutandola a'
quartieri, e al dí nascente
dal fosso a
basso e da la rocca d'alto
diede
principio a un furibondo assalto.
45
De la rocca
Bertoldo ebbe l'assunto;
Giberto a
manca man, Gherardo a destra.
Vedesi il
conte a mal partito giunto,
ch'eran finiti
il pane e la minestra:
pur mise
anch'egli i suoi soldati in punto,
e Bertoldo
dicea da una finestra:
- Ah!
Reggianelli, gente da dozzina,
l'unghie vi
resteran ne la rapina. -
46
Dove la rocca
giú nel pian scendea,
de la piazza
era il conte a la difesa:
e sbarrato di
travi il passo avea,
facendo quivi
i suoi nobil contesa.
Gherardo a
destra man forte stringea,
Giberto facea
machine da offesa,
mangani e
scale, e empía con sorda guerra
la fossa in
tanto di fascine e terra.
47
Durò il
crudele assalto infino a nona,
sin che
stancârsi e intiepidiron l'ire.
Il saggio
conte i suoi non abbandona;
ma non avea
che dargli a digerire.
Ne la rocca
serrata avean l'annona
i terrazzani
al primo suo apparire,
e tanti denti
in su l'entrar di botto
distrusser
ciò che v'era e crudo e cotto.
48
Cerca di qua,
cerca di là, né trova
cosa da farvi
un minimo disegno:
sbadiglian
tutti e fan crocette a prova,
e l'appetito
lor cresce lo sdegno.
Fatta avean
quivi una chiesetta nova
certi frati
di quei dal piè di legno:
il conte al
guardian chiese rimedio
per liberarsi
dal crudele assedio.
49
Cominciò
il frate a dir che Dio adirato
volea il
popol reggiano or gastigare:
il conte
ch'era mezzo disperato
- Padre,
dicea, non stato a predicare,
ma cercate rimedio
al nostre stato,
ch'è
notte e non abbiam di che cenare:
fateci uscir
di queste mura in pace,
e predicate
poi quanto vi piace. -
50
Il frate uscí
a trattar subito fuora,
e
ritornò con l'ultima risposta:
che se i
Reggiani andar voleano allora,
lasciasser
l'armi e andassero a lor posta.
Alcuni non
volean piú far dimora,
ma gli altri
si ridean de la proposta,
e dicean che
con l'armi era da uscire,
o da pugnar
con l'armi o da morire.
51
Onde forzato
fu di ritornare
il frate al
campo, e 'l conte a lui converso:
- Padre,
dicea, vi voglio accompagnare,
datemi una
gonella da converso. -
Il frate
gliene fece una portare
ricamata di
brodo azzurro e perso,
ch'era del
cuoco: e 'l conte se la pose,
e tutto nel
capuccio si nascose:
52
e rivoltato a'
suoi disse ch'ei giva
a procurar
anch'ei sorte migliore;
ma se 'l
nemico altier non s'ammolliva,
tentato avría
di rimaner di fuore;
e che con
nuova gente ei s'offeriva
di tornare in
soccorso in fra poche ore,
pur ch'a lor
desse il cor di mantenerse
un giorno
ancor ne le fortune avverse.
53
In suo luogo
lasciò Guido Canossa,
e non prese
arme, fuor ch'una squarcina
che nascondea
quella vestaccia grossa,
con un giacco
di maglia garzerina.
Ritrovaron
Gherardo in su la fossa,
che facea
fabricar per la mattina
contra la
porta una sbarrata grande
che chiudeva
per fronte e da le bande.
54
Quando
Gherardo vide il guardiano,
gli venne
incontro; e 'l frate gli dicea,
che troppo
duro al popolo reggiano
il partito
proposto esser parea;
ch'egli
voleva uscir con l'armi in mano,
e che nel
resto a lui si rimettea.
Gherardo
entrò in furor quand'udí questo
e disse al
frate: - Padre, io vi protesto
55
che vo' far
nuovi patti e vo' che lassi
l'armi e
l'insegne e quanto egli ha da guerra,
e ch'in farsetto
e sotto un'asta passi
a l'uscir de
la porta de la terra.
Cosí vi
giuro, e non perdete i passi
a tornar, se
'l partito non si serra;
perché vi
aggiugnerò pene piú gravi,
come son
degni i lor eccessi pravi. -
56
Il conte, che
tenea l'orecchie intente
dicendo: - A
fé non mi ci coglierai, -
s'incominciò
a scostar segretamente,
fin che si
ritrovò lontano assai.
Pregava il
guardian molt'umilmente,
ma non poté
spuntar Gherardo mai:
onde
tornò dolente al suo camino,
senz'altra
inchiesta far di fra' Stoppino.
57
Poiché
tornò confuso e sbigottito
da la fiera
risposta il guardiano,
e
narrò il tutto e che se n'era gito
il conte e
già poteva esser lontano;
si
consultò s'era miglior partito
il ritorno
aspettar del capitano,
o pur co l'armi
al ciel notturno e scuro
tentar
d'uscir de l'infelice muro.
58
Tutti lodâr
che s'aspettasse il conte;
ma quando poi
s'andò ben calculando
ch'ei non
poteva aver le genti pronte
prima che il
nuovo sol fosse ito in bando,
si torser
tutti e rincrespâr la fronte,
dicendo che
volean morir pugnando:
onde Guido
d'uscir fatto disegno,
fe' stare in
punto ognun co l'armi a segno.
59
Ma da la
rocca diè Bertoldo aviso
a Gherardo
ch'usasse estrema cura,
che mostrava
il nemico a l'improviso
voler co
l'armi uscir di quelle mura.
Preparossi
Gherardo; e su l'aviso
fé stare i
suoi soldati, e l'aria scura
rallumò
con facelle e pece ardente;
e le sbarre
piantò subitamente.
60
Ed ecco aprir
la porta e a un tempo stesso
de gli
affamati il grido e le percosse:
ma ne le
sbarre urtar ch'erano appresso;
e 'l rauco
suono e l'impeto arrestosse:
Gherardo avea
per fianco e 'n fronte messo
vari
strumenti di tremende posse:
e a colpi di
saette e pietre e dardi
stese quivi i
piú arditi e piú gagliardi.
61
Ed egli armato
a piè con una mazza
corse a le
sbarre, e a tanti diè la morte,
che se non
ritraea la turba pazza
in dietro il
piede e non chiudea le porte,
perduta
quella notte era la razza
de' soldati
da Reggio in dura sorte.
Fu de' primi
a cader Guido Canossa
in preda a i
lucci di quell'empia fossa.
62
Ma l'ardito
Foresto urta il destriero,
dove vede la
sbarra esser piú bassa;
e tratto
disperato il brando fiero
contra
Gherardo, il fère a un tempo e passa,
e dovunque al
passar drizza il sentiero,
de l'alto suo
valor vestigi lassa;
fin ch'in
sicura parte al fine arriva,
e i suoi
d'aiuto e di speranza priva.
63
L'esercito
reggian, fatto sicuro
che la forza
adoprar gli valea poco,
e veggendo il
nemico in volt'oscuro
scuoter la
porta e domandar del foco,
in fretta
rimandò fuora del muro
il guardian,
ch'ebbe a fatica loco
d'impetrar da
Gherardo alcun partito,
ch'era
già inviperato e infellonito.
64
Al fin
l'ultimo ottenne, e fu giurato
con giunta,
che chiunque a l'osteria
con modanese
alcun fosse alloggiato
di quello
stuol che di Rubiera uscía,
a trargli per
onor fosse ubbligato
scarpe o
stivali o s'altro in piedi avía;
indi fu
aperto un picciolo sportello,
d'onde
uscivano i vinti in giubberello.
65
Marte, che la
sembianza ancor tenea
di
Scalandron, per onorar la festa,
stando a la
picca, ove al passar dovea
chinar il
vinto la superba testa,
dava a
ciascun, nel trapassar che fea
sotto
quell'asta, un scappellotto a sesta:
cosí fino a
l'aurora ad uno ad uno
andò
passando il popolo digiuno.
66
Poi che tutti
passâr, Marte disparve
lasciand'ognun
di meraviglia muto.
Stupiva il
vincitor che le sue larve
conoscer non
avea prima saputo:
stupiva il
vinto, poi che 'l sole apparve
cinto di
luce, e che si fu avveduto
con onta sua
che le picchiate ladre
a tutti fatte
avean le teste quadre.
67
Sotto Rubiera
si trattenne alquanto
Gherardo, e
riposar le genti feo,
onorando quel
dí sacrato al Santo
Apostolo
divin Bartolomeo;
e de le
spoglie de' nemici in tanto
su la riva di
Secchia alzò un trofeo,
quando
volgendo il sol dal mezzo giorno
eccoti un
messaggier sonando un corno;
68
e narra
ch'attaccata è la battaglia
tra il Re de'
Sardi e le città nemiche,
ch'in campo
conducean tanta canaglia
che non ha
tante mosche Apuglia o spiche;
e lo prega
d'aiuto, e che gli caglia
del gran
periglio de le schiere amiche.
Trenta peli
di rabbia allor strapposse
Gherardo, e
bestemmiando il campo mosse.
ARGOMENTO
È preso Castelfranco: e con
auspici
poco fausti a Bologna il Nunzio
giunto,
de' Bolognesi e de' paesi amici
vede marciar l'esercito congiunto,
che 'l dí seguente addosso a
gl'inimici
giunge improviso e di battaglia in
punto.
E 'l Potta anch'ei da l'espugnate
mura
tragge e schiera il suo campo a la
pianura.
1
Già il
termine prescritto era passato,
né la piazza
Nasidio ancor rendea,
da
contrasegni e lettere avisato
che
l'esercito amico uscir dovea.
Il Potta, che
si vide esser gabbato,
ne
consultò col Re vendetta rea:
e l'alba era
ancor dubbia e 'l cielo oscuro,
quando
assaltò da cento parti il muro.
2
Rimasero i
Tedeschi e i Cremonesi,
che da Bosio
Duara eran guidati,
e la
cavalleria de' Modanesi
con loro
insegne a la campagna armati.
Il Potta avea
de' suoi gli animi accesi
con premi
utili insieme ed onorati;
promettendo a
colui ch'era di loro
primo a salir,
due mila scudi d'oro.
3
Mille n'avea
al secondo, e cinquecento
promessi al
terzo: onde correa a salire
e a far di
suo valore esperimento
stimulando
ciascun la forza e l'ire.
Ma l'inimico
in cosí gran spavento
si difendea
con disperato ardire,
sicuro omai
di non trovar mercede
dopo l'error
de la mancata fede.
4
Pioggia cadea
da le merlate mura
di saette e
di pietre aspra e mortale:
ma con
sembianza intrepida e sicura
movea
l'assalitor machine e scale.
I mangani al
ferir maggior paura
facean da lunge
e irreparabil male,
ché subito
ch'alcun scopriva il busto,
mastro
Pasquin te l'imbroccava giusto.
5
Non credo
ch'Archimede a Siracusa
facesse di
costui prove piú leste.
Fra gli altri
colpi suoi nota la Musa,
ch'un certo
Bastian da Sant'Oreste,
sbracato, lo
schernía sí come s'usa,
mostrandogli
le parti poco oneste:
ed egli tosto
gli aggiustò un quadrello
nel foro a
pel de l'ultimo budello.
6
Rinforzossi
tre volte il fiero assalto
sottentrando
a vicenda ordini e schiere;
e giú nel
fosso e su nel muro ad alto
morti
infiniti si vedean cadere;
quando il
fiero Ramberto ergendo in alto
una scala, di
man trasse a l'alfiere
l'insegna, e
'n tanto i suoi con le balestre
disgombravano
i merli e le finestre.
7
Sandrin
Pedoca e Battistin Panzetta
e Luca Ponticel
gli furo appresso:
fu morto il
Ponticel d'una saetta
ch'uscí di
man di Berlinghier dal Gesso;
ma Ramberto
salito in su la vetta
si
trovò incontro il capitano istesso,
ch'armato
d'una ronca era venuto
correndo in
quella parte a dare aiuto.
8
Tosto ch'ei
può fermar tra' merli il piede
pianta
l'insegna, e oppone il forte scudo
a Nasidio,
che l'urta e che lo fiede
con la ronca
a due man d'un colpo crudo.
L'aspra
percossa ogni riparo eccede,
l'armi
distrugge, e lascia il braccio ignudo
e ferito a Ramberto,
e 'l cor ripieno
di furor e di
rabbia e di veleno.
9
A Nasidio
s'avventa, e con le braccia
pria ne la
gola, indi ne' fianchi il cigne;
Nasidio ratto
anch'ei seco s'abbraccia,
lascia la
ronca, e al paragon si strigne:
l'uno di qua,
l'altro di là procaccia
d'atterrare
il nemico e lo sospigne:
gli
avviticchia le gambe e lo raggira,
or l'urta a
destra, or a sinistra il tira.
10
Grida Nasidio
che 'l guerrier sia preso,
o quivi in
braccio a lui di vita casso;
egli di
rabbia e di furore acceso,
l'alza su 'l
petto e tira in dietro il passo,
e su l'orlo
del muro il tien sospeso,
indi si
lancia a precipizio a basso:
Giesú chiama
per aria in suo sussidio
il
discendente del famoso Ovidio.
11
Giú ne la
fossa in loco assai profondo
giaceva a
piè de l'assalite mura
una gran
massa di pantano immondo
e di fracido
stabbio e di bruttura:
quivi caddero
entrambo, e andaro al fondo,
e d'abito
mutati e di figura
tornar
senz'altro danno a rivedere
l'almo
splendor de le celesti sfere.
12
E di nuovo
correan per azzuffarsi,
come due
verri d'ira e d'odio ardenti
corron ne la
belletta ad affrontarsi
con
dispettosi grifi e torti denti:
ma i soldati
potteschi intorno sparsi
furon lor
sopra a quel fier atto intenti,
e da le man
del vincitore altero
trasser
Nasidio vivo e prigioniero.
13
Fu condotto
Nasidio innanzi al Potta,
che lo fece
castrar subitamente
per
ricordanza de la fede rotta
e per esempio
a la futura gente;
ed a la cima
del gran naso a un'otta
con un filo
d'acciar fatto rovente
gli fe' attaccare
i testimoni freschi
de' mal
sortiti suoi tiri furbeschi.
14
La bandiera
fra tanto era spiegata
che Ramberto
al salir trasse con esso,
da Battistino
e da Sandrin guardata,
e da molti
altri che saliro appresso;
ma contesa in
quel luogo era l'entrata
da l'inimico
stuol sí folto e spesso,
che quivi si
facea tutta la guerra,
né si potea
calar giú ne la terra.
15
Ed ecco in su
la fossa al gran Voluce
improvisa
apparir la Dea d'Amore
chiusa d'un
nembo d'or, cinta di luce,
ed
infiammargli a la battaglia il core;
preso gli
mostra il miserabil duce,
e l'inimico
stuol pien di terrore
tutto rivolto
a la bandiera alzata,
e la vicina
porta abbandonata.
16
Al magnanimo
cor basta sol questo,
e l'usato
valor dentro raccende:
volge lo sguardo
a' suoi soldati presto,
e seco il
fior de' piú lodati prende:
corre a la
porta, e ne' compagni è desto
emulo ardor
ch'a gli animi s'apprende;
onde Folco,
Attolino e Bagarotto
corrono
anch'essi, e fanno a gli altri motto.
17
Egli
infiammato di feroce sdegno
sta su la
soglia minacciando morte,
e con una
bipenne il duro legno
percuote, e
risonar fa l'alte porte;
mettono gli
altri un ariete a segno,
e 'l
sospingon con impeto sí forte,
che
già l'imposte e le bandelle sono
tutte
allentate, e ne rimbomba il suono.
18
Quei pochi,
ch'ivi in guardia eran fermati,
lanciano
sassi e mettono puntelli,
e di paura
afflitti e sconcacati
vanno mirando
a questi buchi e a quelli;
ma dal fiero
cozzar rotti e spezzati
già
cadono le spranghe e i chiavistelli,
e Voluce da i
gangheri a fracasso
getta la
porta tutt'a un tempo a basso.
19
Come al cader
di quella sacra avviene,
ch'ad ogni
cinque lustri apre il gran Padre,
quando la
gente di lontan se 'n viene
a Roma a
riverir l'antica madre;
che non giovan
le sbarre e le catene
a trattener
le peregrine squadre
ch'inondano a
diluvio, e chi s'arresta
lo soffoga la
turba e lo calpesta:
20
tale al cader
de le nemiche porte,
l'impetuosa
turba inonda e passa;
e di pianto,
d'orror, di sangue e morte
ogni cosa al
passar confusa lassa:
il feroce e
l'imbelle ad una sorte
cade,
ogn'incontro il vincitor fracassa:
fugge il
vinto e s'appiatta, o l'armi cede
e
s'inginocchia a domandar mercede:
21
ma non trova
mercé né cortesia,
e in van
s'inchina e in van la vita chiede:
Il Potta vuol
che Castelfranco sia
esempio
eterno a non mancar di fede.
furore ha
luogo, ogni pietà s'oblía,
veggonsi in
ogni parte incendi e prede:
e cade in
poca cenere un Castello,
di cui non
era in Lombardia il piú bello.
22
E già su
le ruine il vincitore
dal lungo
faticar stanco sedea,
quand'ecco di
lontan s'udí un romore
che rimbombar
d'intorno il pian facea:
venía il
campo nemico a gran furore,
che 'l
periglio de' suoi già inteso avea:
ed era quel
che la foresta e i lidi
fea risonar
di trombe e corni e gridi.
23
Musa, tu che
cantasti i fatti egregi
del re de'
topi e de le rane antiche,
sí che ne
sono ancor fioriti i fregi
là per
le piagge d'Elicona apriche,
tu dimmi i
nomi e la possanza e i pregi
de le superbe
nazion nemiche,
ch'uniron
l'armi a danno ed a ruina
de la
città de la salciccia fina.
24
Poscia che
gli apparecchi e la contesa
di Bologna la
Fama intorno sparse,
trasse il
desío di cosí degna impresa
quattordici
città seco ad armarse.
Tremò
l'Imperio e invigorí la Chiesa,
sentí
l'Italia in freddo giel cangiarse;
e credo che
'l Soldan de' Mammalucchi
ne mandasse
ragguaglio al re de' cucchi.
25
Il Papa,
ch'era padre e protettore
de la parte de' Guelfi e de la Chiesa,
avendo udito
in Francia il gran romore
e la cagion di
sí crudel contesa,
per
aggiungere a' suoi fede e valore,
spedí subito
nunzio a quell'impresa
da Vienna un
suo domestico prelato
che monsignor
Querenghi era nomato.
26
Questi era in
varie lingue uom principale
poeta
singular tosco e latino,
grand'orator,
filosofo morale,
e tutto a
mente avea sant'Agostino:
ma il Papa
non lo fece cardinale
ché 'n
sospetto gli entrò di ghibellino
dopo ch'ei
ritornò di nunziatura
e perdé la
fatica e la ventura.
27
Nocquegli
ancora i' esser padovano
suddito
d'Ezzelin, bench'innocente,
non volendo
il Pontefice romano
aver fede ad
alcun di quella gente:
ma certo ei
fu prelato e cortigiano,
fra gli altri
in quell'età molto eminente:
e da lo
sprezzo d'uom sí saggio e prode
il Papa non
ritrasse alcuna lode.
28
Egli partí da
Vienna in su le poste,
e nel passar
de l'Alpi a un ponte rotto,
il perfido
caval per certe coste
lasciò
cadersi, e non gli fece motto:
anzi da
discortese e bestia d'oste,
stava di
sopra e monsignor di sotto,
onde la
nunziatura indi levata
con mal
augurio fu mezzo spallata.
29
Quivi ei
montò in lettiga, e seguitando
con una
spalla fuor d'architettura,
giunse a
punto a Bologna il giorno quando
l'esercito
uscía fuora a la ventura:
si fe' porre
il rocchetto, in arrivando,
da don Santi,
e salí sopra le mura;
dove a
l'uscir de la città le schiere
chinavano a'
suoi piè lance e bandiere.
30
Et egli con
la man sovra i campioni
de l'amica
assemblea, tutto cortese
trinciava
certe benedizioni,
che
pigliavano un miglio di paese.
Quando la gente
vide quei crocioni,
subito le
ginocchia in terra stese,
gridando: -
Viva il Papa e Bonsignore,
e muora
Federico Imperadore. -
31
Ma perché la
man destra avea fasciata
e gli
benedicea con la mancina,
fu scritto al
Papa ch'egli avea mandata
una persona
marcia ghibellina.
Or basta, in
ordinanza usciva armata
la gente; e
prima fu la perugina,
tre mila, che
mandati avea la Chiesa
col capitan
Paulucci a quell'impresa.
32
Questi di
cortegian fatto soldato
disertò
gli Ugonotti e i Calvinisti,
fe' vermiglia
la Schelda, indi passato
in Francia
guerreggiò co' Navarristi;
navigò
nel Danubio; e al fin voltato
in occidente
a piú sublimi acquisti,
fra i monti
Pirenei passò in Ispagna,
e
riportò per mar guanti d'Ocagna.
33
L'armatura
dorata e rilucente
con sopraveste
avea cangiante e varia,
e camminava
sí leggiadramente,
che parea
ch'ei ballasse una canaria:
disperata
guidava e altera gente,
che la
fortuna amica e la contraria
egualmente
disprezza, e si diletta
sol di
sangue, di morte e di vendetta.
34
Seguía
l'insegna di Milano, e avea
gran gente in
su le scarpe e in su le selle,
ch'ovunque il
guardo di lontan volgea,
rincarava le
trippe e le fritelle.
Sei mila
pacchiarotti a piè reggea
Marion di
Marmotta Tagliapelle;
mille cavalli
avean per capitani
Galeazzo e
Martin de' Torriani.
35
La terza
insegna fu de' Fiorentini,
con cinque
mila tra cavalli e fanti,
che
conduceano Anton Francesco Dini
e Averardo di
Baccio Cavalcanti:
non s'usavano
starne e marzolini,
né polli
d'India allor, né vin di Chianti:
ma le lor
vittuaglie eran caciole,
noci e
castagne e sorbe secche al sole.
36
E di queste
n'avean con le bigonce
mille
asinelli al dipartir carcati,
acciò
per quelle strade alpestre e sconce
non patisser
di fame i lor soldati:
ma le some coperte
in guisa e conce
avean con
panni d'un color segnati,
che facean di
lontan mostra pomposa
di salmeria
superba e preziosa.
37
Ma piú di
queste numerosa molto
la quarta
schiera e bella in vista uscía,
la gran Donna
del Po tutto raccolto
quivi di sua
milizia il fiore avía.
La ricca
gioventú superba in volto
di porpora e
di fregi ornata gía.
Fiammeggia
l'oro, ondeggiano i cimieri,
passano i
fanti armati e i cavalieri.
38
Tre mila i
cavalier sono, e due tanti
premon col
piè de la gran madre il dorso:
Maurelio
Turchi è il capitan de' fanti,
e de' cavalli
il Bevilacqua Borso.
Ma splende
sovra questi e sovra quanti
vengono di
Bologna al gran soccorso,
il magnanimo
cor di Salinguerra,
che fa del
nome suo tremar la terra.
39
Occupata di fresco
avea Ferrara
Salinguerra,
e nemico era a la Chiesa;
ma i Petroni
l'avean solo per gara
tratto con
larghi doni in lor difesa.
Il nunzio che
sapea la cosa chiara,
tenne sopra
di lui la man sospesa;
lasciò
passarlo e poi segnò la croce:
ma se n'avide
e rise il cor feroce.
40
Ha seco il
fior de la Romagna bassa
che
volontaria segue i segni suoi;
Lugo,
Bagnacavallo, Argenta e Massa,
Cotognola e
Barbian madri d'eroi:
questa gente
con l'altra unita passa,
ma sua chiara
virtú la scevra poi;
è 'l
capitan che la conduce a piede
Faceo Milani,
uom d'incorrotta fede.
41
Ravenna e
Cervia sotto una bandiera
seguono i
Ferraresi a mano a mano,
di lance e
spiedi armate a la leggiera;
e Guido da
Polenta è il capitano.
Di Cervia sol
la numerosa schiera
potea ingombrar
per molte miglia il piano,
se non
spargeano l'aria e 'l sito immondo
i cittadini
suoi per tutto il mondo.
42
Passano in
ordinanza i fanti armati,
poscia di
cavalier segue un drappello,
due mila a
piè, trecento incavallati
(vocabol
fiorentino antico e bello).
Va pomposo il
signor de' Ravennati
sopra un
nobil corsier di pel morello
stellato in
fronte, che col piè balzano
par che
misuri a passi e salti il piano.
43
Rimini vien
con la bandiera sesta,
guida mille
cavalli e mille fanti
il secondo figliuol
del Malatesta,
esempio noto
a gl'infelici amanti.
Il giovinetto
ne la faccia mesta
e ne' pallidi
suoi vaghi sembianti
porta quasi
scolpita e figurata
la fiamma che
l'ardea per la cognata.
44
Halli donata
al dipartir Francesca
l'aurea catena
a cui la spada appende;
la va mirando
il misero, e rinfresca
quel foco
ognor che l'anima gli accende:
quanto cerca
fuggir, tanto s'invesca,
e 'l suo
cieco furor in van riprende,
ché
già su la ragione è fatto donno,
né
distornarlo omai consigli il ponno.
45
- Perché
donna, dicea, di questo core
legarmi di
tua man di piú catene?
Non
stringevano assai quelle, onde Amore
de le
bellezze tue preso mi tiene?
Ma tu forse
notasti il mio furore
dissimulando
il mal che da te viene,
furore
è il mio, non nego il mio difetto,
ma mi traesti
tu de l'intelletto.
46
Tu co' begli
occhi tuoi speranza desti
a la fiamma
d'amor viva e cocente,
che sfavillar
da questi miei scorgesti
e chiederti
pietà del cor languente.
Ma lasso che
vo io torcendo in questi
vani pensier
l'innamorata mente,
e sinistrando
il caro pegno amato
che da sí
nobil petto in don m'è dato?
47
Bella de la
mia donna e ricca spoglia
che donata da
lei meco te 'n vieni,
acciò
che dal suo amor non mi discioglia
e mi leghi in
piú nodi e m'incateni;
tu sarai
refrigerio a la mia doglia,
tu sarai
nuovo pegno a le mie speni. -
La bacia e la
ribacia in questi accenti,
e va seco
sfogando i suoi tormenti.
48
Passa il
giovine amante, e dopo lui
la gente di
Faenza arriva e passa.
Tutti son
cavalier, fuora che dui
staffieri a
piè del capitan Fracassa.
Del buon
sangue Manfredo era costui,
onor di
quella età cadente e bassa;
secento ha
seco, e cento, i piú garbati,
di maiolica
fina erano armati.
49
Indi Cesena
vien sotto l'impero
di Mainardo
d'Ircon da Susinana,
che
s'è fatto signor di condottiero
di gente
disperata empia e scherana.
Ottocento
pedoni ha seco il fero
usati a vita
faticosa e strana:
non ha
cavalleria, ma i fanti sui
vagliono piú
ch'i cavalieri altrui.
50
La nona
squadra fu de gl'Imolesi
che da Pietro
Pagani eran condotti:
mille e cento
tra fanti e banderesi,
saccomanni,
briganti e stradiotti;
dopo questi
venieno i Forlivesi
da gli
Ordelaffi in servitú ridotti;
Scarpetta di
condurgli ebbe l'onore,
che de gli
altri fratelli era il maggiore.
51
Forlimpopoli
segue, allor cittade
non men de le
vicine illustre e degna;
Sinibaldo, il
fratel minor d'etade,
regge la
schiera sua sott'altra insegna.
Sono
ottocento armati d'archi e spade,
mille son gli
altri, e vanno a la rassegna
distinti in
guisa, che distinta splende
la gara che
fra lor gli animi accende.
52
Con la gente
di Fano a tergo a questa
Sagramoro
Bicardi il Nunzio inchina,
e guida mille
fanti a la foresta
usati a
corseggiar quella marina.
A lo scettro
ubbidían del Malatesta
Pesaro, Fossombruno
e la vicina
Senigaglia: e
passâr con la bandiera
di Paulo
dianzi entro la sesta schiera.
53
Poiché fu di
Romagna il fior passato,
ecco il
carroccio uscir fuor de la porta,
tutto coperto
d'or, tutto fregiato
di spoglie e
di trofei di gente morta;
lo stendardo
maggior quivi è spiegato:
e cento
cavalier gli fanno scorta,
fra gli altri
di valor chiaro e sovrano;
e Tognon
Lambertazzi è il capitano.
54
Dodici buoi
d'insolita grandezza
il tirano a
tre gioghi; e di vermiglia
seta hanno la
coperta e la cavezza,
le sottogole
e i fiocchi in su le ciglia.
Il pretor di
Bologna in grande altezza
sopra vi
siede, e intorno ha la famiglia
tutta ornata
a livrea purpurea e gialla
con balestre
da leva e ronche in spalla.
55
Nomato era
costui Filippo Ugone
brescian di
quei da la gorgiera doppia:
e di broccato
indosso avea un robone
che stridea
come sgretolata stoppia.
Secondavano
il carro e 'l gonfalone
quattrocento
barbute a coppia a coppia,
co' cavalli
bardati in fino a terra,
ch'avea mandate
Brescia a quella guerra.
56
Seguiva il
battaglion dopo costoro
de' Petronici
fanti e l'apparecchio:
eran vintisei
mila, e 'l duca loro
il buon conte
Romeo Pepoli vecchio,
avea l'armi
d'argento a scacchi d'oro
fregiate, e
Braccalon da Casalecchio
col braccio
manco e con la spalla destra
gli portava
lo scudo e la balestra.
57
Finita di
passar la fanteria
passarono i
cavalli in tre squadroni,
guidati da
Bigon di Geremia,
ch'era in
Bologna in quell'età de' buoni;
e da due
figli del Malvezzo Elia,
Perinto e
Periteo, che fra i campioni
del petronico
stuol piú illustri e chiari
risplendean
gloriosi e senza pari.
58
Usciti in
armi a la campagna quanti
Petroni e
Romagnoli avea la terra,
marciar le
schiere; e sette miglia avanti
presero alloggio
al solito di guerra.
indi tosto
ch'al re de' lumi erranti
le finestre
del ciel l'alba diserra,
al suon di
mille trombe, al mattutino,
fresco
tornò l'esercito in cammino.
59
Né molto
andò che da diversi intese
la nuova, che
temea, di Castelfranco,
tosto le
squadre in ordinanza stese
per giugner
sopra l'inimico stanco;
il destro
corno Salinguerra prese,
ritennero i
Petroni il lato manco,
presaghi
ch'il valor tedesco e sardo
dovea quivi
pugnar col Re gagliardo.
60
Con
Salinguerra a destra i Fiorentini
giunsero
l'ordinanze, e i Milanesi,
e la squadra
con lor de' Perugini,
e la
cavalleria de' Riminesi;
il signor di
Ravenna e i Faentini,
Fano, Imola,
Cesena e i Forlivesi,
Pesaro,
Fossombruno e Sinigaglia
il mezzo
ritenean de la battaglia.
61
Il carroccio
restò, com'era usanza
tra i
Bolognesi, appo il sinistro corno,
con molti
cavalier di gran possanza,
e gente a
piedi e machine d'intorno.
Indi si mosse
il campo in ordinanza;
e giunse che
drizzava al mezzo giorno
Febo i
cavalli, a l'inimico a fronte,
rintronando
di gridi il piano e 'l monte.
62
Da l'altra
parte i Gemignani usciti
di
Castelfranco a la battaglia in fretta,
col magnanimo
Re de' Sardi uniti
fermâr
l'insegne a tiro di saetta:
e posti in
fronte i piú feroci e arditi
slargaro i
fianchi a l'ordinanza stretta
per non esser
rinchiusi e circondati
dal numero
maggior di tanti armati.
63
A manca man
dove un torrente stagna,
con quattro
mila suoi mangiafagioli
stava Bosio
Duara a la campagna,
né seco aveva
i Cremonesi soli,
ma quanti scesi
giú da la montagna
eran
mazzamarroni in vari stuoli;
e la
cavalleria del buon Manfredi
copriva i
fianchi de la gente a piedi.
64
Ma incontro a
l'austro era nel destro corno
la bandiera
real d'Enzio spiegata,
e Garfagnana
seco, e quivi intorno
la milizia
del pian tutta schierata.
Regiamente
pomposo era quel giorno
di sopravesta
bianca e ricamata
d'aquile
d'oro il Re, con un cimiero
di piume
bianche, e sopra un gran corsiero.
65
Diciannov'anni
il giovane reale
non compie
ancora ed è mezzo gigante.
Bionda ha la
chioma, e 'n tutto 'l campo eguale
non trova di
valor né di sembiante.
Se maneggia
destrier, s'avventa strale,
se move al
corso le veloci piante,
se con la
spada o con la lancia fiede,
sia in
giostra o sia in battaglia ogn'altro eccede.
66
Giva intorno
esortando in ogni lato
a ben morir
que' poveri villani.
Ma il Potta
in mezzo a la battaglia armato
d'ira e di
rabbia si mordea le mani
di non
trovarsi allor Gherardo a lato;
e consegnando
a Tomasin Gorzani
i Gemignani a
piè, con cambio secco
in luogo del
coltel mettea uno stecco.
ARGOMENTO
S'accozzano i due campi, e
Salinguerra
a destra i suoi contro i nemici
oppone:
Enzio il sinistro corno apre, ed
atterra
il pretore, il carroccio e 'l
gonfalone;
ma da' suoi poscia abbandonato in
guerra,
resta de' Bolognesi al fin prigione.
Fa gran prove Perinto, e s'appresenta
Bacco orribile al Potta, e lo
sgomenta.
1
Sovra l'arco
del ciel col sole in fronte
partiva
Astrea con le bilance il giorno,
quando i due
campi già condotti a fronte,
mossero a un
tempo l'uno e l'altro corno.
Rintronaron
le valli, il piano e 'l monte,
gli argini
tutti e la foresta intorno,
mugghiâr le
selve e 'l fiume indi vicino,
e le balze
tremâr de l'Appennino.
2
Qual su lo stretto
ove il figliol di Giove
divise
l'Oceàn dal nostro mare,
se l'uno e
l'altro la tempesta move
vansi l'onde
superbe ad incontrare;
cadono
infrante, e valle orribil dove
dianzi eran
monti, e spaventosa appare;
trema il
lido, arde il ciel, tuonano i lampi:
tal fu il
cozzar de' due famosi campi.
3
Offuscò
il cielo, a i rai del sol fe' scorno
il grandinar
de le saette sparte.
Chi si
ricorda aver veduto il giorno
del protettor
de la città di Marte
da l'alta
mole d'Adriano intorno
cader nembi
di razzi in ogni parte,
pensi che
fosse ancor piú denso il velo
de la pioggia
ch'allor cadde dal cielo.
4
Al frangersi
de l'aste, al gran fracasso
de l'incontro
de l'armi e de' cavalli,
sembran tutte
cader le selve a basso
svelte da
l'Alpi, e risonar le valli.
Piú non appar
da lato alcuno il passo,
fuggono le
distanze e gli intervalli;
e son
già i prati e le campagne amene
di morte e di
terror tutte ripiene.
5
Or preme e
incalza, or torna indietro il piede
questa
ordinanza e quella; e dove inchina
una schiera talor
l'altra succede,
e ripara in
altrui la sua ruina:
indi torna la
prima e l'altra cede,
come parte e
ritorna onda marina.
Van quinci e
quindi i capitani accorti,
spingendo i
vili e rinfrancando i forti.
6
- Ah, dicea
Salinguerra, uomini vani
che gite
armati sol per ornamento,
ove sono le
spade, ove le mani,
ove il cor
generoso e l'ardimento?
Se vi fanno
tremar questi villani
rozzi,
senz'armi e senza esperimento,
come
potrò sperar ch'oggi vi mova
desio di fama
a piú lodata prova?
7
Questa
è la via dove a la gloria vassi:
chi ha
spirito d'onor mi segua appresso.
Ecco v'apro
il sentiero; ora vedrassi
chi
avrà desio d'immortalar sé stesso. -
Cosí parla il
feroce; e volge i passi
dove il
nemico stuol vede piú spesso;
urta il caval,
la lancia abbassa, e pare
un vento fier
che spinga indietro il mare.
8
Qual ferito
nel petto e qual nel volto
fa l'incontro
cader de l'asta dura:
si dirada
d'intorno il popol folto,
ognun scansa
che può sua ria ventura,
scontra
Stefano e Ghino: e al primo, colto
ne l'occhio
destro, il ciel ratto s'oscura:
cade l'altro
passato a la gorgiera;
indi uccide
Brandan da la Baschiera.
9
Aperta avea
la temeraria bocca
Brandano
appunto ad oltraggiar quel forte,
quando il
ferro crudel giugne, e l'imbrocca
tra denti e
denti, e lo conduce a morte.
Ricovra
l'asta il valoroso; e tocca
a la cima de
l'elmo Ilario Corte,
giovine
irresoluto e spensierato,
e 'l fa cader
disteso in un fossato.
10
Non lunge il
conte di Culagna vede
pomposo d'armi
e di bei fregi altero:
e come ardito
e poderoso il crede,
gli sprona
incontra con sembiante fiero.
Ma il conte
lesto si rilancia a piede,
e si ripara
dietro al suo destriero:
trascorre
l'asta; ed ei subito s'alza,
tocca a pena
la staffa, e in sella balza.
11
Chi vide
scimia a la percossa infesta
d'importuno
fanciul ratta involarsi,
indi tornar
d'un salto agile e presta
passato il
colpo, e a la finestra farsi;
pensi che
contro a quella lancia in resta
tal
rassembrasse il conte a l'abbassarsi,
e tale al
risalir giusto a pennello
tutto in un
tempo e non parer piú quello.
12
E rivoltato a
Bernardin Manetta
che 'l
rimirava e s'era mosso a riso:
- A fé,
dicea, che l'ho giucata netta,
che colui non
mi colga a l'improviso.
Io dismontai
per orinare in fretta,
e 'l fellon
che si stava in su l'aviso,
m'avea spinto
il destrier per fianco addosso:
ma guai a lui
se riscontrar lo posso. -
13
Cosí dicendo,
a man sinistra torse
dove
spigneano innanzi i Fiorentini,
credendo
uscir de la battaglia forse;
ma quando
vide Anton Francesco Dini
da quella
parte co' cavalli opporse,
rivolto a'
suoi soldati e a' suoi vicini:
- Ritirianci,
dicea, da questo sito;
ch'è
troppo aperto e non è ben partito. -
14
Roldano, che
l'udí, si voltò ratto
e 'l percosse
del calcio de la lancia
dicendo: -
Codardon, feccia di matto,
non ti si
tigne di rossor la guancia?
Se tu quinci
non esci o non stai quatto,
giuro a Dio,
te la caccio ne la pancia. -
Il conte
rispondea: - Non v'adirate,
ché 'l dissi
per provar queste brigate. -
15
Torto il mira
Roldano; e sol col guardo
gli fa tremar
le fibre e le midolle:
indi
spronando un corridor leardo,
che 'l pregio
al vento e a la saetta tolle,
drizza la
lancia al giovine Averardo
che di sangue
nemico ei vede molle;
e ferito nel
braccio e ne l'ascella
il transporta
su i fior giú de la sella.
16
Ma il Dini
gli sospinge incontro i sui,
e grida loro:
- Ah pinchelloni, e dove
vi rinculate
voi da cotestui,
che fuor de
gli aitri a battagliar si muove?
Spignete
innanzi: a che badate vui?
Testé con
alte imaginate prove
affettavate
quie come un popone
il mondo: ora
v'addiaccia il sollione? -
17
Sprona, cosí
dicendo, ove piú stretto
vede lo stuol
che conducea Roldano.
È d'un
colpo di stocco a mezzo 'l petto
tolta
l'indegna vita a Barisano.
Al Teggia che
'l feriva in su l'elmetto
con una
mazzaranga ch'avea in mano,
credendolo
schiacciar come un ranocchio,
d'un rovescio
levò l'uno e l'altr'occhio.
18
Cosí quivi si
pugna e si contende;
ma da la
parte verso 'l mezzo giorno
il Re con piú
fervor gli animi accende,
e spigne i
suoi contra 'l sinistro corno.
Ei qual
cometa minacciosa splende
d'oro e di
piume alteramente adorno:
cinto
è de' suo' Germani, e lor rivolto
parla in
barbaro suon con fiero volto:
19
- O de
l'imperio di Germania fiore,
anime
eccelse, eccovi l'ora e 'l campo,
in cui
risplenderà vostro valore
di glorioso
inestinguibil lampo.
Io confidato
in voi mi sento il core
tutto
infiammar di generoso vampo;
e su questi
papisti oggi disegno
di lasciar
con la spada orribil segno.
20
Seguitatemi
voi, ché l'empia setta
qui tutte
accolte ha le sue forze estreme,
perché possa
una sol giusta vendetta
l'ira sfogar
di tante ingiurie insieme.
Se vaghezza
di fama il cor v'alletta,
se l'onor de
la patria oggi vi preme,
se v'è
caro mio padre o molto o poco,
quest'è
il tempo ch'io 'l vegga e questo è il loco. -
21
Cosí detto,
il feroce urta il destriero,
e l'asta a un
tempo e la visiera abbassa,
e tra' nemici
impetuoso e fiero,
qual fulmine
tra cerri incontra e passa.
Baldin Ghiselli
e Lippo Ghiselliero
e Antonel
Ghisellardi in terra lassa,
e Melchior
Ghisellini e Guazzarotto,
bisavo che fu
poi di Ramazzotto.
22
Giandon da la
Porretta era un Petronio
grande come
un gigante, o poco meno,
e in vece
d'un caval reggea un demonio,
(cred'io)
senza adoprar sella né freno:
un de' mostri
parea di Sant'Antonio,
né pasceva il
crudel biada né fieno,
ma gli uomini
mangiava, e distruggea
co' denti il
ferro, e un corno in testa avea.
23
La fera
bestia un dopo l'altro uccise
quattro Tedeschi,
ed era dietro al quinto:
ma il Re la
lancia in mezzo 'l cor gli mise
e gliel fece
cader già mezzo estinto.
Ruppesi
l'asta e 'l Re non si conquise,
ma tratta
fuor la spada ond'era cinto,
divise d'un
fendente il capo armato
a Giandon,
che già in piedi era levato.
24
Bigon di
Geremia, che di lontano
a la strage
de' suoi gli occhi rivolse,
per fianco
addosso al Re spronò; ma in vano,
ché 'l conte
di Nebrona il colpo tolse.
Il conte
cadde a quell'incontro al piano,
ma subito fu
in piedi e si raccolse,
ché vide il
suo signor mover d'un salto
contra Bigone
e alzar la spada in alto.
25
Bigone
attende il Re ne l'armi stretto,
ma non gli
giova alzar né oppor lo scudo,
ché 'l brando
il fende e fa balzar l'elmetto
sciolto da'
lacci impetuoso e crudo.
Raddoppia il
colpo il valoroso, e netto
gli tronca da
le spalle il capo ignudo:
esce lo
spirto, e in caldo fiato unito
raggirandosi
vola ov'è rapito.
26
Morto Bigone,
il Re tutta fracassa
la schiera
sua, né qui l'impeto arresta;
urta per
fianco impetuoso, e passa
tra la gente
pedestre e la calpesta.
Ovunque il
corso drizza, uomini lassa
uccisi a
monti la crudel tempesta
del barbaro
furor, che 'l Re seconda,
e di fiumi di
sangue i campi inonda.
27
Seguono i
Garfagnini, e 'l Re sospinto
da fatale
furor, già penetrato
dove il
carroccio di sue guardie cinto
fra l'ultime
ordinanze era fermato,
con l'urto di
mill'aste apre quel cinto.
Cede
ogn'incontro al vincitore armato:
e del
carroccio è giú tratto di botto
lo stendardo
maggior squarciato e rotto.
28
Fu al podestà
messer Filippo Ugone,
ch'era rimaso
attonito e perduto,
da certi
Garfagnin tolto il robone
e la berretta
ch'era di veluto;
ei del
carroccio si lanciò in giubbone,
pregando in
vano e addimandando aiuto;
e da l'impeto
fier colto, in un fosso
cadde rovescio
col carroccio addosso.
29
Gli asini,
che condotte a i Fiorentini
le noci
dietro e le castagne aviéno,
a vista del
carroccio assai vicini
stavan
pascendo in un pratello ameno;
quando i
Tedeschi a un tempo e i Garfagnini
trassero
quivi tutti a sciolto freno
da
l'ingordigia di rubar tirati:
e non restar
col Re trenta soldati.
30
Il sagace
Tognon, che la vendetta
pronta si
vide, uní le genti sparte;
e diede aviso
a i due Malvezzi in fretta
che
volgessero tosto a quella parte:
indi avendo al
tornar la via intercetta
a quei che
saccheggiavano in disparte
i fichi
secchi e le castagne in forno,
cinse d'armi
e cavalli il Re d'intorno.
31
Il Re, che si
rivolge e 'l guardo gira
e 'l suo
periglio in un momento ha scorto,
dal profondo
del cor geme e sospira,
ché senza
dubbio alcun si vede morto:
ma il dolor
cede e si rinforza l'ira,
né vuol morir
senza vendetta a torto;
stringe la
spada, urta il destriero, e dove
piú chiuso
è il passo, impetuoso il move.
32
Qual tigre in
su la preda a la foresta
colta da'
cacciatori e circondata,
poi che al
periglio suo leva la testa,
volge
fremendo i livid'occhi e guata;
indi
s'avventa incontra l'armi, e resta
del proprio e
de l'altrui sangue bagnata,
tal fra
l'armi nemiche il Re s'avventa,
ché 'l magnanimo
cor nulla paventa.
33
Mena al primo
ch'incontra e a Braganosso
figliuol di
Pandragon Caccianemico
l'elmo divide
e la cotenna e l'osso,
la faccia, il
petto, e giú fino al bellico:
indi toglie
la vita a Min del Rosso,
ch'un'armatura
avea di ferro antico
da suo bisavo
in Francia già comprata,
e tutti la
tenean per incantata.
34
Non la poté
falsar la buona spada,
ma
piegò il cavaliero in su la sella,
e scorrendo a
l'in su per dritta strada
passò
la gola e uscí da una mascella,
onde convien
che Mino estinto cada;
vinto
è l'incanto da nemica stella:
non
può cozzar col ciel l'ingegno umano,
ch'eterno
è l'uno, e l'altro è frale e vano.
35
Di due
percosse il Re fu colto intanto
su l'elmo e a
sommo 'l petto al gorgerino:
de la seconda
ebbe l'onore e 'l vanto
Vanni Maggio
figliuol di Caterino:
ma con forza
maggior dal destro canto
il ferí
Gabbion di Gozzadino
che con un
colpo d'alabarda fiero
di testa gli
levò tutto il cimiero.
36
A lui si
volse il Re con un riverso,
e 'l colse a
punto al confinar del ciglio,
tutta la
testa gli tagliò a traverso:
balzò
un occhio lontan da l'altro un miglio,
per la cuffia
il cervel se 'n gío disperso,
stè in
sella il tronco e l'alma andò in esiglio;
e 'l
destriero, che 'l fren sentía piú lasso,
incognito il
portava attorno a spasso.
37
Non ferma qui
la furibonda spada
ch'era una
lama da la lupa antica.
Ma tronca,
svena, fende, apre e dirada
ciò
ch'ella incontra, uomini ed armi abbica.
Or quinci, or
quindi si fa dar la strada,
ma
innumerabil turba il passo intrica:
veggonsi in
aria andar teste e cervella,
e nel sangue
notar milze e budella.
38
Da mille
lance il Re percosso e cinto
e da mille
spuntoni e mille dardi,
tutto
è molle di sangue, e mezzo estinto
ha il famoso
drappel di que' gagliardi.
Tognon rimproccia
i suoi da l'ira vinto,
e grida: - Ah
feccia d'uomini codardi,
sí vilmente
morir, scannaminestre?
Che vi sia
dato il pan con le balestre! -
39
Sospinse il
rampognar di quell'altiero
ognuno
incontro al Re, cui sol restato
vivo de' suoi
nel gran periglio è il fiero
Leupoldo
conte di Nebrona a lato:
morto da
cento lance il buon destriero
sotto il Re
cadde, ed egli in piè balzato
fulmina e
uccide di due colpi orrendi
Petronio ed
Andalò de' Carisendi.
40
Berto
Gallucci e 'l Gobbo de la Lira
gli sono
sopra, e l'uno e l'altro il fiede;
ma il
generoso cor non si ritira,
ben che sieno
a cavallo, ed egli a piede.
Il conte che
si volge e 'n terra il mira,
balza di
sella e 'l suo caval gli cede;
ed ei, perché
rimonti il suo signore,
rimansi a
piedi, e 'n mezzo a l'armi muore.
41
Il Re prende
la briglia e salir tenta,
ma lo
distorna il Gobbo e gliel contende;
egli una
punta al fianco gli appresenta,
e con la
gobba al pian morto lo stende.
Tognon smonta
fra tanto, e al Re s'avventa
dietro a le spalle,
e ne le braccia il prende,
e Pasotto
Fantucci e Francalosso
e Berto e
Zagarin gli sono addosso.
42
Il Re si
scuote, e a un tempo il ferro caccia
nel ventre a
Zagarin che gli è a rimpetto,
ma non
può svilupparsi da le braccia
di Tognon che
gli cinge i fianchi e 'l petto;
ed ecco
Periteo giugne e l'abbraccia
subito
anch'egli, e 'l tien serrato e stretto;
ei l'uno e
l'altro or tira, or alza, or spigne,
ma da' legami
lor non si discigne.
43
Qual fiero
toro, a cui di funi ignote
cinto fu il
corno e 'l piè da cauta mano,
muggisce,
sbuffa, si contorce e scuote,
urta, si
lancia e si dibatte in vano;
e quando al
fin de' lacci uscir non puote,
cader si
lascia afflitto e stanco al piano:
tal
l'indomito Re, poiché comprese
d'affaticarsi
indarno, al fin si rese.
44
Fu drizzato
il carroccio, e fu rimesso
in sedia il
Podestà tutto infangato;
non si
trovò il robon, ma gli fu messo
in dosso una
corazza da soldato;
le calze
rosse a brache avea, col fesso
dietro, e
dinanzi un braghetton frappato,
e una
squarcina in man larga una spanna,
parea il
bargel di Caifàs e d'Anna.
45
Ei gridava in
Bresciano: - Innanz, innanzi;
che
l'è rott'ol nemig, valent soldati:
feghe
sbità la schitta a tucch sti Lanzi
maledetti da
Dé, scommunegati. -
Cosí dicendo,
già vedea gli avanzi
del destro
corno andar qua e là sbandati,
e raggirarsi
per que' campi aprichi
cercando di
salvar la pancia ai fichi:
46
però
che 'l buon Perinto avea già rotti
Tedeschi e
Sardi e Garfagnini e Corsi
e gli altri
ch'al bottin fallace, indotti
da mal cauta
speranza, erano corsi.
I Tedeschi,
del vino ingordi e ghiotti,
dietro a
certi barili eran trascorsi,
che ne
credeano far dolce rapina;
e in cambio
di verdea trovâr tonnina.
47
Al primo suon
de la nemica pesta
il popolo del
mar le spalle diede;
si restrinse
il tedesco e fece testa;
in dubbio il
Garfagnin sospese il piede:
ma la
cavalleria giugne e calpesta
con impeto e
furor la gente a piede;
né la picca
tedesca o l'alabarda
ferma i
cavalli armati o li ritarda.
48
A Corrado
Roncolfo, il capocaccia
del Re che
facea a gli altri animo e scudo,
sovragiugne
Perinto, e ne la faccia
mette per
visiera il ferro crudo.
A Guglielmo
Sterlin, nato in Alsaccia,
tronca d'un
man rovescio il collo ignudo,
e Ridolfo
d'Augusta e Giorgio d'Ascia
feriti di due
punte in terra lascia.
49
Un giovinetto
fier nato su 'l Reno,
su 'l Panaro
nudrito, Ernesto detto,
che col bel
viso e col guardo sereno
potea
infiammar qual piú gelato petto,
vedendo i
suoi che già le spalle aviéno
volte a fuggir,
da generoso affetto
e da nobil
desío di gloria mosso
un destriero
african gli spinse addosso.
50
Perinto il
colpo del garzone attende,
e a l'arrivar
ch'ei fa cala un fendente.
il destrier,
che di scherma non s'intende,
s'arretra
come il suon del ferro sente;
a l'estremo
del collo il brando scende;
cade in terra
il meschin morto repente.
Ernesto, che
mancarsi il destrier mira,
balza in
piedi di sdegno acceso e d'ira,
51
e d'una punta
ne la coscia il fiede.
Volge Perinto
e 'l ferro a un tempo abbassa;
ma ei si
ritira, e de l'antico piede
d'un olmo si
fa scudo e 'l campo lassa;
quei
l'incalza fremendo ed egli cede,
e va girando
e fugge e torna e passa.
Cosí corre a
la pianta e si difende
il ramarro
che 'l bracco a seguir prende.
52
Jaconía capitan
de' Soraggini,
ch'amava
Ernesto piú de la sua vita,
poi che gli
occhi rivolse a i rai divini
onde l'anima
accesa era invaghita,
e 'l vide
star su gli ultimi confini,
corse
precipitoso a dargli aíta
abbandonando
i suoi, che mal condotti
in fuga se ne
gían sbandati e rotti.
53
In arrivando
il ritrovò piagato
nel destro
fianco e da la doglia vinto;
spinse il
destrier d'un salto, 'l brando alzato
su la fronte
a due man ferí Perinto;
e se non che
quell'elmo era temprato
per man del
saggio Argon, l'avrebbe estinto,
ma di sé
tolto e di cader in forse
portato dal
destrier qua e là trascorse.
54
Al garzon
Jaconía rivolto allora
- Ernesto,
gli dicea, la nostra gente
rotta si
fugge, e noi facciam dimora,
e perdiamo la
vita inutilmente.
Deh non voler
che cada insieme a un'ora
mia viva
speme e tua beltà innocente. -
- Vattene,
rispond'ei, ché 'l destrier mio
vendicar
voglio o qui morire anch'io. -
55
- O fanciul
troppo ardito e poco accorto
(soggiunge
Jaconía) mira che questa
che ci costrigne
a ritirarne in porto,
è piú
ch'a te non par fiera tempesta;
ma se
l'affanno d'un destrier già morto
e la vendetta
sua quivi t'arresta,
prenditi in
dono il mio. - Né piú s'estese;
ma gli porse
la briglia, e giú discese.
56
Quegli 'l
ricusa, ed egli pur s'affretta
che 'l
prenda; e mentre i prieghi orna e rinforza,
ecco torna
Perinto a la vendetta,
e fere
Jaconía di tutta forza.
Con quel
furor che vien dal ciel saetta,
passa il
brando crudel la ferrea scorza
del grave
scudo e la corazza forte,
e lascia
Jaconía ferito a morte.
57
Cadde il
misero in terra, e quasi a un punto
poco lungi da
lui cadde Perinto,
cui, passato
nel petto e nel cor punto,
restò
il cavallo a quell'incontro estinto.
Al suo
vantaggio allor non bada punto
Ernesto, e
corre da la rabbia vinto
a mezza spada
a disperata guerra
poi che
l'amico suo vede per terra.
58
Ernesto di
due colpi in su l'elmetto
con tanta
forza il cavalier percosse,
che
ribattendo su l'arcion col petto
sovra il
morto destrier tutto piegosse.
Lo sguardo allor
drizzando al giovinetto
su le
ginocchia Jaconía levosse,
e disse: - Ah
non voler perir tu ancora,
lascia ch'io
sol per la tua vita mora. -
59
E dicea il
ver, s'un ostinato core
fosse stato
del ver punto capace:
surse Perinto
e strinse con furore
la spada
contro il giovinetto audace;
Jaconía con
quell'ultimo vigore
che gli
somministrò l'alma fugace,
per impedire
il colpo al ferro crudo,
lanciò
contra Perinto il proprio scudo.
60
Ma quello
sforzo aprí la piaga, e sparse
l'alma col
sangue, e certo fu peccato;
ch'amico piú
fedel non potea darse,
e non bevea
giammai vino inacquato.
Lo scudo
ch'ei lanciò venne a incontrarse
nel braccio
che spingea Perinto irato
e nel volto e
nel petto e ne la mano,
e gli fe'
rimaner quel colpo vano.
61
Ma che pro, se
'l garzon non si ritira,
e nuova
fiamma al vecchio incendio aggiugne?
Colpi
raddoppia a colpi, e a ferir mira
dove s'apre
la piastra e si congiugne.
Perinto
avvampa di disdegno e d'ira,
e d'una punta
a mezzo il ventre il giugne;
la panciera
d'Ettòr, ch'era incantata,
non gli
avrebbe la vita allor salvata.
62
Cade Ernesto
morendo in su la piaga,
e chiama
Jaconía che nulla sente;
esce un rivo
di sangue e si dilaga,
s'oscura de'
begli occhi il dí lucente:
l'anima
sciolta disdegnosa e vaga
dietro a
l'amico suo vola repente.
Salta Perinto
in su 'l destrier che trova,
e 'l volge a
ricercar battaglia nuova.
63
Né già
ritorna ove fuggir vedea
quei
ch'ingannò la fiorentina preda,
ché vittoria
stimò vile e plebea
cacciar gente
che fugga e 'l campo ceda:
ma, dove in
mezzo la battaglia ardea,
contra 'l
Potta sen va, come se 'l creda
bere in un
sorso, e la città sua tutta
ne'
sterquilinî suoi lasciar distrutta.
64
Guido
scontrò, che de la pugna usciva
con mezza
spada e una ferita in testa,
e a medicarsi
al padiglion se 'n giva
per man del
suo barbier mastro Tempesta.
Indi
trovò, che 'l suo signor seguiva
messa in
terror la ravignana gesta:
le si fe'
incontro, e con superbo grido:
- Tornate,
disse, indietro, o ch'io v'uccido. -
65
Ed a l'alfier
che 'l rimirava fiso,
senza altro
moto far, come chi sdegna,
fulminò
d'un man dritto a mezzo 'l viso
- Cosí,
dicendo, d'ubbidir s'insegna. -
Riman colui
del fiero colpo ucciso,
ed egli di
sua man spiega l'insegna.
Alzano i
Ravignani allor le grida,
e 'l seguono
animosi ove gli guida.
66
Il Potta, che
tornar vede la schiera
che dianzi
fuor de la battaglia usciva,
rivolto a
Tomasin ch'a lato gli era:
- Per vita,
gli dicea, de la tua diva,
ad incontrar
va' tu quella bandiera,
che se 'n
riede a la pugna onde fuggiva,
e mostra il
tuo valor, spiega i tuoi vanti
contra quei
malandrin scorticasanti. -
67
Nulla
risponde, e contra i Ravennati
Tomasin a
quel dir, strigne gli sproni
con una
compagnia di scapigliati,
dediti al
gioco e a far volar piccioni,
che
triganieri fur cognominati,
nemici
natural de' bacchettoni,
gente che 'l
ciel avea posto in oblio,
e l'appetito
sol tenea per Dio.
68
Con questi il
Gorzanese ardito e franco
ratto si
mosse, e al primo incontro uccise
Gaspar
Lunardi e Desiderio Bianco,
e a Lamberto
Raspon l'elmo divise:
quando
Perinto lo ferí per fianco
con l'asta de
l'insegna, e in modo arrise
fortuna al
suo valor, ch'in terra cade,
e
restò prigionier fra mille spade.
69
Perduto il
capitan, l'impeto allenta
la gente sua
che 'l disvantaggio vede,
ma non fugge
però né si sgomenta,
e torna in
ordinanza in dietro il piede.
Perinto, poi
ch'a Ostasio da Polenta,
che tra'
primi il seguía, l'insegna diede,
Jotatan con
la spada in terra mette
e Barbante
figliol di Mazzasette.
70
Ma intanto il
Potta, udito il caso fiero
di Tomasino,
e quel che piú gli dolse,
del Re de'
Sardi rotto e prigioniero,
santa Nafissa
a bestemmiar si volse,
e montato su
un'erta col destriero,
pur novella
speranza anco raccolse:
ché le
bandiere de' nemici sparte
vide fuggir de la sinistra parte.
71
E di vederne
il fin già risoluto
scendea da
l'alto, e raccendeva l'ire,
quando un
gigante orribile e cornuto
gli apparve e
l'atterrí con questo dire:
- Che pensi?
ogn'ardimento è qui perduto:
pensa di
ritirarti o di morire.
ecco ti svelo
i lumi, or tu rimira
de la terra e
del ciel lo sforzo e l'ira.
72
Vedi
là guerreggiar l'empia Bellona
tinta di
sangue incontro a le tue schiere,
vedi il
superbo figlio di Latona
quanti
coll'arco suo ne fa cadere,
Marte, ch'in tuo
favor pugna, abbandona
stanco e
sudato omai le tue bandiere.
Tu a raccolta
le chiama, e le conserva
da lo sdegno
di Febo e di Minerva. -
73
Qui tacque il
fero mostro, e in un momento,
come sparisce
il sogno a l'ammalato,
ritirò
il pede e si converse in vento,
e 'l Potta di
stupor lasciò ingombrato.
Bacco era
questi a generar spavento
in quella
forma orribile cangiato
che
combattuto avea col dio di Cinto,
e si partía
de la battaglia vinto;
74
e giva a
ricercar nuovo partito,
perché non
fosse il popol suo disfatto.
Rimase il
Potta attonito e smarrito,
e si fe' il
segno de la croce un tratto,
ch'un demonio
il credé, fuor di Cocito
a spaventarlo
in quella forma tratto:
stette
sospeso un poco, indi fe' quanto
descritto fia
da me ne l'altro canto.
ARGOMENTO
Rotti i Petroni da la destra parte,
sta in dubbio la vittoria ancor
sospesa;
fin che scende dal ciel Iride, e
Marte
fa ritirar da la crudel contesa.
Giugne Renoppia, e la smarrita parte
rinvigorisce;e giugne in sua difesa
Gherardo, che dal fiume a l'altra
sponda
caccia i nemici e fa vermiglia
l'onda.
1
Il conte di
Culagna era fuggito,
com'io
narrai, di man di Salinguerra,
e quel fiero,
da l'impeto rapito,
pedoni e
cavalier gittando a terra,
morto Rainero
e Bruno avea ferito
e mossa a un
tempo a quella squadra guerra
che Voluce in
battaglia avea condotta;
e già
le prime file erano in rotta.
2
Quando Voluce
ode il rumore e vede
Salinguerra
ch'i suoi rompe e fracassa,
salta in
arcion, ché combatteva a piede,
e l'asta prende
e la visiera abbassa,
sprona il
cavallo, e tosto intorno cede
ognuno, e gli
fa piazza ovunque passa:
Salinguerra a
l'incontro i suoi precorre
e minaccioso
a la battaglia corre.
3
I magnanimi
cor di sdegno ardenti
metton le
lance a mezzo 'l corso in resta,
e vannosi a
ferir come due venti
o due folgori
in mar quand'è tempesta.
Lampi e
fiamme gittâr gli elmi lucenti;
mugghiò
tremando il campo e la foresta
a quel
superbo incontro, e l'aste secche
volaro
infrante in mille scheggie e stecche.
4
Si fece il
segno de la santa Croce
l'un campo e
l'altro, e si fermò guardando
per
meraviglia immoto, senza voce,
del periglio
comun scordato; quando
l'uno e
l'altro guerrier torse veloce
dispettoso la
briglia, e tratto il brando,
fulminârsi a gli
scudi ambi e a la testa
dritti e
rovesci a furia di tempesta.
5
Non stettero
a parlar de' casi loro
come soleano
far le genti antiche,
né se 'l lor
padre fu spagnuolo o moro,
ma fecero
trattar le man nemiche.
Le ricche
sopraveste e i fregi d'oro,
i cimieri,
gli scudi e le loriche
volan
squarciati e triti in pezzi e 'n polve,
il vento gli
disperge e gli dissolve.
6
Tra mille
colpi il conte di Miceno
colse in
fronte il signor di Francolino
che gli fece
veder l'arco baleno,
la luna, il
ciel stellato e 'l cristallino.
D'ira, di
sdegno e di superbia pieno
sollevò
Salinguerra il capo chino,
e a la
vendetta già movea repente
quando
rivolse gli occhi a la sua gente.
7
Sotto la
scorta di sí chiaro duce
eran
trascorsi i Ferraresi tanto,
che dietro a
lui come a notturna luce
sconvolto
avean tutto il sinistro canto:
ma poi ch'a
Salinguerra il buon Voluce
si fece
incontro, essi allentâr fra tanto
l'impeto
loro: e videsi in figura
che trotto
d'asinel passa e non dura.
8
Manfredi, che
cacciati i Milanesi
rotti e
dispersi avea per la campagna,
e in aiuto
venía de' Cremonesi
contra quei
di Toscana e di Romagna;
poi che
conobbe a l'armi i Ferraresi
ch'incalzavano
i suoi de la montagna,
rivolto a lo
squadron ch'intorno avea,
gli accennava
col brando e gli dicea:
9
- Vedete
là quella volubil gente
che vaga
ognor di Principi novelli
or piega al
Papa e ne la vana mente
seco sognando
va mitre e cappelli;
mirate
com'è d'or tutta lucente,
come d'armi
pomposa e di gioielli:
andiamo,
valorosi, urtiam fra loro,
che nostre
fien le gemme e l'armi e l'oro. -
10
Cosí dice: e
spronando il buon destriero
la spada
stringe e 'l forte scudo imbraccia,
e tra le
squadre de' nemici altero
con la man
fulminando urta e si caccia.
Come al primo
attizzar pronto e leggiero
corre stormo
di bracchi a dar la caccia
al gregge
vil, cosí da quegli arditi
i Ferraresi
allor furo assaliti.
11
Manfredi a
Pasqualin di Pocointesta
tagliò
d'un sottobecco il mento e 'l naso,
e fece
rimaner con mezza testa
Piero Simon
di Gasparin Pendaso.
Contra
Manfredi con la lancia in resta
venía
spronando il Mozzarel Tomaso;
quand'ecco
l'afferrò con un uncino
Archimede
d'Orfeo Cavallerino.
12
Correa
l'inaveduto a tutta briglia
senza badar
s'alcun gli movea guerra;
e Archimede
l'apposta e l'arronciglia
e 'l fa cader
d'arcion col culo in terra.
Per la coda
il destrier Tomaso piglia
per
ritenerlo; ed egli i piè diserra
con grazia
tal, ch'in cambio di confetti
gli fa
ingoiar dodici denti netti.
13
Giannotto
Pellicciar con un'accetta
spaccò
la testa a Gabrio Calcagnino;
Obizo Angiari
e Baldovin Falletta
uccisi fur da
Gemignan Porrino;
con un colpo
di mazza Anteo Pinzetta
ammaccò
la visiera ad Acarino
nato del seme
altier di Giliolo,
e gli fece
del naso un raviggiolo.
14
Ma questo
è un gioco a quel che fa Manfredi
che tutta
fracassata ha quella schiera,
Galasso
Trotti ha morto e Gotifredi
Gualengui e
Perondel di Boccanera;
e 'l Rosso
Riminaldi ha messo a piedi
passato d'una
punta a la gorgiera;
onde,
d'ardire e d'ordinanza tolta,
la gente di
Ferrara in fuga è volta.
15
Salinguerra,
ch'i suoi vede fuggire
dal nemico
valor che gli sbarraglia,
ferma la
spada in atto di ferire,
e dice al
conte: - Tua bontà mi vaglia,
sí che la
gente mia possa seguire
tanto ch'io
la rivolga a la battaglia;
ché s'io
resto qui sol cinto da' tuoi,
né tu meco
pugnar con laude puoi. -
16
Voluce
rispondea: - Signor Marchese,
è
morto Orlando e non è piú quel tempo:
ma per non vi
parer poco cortese,
se volete
fuggir, voi siete a tempo;
seguite pur,
ch'io non farò contese,
la gente
vostra, e non perdete il tempo,
perché mi par
che corra come un vento;
ma vo' venir
anch'io per complimento. -
17
- Oh questo
no, rispose Salinguerra,
io non
partirò mai, s'ella non resta. -
E in questo
dire un colpo gli diserra
a mezza lama
al sommo de la testa:
perdé le
staffe e quasi andò per terra
il conte a
quella nespola brumesta;
strinse le
ciglia, e vide a un punto mille
lampade
accese e folgori e faville.
18
Allora
Salinguerra il tempo piglia,
sprona il
cavallo e si dilegua ratto,
e là
dove Manfredi i suoi scompiglia,
d'ira
avvampando e di furor s'è tratto;
grida,
rampogna, e or questo e or quel ripiglia,
mena la spada
a cerco e a chi di piatto,
a chi coglie
di taglio, a chi minaccia;
e non
può far ch'alcun volga la faccia.
19
Voluce
intanto si risente, e gira
il guardo, e
vede il principe lontano.
Tosto dietro
gli sprona, e poi che mira
chiusa la
strada e che s'affanna in vano,
urta fremendo
di disdegno e d'ira
tra i
Ferraresi anch'ei col brando in mano,
e fa volare
al ciel membra tagliate
e piastre
rotte e pezze insanguinate.
20
Tagliò
una spalla a Tebaldel Romeo,
e a
Buonaguida Fiaschi un braccio netto;
la gamba
manca a Niccolin Bonleo
troncò
dove finía lo stivaletto;
e mastro
Daniel di Bendideo
pieno
d'astrologia la lingua e 'l petto
uccise d'una
punta, ond'ei s'avvide
che del
presumer nostro il ciel si ride.
21
Voluce fe'
quel dí prove mirande
e uccise di
sua man trenta marchesi,
però
che i marchesati in quelle bande
si vendevano
allor pochi tornesi;
anzi vi fu chi
per mostrarsi grande
si fe'
investir d'incogniti paesi
da un tal
signor, che per cavarne frutto
i titoli
vendea per un presciutto.
22
Come nube di
storni, a cui la caccia
lo sparvier
dava dianzi o lo smeriglio,
se l'audace
terzuol per lunga traccia
le
sovraggiugne col falcato artiglio,
raddoppia il
volo e quinci e quindi spaccia
le campagne
del ciel volta in scompiglio;
or s'infolta,
or s'allarga, or si distende
in lunga riga
e i venti e l'aria fende:
23
tal la gente
del Po, che pria fuggiva
da la
tempesta di Manfredi irato,
poiché Voluce
anch'ei le soprarriva
e 'n lei
doppia il terror freddo e gelato,
con disordine
tal fuggendo arriva
tra il popol
di Fiorenza a destra armato,
che seco lo
trasporta e lo sbarraglia
e lo fa seco
uscir de la battaglia.
24
Segue
Manfredi, e d'armi e di bandiere
resta coperto
il pian dovunque passa;
fende Voluce
or queste or quelle schiere
e memorabil
segno entro vi lassa,
Pippo de'
Pazzi e Cecco Pucci ei fere,
Beco Stradini
e Pier di Casabassa.
Seco è
il Duara, e per foreste e boschi
fuggon
dispersi i Ferraresi e i Toschi.
25
Ma non fuggon
cosí già i Perugini
né la
cavalleria del Malatesta;
anzi, come fu
noto a i pellegrini
fregi il
Duara e a la pomposa vesta,
l'arroncigliâr
con piú di cento uncini
ne le
braccia, né fianchi e ne la testa.
- Fate pian,
grida Bosio, aiuto, aiuto;
non
stracciate, ché 'l saio è di veluto:
26
fermate i
raffi, ch'io mi do per vinto;
non tirate,
canaglia maledetta:
che
malann'aggia il temerario instinto,
Perugini,
ch'avete, e tanta fretta. -
Cosí dicendo
fu subito cinto
e fatto
prigionier da la cornetta
del capitan
Paulucci; indi legato
sopra un
roncino a Crespellan menato.
27
La prigionia
del duca lor commosse
a furore e
vendetta i Cremonesi;
spinsero innanzi
e rinforzâr le posse
e s'uniron
con loro i Frignanesi;
ma il
Perugino audace il piè non mosse
e stettero in
battaglia i Riminesi,
dal valor
proprio e da l'esempio degno
de' capitani
lor tenuti a segno.
28
Il capitan
Paulucci a Perdigone,
fratel di
Bosio che 'l destrier gli uccise,
tirò
d'una balestra da bolzone,
e con due
coste rotte in terra il mise.
Indi
ammazzò col brando Ercol Pandone
che se l'ebbe
per male in strane guise;
perch'era
vecchio in guerra e buon soldato
e nissuno mai
piú l'avea ammazzato.
29
Aveva in
tanto Alessio di Pazzano
il buon Omero
Tortora assalito,
istorico
famoso e capitano
che le ninfe
d'Isauro avean nudrito;
quando d'una
zagaglia sopra mano
fu dal signor
di Rimini ferito,
e 'l ferro al
vivo penetrò di sorte
che 'l trasse
de l'arcion vicino a morte.
30
E già
per ispogliarlo era smontato,
quando ei si
volge e 'n su 'l morir gli dice:
- O tu che
godi or del mio acerbo fato,
sappi che
morirai via piú infelice,
vicina
è la tua sorte, e 'l tuo peccato
già
prepara per te la mano ultrice,
dove meno la
temi, e quel ch'importa,
teco la fama
tua fia spenta e morta. -
31
Qui chiuse i
lumi Alessio, e 'l Malatesta
frenò
la mano, e ritirando il passo:
- Col mal
augurio tuo, disse, ti resta,
e va' giú a
profetar con Satanasso:
l'armi e la
ricca tua serica vesta
portale teco
pur, ch'io le ti lasso
con questi
annunzi tuoi sciaurati e rii,
o poeta o
stregon che tu ti sii. -
32
E in questo
dire in su 'l destrier salito
a la pugna
volgea senza soggiorno,
dal magnanimo
cor tratto a l'invito
del suon de
l'armi che fremea d'intorno:
quando il
tergo de' suoi vide assalito
dal feroce
Roldan che fea ritorno
da la
campagna, e seco avea Ramberto
di sangue e
di sudor tutto coperto.
33
Onde contra
il furor de le balestre
che scoccava
ne' suoi la gente alpina,
subito
strinse l'ordinanza equestre
e si ritrasse
a un'osteria vicina,
e il capitan
Paulucci a la pedestre
sudando e
ansando e con la man mancina
dimenando il
cappel per farsi vento,
ritrasse
anch'egli i suoi, ma con piú stento:
34
ché Betto e
Vico e Peppe e Ciancio e Lello
e Tile e
Mariotto e Cecco e Bino
e 'l Miccia
d'Erculan Montesperello
vi restâr
morti e Cittolo Oradino,
e prigioni
Binciucco Signorello
e Mede di
Pippon Montomelino:
e Fulvio
Gelomia cadde di sella,
primo cultor
de la natia favella.
35
Vi s'abbatté
il dottor da Palestrina,
e fu
storpiato anch'ei per mala sorte.
E fu d'un
colpo d'una chiaverina
tratto un
occhio di testa a Braccioforte,
a
Braccioforte a cui quella mattina
cinta la propria
spada avea la morte,
e 'l fiero
Pluto per altrui spavento
messa gli
avea l'orrida barba al mento.
36
Ma intanto
che la palma ancor sospesa
pende, e l'un
campo e l'altro è omai disfatto,
due politici
fanno in ciel contesa
e vengono a
l'ingiurie al primo tratto.
Mercurio de'
Petroni ha la difesa,
favorisce i
Potteschi Alcide matto;
Giove sta in
mezzo, e con real decoro
raffrena
l'ire e le discordie loro.
37
Ne' gangheri
del ciel ferma ogni stella
cessa di
variar gl'influssi e l'ore;
cade nel mar
tranquillo ogni procella,
rischiara
l'aria insolito splendore.
Da l'alto
seggio allor cosí favella
de la sesta
lanterna il gran Motore:
- Non
affrettate, o dei, de gli odii il tempo
ch'ancor
verrà per voi troppo per tempo.
38
Vedete
là dove d'alpestri monti
risonar fanno
il cavernoso dorso
la Turrita
col Serchio e fra due ponti
vanno ambo in
fretta a mescolare il corso;
due popoli
fra questi arditi e pronti
in fiera
pugna si daran di morso,
e si faran
co' denti e con le mani
conoscer che son
veri Graffignani.
39
O quante
scorze di castagni incisi
d'intorno
copriran tutta la terra!
quanti capi
dal busto fian divisi
in cosí cruda
e sanguinosa guerra!
Caronte lasso
in trasportar gli uccisi
ch'a passar
Stige scenderan sotterra,
bestemmierà
la maledetta sorte
che gli
diè in guardia il passo de la morte.
40
Quinci in
aiuto a' suoi correre armato
vedrassi al
monte il forte Modanese;
quindi a i
passi, ch'in pace avrà occupato,
opporsi
l'astutissimo Lucchese.
Entrar
potrete allor ne lo steccato
tu Mercurio e
tu Alcide a le contese,
e provar se
piú vaglia in quella parte
l'accortezza
o il vigor, la forza o l'arte.
41
Un Alfonso e
un Luigi Estensi a pena
d'un pel
segnata mostreran la guancia,
ch'a piú di
mille insanguinar l'arena
faranno or con
la spada or con la lancia.
Le squadre
intere volteran la schiena
dinanzi a i
nuovi Paladin di Francia;
e Castiglion
fra le percosse mura
sotto si
cacherà de la paura;
42
pregando il
conte Biglia in ginocchione
che venga a
far cessar quella tempesta,
spiegando di
Filippo il gonfalone
con una
spagnolissima protesta.
Quivi potrete
allor con piú ragione
cacciarvi gli
occhi e rompervi la testa:
cessate
intanto; e la pazzia mortale
resti fra
quei che fan là giú del male. -
43
Cosí disse, e
chiamando Iride bella
ch'al sole
avea l'umida chioma stesa
- Vola, le
impone, o mia diletta ancella,
e di' a Marte
che ceda a la contesa
fin ch'arrivi
Gherardo e sua sorella
a cui si dee
l'onor di quest'impresa. -
Iride non
risponde e i venti fende,
e giú dal ciel
ne la battaglia scende.
44
Vede Marte da
lunge e drizza l'ale
dov'ei
combatte e l'ambasciata esprime:
indi si parte
e fuor de la mortale
feccia
ritorna al puro aer sublime.
Marte, che
scorge la tenzone eguale,
ritira il
piè da l'ordinanze prime
e ne la
retroguardia intanto passa,
e 'l Potta
incontro ai Romagnoli lassa.
45
Il Potta avea
assaliti i Faentini
e fracassata
la lor gente equestre,
ché gli scudi
dipinti e gli elmi fini
non ressero
al colpir de le balestre.
Giacoccio
Naldi e Pier de' Fantolini
rimasero
feriti e a la pedestre:
e a Mengo
Foschi e al cancellier Giulita
il Potta di
sua man tolse la vita.
46
Uccise
Bastian de' Fornardesi
che sapea
tutto a mente il Calepino,
e dal vóto
ch'avea d'ir ad Ascesi
lo sciolse e
di vestirsi di bertino.
Indi per
fianco urtò fra gl'Imolesi,
e
s'affrontò col cavalier Vaino,
ch'ucciso
avea Pallamidon fornaio
che mangiava
la torta col cucchiaio.
47
Il cavalier,
che stava in su l'aviso,
d'arena che
tenea dentro un sacchetto
gli
empiè gl'occhi e la bocca a l'improviso,
poi strinse
il brando e gli assaggiò l'elmetto.
- Ah! disse
il Potta allor forbendo il viso,
tu me la
pagherai Romagnoletto. -
E in questo
dir menando con la spada
colpí a la
cieca, si fe' dar la strada.
48
Ma poi che Marte
il suo favor ritenne
e
tornò di quadrato indietro il passo,
e che Perinto
in quella parte venne
guidato dal
furor di Satanasso,
il modanese
stuol piú non sostenne
l'impeto
ostil dal faticar già lasso,
e rallentate
l'ordinanze e l'ire
cominciò
a ritirarsi, indi a fuggire.
49
Il Potta pien
di rabbia e disperato
gridava con
la bocca e con le mani
ma non potea
fermar da nessun lato
lo scompiglio
e 'l terror de' Gemignani,
e da l'impeto
loro al fin portato
costretto fu
d'abbandonar que' piani,
benché tre
volte e quattro in volto fiero
spignesse tra
i nemici il gran destriero.
50
Correndo in
tanto e traversando il lito
senz'elmo e
molle e polveroso tutto
il conte di
Culagna era fuggito,
e giunto a la
città piena di lutto,
narrato avea
fra il popolo smarrito
che 'l Re
prigione e 'l campo era distrutto;
onde i vecchi
e le donne al fiero aviso
fuggían chi
qua chi là pallidi in viso.
51
Corsero gli
Anzian tutti a consiglio
per consultar
ciò che s'avesse a fare;
molti volean
nel subito periglio
fuggirsi e la
cittade abbandonare;
altri dicean
ch'era da dar di piglio
a tutto quel
che si potea portare,
e salir su la
torre allora allora,
e chi non vi
capía stesse di fuora.
52
Surse
all'incontro un Bigo Manfredino
che sedea appresso
a Carlo Fiordibelli,
e disse: -
Senza pane e senza vino
che vogliamo
cacar là su, fratelli?
questi sono
consigli da un quattrino
che non gli
sosterrian cento puntelli,
però
i' vorrei, se 'l mio parer v'aggrada,
cavar un
pozzo in capo d'ogni strada,
53
e ricoprirlo
sí, ch'in arrivando
cadessero i
nemici in giú a fracasso. -
Guarnier
Cantuti allor rispose: - E quando
sarà
finita l'opra e chiuso il passo?
Non è
meglio che star quivi indugiando
condur lo
stabbio ch'abbiam pronto a basso
ch'ingombra la
metà de la cittade,
e con esso
serrar tutte le strade? -
54
Ugo Machella
a quel parlar sorrise
e disse
rivoltato a que' prudenti:
- Se
chiudiamo le strade in queste guise,
dov'entreranno
poi le nostre genti?
Prendiamo
l'armi: il Ciel sovente arrise
a le piú
audaci e risolute menti. -
Qui s'alzar
tutti, e gridâr senza tema:
- A la fé
che l'è vera, andema, andema. -
55
Ma i bottegai
correndo in fretta a i passi
che feano la
città poco sicura,
con travi e
pali e terra e sterpi e sassi
tosto alzaron
trinciere, argini e mura;
sbarrâr le
strade e gli affumati chiassi,
e i portici
d'antica architettura,
e dinanzi a
le sbarre in quelle strette
cominciaro a
votar le canalette.
56
Quando armata
apparir fu vista intanto
Renoppia al
suon de la novella fiera,
e correre a
la porta, e seco a canto
condurre il
fior de la virginea schiera,
diede a gli
uomini ardir, riprese il pianto
del sesso
femminil con faccia altera;
e rimirando
giú per la via dritta
non vide
alcun fuggir da la sconfitta.
57
Stette
sospesa e addimandò del conte,
ma il conte
avea già preso altro sentiero,
onde
deliberò di gire al ponte
sovra il
Panaro a investigar del vero.
Quivi
arrivò che 'l sol da l'orizonte
già
poco era lontan nel lito ibero,
e mirò
in vista dolorosa e bruna
spettacolo di
morte e di fortuna.
58
Ne la parte
piú cupa e piú profonda
notavano
pedoni e cavalieri;
tutta di
sangue uman torbida l'onda
volgea
confusi e misti armi e destrieri;
i Gemignani a
la sinistra sponda
fuggían
cacciati da i Petroni fieri;
stavan
Tognone e Periteo lor sopra
e mettea
l'uno e l'altro il ferro in opra.
59
Per man di
Periteo giaceano morti
Guron Bertani
e Baldassar Guirino,
Giacopo
Sadoleti e Antonio Porti,
e ferito
Antenor di Scalabrino:
ma il superbo
Tognone e i suoi consorti
le schiere di
Stuffione e Ravarino
avean
distrutte, e a gran fatica s'era
salvato
Gherardin su la riviera.
60
L'altro
fratel ferito e prigioniero
cedeva l'armi
al vincitor feroce,
ma su gli
archi del ponte un cavaliero
fulminando
col ferro e con la voce
cacciava i
Gemignani, e a quell'altiero
s'opponea
solo il Potta in su la foce
del ponte, e
di fermar cercava in parte
l'ordinanze
de' suoi già rotte e sparte.
61
Giugne
Renoppia, e dove rotta vede
da la ripa
fuggir l'amica gente,
volge con l'arco
teso in fretta il piede,
e di lampi
d'onor nel viso ardente:
- O infamia,
grida, ch'ogn'infamia eccede:
tornate, e
dite a la città dolente
che moriron
le figlie e le sorelle
dove fuggiste
voi, popolo imbelle.
62
Noi morirem
qui sole e gloriose,
gite voi a
salvar l'indegna vita,
non resteran
vostre ignominie ascose,
né la fama
con noi fia seppellita. -
Seco Renoppia
avea le bellicose
donne di
Pompeian, schiera fiorita
ch'in Modana
arrestò tema d'oltraggio,
e cento de le
sue di piú coraggio;
63
e fra queste
Celinda e Semidea,
di Manfredi
sorelle e sue dilette,
e l'una e
l'altra l'asta e l'arco avea
e la faretra
al fianco e le saette.
Renoppia, che
dal ponte i suoi vedea
tutti fuggir,
la cocca a l'occhio mette,
e drizza il ferro
a la scoperta faccia
di Perinto,
ch'a' suoi dava la caccia.
64
E se non che
Minerva il colpo torse
dal segno ove
'l drizzò la bella mano,
il fortissimo
eroe periva forse:
ma non uscl
però lo strale in vano
ch'al
destrier, ch'a quel punto in alto sorse
d'un salto e
si levò tutto dal piano,
andò a
ferir nel mezzo de la fronte,
onde col suo
signor cadde su 'l ponte.
65
Perinto dal
destrier ratto si scioglie,
ma lui non
mira piú la donna altera
che declina
dal ponte e si raccoglie
dove fuggiano
i suoi da la riviera.
Quivi a
Tognon, che l'onorate spoglie
avea tratte a
Engheram da la Panciera,
prende la
mira, e fa passar lo strale
dove giunto a
la spalla era il bracciale.
66
Ferito il
cavalier si ritraea;
quand'un
altro quadrel gli sopraggiunge
che da l'arco
gli vien di Semidea,
e in una
gamba amaramente il punge.
Strinse
l'asta Celinda, e giú scendea
là
dove Periteo poco era lunge:
quand'ecco
col caval cader ne l'onda
rotolando il
mirò da l'alta sponda.
67
Avventâr le
compagne a l'improviso
cento strali
in un punto al cavaliero.
L'armi
difeser lui, ma cadde ucciso
a i colpi di
tant'archi il buon destriero;
la sembianza
real, l'altero viso,
la ricca
sopravesta e 'l gran cimiero
trasser gli
occhi cosí tutti in lui solo,
che meglio
era vestir di romagnolo.
68
Qual
Telessilla già dal muro d'Argo
cacciò
il campo Spartan vittorioso,
tal fe'
Renoppia dal sanguigno margo
ritrarre il
piede al vincitor fastoso.
Come uscito
di sonno o di letargo
da quell'atto
confuso e vergognoso,
il campo che
fuggía voltò la fronte,
e
fermò le bandiere a piè del ponte.
69
Indi
allargati in su la destra mano
correano a
gara a custodir la riva,
quando s'udí
un rumor poco lontano
che 'l ciel
di gridi e di spavento empiva.
Era questi
Gherardo il capitano
ch'in
soccorso de' suoi ratto veniva;
al giugner
suo mutâr faccia le carte,
e ripresero
cor Dionisio e Marte.
70
Gherardo in
arrivando a destra invia
Bertoldo con
due schiere, ed egli dove
vede il Potta
pugnar prende la via:
passa su 'l
ponte e fa l'usate prove.
Perinto a
piedi e sol gli s'opponía,
ma come vide
tante genti nuove
che correano
del ponte a la difesa,
ritrasse il
piede e abbandonò l'impresa.
71
Gherardo
sbarra il ponte e 'n guardia il lassa
a Giberto che
quivi era con lui,
e torna
indietro e su la riva passa
là
dove combattean ne l'acqua i sui.
Vede stanco
il caval, subito abbassa,
ne fa un
altro venir, ché n'avea dui,
né può
soffrir di scender da la sponda
ch'a
precipizio giú salta ne l'onda.
72
Il signor di
Faenza era in battaglia
col capitan Brindon
Boccabadati;
e Matteo
Fredi e Gemignan Roncaglia
e Beltramo
Baroccio avea ammazzati.
Gherardo con
la mazza apre e sbarraglia
Faentini,
Imolesi e Cesenati,
quei di
Ravenna e quei de la Cattolica,
e fa strage
di ferro e di maiolica.
73
Al capitan Fracassa
in su l'elmetto
menò
d'un colpo esterminato e fiero,
che
tramortito ne l'ondoso letto
cadendo di
Brindon fu prigioniero.
Quindi si
volse, e con feroce aspetto
nel petronico
stuol spinse il destriero;
e di Panago
al conte e a Boniforte
signor di Castiglion
diede la morte.
74
Si ritira il
nemico a l'altra riva
che 'l
disvantaggio suo vede e comprende,
e poi ch'a
l'erta in fermo sito arriva,
l'ordinanze
restrigne e si difende.
Ma già
la notte d'oriente usciva,
e fra l'orror
de le sue fosche bende
le lampade
del ciel tutte accendea,
e giú in
terra a' mortali il dí chiudea.
ARGOMENTO
Il corno manco alfin de' Gemignani
giugne a forza pugnando a' suoi
steccati.
Vede Ezzelino in mostra a Padovani,
ch'a danno de' Petroni ha ragunati.
Fan tregua i campi: e con partiti
vani
son da Bologna ambasciator mandati,
che di Rinoppia fra i ricami e l'armi
del cieco Scarpinello odono i carmi.
1
Già la
luce del sol dato avea loco
a l'ombra de
la terra umida e nera;
e le lucciole
uscían col cul di foco,
stelle di
questa nostra ultima sfera,
quando le
trombe in suon già lasso e fioco
a raccolta
chiamar da la riviera.
Usciro i
fanti e i cavalier de l'onda,
e si ritrasse
ognuno a la su sponda:
2
e quinci e
quindi alzaro incontro al ponte
gli eserciti
trinciere e padiglioni.
Tornaro
intanto di Miceno il conte
e Manfredi e
Roldano, i tre campioni
che le
bandiere de' nemici conte
cacciate
avean per boschi e per valloni;
e fu da loro
in arrivando al lito
il suon de
l'armi e de' cavalli udito.
3
E poi che da
le spie certificati
del vario fin
de la battaglia fòro,
in dubbio se
dovean per gli steccati
ripassar de'
nemici al campo loro,
o guazzando
in disparte i lor soldati
ricondur
cheti a ripigliar ristoro;
a guazzo al
fin passar fanti e somieri,
e al ponte si
drizzâr co' cavalieri.
4
E dato aviso
al Potta in diligenza
perché le
sbarre a tempo e loco alzasse,
de le spoglie
de' vinti in apparenza
di Ferraresi
armâr la prima classe;
e
acciò che l'arte lor maggior credenza
tra gl'inimici
a l'arrivar trovasse,
quando loro
parve esser vicini assai
- Viva
Frarra, gridar, guardai, guardai. -
5
Gli abiti
ferraresi e le favelle
nel fosco de
la notte e 'n quel tumulto
ingannaron
cosí le sentinelle,
che fu il
pensier de' valorosi occulto.
Giunti nel
campo, alzar fino a le stelle
i gridi e gli
urli, e con feroce insulto
trasser le
spade e apersero il cammino
dove piú il
ponte a lor parea vicino.
6
Eran confusi
ancor gli alloggiamenti,
gli animi
incerti e i corpi affaticati,
quando dal
suon de' minacciosi accenti
d'improviso
terror fur saettati;
come scossi
dal ciel folgori ardenti,
venían di
sangue e di sudor bagnati;
Manfredi e 'l
buon Voluce a la frontiera
e in ultimo
Roldan chiudea la schiera.
7
Come pere
cadean le genti morte
sotto il
furor de le sanguigne spade.
Vede il conte
Romeo ch'ad una sorte
pedoni e
cavalier sgombran le strade;
onde il
nipote suo Ricciardo il forte
chiamando,
corre ove la gente cade:
ma l'impeto
lo sbalza, e prigioniero
porta seco Ricciardo
in su 'l destriero.
8
Come suol
nube di vapori ardenti
far ne' campi
talor strage e fracassi
vomitando dal
sen fulmini e venti,
e portar seco
svelti arbori e sassi:
cosí porta il
furor di que' possenti
seco
ogn'incontro ovunque volge i passi:
cosí, secondo
i greci ciurmatori,
porta
l'ottavo ciel gli altri minori.
9
Giunto al
Potta fra tanto era l'aviso,
e Gherardo su
'l ponte avea mandato:
ma fu
l'arrivo lor tant'improviso
che 'l
ritrovaro ancor chiuso e sbarrato.
Quivi a
Roldano fu il destriero ucciso,
e rimanea da
tutti abbandonato,
se non si
retraean fuora del ponte
i due
guerrier che combatteano in fronte.
10
L'uno di qua,
l'altro di là si mosse
dove incalzar
vedea l'ultima schiera,
e l'impeto in
sé tolse e le percosse,
fin che tutti
spuntar su la riviera.
Gherardo in
tanto al giugner suo rimosse
le sbarre che
piantate avea la sera,
e i suoi
raccolse, e lasciò quei dal Sipa
con un palmo
di naso a l'altra ripa.
11
De l'orribile
pugna il gran successo
sparse
intorno la fama in un momento,
onde ne
giunse a Federico il messo
che
sospirò del figlio il duro evento.
Scrisse a gli
amici e maledí sé stesso,
che fosse
stato a quell'impresa lento:
ma sopra
tutti scrisse ad Ezzelino
che di Padova
allor tenea il domino.
12
Ezzelin, come
udí che prigioniero
del suo
signore era il figliolo, in fretta
armò
le sue milizie, e fe' pensiero
di farne
memorabile vendetta.
Avea allor
seco un principe straniero,
cui per
fresco retaggio era suggetta
la nobil
signoria de la Morea,
e a cui
sposata una nipote avea.
13
In tutto
l'Oriente uom di piú core
di lui non
era o di miglior consiglio:
fu detto
Eurimedonte, e 'l suo valore
fea tremar da
l'Eusino al mar vermiglio.
Or a questi
Ezzelin diede l'onore
di liberar di
Federico il figlio:
e con piú ardor,
quand'egli udí, si mosse,
ch'era
infreddato e ch'egli avea la tosse.
14
Dieci schiere
ordinò, ciascuna d'esse
di ducento
cavalli e mille fanti,
e ghibellini
capitani elesse,
perché fosser
piú fidi e piú costanti.
Musa, tu che
migliacci e caldalesse
vendesti lor,
déttami i nomi e i vanti
che fer dal
piano a gli ultimi arconcelli
l'alta torre
tremar de gli Asinelli.
15
Già
l'uscio aperto avea de l'Oriente
la puttanella
del canuto amante,
e 'n camicia
correa bella e ridente
a lavarsi nel
mar l'eburnee piante;
spargeasi in
onde d'oro il crin lucente,
parea
l'ignudo sen latte tremante,
e a lo
specchio di Teti il bianco viso
tingea di
minio tolto in paradiso:
16
quando a la
mostra uscí tutta schierata
la gente. E
prima fu l'insegna d'Este
che l'aquila
d'argento incoronata
portar solea
nel bel campo celeste;
or d'uno
struzzo bianco è figurata,
impresa del
tiranno e di sue geste;
di Sant'Elena
il fiore indi seconda,
terra di rane
e di pantan feconda,
17
e
Castelbaldo, a cui tributa rena
l'Adige che
fa quindi il suo cammino.
Savin Cumani
è il duce, e da l'amena
piaggia di
Carmignano e Solesino
e dal Deserto
e da Valbona mena
gente, dove
costeggia il Vicentino:
l'armi ha
dorate, ne l'insegna al vento
spiega un
nero leon sovra l'argento.
18
Schinella e
Ingolfo, onor di Casa Conti,
gemelli e dal
tiranno ambiduo amati,
da la Creola
e da' vicini monti
guidano dopo
questi i lor soldati;
San Daniel,
Baone, e le due fronti
che toccano
del ciel gli archi stellati,
Venda e Rua, Montegrotto
e Montortone
Gazzuolo e
Galzignano e Calaone.
19
Abano va con
questi in una schiera
e quei di
Montagnon seco conduce.
L'aria e la
terra affumicata e nera
di sulfureo
color gente produce.
Quivi
l'orrendo albergo è di Megera,
che di foco
infernal tutto riluce,
e v'era
Pietro allor, co' fieri carmi
traeva i
morti regni al suon de l'armi.
20
A liste di
color vermiglio e bianco
segnata de'
due conti è la bandiera:
Nantichier di
Vigonza è loro al fianco,
e conduce con
lui la terza schiera;
Vighezzolo e
Vigonza e Castelfranco
seco ha in
armi e, di là da la riviera
de la Brenta,
le terre ove serpeggia
la Tergola e
'l Muson fremendo ondeggia.
21
Camposanpier,
Balò, Sala e Mirano,
Strà,
la Mira, Oriago, il Dolo e Fiesso,
Arin,
Caltana, Melareo, Stigliano,
e 'l popol di
Bogione era con esso.
Ne lo
stendardo il cavalier soprano
l'antico
segno ha di sua schiatta impresso,
ch'una sbarra
di vaio è per traverso
in campo
d'oro, e 'l fregio è bianco e perso.
22
Passa il
quarto Inghelfredo, uomo che nato
d'ignota
stirpe e a ministerio indegno
da prima
eletto, a poco a poco alzato
s'è
per occulte vie con cauto ingegno.
Tesoriero fu
dianzi, or è passato
a grado
militar piú illustre e degno:
ma superbo al
sembiante e al portamento,
sembra
scordato già del nascimento.
23
Dichiarato
è baron di Terradura,
e la
Battaglia va sotto il suo impero
dove fa
risonar l'antiche mura
l'incontro di
due fiumi e 'l corso fiero:
tempestata di
gigli ha l'armatura,
e un levriere
d'argento ha su 'l cimiero:
e 'l tiranno
Ezzelin l'ha fatto duce
del
patrimonio suo, ch'egli conduce.
24
Le bandiere
d'Onara e di Romano,
quelle di
Cittadella e Musolente
regge, e di
Fontaniva e di Bassano
e de la
Bolzanella arma la gente.
Va con questi
Campese a mano a mano;
Campese la cui
fama a l'occidente
e a' termini
d'Irlanda e del Cataio
stende il
sepolcro di Merlin Cocajo,
25
latino autor
di mantuani versi,
per cui la
donna sua Cipada agguaglia
e i monti di
Cucagna e i rivi tersi
levan la
palma a quei de la Tessaglia.
Erano i Campesani
in Lete immersi,
or li solleva
al ciel l'onda castaglia:
e forse ancor
su questi scartafacci
faran del
nome lor diversi spacci.
26
Brunor
Buzzaccarini è il quinto, e a gara
vanno seco
Conselve e Bovolenta,
Are, Cona,
Tribano e l'Anguillara,
quei di
Sarmasa e di Castel di Brenta,
di Pontelungo
e quei di Polverara,
dov'è
il regno de' galli e la sementa
famosa in
ogni parte: e questa schiera
dogata a
verde e bianco ha la bandiera.
27
L'altra che
segue, ove congiunte a stuolo
vanno Pieve di
Sacco e Saponara,
Montemerlo,
Sanfenzo e di Brazolo
la gente, e
seco in un Camponogara,
San Bruson e
Cammin, guida un figliolo
de l'antico
signor di Calcinara,
che Franco
Capolista è nominato,
e porta un
cervo rosso in campo aurato.
28
De la Riviera
e de la Mandra ha unite
ereditarie e
bellicose genti;
quelle di
Paluello instupidite
furo ad
armarsi allor sí negligenti,
ch'eran le
guerre già tutte finite
quando
spiegaron la bandiera a i venti:
onde i vicini
lor ridono ancora
del soccorso
che dier que' sciocchi allora.
29
Con la
settima squadra Aicardo passa
Capodivacca,
e seco ha Montagnana;
Monterosso e
Zoone a dietro lassa,
e guida
Revolon, Torreggia e Urbana,
Meggiaino e
Merlara in parte bassa,
Luvigliano
piú in alto a tramontana,
Seivazzan, Saccolungo
e Cervarese,
Saletto e
Praia e tutto quel paese.
30
Ma di Teolo
la famosa insegna
fra l'altre a
grand'onor splender si vede;
Teolo
ond'uscí già l'anima degna
che 'l
glorioso Livio al mondo diede.
Lo stendardo
vermiglio Aicardo segna
di tre spade
d'argento; e in guisa eccede
ogn'altro
coll'altezza de le membra,
ch'eccelsa
torre in umil borgo ei sembra.
31
Vien poi
Monselce, incontra l'armi e i sacchi
securo
già per frode e per battaglia,
sotto la
signoria d'Alviero Zacchi,
e 'l popol di
Casale e di Roncaglia.
Ha l'insegna
costui dipinta a scacchi
azzurri e
bianchi, e Gorgo e Bertepaglia
e Corneggiana
e Montericco ha drieto
e Carrara e
Collalta e Carpineto.
32
Il nono duce
Ugon di Santuliana
de le vicine
ville avea la cura,
Terranegra
conduce e Brusegana
dove Antenore
fe' le prime mura,
Villafranca,
Mortise e Candiana,
San Gregorio,
Sant'Orsola e Cartura,
le Tombelle,
Noventa e Villatora,
ed altre
terre che fioríano allora;
33
e de'
vassalli suoi non poca parte,
ché Pernumia e
Terralba ei signoreggia
e 'l bel
colle d'Arquà poco in disparte,
che quinci il
monte e quindi il pian vagheggia;
dove giace
colui, ne le cui carte
l'alma fronda
del sol lieta verdeggia,
e dove la sua
gatta in secca spoglia
guarda da i
topi ancor la dotta soglia.
34
A questa
Apollo già fe' privilegi
che rimanesse
incontro al tempo intatta,
e che la fama
sua con vari fregi
eterna fosse
in mille carmi fatta:
onde i
sepolcri de' superbi regi
vince di
gloria un'insepolta gatta.
Ugon su
l'armi e ne la sopraveste
un pardo
d'oro e 'l campo avea celeste.
35
La squadra di
Vicenza ultima guida
Naimiero
Gualdi, a la sembianza fuore
amico
d'Ezzelin che se ne fida,
ma non
risponde a la sembianza il core.
Quel campo
non avea scorta piú fida,
d'ogni bellica
frode era inventore;
ma facea 'l
goffo, e si tenea col Papa,
e ne la finta
insegna avea una rapa.
36
Egli era un
uom d'anni cinquantadui,
dotto e
faceto e con le guance asciutte,
solito sempre
a dar la baia altrui,
ché sapea
tutti i motti di Margutte.
Gran turba di
villani avea con lui
con occhi
stralunati e ciere brutte,
ch'armati di
balestre e ronche e scale
nati a posta
parean per far del male.
37
Valmarana,
Arcugnan, Pilla e Fimone,
Sacco e
Spianzana guida; ove le chiome
de la Betia
cantò su 'l Bachiglione
Begotto e 'l
volto e l'acerbette pome,
e dove la
sampogna di Menone
fe' risonar
de la Tietta il nome;
e Montecchio
e la Gualda, Olmo e Cornetto,
e trenta
ville e piú di quel distretto.
38
Dopo l'ultime
squadre il cavaliero
che dovea comandar,
solo veniva
sovra un baio
corsier macchiato a nero,
con armi di
color di fiamma viva;
ondeggiava su
l'elmo il gran cimiero,
pompeggiando
il caval se stesso giva,
e avea dietro
e dinanzi e d'ambo i lati
Greci per
guardia e Saracini armati.
39
Mentre
s'armano questi a la vendetta
del famoso
figliol di Federico,
l'un campo e
l'altro su 'l Panaro aspetta
che stanco si
ritiri il suo nemico.
Quinci e
quindi si veglia; e a la vedetta
stanno
continue guardie a l'uso antico
con archi e
balestroni a canto a gli argini
che scopano
del fiume i nudi margini.
40
L'architetto
maggior mastro Pasquino
fe' molte
botti empier di maccheroni,
altre di
biscottelli, altre di vino,
e ne
formò ripari e bastioni;
onde i
soldati sempre a capo chino
stavano a
custodir le guarnigioni,
fin ch'a
trattar del fin de le contese
furon per
dieci dí l'armi sospese.
41
Ed ecco
comparir due ambasciatori,
l'un con la
veste lunga e incappucciato,
e l'altro in
su le grazie e in su gli amori
con la spada
e 'l pugnal tutto attillato:
il primo
è del Collegio e de' Signori,
e 'l dottor
Marescotti è nominato;
il secondo di
Rodi è cavaliero,
di Casa
Barzellin, detto frà Piero.
42
Questi venían
per ritentar se v'era
partito alcun
di racquistar la Secchia,
avendo udito
già per cosa vera
che 'l
Tiranno Ezzelin l'armi apparecchia.
Furo onorati
e si fermâr la sera,
né trattar
piú de la proposta vecchia;
ma di cambiar
la Secchia in que' baroni,
eccetto il
Re, ch'essi tenean prigioni.
43
Il Potta, che
'l disegno a' cenni intese,
rispose lor
ch'era miglior riguardo
finir tutte
le liti e le contese,
e barattar la
Secchia col Re sardo,
e 'l Duca di
Cremona e 'l Gorzanese
col signor di
Faenza e con Ricciardo:
e in questo
si mostrò sí risoluto,
che
d'ogn'altro parlar fece rifiuto.
44
Gli ambasciatori,
a' quali era prescritto
quanto dovean
trattar, spediro un messo,
ch'andò
dal campo a la città diritto
a
ragguagliarne il Reggimento stesso:
e in tanto il
figlio di Rangone invitto
e 'l buon
Manfredi, a cui fu ciò commesso,
condussero a
veder le lor trinciere
gli
ambasciatori, e l'ordinate schiere.
45
Menârgli a
spasso poi dove alloggiate
Renoppia le
sue donne avea in disparte,
non quelle
tutte, che con lei passate
erano pria,
ma la piú nobil parte.
Stavano a'
lor ricami intente armate
imitando
Minerva in ogni parte:
ma lasciar
gli aghi e fêr venir in tanto
il cieco
Scarpinel con l'arpa e 'l canto.
46
Questi in
diverse lingue era eloquente,
e sapeva in
ciascuna a l'improviso
compor versi
e cantar sí dolcemente,
ch'avrebbe un
cor di Faraon conquiso.
L'arpa al
canto accordò subitamente;
e poiché fu
d'intorno ogn'un assiso,
col moto de
la man ceffi alternando
incominciò
cosí tenoreggiando.
47
- Dormiva
Endimion tra l'erbe e i fiori
stanco dal
faticar del lungo giorno,
e mentre l'aura
e 'l ciel gli estivi ardori
gli gían
temprando e amoreggiando intorno,
quivi discesi
i pargoletti Amori
gli avean
discinta la faretra e 'l corno,
ch'a i chiusi
lumi e a lo splendor del viso
fu loro di
veder Cupído aviso.
48
Sventolando
il bel crine a l'aura sciolto
ricadea su le
guancie in nembo d'oro;
v'accorrean
gli Amoretti, e dal bel volto
quinci e
quindi il partían con le man loro;
e de' fiori
onde intorno avean raccolto
pieno il
grembo, tessean vago lavoro,
a la fronte
ghirlanda, al piè gentile
e a le
braccia catene, e al sen monile.
49
E talor
pareggiando a l'amorosa
bocca o
peonia o anemone vermiglio,
e a la pulita
guancia o giglio o rosa,
la peonia
perdea, la rosa e 'l giglio.
Taceano il
vento e l'onda, e da l'erbosa
piaggia non si
sentía mover bisbiglio;
l'aria e
l'acqua e la terra in varie forme
parean
tacendo dire: “Ecco, Amor dorme”.
50
Qual ne'
celesti campi, ove il gran toro
s'infiamma a
i rai di luminose stelle,
sogliono
sfavillar con chioma d'oro
le figliole
d'Atlante, alme sorelle;
ch'a la
maggiore e piú gentil di loro
brillando
intorno stan l'altre men belle:
tal in mezzo
agli Amori Endimione
parea tra
l'erbe e i fior de la stagione.
51
Quando la
bella Dea del primo cielo
tutta cinta
de' rai del morto sole,
a la scena
del mondo aprendo il velo
le campagne
mirò tacite e sole;
e sparsa la
rugiada e scosso il gielo
dal lembo
sovra l'erbe e le viole,
a caso il
guardo in quella piaggia stese,
e vaga di
veder dal ciel discese.
52
Sparvero i
pargoletti a l'apparire
de la Dea
spaventati; ed ella, quando
vide il
giovane sol quivi dormire,
ritenne il
passo e si fermò guardando.
L'onestà
virginal frenò l'ardire:
e ne gli atti
sospesa e vergognando,
avea
già per tornare il piè rivolto;
ma richiamata
fu da quel bel volto.
53
Sentí per gli
occhi al cor passarsi un foco
che d'un
dolce desio l'alma conquise:
givasi
avicinando a poco a poco,
tanto ch'al
fianco del garzon s'assise;
e di que'
vaghi fior, ch'avean per gioco
gli Amoretti
intrecciati in mille guise,
s'incoronò
la fronte e adornò il seno,
che tutti fur
per lei fiamma e veleno.
54
Trassero i
fior la man, la mano i baci
a le guance,
a le labbra, a gli occhi, al petto,
che
s'impresser sí vivi e sí tenaci,
che si
destò smarrito il giovinetto.
Al folgorar
de le divine faci
tutto
tremò di riverente affetto;
e ad
atterrarsi già ratto surgea,
s'ella non
l'abbracciava e nol tenea.
55
Anima bella,
disse, e dormigliosa,
che paventi?
che miri? I' son la Luna
ch'a dormir
teco in questa piaggia erbosa
amor,
necessità guida e fortuna.
Tu non ti
conturbar, siedi e riposa;
e nel
silenzio de la notte bruna
pensa
occultar l'ardor ch'io ti rivelo,
o
d'isperimentar l'ira del cielo.
56
O pupilla del
mondo, in cui la face
del sol
s'impronta, pastorello indegno
son io, disse
il garzon: ma se ti piace
trarmi per
grazia fuor del mortal segno,
vivi sicura
di mia fé verace;
e questo
bianco vel te ne sia pegno,
ch'a mia
madre Calice Etlio già diede
mio padre, in
segno anch'ei de la sua fede.
57
Cosí dicendo,
un vel candido schietto,
che di gigli
di perle era fregiato,
e 'l tergo in
un gli circondava e 'l petto
giú da la
spalla destra al manco lato,
porse in dono
a la Dea, ch'ogni rispetto
già
spinto avea del cor tutto infiammato,
e come fior
che langue allor ch'aggiaccia
si lasciava
cader ne le sue braccia.
58
Vite cosí non
tien legato e stretto
l'infecondo
marito olmo ramoso,
né con sí
forte e sí tenace affetto
strigne
l'edera torta il pino ombroso;
come
strigneansi l'uno a l'altro petto
gli amanti
accesi di desio amoroso:
saettavan le
lingue in tanto il core
di dolci
punte, che temprava Amore.
59
Cosí mentre
vezzosi atti e parole
guardi, baci,
sospiri e abbracciamenti
facean
dolcezze inusitate e sole
a gli amanti
gustar lieti e contenti;
levò
la diva l'uno e l'altro sole,
accusando le
stelle e gli elementi,
poiché con
tanti e con sí lunghi errori
seguite avea
le fiere e non gli amori.
60
Misera me,
dicea, quant'error presi
quel dí ch'io
presi l'arco e 'l bosco entrai!
quant'anni
poscia ho consumati e spesi,
che di
ricoverar non spero mai!
o passi
erranti e vani e male intesi,
come al vento
vi sparsi e vi gettai!
quant'era
meglio questi frutti corre,
ch'a rischio
il piè dietro a le belve porre!
61
Or conosco il
mio fallo, e farne ammenda
vorrei poter;
ma il ciel non me 'l consente:
restami sol
che del futuro i' prenda
pensier, di
cui mai piú non sia dolente.
Però
l'aria, la terra e 'l mare intenda
quel che di
terminar già fisso ho in mente,
e la legge,
ch'io fo, duri col sole
sovra me
stessa e la femminea prole.
62
Io stabilisco
che non copra il cielo,
ch'io
governo, mai piú femmina bella
(eccetto
alcune poche ch'io mi celo
che fien di
me maggiori e d'ogni stella),
che sopporti
con casto e puro zelo
finir la vita
sua d'amor ribella,
e che stia
intatta di sí dolce affetto,
se non
mentitamente o al suo dispetto. -
63
Volea l'orbo
seguir, come dolente
tornò
la diva a la sua bella sfera:
se non che lo
mirò di sdegno ardente
Renoppia, e
in voce minacciosa e altera,
- Accecato de
gli occhi e de la mente,
brutta
effigie, gli disse, anima nera,
va', canta a
le puttane infame e sciocche
queste tue
vergognose filastrocche.
64
E se vuoi
ch'io t'ascolti e che il tuo canto
ritrovi adito
piú per queste porte,
cantami di
Zenobia il pregio e 'l vanto
o di Lucrezia
l'onorata morte. -
Il cieco
allor stette sospeso alquanto;
poscia in
tuono di guerra assai piú forte
l'amor di
Sesto e gli empii spirti ardenti
incominciò
a cantar con questi accenti:
65
- Il Re
superbo de' romani eroi
a la regia di
Turno il campo avea,
e con fanti e
cavalli e servi e buoi
di trinciere
e di fosse ei la cingea.
Eran con lui
tutti i figlioli suoi:
e quivi si
mangiava e si bevea
con gusto
tal, che 'l dí di san Martino
bebbero in
sette un carratel di vino.
66
Finito il vin,
nacque fra lor contesa
chi avesse
moglie piú pudica a lato:
e perch'ognun
volea per la difesa
combatter de
la sua ne lo steccato,
per diffinir
la strana lite accesa,
di consenso
commun fu terminato
di montar su
le poste allora allora,
e andarsene a
chiarir senza dimora.
67
Non s'usavano
allor staffe né selle:
e quei signor
con tanto vino in testa
correndo a
lume di minute stelle,
ebbero a
rimaner per la foresta.
Chi perdé il
valigino e le pianelle,
chi
stracciò per le fratte la pretesta,
chi rese il
vino per diversi spilli,
e chi
arrivò facendo billi billi.
68
Era con lor
Tarquino Collatino
che la moglie
Lucrezia avea a Collazia:
ei non era
fratel, ma consobrino
e lor parente
di cognome e grazia.
Tutti in
corte smontâr su 'l Palatino
e le mogli trovâr,
per lor disgrazia,
che foco in
culo avean piú ch'un Lucifero
e stavano
ballando a suon di piffero.
69
Fecero una
moresca a mostaccioni
la piú gentil
che mai s'udisse in corte;
e trovate al
camin starne e capponi,
verso Collazia
ne portâr due sporte.
giunti
colà, di spranghe e di stangoni
d'ogni parte
trovar chiuse le porte;
e bussaron
piú volte a l'aer bruno,
prima che
desse lor risposta alcuno.
70
Una
schiavetta al fine in capo a un'ora
affacciatasi
a certe balestriere,
e spinto un
muso di lucerta fuora,
disse: Chi
bussa là? Non c'è messere.
C'è
pur, rispose il Collatino allora,
venite a
basso e vel farem vedere.
Riconobbero i
servi a quelle voci
il padrone, e
ad aprir corser veloci.
71
Lucrezia
venne in sala ad incontrarlo
con la
conocchia senza servidori;
tutta lieta
venía per abbracciarlo,
ma vedendo
con lui tanti signori,
trasse il
pennecchio, ché volea occultarlo,
e dipinse il
bel volto in que' colori
ch'abbelliscon
la rosa, e fe' chiamare
le donne sue che
stavano a filare.
72
Di consenso
comun la regia prole
diede il
vanto a costei di pudicizia.
Dormiron
quivi, e a lo spuntar del sole
ritornarono
al campo e a la milizia.
Ma la bella
sembianza e le parole
rimasero nel
cor pien di nequizia
del fiero Sesto,
un de' fratelli regi,
e le caste
maniere e gli atti egregi.
73
Onde il dí
quinto ripassando il monte
tornò
a Collazia sol, là dov'ella era;
e giunto a
l'imbrunir de l'orizonte,
disse ch'ivi
alloggiar volea la sera.
La bella
donna, non pensando a l'onte
ch'ei
preparava, gli fe' lieta ciera;
la notte il
traditor saltò del letto,
e a la camera
sua corse in farsetto.
74
E la porta
gittò mezzo spezzata,
entrando col
pugnal ne la man destra:
quivi una
vecchia, che dormía corcata
in un letto
di vinco e di ginestra,
incominciò
a gridar da spiritata,
ond'ei la fe'
balzar per la finestra;
ed a Lucrezia
che facea schiamazzo
disse:
Mettiti giuso, o ch'io t'ammazzo.
75
A questo dir
chinò Renoppia bella
prestamente
la man con leggiadria,
e si trasse di
piede una pianella;
ma l'orbo fu
avvisato, e fuggí via.
S'alzaron que' signor ridendo, ed ella
gli
ringraziò di tanta cortesia,
e con maniera
signorile e accorta
gli
andò ad accompagnar fino a la porta.
ARGOMENTO
Melindo innamorato al ponte viene,
e tutti i cavalieri a giostra
appella.
Su l'isola incantata il campo tiene,
e fa mostra di sé pomposa e bella.
Cadono i primi, e fan cader le spene
a gli altri ancor di dirmanere in
sella.
Al fin da un cavalier non conosciuto
vinto è l'incanto, e 'l giovine abbattuto.
1
Eran partiti
già gli ambasciatori
venuti a
procurar la pace in vano;
però
ch'insuperbiti i vincitori
non si
voleano il Re levar di mano;
e 'l Nunzio
anch'egli entrato era in umori
ch'ei si
mandasse al gran Pastor romano,
come in
possanza di maggior nemico,
per piú
confusion di Federico.
2
Ma finita la
tregua ancor non era,
quando pel
fiume in giú venne a seconda
una barchetta
rapida e leggiera,
che portava
due araldi in su la sponda.
Giunti al
ponte, smontar su la riviera,
l'uno di qua,
l'altro dí là da l'onda:
e a giostra,
poi che ne le tende entraro,
d'ambidue i
campi i cavalier sfidaro.
3
Contenea la
disfida: - Un cavaliero,
per meritar
l'amor d'una donzella
c'ha sovra
quante oggi n'ha il mondo impero
in esser
valorosa onesta e bella,
sfida a colpi
di lancia ogni guerriero
finché l'un
cada e l'altro resti in sella;
da
l'abbattuto sol lo scudo ei chiede,
e 'l suo
darà se per fortuna cede. -
4
Accettâr la
disfida i giostratori,
e quinci e
quindi ognun stè preparato
con pensier
di dover co' novi albori
del
già cadente sol trovarsi armato.
Ma la notte
avea a pena i suoi colori
tolti a le
cose e 'l mondo attenebrato
spiegando
intorno il taciturno velo,
ch'una tromba
s'udí sonar dal cielo.
5
Al fiero suon
trecento schiere armârse
quinci e
quindi confuse e sbigottite,
quando nel
fiume una gran nave apparse,
che venía giú
per l'onde intumidite,
e tanti razzi
e tanti fuochi sparse,
che tolse il
vanto a la Città di Dite.
Nave parea,
ma in arrivando al ponte
isola apparve,
e la sua poppa un monte.
6
Orrido
è il monte e di spezzati sassi,
e signoreggia
un praticello ameno
che lungo
è intorno a centoventi passi
e trenta di
larghezza o poco meno;
la prora a
combaciar col ponte vassi,
e quivi una
colonna al ciel sereno
fiamme spargea con sí mirabil arte
ch'illuminava
intorno in ogni parte.
7
Da la colonna
pende incatenato
un corno
d'oro, e dice una scrittura
di ch'era il
marmo lucido intagliato:
Suoni chi
vuol provar l'alta ventura.
Piú in alto
sovra il corno era attaccato
un ricco
scudo, in cui da la scoltura
tolto era al
puro argento il primo onore,
e scritto
avea di sopra: Al vincitore.
8
Avea
l'egregio artefice ritratto
in esso la
battaglia di Martano
col signor di
Seleucia; e stupefatto
parea tutto
Damasco al caso strano:
sta Griffone
in disparte accolto in atto
d'uom di
dolore e di vergogna insano;
ride la
corte, Norandin si strugge,
ma il buon
Martan facea come chi fugge.
9
Era coperto
il pian di verde erbetta,
e la riva di
mirti ombrata intorno.
Smontâr molti
guerrier ne l'isoletta
passeggiando
il pratel di fiori adorno,
ma poiché la
trovâr tutta soletta
trassero a
gara a la colonna e al corno:
e quivi infra
di lor nacque contesa
chi dovesse
primier tentar l'impresa.
10
Giucaro al
tocco, e sopra Galeotto
cadde la
sorte, il giovinetto ardito;
quegli il bel
corno d'ôr prese di botto,
e sonò
sí ch'ognun ne fu stordito.
Tremò
l'isola tutta, e tremò sotto
il letto e
l'onda, e tremò intorno il lito:
sparve il
foco ch'ardea, sparver le stelle,
e perdé il
ciel le sue sembianze belle.
11
E mentre
ancor durava il gran tremore,
ricoperse
ogni cosa un nuvol denso,
e
balenò improviso, e a lo splendore
seguí uno
scoppio orribile ed immenso
che
strignendo gli spirti e 'l sangue al core
fe' rimanere
ognun privo di senso;
e giú col
tuono un fulmine discese,
che percosse
nel monte, e quel s'accese.
12
S'accese il
monte, e tutto in fiamma viva
fu convertito
in un girar di ciglio,
e in mezzo de
la fiamma ecco appariva
mirabilmente
un padiglion vermiglio.
Il nobil lin,
di cui già tele ordiva
l'antica
età d'incombustibil tiglio;
tal fra le
pompe regie in oriente
fu visto
rosseggiar nel foco ardente.
13
Lasciò
la fiamma il monte incenerito,
e 'l ciel
tornò seren com'era pria;
e in tanto fu
di cento trombe udito
un misto suon
di guerra e d'armonia.
Il lume
ritornò, ch'era sparito,
su la
colonna; e 'l padiglion s'apría,
e n'uscían
cento paggi in bianca vesta,
tutta di
fiori d'ôr sparsa e contesta.
14
Bruni i
fanciulli avean le mani e 'l viso,
e parean tutti
in Etiopia nati;
un poeta gli
avrebbe a l'improviso
a le mosche
nel latte assomigliati.
Fuor di due
porte il nero stuol diviso
uscí con
torce accese; e in ambo i lati
si distinse
con lunga e dritta schiera,
e
lasciò vota in mezzo una carriera.
15
Su l'altro
capo intanto avea portato
copia di
lance un provido scudiero;
e Galeotto
era comparso armato
con
sopravesta verde, armi e cimiero;
maneggiando
un cavallo in Tracia nato,
da tre piedi
balzàn, di pelo ubero,
che
curvettando alzava da l'arena
al tocco de
lo spron salti di schiena.
16
Era ogni cosa
in punto, e solamente
mancava il
cavalier de la ventura;
quando iterâr
le trombe, immantinente
uscí del
padiglion su la pianura.
di bianca
sopravesta e rilucente
di gemme era
vestito, e l'armatura
di puro
argento avea, bianco il cimiero,
ma nero piú
che corvo era il destriero.
17
Alta avea la
visiera, e giovinetto
d'età
di sedici anni esser parea:
biondo era e
bello e di gentile aspetto,
e grazia in
lui quell'abito accrescea.
Salutò
intorno ognun con grato affetto,
e 'l feroce
destrier che sotto avea,
su l'orme fe'
danzar che pria distinse
col
piè ferrato, indi la lancia strinse.
18
Abbassò
la visiera, e attese intento
che la canora
tromba il moto accenne;
ed ecco
suona, e come fiamma o vento
l'uno di qua
l'altro di là se 'n venne.
Scontrarsi a
mezzo il campo, e rotte in cento
tronchi e
scheggie volâr le sode antenne,
gittò
faville l'uno e l'altro elmetto,
e Galeotto
uscí di sella netto.
19
Vago di
contemplar vista sí bella
stava l'un
campo e l'altro in ripa al fiume,
e le due
podestà sotto l'ombrella
miravano la
giostra al chiaro lume.
Videro
Galeotto uscir di sella,
e vider
l'altro con gentil costume
stendere al
fren la generosa mano
e tenergli il
destrier che gía lontano.
20
Galeotto
confuso e vergognoso
lo scudo al
vincitor partendo cesse,
nel cui lembo
dorato e luminoso
subito il
nome suo scritto si lesse.
In tanto un
cavalier tutto pomposo
d'azzurro e
d'oro una gran lancia eresse,
e un leardo
corsier di chioma nera
spronò
contra il campion de la riviera.
21
Ruppe la
lancia al sommo de lo scudo,
e fe' i
tronchi ronzar per l'aria scura;
ma fu colto
da lui d'un colpo crudo
che lo stese
tra i fiori e la verdura:
cadde a pena,
che trasse il ferro ignudo
e volle
vendicar sua ria ventura;
ma l'altro si
ritrasse, ed ecco un vento,
e fu ogni
lume intorno a un soffio spento:
22
e
tremò l'isoletta, e fiamma viva
vomitando e
tonando a un tempo fuore,
quindi un
gigante orribile n'usciva
ch'a la terra
ed al ciel mettea terrore;
questi al
guerrier che contra lui veniva
s'aventò
dispettoso, e con furore
lo ghermí
come un pollo, e a spento lume
lui col
cavallo arrandellò nel fiume;
23
onde a fatica
ei si salvò notando:
restò
lo scudo, e 'n lui si lesse: Irneo.
Allor di nuovo
l'isola tremando
s'aperse, e
il gran gigante in sé chiudeo:
e 'l chiaro
lume, ch'era gito in bando,
tornò
a le torce spente e l'accendeo;
tacque il
tremito e 'l vento: e nuova giostra
chiamando, il
cavalier fe' di sé mostra.
24
Il terzo
giostrator fu Valentino,
che
passeggiando venne un destrier sauro:
e 'l quarto
il valoroso Giacopino
sopra un
ginetto altier del lito mauro,
ch'avea
ferrato il piè d'argento fino
e sella e
fren di perle ornati e d'auro:
ma l'uno e
l'altro uscí de l'isoletta
senza lo
scudo, e dileguossi in fretta.
25
Il quinto fu
il signor di Livizzano;
ch'innamorato
di Celinda altera,
e per lei
colto in fronte e messo al piano,
ebbe a perir
de la percossa fiera.
L'asta rotta
si fesse, e 'l colpo strano
fe' le
scheggie passar per la visiera;
ond'ei cadde
trafitto il destro ciglio,
de l'occhio e
de la vita a gran periglio.
26
Il Potta
rivoltato a Zaccaria
che gli sedea
vicin, disse: - Messere,
quest'è
certo un incanto e una malía
ognun quel
cavalier farà cadere. -
Rispose il vecchio
allor: - Per vita mia
ch'a me
l'istesso par, né so vedere
che possan
guadagnar questi briganti
a cozzar col
demonio e con gl'incanti;
27
però
se stesse a me, farei divieto
che nessuno
de' miei con lui giostrasse. -
Prese il
Potta il consiglio, e fe' un decreto
che ne
l'isola alcun piú non entrasse,
e se ne
stette poscia attento e cheto
mirando
ciò che l'inimico oprasse,
e vide due,
vestiti a bruno ed oro
appresentarsi
co' cavalli loro.
28
L'un d'essi
corse, e tócco a pena fue
ch'uscí di
sella e si distese al piano;
e pur
mostrava a le sembianze sue
d'esser di
core indomito e di mano.
Secondò
l'altro, e per la groppa in giue
restò
cadendo al suo caval lontano.
Risorse il
primo, e a quel de la riviera
disse con
voce e con sembianza altera:
29
- Guerrier,
se tu non sei per via d'incanto
prode con
l'asta, or de l'arcion discendi
e con la
spada che tu cigni a canto
a trarmi in
cortesia d'inganno imprendi;
e s'hai timor
di non turbar fra tanto
la giostra, a
tuo piacer pugna e contendi;
pur ch'io ti
provi un colpo o due col brando:
ecco lo scudo
e piú non t'addimando. -
30
Rispose il
cavalier de l'isoletta:
- A dismontar
sarei forse ubbligato,
s'a combatter
per odio o per vendetta
fossi venuto
in questo campo armato.
A giostrar
venni e solo amor m'alletta,
e 'l mio
disegno a tutti ho palesato:
sí ch'io non
son tenuto a uscir di questa,
per variar
tenzone a tua richiesta.
31
Ma perché non
m'imputi a codardia
il rifiutar
la prova de la spada,
lasciami
terminar l'impresa mia,
poi ti
risponderò come t'aggrada.
Lo scudo se
'l mi chiedi in cortesia
io lo ti
lascierò; per altra strada
non ti pensar
di ritenerlo, o ch'io
a tuo voler
sia per cangiar desio. -
32
- Il
cangerai, soggiunse, al tuo dispetto, -
l'altro
guerrier, malvaggio incantatore. -
E del tronco
de l'asta in su l'elmetto
ferillo, e
trasse a un tempo il brando fuore;
tremò
l'isola al colpo, e tremò il letto
del fiume, e
sparve tosto ogni splendore;
balenò
il cielo, e con orrendo scoppio
s'aprí la
terra e n'uscí un fumo doppio.
33
Sfavillò
il fumo; ed ecco immantenente
due tori
uscir d'insolita figura
che con occhi
di foco e fiato ardente
parean
seccare i fiori e la verdura.
S'uniro i due
guerrier, tratte repente
le spade, e
non mostrâr di ciò paura.
Vengono i
tori, e l'uno e l'altro campo
trema de gli
occhi al formidabil lampo.
34
Il cavalier
de l'isoletta s'era
tratto in
disparte a rimirar la guerra;
come saetta,
l'una e l'altra fera
col biforcuto
piè trita la terra.
S'apre a
l'arrivo lor la coppia altera;
passa il corno
incantato e non gli afferra;
menano
entrambi, e 'l taglio de la spada
par che su
lana o molle piuma cada.
35
Tornano i
tori, e i cavalier rivolti
son loro
incontro e menano a la testa;
lampeggiaron
le fronti ove fur colti:
ma l'impeto e
'l furor per ciò non resta:
i cavalier su
'l corno a forza tolti
fur portati
nel fiume a gran tempesta;
restar gli
scudi, e scritti i nomi loro
Perinto e Periteo
ne gli orli d'oro.
36
Balzâr ne
l'onda a precipizio i tori
co i
cavalieri; e quivi uscîr di vista:
si ravvivaro
i soliti splendori,
depose il
ciel quella sembianza trista;
l'isoletta
cessò da' suoi tremori,
lieta
tornando come prima in vista;
e 'l cavalier
che ritirato s'era,
tornò
a mettersi in capo a la carriera.
37
E nuova giostra
in vano un pezzo attese,
ch'ognuno era
confuso e spaventato,
fin che dal
ponte un cavalier discese
maneggiando
un corsier falbo dorato
che la
briglia d'argento e 'l ricco arnese
avea d'oro
trapunto e ricamato.
Questi in
pensier di cambiar lancia venne,
e ne fe'
inchiesta, e la richiesta ottenne.
38
Diede il
segno la tromba: e come vanno
per gli campi
de l'aria i lampi ardenti
ch'a terra e
cielo e mar dar luogo fanno
e portano con
lor grandine e venti;
tal vannosi i
guerrier, con l'aste c'hanno
abbassate, a
ferir gli elmi lucenti.
Volâr le
scheggie e le faville al cielo,
né vi fu cor
che non sentisse gielo.
39
Cozzarono i
destrier fronte con fronte;
e quel del
cavalier de l'isoletta
lasciò
col suo signor l'altro in un monte,
e via dritto
passò come saetta.
Tosto risorse
il cavalier del ponte
bramando far
del suo caval vendetta:
e a nuova
lancia il giostrator richiese,
ed ei gli fu
di ciò molto cortese.
40
Venne un
altro corsier di pel roano,
e su montovvi
il cavalier d'un salto;
sospese il fren
con la sinistra mano
e con lo
sprone il fe' guizzare in alto;
e poiché si
rimise in capo al piano
lo sospinse
di corso al fiero assalto:
ma
nell'incontro fu toccato a pena
che si
trovò rovescio in su l'arena.
41
Levossi e
disse: - Ecco lo scudo mio,
ch'or veggio
che se' mago e incantatore,
né teco vo'
né col demonio rio
mettere in
compromesso il mio valore:
forse
avverrà ch'ancor tu paghi il fio
per altre
mani, e con tuo poco onore,
del mal
acquisto; or qui ti resta intanto
col diavolo,
ch'eletto hai per tuo santo. -
42
De l'isola
partissi in questo dire,
e ne lo scudo
suo Tognon fu letto.
Dopo costui
si vider comparire
due cavalier
di generoso aspetto
che 'l
giostratore andarono a ferire
l'un dopo
l'altro con sembiante effetto:
rupper le lance
ne l'argento terso,
e l'uno e
l'altro si trovò riverso.
43
Restar gli
scudi, e Paolo e Sagramoro
ne gli orli
impressi. Indi a giostrar si mosse
sovra un
corsier di pel tra bigio e moro
un cavalier
con piume bianche e rosse
e sopravesta di
teletta d'oro
ricamata a
troncon di perle grosse,
ch'una mano
di paggi intorno avea
vestiti a
superbissima livrea.
44
Questi era un
cavalier non piú nomato,
figlio d'un
romanesco ingannatore
che pria fu
rigattier, poi s'era dato
in Campo
Merlo a far l'agricoltore,
e 'l grano e
le misure avea falsato
tanto che
divenuto era signore;
e per
aggiugner gloria al figlio altiero,
quivi dianzi
il mandò per venturiero.
45
Costui se 'n
venía gonfio come un vento,
teso ch'un
pal di dietro aver parea:
fu conosciuto
a l'armi e al guarnimento
e a la
superba sua ricca livrea.
Potrei
rassomigliarlo a piú di cento
di non forse
inegual prosopopea;
ma toccherei
un mal vecchio decrepito,
e la
zerbineria farebbe strepito.
46
Ninfeggiò
prima e passeggiò pian piano,
poi
maneggiò il destriero a terra a terra;
in fin che si
ridusse in capo al piano
dove s'avea
da incominciar la guerra.
Ecco la
tromba; ecco con l'asta in mano
vien l'uno e
l'altro, e fa tremar la terra:
risonarono i
lidi a le percosse;
né a quell'incontro
alcun di lor si mosse.
47
Fu il primo
cavalier ch'in sella stette
contra il
campion mantenitor costui:
e ben
maravigliar fe' piú di sette
che non
credean giammai questo di lui.
Il cavalier
de l'isola ristette
pensoso un
poco, e favellò co' sui,
indi a le
mosse ritornando, fôro
lance piú
sode appresentate loro.
48
Ma come
l'altre si fiaccaro e fero
salire i
tronchi a salutar le stelle:
piegossi
l'uno e l'altro cavaliero
e fur per
traboccar giú de le selle.
Perdé le
staffe il romanesco altiero,
e vide l'armi
sue gittar fiammelle;
ma
rinfrancossi al suon ch'intorno udiva
del nome suo
da l'una e l'altra riva.
49
Come si
gonfia a l'Euro in un momento
il Mar
Tirreno, e sbalza e fortuneggia,
cosí il cor
di costui si gonfia al vento
del populare
applauso, e ne folleggia:
va tronfio e
pettoruto, e bada intento
a i saluti, a
gli sguardi, e paoneggia;
e fatta c'ha
di sé pomposa mostra,
nuova lancia
richiede e nuova giostra.
50
Fremean
Perinto e Periteo di sdegno
che durasse
costui tanto in arcione;
quando diede
la tromba il terzo segno
da la parte
che guarda il padiglione,
poser le
lance i cavalieri a segno,
e venner
furiosi al paragone:
ma ne l'elmo
colpito, il romanesco,
finalmente
caddé su l'erba al fresco.
51
Di terra si
levò tutto arrabbiato;
trasse la
spada e sbudellò il destriero,
come fosse il
meschin del suo peccato,
de la caduta
sua l'autor primiero:
indi al
guerrier de l'isola voltato,
- Ti
sarà, disse, d'aspettar mestiero,
ch'uno scudo
i' ti dia d'altro lavoro;
ché questo i'
nol darei per un tesoro. -
52
Sorrise il
giostratore, e disse: - Questo
teco
giostrando ho vinto, e questo voglio.
Il mio val
piú del tuo, né saria onesto
che ti
volessi anch'io cambiare il foglio. -
Rispose il
romanesco: - I' ti protesto
che lo
difenderò sí come i' soglio. -
E tratto il
brando, al solito costume
si scosse il
suol, ma non si spense il lume.
53
E un asinello
uscí, che due stivali
per orecchie
e una trippa avea per coda;
con
l'orecchie fería colpi mortali,
e la coda
inzuppata era di broda:
terribil voce
avea, calci mortali,
la pelle d'un
diamante era piú soda;
e sempre che
ferir potea d'appresso,
balestrava
col cul pallotte a lesso.
54
Parean
polpette cotte ne l'inchiostro,
e appestavano
un miglio di lontano.
Titta di Cola
s'affrontò col mostro,
(che tal
nomossi il cavalier romano),
e gli fu
d'altro che di perle e d'ostro
ricamato il
vestito a piena mano.
Egli del
brando a quella bestia mena,
a segna il
pelo ove lo coglie a pena.
55
L'asino un
par di calci gli appresenta,
indi mena la
coda agile e presta;
apre a un
tempo la canna, e lo sgomenta
co i ragli
che tremar fan la foresta;
sbatte
l'orecchie, e di ferir non lenta
or le spalle,
or i fianchi, ora la testa;
volta la
poppa e tuona, e a l'improviso
fulmina, e a
fresco gli dipinge il viso.
56
Il buon
roman, che la tempesta sente,
getta lo
scudo ed a fuggir si pone:
rise il
mantenitor dirottamente,
e
tornò in su le mosse al padiglione.
Ma già
la notte il carro a l'occidente
volgea, né
compariva altro campione:
ond'ei si chiuse
ne la tenda, e 'n tanto
dieron
principio i galli al primo canto.
57
Il dí
seguente il giostrator si stette
nel
padiglione, e non fe' mostra alcuna;
ma poi
ch'usciro i gufi e le civette
su per gli
tetti a salutar la luna,
a suon di
trombe con nov'armi elette
anch'egli fe'
vedersi in veste bruna:
bruno il
cimiero e bruno il guarnimento,
ma bianco era
il destrier piú che l'argento.
58
E i paggi,
che servian per candelieri,
dove dianzi
parean de la Guinea,
parean scesi
dal cielo angeli veri,
e come i visi
ancor cangiâr livrea.
Tutti
comparver con vestiti neri
in calze a
tagli; onde a veder correa
con voglia
ingorda la milizia Tosca
tirata dal
favor de l'aria fosca.
59
E 'l giovine
Averardo, il qual non s'era
fin allor
visto appresentarsi in mostra,
fu il primo a
comparir su la riviera
e 'l primo a
uscir di sella in quella giostra.
Diede lo
scudo e alzossi la visiera,
e si
fermò nella fiorita chiostra
a ragionar
co' paggi e a fare inchiesta
del nome del
guerriero e di sua gesta.
60
Da molti lumi
intanto accompagnata,
de l'isola
era uscita una donzella
in abito
stranier candido ornata,
e di maniere
accorte e 'n viso bella:
e venne ove
Renoppia era attendata,
con due
scudieri e con due paggi in sella,
e gli
acquistati scudi appresentolle,
e in nome del
guerrier poscia narrolle:
61
che la fama
l'avea del suo valore,
quel dí
ch'armata in su la riva corse
e l'esercito
ostil già vincitore
sostenne, e
mise la vittoria in forse,
quivi
condotto a far sol per suo amore
la bella
giostra e in avventura a porse;
onde chiedea
che non s'avesse a sdegno
che gli
scaldasse il cor foco sí degno.
62
Vergognosa
Renoppia e sdegnosetta:
- Ruffianella
mia, disse, a l'aria, a i venti
meco il
vostro guerrier l'arti sue getta,
ch'io non fui
vaga mai d'incantamenti.
Ma voi che
siete bella e giovinetta,
e che con lui
vi state a lumi spenti,
perché
lasciate voi che i premi vostri
v'escan di
mano e che per altra giostri? -
63
- Serva son
io, rispose la donzella,
e troppa per
me fôra alta mercede;
possiede il
mio signor terre e castella,
né
inchinerebbe a la mia sorte il piede. -
Renoppia
allora, astuta come bella:
- Se questo
è, soggiungea, fategli fede
ch'io mi
chiamo ubbligata a quel valore,
che mostra
con la lancia in farmi onore.
64
E se ben
forse avrei piú caro avuto
ch'in
soccorso de' nostri a vero marte
con l'armi
per mio amor fosse venuto
senza
apparecchio alcun di magic'arte;
pur l'affetto
gradisco e lo saluto:
e questa gli
darete da mia parte. -
E di seno, a
quel dir, senza intervallo
si trasse una
crocetta di cristallo,
65
dov'era un
dente di san Gemignano,
e Papa Onorio
l'avea benedetta,
e finse porla
a la donzella in mano,
che la desse
al guerrier de l'isoletta:
ma quella
sparve come un sogno vano
al subito
toccar de la crocetta,
e sparvero con
lei paggi e scudieri,
e rimasero
sol gli scudi veri.
66
Lesse i nomi
Renoppia, e quelli rese
ch'esser
trovò de' cavalieri amici;
gli altri di
ritener consiglio prese
come spoglie
e trofei de' suoi nemici.
Intanto il
giostrator seguía sue imprese
con gli usati
successi ognor felici:
quand'un
guerriero ignoto in veste gialla
al ponte
capitò su una cavalla.
67
La lancia
lunga piú d'ogn'altra avea
due palmi, e
una pantera in su l'elmetto:
ma sospeso
venía sí che parea
ch'andasse a
quell'impresa al suo dispetto.
Sonâr le
trombe, e 'l suon che gli altri fea
dentro
brillar, fe' in lui contrario effetto:
corre, ma
sembra a i timidi atti fuore
portato dal
destrier, non già dal core.
68
Pur si
ristrigne ne gli arcioni, e abbassa
la lancia in su
la resta, e gli occhi serra
in arrivando,
e i denti strigne, e passa
come chi va
sol per vergogna in guerra:
e a
quell'incontro l'inimico lassa,
con
maraviglia de' due campi in terra.
Allor tutta
s'udí quella riviera
gridar: -
Viva il campion de la pantera. -
69
Ed ei
maravigliando al suon rivolto
vide l'emulo
suo giacer disteso:
onde di sé
per allegrezza tolto
fermossi a
riguardar tutto sospeso.
Ma
l'abbattuto, a l'infiammato volto
mostrando il
cor di fiero sdegno acceso,
ratto
risorse, e con un piè percosse
la terra e
'ntorno il pian tutto si scosse:
70
e s'estinsero
i lumi, e 'l padiglione
sparve fra
tuoni e lampi in un baleno,
e l'isoletta
diventò un barcone
colmo di
stabbio, di fascine e fieno;
né rimasero
in esso altre persone
di tante, onde
pur dianzi era ripieno,
che 'l
cavalier vittorioso e un nano
ch'avea uno
scudo e una lanterna in mano.
71
E lo scudo
porgendo al cavaliere
- Questo
è il premio, dicea, del vincitore
tratto da la
colonna, e in tuo potere
lasciato al
dipartir dal mio signore;
che per
ragion di cortesia ti chere
che, come
l'hai de l'alto tuo valore,
cosí ti
piaccia ancor farlo avisato
del nome e de
la patria onde se' nato. -
72
Ringalluzzossi
il cavaliero e al nano
rispose: - Al
tuo signor riferir puoi
che la mia stirpe
vien dal lito ispano,
ed è
famosa oltre i confini eoi.
Quel Don
Chisotto in armi sí sovrano,
principe de
gli erranti e de gli eroi,
generò
di straniera inclita madre
don
Flegetonte il bel, che fu mio padre.
73
Questi in
Italia poscia ebbe domíno
e si fe' in
ogni parte memorando;
solo a la
gloria sua mancò Turpino
che scrivesse
di lui come d'Orlando:
eroe non
l'agguagliò né paladino,
e sol cedé al
valor di questo brando;
e perché cosa
occulta non rimagna,
digli ch'io
sono il conte di Culagna.
74
Ma poi ch'ho
soddisfatto al tuo desío
e t'ho dato
di me notizia intera,
resta
ch'ancor tu soddisfaccia al mio
in dirmi il
nome e la sua stirpe vera. -
Rispose il
nano: - Informerotti anch'io
di quel che
brami, usciam de la riviera
ché tanti
cavalier che colà vedi
bramano
anch'essi quel che tu mi chiedi. -
75
Giunser del
fiume in su la destra sponda
dove molti
guerrier facean soggiorno;
che, subito
che 'l nano uscí de l'onda,
gli furon
tutti a interrogarlo intorno.
Egli che
lingua avea pronta e faconda,
fermando il
piede: - A voi, disse, ritorno
per sodisfare
a la comune voglia:
state or a
udir, né alcun di me si doglia.
76
Poi che de la
città cacciati foro
gli Aigoni
dal furor de' Ghibellini,
e 'l conte di
Vallestra capo loro
uscí con gli altri
anch'ei fuor de' confini,
trovò
per arte magica un tesoro,
e fe' ne'
monti al suo castel vicini
una grotta
incantata, ove gran parte
del tempo
stassi esercitando l'arte.
77
Quivi un
figliol di tenerella etate
ch'unico egli
ha, detto Melindo, e' tiene;
le cui
maniere nobili e lodate
destan nel
vecchio padre amor e spene.
Questi, uditi
i costumi e la beltate
e 'l valor
che mostrò su queste arene
una donzella
in questo proprio loco,
arse per lei
d'inestinguibil foco;
78
e con prieghi
e sospir dal padre ottenne
di comparire
a far qui di sé mostra;
onde su
l'isoletta in campo venne
armato a
mantener la bella giostra.
Ma il
timoroso vecchio, a cui sovvenne
l'età
ineguale a la possanza vostra,
fece un
incanto ch'esser perditore
per forza non
potea né per valore.
79
Fu l'incanto
ch'ei fe' con tal riguardo
che non potea
cader Melindo a terra,
se non venía
un guerrier tanto codardo
che non
trovasse paragone in terra;
e quanto piú
l'incontro era gagliardo,
tanto meglio
il fanciul vincea la guerra;
come il ferir
del fulmine che spezza
con piú furor
dov'è maggior durezza.
80
L'aste, il
cavallo e l'armi onde guernito
era il
fanciul, tutte incantate avea:
e chi traea
la spada era spedito,
ché de
l'isola a forza uscir dovea.
Il cambiar
lancia era miglior partito;
ma non per
questo il cavalier vincea,
se non era di
forza e di valore
piú
d'ogn'altro a Melindo inferiore. -
81
Qui tacque il
nano: e 'n giubilo fu volto
de gli
abbattuti il mal concetto sdegno.
Ma il conte
di Culagna increspò il volto,
e ritirando
il passo e d'ira pregno
trasse la
spada, e a quel piccin rivolto
che di timore
alcun non facea segno
- Tu menti,
disse, menzognier villano,
e te lo
manterrò con questa in mano.
82
Tu vorresti
macchiar la mia vittoria;
ma non la macchierai,
brutto scrignuto,
ché
già nota per tutto è la mia gloria,
né scusa ha
il tuo signor vinto e abbattuto. -
Non volle il
Nano entrar seco in istoria;
ma fatto a
que' signori umil saluto,
al conte che
seguiva il suo costume
rispose: -
Buona notte - e spense il lume.
ARGOMENTO
A Napoli se 'n va la Dea d'amore,
e 'l principe Manfredi a l'armi
accende.
Al conte di Culagna infiamma il core
Renoppia, che di lui gioco si prende.
E d'uccider la moglie entra in umore
con veleno, e sé stesso incauto
offende.
Fugge la moglie al campo, e si
procaccia
d'amante, e fagli al fin le corna in
faccia
1
Il carro de
la Notte era già fuora
del cerchio
che divide Africa e Spagna,
e non dormiva
e non posava ancora
il glorioso
conte di Culagna.
Va tra sé
rivolgendo ad ora ad ora
con
quant'onore in campo egli rimagna,
poiché mercé
di sua felice stella
l'incantato
guerrier tratto ha di sella.
2
Quindi
pensando a la cagion che spinto
Melindo avea
su 'l favoloso legno,
pargli non
pur del ricco scudo vinto,
ma de la
bella donna esser piú degno.
Gli
somministra il naturale istinto
e la ragion
del suo elevato ingegno,
che poiché 'l
campo il cavalier gli cede,
d'ogn'onor,
d'ogni premio il lascia erede.
3
E su questo
pensier vaneggia in guisa,
che di
Renoppia già si finge amante,
e le bellezze
sue fra sé divisa
cupidamente,
e n'arde in un istante.
Or ne' begli
occhi suoi tutto s'affisa,
or ne gli
atti leggiadri, or nel sembiante;
e come
lusingando il va la speme,
or gioisce, or sospira, or brama, or teme.
4
Moglie
giovane e bella ei possedea,
ma ogni
pensier di lei se n'è fuggito;
e in questo
nuovo amor s'interna e bea
tanto, che
pargli il ciel toccar col dito.
Cosí la carne
già ch'in bocca avea
su 'l fiume
il can d'Esopo, un dí schernito
lasciò
cader nel fuggitivo umore,
per prender
l'ombra sua ch'era maggiore.
5
Tutta la
notte andò girando il conte
le piume,
senza mai prender riposo;
e Febo
già con l'infiammata fronte
rimovendo dal
ciel l'aer ombroso,
colta
l'Aurora avea su l'orizonte
ignuda in
braccio al suo Titon geloso;
ond'ella
rossa in volto, alzando il petto
con la
camicia in man fuggia del letto.
6
Quand'il
conte levato anch'egli mosse
colà
dove Renoppia era attendata,
cantando a
l'improviso a note grosse
sopra una
chitariglia discordata:
e giudicando
che la lingua fosse
di gran
momento a intenerir l'amata,
s'affaticava
in trovar voci elette
di quelle che
i Toscan chiamano prette.
7
- O, diceva, bellor
de l'universo,
ben meritata
ho vostra beninanza;
ché 'l prode
battaglier cadde riverso,
e perdé
l'amorosa e la burbanza.
Già
l'ariento del palvese terso
non mi
brocciò a pugnar per desianza;
ma di vostra
parvenza il bel chiarore,
sol per
vittoriare il vostro quore. -
8
Cosí cantava
il conte innamorato
a lei che del
suo amor fra sé ridea.
Ma Venere fra
tanto in altro lato
le campagne
del mar lieta scorrea:
un mirabil
legnetto apparecchiato
a la foce de
l'Arno in fretta avea;
e movea
quindi a la riviera amena
de la real città de la Sirena,
9
per incitar
il Principe novello
di Taranto ad
armar gente da guerra,
e liberar di
prigionia il fratello
che chiuso
sta ne la nemica terra.
Entra ne
l'onda il vascelletto snello,
spiega la
vela un miglio o due da terra;
siede in
poppa la Dea, chiusa d'un velo
azzurro e
d'oro a gli uomini ed al cielo.
10
Capraia
adietro e la Gorgona lassa,
e prende in
giro a la sinistra l'onda;
quinci
Livorno, e quindi l'Elba passa
d'ampie vene
di ferro ognor feconda;
la distrutta
Faleria in parte bassa
vede, e
Piombino in su la manca sponda,
dov'oggi il
mare adombra il monte e 'l piano
l'aquila del
gran re de l'Oceàno.
11
Tremolavano i
rai del sol nascente
sovra l'onde
del mar purpuree e d'oro;
e in veste di
zaffiro il ciel ridente
specchiar
parea le sue bellezze in loro:
d'Africa i
venti fieri e d'Oriente
de le fatiche
lor prendean ristoro;
e co' sospiri
suoi soavi e lieti
sol Zefiro
increspava il lembo a Teti.
12
Al trapassar
de la beltà divina
la Fortuna
d'amor passa e s'asconde.
L'ondeggiar
de la placida marina
baciando va
l'inargentate sponde.
Ardon d'amore
i pesci, e la vicina
spiaggia
languisce invidiando a l'onde;
e stanno gli
amoretti ignudi intenti
a la vela, al
governo, a i remi, a i venti.
13
Quinci e
quindi i delfini a schiere a schiere
fanno la
scorta al bel legnetto adorno;
e le ninfe
del mar pronte e leggiere
corron
danzando e festeggiando intorno.
Vede
l'Umbrone ove sboccando ei père
e l'isola del
Giglio a mezzogiorno;
e in dirupata
e ruinosa sede
monte
Argentaro in mezzo a l'onde vede.
14
Quindi
s'allarga in su la destra mano,
e lascia il
porto d'Ercole a mancina;
vede
Civitavecchia, e di lontano
biancheggiar
tutto il lido e la marina.
Giaceva
allora il porto di Traiano
lacero e
guasto in misera ruina;
strugge il
tempo le torri e i marmi solve
e le machine
eccelse in poca polve.
15
Già la
foce del Tebro era non lunge,
quando si
risvegliò Libecchio altiero
che 'n Libia
regna, e dove al lido giunge,
travalca
sopra il mar superbo e fiero:
vede
l'argentea vela, e come il punge
un temerario
suo vano pensiero,
vola a saper
che porti il vago legno,
e intende
ch'è la Dea del terzo regno.
16
Onde
orgoglioso, e come invidia il muove,
a Zefiro si
volge e grida: - O resta,
o io ti
caccierò nel centro dove
non ardirai
mai piú d'alzar la testa.
A te la
figlia del superno Giove
non tocca di
condur: mia cura è questa,
va' tu a
condur le rondini al passaggio,
e a far
innamorar gli asini il maggio. -
17
Zefiro,
ch'assalito a l'improviso
da l'emulo
maggior quivi si mira,
ne manda in
fretta al suo fratello aviso,
che su l'Alpi
dormiva, e 'l piè ritira:
corre
Aquilon, tutto turbato in viso,
ch'ode
l'insulto, e freme di tant'ira
che fa i
tetti cader, gli arbori svelle,
e la rena del
mar caccia a le stelle.
18
Libecchio che
venir muggiando insieme
i due
fratelli di lontano vede,
si prepara a
l'assalto, e già non teme
del nemico
furor, né il campo cede:
tutte raguna
le sue forze estreme,
e dal lido
african sciogliendo il piede,
chiama in
aiuto anch'ei di sua follía
Sirocco
regnator de la Soria.
19
Vien Sirocco
veloce, onde s'accende
una fiera
battaglia in mezzo a l'onde.
Si turba il
ciel, si turba l'aria, e stende
densa tela di
nubi e 'l sol nasconde:
fremono i
venti e 'l mar con voci orrende,
risonano
percosse ambe le sponde:
e par che
muova a' suoi fratelli guerra
l'ondoso
scotitor de l'ampia terra.
20
Si spezzano
le nubi e foco n'esce
che scorre i
campi del celeste regno:
il foco e
l'aria e l'acqua e 'l ciel si mesce;
non han piú
gli elementi ordine o segno;
s'odono
orrendi tuoni, ognor piú cresce
de' fieri
venti il furibondo sdegno,
increspa e inlividisce
il mar la faccia
e l'alza
contra il ciel che lo minaccia.
21
Già
s'ascondeva d'Ostia il lido basso,
e 'l Porto
d'Anzio di lontan surgea,
quando sentí
il romor, vide il fracasso
che 'l ciel
turbava e 'l mar, la bella Dea:
vide fuggirsi
a frettoloso passo
le Ninfe dal
furor de la marea;
onde tutta
sdegnosa aperse il velo
e
dimostrò le sue bellezze al cielo.
22
E minacciando
le tempeste algenti
e le procelle
e i turbini sonanti,
cacciò
del ciel le nubi, e gli elementi
tranquillò
co' begli occhi e co' sembianti.
Corsero tutti
ad inchinarla i venti
a le minacce
sue cheti e tremanti;
ella in
Libecchio sol le luci affisse,
e mordendosi
il dito irata disse:
23
- Moro, can,
senza legge e senza fede,
t'insegnerò,
con queste tue contese,
come si tratta
meco e si procede,
e ti
farò tornare in tuo paese. -
Quel
s'inginocchia e bacia il divin piede
chiede perdon
de l'impensate offese;
e fa partendo
in Africa passaggio:
segue la
navicella il suo viaggio.
24
Le donne di
Nettun vede su 'l lito
in gonna
rossa e col turbante in testa:
rade il porto
d'Astura, ove tradito
fu Corradin
ne la sua fuga mesta:
or l'esempio
crudele ha Dio punito
ché la terra
distrutta e inculta resta;
quindi Monte
Circello orrido appare
col capo in
cielo e con le piante in mare.
25
S'avanza, e
rimaner quinci in disparte
vede Ponzia
diserta e Palmarola,
che furon
già de la città di Marte
prigioni
illustri in parte occulta e sola.
Varie torri
su 'l lido erano sparte:
la vaga prora
le trascorre e vola;
e passa
Terracina, e di lontano
vede Gaeta a
la sinistra mano.
26
Lascia Gaeta,
e su per l'onda corre
tanto
ch'arriva a Procida e la rade,
indi giugne a
Puzzòlo, e via trascorre,
Puzzòlo
che di solfo ha le contrade;
quindi
s'andava in Nisida a raccorre,
e a Napoli scopría
l'alta beltade:
onde dal
porto suo parea inchinare
la Regina del
mar, la Dea del mare.
27
Da Nisida la
Dea spedisce un messo
al principe
Manfredi, e 'n terra scende;
e cangia
volto, e 'l bel sembiante espresso
de la
contessa di Caserta prende.
Il principe e
costei d'un padre stesso
nacquero, se
la fama il vero intende,
ma di madri
diverse, e fur nudriti
per alcun
tempo in differenti liti.
28
Condotti in
corte poi fanciulli ancora
ne l'albergo
real crebbero insieme
senza
riguardo, in fin che venne l'ora
che 'l fior
di nostra età spunta col seme;
erano gli
anni quasi uguali, e allora
de l'uno e
l'altro le bellezze estreme;
onde il
fraterno amor, non so dir come,
strano
incendio divenne e cangiò nome.
29
Sospettonne
osservando i gesti e i visi
il padre, e
maritò la giovinetta:
ma i corpi
fur, non gli animi divisi,
e
restò l'alma in servitú ristretta.
Or che vede
venir con lieti avisi
Manfredi il
messaggier da l'isoletta,
cuopre la
poppa d'una navicella,
e solo e
chiuso va da la sorella.
30
Trovolla a
piè d'una distrutta ròcca,
che
passeggiava in un giardino ameno.
Subito
scende; e, come Amore il tocca
corre e
l'abbraccia e la si strigne al seno,
e la bacia ne
gli occhi e ne la bocca,
e da la Dea
d'amor tanto veleno
con que' baci
rapisce e tanto foco,
che tutto
avvampa e non ritrova loco.
31
Volea iterar
gli abbracciamenti e i baci,
ma con la
bella man la Dea s'oppose,
e respignendo
l'avide e mordaci
labbia, si
tinse di color di rose.
- Frenate,
signor mio, le mani audaci
e le voglie, dicea,
libidinose;
ché non son
questi a gli andamenti, a i cenni
baci
fraterni, e udite perch'io venni. -
32
Il principe
ristette: ed ella, poi
che d'Enzio
il fiero caso ebbe narrato,
ch'estinto il
fior de' cavalieri suoi
prigioniero
pugnando era restato,
le lagrime
asciugando: - Or, disse, a voi
che mio padre
in sua vece ha qui lasciato,
tocca
mostrar, s'in voi non mente il sangue,
che la destra
di Svevia ancor non langue.
33
Voi che
reggete il fren di questo regno
potete
vendicar di nostro padre
e di nostro
fratel l'obbrobrio indegno,
armando in
terra e in mar diverse squadre.
Né già
piú glorioso o bel disegno,
né piú famose
prove e piú leggiadre
poteva in
terra o in mar da parte alcuna
al valor
vostro appresentar fortuna.
34
Io, se non
fossi donna, andrei con questa
mano a
spianar le temerarie mura;
né vorrei che
giammai l'iniqua gesta
si vantasse
d'aver parte sicura,
se prima non
venisse in umil vesta
con una fune
al collo o la cintura
a chiedermi
perdono e a consegnarmi
il mio fratello
e la cittade e l'armi.
35
Ah Dio!
perché fui donna, o non usai
a l'armi, al
sangue anch'io la destra molle? -
Qui
sfavillò di sí cocenti rai,
che trafisse
il meschin ne le midolle.
Trema il cor
come fronda; e tutto omai
fuor di
ghiaccio rassembra e dentro bolle:
vorría
stender la man, vorría rapire;
ma un segreto
terror smorza l'ardire.
36
Al fin con
voce tremula risponde:
- Sorella
mia, reina mia, Dea mia,
andrò
nel foco, andrò per mezzo a l'onde,
e nel centro
per voi, s'al centro è via.
Lo scettro di
mio padre in queste sponde,
con libero
voler, tutto ho in balía:
disponetene
voi come v'aggrada,
ché vostro
è questo core e questa spada. -
37
Cosí dicendo
apre le braccia e crede
strigner de
la sorella il vago petto:
ma l'amorosa Dea
che 'l rischio vede,
subito si
ritira e cangia aspetto.
Ne la forma
immortal sua prima riede;
e alzandosi
ne l'aria, al giovinetto
versa, al
partir, dal bel purpureo grembo
sopra di rose
e d'altri fiori un nembo.
38
- O bellezza
del ciel viva immortale,
dove fuggi da
me? perché mi lassi?
Né mi concedi
almen, che in tanto male
io possa in
te sbramar quest'occhi lassi? -
Cosí parlava
il giovane reale;
e intanto
rivolgea gli afflitti passi
a l'onda giú
dove l'attende il legno,
disegnando
d'armar tutto quel regno.
39
Ma il conte
di Culagna avendo intanto
vista
Renoppia uscir del padiglione,
rassettato il
collar, la barba e 'l manto
e tiratosi in
fronte un pennacchione,
l'era gita a
incontrar da un altro canto,
salutandola
quasi in ginocchione;
ond'ella
instrutta di sue degne imprese
l'avea
chiamato a sé tutta cortese.
40
E avendo il
suo valor molto esaltato,
la
dispostezza e 'l fior de l'intelletto,
giurato avea
di non aver trovato
chi piú
paresse a lei degno suggetto
de l'amor suo,
quand'ei non fosse stato
in nodo
marital congiunto e stretto:
onde il
burlar de la donzella avía
posto il
meschino in strana frenesia.
41
Trovollo
Titta in un solingo piano
ch'ei
passeggiava a l'ombra d'una noce,
e gía fra sé
con la corona in mano
parlando, a
passo or lento, ora veloce.
Come egli
vide il cavalier romano,
gli si fece a
l'orecchia, e a mezza voce
- Frate, gli
disse, per uscir di doglie
io son
forzato avvelenar mia moglie.
42
A me certo ne
spiace in infinito,
ma cosí porta
la crudel mia stella. -
Quindi gli
narra quanto era seguito,
e quel che
detto gli ha Renoppia bella.
Mostra di
rimaner Titta stupito,
e lo chiama
felice in sua favella:
- Conte,
tu se' nu Papa, e t'aio detto
che no' ce
che te pozza stare a petto. -
43
Gli va poscia
di bocca ogni pensiero
cacciando a
poco a poco, e lo millanta:
ed ei,
com'è di cor pronto e leggiero,
si
ringalluzza e si dimena e canta.
Gli scuopre
de l'interno il falso e 'l vero,
e del disegno
rio si gloria e vanta.
Nota Titta
ogni cosa, e lo conforta
ch'alcun non
saprà mai chi l'abbia morta.
44
Era Titta per
sorte innamorato
de la moglie
del conte, e mentre fue
ne la
città, con atti a lei mostrato
l'avea e con
voci a le serventi sue.
Or che si
vede il modo apparecchiato
di far che
resti il mal accorto un bue,
scrive il
tutto a la donna, e in che maniera
il pazzo rio
d'attossicarla spera.
45
Lo ringrazia
la donna, e cauta osserva
gli andamenti
del conte in ogni parte,
e informa del
periglio ogni sua serva,
perché sieno a
guardarla anch'esse a parte.
Il conte,
fisso già ne la proterva
sua voglia,
tratto avea solo in disparte
il medico
Sigonio, e in pagamento
offertogli in
buon dato oro ed argento,
46
se gli
prepara un tossico provato,
cui rimedio
non sia d'alcuna sorte:
dicendo che
di fresco avea trovato
la moglie che
gli fea le fusa torte,
e ch'avea
risoluto e terminato
di darle di
sua man condegna morte.
Lungamente
pregar si fe' il Sigonio,
e al fin gli
diè una presa d'antimonio.
47
Per tossico
se 'l piglia il conte; e passa
a Modana
improviso una mattina;
saluta la
moglier che non si lassa
conoscer
sospettosa, e gli s'inchina.
Va scorrendo
la casa e al fin s'abbassa,
per
dispensare il tossico, in cucina;
ma la trova
guardata in tal maniera
che non sa
come fare, e si dispera.
48
Torna a salir
su per l'istessa scala
tutto
affannato e conturbato in volto:
e aspetta fin
che sian portati in sala
i cibi, e su
la mensa il pranzo accolto.
Allora corre,
e la minestra sala
de la moglier
col cartoccin disciolto,
fingendo che
sia pepe, e a un tempo stesso
scuote la
peparola ch'avea appresso.
49
La cauta
moglie e sospettosa viene,
e mentre
ch'ei le man si lava e netta,
gli s'oppone
co' fianchi e con le rene,
e la minestra
sua gli cambia in fretta:
mostra che
s'è lavata, e siede e tiene
l'occhio
pronto per tutto, e non s'affretta
a mettersi
vivanda alcuna in bocca
che non abbia
il marito in prima tocca.
50
Il conte in
fretta mangia e si diparte,
ché non
vorria veder la moglie morta.
Vassene in
piazza ov'eran genti sparte
chi qua, chi
là, come ventura porta.
Tutti, come
fu visto, in quella parte
trassero per
udir ciò ch'egli apporta.
Egli cinto
d'un largo e folto cerchio
narra
fandonie fuor d'ogni superchio.
51
E tanto
s'infervora e si dibatte
in quelle ciance
sue piene di vento,
ch'eccoti
l'antimonio lo combatte
e gli rivolta
il cibo in un momento.
Rimangono le
genti stupefatte;
ed egli
vomitando, e mezzo spento
di paura, e
chiamando il confessore,
dice ad ognun
ch'avvelenato more.
52
Il Coltra e
'l Galiano, ambi speziali,
correan con
mitridate e bollarmeno,
e i medici
correan con gli orinali
per veder di
che sorte era il veleno.
Cento
barbieri e i preti co i messali
gl'erano
intorno e gli scioglieano il seno,
esortandolo
tutti a non temere
e a dir devotamente
il Miserere .
53
Chi gli
ficcava olio o triaca in gola,
e chi biturro
o liquefatto grasso;
avea quasi
perduta la parola,
e per tanti
rimedi era già lasso:
quand'ecco
un'improvisa cacarola
che con tanto
furor proruppe a basso,
che l'ambra
scoppiò fuor per gli calzoni
e scorse per
le gambe in su i taloni.
54
- O possanza
del ciel, che cosa è questa?
disse un
barbier quando sentí l'odore;
questo
è un velen mortifero ch'appesta,
io non sentii
giammai puzza maggiore.
Portatel via,
che s'egli in piazza resta,
appesterà
questa città in poche ore. -
Cosí dicea,
ma tanta era la calca,
ch'ebbe a
perirvi il medico Cavalca.
55
Come a
Montecavallo i Cardinali
vanno per la
lumaca a concistoro
stretti da
innumerabili mortali
per forza
d'urti e con poco decoro;
cosí i medici
quivi e gli speziali
non trovando
da uscir strada né fòro,
urtati e
spinti, senza legge e metro
facean due
passi innanzi e quattro indietro.
56
Ma poiché
l'ambracane uscí del vaso
e 'l suo
tristo vapor diffuse e sparse;
cominciò
in fretta ognun co' guanti al naso
a scostarsi
dal cerchio e a ritirarse;
e abbandonato
il conte era rimaso,
se non ch'un
prete allor quivi comparse,
ch'avea
perduto il naso in un incendio,
né sentia
odore; e 'l confessò in compendio.
57
Confessato
che fu, sopra una scala
da piuoli
assai lunga egli fu posto,
e facendo a
quel puzzo il popol ala,
il portâr due
facchini a casa tosto:
quivi il
posaro in mezzo de la sala,
chiamaro i
servi, e ognun s'era nascosto;
fuor ch'una
vecchia, che v'accorse in fretta
con un
zoccolo in piede e una scarpetta.
58
Già
pria la nuova in casa era venuta
che 'l conte
si moriva avvelenato:
onde la
moglie accorta e proveduta
aveva in
fretta il suo destrier sellato:
e in abito
virile e sconosciuta
con un
cappello in testa da soldato
tacitamente
già s'era partita,
e a trovar
Titta al campo era fuggita.
59
A cui fatto
saper con lieto aviso
che
l'attendea del conte un paggio in sella
per cosa di
suo gusto, a l'improviso
l'avea fatto
venir dove stav'ella.
Com'egli alzò
le luci al vago viso,
tosto conobbe
la sua donna bella,
onde
s'avventa, e de l'arcion la prende,
e la si porta
in braccio a le sue tende.
60
E baciandola
in bocca avidamente
or la strigne
or la morde or la rimira;
ed ella in
lui, fra cupida e dolente,
le belle luci
sue languida gira.
Parve l'atto
ad alcun poco decente
che l'ebbero
per maschio a prima mira:
né
distinguendo ben dal pèsco il fico,
dicevano di
lui quel ch'io non dico.
61
Stette tutto
quel giorno il conte in letto,
tutta la
notte e la seguente ancora,
sempre con
gran timor, sempre in sospetto
di doversi
morire ad ora ad ora:
ond'ebbero
gli amanti agio a diletto
di star
anch'essi e l'una e l'altra aurora,
giunti a
goder de le sciocchezze sue,
discorrendo
fra lor com'ella fue.
62
Già Titta
dal Sigonio intesa avea
la beffa del
veleno, e l'avea detta
a la donna
gentil che ne ridea
e godeva fra
sé de la vendetta,
disegnando di
star, s'ella potea,
col nuovo
amante e non mutar piú detta:
poiché questa
le par tanto sicura
che sarebbe pazzia
cangiar ventura.
63
Ma il conte
poi che fu certificato
dal collegio
de' medici ch'egli era
fuor di
periglio, a la campagna armato
uscí per
ritrovar la sua mogliera.
Al campo
venne: e quivi indizio dato
gli fu del
suo caval da la sua schiera,
cui sopra un
giovinetto era venuto,
né l'un né
l'altro piú s'era veduto.
64
Il conte di
trovarlo entra in pensiero,
e vuol saper
chi 'l giovinetto sia;
e promette
gran premio a chi primiero
indizio gli
ne porta o gli ne invia.
La mattina
seguente uno scudiero
gli dice che
'l caval veduto avía
ne le tende
di Titta, e 'l premio chiede,
ma il conte
ride e 'l suo parlar non crede.
65
E manda un
uomo suo, ch'a Titta dica
quel che gli
fa saper l'accusatore.
Giura Titta
che questa è una nemica
fraude per sciorre
un sí leale amore:
ma fra tanto
si studia e s'affatica
di far
tignere il pel del corridore
con un color
di sandali alterato,
e di leardo
il fa sauro bruciato.
66
Poi chiama il
conte, e fa vedergli in prova
tutti i
cavalli suoi cosí al barlume.
Il conte che
'l candor del suo non trova
e che di
Titta ciò mai non presume,
si scusa che
non gli era cosa nuova
de la sua
limpidezza il chiaro lume.
ma tace che
da lui fuggita sia
la donna che
trovar cerca e desia;
67
e gli giura
ch'un paggio gli ha rubato
il suo caval
né sa dove sia gito;
ma se
può ritrovarlo in alcun lato,
che 'l tristo
ladroncel farà pentito.
Titta, che
già si vede assicurato,
comincia a
ruminar nuovo partito
di ritenersi
ancor la donna appresso,
senza che ne
sospetti il conte stesso.
68
Con lei
s'accorda, e trova acqua stillata
da scorza
fresca di matura noce;
e 'l bel
collo e la faccia dilicata
de la donna e
le man bagna veloce;
si disperde
il candore, e sembra nata
in
Mauritania, là dove il sol cuoce:
d'un leonato
scuro ella diviene,
ma grazia in
quel colore anco ritiene.
69
Come panno di
grana in bigio tinto
ritiene ancor
de la beltà primiera,
e nel morto
color d'un nero estinto
purpureggiar
si vede in vista altera;
cosí di
quella faccia il color finto
ritiene ancor
de la bellezza vera,
splende nel
fosco, e de' begli occhi il lume
folgoreggia
anco al solito costume.
70
D'una giubba
azzurrina ornata d'oro
quindi ei la
veste e le ricopre il seno;
e tutta d'un
leggiadro abito moro
l'adorna sí,
che non gli piace meno.
Indi la mostra
al conte e dice: - I' moro
per questa
ingrata schiava e spasmo e peno;
e a lei di me
non cal, né so che farmi:
pregala conte
mio che voglia amarmi. -
71
Il conte la
saluta in candiotto,
ed ella gli
risponde in calabrese:
- Bella mora,
ei dicea, deh fate motto
al signor
vostro e siategli cortese. -
Ella volgendo
a Titta un guardo ghiotto,
sporge la
bocca, ed ei con voglie accese
que' baci
incontra, e da' bei labbri sugge
l'alma di lei
che sospirando fugge.
72
Teneva il
conte immoto e stupefatto
a gli amorosi
baci i lumi intenti,
e gli parea
che Titta fosse matto
a sentir per
colei pene e tormenti.
Durava quella
beffa lungo tratto:
se non che de
la giovane i parenti
seppero il
tutto e fer saperlo al Potta,
e subito la
tresca fu interrotta.
73
Il Potta fe'
condur segretamente
la donna fuor
del campo; e perché Titta
percosse in
quella mena un insolente
birro e gli
fu grave querela scritta,
fe' pigliarlo
anche lui subitamente,
e in carcere
condur per la via dritta
a la
città per metterlo in palazzo,
quand'egli
cominciò fiero schiamazzo:
74
ch'era pariente
de gliu Papa, e ch'era
baron romano,
e gir bolea en castello.
Ma il buon
fiscal Sudenti e 'l Barbanera
giudice
criminale, e Andrea Bargello
gli mostrar
con destrissima maniera
che l'albergo
in palazzo era piú bello,
e che
l'avrian parato e ben fornito;
onde a la fin
d'andar prese partito.
ARGOMENTO
Il conte di Culagna entra in furore,
e sfida a duellar Titta prigione.
Ma, sciolto che lo vede, ci perde il
core,
e cerca di fuggir dal paragone.
Vi si conduce al fine: e perditore
un nastro rosso il fa de la tenzone.
De la vittoria sua spande la nuova
Titta, e pentito poi se ne ritrova.
1
Poiché la
fama al fin con mille prove
mostrò
l'infamie sue scoperte al conte,
e gli fece
veder come si trove
con la corona
d'Atteone in fronte,
contra la
moglie irato in forme nuove
si volse a
vendicar l'ingiurie e l'onte;
e per farla
morir con vituperio
l'accusò
di veleno e d'adulterio.
2
Per tutto il
campo allor si fe' palese
quel ch'era
prima occulto o almeno in forse.
La donna
francamente si difese,
e le querele
in lui tutte ritorse;
e fe' rider
ognun quando s'intese
com'ella
seppe al suo periglio opporse,
e d'inganno
pagar l'ingannatore,
ch'ebbe
poscia a cacar l'anima e 'l core.
3
Il conte, che
si vede andar fallato
contra la
moglie il suo primier disegno,
pensa di
vendicarsi in altro lato,
e volge
contra Titta ogni suo sdegno.
sa che per
ritrovarsi imprigionato,
per forza ha da
tener le mani a segno.
lo chiama
traditor solennemente
e aggiugne
che se 'l nega, ei se ne mente;
4
e che gliel
proverà con lancia e spada
in chiuso
campo a publico duello;
e perché la
disfida attorno vada,
la fa stampar
distinta in un cartello;
e vantasi
d'aver trovata strada
da non potere
in qual si voglia appello
d'abbattimento
o giusto o temerario
sottoporsi al
mentir de l'avversario.
5
Ma gli amici
di Titta avendo intesa
la disfida,
s'uniro in suo favore;
e feron sí
che la sua causa presa
e terminata
fu senza rigore:
anzi,
perch'ei serviva in quella impresa
contra
Bologna e 'l Papa suo signore,
fu scarcerato
come ghibellino
senza fargli
pagar pur un quattrino.
6
Sciolto ch'ei
fu, rivolse ogni pensiero
a la
battaglia pronto e risoluto;
preparò
l'armi e preparò il destriero,
né consiglio
aspettò, né chiese aiuto.
Poco avanti
da Roma un cavaliero
nel campo
modanese era venuto,
di casa
Toscanella, Attilio detto:
e fu da lui
per suo padrino eletto.
7
Questi era un
tal piccin pronto ed accorto,
inventor di
facezie e astuto tanto,
che non fu
mai Giudeo sí scaltro e scorto
che non
perdesse in paragone il vanto.
Uccellava i
poeti, e per diporto
spesso n'avea
qualche adunata a cantO;
ma con modi
sí lesti e sí faceti,
che tutti si
partían contenti e lieti.
8
In armi non
avea fatto gran cose,
però
ch'in Roma allor si costumava
fare a le
pugna, e certe bellicose
genti il
governator le castigava.
ma egli ebbe
un cor d'Orlando, e si dispose
d'ire a la
guerra, perché dubitava
de' birri, avendo
in certo suo accidente
scardassata
la tigna a un insolente.
9
Il conte
allor che vide al vento sparsi
tutti i
disegni e 'l suo pensier fallace,
cominciò
con gli amici a consigliarsi
se v'era modo
alcun di far la pace.
vorrebbe aver
taciuto, e ritrovarsi
fuor de la
perigliosa impresa audace;
ché sente il
cor che teme e si ritira,
e manca
l'ardimento in mezzo a l'ira.
10
Ma il conte
di Miceno e 'l Potta stesso
e Gherardo e
Manfredi e 'l buon Roldano
gli furo
intorno, e 'l vituperio espresso,
dov'ei cadea,
gli fêr distinto e piano.
indi promiser
tutti essergli appresso,
e la pugna
spartir di propria mano;
ond'ei
riprese core, e per padrino
s'elesse il
conte dI San Valentino.
11
Questi, che
ne la scherma avea grand'arte,
subito
gl'insegnò colpi maestri
da ferire il
nemico in ogni parte,
e modi da
parar securi e destri;
indi rivide
l'armi a parte a parte
del cavaliero
e i guernimenti equestri.
ma un petto,
senza cor, che l'aria teme,
non
l'armerían cento arsenali insieme.
12
La notte a la
battaglia precedente,
che fra i due
cavalier seguir dovea,
volgendo il
conte l'affannata mente
al periglio
mortal ch'egli correa,
ricominciò
a pensar tutto dolente
di nol voler
tentar, s'egli potea;
e innanzi
l'alba i suoi chiamò fremendo,
un gran dolor
di ventre aver fingendo.
13
Il padrin,
che dormía poco lontano,
tutto confuso
si destò a quell'atto;
con panni
caldi e una lucerna in mano
Bertoccio suo
scudier v'accorse ratto:
e 'l barbier
de la villa e 'l sagrestano
di
Sant'Ambrogio v'arrivaro a un tratto;
e 'l provido
barbier, ch'intese il male,
gli fe'
subitamente un serviziale.
14
Ed egli per
non dar di sé sospetto,
cheto se 'l
prese e si mostrò contento;
ma fingendo
che poi non fésse effetto,
né prendesse
il dolore alleggiamento,
chiamò
gli amici e i servidori al letto,
e disse che
volea far testamento;
onde
mandò per Mortalin notaio,
che venne con
la carta e 'l calamaio.
15
La prima cosa
lasciò l'alma a Dio,
e
lasciò il corpo a quell'eccelsa terra
dov'era nato,
e per legato pio
danari in
bianco e quantità di terra.
indi tratto
da folle e van desio
a dispensar
gli arredi suoi da guerra,
lasciò
la lancia al Re di Tartaria
e lo scudo al
Soldan de la Soria;
16
la spada a
Federico Imperatore
ed al popol
romano il corsaletto;
a la reina del mar d'Adria, onore
del secol
nostro, un guanto e un braccialetto;
l'altro
lasciollo a la città del Fiore,
e al greco
Imperator lasciò l'elmetto:
ma il cimier,
che portar solea in battaglia,
ricadeva al
signor di Cornovaglia.
17
Lasciò
l'onore a la città del Potta,
poi fe' del
resto il suo padrino erede.
D'intorno al
letto suo s'era ridotta
gran turba
intanto, chi a seder, chi in piede;
fra' quali
stando il buon Roldano allotta,
che non
prestava a le sue ciance fede,
gli dicea a
l'orecchia tratto tratto:
- Conte, tu
sei vituperato a fatto.
18
Non vedi che
costor t'han conosciuto
che per tema
tu fai de l'ammalato?
Salta su
presto, e non far piú rifiuto;
ché tu
svergogni tutto il parentato.
Noi
spartiremo e ti daremo aiuto
subito che
l'assalto è incominciato. -
Il conte si
ristrigne e si lamenta,
e si vorría
levar, ma non s'attenta.
19
Di tenda in
tenda in tanto era volata
la fama di
quell'atto, e ognun ridea.
Renoppia, che
non era ancor levata,
un paggio gli
mandò che gli dicea
che stava per
servirlo apparecchiata,
e
accompagnarlo in campo; e ben credea
ch'egli si
porterebbe in tal maniera
ch'ella
n'avrebbe poscia a gire altiera.
20
Quest'ambasciata
gli trafisse il core
e
destò la vergogna addormentata:
e cominciaro
in lui viltà ed onore
a combatter
la mente innamorata.
S'alza a
sedere, e dice che 'l dolore
mitigato ha
il favor de la sua amata,
e s'adatta a
vestir, ma la viltade
finge che 'l
dolor torni, e giú ricade.
21
E la pittrice
già de l'oriente
pennelleggiando
il ciel de' suoi colori
abbelliva le
strade ad dí nascente,
e Flora le
spargea di vaghi fiori;
quindi usciva
del sole il carro ardente,
e di raggi e
di luce e di splendori
vestiva
l'aria, il mar, la piaggia e 'l monte,
e la notte
cadea da l'orizonte:
22
quando comparve
il conte di Miceno
col medico
Cavalca in compagnia.
Il medico a
l'orina in un baleno
conobbe il
mal che l'infelice avía;
e fattosi
recare un fiasco pieno
di vecchia e
dilicata malvagía,
gli ne fece
assaggiar tre gran bicchieri;
ed ei pronto gli
bebbe e volontieri.
23
Cominciò
il vino a lavorar pian piano,
e a riscaldar
il cor timido e vile,
e a mandar al
cervel piú di lontano
stupido e
incerto il suo vapor sottile:
onde il conte
gridò ch'era già sano,
che 'l dolor
gli avea tolto il vin gentile,
e balzando
del letto i panni chiese,
e tosto si
vestí l'usato arnese.
24
Indi tratto
fremendo il brando fuora,
tagliò
Zefiro in pezzi e l'aura estiva,
e se non era
il suo padrino, allora
a la
battaglia senz'altr'armi ei giva.
L'almo liquor
che i timidi rincora
puote assai
piú che la virtú nativa;
ben
profetò di lui l'antica gente
ch'era sovra
ogni re forte e possente.
25
Or mentre
s'arma, ecco Renoppia viene
e 'l coraggio
gli adoppia e la baldanza,
che con dolci
parole e luci piene
d'amor gli fa
d'accompagnarlo instanza.
Egli che 'l
foco acceso ha ne le vene,
commosso da
desio fuor di speranza
e da furor di
vino, ambo i ginocchi
a terra
inchina; e dice a que' begli occhi:
26
- O del cielo
d'Amor ridenti stelle
onde de la
mia vita il corso pende;
d'amorosa
fortuna ardenti e belle
ruote dove
mia sorte or sale, or scende;
imagini del
sol , vive facelle
di quel foco
gentil che l'alme incende,
il cui
raggio, il cui lampo, il cui splendore
ogn'intelletto
abbaglia, arde ogni core:
27
occhi de
l'alma mia, pupille amate,
lucidi
specchi ove beltà vagheggia
sé stessa;
archi celesti ond'infocate
quadrella
aventa Amor ch'in voi guerreggia;
de le vostre
sembianze onde il fregiate,
cosí splende
il mio cor, cosí lampeggia,
ch'ei non
invidia al ciel le stelle sue,
benché sian
tante, e voi non piú che due.
28
Come a i
raggi del sole arde d'amore
la terra e
spiega la purpurea veste;
cosí a i
vostri be' raggi arde il mio core,
e di vaghi
pensier tutto si veste.
Quest'alma si
solleva al suo fattore,
e ammira in
voi di quella man celeste
le
meraviglie, e dal mortal si svelle,
o degli occhi
del ciel luci piú belle.
29
Rimiratemi
voi con lieto ciglio
del cieco
viver mio lumi fidati,
siate voi
testimoni al mio periglio,
e scorgetemi
voi co' guardi amati;
ché fia vana
ogni forza, ogni consiglio:
cadrà
l'empio e fellon ne' propri aguati,
e non che di
pugnar con lui mi caglia,
ma
sfiderò l'inferno anco a battaglia. -
30
Cosí detto
risorge, e 'l destrier chiede
tutto foco ne
gli atti e ne' sembianti;
e fa stupire
ognun che l'ode e vede
sí diverso da
quel ch'egli era innanti.
Ma Titta
armato già dal capo al piede
con armi e
piume nere e neri ammanti
in campo era
comparso, accompagnato
dal solo suo
padrin senz'altri a lato.
31
La
desïosa turba intenta aspetta
che venga il
conte, e mormorando freme;
s'empiono i
palchi intorno, e folta e stretta
corona siede
in su le sbarre estreme;
e da i casi
seguiti omai sospetta
che 'l conte
ceda, e la sua fama preme.
Quando a un
tempo s'udîr trombe diverse
da quella
parte, e 'l padiglion s'aperse.
32
Ed ecco, da
cinquanta accompagnato
de' primi de
l'esercito possente,
il conte
comparir ne lo steccato
con
sopravesta bianca e rilucente,
sopra un
caval pomposamente armato
che generato
par di foco ardente:
sbuffa,
anitrisce, il fren morde, e la terra
zappa col
piede e fa col vento guerra.
33
Disarmata ha
la fronte, armato il petto,
nude le mani,
e sopra un bianco ubino
gli va
innanzi Renoppia, e 'l ricco elmetto
gli porta; e
'l buon Gherardo il brando fino,
il brando
famosissimo e perfetto
di Don
Chisotto; e 'l fodro ha il suo padrino.
Ha Voluce lo
scudo, e seco a canto
Roldan la
lancia, e Giacopino un guanto;
34
l'altro ha
Bertoldo, e l'uno e l'altro sprone
gli portano
Lanfranco e Galeotto,
e 'l conte Alberto
in cima d'un bastone
la cuffia da
infodrar l'elmo di sotto:
ma dietro a
tutti fuor del padiglione
l'interprete
Zannin venía di trotto
sopra d'un
asinel, portando in fretta
l'orinale,
una ombrella e una scopetta.
35
Armato il
cavalier di tutto punto
e compartito
il sole a i combattenti,
diede il
segno la tromba, e tutto a un punto
si mossero i
destrier come due venti.
Fu il
cavalier roman nel petto giunto,
ma l'armi sue
temprate e rilucenti
ressero, e 'l
conte a quell'incontro strano
la lancia si lasciò
correr per mano.
36
Ei fu colto
da Titta a la gorgiera
tra il confin
de lo scudo e de l'elmetto
d'una
percossa sí possente e fiera
che gli fece
inarcar la fronte e 'l petto.
Si
schiodò la goletta, e la visiera
s'aperse, e diede
lampi il corsaletto;
volaro i
tronchi al ciel de l'asta rotta,
e perdé
staffe e briglia il conte allotta.
37
Caduta la
visiera il conte mira,
e vede
rosseggiar la sopravesta:
e - Oimé son
morto, - e' grida; e 'l guardo gira
a gli
scudieri suoi con faccia mesta;
- Aita, che
già 'l cor l'anima spira,
replica in
voce fioca, aita presta. -
Accorrono a
quel suon cento persone,
e mezzo morto
il cavano d'arcione.
38
Il portano a
la tenda, e sopra un letto
gli
cominciano l'armi e i panni a sciorre,
il chirurgo
cavar gli fa l'elmetto,
e 'l prete a
confessarlo in fretta corre.
Tutti gli
amici suoi morto in effetto
il tengono: e
ciascun parla e discorre
che non era
da porre a tal cimento
un uom privo
di forza e d'ardimento.
39
Ma Titta poi
che l'avversario vede
per morto
riportar ne le sue tende,
passeggia il
campo a suon di trombe, e riede
dove la parte
sua lieta l'attende;
fastoso
è sí che di valor non cede
a Marte
stesso; e de l'arcion discende,
e scrive pria
che disarmar la chioma,
e spedisce un
corriero in fretta a Roma.
40
Scrive ch'un
cavalier d'alto valore
di quelle
parti, uom tanto principale
che forse non
ve n'era altro maggiore
né ch'a lui
fosse di possanza eguale,
avuto avea di
provocarlo core,
e di prender
con lui pugna mortale;
e ch'esso de
gli eserciti in cospetto
gli avea
passato al primo incontro il petto.
41
Spedí il
corriero a Gaspar Salviani
decan de l'Accademia de' Mancini,
che ne desse
l'aviso a i Frangipani
signor di
Nemi e a i loro amici Ursini,
e al Cavalier
del Pozzo e a i due romani
famosi
ingegni, il Cesi e 'l Cesarini,
et al non men
di lor dotto e cortese
Sforza gentil
Pallavicin Marchese;
42
che tutti
disser poi ch'egli era matto,
quando
s'intese ciò ch'era seguito.
Intanto avean
spogliato il conte, a fatto
dal terror de
la morte instupidito;
e gían
cercando due chirurghi a un tratto
il colpo onde
dicea d'esser ferito:
né ritrovando
mai rotta la pelle
ricominciâr
le risa e le novelle.
43
Il conte
dicea lor: - Mirate bene,
perché la
sopravesta è insanguinata;
e non dite
cosí per darmi spene,
ché
già l'anima mia sta preparata:
venga la
sopravesta. - E quella viene,
né san cosa
trovar di che segnata
sia, né ch'a
sangue assomigliar si possa,
eccetto un
nastro o una fetuccia rossa
44
ch'allacciava
da collo, e sciolta s'era
e pendea giú
per fino a la cintura.
Conobber
tutti allor distinta e vera
la ferita del
conte e la paura.
Egli
accortosi al fin di che maniera
s'era
abbagliato, l'ha per sua ventura,
e ne
ringrazia Dio levando al cielo
ambe le mani
e 'l cor con puro zelo.
45
E a Titta e a
la moglier sua perdonando
si scorda i
falli lor sí gravi e tanti,
e fa voto
d'andar pellegrinando
a Roma a
visitar que' luoghi santi,
e dare in
tanto a la milizia bando
per meglio
prepararsi a nuovi vanti.
Cosí il monton
che cozza, si ritira
e torna poi
con maggior colpo ed ira.
46
Ma come a
Roma poi gisse e trattasse
in camera col
Papa a grand'onore,
e l'alloggio
per forza ivi occupasse
ne l'albergo
real d'un mio signore,
e quindi
poscia in Bulgaria levasse
co la
possanza sua, col suo valore
a quel becco
del Turco un nuovo stato,
fia da piú
degno stil forse cantato:
47
ché versi non
ho io tanto sonori
che bastino a
cantar sí belle cose.
E torno a
Titta, che già uscendo fuori,
poi che a la
tenda sua l'armi depose,
pel campo se
ne gía sbuffando orrori
con sembianze
superbe e dispettose;
quando
accertato fu che la ferita
del conte nel
cercar s'era smarrita.
48
Qual leggiero
pallon di vento pregno
per le strade
del ciel sublime alzato,
s'incontra ferro
acuto o acuto legno,
si vede
ricader vizzo e sfiatato;
tale il
Romano altier, che fea disegno
d'essersi con
quel colpo immortalato,
sgonfiossi a
quell'aviso, e di cordoglio
parve un topo
caduto in mezzo a l'oglio.
49
Ma il padrin
ch'era accorto, il confortava
e dicea: -
Titta mio, non dubitare:
non è
bravo oggidí se non chi brava,
e, come
diciam noi, chi sa sfiondare.
Se per vinto
e per morto or or si dava
il conte e al
padiglion si fea portare:
perché non
possiam noi per tale ancora
nominarlo a
le genti in campo e fuora?
50
A te deve
bastar ch'egli sia vinto
al primo
colpo tuo; ché s'ei non muore,
non fu il tuo
fin ch'ei rimanesse estinto,
ma sol di
rimaner tu vincitore.
Lascia correr
la fama, o vero o finto
che sia
questo successo, egli è a tuo onore;
ed io
farò che immortalato resti
da la musa
gentil di Fulvio Testi.
51
Fulvio col
conte ha non vulgari sdegni,
e
canterà di te l'armi e gli amori;
dirà
l'alte bellezze e i fregi degni
ch'ornan
colei ch'idolatrando adori;
le compagnie
d'ufficio, i censi e i pegni
che per lei
festi già su i primi fiori;
e i casali e
le vigne e gli altri beni
c'hai spesi
in vagheggiar gli occhi sereni.
52
Gran contento
a gli amanti e gran diletto
che possano
veder le luci amate,
che portano
squarciati i panni al petto
per godere il
tesor di lor beltate!
Povero e
ignudo Amor senza farsetto
dipinse con
ragion l'antica etate,
ché spoglia
chi per lui s'affligge e suda,
e lo fa vago
sol di carne ignuda.
53
Fra i
successi d'amor canterà l'armi
e l'imprese
ch'hai fatte in questa guerra;
e con sonori
e bellicosi carmi
eternerà
la tua memoria in terra.
E già
di rimirar la Fama parmi
trombeggiando
volar di terra in terra,
e contra 'l
papa di tua mano a i venti
la bandiera
spiegar de' malcontenti. -
54
Cosí ragiona
il Toscanella e ride,
e Titta ride
anch'ei per compagnia;
ma l'amaro
dal cor non si divide,
ché non sa
ricoprir sí gran bugia.
Stette
pensando un pezzo, e poi che vide
di non poter
scusar la sua follia,
di far morire
il conte entrò in pensiero
per sostener
ch'egli avea scritto il vero.
55
S'armò
d'un giacco e con la spada a lato
l'andò
subitamente a ritrovare.
Il conte a
Sant'Ambrogio era passato
e stava con
que' preti a ragionare;
Titta gli
fece dir per un soldato
ch'uscisse
fuor, che gli volea parlare;
il conte
caricò la sua balestra,
e
s'affacciò di sopra a una finestra.
56
E a Titta
domandò quel che chiedea,
ed ei rispose
che venisse giuso;
il conte si
scusò che non potea;
e vedendo che
l'uscio era ben chiuso,
disse che se
trattar seco volea,
trattasse
quivi, o ch'egli andasse suso.
Titta allor
furiando si scoperse,
e
l'oltraggiò con villanie diverse.
57
Ma il conte
rispondea con lieta ciera:
- Voi siete
un uom di pessima natura,
a tener l'ira
una giornata intiera;
io deposi la
mia con l'armatura.
Non occorre a
far qui l'anima fiera
con
spampanate per mostrar bravura;
io v'ho reso
buon conto in campo armato
e son stato
con voi ne lo steccato.
58
Quand'anch'io
irato fui con l'armi in mano,
voi dovevate
allor sfogarvi a fatto.
Or, Titta
mio, voi v'affannate in vano,
ch'io non ho
tolto a sbizzarrire un matto.
Andate, e
come avrete il cervel sano
tornate, e so
che mi farete patto.
Io non ho da
partir nulla con voi,
però
dormite e riparlianci poi. -
59
Titta
ricominciò: - Becco e poltrone,
t'insegnerò
ben io,;vien fora, vieni. -
Piú non
rispose il conte a quel sermone,
ma
destò anch'egli al fine i suoi veleni;
e
scoccò la balestra, e d'un bolzone
il colse a
punto al sommo de le reni
sí fieramente
che lo stese in terra,
e
saltò fuori a discoperta guerra,
60
gridando: -
Per la gola te ne menti,
romaneschetto,
furbacciotto, spia. -
Titta aveva
offuscati i sentimenti,
e a gran
fatica il suo parlar sentía.
Ma saltaron
color ch'eran presenti
subito in
mezzo, e ognun gli dipartía:
e condussero
Titta al padiglione
dilombato e
che gía quasi carpone.
61
Quivi dal
Toscanella ei fu burlato
che dovendo
levare al ciel le mani
d'aver
l'emulo suo vituperato,
fosse entrato
in umor bizzarri e strani
di volerlo
ancor morto; e stuzzicato
sí l'avesse
con atti e detti insani,
che d'una
rana imbelle e senza morso
l'avesse al
fin mutato in tigre, in orso.
62
- Se tu
disprezzi la vittoria, disse,
che puoi tu
dir s'ella da te s'invola?
Chi va
cercando e suscitando risse,
non sa che la
fortuna è donna e vola. -
Tenea Titta
le luci in terra fisse
mesto ed
immoto, e non facea parola.
Ma tempo
è omai di richiamar gli accenti
a i fatti de
gli eserciti possenti.
ARGOMENTO
Cessa la tregua, e la vittoria pende.
Il papa in Lombardia manda un Legato.
Sprangon su 'l ponte a guerreggiar
discende,
onde sospinto poi resta affogato.
Sono rotti e Petroni entro le tende,
e ammolliscono il cor duro ostinato.
S'interpone il Legato a tanti mali;
e si fa pace alfin con patti uguali.
1
Le cose de la
guerra andavan zoppe,
i Bolognesi
richiedean danari
al papa, ed
egli rispondeva coppe,
e mandava
indulgenze per gli altari.
Ma Ezzelino i
disegni gl'interroppe
col soccorso
che diede a gli avversari:
allora egli
lasciò di fare il sordo,
e scrisse al Nunzio
che trattasse accordo.
2
Indi spedí
Legato il Cardinale
messer
Ottavian de gli Ubaldini,
uomo ch'in
zucca avea di molto sale
ed era amico
a i Guelfi e a i Ghibellini;
e gli diede
la spada e 'l pastorale
che potesse
co' fulmini divini
e con l'armi
d'Italia opporsi a cui
rifiutasse la
pace e i preghi sui.
3
Fece il
Legato subito partita
con bella
corte e numerosa intorno.
Ma la tregua
fra tanto era finita,
e a l'armi si
tornò senza soggiorno.
Facevano i
guerrier su 'l ponte uscita
per
guadagnarlo: e quivi notte e giorno
si combattea
con sí ostinato ardire
che 'l fior
de' cavalier v'ebbe a morire.
4
Fra gli altri
giorni quel di San Matteo,
de l'uno e
l'altro esercito avvocato,
sí fieramente
vi si combatteo
che tutto 'l fiume
in sangue era cangiato.
Prove eccelse
Perinto e Periteo
feron col
brando; ma da l'altro lato
minori non le
fe' Renoppia bella,
d'alto
pugnando a colpi di quadrella.
5
Su la torre
vicina armata ascese,
che fu di
Sant'Ambrogio il campanile;
e per compagne
sue seco si prese
Celinda e
Semidea coppia gentile.
Quivi l'arco
fatal l'altera tese:
e sdegnando
ferir bersaglio vile,
furon da lei
le piú degne alme sciolte,
e votò
la faretra cinque volte.
6
Paride Grassi
e 'l cavalier Bianchini
su 'l ponte
uccise e Alfeo degli Erculani;
su la riva
l'alfier de' Lambertini,
Pompeo
Marsigli e Cosimo Isolani;
Lapo
Bianchetti e Romulo Angelini,
Gabrio
Caprari e Barnaba Lignani
giú nel fondo
trafisse, e due cognati
Fulgerio
Cospi e Lambertuccio Grati.
7
A Petronio
Sampier, ch'innanzi al ponte
facea la
strada a quei de la Crocetta,
drizzò
l'arco Celinda e ne la fronte
gli affisse
la mortal fera saetta.
Nel collo
Semidea ferí Bonconte
Beccatelli,
ch'uccisi in quella stretta
avea Anton
Borghi e Gemignan Colombo,
e lo fece
cader nel fiume a piombo.
8
Fu Girolamo
Preti anch'ei ferito,
poeta degno
d'immortali onori
che quindici
anni in corte avea servito
nel tempo che
puzzar soleano i fiori.
Col collare a
lattughe era vestito,
tutto di seta
e d'òr di piú colori:
ond'al primo
apparir ch'ei fece in campo,
Renoppia di
sua man trasse a quel lampo.
9
Tra 'l collo
e le lattughe andò a ferire,
e pelle pelle
via passò lo strale.
Ei si sentí
la guancia impallidire,
ché
dubitò la piaga esser mortale.
L'accortezza
e 'l saver nocque a l'ardire
che gli
affissò la mente al proprio male,
e in cambio
di pensare a la vendetta,
correre il
fece a medicarsi in fretta.
10
Ei nondimen
scusandosi dicea
che pugnar
con le dame era atto vile,
ma pazzo
ardir contra colei ch'avea
la sua
franchigia in cima a un campanile.
In tanto da
uno stral di Semidea
fu morto a
piè del ponte Andrea Caprile
ch'avea
quella mattina un frate ucciso:
la balestra
del ciel scocca improviso.
11
E se non che
la notte intorno ascose
l'aurea luce
del sol col nero manto,
imprese vi
seguían maravigliose
ch'avrebbon
desti i primi cigni al canto.
Taciute avria
quell'armi sue pietose
il Tasso, e
'l Bracciolino il legno santo,
il Marino il
suo Adon lasciava in bando,
e l'Ariosto
di cantar d'Orlando.
12
Giunto a
Genova in tanto era il Legato;
e 'l Nunzio
da Bologna gli avea scritto
ch'egli
sarebbe ad incontrarlo andato
prima ch'ei
fesse a Modana tragitto.
Ma egli, ch'a
lo studio avea imparato
che fa la
maestà poco profitto
se le manca il
poter, senza intervallo
assoldando
venía gente a cavallo.
13
E 'l papa
già co' Genovesi avea
d'un mezzo
million fatto partito,
talché
sicuramente egli potea
ragunar
soldatesca a suo appetito.
Ma il
trascorrer qua e là ch'egli facea
il trasse
fuor del camin dritto e trito,
fin che con
lunga ed onorata schiera
egli
arrivò ne' prati di Solera.
14
Quivi stanco
dal caldo e fastidito
fermossi a
l'ombra, e d'aspettar dispose
il Nunzio, a
cui già un messo avea spedito
per intender
da lui diverse cose.
In tanto i
servi suoi su 'l verde lito
vivande
apparecchiâr laute e gustose,
ed egli in
fretta trattisi gli sproni
mangiò
per compagnia cento bocconi.
15
Mangiato
ch'ebbe, sté sovra pensiero
rompendo
certi stecchi di finocchi;
indi venner le
carte e 'l tavoliero,
e trasse una
manciata di baiocchi,
e Pietro
Bardi e Monsignor del Nero
si misero a
giucar seco a tarocchi;
e 'l conte
d'Elci e Monsignor Bandino
giucarono in
disparte a sbarraglino.
16
Poi ch'ebbero
giucato un'ora e mezzo
levossi, e
que' prelati a sé chiamando,
con gusto
andò con lor cacciando un pezzo
i grilli che
per l'erba ivan saltando.
Cosí l'ore
ingannava, e al fresco orezzo
la venuta del
Nunzio attendea; quando
di persone e
di bestie ecco un drappello
guastò
la caccia ch'era in su 'l piú bello.
17
Eran questi
una man d'ambasciatori
da Modana
mandati ad invitarlo
con muli e
carri e cocchi e servidori
e molta
nobiltà per onorarlo;
ben ch'avesse
Innocenzio e i decessori
data lor poca
occasion di farlo,
essendo i
Modanesi a quella corte
esclusi da
ogni onor d'infima sorte;
18
non perché
avesse alcun mai tradimento
usato nel
servir la Santa Sede,
ma perché
avean con lungo esperimento
a Cesare
serbata ottima fede.
Quel che
dovea servir d'incitamento
per onorar di
nobile mercede
la costanza e
'l valor, servía d'ordigno
per accendere
i cor d'odio maligno.
19
Or al Legato que' signor portaro
rinfrescamenti
di diverse sorte,
di trebbian
perfettissimo un quartaro,
e in sei
canestre ventiquattro torte,
e una misura,
che tenea un caldaro,
di sughi
d'uva non piú visti in corte,
e per cosa
curiosa e primaticcia
quarantacinque
libre di salciccia.
20
Ringraziolli
il Legato, e que' regali
dividendo
fra' suoi l'invito tenne;
e fra tanto
col feltro e gli stivali
il Nunzio per
la posta sopravenne;
e informandol
di tutti i principali
motivi, seco
a la città se 'n venne:
la qual
s'affaticò con ogni onore
di trarre il
papa del passato errore.
21
Si
rinovò la tregua, e ad incontrarlo
uscí de la
città tutto il Consiglio,
e fin le dame
uscir per onorarlo
fuor de la
porta inverso il fiume un miglio.
Preparossi il
castel per alloggiarlo
con paramenti
di tabbí vermiglio:
corsesi un
palio, e fessi una barriera,
e in maschera
s'andò mattina e sera.
22
Il Nunzio
ragunar fece il Senato
ne la sala
maggiore il dí seguente,
dove con
pompa grande entrò il Legato
benedicendo
nel passar la gente.
Sotto un gran
baldacchino di broccato
stava la
sedia sua molto eminente;
e quindi ei
cominciò, grave e severo
a parlare a
quei vecchi dal braghiero:
23
- Il papa,
ch'è signor de l'universo
e del gregge
di Dio padre e pastore,
veduto fra le
cure ov'egli è immerso
d'una favilla
uscir cotanto ardore,
al ben comun
da quel desio converso
che spira e
muove in lui l'eterno amore,
pace vi manda;
o vi dinunzia guerra,
se voi la
ricusate, in cielo e in terra.
24
Quello che io
dico a voi, dico al nemico
vostro, ché
'l papa a tutti è giusto Padre:
e se ben voi
per retto e per oblico
foste sempre
ribelli a la gran Madre,
e novamente a
l'empio Federico
congiunti
avete e gli animi e le squadre;
non vuol
però che d'alcun vostro gesto
s'abbia
memoria o sentimento in questo.
25
E mi manda a
trattar pace fra voi
con patti
uguali; e mi comanda ch'io
in armi debba
aver fra un mese o doi
dieci mila cavalli
al voler mio
per rintuzzar
chi fia ritroso a i suoi
santi
disegni, al suo voler restio:
e a Genova i
contanti hammi rimesso,
e trenta
compagnie già son qui appresso:
26
e promette di
darmi il re di Francia
dodici mila
fanti infra due mesi,
sí che 'l
fondarsi in altro aiuto è ciancia.
Né piú sia
detto a voi che a i Bolognesi.
Il Papa sa
che a correr questa lancia
i danari di
Dio fien meglio spesi
ch'in erger
torri e marmi in sua memoria
d'armi e nomi
scolpir, fumi di gloria. -
27
Era capo di banca
allor per sorte
un Giacopo
Mirandola, uom feroce,
nemico aperto
a la romana corte,
turbulento di
cor, pronto di voce.
Questi
volgendo a le ragioni accorte
del romano
Legato il dir veloce,
con quella
autorità ch'avuta avea,
cosí
parlò dal luogo ove sedea:
28
- Il papa
è papa e noi siam poveretti,
nati,
cred'io, per non aver che mali;
e però
siam da lui cosí negletti
e al popol
fariseo tenuti eguali.
Se per
tiepidità noi siam sospetti,
per
diffidenza voi ci fate tali;
ma se per
troppo ardor, che possiam dire
se non che 'l
vostro giel nol può soffrire?
29
Fra i divoti
di Dio noi siamo soli
che non
godiam di quel ch'a gli altri avanza,
né possiamo
ottener come figlioli
nel paterno
retaggio almen speranza.
vengono genti
da gli estremi poli
e trovano appo
voi felice stanza:
noi soli siam
da gli avversari nostri
per esempio
di scherno a dito mostri.
30
Se in lupi si
trasformano i pastori,
gli agnelli
diverran cani arrabbiati:
che fra gli
oltraggi quei sono i peggiori
che ci fanno
color ch'abbiamo amati.
Ma da noi
Federico armi ed onori
però
ch'in libertà ci ha conservati:
egli tratta
con noi con cor sincero,
e noi
serbiamo fede al sacro Impero.
31
Né deve minor
lode esser a nui,
il conservar
la libertade antica,
ch'a gli
altri l'occupar gli stati altrui
e la fede
ingannar di gente amica.
Questo dico a
chi tocca e non a vui,
che se 'l
papa si studia e s'affatica
di porne in
pace con paterno zelo,
ne debbiamo
levar le mani al cielo;
32
quantunque
non rispondano a le prove
quel terzo
ch'ei mandò di Perugini,
e questo
monsignor che fa da Giove
co i fulmini
ch'avventa a i Ghibellini;
però
s'amor, se carità lo muove,
se lo spirto
di Dio spira i suoi fini,
deh cessi il
mal influsso a questa terra,
e faccia il
Papa a gl'infedeli guerra:
33
ché noi siam
pronti a riverire i suoi
santi
pensieri e far ciò ch'egli impone,
e a por
liberamente in mano a voi
ogn'arbitrio
di pace, ogni ragione.
L'onore
intatto resti, e sia di noi
quel che
v'aggrada, acciò ch'al paragone
piú non
abbiamo a rassembrar bastardi
tra i vostri
figli a gli altrui biechi sguardi.
34
Ché
quell'armi ch'or voi depor ci fate,
se
verrà tempo mai ch'uopo ne sia,
se
verrà tempo mai che le chiamiate
o in
Mauritania o a i regni di Soria,
vi seguiran
nel mar fra l'onde irate,
vi seguiran
per solitaria via,
saran le
prime a disgombrarvi i passi,
onde a la
gloria e a la salute vassi. -
35
Qui il
Mirandola tacque, e 'l concistoro
tutto levossi
a gridar - Pace, pace. -
- E pace sia,
rispose a un tempo loro
il discreto
pastor, s'ella vi piace,
per me non
fia che di sí bel tesoro
questa vostra
città resti incapace:
né i
Tedeschi, cred'io, l'impediranno,
ch'omai
confusi e mal condotti stanno.
36
E 'l papa
contra lor mosse in battaglia,
non contra
voi, la gente perugina,
se non era
con voi questa canaglia,
egli impedita
avría tanta ruina.
Or ha segnata
Dio giusta la taglia
e versata ha
su 'l mal la medicina.
Siate voi piú
devoti e men bizzarri,
e camminate
per la via de' carri. -
37
Col fin de le
parole in piè levato
uscí dov'eran
dame e cavalieri:
poi fe'
chiamare i primi del senato,
e
consultò con loro i suoi pensieri.
In Modana due
dí stette il Legato
fra giostre e
feste e musiche e piaceri:
il terzo se
n'andò verso Bologna
per dar
l'ultimo unguento a tanta rogna.
38
Gli
donò la città trenta rotelle,
e una cassa
di maschere bellissime,
e due some di
pere garavelle,
e cinquanta
spongate perfettissime,
e cento
salcicciotti e due cupelle
di mostarda
di Carpi isquisitissime,
e due
ciarabottane d'arcipresso,
e trenta
libre di tartufi appresso.
39
Fu da mille
cavalli accompagnato
da la
città fino a i vicini lidi,
dove
trovò l'esercito schierato
che 'l ricevé
con suon di trombe e gridi.
Il ponte e la
riviera indi passato,
da i
Bolognesi e loro amici fidi
fu ricevuto,
e circa le vent'ore
giunse a la
lor città con grande onore.
40
Il dí che
venne, per trattenimento
le spoglie
gli mostrâr del campo rotto,
prigioni,
armi, bandiere e ogni stormento,
e fu in
trionfo anch'egli il Re condotto.
Indi per
allegrezza il Reggimento
gittò dalle
finestre un porco cotto,
ordinando che
'l dí de la vittoria
cosí si fesse
ogn'anno in sua memoria.
41
Fece il
Legato poi la sua ambasciata
nel publico
Consiglio, e non fu intesa
con quella
attenzion ch'imaginata
s'era nel
cominciar di quella impresa.
Parea strano
a ciascun che terminata
fosse con
pari onor quella contesa,
e rivolean la
Secchia ad ogni patto,
e non volean
che 'l Re fésse riscatto.
42
Proponeva il
Legato un mezzo onesto,
che ritenendo
il Re ch'avean prigione,
rimettessero
poscia in quanto al resto
ne l'arbitrio
del Papa ogni ragione.
E quando
ancor gli trovò sordi in questo,
né gli poté
mutar d'opinione:
- Dunque,
disse sdegnato, i nostri amici
han minor
fede in noi che gli nemici?
43
Or vi
farò veder quello ch'importe
il disprezzar
l'autorità papale. -
Cosí disse, e
non pur fuor de le porte
che chiudean
le superbe e ricche sale,
ma di Bologna
uscí con la sua corte;
e volgendo il
cammin verso il Finale,
il Paulucci
avisò ch'immantenente
il seguisse
al Bonden con la sua gente;
44
dove dovea
trovarsi il giorno appresso
Azio d'Este
figliol d'Aldobrandino,
e quivi esser
da lui poscia rimesso
nel ferrarese
antico suo domino;
come gli avea
ordinato il Papa stesso
con un breve,
da poi ch'ei fu in cammino:
e a un tempo
fur da lui tutti chiamati
i cavalli
ch'adietro avea lasciati.
45
Salinguerra,
ch'intese il suo periglio,
tosto del
ponte abbandonò l'impresa,
e tornando a
Ferrara, in iscompiglio
ritrovò
la città già mezza presa.
Ma risoluti a
non mutar consiglio
s'ostinaron via
piú ne la contesa
i Petroni, e
stimâr cosa leggiera
l'aver
perduta e l'una e l'altra schiera.
46
Da l'altra
parte i Gemignani volti
al lor
vantaggio, avean con segretezza
danari a
cambio da i Lucchesi tolti
e assoldata
milizia a l'armi avezza;
e avendo i
Padovani in campo accolti
senza segno
di tromba e d'allegrezza,
si mostravan
d'ardir, di forze impari
per crescer
confidenza a i temerari.
47
E 'n tanto
preparar feano in disparte
ordigni da
trattar notturno assalto,
ponti da
tragittar da l'altra parte,
saette
ardenti da lanciar in alto,
fuochi
composti in varie guise ad arte
ch'ardean ne
l'acqua e su 'l terreno smalto,
falci dentate
e machine diaboliche
che non
trovaron mai le genti argoliche.
48
Tre giorni
senza uscir de la trinciera
stettero i
Padovani e i Modanesi:
ed ecco il
quarto con sembianza altiera
fuor de'
ripari uscir de' Bolognesi,
e su 'l ponte
calar da la riviera,
tutto coperto
di ferrati arnesi,
un fanton di
statura esterminata
nominato
Sprangon da la Palata.
49
Un celaton di
legno in testa avea
graticciato
di ferro, e al fianco appesa
una spada
tedesca, e in man tenea
imbrandita
una ronca bolognesa.
Quindi volto
a i nemici egli dicea:
- O Pavanazzi
da la panza tesa,
quando volidi
uscir di quelle tane
valisoni da trippe
trevisane?
50
Fra tanti
poltronzon j n'è neguno
ch'apa
ardimento de vegnir qua fora
a far custion
con mi, fina che l'uno
sipa
vittorios e l'altro mora? -
Cosí dicea,
né rispondeva alcuno
a la superba
sua disfida allora:
ma non
tardò ch'a rintuzzar quel fiero
da
l'antenoree tende uscí un guerriero.
51
Lemizio fu
nomato o Lemizzone,
piccolo e
grosso e di costumi antico,
avea ne la
man destra un rampicone,
e sopra la
celata un pappafico;
ne la manca
una targa di cartone
foderata di scotole
di fico:
del resto in
giubberel con le gambiere
parea un
saltamartin proprio a vedere.
52
Rise Sprangon
vedendolo su 'l ponte,
e
motteggiollo e dileggiollo assai,
chiamandolo
aguzzin di Rodomonte,
stronzo
d'Orlando, ambasciator de' guai.
Volgendo
Lemizzon l'ardita fronte
rispose: - Al
cospettazzo, e che dirai
burto porco arlevò col pan de sorgo,
se te fazzo
sbalzar zoso in quel gorgo? -
53
Alza la ronca
a quel parlar Sprangone,
e mena per
dividergli le ciglia;
Lemizzone la
targa al colpo oppone,
v'entra un
palmo la punta e vi s'impiglia:
ei la targa
abbandona, e 'l rampicone
gli avventa a
l'elmo, e ne' graticci il piglia;
e tira con
tant'impeto a traverso,
che 'n riva
al ponte il fa cader riverso.
54
Sprangon
tocca del cul su 'l ponte a pena,
che balza in
piedi, e la sua ronca gira
con quella
targa infitta, e su la schiena
ferisce
Lemizzon che si ritira.
Lemizzon de
l'uncino a un tempo mena,
ma non va il
colpo ove drizzò la mira;
segnava a la
visiera, e giú discese,
e ne la stringa
de' calzoni il prese.
55
Con le
ginocchia e con le mani in terra
Lemizzon
cade, e fa cader con esso
le brache di
Sprangon, ch'a sorte afferra
col raffio
ch'abbassò nel tempo stesso:
ma da la
ronca a quel colpir si sferra
lo scudo del
carton spezzato e fesso:
onde l'ardito
Lemizzon che vede
il rischio,
salta in un momento in piede;
56
e Sprangon,
ch'a sbrigar le gambe attende,
urta per
fianco e giú da l'orlo il getta.
Sprangon
cadendo in una mano il prende,
e 'l rapisce
con lui per sua vendetta.
ravviluppato
l'un con l'altro scende;
ma nel cader
si distaccaro in fretta:
batton su
l'onda e vanno al fondo insieme;
l'acqua
rimbalza e 'l lido intorno freme.
57
Lemizzon,
ch'è piú sciolto e piú spedito,
soffia le
spume e 'l volto alza da l'onda,
e poi ch'ha
scorto ov'è sicuro il lito,
passa notando
in su l'amica sponda:
ma da le
brache sue l'altro impedito
e da l'armi,
restò ne la profonda
voragine
affogato e quivi giacque,
cibo de'
pesci e impedimento a l'acque.
58
Ramiro
Zabarella, un cavaliero
il piú gentil
che fosse a' giorni sui
ma disdegnoso
e furibondo e fiero
con chi volea
pigliar gara con lui,
comparve
armato sopra un gran destriero,
dopo che
Lemizzon chiarí colui;
e disse: - O
Bolognesi, oggi la vostra
disfida
féste, e noi farem la nostra.
59
Però
doman su questo ponte stesso
tutti vi
sfido a singolar battaglia
con lancia e
spada, acciò che meglio espresso
si vegga chi
di noi piú in armi vaglia. -
Qui tacque il
Zabarella, e seguí appresso
il grido
universal de la canaglia:
e fu accettata
la disfida altiera
da i cavalier
de la contraria schiera.
60
Era ne la
stagion ch'i sensi invita
a ristorarsi
omai la notte bruna,
e con luce
scemata e scolorita
s'era
congiunta al sol l'umida luna:
la gente di
Bologna, insuperbita
dal passato favor
de la fortuna,
dormía secura
in aspettando l'ora
ch'esca
Ramiro a la battaglia fuora.
61
Quand'ecco a
l'arma a l'arma, e d'oriente
volando il
grido a mezzogiorno arriva,
a l'arma a
l'arma s'ode a l'occidente,
rimbomba
l'aria e fa tremar la riva.
La
sonnacchiosa e spaventata gente
sorgea
confusa; e quinci e quindi giva,
ravvolgendo e
intricando ordini e schiere,
e cercando a
lo scuro armi e bandiere.
62
Avean taciuto
i Modanesi un pezzo
per cogliere
il nemico a l'improviso,
e da piú
parti riserrarlo in mezzo
per farlo
rimaner vie piú conquiso,
parendo lor
che la vittoria avezzo
l'avesse a
trascurar quasi ogn'aviso.
Presero il
tempo e 'l ritrovâr distratto
e da simil
pensier lontano affatto.
63
Correano a
gara i capitani al ponte,
dove maggior periglio
esser parea:
e quivi il
furibondo Eurimedonte
col destriero
ingombrato il varco avea;
e in
minacciosa e formidabil fronte,
con la spada
a due man ferendo, fea
smembrati e
morti giú da l'alta sponda
cavalli e
cavalier cader ne l'onda.
64
A Petronio
Casal divise il volto
fra l'uno e
l'altro ciglio in fino al petto;
a Gian Pietro
Magnan, ch'a lui rivolto
già
tenea per ferirlo il brando eretto,
troncò
la mano e aperse il fianco, e sciolto
trasse lo
spirto fuor del suo ricetto;
e partito dal
collo a una mammella
Ridolfo
Paleotti uscí di sella.
65
Ma di gente
plebea n'uccide un monte
che s'erge
sovra l'onda e innanzi passa;
seguono i
Padovani; e già del ponte
le steccate e
le sbarre addietro lassa.
Quindi ne le
trinciere urta per fronte
e le rompe, le
sparge e le fracassa;
si rinforza
il nemico, e fa ogni prova
contra tanto
furor, ma nulla giova;
66
ché da
levante vien per fianco il forte
Gherardo a un
tempo, e da ponente viene
Manfredi, e
l'uno e l'altro ha in man la morte,
e fa di
sangue rosseggiar l'arene.
trasser le
genti lor con pari sorte
di là
da l'onda, e per le rive amene
taciti
costeggiando a un punto furo
sopra i
nemici incauti al ciel oscuro.
67
A prima
giunta in cento parti e cento
acceso fu ne'
palancati il foco:
crebbe la
fiamma e la diffuse il vento,
e l'inimico a
quel terror diè loco.
Urtando i
Gemignani, e al violento
impeto loro
ogni riparo è poco.
Da l'altra
parte i Padovani anch'essi
hanno
già i primi in su l'entrata oppressi.
68
Varisone,
fratel di Nantichiero,
che Barisone
ancor fu nominato,
uccise Urban
Guidotti e Berlinghiero
dal Gesso, e
'l Manganon da Galerato.
Seco avea
Franco e 'l valoroso Alviero
e don Stefano
Rossi, a cui fu dato
il cognome a
l'uscir di quel periglio,
perché tutto
di sangue era vermiglio.
69
Al pretor di
Bologna intorno stanno
tutti i primi
guerrier del campo armati:
egli che vede
la ruina e 'l danno
e non
può riparar da tanti lati
esce da
tramontana; e se ne vanno
di
Castelfranco a i muri abbandonati:
e si riparan
quivi, e quivi accolte
sono le genti
rotte in fuga volte.
70
Il popolo di
Fano e di Cesena
restò
col fior de' Milanesi estinto;
de' Ravennati
e Forlivesi a pena
fu ricondotto
a Castelfranco il quinto;
preso il
carroccio, ogni campagna piena
di morti,
ogni sentier di sangue tinto;
gli
alloggiamenti e la nemica preda
restaro al
foco e a le rapine in preda.
71
Piú non
tornaro al ponte i Modanesi,
ma a
Castelfranco fêr passar la gente:
e quivi furo
i padiglioni tesi
poco distanti
al lato di ponente,
dove ancor
sono i margini difesi
da una
trinciera quadra ed eminente,
che
può veder passando in su la strada
qualunque dal
castello al fiume vada.
72
Tiraro il dí
seguente una trinciera
i Bolognesi
fuor de la muraglia,
e quivi
usciro armati a la frontiera
contra i
nemici in atto di battaglia:
ma stetter
poi cosí fino a la sera,
per mostrar
di non ceder la puntaglia.
E in tanto il
Reggimento avea mandato
un messo in
fretta al Cardinal Legato;
73
cui chiedendo
perdon del folle eccesso,
d'aiuto il
supplicava e di consiglio
con libero e assoluto
compromesso,
pur che
levasse i suoi fuor di periglio.
Egli,
dissimulando il gusto espresso
di vedergli
abbassato il superciglio,
mostrò
dolersi de l'avuta rotta;
e fe' ritorno
a la città del Potta.
74
Quivi accolto
in Senato ei disse: - Amici,
io torno a
voi con quell'istessa fede
ch'io
ritrassi l'altrier, che i benefici
non mi
faceano ancor sperar mercede.
Voi, ch'io
credea di ritrovar nemici,
féste donna
di voi la Santa Sede;
e i nostri
amici vecchi insuperbiti
mutaron fede
e ne lasciar scherniti.
75
Or ha
l'orgoglio lor Dio rintuzzato:
io che 'l
sentiero a la vittoria ho fatto,
che 'l terzo
di Perugia ho lor levato,
che
Salinguerra fuor del campo ho tratto,
l'arbitrio
che da voi pria mi fu dato
vi ridomando,
ma però con patto
che debba
l'onor vostro esser securo;
e cosí vi
prometto e cosí giuro. -
76
Il Mirandola
allora alzato in piede
gli rispose:
- Signor, la patria mia
né per
incontro a la fortuna cede,
né per
felicità sé stessa oblía.
L'arbitrio
che da prima ella vi diede,
l'istesso or
vi conferma, e sol desía
che siate voi
magnanimo in usarlo,
com'ella
è pronta e generosa in darlo. -
77
Ringraziò
que' signori, e fe' partita
da Modana il
Legato il giorno stesso:
e conchiusa
la pace e stabilita
fra le parti
in virtú del compromesso,
con gaudio
universal, con infinita
sua lode
publicolla il giorno appresso;
riserbando
ne' patti a i Modanesi
la Secchia e
'l Re de' Sardi a i Bolognesi.
78
Nel resto si
dovean tutti i prigioni
quinci e
quindi lasciar liberamente,
e le terre e
i confini e lor regioni
ritornar come
fur primieramente.
Cosí finîr le
guerre e le tenzoni,
e 'l giorno
d'Ogni Santi al dí nascente
ognun partí
da la campagna rasa,
e
tornò lieto a mangiar l'oca a casa.
79
Voi buona
gente che con lieta ciera
mi siete
stati intenti ad ascoltare,
crediate che
l'istoria è bella e vera;
ma io non
l'ho saputa raccontare.
Paruta vi
saria d'altra maniera
vaga e
leggiadra, s'io sapea cantare;
ma vaglia il
buon voler, s'altro non lice,
e chi la
leggerà viva felice.
FINE
[dall'edizione del 1630, attribuite ad A.
Tassoni]
CANTO PRIMO
Stanza 1a, verso 4.
I Bolognesi sono chiamati Petronii e i Modanesi
Gemignani per la moltitudine de' cittadini dell'una parte e dell'altra che
hanno questi nomi; non per disprezzo alcuno, poiché per altro sono nomi de'
Santi protettori di quelle due città.
S. 2a, v. 8.
Accenna la conformità, che è tra il
rapimento d'Elena e quello della Secchia.
S. 4a, v. 1.
Veramente la Republica di Venezia in quel tempo,
veggendo ruinare l'imperio greco, attendeva a profittarsi della caduta sua, e
non premeva molto nelle cose d'Italia. Rebuelta de rio, gananza de pescador.
S. 5a
v. 4
Questa è moneta che spende ordinariamente
la Corte di Roma. Diceva prima: Ma non avran dal Papa altro che messe. Fu
mutato, perché il satirizzare su l'imperfezioni de' religiosi pecca in
moralità e scandalizza gli uomini pii.
S. 10a,
v. 8.
Usò questa voce [pitale] il poeta e
molt'altre della Corte di Roma, sí per la licenza, che concede Aristotile ai
poeti epici d'usar varie lingue; ma molto piú perché egli ebbe opinione che la
favella della Corte romana fosse cosí buona, come la fiorentina, e meglio
intesa per tutto.
S. 12a, v. 2.
I Modanesi portano per impresa della città
loro una trivella: col motto: Avia pervia.
S. 12a, v 5.
Questo non è capriccio del poeta, come
l'hanno tenuto alcuni, ma istoria vera cavata dalle croniche del Lancillotto:
il quale aggiugne anco di piú, che occorse un giorno che sementando certi
agricoltori fagioli dietro le rive del Panaro, il podestà di Modana uscí
con gente armata a far loro la scorta, perché non fossero impediti dai nemici
ch'erano anch'essi in campagna: onde i Bolognesi, come faceti, inventarono poi
che 'l Potta di Modana sementava i fagioli stando a cavallo.
S. 13a, v. 1.
Questi è figurato pe 'l conte Lorenzo
Scotti amico del poeta, che morí poi alla corte dell'imperatore Mattias.
S. 13a, v. 8.
Gherardo figlio di Rangone Rangoni fu veramente
in quel tempo; e secondo l'istorie del Campanaccio e del Sigonio, furono egli e
Tomasino Gorzani capitani del popolo modanese in quella guerra e insieme col re
Enzio rimasero ambidue prigioni.
S. 14a, v. 2.
Marrabisi: è voce
lombarda, e significa uomini di mal affare: è propria de' Bolognesi.
S. 14a, v. 5.
La Fossalta è un passo d'un torrente tra
Modana e 'l fiume Panaro, che si passa a guazzo co' piedi asciutti.
S. 16a, v. 1.
Questo è nome finto.
S. 16a, v. 5.
Aristotile insegnò all'epico ch'egli
poteva usare la varietà delle lingue; onde il poeta qui si serve della
regola per introdurre il ridicolo.
S. 25a, v. 3.
Bedano appresso i
Bolognesi significa quello che appresso i Sanesi significa besso, scemo,
balordo.
S. 26a, v. 5.
Il capitan Curzio Saracinelli fu uomo bravissimo,
ma milantatore al possibile; non s'era fatta guerra in cent' anni, dove egli
non fosse intervenuto; e non era intervenuto in guerra, dove di sua mano non
avesse tagliato a pezzi almeno cent'uomini, e particularmente nelle guerre di
Fiandra e di Portugallo.
S. 28a, v. 1.
Questi fu un dottore senza naso; ma il colpo era
stato piuttosto di guaina che di spada.
S. 29a,
v. 1.
Qui è forza narrare un accidente
ridiculoso intervenuto al poeta mentre era allo Studio di Bologna, che forse
diede materia a questi versi. Era di carnevale, e standava in maschera; e 'l
poeta era vestito da Zanni dottore con una zimarra e una beretta di velluto.
Incontrossi in tre altri mascheri vestiti da Zanni, in San Mammolo, i quali
toltolo in mezzo il cominciarono a urtare; e uno di loro, che portava un
formaggetto vecchio legato con una corda, gli diede con esso una botta su lo
stomaco, e 'l fece cadere in terra; e un altro gli levò la beretta che
gli era caduta nel fango, e gliela portò via trafugandosi fra gli altri
mascheri, e 'l fece rimanere un Zanni da dovero. Egli seppe dappoi che quello
che l'aveva fatto cadere era stato uno de' Zambeccari, e quello che gli aveva
tolta la beretta era stato un tal Dal Gesso che morí poi la state seguente, e
'l terzo era uno de' Scadinari.
S. 31a, v. 1.
Questa è un'osteria fuor di porta San
Felice a Bologna, dove sempre suol essere buonissimo moscadello.
S. 39a, v. 3.
Alcuni vogliono che Bologna fosse anticamente
detta Boionia, dai Galli Boi, che abitarono quivi.
S. 41a, v. 4.
Manfredi Pio non fu molto distante a quei tempi;
fu capo delia fazione ghibellina e vicario imperiale in quelle parti.
S. 43a, v. 7.
La secchia, che tuttavia si conserva in Modana,
è veramente d'abete; e mostra che fosse nuova con tre cerchi e il manico
di ferro. È anticaglia degna d'esser veduta, come quella che tiene il
terzo luogo dopo la nave d'Argo e l'arca di Noè.
S. 48a,
v. 3
Chi desidera di sapere il successo di questa
vergine, legga il Leonico, De varia historia etc.
S. 52a,
v. 1.
Bonadamo Boschetti era veramente vescovo di
Modana in quei tempi, e come uomo di fazione era stato cacciato dai ghibellini.
Questa ottava si leggeva prima cos:
Era vescovo
allor per aventura
de la
città messer Adam Boschetti,
che celebrava
con solenne cura
quando i suoi
preti li facean banchetti.
Non dava
troppo il guasto a la scrittura,
le starne gli
piacevano e i capretti,
e in cambio
di dir vespro e matutino
giucava i
benefici a sbarraglino.
Ma perché al poeta parve d' aver ecceduto nel
motteggiare la persona d'un vescovo per altro di nobilissima famiglia e molto
sua amorevole, non ostante che avesse motteggiata la persona sola e non la
dignità né la famiglia, la corresse come si vede. I difetti delle
persone eminenti s'ascoltano con gusto, perché servono di scusa agli inferiori
delle loro imperfezioni: ma il motteggiare le persone sacre non si può
ammettere in buona politica, perché scema la riverenza alla religione. E per
questo furono mutati eziandio quei versi dell'ottava 62a:
Sotto la
porta stava Monsignore
dimenando il
cotal dell'acqua santa.
S. 61a, v. 1.
Cataline sono chiamate
qui le contadine del modanese, perché dicono Catalina in cambio di Caterina, e
infinite di loro hanno questo nome, ma il proferiscono alla spagnola, e i
Bolognesi le beffeggiano.
S. 63a, v. 7.
Molti credono, che questa sia favola; ed è
istoria verissima. e in passando da Modana se ne posson chiarire.
CANTO SECONDO
S. 7a,
v. 3
Questo Rarabone, che 'l poeta finge qui per
autore della sua famiglia, non si sa che veramente fosse allora capo di banca;
ma si trova però nelle croniche di quella città scritto fra gli
anziani e conservatori di essa ventott'anni appresso.
S. 11a,
v. 2.
Equivoca e scherza sopra il nome di Marcello, che
in Venezia è una moneta da dodici soldi.
S. 13a, v. 3.
Il dottor Camillo Baldi fu principal lettore
dello Studio di Bologna, e amico del poeta; e avea le sue possessioni a
Grevalcore terra palustre; dove, alle prime rane che si veggono, sogliono i
Modanesi motteggiare che quei di Grevalcore non possono piú perir di quell'
anno, perché quivi ne nascono e se ne mangiano assai.
S. 15a, v. 7.
Veramente Appiano Alessandrino, descrivendo il
luogo dove Pansa console fu ucciso dalle genti di Marc'Antonio, pare che additi
le valli di Grevalcore; dove tanto gli uomini quanto le rane nascono verdi e
gialli.
S. 27a, v. 6.
Veggansi l'istorie di quei tempi, e troverassi
che i Modanesi, i Parmegiani e i Cremonesi erano sempre uniti in lega.
S. 28a, v. 1.
Finge il poeta che la Fama porti gli avisi e le
gazzette de' menanti d'ltalia alla corte di Giove.
S. 35a, v. 4.
Intende delle maremme di Siena, i cui cervelli
hanno fama d'avere occulta intelligenza con questa Dea.
S. 35a, v. 8.
Le meretrici invecchiate e dismesse sogliono per
l'ordinario applicarsi a cosí fatti lavori.
S. 36a, v. 2.
Rappresenta certe mogli indiavolate e traverse,
che sempre aggiustano tutte le faccende loro a disgustare il marito. S'egli ha
forestieri, esse vogliono fare il bucato; se vuol mangiar per tempo, esse vanno
all' ultima messa; s'egli ha bisogno di loro, vanno a lavarsi il capo: altre
non si mettono mai ad intrecciarsi i capegli, se non quando si vuole andare a
tavola, per farsi aspettare un pezzo: strebbiatrici, insolenti, picchiapetti.
S. 36a, v. 8.
È galanteria, che s'usa nelle corti di
Roma, acciò che i servidori non s'imbriachino. Sono di quei beneficii
non ricercati, che sogliono usare i moderni caritativi.
S. 43a, v. 1.
Il signor Guglielmo Moons, agente del serenissimo
elettor di Colonia, paragonò questo luogo con quelli d'Omero e di
Vergilio; ma non gli parvero da competere: ma io so che 'l poeta non ebbe
intenzione di concorrer con essi.
S. 43a,v.
7.
Chi non intende il poeta, legga le veridiche
istorie di Luciano, dove tratta delle battaglie seguite tra Endimione e Fetonte
ne' campi della Luna.
S. 44a,
v. 2.
Dante disse [Inf. XVIII, 61]: Tra Savna
e 'l Ren dove si dice Sipa.
S. 45a,
v. 8.
Saturno, pianeta maligno, che agli uomini co'
suoi influssi sempre minaccia danni, risponde qui conforme alla sua natura. E
Marte applaude alla sua risposta, per esser anch'egli pianeta di mala
qualità.
S. 46a,
v. 7.
Parla astrologicamente: perciò che, se la
stella di Marte è mirata d'aspetto opposto o quadrato da quella di
Venere, a' suoi cattivi infiussi vien scemato il vigore.
S. 50a,
v. 1.
A Modana si fanno e s'adoprano le maschere piú
che in città del mondo; e 'l carnevale vi sono continue danze e tornei e
giostre e bagordi. E quivi parimenti sono trebbiani dolcissimi ed altri vini in
copia grande.
S. 50a, v. 8.
Allude al proverbio far la barba di stoppa; e
motteggia le statue degli Dei de' gentili ch'avevano la barba d'oro: onde
Dionisio tiranno la levò ad Esculapio, dicendo ch'era indecenza che 'l
figlio avesse la barba e 'l padre, ch'era Apollo, fosse sbarbato.
S. 57a, v. 8.
Piú modestamente non si poteva dichiarare
l'oscenità, né con piú acutezza schernire il gentilesimo. Alcuni si
credettero d'imitar questi dileggiamenti degli Dei de' gentili, e diedono nelle
seccagini e nelle freddezze: Ma ognun del suo saper par che s'appaghi.
S. 60a, v. 1.
La plebe di Bologna suol essere astutissima:
aggiuntovi poi l'esser oste e l'esser guerzo, affina la tristizia a ventiquattro
carati.
S. 63a, v. 2.
Chiama il poeta fetente Modana per rispetto delle
sue strade lorde, dominate piú dalla dea Merdarola che dal dio Febo. Un altro
poeta disse:
Modana e una
città di Lombardia
Tra 'l Panaro
e la Secchia in un pantano,
Dove si
smerda ogni fedel cristiano
Che s'abbatte
a passar per quella via.
I Modanesi sogliono con tutto ciò dire che
la città loro ha due strade per tutto: una per gli uomini e l'altra per
le bestie; intendendo che i portici, che sono in tutte le contrade, servano per
gli uomini.
S. 65a, v. 3.
Bacco non poteva chiamar gente piú sua
affezionata e divota, né invitarla in luogo dove fosse meglio trattata;
perciò che a Modana ci sono bonissimi vini, e in tanta quantità
che si vende a tre giulii il barile: onde si può dire che quivi sia la
regia di Bacco, e la terra di promissione de' Tedeschi.
S. 65a,v. 7.
Questi è il primo Santo che venga dopo le
vendemmie; e suole essere la sua festa destinata ad assaggiare i vini nuovi.
Oltre di ciò Gregorio Turonese fra' miracoli di questo Santo conta
alcune moltiplicazioni di vino; sí che per tutti questi rispetti i Tedeschi
deono avere in venerazione particolare questo gran Santo.
CANTO TERZO
S. 4a, v. 1.
È promessa simile a quella che già
fece l'istessa dea a Paride; e accenna l'origine de' signori Bentivogli, che
tengono di esser discesi dal re Enzio.
S. 11a, v. 8.
Culagna è una rocca smerlata su le
montagne di Reggio, famosa come a Roma Capodibove.
S. 13a, v. 8.
Le corna erano anticamente segno di corona, e
oggidí ancora in Germania si portano sui cimieri in segno di nobiltà.
Però niuno interpreti a sinistro il cimiero di questo eroe, che porta
corna ch'ognuno le vede, e tal le porta che non se le crede.
S. 14a, v. 1.
Ad un cavaliero de' Montecuccoli parve che questo
fosse il suo ritratto: ma molte cose dette a caso paiono alle volte dette a
posta.
S. 15a,v. 7.
Quando Balduino imperator di Costantinopoli venne
in Italia, nel passar per Modana fece veramente alcuni cavalieri tra' quali
furono Attolino e Guidotto Rodea, Forte Livizzano e Rainero de' Denti di
Balugola.
S. 18a, v. 1.
Camillo del Forno fu veramente uomo arrischiato e
bravo ma in ultimo essendosi fatto capo di banditi, la sua temerità il
precipitò.
S. 20a, v. 2.
Questo arciprete fu ribello del comune di Modana,
e gli occupò la terra del Finale, e gli fece di molti danni.
S. 24a, v. 1.
Questa fu istoria vera: e chi desidera di
saperla, legga quel che ne scrive il conte Giovan Paulo Caisotto nell'istorie di
Nizza.
S. 30a, v. 1 .
Corleto e Grevalcore furono detti a
contraposizione Cor laetum et Grave cor; questo dai soldati di Pansa
ucciso quivi; e quello dai soldati d'Ottaviano vittorioso in quel luogo, quando
liberò Modana dall'assedio.
S. 30a, v. 7.
Quest'era un maestro di scuola famoso, a cui
essendo venuto uno de' suoi contadini a dargli nuova che gli era morta una
vacca, il rimandò in villa e gl'insegnò che gli facesse un
beverone che sarebbe guarita.
S. 31a,
v. 1.
Questo dottore si maritò con una
giovinetta in età matura e morí subito. I vecchi, che si maritano a
donne giovani, sono giubboni vecchi che s'attaccano a calzoni nuovi, che subito
si schiantano.
S. 32a,
v. 1.
Ebbe nome Bartolomeo, e fu appunto quale il poeta
il descrive.
S. 35a,
v. 2.
L'arma de' signori Boschetti è una
grattugia con certe sbarre; ma il poeta la finge una gradella, perché veramente
i pittori la rappresentano piuttosto in forma di gradella che di grattugia.
S. 39a, v. 1.
Questo si chiama San Martino de' Ruberti, famiglia
nobile reggiana, che vanta la sua origine d'Africa; e per questo il poeta le
dà per impresa un Saracino.
S. 40a, v. 1.
Questa fu antica e nobil famiglia oggidí estinta.
Zaccaria fu signor di Carpi; ma da Manfredi Pio, ch'era allora vicario imperiale,
gli ne fu levato il dominio.
S. 46a, v. 1.
Intende della famosa Accademia della Crusca di
Firenze, che porta l'istessa impresa.
S. 46a, v. 8.
Gli finge unti, perché quivi nasce l'olio di
sasso famoso, intorno al quale faticano.
S. 47a, v. 2.
I vini di Sassuolo sono perfettissimi.
S. 48a, v. 1.
Quei della Rosa furono in quel tempo signori di
Sassuolo; e chiamavansi egualmente quei della posa e quei di Sassuolo. Oggi
è famiglia estinta
S. 49a, v. 1.
Scherza su 'l nome e su le bellezze della signora
Laura Cesi contessa di Pompeiano. Sol che tramonta.
S. 50a, v. 2.
Il conte Ercole Cesi aveva assuefatte alcune
giovani di quelle terre, che tiravano co' moschetti a segno, come gli uomini.
S. 51a,
v. 1.
Cioè avea il cognome e'l dominio della
terra di Cervarola e di Saltino e del Pigneto e di Morano paese vicino.
S. 54a,
v. 3
Rappresenta nell'insegna un uomo collerico.
S. 57a,
v. 2.
Questo cavaliere aveva una sorella bellissima,
che poi si fece monaca
S. 57a,
v. 4.
Settecento uomini che guardavano un passo stretto
d'una montagna, veggendo apparire certi cavalli nella pianura, a quella vista
sola tutti si misero in fuga, perché avevano per capo il conte di Culagna.
È istoria antica che sente del moderno.
S. 59a, v. 1.
Allude al conte Fabio Scotti, conte di Miceno,
detto corrottamente Muceno.
S. 64a, v. 1.
Niuna cosa vien istimata piú abile a muovere il
riso che gli abiti contrafatti; e però il poeta arma questi popoli
montagnuoli così alla scapigliata.
S. 65a, v. 2.
Alberto ebbe nome, e fu giovane valoroso
nell'armi, che poi si fece frate cappuccino.
S. 65a, vv. 3- 4.
Questi due versi si leggono guasti in alcuni
testi, non so da chi, né perché, essendo rappresentazione d'un atto ridiculo
che sogliono ordinariamente fare i putti cristiani in disprezzo del giudaismo.
Ma alle volte taluno si fa scrupolo a sputare in chiesa, che poi ruberebbe la
sagrestia.
S. 66a, v. 2.
Cioè Morovico signor di Ronchi, e di casa
Ronchi.
S. 67a, v. 8.
Chiamasi la Torre dell'Oche grande, non rispetto
al luogo, ma al numero di quelli che hanno il cervello d'oca.
S. 73a, v. 4.
La bizzaria di queste insegne par fatta a caso;
ma nelle piú di loro vi sono degli artificii occulti, i quali si tacciono per
non offendere.
S. 75a, v. 1.
Fu verissimo che in quella guerra i Fiorentini
anch'essi aiutarono i Bolognesi: e il commessario loro fu messer Botticella
degli Orciolini.
CANTO QUARTO
S. 2a,
v. 6
La montiera è un cappelletto alla
spagnola da portare in casa, che usavano anche gli antichi; onde Svetonio in
Augusto: Domi quoque non nisi petasatus sub dio spatiabatur. Augusto per
rispetto de' crepuscoli non passeggiava in casa allo scoperto senza la
montiera.
S. 3a, v. 1.
Chiama seme de' Latini i Modanesi, perché Modana
era stata colonia de' Romani.
S. 3a, v. 4.
Gli scrittori antichi mettono il Lavino fiume nel
territorio di Modana. Ma Carlo Magno, nella divisione che fece de' confini
d'ltalia, divise col Panaro i confini di Modana e di Bologna, perché in quel
tempo Modana era distrutta e spopolata e Bologna populatissima. Succederono poi
Federico Barbarossa e Federico Secondo, i quali avendo i Bolognesi per
difidenti e per nemici tenevano un presidio a Modana, e non lasciavano goder
loro quel territorio in pace per le ragioni antiche.
S. 4a, v. 1.
È castello su la strada maestra ne'
confini de' Bolognesi, oggidí aperto.
S. 15a, v. 1.
Furono veramente i Parmegiani aspri nemici di
Federico Secondo. Veggansi l'istorie.
S. 21a, v. 8.
La Rossina è una canzone triviale
che si canta in Lombardia; e cominciando dalle chiome dice: Le belle chiome
c'ha la mia Rossina, Rossina bella fa la li le lá: Viva l'amore e chi morir mi
fa: e cosi va seguendo.
S. 28a, v. 1.
Il testo primo diceva: Uccise d'an gran taglio
Angel Rasello. Et era un ritratto cavato dal naturale d'un personaggio ora
morto, che quadrava a puntino.
S. 39a, v. 1.
Avendo i Ferraresi cacciato Aldobrandino da Este
per l'alterigia sua, s'elessero per signor Salinguerra Torelli, o Garamonti
com'altri vogliono. Ma poco dopo Salinguerra fu anch'egli cacciato, e fu
restituito il dominio ad Azio da Este figliuolo d'Aldobrandino. Vogliono
nondimeno alcuni speculativi che qui il poeta alluda alla cacciata di qualche
altro signor piú moderno. Salinguerra, secondo l'istorie del Biondo, fu aiutato
da Ezzelino tiranno di Padova ad acquistare il dominio di Ferrara, perché era
suo cognato e gli Estensi erano suoi nemici.
S. 40a, v. 3.
Questo è un contrasegno del marchese
Fontanella conte di San Donnino, che soleva far quell' atto.
S. 61a, v. 7.
La famiglia Canossa era fino a quel tempo molto
nobile e gli storici dicono che Guido Canossa fu veramente capo del popolo
reggiano in quella guerra, e che, trasportato dall'impeto del cavallo e ferito,
s'affogò in una fossa.
S. 64a, v. 1.
Questa potrebbe esser giudicata da qualcheduno
invenzione del poeta per ischernire i Reggiani; e non è cosí:
perciò che veramente nell'archivio de'signori Pii si trova una sentenza
data in Rubiera l'anno 1255 alli 20 di febbraro, regnando Federico Secondo
imperatore, ed essendo suo vicario in Modana il signore Alberto Pio; e tal
sentenza fu data dal dottore Andrea Canossa da Parma, giudice deputato da esso
Signore Alberto nella controversia che allora si disputava tra la
comunità di Reggio e quella di Modana, la quale per esser cosa lunga non
la riporterò qui tutta, ma le parole e clausule solamente che contengono
il punto di questo accidente. E sono quelle che seguono:
Christi nomine repetito, etc.
Dicimus, sententiamus et pronuntiamas
et diffinimus, et iudex quietamus liberamus et absolutos, quietos et liberatos
esse iubemus et condemnamus et ut arbiter arbitramur et sententiatum esse
volumus et condemnamus ut intra, videlicet:
Dictos de Reggio, sea
praædictam communitatem Reggii teneri et obligatos seu obligatam esse
extrahere videlicet cothurnos, stivalia, soturales et crepidas, in signum
hanoris et reverentiæ debitæ et debendæ prædictis
Mutinensibus, in itinere pedestri, equestri et navali, in quibascumque domibus
hospitiis et ad omnem quamcumque volantatem prædictorum Mutinensium
requirentium et etentium sibi calciamenta extrahi debere et stivalia cothurnos
sotalaria vel crepidas, sic extractas vel extracia purgare, mundare, lavare et
ezsdem et quibuscumque eorum, ut dominis suis eos vel ra præsentare. Et
ita pronunciamus omni meliori modo etc.
Præsentibus ambobus
prædictis procuratoribus seu mandatariis D. D. Pietro de Nava et
Francisco Regino etc.
Actum in Castro Herberiæ etc.
A questa scrittura precedono e seguono le solite
clausole, le quali, come ho detto, per brevità si tralasciano,
bastandoci avere accennata qui la sostanza del fatto. Se poi tale scrittura sia
cosa vera e reale o pur finta, me ne rimetto all'altrui giudicio, bastandomi
aver significato che 1' originale è in casa de' signori Pii di Savoia, e
che non è invenzione del poeta.
S. 65a, v. 6.
A sesta, cioè a
misura. Ma questa pur anco parrà ad alcuno invenzione del poeta contra i
medesimi Reggiani: e nondimeno nell'istorie del regno d'ltalia sotto l'anno
1152 e in altri autori ancora, si legge ch'essendo in lega i Modanesi co'
Parmegiani ruppero l'esercito de' Reggiani e ne menarono a Parma un gran numero
di prigioni; e che'l giorno seguente, mostrando di volerli arder vivi, accesero
in piazza un gran foco; poi trattili di prigione con una canna in mano per
ciascheduno, che aveva in cima una banderola di carta, li facevano passare per
certo luogo stretto, e nel passar che facevano davano a ciascheduno uno
scappezzone o scappellotto su la nuca; e in cambio d'arderli facevano loro
degli soffioni e ardevano loro la barba, e poi li mandavano via cosí
svergognati e spauriti.
S. 66a, v. 7.
I Reggiani oppongono ai Modanesi che mirano la
luna nel pozzo, perché veramente i Modanesi hanno in costume, quando veggono un
pozzo, di correr subito a mirarci dentro. E i Modanesi oppongono ai Reggiani
che abbiano le teste quadre, perché realmente molti di loro non l'hanno né
tonde né ovate, come anche si dice de' Genovesi che abbiano le teste acute,
perché molti di loro l'hanno cosí. Però come questo è accidente
di molti, non di tutti, il poeta finse che quelli solamente che patteggiati
uscirono di Rubiera avessero le teste quadre, e che i medesimi soli fossero
ubbligati a cavar gli stivali o le scarpe ai Modanesi quando s'incontravano per
viaggio. In ogni evento è da considerare che i capricci de' poeti non
fanno caso, e tanto piú de' poeti burleschi, che hanno per fine loro il diletto
e non la verità; perché ben si sa che per altro li signori Reggiani sono
molto onorati.
CANTO QUINTO
S. 2a, v. 2.
Bosio Duara signor di Cremona fu veramente allora
in aiuto de' Modanesi, e vi rimase prigione.
S.23a, v. 8.
A Modana i pizzicagnoli si pregiano vanamente di
far salciccia fina, perciò che non val nulla rispetto a quella di Lucca
detta perciò latinamente lucanica da Lucca.
S. 24a, v. 4.
Nelle croniche di Modana si legge, che le
città che s'armarono in favore de' Bolognesi contra Modana furono
appunto quattordici, e quell'istesse che nomina il poeta, da Perugia in fuori,
che fu introdotta da lui a contemplazione del signor Baldassare Paulucci.
S. 25a, v. 7.
Il papa era allora in Francia nel Lionese Veggasi
il Biondo sotto l'anno 1218, nel quale seguí la battaglia e la rotta e la presa
del re Enzio.
S. 28a, v. 3.
Questa è vera istoria e non pecca in altro
che in anacronismo. L'accidente occorse a questo prelato a Scarperia, mentre da
Roma andava a Parma.
S. 32a, v. 1-8.
È ritratto cavato dal naturale e fu vero
che ritornando portò guanti agli amici.
S. 36a, v. 1.
È descrizione della salmeria che portarono
quei Toscani, che l'anno 1613 passarono in aiuto de' Mantuani contra i
Savoiardi, che si servirono d'asini per bagagli.
S. 40a, v. 4.
Il dice per gli Sforzeschi e per quelli da
Barbiano, che furono eroi.
S. 41a, v. 4.
Guido da Polenta fu padre della Francesca da
Rimini, di cui si favella ne' seguenti versi.
S. 43a, v. 3.
Paulo: fu questi fratello di Lanciotto, da cui fu
ucciso perché il trovò con la moglie Francesca. Vedi Dante.
S. 48a, v. 3.
Accenna quello che si dice de' Faentini, che
l'imperator Carlo Quinto, essendo stato molto onorato da quei cittadini nel
giugnere alla piazza creasse cavalieri tutti quelli che vi si trovarono; onde
perciò i Faentini quasi tutti si chiamino cavalieri.
S. 49a, v. 2.
Mainardo da Susinana fu veramente tiranno di
Cesena, come anco Pietro Pagano d'Imola e gli Ordelafi di Forlí e Forlimpopoli.
Leggi il Villani, che ne favella.
S. 53a, v. 2.
I prirni ch'usassero il carroccio furono i
Milanesi. Era un gran carro tirato da molte paia di buoi, dove si mettevano
tutte l'insegne quando si combatteva, e dove si ricoveravano i feriti sotto la
guardia d'una grossa banda di soldati, i piú vaiorosi del campo.
S. 53a, v. 8.
Antonio Lambertazzi e Lodovico di Geremia furono
i due capi principali del popolo di Bologna nella giornata d'Enzio.
S. 55a, v. 1.
Quest'era veramente il podestà. di Bologna
in quel tempo. La gorgiera in questo loco è detta per gozzo; e
dicesi che nel bresciano quando le genti s'ammogliano, non le vogliono se non
hanno il gozzo, perché dicono che le sgozzate non hanno tutti i loro membri.
S. 55a, v. 8.
I Bresciani sono contati anch'essi fra le
città collegate con Bologna. Le parole delle croniche di Modana sono le
seguenti: De anno 1247 die 4 octobris Bononienses cum suo carroccio et cum
amicis suis Faventinis, Imolensibus, Forliviensibus, Ariminensibus,
Pisauriensibus, Fanensibus, Mediolanensibus, Brixianis, Forlimpopolensibus,
Cesenatibus, Ravennatibus, Ferrariensibus, Florentinisque faerunt in obsidionem
Bazani et ceperunt castrum Vignolæ et cum eis fait Comes Albertus de
Mangona, etc.
Eodem tempore die 24 octobris
Mutinenses equitaverunt comburendo omnia usque ad Rhenum, et tunc fait magnum
prælium apud Sanctam Mariam de Strata, et ex parte Bononiensium captus
fuit dominus Thomasinus Salinguerra, et vulneratus est dominus Paulus
Traversarus de Ravenna, et multi Florentini et Bononienses capti sunt. Ex parte vero Mutinensium mortuus est dominus Ponzanatus
de Cremona... Et de anno 1248 inter Bononienses et Mutinenses fait magnum
prælium in die Mercurii apud Fossaltam: in quo Mutinenses vieti sunt, et
capti fuerunt septem de populo, et circa centum milites de Mutina. Et in dicto
prælio captus fuit Henricus rex Sardiniæ, qui tunc erat cum
Mutinensibus, et multi milites Germanici, qui cum dicto rege militabant etc. E questo può servire a mostrare che
ne'successi di quella guerra i Bolognesi non sono stati aggravati dal poeta,
come forse taluno si crede; poiché le rotte furono vicendevoli.
S. 56a,
v. 4.
Il conte Romeo Pepoli è moderno: ma vi fu
un altro Romeo Pepoli che non era conte, del quale fa menzione il Biondo, e fu
vicino a quei tempi; e i suoi nipoti furono poi signori di Bologna, e la
venderono all'arcivescovo Giovanni Visconti per ducento mila scudi.
S. 63a, v. 6.
I marroni in Lombardia
si chiamano le castagne grosse col guscio: e mazzamarroni significa
l'istesso che mangiamarroni,perciò che i montanari ne sogliono
distruggere e mangiare una gran quantità. Cosí chiamò anche i
Cremonesi mangiafagioli.
S. 66a,
v. 6.
Questo Tomasino Gorzani fu uno de' capitani del
popolo in quella guerra, e fu fatto prigione anch'egli col re Enzio.
CANTO SESTO
S. 1a, v. 1.
Questo poeta non fu rubatore: ma le cose sue sono
trovate da lui, e particolarmente le descrizioni, come questa del mezzogiorno e
tant'altre dell'aurora e della notte. A Vergilio e al Tasso scema gran parte
della lode l'essersi serviti delle invenzioni degli altri.
S. 16a, v. 2.
Dell'istessa lingua fiorentina riputata per
ottima si serve a generare il ridicolo, sindacando la cattiva pronuncia
d'alcune voci.
S. 17a, v. 5
Introduce personaggi noti a molti e aggiustati
all'azioni che lor fa fare. Il Teggia fu uomo di lettere, e cognito nella corte
di Roma; e morí cieco: onde finge che fosse acciecato in questa guerra.
S. 21a, v. 5.
Sono cognomi di famiglie nobili bolognesi de'
nostri tempi.
S. 33a, v. 5.
Min del Rosso, Gabbion di Gozzadino, Carlon
Cartari, Ruffin dalla Ragazza ed altri cosí fatti sono nomi notissimi tra i
vecchi di Bologna.
S. 45a, v. 3.
Lanzi in Lombardia
si chiamano i Tedeschi: sbittare in bresciano significa saltar fuora e
scappare, e schitta nello stesso linguaggio è l'istesso che
cacarella o cacaiola.
S. 64a, v. 1.
Guido da Polenta signor di Ravenna e padre della
Francesca da Rimini, di cui si ragionò di sovra, fioriva anch'egli in
que' tempi.
S. 66a, v. 8.
È detto da un nemico, che oppone ai
Romagnoli due pecche; cioè che sieno facili, quando sono banditi, a
mettersi a rubare alla strada, e che scorticassero san Bartolomeo; ch'è
una fama vana, perciò che san Bartolomeo morí in India.
S. 67a, v. 5.
In Modana sono veramente queste due fazioni. I triganieri
sono una mano di scapigliati oziosi, che, non sapendo che farsi, si
dànno a far volar colombi ch'essi chiamano trigani, e gli
avezzano non solamente a condurne alle loro colombaie de' forestieri, ma a
portar anche delle lettere da luoghi distanti cinquanta e sessanta miglia:
usanza conservata in quella città fin dalla sua prima origine; onde
leggiamo in Plinio che, quando era assediata da Marc'Antonio con tanta
strettezza che non ne poteva uscire uomo alcuno, furono mandate fuora colombe
con lettere al collo, che furono cagione che'l senato romano affrettasse il
soccorso.
S. 67a, v. 6.
La campagnia de' Bacchettoni ha preso questo nome
da'Fiorentini, che chiamano bacchettoni certi che 'l giorno vanno
baciando le tavoloccie e la sera s'adunano a disciplinarsi a calzoni calati. Ma
l'origine di tal nome io non l'ho potuta sapere.
S. 69a, v. 7.
Questi sono i nomi di due triganieri famosi
nella città di Modana e conosciuti da tutti gli osti e bettolieri.
S. 70a, v. 4.
Chi vuol sapere chi fosse santa Nafissa, o per
dir meglio chi fosse la Nafissa riverita per santa dai maomettani, legga il
Leoni nella descrizione dell'Africa, dove tratta delle curiosità e
novità che sono nella gran città del Cairo. E questo sia detto
per rispondere a chi oppose già al poeta che questo era un miscere
sacra profanis, e che questo poema era una calza d'uno svizzero di due
assise; non avendo mai letto Plinio secondo, nell'epistola XXI dell'ottavo
libro ove egli favellò nella forma seguente: Ut in vita sic in
studiis pulcherrimam et humanissimum existimo severitatem comitatemque miscere,
ne illa in tristitiam, hæc in petulantiam excedat, etc.
CANTO SETTIMO
S. 5a, v. 1.
Omero finge ragionamenti tra colpo e colpo, e in
particolare fa narrare la stirpe loro agli stessi combattenti nell'atto del
menar le mani. Però se Aristotile fosse stato soldato non l'avrebbe
lodato né in questo né in molte altre cose, dove parla della milizia
bamboleggiando.
S. 9a,
v.1
Parla come nemico; e attribuisce a mancamento ai
Ferraresi quello ch'era lode loro, cioè il tener col papa. Cosí Enzio
nel canto precedente come nemico chiama papisti i guelfi; e il poeta deve
imitare chi favella.
S. 16a, v. 1.
Nel poema dell'innamoramento d'Orlando si legge
che combattendo quel paladino col re Agricane, e vedendo quel barbaro i suoi
che fuggivano, pregò Orlando che glieli lasciasse rimettere in
battaglia, che poi ritornerebbe a duellare con esso lui: e Orlando se ne
contentò. Ma qui Voluce dice ch'Orlando è morto, e non è
piú quel tempo.
S. 21a, v. 8.
Un tal principe greco, che si vantava della stirpe
di Costantino Magno, e mostrava privilegi di cartapecora vecchia, veggendo
l'ambizione degl'ltaliani, dava loro titoli a decine senza risparmio per ogni
minima mercede. E a Ferrara fe' gran profitto, dove infeudò le terre del
Turco.
S. 27a, v. 1.
Veramente Bosio Duara signor di Cremona rimase
anch'egli prigionièro de' Bolognesi in quella guerra.
S. 29a , v. 2.
Questi versi non diceano cosí nella prima stampa,
ma il poeta volse onorare Omero Tortora istorico amico suo e gli mutò.
S. 34a,v. 1.
Nomi perugini accorciati.
S. 34a, v. 8.
Questi professava di parlar peruginissimamente
secondo il volgare del popolo, e si poteva imparar da lui il parlar perugino.
S. 39a, v. 1.
Favella della guerra della Garfagnana tra i
Lucchesi e i Modanesi, nella quale que' popoli montagnoli per odio si
tagliavano le viti e si scorticavano i castagni l'un l'altro con vendetta
montanaresca.
S. 42a,
v. 1.
Questi era un personaggio mandato dal governator
di Milano per veder d'acquetar que' popoli; e salvò la piazza di Castiglione
spiegando una bandiera del re Cattolico, alla quale i Modanesi fecero di
berretta.
S. 42a, v. 3.
Alcuni dicono che fu un pezzo di tela rossa, e
che i Modanesi si lasciarono ingannare dal colore. Nella edizione di Parigi i
versi furono mutati da un Lucchese che assisteva alla stampa, e voltati a
favore della sua nazione. Ognuno procura suo vantaggio.
S. 48a,v 1.
Parla secondo gli astrologi. L'aspetto quadrato
è infelice, e tanto piú ne' pianeti maligni come Marte.
S. 53a, v. 1.
Questo è un consiglio imitato in Petronio
Arbitro, dove i consiglieri contendono a chi dice peggio.
S. 53a, v. 6.
A quel tempo Modana era stata tutta piena di
masse di stabbio: oggidí le strade ne sono meno adorne, ma non però in
tutto prive. Da Omero sarebbe stata detta urbs bene stabalata.
S. 54a, v. 8.
È un verso di lingua pretta modanese.
S 55a, v. 5.
L'antichità di Modana si conosce dalle
fabbriche particularmente de' portici su i balestri, che mostrano d'esser stati
fatti assai prima che Vitruvio scrivesse d'architettura.
S. 55a, v. 8.
Le canalette sono le cloache, delle quali
è piena quella città: e quando le votano, non si può
passar per le strade per rispetto della lordura che si diffonde, oltre il puzzo
che appesta.
S.
Chi desidera di saper meglio l'istoria di
Telessilla, legga il Leonico, De varia historia.
S. 74a, v. 7.
Séguita l'opinione di coloro che dissero che i
pianeti erano come lampade attaccate al cielo.
CANTO OTTAVO
S. 1a,
v. 3.
Chiama il
poeta le lucciole stelle della terra, e le stelle lucciole del cielo, perché
fanno l'istesso effetto di volar per l'aria e di non risplendere se non di
notte.
S. 8a, v. 7.
Chiama ciurmatori i filosofi greci, che
persuasero al popolo che ogni pianeta avesse un cielo da sé, e che gl'inferiori
fossero rapiti dall'ottava sfera da oriente in occidente. Perciò che il
poeta fu sceptico, e tenne che le cose de' cieli, quanto a noi, consistessero
tutte in opinione e probabilità. E ne portò egli ancora una nuova
nel terzo libro de' suoi Pensieri.
S. 11a, v. 7.
Ezzelino da Romano era allora signor di Padova, e
dipendente da Federico imperatore. Veggansi l'istorie di quei tempi.
S. 15a, v. 7.
È descrizione dell' aurora fatta a
concorrenza di quella di Dante nel IX del Purgatorio:
La concubina
di Titone antico
Già
s'imbiancava al balzo d'oriente
Fuor de le
braccia del suo dolce amico.
Veggasi l'una e l'altra.
S. 19a, v. 7.
Parla di Pietro d'Abano, tenuto per mago; il
quale, se allora fosse stato quivi, avrebbe armata qualche compagnia di demoni
in favore de' Modanesi.
S. 22a, v. 1.
Dicono che veramente costui fosse uno de'
favoriti d'Ezzelino, e alzato da lui a' primi gradi d'onore, d'uomo basso
ch'egli era.
S. 25a, v. 2.
La donna di Cipada è Mantova, illustrata
dai versi di Vergilio, come Cipada da quei di Merlino poeta sepolto nella terra
di Campese con famosa sepoltura fabbricatagli dal padre don Angelo Grillo,
poeta famoso anch'egli, e principalissimo soggetto della religione benedettina.
S. 26a, v. 6.
Le galline di Polverara e la razza loro e famosa
per tutta Italia.
S. 28a. v. 7.
In quelle parti, quando si vuol significare
qualche aiuto fuora di tempo e tardo, si dice il soccorso di Paluello, come
in Toscana il soccorso di Pisa.
S. 30a, v. 3.
È opinione che Tito Livio istorico fosse
da Teolo.
S. 32a, v. 3.
Quivi dicono che Antenore fondasse la sua prima
città chiamata Urbs euganea, che poi è stato corrotto
dagl'idioti in Brusegana.
S. 33a, v. 7.
La pelle della gatta del Petrarca s'è conservata
fino a' tempi nostri, e continuamente viene illustrata dai versi e dai
componimenti de' begli ingegni.
S. 36a, v. 1.
Descrive l'arciprete Gualdi amico suo.
S. 37a, v. 5.
Le rime burlesche in lingua padovana di Menone e
Begotto sono assai note in tutto lo stato veneto.
S. 41a, v. 7.
Non erano veramente ancora signori di Rodi i
cavalieri di san Giovanni, ma furono poco dopo: e 'l poeta parla secondo quello
che fu poi.
S. 47a, v. 1.
Il poeta fu poco amico d'Omero, e
disprezzò le sue invenzioni come rozze e di cattivo costume: nondimeno,
per mostrare -che conobbe il buono e'l cattivo di quel poeta, introduce questo
cieco a cantare all'omerica.
S. 51a, v. 4.
Le compagne mirò ecc. Cosí
è stampato in tutte le copie: nondimeno il testo manuscritto di mano del
poeta dice Le campagne e non Le compagne; e cosí dev'essere
scritto e stampato, non ostante che anche si possa intendere che Le compagne
significhi le stelle compagne della Luna. Ma il poeta vuol significare che
la Luna mirò in terra, e non in cielo.
S. 57a, v. 1.
Finge il poeta ch'Endimione donasse a Diana una
benda bianca che portava armacollo fregiata di perle, per adornare il dono che
finsero i poeti antichi esserle stato donato da quel pastore, e per mostrar che
le femmine, comunque innamorate, sempre vogliono qualche cosa dall'amante.
S. 65a, v. 7.
Gli anacronismi, quando sono lontanissimi e
cadono opportunamente come questo, parturiscono anch'essi il ridiculo.
S. 68a, v. 4.
I poveri d'una famiglia hanno sempre per grazia
che i ricchi gli vogliano riconoscere per parenti: perciò che la
povertà è un argomento di demerito, e per questo i poveri sono
sprezzati.
S. 71a, v. 8.
Vedi Livio, ché '1 poeta sta su 1'istoria.
CANTO NONO
ARGOMENTO.
Questo canto par avere poco del comico, e
nondimeno tutto è comico: perciò che tien sospeso l'uditore sino
al fine; poi in aspettazione di cosa grave e seria finisce in un ridicolo.
S. 8a, v. 2.
Vedi l'Ariosto.
S. 10a, v. 1.
Questi è Galeotto figliolo del signore
della Mirandola, di cui si favellò di sopra nel canto 111.
S. 12a,
v. 5
Questo è il lino asbestino, di cui favella
Plinio. Gli antichi ne filavano tele incombustibili, che, quando si voleano
imbiancare, si gittavano nel foco; ed erano stimate al pari delle gioie piú
preziose. Il cavalier Gualdi ne ha mostra in Roma tra le sue curiose
anticaglie. È pietra venata con certa lanugine per le vene,simile
all'allume di piuma che non si consuma nel foco. Ma la maniera di filar tal materia
noi non l'abbiamo, benché forse non mancherebbe l'industria quando se ne
trovasse quantità sufficiente e che ci fosse il premio. Tiglio e tiglioso
significa materia atta a filarsi.
S. 25a, v. 7.
Questo fu accidente vero, accaduto al signor
Ippolito Livizzani nel giostrar contra il conte Alfonso Molza in Modana.
S. 44a,
v. 1.
Qui si descrive il ritratto d'un zerbino
affettato romanesco, nato di casa nuova, arricchito per strada obliqua, che fa
del cavalierazzo e del bravo mentre conosce d'aver a fare con persona inferiore
e di poco polso.
S. 58a, vv. 6-8.
Questi versi dicevano prima cosí:
. . onde a
veder correa
la fiorentina
e perugina gente,
tratta da
natural impeto ardente.
Ma i vizii quanto piú si diffondono nel generale,
tanto meno offendono i particolari; e però fu mutato.
S. 67a, v. 2.
La pantera è bellissimo animale; ma dicono
che sia d'animo molto vile.
S. 72a, v. 5.
Le prodezze di don Chisotto della Mancia cavalier
errante impazzito sono note per l'istorie delle sue geste.
S. 76a, v. 1.
Gli Aigoni e i Grisolfi erano in quel tempo capi
delle fazioni. I Grisolfi erano imperiali, e avevano cacciati gli Aigoni
eh'erano ecclesiastici e guelfi: oggidí si chiamano gl'Ingoni, e ce ne sono
pochi; ma i Grisolfi sono annullati.
S. 76a, v. 3.
È fama che nel monte di Vallestra sia un
tesoro guardato dai diavoli; però il poeta si serve dell' opinione del
vulgo a formare questo episodio.
S. 80a, v. 5.
Per questo fu finto che quando Tognone
cambiò lancia non cadesse, perché aveva la lancia incantata, e Melindo
non l'avea.
S. 81a, v. 5.
Il maggior segno di codardia è insuperbire
e fare il bravo con le genti che non possono competere. Vedi appresso il
Boccaccio le prove che faceva maestro Simone quand' era scolare.
CANTO DECIMO
S. 7a, v. 1.
In quel tempo s'usava questa lingua, come si
può vedere dalle storie e dai versi de' litterati che fiorivano allora,
assai rozzi. Ma qui il poeta picca coloro che oggidí chiamano questa 1a lingua
del buon secolo, e la vorrebbero rimettere in uso; mostrando loro come
riuscirebbe alla prova. Le cose cadute dall'uso è vanità il
volerle sostentare. Il sale della satira è il condimento della comedia.
Ma il poeta sfuggí di chiamare questa sua invenzione nuova di poetare eroisatiricomica,
sapendo quanto il nome di satira sia odioso in questi tempi e sospetto .a
quelli particolarmente che dominano.
S. 10a, v. 8.
Chiama gran re dell'oceano il re Cattolico per lo
vasto dominio ch'egli ha nell'oceano, che è dominato da lui dalle
colonne d'Ercole fin sotto il polo antartico: onde a riguardo del mare il sole
nasce e tramonta ne' regni suoi.
S. 23a, v. 1.
Chiama Venere moro Libecchio, perché nasce
in Mauritania il chiama cane, perché quivi i popoli vivono senza
politica, e il chiama senza fede, perché gli africani hanno sempre avuto
per uso il mancar di fede.
S. 24a, v. 3.
Della prigionia di Corradino di Svevia seguita ad
Astura per tradimento del signore di quella terra leggi il Villani: e veramente
quella terra oggidi è distrutta e tutto il territorio è diserto,
che pare appunto vendetta celeste.
S. 26a, v. 8.
Chiama dea del mare Venere, perché nacque dal
mare, e reina del mare la città di Napoli perché domina tutto quel mare.
S. 27a, v. 3.
Manfredi principe di Taranto e poi re di Napoli
fu veramente innamorato della contessa di Caserta sua sorella. Veggansi
l'istorie di Napoli e le lettere di Paulo Manuzio ove porta uno squarcio di
questa istoria.
Qui alcuni hanno richiesto perché il poeta non
séguiti a narrare quel che facesse Manfredi per liberare il fratello dalle mani
de' Bolognesi. E non s'avveggono che il poeta finisce la favola della Secchia
alla quale è obbligato, e che questa è un'altra istoria, e che
seguíta la pace, il lettore dee imaginarsi o che Manfredi non facesse altro o
che cominciasse un'altra guerra da sé. Neanco il Tasso descrive ciò che
avvenisse d'Armida e d'Erminia dopo la presa di Gerusalemme, perché erano cose
fuora della favola proposta da lui.
S. 36a, v. 2.
Napoletanamente.
S. 42a, v. 7.
Versi romaneschi.
S. 53a, v. 7.
Questa è quella sorta di ridicolo che
propriamente vien chiamata da Aristotile nella Poetica: Turpitudo sine
dolore, che fa nascere il riso dalle azioni: ma del riso che nasce dalle
parole non ne favellò Aristotile.
S. 60a,
v. 7.
Questi versi
dicevano prima cosí:
né
distinguendo ben dal fico il pesco,
scusavanlo
col dir: gli è romanesco.
Ma fu giudicato troppo satirico e fu corretto.
S. 74a, v. 1.
Cava il ridicolo dalla cattiva pronuncia
romanesca, come di sopra a ottave 42. Ma qui è contrasegno d'un
personaggio noto in Roma.
S. 74a, v. 3.
Questo fu veramente fiscal di Modana, ma ne'
tempi piú moderni, e scontrando una volta certi banditi, si cacò ne'
calzoni di paura: ma essi nol conobbero e 'l lasciarono andare cosí merdoso:
che se l'avessero conosciuto, guai a lui. — È nondimeno da avvertire che
questa di Titta, come ho detto, fu veramente azione d'un romanesco; il quale
vantandosi d'esser parente del papa, non voleva esser condotto prigione in
Torre di Nona, ma in Castello Sant' Angelo.
CANTO
UNDECIMO
S. 1a, v. 4.
La favola d'Atteone convertito in cervo da Diana
è notissima a tutti
S. 4a, v. 8.
I duellisti sfuggono quanto possono il tirarsi
addosso le mentite per non divenire attori.
S. 6a, v. 5.
Diceva prima poco dianzi. Ma l'autore l'ha
mutato per isfuggire le dispute. Perciò che dianzi vuol dire poco
prima, e alcuni tengono che sia un reiterar lo stesso. Con tutto ciò
l'autore tiene che si possa reiterar l'istesso per significare un tempo assai
prossimo, e dire poco poco prima e per conseguenza poco dianzi. Il
Petrarca disse par dianzi, che fu quasi il medesimo.
S. 8a, v. 8.
Con certe buone coltellate levò
l'insolenza a un cocchiero di Roma, che è una dell'eroiche azioni che si
possano contare in quella corte, dove l'insolenza de' cocchieri, de' birri, de'
barilari e de' carrattieri non può esser rappresentata con alcun superlativo.
S. 14a, v. 7.
I visi che i pittori cavano dal naturale
dilettano sempre piú che gl'imaginati.
S. 17a, v. 1.
Alcuni s'hanno creduto che il poeta fingendo di
burlare dica da dovero.
S. 20a, v. 1.
Inventa tutti i mezzi che possano animare un cuor
vile.
S. 22a, v. 5.
Questo buon medico usa il rimedio che si suole
usare con gli cavalli barberi che corrono al palio; i quali, per animarli
maggiormente acciò che non abbiano da correre con timidità, si
sogliono abbeverar di buon vino. Gli spiriti riscaldati dal calor del vino non
istimano i pericoli o non gli conoscono.
S. 26a, v. 1.
Qui il conte poeteggia assai meglio che non fece
nell'altro canto, quando non avea bevuto: perciò che qui poeteggia
commosso da furor di vino, e là compone di suo natural talento. Ennio,
Orazio e Torquato Tasso non sapeano comporre, se prima non avevano ben bevuto:
e 'l Tasso in particulare soleva dire che la malvagia sola era quella che lo
faceva comporre perfettamente.
S. 32a, v. 1.
A' veri paladini della poltroneria non bastano i
rimorsi dell'onore, né la vergogna, né i rinfacciamenti degli amici, né
l'ingiurie de' nemici, né l'esortazioni de' confidenti, né gli stimoli della
dama, né il calore del vino; che finalmente vogliono anch'essere accompagnati
da cinquanta difensori.
S. 34a, v. 8.
Questa e la salmeria del conte portatagli dietro
in campo da un suo padrino parziale.
S. 41a, v. 1.
Nol poteva spedire a persona piú informata né piú
diligente di me.
S. 41a, v. 5.
Intende del cavalier Cassiano del Pozzo, del
principe Federico Cesi e del signor don Virginio Cesarini, famosi ingegni della
loro età, come altri ancora ne fanno fede.
S. 41a, v. 8.
Il poeta ha mutato marchese, perché il primo per
comparire in scena aveva promessi certi guanti d'ambra, che poi per esser cosa
odorosa andarono in fumo. E realmente il luogo meritava d'essere occupato da un
altro ingegno mirabile, come quello del marchese Sforza Pallavicino. E l'altro,
che stimava piú due paia di guanti che l'immortalità, meritava d'esser
levato da tappeto.
S. 44a, v. 7.
Gli animi vili, purché salvino la pancia, non si
curano di perder l'onore.
S. 46a, v. 3.
S'andò a mettere in casa d'un cardinale
suo paesano senza essere invitato, e convenne, volesse o no, ch'egli
1'alloggiasse; perciò che non bastarono né parole né fatti a farlo
uscire di quella casa.
S. 46a, v. 7.
Il manuscritto dice: A quel becco del Tarco un
marchesato. E veramente fu vero ch'egli da un principe greco si fece
investire d'un marchesato nelle provincie del Turco, e pagò il titolo,
chi dice una mano di scudi, e chi dice una dozzina di salami.
S. 51a, v. 4.
Alcuni interpretano costei per una certa
spagnuola detta Dogna Maria di Ghir, che stette un tempo in Roma
puttaneggiando, e mandò fallito questo eroe romanesco.
S. 57a, v. 1.
La flemma nel petto de' poltroni resiste alla
collera in maniera che prima che la collera si riscaldi ci bisognano dieci
guanciate. E veramente succedé un giorno che trovandosi il conte alla finestra,
e passando due spagnoli, uno con la spada e l'altro prete, ed essendo la strada
piena di sole, egli chiamando un suo uomo di casa, disse: Mira come questi
marrani godono d'andare al sole. Gli spagnoli l'intesero: e quel dalla spada
sopra la voce marrano gli diede una mentita e lo sfidò a venire a basso
a duello: ma egli ridendosi di lui rispose che aveva burlato e che a Roma non
si faceva quistione; e non si mosse dalla finestra, veggendo che l'uscio era
chiuso.
S. 60a, v. 2.
L'intacca di que' vizii ne'quali per l'ordinario
suole incorrere la plebe di Roma.
S. 61a, v. 3.
Si vituperò da se stesso: perché veramente
fu vero ch'egli accusò la moglie d'adulterio, e la fece metter prigione
insieme con l'adultero, ch'era persona assai vile.
CANTO
DUODECIMO
S. 1a, v. 4.
Il vero testo stampato in Parigi e 'l manuscritto
dell' autore dicono: E mandava indulgenze per gli altari, In Roma fu
corretto per non parer che si dileggiassero le azioni d'un papa e le sue
indulgenze: ma si guastò il ridicolo che cadeva a tempo.
S. 2a,
v. 2
Il cardinale Ottaviano degli Ubaldini era allora
vescovo di Bologna, e fu egli veramente quello che s' interpose, e che
trattò la pace.
S. 4a, v. 2.
Diceva prima con un poco piú di piccante: De
l'uno e l'altro esercito avocato.
S. 11a, v. 5.
Motteggia questi poeti, l'uno d'aver usato pietose
per pie e l'altro d'aver usato il legno santo per la croce,
facendo equivoco col legno d'lndia che guarisce il mal francese.
S. 16a, v. 3.
È trasportato da persona a persona:
perciò che non fu I'Ubaldino, ma un altro dell'istesso ordine, che ne'
prati di Solera andò un giorno dopo desinare a pigliar de' grilli.
S. 17a, v. 5.
Innocenzo Secondo era allor papa; ma non era
già egli nemico de' Modanesi; come parve che poi si mostrasse qualche
altro suo successore.
S. 18a, v. 4.
È un equivoco acuto.
S. 19a, v. 3.
Un quartaro tiene due barili, cioè
la quarta parte di una botte. I saghi sono una certa composizione che si
fa di mosto bollito con farina, e s'usa in molte città di Lombardia
cominciando a Bologna.
S. 26a,
v. 8.
Cosí fatte memorie sono veramente piuttosto fumo
di gloria che gloria vera; mentre che l'altre azioni non corrispondano.
S. 40a,
v. 8.
Ogn'anno veramente il giorno della festa di San
Bartolomeo i Bolognesi dalle finestre del palazzo del Legato gettano in piazza
un porcello cotto con altri diversi animali vivi; ma essi nondimeno dicono di
farlo per altro rispetto.
S. 51a,
v. 1.
Questo è cognome di famiglia antica di
Padova oggidí estinta.
S. 52a,
v. 7.
Parlano questi due ciascuno nel linguaggio suo
naturale, ma villanesco. Sorgo in padovano significa la saggina.
S. 68a,
v. 1.
Barisone da Vigonza fu il fondatore della
famiglia Barisoni di Padova.
S. 79a,
v. 8.
In Lombardia per Ogni Santi moltissime famiglie
sono solite di mangiare un'oca, massimamente gli artigiani e la plebe.
- FINE -