La Stampa 10-8-2011
Ciampi:
"A rischio il modello economico dell'Occidente"
L’ex presidente della Repubblica e
padre fondatore dell’euro:
"C’è un difetto di capacità governativa. Occorre un
ministro europeo dell’Economia"
ANTONELLA RAMPINO
ROMA
Ho visto che ancora oggi il buon Trichet ha fatto
un intervento, molto duro, contro i governi che non fanno quel che devono».
La voce del presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi è dolce e
colloquiale, ma suona nitida la preoccupazione. Che si allenta solo quando,
al telefono dalla consueta vacanza nelle Alpi attorno a Siusi, dice «anche Juncker è nelle montagne italiane, lo scrivono
adesso le agenzie di stampa». Non sfugge nulla, al Presidente emerito della
Repubblica italiana, della tempesta finanziaria senza precedenti che scuote
le due sponde dell’Atlantico. E che rischia di mettere a repentaglio l’euro
di cui, con Helmut Kohl, Ciampi è il padre.
Presidente, lei è stato il primo a parlare, anni fa, della «zoppia
grave e preoccupante» dell’Europa, ad avvertire che era pericolosa quella
mancanza di coordinamento nella politica economica e di sviluppo. Adesso
quella zoppia è diventata epocale, e zoppicano anche gli Stati Uniti,
il motore dell’economia occidentale...
«E’ vero, sono tutte mancanze emerse ormai da anni. Dalla creazione
dell’euro, si può ormai dire. Io dissi della zoppìa
come di una cosa ovvia, e lo dissi anche in Parlamento. I responsabili
politici che decisero l’istituzione dell’euro erano consapevoli che il sistema
avrebbe avuto stabilità solo se accompagnato dalla costituzione di un
centro di governo di politica economica. Invece, alla creazione di una moneta
unica europea impostata come moneta di uno Stato federale si è
risposto addirittura con la mancanza di collaborazione sul piano economico da
parte degli Stati».
E’ a rischio il modello economico dell’Occidente, il capitalismo?
«E’ un pericolo che esiste».
E’ troppo tardi per rimediare?
«Troppo tardi è solo il titolo di un vecchio romanzo. Ma certo la crisi
viene da lontano. All’inizio, nel 2008, sembrava interessare solo gli Stati
Uniti. E invece si è progressivamente estesa all’intero sistema
finanziario internazionale e alle economie della maggior parte dei Paesi
industrializzati. E nonostante i numerosi interventi, né gli Stati Uniti né
l’Eurozona riescono a superare quella che è la più grave fase
di recessione dalla fine della Seconda guerra mondiale. La più grave
per intensità, per durata, per gli effetti sulle politiche economiche
e sociali, e per la tenuta dei governi di fronte alla difficoltà di
definire strategie operative in grado di invertire l’andamento ciclico
negativo».
Eppure, per quel che riguarda l’Italia, la Bce ha indicato all’Italia
misure immediate. Ma Roma deve meritarsi quell’intervento di Francoforte a
sostegno del debito pubblico?
«Mi pare che prima di ottenere gli aiuti dagli altri occorra anzitutto
aiutarsi da sé».
Ma non è inusuale, pur se consona alla gravità della
situazione, la lettera di «consigli» che Trichet e
Draghi hanno inviato al governo italiano?
«Francamente, non so. Non si parla di ciò che non si conosce, e io la
lettera non l’ho letta, ho solo visto lanci d’agenzia di stampa e articoli di
giornale. Ma Trichet ha anche invitato gli Stati a
creare un fondo di stabilizzazione, l’ha fatto duramente, e ha fatto bene».
E i governi d’Europa recalcitrano...
«Il punto è che davanti a una situazione di crisi epocale,
strutturale, mancano provvedimenti strutturali. C’è un evidente
scompenso tra diagnosi e terapia. E bisognava muoversi prima, rimediare a
quella zoppìa. Ero convinto che una nuova
generazione di governanti considerasse l’Europa come riferimento naturale, e
che conseguentemente venissero adottate politiche istituzionali, economiche,
sociali dirette a rafforzare l’Unione, nella consapevolezza che solo
un’Europa più coesa e prospera può salvaguardare se stessa e le
nazioni che la compongono. E invece alcuni Paesi hanno creduto che la
soluzione di problemi antichi potesse essere realizzata trasferendone, sia
pure in parte, il costo sugli altri Paesi. Hanno temuto di dover condividere
con altri il benessere ottenuto grazie all’operosità e
all’ingegnosità dei propri cittadini».
Ce l’ha anche lei con Angela Merkel,
recalcitrante ad aiutare Grecia e Italia e che, secondo alcune indiscrezioni
della stampa tedesca, ha provocato così la delusione di Helmut Kohl?
«C’è un difetto di capacità governativa. Chi più chi
meno, magari un po’ meno il governante tedesco e di più l’italiano o
lo spagnolo, ma hanno tutti mancato. E continuano a mancare. Lo si vede bene
nell’emergenza, ma è un atteggiamento che viene da lontano. Governanti
non lungimiranti che hanno assecondato timori, egoismi e populismi, spegnendo
la spinta ideale di Adenauer, Monnet,
De Gasperi, e poi di Schmidt, Mitterrand, Delors e Kohl. Helmut Kohl aveva le
idee chiare, e modi di intervento adeguati e decisi. Fummo noi, insieme, a
permettere il decollo della moneta unica e dell’Europa quando si
trattò di fare l’euro».
Lo decideste in una storica conversazione del 1993, e senza pensare al
consenso immediato, guardando con lungimiranza al futuro dell’Europa. Lo sa
che c’è chi sostiene che se in questa crisi l’euro saltasse in fondo
l’Italia starebbe meglio?
«Di stupidi ce n’è tanti. Stupidi, intendo, perché non competenti.
Torniamo agli Stati nazionali? Benissimo, vediamo se si vive meglio o peggio,
vediamo tra le singole nazioni quali ce la fanno e quali no... Ma è la
zoppìa dell’Eurozona, la mancata
realizzazione di un centro di governo della politica economica di tutta
l’area dell’euro ad aver provocato la crisi di Irlanda, Grecia, Portogallo,
Spagna e Italia. E’ quello il punto da affrontare. E subito».
Serve un ministro dell’Economia europeo?
«Lo si chiami come si vuole, ma occorre un coordinamento della politica economica
dell’Eurozona. Dobbiamo ricordarci sempre che se abbiamo un’Europa di pace
è perché abbiamo un’Europa unita. L’Europa divisa, l’Europa della mia
generazione, è un continente di guerre. Sono nato alla fine della
Prima guerra mondiale e avevo vent’anni quando è scoppiata la Seconda.
Non lo posso, e non lo voglio dimenticare. Le guerre non si combattono solo
con le armi. Abbiamo fatto l’euro perché abbiamo vissuto la tragedia della
guerra, ma anche la contrapposizione ideologica e militare che seguì, e
che divideva gli Stati e i popoli».
Oggi tuttavia l’euro è a rischio. Quali sono i suoi consigli?
«A 91 anni, vivo ormai da lungo tempo lontano dalle decisioni operative. I
governi e l’Europa decideranno. Ma di certo, in Europa come negli Stati
Uniti, occorrerà ragionare con mente fredda e operare. Mai pensando al
consenso politico immediato».
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