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NE IRROGANTO Documento
inserito il: 3-1-2013 |
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Il Sole
24 Ore 3-12-2012 La montagna
del debito resta intatta Di Luigi Zingales Winston Churchill amava dire che si può essere
sicuri che gli americani facciano sempre la cosa giusta, ma solo dopo aver
sperimentato ogni possibile alternativa. L'accordo fiscale per evitare il
famigerato fiscal cliff raggiunto ieri dal
Congresso Usa è stato sicuramente conseguito dopo aver esplorato ogni
possibile alternativa. Ma è la cosa giusta? Se l'obiettivo era di evitare che
la debole ripresa americana si arresti subito, sì. Se invece era quello di
risolvere i problemi strutturali della finanza pubblica, purtroppo la
risposta è no. A dispetto del nome, il precipizio fiscale
evitato non era il rischio di insolvenza per il governo americano, ma un
forte aumento delle imposte accompagnato da forti tagli di spese. In Europa
lo chiameremmo "fiscal compact". Era il risultato della fine dei
tagli temporanei alle imposte introdotti da Bush nel 2001 e rinnovati da
Obama nel 2010 e di tagli automatici delle spese, concordati dai repubblicani
nell'estate del 2011 in cambio di un innalzamento del tetto sul debito. Il
precipizio in cui l'America sarebbe caduta altro non era che la recessione
che si accompagna ad ogni stretta fiscale (vedi Italia 2012). Visto che sia
repubblicani che democratici volevano evitare questo rischio, perché tanto
dramma? Perché gli Stati Uniti non devono solo ripianare
il loro deficit (che rimane al 7% del Pil), ma
anche prepararsi a fronteggiare il problema strutturale che affligge tutte le
democrazie occidentali: l'insostenibilità fiscale dell'attuale modello di
welfare. Finora questo sistema era stato finanziato trasferendo una parte
rilevante del costo sulle generazioni future. In un mondo in forte crescita
economica e demografica, il peso imposto sulle generazioni future era minimo
perché costoro erano più ricche e numerose. Purtroppo la riduzione dei tassi medi di crescita
e il crollo demografico non solo rendono impossibile questo trasferimento (le
generazioni future sono meno numerose e non necessariamente più ricche), ma
forzano la generazione presente a cominciare a pagare il debito contratto da
quelle passate. In parole povere questo significa che per far
quadrare i conti bisogna cominciare a ridurre i costi di alcuni "entitlement" o, come diremmo noi impropriamente,
diritti acquisiti: assistenza sanitaria agli anziani (Medicare) e pensioni.
Anche prima della riforma Obama, gli ultra65enni americani godevano di
assistenza statale gratuita. Con la riduzione delle nascite che aumenta l'età
media della popolazione, l'allungamento della vita media, e il progredire
della scienza medica in grado di fare miracoli ma a costi molto elevati, dare
a tutti tutta l'assistenza medica possibile non è sostenibile. Già oggi
(secondo le stime dell'Urban institute) il tipico
lavoratore che guadagna 35mila dollari l'anno nel corso della sua vita riceve
210mila dollari più di quello che contribuisce a Medicare. Se poi è sposato e
la moglie non lavora il beneficio netto raddoppia. Lo stesso vale per le
pensioni. Nel corso della sua vita il tipico lavoratore riceve benefici
pensionistici 200mila dollari in più di quello che paga. Chiaramente non è
possibile risolvere questa situazione solo tassando di più i ricchi: anche
negli Stati Uniti non ce ne sono abbastanza. Bisogna ridurre i benefici
promessi. Ma politicamente qualsiasi riduzione degli entitlement è molto costosa. In Italia lo abbiamo fatto
sotto minaccia dello spread. In America, che non ha problemi di spread, il
sistema politico ha cercato di creare artificialmente una crisi (il fiscal cliff) per forzare entrambi i partiti a delle scelte
politicamente costose. Purtroppo, invece di sedersi intorno a un tavolo e
cercare un accordo sostanziale, democratici e repubblicani hanno preferito
continuare con la loro retorica elettorale. I democratici chiedendo che a
pagare il conto siano solo i ricchi. I repubblicani opponendosi a qualsiasi
aumento di imposte. Alla fine sul fronte imposte hanno raggiunto un
compromesso ragionevole: aumenteranno le tasse solo per quelli che guadagnano
più di 400mila dollari individualmente o 450mila come famiglia (negli Stati
Uniti esiste il cumulo dei redditi tra marito e moglie), ovvero meno dell'1%
della popolazione. Non altrettanto è stato fatto per i tagli di
spesa. Alcuni deputati repubblicani hanno cercato di far passare alla Camera
una proposta che includesse anche dei tagli, ma non sono riusciti a trovare
un accordo neppure tra di loro. Per questo il problema dei tagli automatici
di spesa è stato rimandato a un dibattito a fine mese. Come è stata rimandata
la discussione sull'innalzamento del tetto di debito, che creerà tra poco un
nuovo fiscal cliff, questa volta più pericoloso
perché se non si innalza il tetto del debito, il governo americano diventa
insolvente. In altri termini, nonostante l'euforia delle Borse non c'è nulla
da celebrare. Il fiscal cliff non ha funzionato nel
costringere i partiti a decisioni politicamente difficili. Hanno fatto quello
che riescono a fare meglio: rimandare la decisione. Lo avevano fatto a luglio
2011 e lo rifaranno a fine mese quando il fiscal cliff
si riproporrà. Più gli Stati Uniti tardano a intervenire su questi entitlement, più costoso sarà farlo. Lentamente, ma
inesorabilmente, l'America sta sprofondando nel precipizio vero, da cui non
si riesce ad emergere con un semplice accordo la notte di Capodanno. Noi ne
sappiamo qualcosa. |
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