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Il
Sole 24 Ore 21-4-2012 La grande beffa delle regole
di
Alesssandro Plateroti -
Chi specula sull'Italia? Bankamerica
e Morgan Stanley guadagnano con i derivati di BTp e
Bonos di Mara Monti
Sui mercati finanziari, la
differenza tra un bravo e un cattivo trader si misura prima di tutto sulla
velocità di reazione: dal «timing», cioè dalla
tempestività delle decisioni, dipende non solo il successo di
un'operazione, ma anche quello della carriera. «Se si applicasse questa
regola anche ai politici o ai regolatori del mercato - ironizza un vecchio
banchiere di investimento - sarebbero in pochi a superare il primo esame». L'autocritica, verrebbe da
rispondere, non è certamente la qualità dei banchieri. Ma
davanti al ritardo con cui politica e regolatori stanno rispondendo ai
problemi, ai rischi sistemici e alle distorsioni emerse sui mercati
finanziari dopo la crisi dei mutui e il crack di Lehman Brothers
è davvero difficile dargli torto. Poco o niente di quanto era
stato deciso dal G20, dalle autorità di vigilanza e dai governi di
Europa, Stati Uniti e Asia per evitare gli eccessi speculativi e i rischi
sistemici, si è infatti tradotto in regole condivise e di efficacia
immediata. Soprattutto in Europa, le norme approvate dal legislatore sul
controllo dei titoli derivati, sulla trasparenza degli intermediari e delle
operazioni, sulla riduzione dei rischi sistemici e sulla protezione del
risparmio e del debito sovrano dagli attacchi speculativi, sono ancora in
attesa dei regolamenti di attuazione necessari per renderli pienamente
operativi. Senza regolamenti, il mercato continua ad agire come un far west. Prendiamo il caso delle
banche americane e del loro comportamento speculativo nei confronti dei
titoli di Stato europei: ebbene, se le nuove norme approvate dal Parlamento
europeo sulla vendita allo scoperto dei Credit default swap sui titoli
sovrani avessero già dei regolamenti attuativi, Morgan Stanley e le
altre banche Usa non avrebbero potuto speculare su Bonos
e BTp. Per avere quei regolamenti bisognerà
attendere ancora a lungo: alla luce del ritardo nelle consultazioni,
l'obiettivo di fine 2012, sostengono già gli operatori, non
potrà mai essere rispettato. E così la bolla torna
a gonfiarsi: i derivati finanziari Over the counter
(Otc), cioè quelli negoziati fuori dai
mercati regolamentati e tenuti fuori bilancio, nel primo semestre del 2011
sono aumentati in modo stratosferico. Il valore nozionale totale ha raggiunto
708 trilioni di dollari con un aumento del 18% rispetto ai livelli calcolati
a fine dicembre 2010! In sei mesi, quindi, le operazioni in derivati sono
aumentate di 107 trilioni, cioè di 107.000 miliardi di dollari: invece
di mettere un freno al mercato, sono stati superati tutti i record. E si
ricordi che alla vigilia della grande crisi, a giugno 2008, il totale Otc aveva raggiunto la vetta di 673 trilioni di dollari. La Bri
rivela che l'esplosione dei contratti Otc è
determinata quasi totalmente dalla crescita dei derivati accesi sul rischio
dei tassi di interesse. Da soli, essi coprono 554 trilioni. In questo campo
le operazioni sono aumentate del 19% in 6 mesi. Un altro aspetto preoccupante
è che la maggior parte dei contratti ha una scadenza sempre più
breve. Quelli con scadenza oltre i 5 anni si sono ridotti del 6%,
assestandosi intorno a 130 trilioni di dollari, mentre quelli con scadenza a
meno di un anno sono aumentati del 30% raggiungendo i 247 trilioni di
dollari. Ciò è sintomo
di alta instabilità e di grande volatilità che, nel momento in
cui gli Otc entrassero in fibrillazione, potrebbero
provocare un devastante «effetto tsunami» soprattutto sulle economie
più deboli. Chi specula sull'Italia?
Bankamerica e Morgan Stanley
guadagnano con i derivati di BTp e Bonos
di Mara Monti
Chi guadagna
sulla crisi italiana (Bloomberg) Ridurre l'esposizione verso i
Paesi periferici europei. Vendere i titoli del debito pubblico di Italia,
Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda è stata la missione delle
principali banche americane sui mercati europei negli ultimi mesi. È
quanto sta emergendo dai bilanci del primo trimestre dei colossi bancari
statunitensi che stanno alzando il velo sulla loro operatività nei
mesi più difficili per l'Europa quando persino l'esistenza dell'euro
veniva messa in discussione. Dal bilancio trimestrale di
Morgan Stanley, ad esempio, emerge che nei primi tre mesi del 2012 l'istituto
americano ha ridotto del 21% la sua esposizione verso i Paesi europei più
indebitati portandola a 2,4 miliardi di dollari da 3,06 miliardi di gennaio,
con una riduzione di 618 milioni di dollari. Una posizione che si è
andata accentuando con il passare delle settimane dal momento che a fine
dicembre l'esposizione netta verso i Paesi a rischio debito sovrano era di
6,44 miliardi di dollari di cui 4,9 miliardi di dollari soltanto verso
l'Italia. A contribuire a ridurre
l'esposizione verso Italia è stata la chiusura lo scorso 3 gennaio di
un contratto derivato da 3,4 miliardi di dollari. La riduzione ha riguardato
tutti i principali Paesi che hanno sofferto in questi mesi, ad eccezione
della Francia dove invece l'esposizione è stata aumentata a 4,14
miliardi da 1,71 miliardi di fine dicembre. In più, Morgan risulta
avere venduto un miliardo di Cds, contatti
assicurativi contro il rischio default dei titoli governativi, per lo
più dell'Italia e della Spagna. Il campanello d'allarme sul
rischio Europa sarebbe scattato alla luce del crollo del 41% dei prezzi delle
azioni della banca nel terzo trimestre del 2011 quando i timori del
peggioramento della situazione finanziaria dei Paesi europei aveva messo
sotto pressione l'istituto. Lo stesso ha fatto Bank
of America che, come risulta dal bilancio, ha ridotto l'esposizione totale
verso Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo e Spagna portandola a 9,8 miliardi
di fine marzo da 11,5 miliardi di dollari registrato a fine marzo 2012 e 10,3
miliardi di fine dicembre. Dunque da quanto sta
emergendo, alla fine del primo trimestre le principali banche americane si
erano posizionate per guadagnare se i titoli di debito pubblico del gruppo
dei Pigs si svalutavano, scommettendo quindi sul
peggioramento delle condizioni economiche dei Paesi europei in posizione
più debole. Giocare contro il Portogallo, ad esempio, vuol dire fare
crollare i prezzi dei titoli pubblici del Paese, ma allo stesso tempo
aumentarne i rendimenti. A quel punto entrano in campo i trader delle grandi
banche che comprano a prezzi ribassati per poi rivendere gli stessi titoli
quando i loro valori risalgono lucrando sul valore. Un gioco semplice se gli
operatori in campo sono di dimensioni tali da riuscire a muovere il mercato.
Chi compra in queste condizioni? Se i rendimenti salgono, i primi ad essere
interessati sono gli investitori istituzionali come i fondi pensione e le
società di gestione che possono detenere in portafoglio i titoli fino
alla scadenza. Nel frattempo le banche si
alleggerivano dei titoli governativi in portafoglio guadagnando sulle
attività di trading. Nel caso dell'Italia, non è chiaro come le
banche potessero conciliare questa operatività con la loro posizione
di specialist del Tesoro italiano nel collocamento
dei titoli pubblici in asta: sono 20 le banche, per lo più estere, che
devono garantire un'operatività del 3% l'anno sul mercato primario e
su quello secondario, assicurando prezzi e quantitativi. Ma in quei giorni
caldi tutte queste garanzie erano venute meno e la mano invisibile del
mercato ha fatto il resto. |