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DOCUMENTO INSERITO IL  21-4-2012

 

 

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Il Sole 24 Ore 21-4-2012

 

La grande beffa delle regole

 

-      Chi specula sull'Italia? Bankamerica e Morgan Stanley guadagnano con i derivati di BTp e Bonos di Mara Monti

 

 

Sui mercati finanziari, la differenza tra un bravo e un cattivo trader si misura prima di tutto sulla velocità di reazione: dal «timing», cioè dalla tempestività delle decisioni, dipende non solo il successo di un'operazione, ma anche quello della carriera. «Se si applicasse questa regola anche ai politici o ai regolatori del mercato - ironizza un vecchio banchiere di investimento - sarebbero in pochi a superare il primo esame».

L'autocritica, verrebbe da rispondere, non è certamente la qualità dei banchieri. Ma davanti al ritardo con cui politica e regolatori stanno rispondendo ai problemi, ai rischi sistemici e alle distorsioni emerse sui mercati finanziari dopo la crisi dei mutui e il crack di Lehman Brothers è davvero difficile dargli torto.

Poco o niente di quanto era stato deciso dal G20, dalle autorità di vigilanza e dai governi di Europa, Stati Uniti e Asia per evitare gli eccessi speculativi e i rischi sistemici, si è infatti tradotto in regole condivise e di efficacia immediata. Soprattutto in Europa, le norme approvate dal legislatore sul controllo dei titoli derivati, sulla trasparenza degli intermediari e delle operazioni, sulla riduzione dei rischi sistemici e sulla protezione del risparmio e del debito sovrano dagli attacchi speculativi, sono ancora in attesa dei regolamenti di attuazione necessari per renderli pienamente operativi. Senza regolamenti, il mercato continua ad agire come un far west.

Prendiamo il caso delle banche americane e del loro comportamento speculativo nei confronti dei titoli di Stato europei: ebbene, se le nuove norme approvate dal Parlamento europeo sulla vendita allo scoperto dei Credit default swap sui titoli sovrani avessero già dei regolamenti attuativi, Morgan Stanley e le altre banche Usa non avrebbero potuto speculare su Bonos e BTp. Per avere quei regolamenti bisognerà attendere ancora a lungo: alla luce del ritardo nelle consultazioni, l'obiettivo di fine 2012, sostengono già gli operatori, non potrà mai essere rispettato.

E così la bolla torna a gonfiarsi: i derivati finanziari Over the counter (Otc), cioè quelli negoziati fuori dai mercati regolamentati e tenuti fuori bilancio, nel primo semestre del 2011 sono aumentati in modo stratosferico. Il valore nozionale totale ha raggiunto 708 trilioni di dollari con un aumento del 18% rispetto ai livelli calcolati a fine dicembre 2010! In sei mesi, quindi, le operazioni in derivati sono aumentate di 107 trilioni, cioè di 107.000 miliardi di dollari: invece di mettere un freno al mercato, sono stati superati tutti i record. E si ricordi che alla vigilia della grande crisi, a giugno 2008, il totale Otc aveva raggiunto la vetta di 673 trilioni di dollari.

La Bri rivela che l'esplosione dei contratti Otc è determinata quasi totalmente dalla crescita dei derivati accesi sul rischio dei tassi di interesse. Da soli, essi coprono 554 trilioni. In questo campo le operazioni sono aumentate del 19% in 6 mesi. Un altro aspetto preoccupante è che la maggior parte dei contratti ha una scadenza sempre più breve. Quelli con scadenza oltre i 5 anni si sono ridotti del 6%, assestandosi intorno a 130 trilioni di dollari, mentre quelli con scadenza a meno di un anno sono aumentati del 30% raggiungendo i 247 trilioni di dollari.

Ciò è sintomo di alta instabilità e di grande volatilità che, nel momento in cui gli Otc entrassero in fibrillazione, potrebbero provocare un devastante «effetto tsunami» soprattutto sulle economie più deboli.
È chiaro che questa nuova ondata speculativa - e il ritardo nelle regole - è una manna per gli operatori e gli speculatori della City e di Wall Street. Che nel ritardo delle regole, hanno accelerato il loro processo di concentrazione e di controllo del potere finanziario. Se nel 2009 le cinque maggiori banche americane detenevano l'80% di tutti i derivati emessi negli Usa, oggi 4 banche (JP Morgan Chase, Citigroup, Bank of America e Goldman Sachs, ne detengono il 94% del totale).
Davanti a queste cifre, è chiaro quanto sia necessario per l'Italia e per l'Europa non solo adottare con celerità le decisioni di propria competenza, ma anche soprattutto di giocare un ruolo più attivo in sede di G20. Dove, purtroppo, finora non si è mai deciso nulla di realmente efficace contro lo strapotere e gli abusi del sistema finanziario.


 

Chi specula sull'Italia?

Bankamerica e Morgan Stanley guadagnano con i derivati di BTp e Bonos

di Mara Monti

Chi guadagna sulla crisi italiana (Bloomberg)

Ridurre l'esposizione verso i Paesi periferici europei. Vendere i titoli del debito pubblico di Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda è stata la missione delle principali banche americane sui mercati europei negli ultimi mesi. È quanto sta emergendo dai bilanci del primo trimestre dei colossi bancari statunitensi che stanno alzando il velo sulla loro operatività nei mesi più difficili per l'Europa quando persino l'esistenza dell'euro veniva messa in discussione.

Dal bilancio trimestrale di Morgan Stanley, ad esempio, emerge che nei primi tre mesi del 2012 l'istituto americano ha ridotto del 21% la sua esposizione verso i Paesi europei più indebitati portandola a 2,4 miliardi di dollari da 3,06 miliardi di gennaio, con una riduzione di 618 milioni di dollari. Una posizione che si è andata accentuando con il passare delle settimane dal momento che a fine dicembre l'esposizione netta verso i Paesi a rischio debito sovrano era di 6,44 miliardi di dollari di cui 4,9 miliardi di dollari soltanto verso l'Italia.

A contribuire a ridurre l'esposizione verso Italia è stata la chiusura lo scorso 3 gennaio di un contratto derivato da 3,4 miliardi di dollari. La riduzione ha riguardato tutti i principali Paesi che hanno sofferto in questi mesi, ad eccezione della Francia dove invece l'esposizione è stata aumentata a 4,14 miliardi da 1,71 miliardi di fine dicembre. In più, Morgan risulta avere venduto un miliardo di Cds, contatti assicurativi contro il rischio default dei titoli governativi, per lo più dell'Italia e della Spagna.

Il campanello d'allarme sul rischio Europa sarebbe scattato alla luce del crollo del 41% dei prezzi delle azioni della banca nel terzo trimestre del 2011 quando i timori del peggioramento della situazione finanziaria dei Paesi europei aveva messo sotto pressione l'istituto. Lo stesso ha fatto Bank of America che, come risulta dal bilancio, ha ridotto l'esposizione totale verso Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo e Spagna portandola a 9,8 miliardi di fine marzo da 11,5 miliardi di dollari registrato a fine marzo 2012 e 10,3 miliardi di fine dicembre.

Dunque da quanto sta emergendo, alla fine del primo trimestre le principali banche americane si erano posizionate per guadagnare se i titoli di debito pubblico del gruppo dei Pigs si svalutavano, scommettendo quindi sul peggioramento delle condizioni economiche dei Paesi europei in posizione più debole. Giocare contro il Portogallo, ad esempio, vuol dire fare crollare i prezzi dei titoli pubblici del Paese, ma allo stesso tempo aumentarne i rendimenti. A quel punto entrano in campo i trader delle grandi banche che comprano a prezzi ribassati per poi rivendere gli stessi titoli quando i loro valori risalgono lucrando sul valore. Un gioco semplice se gli operatori in campo sono di dimensioni tali da riuscire a muovere il mercato. Chi compra in queste condizioni? Se i rendimenti salgono, i primi ad essere interessati sono gli investitori istituzionali come i fondi pensione e le società di gestione che possono detenere in portafoglio i titoli fino alla scadenza.

Nel frattempo le banche si alleggerivano dei titoli governativi in portafoglio guadagnando sulle attività di trading. Nel caso dell'Italia, non è chiaro come le banche potessero conciliare questa operatività con la loro posizione di specialist del Tesoro italiano nel collocamento dei titoli pubblici in asta: sono 20 le banche, per lo più estere, che devono garantire un'operatività del 3% l'anno sul mercato primario e su quello secondario, assicurando prezzi e quantitativi. Ma in quei giorni caldi tutte queste garanzie erano venute meno e la mano invisibile del mercato ha fatto il resto.