Il Sole 24 Ore 18-4-2008
Frodi alla Ue, in arrivo una sanzione miliardaria
di Claudio Gatti
I contenziosi sulle risorse
Il ruolo dell'Agea
Le
irregolarità
Tutti hanno sentito parlare di frodi comunitarie. Ma molti pensano che a
fare le spese di questi imbrogli nostrani sia Bruxelles, e che l'Italia
finisca per farla franca. Invece no. A pagare sono i contribuenti italiani.
Con un nuovo regolamento, Bruxelles ha infatti cominciato a presentare il
conto chiedendo la restituzione dei fondi indebitamente percepiti detraendo
dai contributi comunitari ciò che l'Italia non restituisce. A giorni
chiederà 200 milioni di euro per il 2006 e 2007; il conto finale
potrebbe superare il miliardo.
La piaga delle frodi comunitarie costituisce un tema discusso e studiato da
tempo. Si discetta se l'Italia abbia il record delle irregolarità
dell'Unione Europea perché ha più truffatori e più
amministratori incompetenti degli altri Stati membri oppure perché, come ha
sottolineato l'attuale ministro per le Politiche europee Emma Bonino il 6
marzo scorso a Bruxelles, è il Paese con gli investigatori più
bravi e più scrupolosi. Insomma, il primato
italiano potrebbe non essere quello delle irregolarità
bensì quello della sorveglianza, perché gli altri non controllano né
denunciano quanto noi.
Il record di cui invece pochi parlano è quello del mancato recupero
dei fondi elargiti ma poi risultati frutto di frodi o di irregolarità
procedurali. Fino a poco tempo fa, il fatto che l'Italia trascurasse questo
adempimento veniva per lo più ignorato da Bruxelles. Che si faceva
perciò carico dei suoi costi. Ma non è più così.
Da Bruxelles hanno cominciato a presentarci i conti. E sono salatissimi. Al
Sole 24 Ore risulta che tra pochi giorni ne stia per arrivare uno da 200
milioni. Ma in totale si parla di una cifra che potrebbe superare il miliardo.
In Italia l'approvazione del regolamento sui contributi comunitari, il
1290/2005, è passata del tutto inosservata. Nonostante includesse una
novità molto significativa proprio sulla questione dei recuperi, una
norma a prova di furbi. Nel senso che può essere ignorata ma non
c'è modo di evitarne l'applicazione. Il regolamento prevede infatti
che, dopo un certo periodo di tempo, il mancato recupero venga addebitato
allo Stato membro attraverso una detrazione automatica dai contributi futuri.
La gravità delle possibili ripercussioni sull'Italia di questa nuova
normativa è stata evidenziata dagli addetti ai lavori nel corso di una
riunione tenuta il 30 gennaio 2007 presso il Dipartimento delle Politiche
comunitarie. Fu una sorta di summit dei massimi dirigenti delle
amministrazioni statali interessate. Del quale Il Sole 24 Ore ha ottenuto un
resoconto scritto a fini interni (e quindi senza remore).
A mettere a fuoco il problema fu Salvatore Vecchio, all'epoca direttore del
Servizio autonomo interventi settore agricolo (Saisa), il dipartimento
dell'Agenzia delle Dogane che gestisce le azioni giudiziarie relative
all'accertamento delle frodi comunitarie e alla riscossione dei fondi
agricoli indebitamente percepiti. Ecco cosa si legge nel resoconto: «Il dottor
Vecchio (...) ha rappresentato che le conseguenze finanziarie previste dal
Regolamento CE 1290/2005 si rendono applicabili a tutti i contesti di
irregolarità e frode (...) per i quali non si è ancora
conseguito il recupero totale alla data del 16 ottobre 2006 e non archiviati
entro la suddetta data; conseguentemente, decorsi infruttuosamente otto anni
decorrenti dalla data dell'accertamento dell'illecito, scatta un meccanismo
finanziario automatico che comporta l'imputazione all'Erario nazionale di
almeno il 50% dei relativi importi non riscossi. La Commissione si riserva
peraltro di imputare al bilancio nazionale l'intero importo non recuperato
qualora ravvisi situazioni di negligenza. Tale disposizione normativa
determinerà dannose conseguenze finanziarie per quei Paesi, come
l'Italia, nei quali i procedimenti giudiziari penali e soprattutto quelli
civili (...) hanno una durata complessiva mediamente molto superiore ai 10
anni. La lunghezza dei processi italiani rappresenta una rilevante
criticità, alla quale deve aggiungersi il dato statistico non
particolarmente positivo dei risultati dell'attività dei recuperi dei
crediti comunitari».
Per rendersi conto della situazione, basti sapere che il più antico
credito non riscosso dell'Agea
risale a ben 28 anni fa, che ci
sono ancora da recuperare ben 553,5 milioni e che, nonostante gli sforzi
fatti negli ultimi anni su stimolo anche della Corte dei conti, nel corso del
2007 l'Agea
è riuscita a farsi restituire appena 1,38 milioni di euro (erano stati
5,6 nel 2006 e 8,4 nel 2005). Su altri 121,6 milioni ci si è invece
arresi: sono stati protocollati come "irrecuperabili" e quindi da
accollare per intero a Bruxelles.
Questo per quel che riguarda i fondi agricoli, fronte sul quale Agea e Saisa
hanno dato dimostrazione di grande trasparenza. Quanto ai cosiddetti fondi
strutturali, al Sole 24 Ore non è stato invece possibile ottenere
dati. Sebbene il Dipartimento delle Politiche comunitarie ci abbia
ufficialmente comunicato che «notizie in merito agli importi restituiti o
dedotti possono essere acquisite all'Ispettorato generale per i rapporti finanziari
con l'Unione Europea (Igrue) presso il ministero dell'Economia e delle
Finanze», il ministero ci ha informato che «la divulgazione (dei dati) non
è opportuna in quanto può portare a conclusioni errate sul
fenomeno delle restituzioni». Come dire: per non confondere le idee agli
italiani sul tema dei mancati recuperi, meglio tenere tutto nascosto.
Rimane poi ancora aperta la questione dei 310 milioni che, nell'ottobre
2006, la Commissione europea ha stabilito che l'Italia deve restituire.
L'Avvocatura dello Stato ha fatto ricorso al Tribunale di primo grado delle
Comunità europee a Lussemburgo. Il Sole 24 Ore ha acquisito una copia
della bozza di tale ricorso. Seppure intenda dimostrare la buona fede e
l'impegno dello Stato italiano, questo documento è di fatto un atto di
accusa contro il sistema pubblico. La tesi, presentata con dovizia di
particolari, è imbarazzante: Bruxelles non ha diritto di addebitarci
il costo del degrado giudiziario-amministrativo italiano perché, seppur senza
risultati, lo sforzo per recuperare i soldi l'Italia lo ha comunque fatto.
«(La Commissione) ha riscontrato 59 casi che risalgono a prima del 1999 i cui
procedimenti di recupero sono tuttora pendenti presso i tribunali nazionali
benché le autorità nazionali si siano fatte finora parte diligente per
la loro soluzione», scrive l'Avvocatura di Stato. Che poi cita casi
specifici, come quello dell'azienda La Sorrentina, che dal 1989 deve
restituire 3.153.808 euro: «Dagli atti si evince che l'Aima (agenzia che ha
preceduto l'Agea, ndr) sospese a titolo di recupero la liquidazione del
contributo per la campagna pomodoro-pesche 1986/87. Tale sospensione diede
origine a un contenzioso che si concluse a favore di Agea. Tale giudizio
è poi proseguito da parte degli eredi del legale rappresentante della
società, conclusosi con sentenza del Tribunale civile favorevole
all'Agea. Avverso tale sentenza è stato proposto appello, il cui
procedimento è ancora in corso». Dal 1989!
Oltre i limiti del ridicolo è invece il caso dell'Eridania: «Con
provvedimento del 21 dicembre 1998, il procedimento penale veniva archiviato
in considerazione del fatto che non sussisteva l'ipotesi di reato. La frode
segnalata (...) non aveva alcuna fondatezza. L'Agenzia nel corso degli anni
ha tentato a più riprese di entrare in possesso del decreto di
archiviazione, ma per motivi di trasferimento degli uffici i fascicoli presso
il Tribunale di Ravenna erano introvabili», ricorda il testo dell'Avvocatura
dello Stato.
Di fronte alla pesantezza delle possibili conseguenze economiche, il ministro
Bonino e il Governo uscente non sono però rimasti con le mani in mano.
L'iniziativa più recente è stata l'approvazione del decreto n.
59 (pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale l'8 aprile scorso) con cui s'impone
una corsia preferenziale ai contenziosi comunitari, riducendo così il periodo
che intercorre tra procedimenti cautelari e decisioni di merito nei ricorsi
ai giudici civili e tributari.
Occorre dire che questo è solo l'ultimo di una serie di passi
intrapresi: negli ultimi 20 mesi Emma Bonino, essendo arrivata al Governo
dopo un'esperienza alla Commissione europea, si è dimostrata sin
dall'inizio particolarmente sensibile alla questione dell'immagine
dell'Italia a Bruxelles. La sua prima decisione è stata quella di
rivitalizzare un cadavere, e cioè il Comitato per la lotta contro le
frodi comunitarie. «Fino al 2006, il Comitato è stato... in sonno.
Alcuni membri erano morti, altri erano andati in pensione, altri ancora erano
irreperibili oppure avevano lasciato l'amministrazione», ci spiega Enrica
Maria Puoti, vice-capo gabinetto del ministro.
Seconda, importante decisione: la costituzione di un sottogruppo all'interno
del Comitato con il compito di realizzare un "ambiente informatico
comune", e cioè una banca dati alimentata da ogni singola
amministrazione interessata. Perché oggi non esiste un registro nazionale
delle frodi comunitarie, né tantomeno dei debitori.
«È stata un'ottima iniziativa del ministro», ci spiega un funzionario
statale che chiede l'anonimato. «Perché non è solo il sistema
giudiziario a non funzionare. È anche la macchina amministrativa.
Sulla gestione dei crediti c'è un caos totale e non esistono misure
per impedire che un debitore di un'amministrazione ottenga finanziamenti da
un'altra. L'unica misura disponibile contro chi truffa e non restituisce i
fondi è il fermo amministrativo, un atto del tutto inutile. Mi spiego:
il fermo deve essere inviato con modulo cartaceo riempito a mano a ogni
singola amministrazione statale. Ma ammesso che lo si invii, la norma
è che venga archiviato in un faldone di quelli riservati agli incartamenti
inutili. E sarebbe devastante se avvenisse il contrario, cioè se
ognuno bloccasse somme equivalenti a quelle del fermo amministrativo. Si
congelerebbero infatti pagamenti per multipli dell'ammontare dovuto perché
nessuno saprebbe chi altro ha bloccato i fondi. Ben venga quindi una banca
dati nazionale elettronica. Perché per affrontare un problema bisogna
innanzitutto conoscerlo. Oggi si conosce ben poco».
Sul fronte dei mancati recuperi, la stessa Puoti ammette però che la
situazione rimane «disastrosa», e in particolare che l'incapacità
delle Regioni a effettuare recuperi «è un problema enorme».
«I fondi comunitari vengono in generale trattati in modo distratto», commenta
l'ex prefetto Bruno Ferrante, fino a luglio 2007 Alto commissario
anti-corruzione. «E le amministrazioni regionali non sembrano avvertire
l'esigenza di affrontare la problematica dei mancati recuperi, nonostante
abbia dimensioni importanti e una ricaduta economica notevole».
A questo proposito, al Sole 24 Ore risulta che un'altra misura presa dal
Governo non è stata invece accolta con entusiasmo da chi si occupa di
lotta alle frodi comunitarie sia in Italia che a Bruxelles (anche se nessuno
ha voluto rilasciare commenti ufficiali). Ci riferiamo alla circolare del 12
Ottobre 2007 intitolata «Modalità di comunicazione alla Commissione
europea delle irregolarità e frodi a danno del bilancio comunitario»
con cui il Governo è voluto intervenire sulla
"qualità" dei controlli e delle segnalazioni di frodi e
irregolarità. Per evitare «l'inoltro alla Commissione europea di
comunicazioni su presunte irregolarità che si rivelino a un più
completo esame in tutto o in parte inesistenti», la circolare stabilisce che
«prima di procedere alla comunicazione è da ritenere indispensabile
una valutazione dei fatti emersi e degli elementi rilevati». E aggiunge che
«tale valutazione non può che essere compiuta dagli organi decisionali
preposti alle diverse provvidenze comunitarie, i quali, una volta ricevuto un
atto o una segnalazione per un caso di sospetta irregolarità o frode,
(ne) verificheranno (la fondatezza) senza ritardo». Che cosa si intenda per
«senza ritardo» in un Paese in cui l'Avvocatura dello Stato è
costretta a chiedere venia per l'incredibile lungaggine di qualsiasi pratica
giudiziario-amministrativa, la circolare non lo spiega.
Non basta, la circolare attribuisce a quegli stessi organi dimostratisi
del tutto inefficaci nei recuperi - cioè le Regioni - la
responsabilità aggiuntiva di valutare la fondatezza delle segnalazioni
fatte dagli organi della cui efficacia invece ci si vanta - cioè
quelli investigativi. Senza peraltro stanziare nuovi fondi o prevedere alcuno
strumento supplementare. Anche per questo il parere dell'ex Alto commissario
anti-corruzione Ferrante non è affatto favorevole: «Dall'Italia
partono indubbiamente molte segnalazioni, e questo fa scattare i tempi entro
i quali occorre fare il recupero. Ma spostare i termini delle segnalazioni
è un modo surrettizio per eludere il problema. La soluzione è
piuttosto quella di riuscire a fare tempestivamente il recupero».
Il decreto dello scorso 8 aprile sarà senza dubbio di aiuto, ma tra
gli addetti ai lavori circolano anche altre proposte per facilitare l'opera
di recupero. Le elenchiamo in ordine sparso: prevedere un'azione immediata di
sequestro e confisca di beni, imporre la liquidazione della somma in
questione in sede penale anziché rinviarla al civile, indicare nei bandi che
nel caso di irregolarità si risponde anche alla Procura della Corte
dei conti, rivedere le regole delle fideiussioni che solitamente vengono
lasciate scadere, valutare la possibilità di iscrivere ipoteca sui
beni finanziati, e soprattutto interrompere i termini di prescrizione con
l'inizio della procedura giudiziaria. L'importante adesso che è che il
nuovo Governo non perda interesse per la questione, bensì continui
l'opera avviata dal ministro Bonino. Con l'obiettivo di raggiungere una
capacità d'intervento equivalente a quella degli altri grandi Paesi
europei. Altrimenti, dopo la monnezza e la mozzarella, a screditarci
ulteriormente agli occhi dei nostri partner arriverebbe la terza M: la
melina. Sui recuperi dei fondi finiti a chi truffa l'Uinione Europea.
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