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DOCUMENTO INSERITO IL 12-7-2012

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Il Sole 24 Ore 11-7-2012

Un piccolo passo verso l’unione bancaria

 

BRUXELLES – All’inizio della crisi finanziaria, si diceva che le banche erano, per usare le parole incisive di Charles Gooddhart, internazionali in vita, ma nazionali in morte. All’epoca (2008-2009), i governi dei rispettivi paesi d’origine hanno dovuto salvare le grandi banche internazionali quando sono finite nei guai. Ma ora il problema in Europa è l’opposto: le banche sono nazionali in vita, ma europee in morte

In Spagna, per esempio, le locali casse di risparmio (cajas) hanno finanziato uno smisurato boom immobiliare. Quando la fase espansionistica è crollata, le perdite minacciavano di sopraffare le capacità dello stato spagnolo, ed il problema è diventato europeo, perché la sopravvivenza stessa dell’euro era in pericolo.

Il caso spagnolo è sintomatico di un problema più ampio. Le autorità di vigilanza nazionali tendono sempre a minimizzare i problemi in patria. La loro attitudine (ed il loro interesse burocratico) è quello di difendere all’estero le banche campioni del loro paese.

Ma la loro resistenza al riconoscimento dei problemi domestici ha radici ancora più profonde. Fino a poco tempo fa, le autorità spagnole sostenevano che i problemi del settore immobiliare del loro paese erano temporanei. Riconoscere la verità avrebbe voluto dire ammettere che per anni avevano trascurato l’espansione di un boom edilizio insostenibile, che ora minaccia di mandare in bancarotta l’intero paese.

Nel caso dell’Irlanda, la situazione non è stata molto diversa all’inizio. Quando i problemi hanno cominciato a venire a galla, il ministro delle finanze del tempo, in un primo momento, ha sostenuto che il paese avrebbe realizzato il soccorso bancario meno costoso di sempre.

Data la tendenza prevedibile delle autorità di vigilanza nazionali ad evitare di riconoscere i problemi del proprio paese, sembrava naturale che il costo per mettere in ordine le banche insolventi sarebbe dovuto essere sostenuto anche a livello nazionale. La European Banking Authority, di recente creazione, ha solo poteri limitati sulle autorità di vigilanza nazionali, il cui lavoro ordinario è guidato principalmente da considerazioni di interesse nazionale.

Ma la realtà ha dimostrato che questo approccio non è sostenibile. I problemi possono avere origine a livello nazionale, ma data l’unione monetaria, vanno a minacciare rapidamente la stabilità dell’intero sistema bancario dell’zona euro.

Al loro vertice di giugno, i leader europei hanno finalmente riconosciuto la necessità di porre rimedio a questa situazione, trasferendo la responsabilità della vigilanza bancaria nella zona euro alla Banca Centrale Europea. Dato che l’integrazione finanziaria è particolarmente forte all’interno dell’unione monetaria, era ovvio affidare questo compito alla BCE.

Inoltre, la BCE ha già la responsabilità de facto della stabilità del sistema bancario dell’eurozona. Ma, finora, ha dovuto accreditare alle banche grandi somme senza essere in grado di valutare la loro solidità, perché tutte le informazioni relative erano nelle mani delle autorità nazionali che le custodivano gelosamente, e di solito negavano l’esistenza di problemi, finché non era troppo tardi.

Responsabilizzare la BCE dovrebbe anche aiutare ad arrestare il processo di disgregazione strisciante, che non è pubblicamente visibile, ma comunque è molto concreto. Basta chiedere ad uno qualsiasi dei grandi gruppi bancari internazionali con sede nei paesi sotto tensione dal punto di vista finanziario.

Si consideri il caso di una banca con sede centrale in Italia, ma con un’importante filiale in Germania. Le operazioni tedesche, ovviamente, generano un surplus di fondi (dato che in Germania, mediamente, il risparmio supera di gran lunga gli investimenti). La banca madre vorrebbe usare questi fondi per rinforzare la liquidità del gruppo. Ma le autorità di vigilanza tedesche considerano l’Italia un paese a rischio e dunque si oppongono a qualsiasi trasferimento di fondi verso quella destinazione.

L’autorità di vigilanza del paese di origine (Italia) ha l’interesse opposto. Vorrebbe vedere il mercato interno dei capitali operare quanto più possibile. Anche in questo caso, ha senso affidare alla BCE l’ arbitraggio neutrale rispetto a tali interessi contrapposti.

Ma, se responsabilizzare la BCE della supervisione delle banche risolve un problema, ne crea un altro: si può continuare a considerare le autorità nazionali ancora responsabili del salvataggio di banche che non controllano più?

La logica economica (e politica) indica che la zona euro avrà presto bisogno di un fondo comune di salvataggio delle banche. Ufficialmente, tale esigenza non è stata ancora riconosciuta. Ma questo è spesso il modo in cui procede l’integrazione europea: un passo incompleto riguardo ad un ambito, successivamente comporta la necessità di ulteriori iniziative nei settori ad esso connessi.

In passato, l’approccio incrementale ha funzionato bene; in effetti, l’attuale Unione Europea ne rappresenta l’esito. Ma una crisi finanziaria non da più il tempo ai politici di spiegare agli elettori perché un passo ne richiede un altro. La determinazione deve avanzare molto più velocemente se si vuole salvare l’euro.

Daniel Gros è Direttore del Center for European Policy Studies.
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