Il Sole 24
Ore 11-7-2012
Un piccolo passo verso
l’unione bancaria
di
Daniel Gros
BRUXELLES
– All’inizio della crisi finanziaria, si diceva che le banche
erano, per usare le parole incisive di Charles Gooddhart,
internazionali in vita, ma nazionali in morte. All’epoca (2008-2009), i
governi dei rispettivi paesi d’origine hanno dovuto salvare le grandi
banche internazionali quando sono finite nei guai. Ma ora il problema in
Europa è l’opposto: le banche sono nazionali in vita, ma europee
in morte
In Spagna, per esempio, le locali casse di risparmio (cajas)
hanno finanziato uno smisurato boom immobiliare. Quando la fase
espansionistica è crollata, le perdite minacciavano di sopraffare le
capacità dello stato spagnolo, ed il problema è diventato
europeo, perché la sopravvivenza stessa dell’euro era in
pericolo.
Il caso spagnolo è sintomatico di un problema più ampio. Le
autorità di vigilanza nazionali tendono sempre a minimizzare i
problemi in patria. La loro attitudine (ed il loro interesse burocratico)
è quello di difendere all’estero le banche campioni del loro
paese.
Ma la loro resistenza al riconoscimento dei problemi domestici ha radici
ancora più profonde. Fino a poco tempo fa, le autorità spagnole
sostenevano che i problemi del settore immobiliare del loro paese erano
temporanei. Riconoscere la verità avrebbe voluto dire ammettere che
per anni avevano trascurato l’espansione di un boom edilizio
insostenibile, che ora minaccia di mandare in bancarotta l’intero
paese.
Nel caso dell’Irlanda, la situazione non è stata molto diversa
all’inizio. Quando i problemi hanno cominciato a venire a galla, il
ministro delle finanze del tempo, in un primo momento, ha sostenuto che il
paese avrebbe realizzato il soccorso bancario meno costoso di sempre.
Data la tendenza prevedibile delle autorità di vigilanza nazionali ad
evitare di riconoscere i problemi del proprio paese, sembrava naturale che il
costo per mettere in ordine le banche insolventi sarebbe dovuto essere
sostenuto anche a livello nazionale. La European
Banking Authority, di recente creazione, ha solo poteri limitati sulle
autorità di vigilanza nazionali, il cui lavoro ordinario è
guidato principalmente da considerazioni di interesse nazionale.
Ma la realtà ha dimostrato che questo approccio non è
sostenibile. I problemi possono avere origine a livello nazionale, ma data
l’unione monetaria, vanno a minacciare rapidamente la stabilità
dell’intero sistema bancario dell’zona euro.
Al loro vertice di giugno, i leader europei hanno finalmente riconosciuto la
necessità di porre rimedio a questa situazione, trasferendo la
responsabilità della vigilanza bancaria nella zona euro alla Banca
Centrale Europea. Dato che l’integrazione finanziaria è
particolarmente forte all’interno dell’unione monetaria, era
ovvio affidare questo compito alla BCE.
Inoltre, la BCE ha già la responsabilità de facto della
stabilità del sistema bancario dell’eurozona. Ma, finora, ha
dovuto accreditare alle banche grandi somme senza essere in grado di valutare
la loro solidità, perché tutte le informazioni relative erano
nelle mani delle autorità nazionali che le custodivano gelosamente, e
di solito negavano l’esistenza di problemi, finché non era
troppo tardi.
Responsabilizzare la BCE dovrebbe anche aiutare ad arrestare il processo di
disgregazione strisciante, che non è pubblicamente visibile, ma
comunque è molto concreto. Basta chiedere ad uno qualsiasi dei grandi
gruppi bancari internazionali con sede nei paesi sotto tensione dal punto di
vista finanziario.
Si consideri il caso di una banca con sede centrale in Italia, ma con
un’importante filiale in Germania. Le operazioni tedesche, ovviamente,
generano un surplus di fondi (dato che in Germania, mediamente, il risparmio
supera di gran lunga gli investimenti). La banca madre vorrebbe usare questi
fondi per rinforzare la liquidità del gruppo. Ma le autorità di
vigilanza tedesche considerano l’Italia un paese a rischio e dunque si
oppongono a qualsiasi trasferimento di fondi verso quella destinazione.
L’autorità di vigilanza del paese di origine (Italia) ha
l’interesse opposto. Vorrebbe vedere il mercato interno dei capitali
operare quanto più possibile. Anche in questo caso, ha senso affidare
alla BCE l’ arbitraggio neutrale rispetto a tali interessi
contrapposti.
Ma, se responsabilizzare la BCE della supervisione delle banche risolve un
problema, ne crea un altro: si può continuare a considerare le
autorità nazionali ancora responsabili del salvataggio di banche che
non controllano più?
La logica economica (e politica) indica che la zona euro avrà presto
bisogno di un fondo comune di salvataggio delle banche. Ufficialmente, tale
esigenza non è stata ancora riconosciuta. Ma questo è spesso il
modo in cui procede l’integrazione europea: un passo incompleto
riguardo ad un ambito, successivamente comporta la necessità di
ulteriori iniziative nei settori ad esso connessi.
In passato, l’approccio incrementale ha funzionato bene; in effetti,
l’attuale Unione Europea ne rappresenta l’esito. Ma una crisi
finanziaria non da più il tempo ai politici di spiegare agli elettori
perché un passo ne richiede un altro. La determinazione deve avanzare
molto più velocemente se si vuole salvare l’euro.
Daniel Gros
è Direttore del Center for European Policy Studies.
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