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NE IRROGANTO Documento
inserito il: 1-9-2012 |
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DOCUMENTI CORRELATI |
14-7-2012. La
PignattA n° 73. Analisi
di Ricerche &Studi di Mediobanca su 20 primarie banche europee. Crediti
dubbi: ecco, accuratamente taciuto da media e governanti, il punto debole
delle nostre prime due banche. |
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Il
Sole 24 Ore 1-9-2012 Banche, i crediti a rischio salgono a 195,2 miliardi
documenti I crediti deteriorati
I crediti a rischio sono come un
virus per le banche: potenzialmente molto pericolosi, ma debellabili se
affrontati con un farmaco giusto e assunto in dosi adeguate. Il problema, per
gli istituti di credito italiani, è che mentre questo virus si sta espandendo
in misura notevole, le medicine iniziano a scarseggiare. Basta guardare le
semestrali appena presentate per rendersene conto, visto che l'ammontare
lordo dei crediti deteriorati delle prime dieci banche italiane è aumentato
del 9,9% in soli 6 mesi, passando dai 177,6 miliardi del 2011 ai 195,2
miliardi di fine giugno. La crescita è rilevante, anche se
bisogna considerare che dal primo gennaio 2012 le regole di Basilea impongono
di classificare come crediti deteriorati (sotto la «esposizioni scaduti»)
tutti gli sconfinamenti continuativi superiori a 90 giorni, mentre in
precedenza il limite era di 180 giorni. «Senza quest'effetto l'incremento dei
crediti deteriorati sarebbe attorno al 7%», osserva Gabriele Benedetto,
senior manager di Value Partners: una cifra
inferiore a quanto registrato nel 2011 (+10,7%), ma non per questo meno
preoccupante. Nel complesso le posizioni a rischio
delle 10 principali banche italiane, la maggior parte delle quali è
rappresentata dalle sofferenze (107,3 miliardi, il 55%), risultano pari al
12,9% dell'ammontare complessivo dei crediti e anche in questo caso il fatto
che l'incidenza sia in crescita rispetto agli anni precedenti (11,7% nel 2011
e 10,6% nel 2010) non è certo un segnale tranquillizzante. Come rassicurante
non è la crescita più accentuata delle partite incagliate (+9,1% a 53,9
miliardi), l'ultimo grado (dopo le esposizioni scadute e ristrutturate) prima
dell'ingresso fra le sofferenze: se nei prossimi mesi la situazione economica
italiana dovesse ulteriormente peggiorare, i debitori potrebbero divenire insolventi
e i crediti inesigibili. Il peso della recessione Ed è proprio alla congiuntura che si
deve in primo luogo guardare per spiegare la dinamica recente dei crediti
deteriorati, perché la loro impennata è l'immediata conseguenza di ogni
recessione: la stagnazione colpisce famiglie e soprattutto imprese, che
faticano sempre più a mantenere fede agli impegni con le banche. A peggiorare
la situazione, in questa particolare fase, è il vertiginoso aumento del costo
della raccolta (un effetto legato anche alla crisi del debito pubblico) che
ha contribuito a spingere gli istituti di credito a limitare la concessione
di finanziamenti. Con il crollo delle erogazioni di nuovi crediti
(tendenzialmente sani) cresce infatti anche la percentuale di «mele marce»
sul totale, cioè il rapporto fra partite deteriorate e impieghi complessivi. C'è poi un ulteriore aspetto che
distingue la crisi attuale dalle precedenti, a suo modo una conseguenza
indiretta del crack-Lehman: «Fino a 4 anni fa – sottolinea Benedetto – le
banche potevano cedere a società terze i crediti deteriorati e in questo modo
liberare risorse utili da reimpiegare. Oggi non esiste praticamente più un
mercato commerciale per simili prodotti, le sofferenze vanno gestite in
autonomia e continuano a pesare sui bilanci». La coperta si accorcia L'altro elemento di rilievo in
questi primi 6 mesi dell'anno è il calo delle coperture messe a bilancio
dalle banche a fronte delle partite deteriorate. La «medicina» di cui si parlava
in precedenza è scesa mediamente per i primi 10 istituti italiani dal 40,7%
al 39% del totale dei crediti lordi. Occorre però notare che lo spaccato
banca per banca offre scenari differenti: UniCredit e Intesa Sanpaolo, per
esempio, hanno coperto rispettivamente il 43,8% e il 42,7% delle posizioni
deteriorate, Mps il 39,2%, mentre le altre hanno
valori più bassi, che scendono in alcuni casi anche sotto il 25 per cento.
Una disparità legata ai diversi criteri di monitoraggio dei crediti adottati
da ciascun istituto e probabilmente anche a logiche di bilancio: dopotutto
gli accantonamenti pesano sul conto economico e in un periodo di «vacche
magre» come l'attuale si può decidere di non calcare la mano per rimpolpare
l'utile o tamponare le perdite. Il confronto internazionale Il balzo delle sofferenze bancarie
non è ovviamente un fenomeno tutto italiano, ma va condiviso con gli altri
Paesi europei, anche se con gradi differenti. Una misura di paragone efficace
è il costo del credito, cioè il rapporto fra le rettifiche effettuate per il
peggioramento della qualità del credito e il totale degli impieghi al netto
delle rettifiche già effettuate. In Italia questo indicatore varia dai 55
punti base di Banca Carige fino ai 120 di Bper ed è
naturalmente superiore ai valori registrati in Francia e Germania (30-50
punti), Finlandia (20-30 punti) e Svezia (addirittura 7-12 punti). Concedere
prestiti nel nostro Paese è più oneroso e rischioso, ma c'è chi ci batte
visto che in Spagna il costo del credito viaggia sui 180 punti base: una
classifica che ricorda da vicino quella dello spread sui titoli di Stato, a
conferma della relazione stretta che lega la crisi del debito sovrano e
quella del settore finanziario. |
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