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Documentazione   Documento inserito il 3-12-2008


 

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DOSSIER “SCUOLA”

 

 

SCUOLA  E  ISTRUZIONE.

 

IN ITALIA ED  IN ALCUNI PAESI DELLA UE

 

(Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Svezia, Grecia)

 

 

Di Federico Novelli

 

Ottobre-Dicembre 2008

 

 

PARTE PRIMA. SCUOLA E ISTRUZIONE  IN ITALIA (ottobre 2008)

PARTE SECONDA. SCUOLA E ISTRUZIONE IN ALCUNI PAESI DELLA U.E.  (Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Svezia, Grecia) (Dicembre 2008)



I N D I C I

 

PARTE PRIMA. SCUOLA E ISTRUZIONE  IN ITALIA (ottobre 2008)

 

1. INTRODUZIONE. 2

2. LA LEGISLAZIONE SCOLASTICA NELL’ ITALIA UNITA. 4

3. LA SCUOLA NELL’ ORDINAMENTO COSTITUZIONALE REPUBBLICANO E NELLA LEGISLAZIONE VIGENTE. 7

5. LA RIFORMA MORATTI 12

6. L’ ATTUAZIONE DELLA RIFORMA MORATTI 14

7. L’ ANALISI DELLE VARIE TIPOLOGIE DI SCUOLA NEL VIGENTE SISTEMA. 16

7.1 La scuola dell’ infanzia. 16

7.2 La scuola primaria. 17

7.3 La scuola secondaria di 1° grado. 17

7.4 La scuola secondaria di 2° grado. 19

7.4.1   I percorsi liceali 19

7.4.2 Gli istituti tecnici e gli istituti professionali 20

8. IL SISTEMA DI ISTRUZIONE NON STATALE. 21

8.1 LE VARIE TIPOLOGIE DI SCUOLE NON STATALI 23

9. L’ AUTONOMIA DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE. 24

9.1 L’ autonomia finanziaria e contabile. 25

9.2 L’ autonomia didattica. 25

9.3 L’ autonomia organizzativa. 26

9.4 L’ autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo. 26

9.5 L’ autonomia funzionale. 26

10. SITUAZIONE ATTUALE E PROSPETTIVE FUTURE PER IL SISTEMA SCOLASTICO ITALIANO. 27

BIBLIOGRAFIA. 31

SITI INTERNET  31

APPENDICE. 31

DECRETO-LEGGE 1 settembre 2008, n. 137 – Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università. 32

Schema di piano programmatico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze di cui all’art. 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. 32

Accesso studenti stranieri, la proposta della Lega. 48


 

PARTE SECONDA. SCUOLA E ISTRUZIONE IN ALCUNI PAESI DELLA UE (Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Svezia, Grecia) (Dicembre 2008)

 

1. LA NORMATIVA EUROPEA SU ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE. 57

1.1 - LA NORMATIVA DEL TRATTATO DI ROMA. 57

1.2 - LA NORMATIVA COMUNITARIA DOPO IL TRATTATO DI ROMA. 59

2. IL SISTEMA SCOLASTICO IN ALCUNI PAESI DELL’ UNIONE EUROPEA. 63

2.1 - La scuola in Francia. 63

2.2 - La scuola in Germania. 64

2.3 - La scuola in Gran Bretagna. 66

2.4 - La scuola in Spagna. 68

2.5 - La scuola in Svezia. 71

2.6 - La scuola in Grecia. 72

3. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE. 74

    BIBLIOGRAFIA. 75

 


 

 

PRIMA PARTE: SCUOLA E ISTRUZIONE IN ITALIA

 

 

1) - INTRODUZIONE

 

Il termine “scuola” deriva dal greco scholè, parola che significa ozio, tempo libero, ossia tempo dedicato agli studi e non al lavoro.

Oggi la scuola costituisce (dovrebbe costituire) l’ istituzione ed il luogo nel quale si studia, ci si istruisce e si cresce culturalmente, si acquista spirito critico e ci si prepara alla vita.

Se queste sono le finalità dell’ istituzione scolastica allora si comprende l’ importanza di essa per tutti gli individui.

Col secolo dei lumi, con la manifesta inadeguatezza dell’assolutismo, con l’avvento dello stato moderno, sono aumentati i compiti e le funzioni dello stato stesso, sicché esso ha puntato a  rendere generale l’interesse alla istruzione dei cittadini,  entrata a pieno titolo, a partire dagli anni 60 del ‘700, tra gli obbiettivi primari dello stato e divenuta, appunto, pubblica[1]. Al 1763 risale, infatti, l’ emanazione, da parte di Federico 2° di Prussia, di un regolamento che riservava all’ autorità pubblica l’ attività di programmazione e quella ispettiva.

La rivoluzionaria Costituzione francese del 1793 (la più radicale tra quelle nate durante l’ epoca rivoluzionaria, non fu mai attuata) riconosceva, all’ interno della sua Dichiarazione dei Diritti, il diritto all’ istruzione.

Nel corso del 19° secolo l’ istruzione è divenuta funzione pubblica statale ed ha assunto i caratteri fondamentali della gratuità e della obbligatorietà.

Anche in Italia si è presa coscienza della necessità di organizzare un sistema di istruzione pubblica, e ciò già prima del conseguimento dell’ unità. Infatti risale al 1847 l’ istituzione del Ministero della Pubblica Istruzione nel Regno di Piemonte e Sardegna. Proprio l’ assetto dell’ istruzione costruito in Piemonte dal 1847 è stato esteso al Regno d’ Italia.

 

2. LA LEGISLAZIONE SCOLASTICA NELL’ ITALIA UNITA

 

A partire dal 1848 si sono susseguiti provvedimenti normativi in materia di istruzione, fra i quali il più importante è il r.d.l. n. 3725 del 13 novembre 1859, la cosiddetta legge Casati[2].

Essa prevedeva un’ istruzione elementare quadriennale, obbligatoria per i primi due anni; successivamente gli studenti potevano scegliere tra più vie:

 

·         il ginnasio (5 anni) che dava sbocco al liceo classico (3 anni);

·         la scuola normale per la preparazione degli insegnanti elementari (3 anni);

·         un canale di istruzione professionale che comprendeva le scuole biennali tecniche e gli istituti tecnici.

 

E’ opportuno domandarsi, a questo punto, quale fosse, nell’ Italia che aveva da poco raggiunto l’ unità, la consapevolezza dell’ importanza della scuola e dell’ istruzione e quali fossero le strategie per rendere il sistema efficiente. Per quanto riguarda il primo punto si potrebbe dire che, vista l’ istituzione del Ministero della Pubblica Istruzione fin dal 1847, la classe dirigente fosse cosciente del fatto che l’ istruzione dovesse essere garantita ai cittadini attraverso un sistema pubblico; ciò rappresenta una vera scelta di civiltà. Inoltre la legge Casati del 1859 prevedeva un sistema scolastico abbastanza razionale in quanto cercava di assicurare a tutti un minimo di scolarizzazione calibrando la tipologia del corso di studi superiori sulle diversificate capacità e potenzialità degli studenti.

Modificazioni alla legge Casati sono state apportate dal Ministro Coppino attraverso la legge 15 luglio 1877, n. 3968, che aumentò gli anni di istruzione elementare portandoli a 5 e stabilendo l’ obbligo a 3 anni (dai 6 ai 9 anni di età), in luogo dei soli 2 previsti dalla legge Casati.

Se da una parte la classe dirigente del neonato stato italiano aveva coscienza della necessità di garantire un minimo di istruzione a tutti i cittadini, dall’ altra sorgevano contrasti in seno ad essa per quanto riguardava la gestione delle diverse tipologie di studi: tale problema si pose nel 1861, allorquando fu creato il Ministero dell’ Agricoltura, dell’ Industria e del Commercio. Si decise, allora, di porre gli istituti tecnici sotto la gestione di questo Ministero, in quanto si credeva che nell’ ambito dell’ istruzione tecnica esso potesse agire meglio rispetto al Ministero della Pubblica Istruzione. Quando, nel 1877, fu abolito temporaneamente il Ministero dell’ Agricoltura, dell’ Industria e del Commercio, gli istituti tecnici tornarono sotto la gestione del Ministero della Pubblica Istruzione con r.d. 20 dicembre 1877, n. 4220.

Nel 1878 (legge 30 giugno 1878, n. 4449), fu ripristinato il Ministero dell’ Agricoltura, dell’ Industria e del Commercio e di nuovo si ricostruì un’ istruzione tecnica più specializzata e autonoma dalla formazione scolastica.

Emergeva, così, il dualismo tra formazione scolastica, più alta e finalizzata al proseguimento degli studi fino ai massimi livelli, e formazione tecnico-professionale, di livello più basso, finalizzata all’ apprendimento dei mestieri.

Altra tappa importante nella storia della scuola italiana è costituita dalla legge Orlando dell’ 8 luglio 1904, la quale estendeva l’ obbligo scolastico dal 9° al 12° anno d’ età e riduceva a 4 anni l’ istruzione elementare.

Per quanto riguarda, invece,  l’ impostazione dei corsi di studi superiori occorre segnalare l’ istituzione, nel 1911, della sezione moderna dei licei ginnasi, trasformata nel 1923 nei licei scientifici.

Considerando gli aspetti gestionali del sistema dell’ istruzione occorre notare che, a partire dai primi anni del ‘900 e fino agli anni 30 lo Stato assunse gradualmente la gestione dei vari istituti sia elementari, sia secondari, mentre gli enti locali erano solamente tenuti a dare il loro contributo fornendo beni e servizi. A tale proposito si deve fare riferimento alla legge 4 luglio 1911, n. 487 (legge Daneo-Credaro), la quale sancì il passaggio allo Stato delle competenze in materia di scuole elementari; i comuni capoluoghi di provincia e quelli che ne avessero fatto richiesta avrebbero continuato a mantenere le proprie competenze.

Veniva così ribaltata l’ impostazione originaria che vedeva gli enti locali gestire la scuola elementare, mentre il controllo amministrativo dello Stato interessava solamente le Università e alcuni ginnasi e scuole normali. 

Non si può prescindere, in questo excursus, dalla riforma operata negli anni 20 da Giovanni Gentile. L’ impostazione che Gentile diede al sistema fu piuttosto elitaria e tendente a far confluire nell’ ambito scolastico (o, meglio, nell’ ambito del Ministero dell’ Istruzione) ogni istituzione formativa, anche tecnica. Elementi fondamentali della riforma furono:

·         l’ elevazione dell’ obbligo scolastico fino a 14 anni d’ età; in tal modo l’ istruzione elementare veniva portata a 5 anni;

·         l’ introduzione di corsi integrativi di avviamento professionale della durata di 3 anni, da effettuarsi dopo le elementari (la sesta, la settima e l’ ottava elementare);

·         la trasformazione delle scuole tecniche in scuole complementari, integrative delle elementari;

·         la fusione della sezione fisico-matematica dell’ istituto tecnico con la sezione moderna del ginnasio, che diede vita al liceo scientifico;

·         l’ istituzione dell’ istituto magistrale per la preparazione dei maestri elementari;

·         la previsione di controlli per l’ inadempimento dell’ obbligo scolastico;

·         l’ insegnamento obbligatorio della religione cattolica;

·         l’ istituzione di scuole speciali per gli handicappati sensoriali della vista e dell’ udito;

·         il passaggio al Ministero dell’ economia nazionale della sezione industriale dell’ istituto tecnico;

·         il passaggio al Ministero dell’ Istruzione delle scuole artistiche.

 

Nel 1928, con r.d.l. 17 giugno 1928 n. 1314, ogni istituzione formativa fu posta sotto la gestione del Ministero dell’ Educazione Nazionale (ex Ministero dell’ Istruzione).

Negli anni 30 rimasero fuori della gestione del Ministero dell’ Educazione Nazionale (ma comunque sotto la sua vigilanza) solamente i corsi a carattere meramente addestrativo e l’ istruzione professionale delle maestranze occupate.

Durante il Fascismo il ruolo totalizzante del Partito Nazionale Fascista investì anche la scuola, tanto che ad esso venne affidata l’ assistenza scolastica, come anche l’ educazione fisica.

Alla caduta del Fascismo, il Ministero della Pubblica Istruzione riacquistò le proprie competenze in materia di:

·         assistenza scolastica ed educazione fisica (r.d.l. 2 agosto 1943, n. 704);

·         vigilanza sulle scuole private (durante il Fascismo essa era di competenza dell’ ente nazionale per l’ insegnamento medio e superiore, soppresso con d.lg.lt. 24 maggio 1945, n. 412).

Venne poi istituita la scuola popolare per gli adulti, gestita dal Ministero della Pubblica Istruzione, con d.lg.C.p.S. 17 dicembre 1947, n. 1599.

 

3. LA SCUOLA NELL’ ORDINAMENTO COSTITUZIONALE REPUBBLICANO E NELLA LEGISLAZIONE VIGENTE

 

La Costituzione Repubblicana del 1948 ha sancito i capisaldi del sistema dell’ istruzione nel nuovo ordinamento democratico. Essi si trovano negli artt. 33 e 34. Il principio più importante sancito nell’ art. 33 della Costituzione è la libertà di insegnamento. Di seguito l’ art. 33 prescrive che la Repubblica ponga le norme generali sull’ istruzione ed istituisca scuole per ogni ordine e grado. Ancora,  l’ art. 33 stabilisce che anche istituzioni private possono costituire scuole senza oneri per lo Stato.  

L’ art. 34 stabilisce, invece, che la scuola è aperta a tutti e che l’ istruzione inferiore è obbligatoria, gratuita e impartita per un periodo di almeno otto anni. Inoltre, sempre in base all’ art. 34, i capaci e meritevoli hanno diritto di raggiungere i più alti livelli negli studi, anche se privi di mezzi. A tal fine sono istituite borse di studio. Dunque all’ interno della Costituzione Repubblicana sono consacrati due principi che potremmo definire speculari: da un lato la libertà dell’ insegnamento, dall’ altro il diritto di tutti ad essere istruiti (“La scuola è aperta a tutti”, come recita l’ art. 34, comma 1).

Il fatto che nella Costituzione siano sanciti i principi fondamentali riguardanti il sistema dell’ istruzione dimostra l’ importanza che lo Stato assegna alla scuola: infatti è lo Stato stesso che assume l’ onere di garantire il diritto all’ istruzione  per tutti. Ciò perché la scuola ha il compito di formare i futuri cittadini e la futura società.

Tanto è considerata fondamentale l’ istruzione che la Costituzione ha stabilito che essa debba essere, almeno per un primo periodo, obbligatoria e gratuita; ciò significa che il cittadino, per un certo periodo di tempo della sua vita, deve necessariamente essere istruito anche, eventualmente, contro la sua volontà. Ciò fa sì che si parli di servizio pubblico sociale a fruizione coattiva[3]. L’ obbligo scolastico, sancito in Costituzione (l’ art. 34 fa riferimento ad un periodo di almeno 8 anni) si giustifica anche alla luce di altre importanti disposizioni costituzionali, ossia gli artt. 3 e 4. Con riferimento all’ art. 3 si può dire che l’ obbligo scolastico permette la realizzazione dell’ uguaglianza sostanziale e del pieno sviluppo della persona umana; consente, inoltre, la partecipazione all’ organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Per quanto riguarda, invece, la disposizione dell’ art. 4 si deve considerare il fatto che l’ istruzione costituisce un dovere sociale: infatti l’ assolvimento dell’ obbligo scolastico è un’ azione propedeutica allo svolgimento, “secondo le proprie possibilità e la propria scelta, di un’ attività o di una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Dunque l’ istruzione è, da una parte, diritto soggettivo, dall’ altra dovere sociale.

Nell’ analisi delle norme costituzionali che trattano di scuola e istruzione si deve anche fare riferimento alla riforma del Titolo 5° ed al nuovo art. 117. Come è noto, la Costituzione Repubblicana prevede il decentramento amministrativo nei servizi che dipendono dallo Stato (art. 5); tra questi va certamente annoverato quello dell’ istruzione.

L’ art. 117, come riformato nel 2001 dalla legge costituzionale n. 3, sancisce che:

·         lo Stato ha potestà legislativa esclusiva per quanto riguarda le norme generali sull’ istruzione (cfr. anche l’ art. 33);

·         Stato e Regioni hanno potestà legislativa concorrente in materia di istruzione, salva l’ autonomia delle istituzioni scolastiche e con l’ esclusione dell’ istruzione e della formazione professionale.

    

Sebbene l’ istruzione sia da garantire come servizio pubblico, il costituente, ha lasciato anche ai privati la possibilità di offrire il servizio dell’ istruzione, creando un equilibrio tra pubblico e privato e  favorendo il pluralismo nell’ istruzione, fondamentale in una società aperta e democratica. Tuttavia l’ art. 33 della Costituzione pone un limite preciso alla possibilità per i privati di offrire il servizio: che essi istituiscano scuole senza oneri per lo Stato; inoltre gli istituti creati da privati devono chiedere la parità e la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi per le scuole non statali deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello riservato a coloro che frequentano istituti statali.

Dopo l’ entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, la riforma della scuola operata da Giovanni Gentile nel 1923 rimase sostanzialmente in vigore fino a quando, nel 1962, il Parlamento approvò la legge istitutiva della scuola media unica (legge 31 dicembre 1962, n. 1859). Veniva in tal modo attuata la disposizione dell’ art. 34 della Costituzione in base alla quale l’ istruzione deve essere impartita per almeno 8 anni e deve essere obbligatoria e gratuita. La legge del 1962 aboliva le scuole di avviamento professionale, i primi 3 anni del ginnasio, i primi 4 anni degli istituti magistrali e tecnici, i corsi inferiori dei conservatori di musica e delle scuole d’ arte e le classi post-elementari previste dal T.U. n. 577 del 1928.

La scuola media unica, che è scuola secondaria di 1° grado, garantisce a una formazione di base uguale per tutti.

Altro elemento di novità nel periodo repubblicano è costituito dall’ introduzione, nel 1968, della scuola materna statale (legge 18 marzo 1968, n. 444), la quale accoglie i bambini dai 3 ai 6 anni di età preparandoli alla scuola dell’ obbligo e contribuendo con la famiglia allo sviluppo della loro personalità.

Nel 1971 venne istituito il tempo pieno (legge 24 settembre 1971, n. 820).

Nel 1973 venne emanata una legge delega (legge 30 luglio 1973, n. 477) con la quale il Parlamento delegava il Governo all’ emanazione di norme sul riordinamento dell’ organizzazione della scuola e sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola dello Stato. La risultante furono i decreti legislativi nn. 416, 417, 418, 419, 420, emanati il 31 maggio 1974. Le norme in essi contenute riguardavano, tra l’ altro:

·         Istituzione e riordinamento degli organi collegiali della scuola

·         Sperimentazione e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale;

·         Stato giuridico del personale della scuola statale.

Nel 1977, con la legge n. 517, si sancì che, in una scuola realmente aperta a tutti devono trovare posto anche alunni portatori di handicap.

Nel 1990, con la legge 5 giugno 1990, n. 148 si attuò la riforma della scuola elementare. L’ art. 1, comma 1 della legge stabilisce che la scuola elementare provvede alla formazione dell’ uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e nel rispetto e nella valorizzazione delle diversità individuali, sociali e culturali. In base al comma 2 dell’ art. 1 la scuola elementare assicura la continuità del processo formativo mediante opportuni raccordi con la scuola materna e con quella media.

L’ art. 3 stabilisce che le classi non possono essere formate da più di 25 alunni, salvo il limite di 20 sancito per le classi nelle quali ci sono portatori di handicap.

Novità importante è prevista nell’ art. 10, il quale sancisce che nella scuola elementare deve essere insegnata una lingua straniera.

Molti dei provvedimenti normativi su scuola e istruzione sono stati raccolti in un Testo Unico (decreto legislativo n. 297 del 16 aprile 1994). Tuttavia il quadro normativo non si esaurisce con il T.U. Occorre infatti considerare altre norme che completano il quadro, come ad esempio la normativa contrattuale, quella sul pubblico impiego e le norme intervenute dopo l’ emanazione del T.U. a regolare la materia.

Tra queste consideriamo le più significative:

·         La legge 10 dicembre 1997, n. 425, che ha riformato gli esami di maturità;

·         La legge 10 febbraio 2000, n. 30, che ha riformato i cicli d’ istruzione;

·         La legge 20 gennaio 1999, n. 9, che ha innalzato l’ obbligo scolastico;

·         La legge 17 maggio 1999, n. 144, che ha introdotto l’ obbligo formativo.

Con riferimento al primo provvedimento, esso ha articolato il nuovo esame di Stato su 3 prove scritte di cui una a carattere multidisciplinare, e una prova orale. La legge ha inoltre introdotto la valutazione in centesimi ed il parametro valutativo del credito scolastico.

Il secondo strumento normativo menzionato, ossia la legge n. 30 del 2000 ha basato il sistema scolastico su 2 cicli d’ istruzione (scuola di base e scuola secondaria) in luogo dei precedenti 3. Tale legge non è stata sostanzialmente attuata ed è stata completamente superata dalla legge 28 marzo 2003, n. 53 (riforma Moratti).

Il terzo provvedimento (l. 9 del 1999) ha portato l’ obbligo scolastico da 8 a 10 anni.

L’ ultimo provvedimento menzionato (legge 144 del 1999) prevede, a partire dall’ anno scolastico 1999-2000, l’ obbligo di frequentare attività formative fino al compimento del 18° anno d’ età. Tale obbligo può essere assolto nel sistema scolastico, in quello della formazione professionale di competenza regionale e nell’ esercizio dell’ apprendistato.

 

5. LA RIFORMA MORATTI

 

La riforma operata dal Ministro dell’ Istruzione Letizia Moratti si è concretizzata nella legge 28 marzo 2003, n. 53. Detta legge contiene la “delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’ istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale”.

L’ art. 1 comma 1 della legge stabilisce che il Governo è delegato ad adottare, entro 24 mesi dall’ entrata in vigore, uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull’ istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni. Ciò al fine di favorire la crescita e la valorizzazione della persona umana, nel rispetto dei ritmi dell’ età evolutiva, delle differenze e dell’ identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione  tra scuola e genitori, in coerenza con il principio dell’ autonomia scolastica e con i principi della Costituzione.

L’ art. 2 stabilisce i principi ed i criteri direttivi su cui si devono basare i decreti legislativi. I più significativi sono:

·         Promozione dell’ apprendimento in tutto l’ arco della vita; pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze;

·         Promozione del conseguimento di una formazione spirituale e morale, anche ispirata ai principi della Costituzione;

·         Deve essere assicurato a tutti il diritto all’ istruzione ed alla formazione per almeno 12 anni  e comunque sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno d’ età;

·         Il sistema di istruzione e formazione professionale si basa su una scuola dell’ infanzia, su un primo ciclo (scuola primaria e scuola secondaria di 1° grado) e su un secondo ciclo (licei e sistema di istruzione e formazione professionale);

·         La scuola dell’ infanzia dura 3 anni e concorre all’ educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale dei bambini e delle bambine dai 3 ai 6 anni;

·         Il primo ciclo di istruzione è costituito dalla scuola primaria che dura 5 anni e dalla scuola secondaria di 1° grado, che dura 3 anni. La scuola primaria è strutturata in un primo anno nel quale si devono raggiungere le strumentalità di base e in due periodi didattici biennali. La scuola secondaria di primo grado è articolata in un biennio e in un terzo anno che completa prioritariamente il percorso e assicura il raccordo con il secondo ciclo; la scuola primaria promuove lo sviluppo della personalità nel rispetto delle diversità individuali, fa acquisire e sviluppare le conoscenze e le abilità di base fino alle prime sistemazioni logico-critiche. Inoltre deve far conoscere almeno una lingua dell’ Unione Europea oltre la lingua italiana;

·         Il secondo ciclo è finalizzato alla crescita educativa, culturale e professionale dei giovani, allo sviluppo dell’ autonoma capacità di giudizio e all’ esercizio della responsabilità personale e sociale.

L’ art. 4 della legge prevede l’ alternanza scuola-lavoro. Gli studenti che hanno compiuto il quindicesimo anno d’ età possono frequentare i corsi del 2° ciclo in alternanza scuola-lavoro. Anche per quanto riguarda questa materia il Governo è delegato all’ emanazione di un apposito decreto legislativo, secondo principi e criteri direttivi, tra cui:

·         Svolgimento dell’ intera formazione dai 15 ai 18 anni attraverso l’ alternanza scuola-lavoro sotto la responsabilità dell’ istituzione scolastica o formativa sulla base di convenzioni con le imprese, con le rispettive associazioni di rappresentanza o con le Camere di Commercio

·         Fornire indicazioni generali per il reperimento e l’ assegnazione delle risorse finanziarie necessarie alla realizzazione dei percorsi di alternanza.

Per quanto riguarda la formazione degli insegnanti, l’ art. 5 stabilisce principi e criteri direttivi ai quali si devono uniformare i decreti legislativi di cui all’ art. 1. Tra questi ricordiamo:

·         La formazione di base per gli insegnanti deve essere di pari dignità per tutti i docenti e avviene nei corsi universitari di laurea specialistica.

 

 

6. L’ ATTUAZIONE DELLA RIFORMA MORATTI

 

Il primo provvedimento normativo attuativo della riforma Moratti è il decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59. Esso contiene norme di carattere generale sulla scuola dell’ infanzia, sul primo ciclo d’ istruzione e sulle prestazioni essenziali che devono essere fornite da tutte le istituzioni scolastiche.

Il decreto è abbastanza schematico e contiene disposizioni riguardanti le finalità, l’ accesso, le attività educative e didattiche ed il sistema di valutazione nella scuola dell’ infanzia e nel primo ciclo d’ istruzione (scuola primaria e scuola secondaria di 1° grado). Per quanto concerne il termine del primo ciclo d’ istruzione, sono previsti esami di stato. 

Nel decreto sono anche contenuti degli allegati indicanti le indicazioni nazionali per i piani personalizzati delle attività educative nelle scuole dell’ infanzia (allegato A), le indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella scuola primaria (allegato B) e in quella secondaria di 1° grado (allegato C).

Infine, l’ allegato D contiene il “profilo educativo, professionale e culturale dello studente alla fine del primo ciclo d’ istruzione (6-14 anni)”.

Le scuole devono attenersi ai piani suddetti, agendo però in autonomia. Ciò significa che hanno valore vincolante solamente gli obiettivi generali e quelli specifici di apprendimento.

Altro decreto di attuazione della riforma Moratti è il decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 76, il quale contiene le norme generali sul diritto-dovere all’ istruzione e alla formazione professionale. 

Il diritto-dovere dell’ istruzione si realizza nei 2 cicli di scuola primaria e scuola secondaria.

Poiché, come è stato già detto, l’ istruzione costituisce anche un dovere sociale (cfr. l’ art. 4 della Costituzione), è necessario anche porre delle norme riguardanti la vigilanza sul rispetto dell’ obbligo scolastico. In base all’ art. 7 del decreto sono previsti meccanismi sanzionatori per gli inadempimenti. La responsabilità per l’ adempimento dell’ obbligo spetta ai genitori dei minori o a coloro che ne fanno le veci. Alla vigilanza, invece, provvedono:

·         Il comune di residenza dei giovani soggetti all’ adempimento;

·         I dirigenti scolastici o i responsabili;

·         I servizi per l’ impiego.

Gli studenti possono assolvere all’ obbligo scolastico, per quanto riguarda il 2° ciclo, anche attraverso il percorso formativo di alternanza scuola-lavoro, tra i 15 ed i 18 anni d’ età. Ciò in base al decreto legislativo 15 aprile 2005, n. 77. I percorsi di alternanza sono progettati, attuati, verificati e valutati sotto la responsabilità dell’ istituzione scolastica, sulla base di accordi con le imprese, con le associazioni di rappresentanza di queste, le camere di commercio e altri enti, pubblici o privati. I percorsi di alternanza si svolgono alternando, appunto, periodi di apprendimento in aula e periodi di lavoro in imprese.

L’ ultimo dei decreti attuativi della riforma Moratti è il d. lgs. 17 ottobre 2005, n. 226, il quale ha riformato il secondo ciclo d’ istruzione ossia quello riguardante la scuola secondaria superiore.

L’ art. 1, comma 3, del decreto sancisce che nel secondo ciclo di istruzione si persegue la formazione intellettuale, spirituale e morale degli studenti, anche ispirata ai principi della Costituzione, lo sviluppo della coscienza storica, dell’ appartenenza alla comunità locale, alla collettività nazionale e alla civiltà europea. Il secondo ciclo è costituito dal sistema dei licei e della formazione professionale. Esso realizza il secondo grado dell’ obbligo (del diritto-dovere) di istruzione e formazione professionale.

Sempre in base all’ art. 1 del decreto, lo Stato garantisce i livelli essenziali delle prestazioni relative al secondo ciclo d’ istruzione e formazione professionale.

In base all’ art. 2 del decreto, la finalità essenziale del secondo ciclo è quella di fornire gli strumenti metodologici e culturali per una comprensione approfondita ed elevata dei temi legati alla società e alla persona nella realtà contemporanea. Ciò affinché lo studente si ponga di fronte ad essa con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico.

I percorsi liceali hanno durata quinquennale e si concludono con un esame di Stato. Il sistema dei licei si sviluppa in 8 articolazioni:

·         Liceo classico;

·         Liceo scientifico;

·         Liceo artistico;

·         Liceo linguistico;

·         Liceo economico;

·         Liceo musicale e coreutico;

·         Liceo delle scienze umane;

·         Liceo tecnologico.

Ognuna di queste articolazioni approfondisce la cultura liceale nei vari ambiti specifici[4].

 

 

7. L’ ANALISI DELLE VARIE TIPOLOGIE DI SCUOLA NEL VIGENTE SISTEMA

 

7.1 La scuola dell’ infanzia

 

Come abbiamo avuto modo di vedere, la scuola dell’ infanzia fu istituita nel 1968, con la legge n. 444 ed ha finalità di educazione, sviluppo della personalità infantile e preparazione alla scuola dell’ obbligo, integrando l’ opera della famiglia. La scuola dell’ infanzia non è obbligatoria, ma facoltativa; la frequenza è gratuita.

In base a quanto stabilito dalla riforma Moratti e dal decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, la scuola materna ha durata triennale e concorre allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale dei bambini dai 3 ai 6 anni.

L’ orario di funzionamento varia da un minimo di 875 ore annuali ad un massimo di 1700, comprensive della quota riservata alle regioni, alle istituzioni scolastiche autonome e all’ insegnamento della religione cattolica.

 

7.2 La scuola primaria

 

La scuola primaria dura 5 anni ed è articolata in un anno di raccordo con la scuola dell’ infanzia e teso al conseguimento delle strumentalità di base. Gli altri 4 anni costituiscono due periodi didattici biennali.

La scuola elementare ha la finalità di promuovere la formazione dell’ uomo e del cittadino secondo i principi della Costituzione, di dare la prima alfabetizzazione culturale e di sviluppare la personalità del fanciullo.

Per quanto concerne gli insegnanti, fino ad oggi operano, dopo un primo periodo in cui c’ era l’ insegnante unico, 3 docenti su 2 classi. La prospettiva che si pone oggi, invece, è quella di un ritorno al maestro unico.

L’ orario annuale delle lezioni, comprensivo della quota riservata alle regioni, all’ autonomia delle istituzioni scolastiche e all’ insegnamento della religione cattolica è di 891 ore. Il tempo dedicato alla mensa e al dopo mensa è di 330 ore massime.

Per quanto riguarda la valutazione, essa è affidata ai docenti responsabili delle attività didattiche ed educative previste dai piani di studio personalizzati; essa è periodica e annuale.

L’ art. 7, commi 5, 6, 7, del decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59, prevede che per le attività di cui al comma 2, ossia quelle attività legate alla personalizzazione del piano di studi, un docente tutor in possesso di una specifica formazione svolga una funzione di orientamento in ordine alla scelta delle stesse.

 

7.3 La scuola secondaria di 1° grado

 

La scuola secondaria di primo grado (scuola media), è articolata in tre anni. Come abbiamo già avuto modo di vedere, la scuola media unica fu istituita nel 1962; prima di questo anno esistevano la scuola media e la scuola per l’ avviamento professionale.

La scuola media è di formazione dell’ uomo e del cittadino, che colloca nel mondo, orientativa e secondaria.

La riforma Moratti e il decreto legislativo n. 59 del 2004, attuativo della stessa, hanno sancito che la scuola media:

·         È finalizzata alla crescita delle capacità autonome di studio e al rafforzamento delle attitudini all’ interazione sociale;

·         Organizza ed accresce, anche attraverso l’ alfabetizzazione e l’ approfondimento delle tecnologie informatiche, le conoscenze e le abilità;

·         È caratterizzata dalla diversificazione didattica e metodologica in relazione allo sviluppo della personalità dell’ allievo;

·         Cura la dimensione sistematica delle discipline;

·         Sviluppa progressivamente le competenze e le capacità di scelta in base alle attitudini;

·         Fornisce strumenti adeguati alla prosecuzione delle attività di istruzione e formazione;

·         Introduce lo studio di una seconda lingua dell’ Unione Europea;

·         Orienta le successive scelte di istruzione e di formazione.

L’ orario annuale della scuola media è di 891 ore. Possono essere organizzati altri insegnamenti ed attività per ulteriori 198 ore annue.

Anche per la scuola secondaria di 1° grado è previsto il docente tutor per l’ organizzazione e la scelta delle attività dei piani di studio personalizzati.

La valutazione avviene da parte dei docenti su tutti gli apprendimenti, sia obbligatori sia opzionali; ai fini della validità dell’ anno scolastico, l’ alunno deve aver frequentato almeno i ¾ dell’ orario annuale obbligatorio e facoltativo prescelto.

Il primo ciclo di istruzione si conclude con un esame di Stato.

 

 

7.4 La scuola secondaria di 2° grado

 

La scuola secondaria di 2° grado ha lo scopo di preparare gli studenti agli studi universitari o all’ entrata nel mondo del lavoro.

Prima che nel 2003 intervenisse la riforma Moratti, la scuola superiore era organizzata nel sistema dei licei, che prevedeva:

·            Il liceo classico;

·            Il liceo scientifico;

·            L’ istituto magistrale (per la preparazione degli insegnanti elementari);

·            La scuola magistrale (per la preparazione all’ insegnamento nella scuola materna);

·            Gli istituti tecnici;

·            Gli istituti professionali;

·            I licei artistici;

·            Gli istituti d’ arte.

La riforma Moratti (legge n. 53 del 2003) ha ridisegnato il secondo ciclo d’ istruzione, che ora risulta disciplinato dal decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226.

Il secondo ciclo è articolato nel sistema dei licei e in quello dell’ istruzione e della formazione professionale, che sono considerati di pari dignità; essi si propongono il fine di promuovere l’ educazione alla convivenza civile, la crescita educativa, culturale e professionale dei giovani.

 

 

7.4.1   I percorsi liceali

 

La parola “liceo” deriva dalla scuola che Aristotele fondò nel 336 a.C. nel ginnasio dedicato ad Apollo Licio. Il liceo di Aristotele è considerato la prima scuola superiore della storia e costituisce forse la massima istituzione culturale dell’ antichità. I licei sono dunque le fondamentali scuole che trasmettono la cultura più alta.

In base all’ art. 2 del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, “i percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e metodologici per una comprensione approfondita ed elevata dei temi legati alla persona ed alla società contemporanea, affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai suoi fenomeni e ai problemi che la investono, ed acquisisca la padronanza di conoscenze, competenze, abilità e capacità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte personali, e le competenze adeguate all’ inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro”.

I percorsi liceali hanno durata quinquennale e si concludono con l’esame di Stato.

 

 

7.4.2 Gli istituti tecnici e gli istituti professionali

 

In base alla legge 2 aprile 2007, n. 40, gli istituti tecnici e professionali sono considerati parte del sistema di istruzione secondaria in luogo dei percorsi liceali economico e tecnologico.

Prescrive l’ art. 13, comma 1-bis del decreto coordinato con la legge di conversione, che gli istituti tecnici e professionali sono finalizzati al conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore e attivano ogni opportuno collegamento con il mondo del lavoro e dell'impresa, ivi compresi il volontariato e il privato sociale, con la formazione professionale, con l' universita' e la ricerca e con gli enti locali.

Esistono varie tipologie di istituti tecnici e professionali. Per quanto riguarda i primi ricordiamo:

·            Istituto tecnico commerciale;

·            Istituto tecnico industriale;

·            Istituto tecnico per geometri;

·            Istituto tecnico agrario;

·            Istituto tecnico turistico;

·            Istituto tecnico per le attività sociali;

·            Istituto tecnico aeronautico;

·            Istituto tecnico per perito aziendale e corrispondente in lingue estere.

Fra i secondi:

·            Istituto professionale agrario;

·            Istituto professionale abbigliamento e moda;

·            Istituto professionale chimico e biologico;

·            Istituto professionale elettrico ed elettronico;

·            Istituto professionale meccanico-termico;

·            Istituto professionale alberghiero e della ristorazione;

·            Istituto professionale economico aziendale e turistico;

·            Istituto professionale per la pubblicità;

·            Istituto professionale per i servizi sociali.

Anche il percorso degli istituti tecnici e professionali si conclude con l’ esame di Stato.

 

8. IL SISTEMA DI ISTRUZIONE NON STATALE

 

L’ art. 33 della Costituzione sancisce che enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituzioni educative senza oneri per lo Stato. Questo è il principio del pluralismo nell’ istruzione: oltre lo Stato, infatti, anche altre istituzioni (anche private e religiose, per esempio), possono istituire scuole a determinate condizioni. Tali condizioni sono stabilite sia in Costituzione, sia anche da fonti legislative ordinarie, quali la legge sulla parità scolastica (legge 10 marzo 2000, n. 62). Per quanto concerne la Costituzione si è già detto che essa prescrive che le istituzioni educative non statali devono essere istituite senza oneri per lo Stato. Per quanto riguarda invece la legge sulla parità scolastica, essa stabilisce all’ art. 1, comma 4, che le scuole non statali (definite paritarie) siano in linea con i seguenti principi:

 

a)                   un progetto educativo in armonia con i princípi della Costituzione; un piano dell'offerta formativa conforme agli ordinamenti e alle disposizioni vigenti; attestazione della titolarità della gestione e la pubblicità dei bilanci;

b) la disponibilità di locali, arredi e attrezzature didattiche propri del tipo di scuola e conformi alle norme vigenti;

c) l'istituzione e il funzionamento degli organi collegiali improntati alla partecipazione democratica;

d) l'iscrizione alla scuola per tutti gli studenti i cui genitori ne facciano richiesta, purché in possesso di un titolo di studio valido per l'iscrizione alla classe che essi intendono frequentare;

e) l'applicazione delle norme vigenti in materia di inserimento di studenti con handicap o in condizioni di svantaggio;

f) l'organica costituzione di corsi completi: non può essere riconosciuta la parità a singole classi, tranne che in fase di istituzione di nuovi corsi completi, ad iniziare dalla prima classe;

g) personale docente fornito del titolo di abilitazione;

h) contratti individuali di lavoro per personale dirigente e insegnante che rispettino i contratti collettivi nazionali di settore.

I direttori scolastici regionali hanno la facoltà di eseguire controlli sull’ esistenza dei succitati requisiti con una periodicità non eccedente il triennio.

Possiamo notare, dunque, che il sia il Costituente che il legislatore ordinario hanno inteso stabilire un sistema di istruzione misto, basato sul pubblico e sul privato, in modo da realizzare un sano ed equilibrato pluralismo, congeniale ad una società aperta e democratica.

Tuttavia, però, siccome l’ istruzione costituisce un settore importante e di dimensione pubblica, lo Stato pone comunque dei vincoli e delle condizioni per il suo corretto esercizio da parte di altri enti.

 

8.1 LE VARIE TIPOLOGIE DI SCUOLE NON STATALI

 

La suddivisione delle scuole non statali in varie tipologie non vale per la scuola materna.

Invece le scuole elementari non statali si dividono in:

- scuole parificate: sono quelle create da enti ed associazioni aventi personalità giuridica ed equipollenti a quelle statali. Lo Stato contribuisce tramite convenzione per le spese dovute al compenso dei docenti, che devono percepire lo stipendio legale;

- scuole sussidiate: sono scuole aperte da privati con l’autorizzazione dell’ ufficio scolastico regionale nelle località dove non esistono altre scuole statali o parificate. Esse percepiscono un sussidio dallo Stato, in forma di premio ai docenti;

- scuole private autorizzate: sono autorizzate con un provvedimento del Direttore didattico competente per territorio e gestite da cittadini che siano in possesso di diploma di maturità magistrale, classica o tecnica. Esse devono uniformarsi agli obiettivi dei programmi in vigore per la scuola elementare statale e sono sottoposte alla vigilanza dell’ ufficio scolastico regionale.

Le scuole secondarie non statali sono suddivise in:

 

- scuole legalmente riconosciute: sono istituite da enti o privati cittadini che rilasciano titoli di studio legali; il riconoscimento è accordato se sussistono determinate condizioni, quali: sede scolastica con caratteristiche di sicurezza, igieniche, didattiche consone; insegnamenti ed esercitazioni dello stesso tipo di quelle impartite nelle scuole statali dello stesso tipo; docenti e personale direttivo con gli stessi requisiti di quelli della scuola statale; alunni provvisti di titoli di studio per le classi che frequentano.

    - scuole pareggiate: sono quelle mantenute da enti pubblici o da enti          

ecclesiastici indicati dall’ art. 29 del Concordato. Per il pareggiamento sono previsti determinati requisiti, quali: numero e tipo di cattedre uguali a quelli delle corrispondenti scuole statali; personale docente nominato a seguito di pubblico concorso; trattamento economico iniziale per il personale di ruolo pari a quello delle scuole statali.

- scuole private: sono create da enti o privati con presa d’ atto da parte del Ministero della Pubblica Istruzione. Possono svolgere la loro attività senza l’ autorizzazione del Ministero, ma il Ministro può disporre la loro chiusura per motivi di ordine morale o didattico. Le scuole private non possono rilasciare titoli di studio con valore legale, possono essere aperte alla generalità dei cittadini ed i loro piani di studi possono non essere conformi a quelli delle scuole statali.    

 

 

9. L’ AUTONOMIA DELLE ISTITUZIONI SCOLASTICHE

 

Il nostro ordinamento costituzionale riconosce e garantisce alle istituzioni scolastiche l’ autonomia, che si concretizza in vari ambiti: essa è autonomia finanziaria, contabile, didattica, organizzativa, di sperimentazione e funzionale.

In base a quanto sancito dall’ art. 21 della legge 59 del 1997, si attua prima di tutto attraverso l’ attribuzione della personalità giuridica alle istituzioni scolastiche. La personalità giuridica viene accordata alle scuole che raggiungano, entro e non oltre il 31 dicembre 2000, una ben precisa dimensione, definita come dimensione ottimale sulla base di precisi parametri economici, sociali, demografici e geografici dei relativi bacini di utenza[5].

 

9.1 L’ autonomia finanziaria e contabile

 

Il comma 5 dell’ art. 21 della legge 59 del 1997, come modificato dal decreto-legge 28-8-2000, n. 240, convertito nella legge 27-10-2000, n. 306, ha previsto che lo Stato eroghi alle scuole una dotazione finanziaria ordinaria determinata sulla base di parametri fissi e, in particolari casi, un’ assegnazione perequativa.

Le risorse assegnate dallo Stato hanno come unico vincolo di destinazione quello dello svolgimento delle attività di istruzione, formazione, orientamento.

L’ autonomia contabile, come prevista dal d.m. 1-2-2001, n. 44, si concretizza nell’ autonoma allocazione delle risorse.

 

9.2 L’ autonomia didattica

 

Trattando di autonomia didattica occorre premettere che esiste un sistema nazionale di istruzione. Ciò implica che il nucleo essenziale dell’ istruzione costituisce materia di interesse nazionale e non può essere frammentato. Ciò detto, tuttavia, bisogna dire che il perseguimento degli scopi del sistema nazionale di istruzione viene raggiunto anche attraverso l’ autonomia didattica delle istituzioni scolastiche.

L’ autonomia didattica si traduce nella scelta libera e programmata delle metodologie, degli strumenti, dell’ organizzazione e dei tempi di insegnamento. In attuazione dell’ autonomia didattica possono anche essere offerti insegnamenti opzionali, facoltativi ed aggiuntivi.

Il documento fondamentale attraverso il quale si esplica l’ autonomia didattica è il Piano dell’ offerta formativa (POF). Esso viene elaborato dal Collegio dei docenti sulla base degli indirizzi generali per le attività della scuola e sulla base delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal consiglio di circolo e di istituto. Nell’ elaborazione del POF il collegio dei docenti deve anche tenere in considerazione i pareri delle associazioni dei genitori e, per quanto riguarda la scuola secondaria di secondo grado, degli studenti.

Attraverso il POF, l’ istituzione scolastica esprime la propria identità culturale e progettuale delineando gli itinerari curricolari, extracurricolari ed educativi.

 

9.3 L’ autonomia organizzativa

 

L’ autonomia organizzativa consente alle istituzioni scolastiche di organizzarsi liberamente al fine di realizzare la flessibilità, la diversificazione, l’ efficienza e l’ efficacia del servizio scolastico, la migliore utilizzazione delle risorse e delle strutture.

 

 

9.4 L’ autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo

 

Le scuole esercitano anche, singolarmente o in forma associata, l’ autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo in armonia con le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali.

L’ autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo si esplica, per esempio, attraverso l’ innovazione metodologica e disciplinare, la formazione e l’ aggiornamento culturale del personale, gli scambi di informazioni, esperienze e materiali didattici. 

 

 

9.5 L’ autonomia funzionale

 

La scuola vede riconosciuto anche l’ esercizio di funzioni e competenze in precedenza proprie delle istituzioni dell’ amministrazione centrale e periferica relative a:

- carriera scolastica e rapporto con gli alunni;

- amministrazione e gestione del patrimonio e delle risorse finanziarie;

- stato giuridico ed economico del personale.

 

 

10. SITUAZIONE ATTUALE E PROSPETTIVE FUTURE PER IL SISTEMA SCOLASTICO ITALIANO

 

Attualmente e già a partire dal 2006, il sistema scolastico italiano vive un momento di profondo rinnovamento o, almeno, di tentativo di rinnovamento, pur tra molte resistenze.

L’ inizio di questo grande cambiamento, a giudizio di chi scrive positivo, è iniziato a partire dal 2006, ed è dovuto all’ azione del Ministro dell’ epoca, Giuseppe Fioroni, il quale ha avuto il merito di riportare nell’ istituzione scolastica il necessario rigore, la meritocrazia e la serietà. I provvedimenti più significativi che sono stati posti in essere durante la gestione del Ministro Fioroni sono:

·              la legge 11 gennaio 2007, n. 1;

·              il decreto-legge 7 settembre 2007, n. 147, convertito nella legge 25 ottobre 2007, n. 176.

Il primo provvedimento reca “Disposizioni in materia di esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria e delega al Governo in materia di raccordo tra la scuola e le università”.

Con tale strumento normativo l’ esame di Stato conclusivo della scuola secondaria superiore (cosiddetto esame di maturità) è stato reso più serio; infatti sono stati resi più rigidi i criteri di ammissione all’ esame stesso, non essendo più sufficiente che gli studenti abbiano frequentato l’ ultimo anno di corso, ma essendo necessario che essi siano stati valutati positivamente nello scrutinio finale ed abbiano comunque saldato i debiti formativi contratti nei precedenti anni scolastici. Coloro che vogliono anticipare l’ esame per merito dovranno non solo avere conseguito 8/10 in tutte le materie nel penultimo anno, ma anche 7/10 nei due anni precedenti.

Il secondo provvedimento, o meglio la legge di conversione, reca, tra l’ altro, “disposizioni urgenti per l’ ordinato avvio dell’ anno scolastico 2007-2008” e ha ristabilito il tempo pieno. Inoltre ha stretto le maglie per i provvedimenti disciplinari nei confronti:

·                             dei docenti assenteisti, per i quali si abbassa il termine per l’ irrogazione di sanzioni;

·                             dei docenti che si sono resi colpevoli di reati gravi che possono essere sospesi cautelativamente dal Capo d’ istituto;

Per quanto riguarda i candidati esterni agli esami di maturità, essi potranno esprimere preferenze per gli istituti nei quali sostenere l’esame, ma sarà comunque il dirigente preposto all’ ufficio scolastico regionale ad assegnare la sede d’ esame.

Il “decreto Fioroni” prevede poi regole più severe per l’ ammissione all’ esame di terza media, che è a tutti gli effetti esame di Stato: è infatti previsto un giudizio di ammissione.

Tra gli interventi positivi realizzati dal Ministro Fioroni, ricordiamo anche il suo impegno contro il bullismo nelle scuole come testimonia, per esempio, la direttiva n. 16 del 5 febbraio 2007, e il decalogo del 15 marzo 2007 con cui si vieta l’ uso dei cellulari  nelle scuole, sia da parte degli studenti che da parte dei docenti.  Dobbiamo considerare, poi, che il Ministro Fioroni ha stabilito tempi più certi per il recupero dei debiti formativi degli studenti delle scuole superiori, per cui se uno studente non colma le sue lacune entro il 31 agosto o, comunque, prima che inizi il nuovo anno scolastico, dovrà ripetere l’ anno. Da ultimo, e ciò non sembri soltanto un formalismo di poco conto, egli ha reintrodotto la definizione di “Ministero della Pubblica Istruzione”, in luogo della precedente definizione, che qualificava il Dicastero come “Ministero dell’ Istruzione, dell’ Università e della Ricerca”.

La positiva azione portata avanti dal Ministro Fioroni sembra continuare anche con il nuovo responsabile dell’ istruzione, Mariastella Gelmini.

Il provvedimento più significativo del nuovo Ministro è il decreto-legge 1 settembre 2008, n. 137, recante “disposizioni urgenti in materia di istruzione ed Università”. Il decreto è stato approvato dalla Camera dei Deputati il 9 ottobre scorso ed il Senato ha tempo fino al prossimo 31 ottobre per approvarlo.

Le disposizioni più importanti contenute nel decreto sono le seguenti:

- Assegnazione delle classi elementari ad un insegnante unico;

- deve essere espressa una valutazione sulla condotta degli studenti e solamente se questa è positiva (non inferiore ai 6 decimi), l’ alunno sarà ammesso a frequentare l’ anno successivo;

- nella scuola secondaria di primo grado la valutazione periodica ed annuale dell’ apprendimento degli alunni è espressa in decimi (ossia, c’ è un ritorno ai voti numerici);

- adozione dei libri di testo con cadenza quinquennale per evitare spese ingiustificate;

- studio dell’ educazione civica e della Costituzione;

- finanziamento per interventi nell’ edilizia scolastica e per la messa in sicurezza degli istituti.

Questo provvedimento, ancora non divenuto legge, viene proprio in questi giorni contestato, spesso aspramente, da più parti, ma a parere di chi scrive è positivo e segue la via già tracciata dal precedente Ministro, Giuseppe Fioroni, riportando rigore e serietà nel sistema d istruzione italiano.

Particolarmente positivo risulta il fatto che il decreto Gelmini reintroduca lo studio dell’ educazione civica e della Costituzione, indispensabile affinché si formi una coscienza nazionale nei cittadini fin dalla tenera età.

Qualche perplessità si potrebbe forse manifestare a proposito della reintroduzione del maestro unico, ma del resto è forse più opportuno che i bambini abbiano una sola figura alla quale fare riferimento. Il problema deriva semmai dal fatto che molti insegnanti resteranno senza lavoro, ma bisogna considerare il fatto che la scuola deve essere a misura dei discenti, e non a misura dei docenti. Il problema degli insegnanti in più deve essere certamente risolto, ma non di tutto può farsi carico la scuola.

Le perplessità sulla gestione del sistema dell’ istruzione da parte dell’ attuale amministrazione possono manifestarsi anche con riferimento ai tagli che l’ attuale Governo sta operando. A proposito di ciò si devono svolgere alcune considerazioni; da una parte bisogna tenere presente che il sistema scolastico va razionalizzato eliminando inutili sprechi, rendite di posizione e privilegi; ciò soprattutto in tempi di crisi internazionale quali sono quelli che stiamo vivendo oggi. Tuttavia la giusta opera di razionalizzazione e snellimento delle spese va contestualizzata in un ambito più ampio: infatti, se è vero che si sta vivendo un periodo di crisi grave, ciò vale per ogni settore della vita pubblica: questo implica che, se si deve procedere a tagli finanziari, non possono essere solo alcuni settori, per di più di capitale importanza (l’ istruzione e la sanità che oggi non può contare più nemmeno su un Ministero ad hoc, per esempio) a sopportarne il peso; i tagli dovrebbero, per quanto possibile, distribuiti su tutti i settori. Oggi, invece, si ridimensionano le risorse per l’ istruzione da una parte e si danno aiuti a piene mani alle banche ed alle industrie in difficoltà per la crisi finanziaria in atto dall’ altra, rispondendo positivamente ai diktat della Confindustria che assomiglia oggi più ad una lobby di affaristi che a quella borghesia illuminata e lungimirante che forse l’ Italia non ha mai avuto.    

A conclusione del nostro discorso possiamo dire che il sistema di istruzione italiano ha un grande bisogno di rigore e di serietà se vuole formare una classe dirigente degna e preparare le giovani generazioni a vivere e lavorare in un mondo selettivo e globalizzato quale è quello nel quale viviamo oggi. L’ azione iniziata da  Giuseppe Fioroni nel 2006 e proseguita da Mariastella Gelmini oggi sembra essere, pur tra le inevitabili ombre, quella giusta per il raggiungimento di questo obiettivo.  


BIBLIOGRAFIA

 

 

·                     CALCERANO (L.), MARTINEZ Y CABRERA (G.), Scuola, voce tratta da Enciclopedia del diritto, vol. XLI, CEDAM, Padova, 1989;

 

·                     SANDULLI (A.), Istruzione, voce tratta dal Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, vol. IV, Giuffré, Milano, 2006;

 

·                     Manuale di preparazione al concorso per 100 assistenti al Ministero della Pubblica Istruzione, Simone, 2007.

 

 

SITI INTERNET

        

     -    www.asca.it;

·                     www.camera.it;

·                     www.comune.san-piero-a-sieve.fi.it;

·                     www.corriere.it;

·                     www.ilsole24ore.com

·                     www.istruzione.it;

·                     www.lastampa.it;

·                     www.liceoamaldi.it;

·                     www.parlamento.it;

·                     www.senato.it;

 

 

 

 

APPENDICE

 


DECRETO-LEGGE 1 settembre 2008, n. 137 – Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università

Schema di piano programmatico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze di cui all’art. 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133

Accesso studenti stranieri, la proposta della Lega


 

 

 

DECRETO-LEGGE 1 settembre 2008, n. 137 – Disposizioni urgenti in materia di istruzione e università

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione [1];

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per l’attivazione nei percorsi di istruzione di insegnamenti relativi alla cultura della legalità e del rispetto dei principi costituzionali, per disciplinare le attività connesse alla valutazione complessiva del comportamento degli studenti nell’ambito della comunità scolastica, per ripristinare il valore abilitante dell’esame finale del corso di laurea in Scienze della formazione primaria e per la semplificazione e razionalizzazione delle procedure di accesso alle scuole di specializzazione medica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata nella riunione del 28 agosto 2008;

Sulla proposta del presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri dell’istruzione, dell’università e della ricerca, dell’economia e delle finanze, e per la pubblica amministrazione e per l’innovazione;

EMANA

Il seguente decreto-legge

Articolo 1.

Cittadinanza e Costituzione

1. A decorrere dall’inizio dell’anno scolastico 2008/2009, oltre ad una sperimentazione nazionale, ai sensi dell’articolo 11, del D.P.R. n. 275dell’8 marzo 1999 [2], sono attivate azioni di sensibilizzazione e di formazione del personale finalizzate all’acquisizione nel primo e nel secondo ciclo di istruzione delle conoscenze e delle competenze relative a "Cittadinanza e Costituzione", nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse. Iniziative analoghe sono avviate nella scuola dell’infanzia.

2. All’attuazione del presente articolo si provvede entro i limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Articolo 2.

Valutazione del comportamento degli studenti

1. Fermo restando quanto previsto dal decreto del Presidente dellaRepubblica 24 giugno 1998, n. 249 [3] e successive modificazioni, in materia di diritti, doveri e sistema disciplinare degli studenti nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado, in sede di scrutinio intermedio e finale viene valutato il comportamento di ogni studente durante tutto il periodo di permanenza nella sede scolastica anche in relazione alla partecipazione alle attività ed agli interventi educativi realizzati dalle istituzioni scolastiche anche fuori della propria sede.

2. La valutazione del comportamento è espressa in decimi.

3. La votazione sul comportamento degli studenti attribuita dal consiglio di classe concorre alla valutazione complessiva dello studente e determina, se inferiore a sei decimi, la non ammissione al successivo anno di corso o all'esame conclusivo del ciclo. Ferma l'applicazione della presente disposizione dall'inizio dell'anno scolastico di cui al comma 2, con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sono specificati i criteri per correlare la particolare e oggettiva gravità del comportamento al voto insufficiente, nonché eventuali modalità applicative del presente articolo.

Articolo 3.

Valutazione del rendimento scolastico degli studenti

1. Dall'anno scolastico 2008/2009, nella scuola primaria la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite è espressa in decimi ed illustrata con giudizio analitico sul livello globale di maturazione raggiunto dall'alunno.

2. Dall'anno scolastico 2008/2009, nella scuola secondaria di primo grado la valutazione periodica ed annuale degli apprendimenti degli alunni e la certificazione delle competenze da essi acquisite è espressa in decimi.

3. Sono ammessi alla classe successiva, ovvero all'esame di Stato a conclusione del ciclo, gli studenti che hanno ottenuto un voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline.

4. L'articolo 13, comma 3, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226[4], è abrogato e all'articolo 177 del decreto legislativo 16 aprile1994, n. 297 [5], sono apportate le seguenti modificazioni:

a) i commi 2, 5, 6 e 7, sono abrogati;

b) al comma 3, dopo le parole: «Per la valutazione» sono inserite le seguenti: «, espressa in decimi,»;

c) al comma 4, le parole: «giudizi analitici e la valutazione sul» sono sostituite dalle seguenti: «voti conseguiti e il»;

d) l'applicazione dei commi 1 e 8 dello stesso articolo 177 resta sospesa fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 5;

e) è altresì abrogata ogni altra disposizione incompatibile con la valutazione del rendimento scolastico mediante l'attribuzione di voto numerico espresso in decimi.

5. Con regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge23 agosto 1988, n. 400 [6], su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, si provvede al coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli studenti e sono stabilite eventuali ulteriori modalità applicative del presente articolo.

Articolo 4.

Insegnante unico nella scuola primaria

1. Nell'ambito degli obiettivi di contenimento di cui all'articolo 64 deldecreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 [7], convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, nei regolamenti di cui al relativo comma 4 è ulteriormente previsto che le istituzioni scolastiche costituiscono classi affidate ad un unico insegnante e funzionanti con orario di ventiquattro ore settimanali. Nei regolamenti si tiene comunque conto delle esigenze, correlate alla domanda delle famiglie, di una più ampia articolazione del tempo-scuola.

2. Con apposita sequenza contrattuale e a valere sulle risorse di cui all'articolo 64, comma 9, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, è definito il trattamento economico dovuto per le ore di insegnamento aggiuntive rispetto all'orario d'obbligo di insegnamento stabilito dalle vigenti disposizioni contrattuali.

Articolo 5.

Adozione dei libri di testo

1. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 15 del decreto-legge 25giugno 2008, n. 112 [8], convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, i competenti organi scolastici adottano libri di testo in relazione ai quali l'editore si sia impegnato a mantenere invariato il contenuto nel quinquennio, salvo le appendici di aggiornamento eventualmente necessarie da rendere separatamente disponibili. Salva la ricorrenza di specifiche e motivate esigenze, l'adozione dei libri di testo avviene con cadenza quinquennale, a valere per il successivo quinquennio. Il dirigente scolastico vigila affinché le delibere del collegio dei docenti concernenti l'adozione dei libri di testo siano assunte nel rispetto delle disposizioni vigenti.

Articolo 6.

Valore abilitante della laurea in scienze della formazione primaria

1. L'esame di laurea sostenuto a conclusione dei corsi in scienze della formazione primaria istituiti a norma dell'articolo 3, comma 2, della legge19 novembre 1990, n. 341 [9], comprensivo della valutazione delle attività di tirocinio previste dal relativo percorso formativo, ha valore di esame di Stato e abilita all'insegnamento, rispettivamente, nella scuola dell'infanzia e nella scuola primaria.

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche a coloro che hanno sostenuto l'esame di laurea conclusivo dei corsi in scienze della formazione primaria nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e la data di entrata in vigore del presente decreto.

Articolo 7.

Sostituzione dell'articolo 2, comma 433, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.

1. Il comma 433 dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 2007, n. 244[10], è sostituito dal seguente:

«433. Al concorso per l'accesso alle scuole di specializzazione mediche, di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, e successive modificazioni, possono partecipare tutti i laureati in medicina e chirurgia. I laureati di cui al primo periodo, che superino il concorso ivi previsto, sono ammessi alle scuole di specializzazione a condizione che conseguano l'abilitazione per l'esercizio dell'attività professionale, ove non ancora posseduta, entro la data di inizio delle attività didattiche di dette scuole immediatamente successiva al concorso espletato.».

Articolo 8.

Norme finali

1. Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

2. Il presente decreto entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addì 1° settembre 2008

NAPOLITANO

Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri

Gelmini, Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca

Tremonti, Ministro dell'economia e delle finanze

Brunetta, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione

Visto, il Guardasigilli: Alfano

 

 


Da cittadinolex.kataweb.it

 

Schema di piano programmatico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze di cui all’art. 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133

PREMESSA

Il nostro sistema d’istruzione sta vivendo da anni una preoccupante crisi i cui effetti sono tra l’altro evidenziati da ricorrenti indagini nazionali ed internazionali: a fronte di una spesa per allievo superiore alla media OCSE, di un rapporto insegnanti studenti decisamente più alto rispetto alla media europea (9,2 insegnanti per cento studenti che raggiunge l’11,5 se si tiene conto degli insegnanti di sostegno, degli insegnanti che svolgono attività diverse dall’insegnamento e dagli insegnanti soprannumerari ecc..), si riscontrano consistenti divari tra gli esiti scolastici degli studenti italiani e quelli degli altri paesi OCSE e ritardi significativi nei livelli di conoscenza e di competenza relativi agli apprendimenti di base ed in particolare della matematica e della comprensione linguistica. A questo si aggiungono diffuse forme di disinteresse degli alunni verso la scuola, demotivazione e stanchezza del personale anche in assenza di incentivi e riconoscimenti del merito e un preoccupante clima di incertezza e di sfiducia.

Un bilancio deludente che pone una seria ipoteca sul futuro dei nostri giovani, chiamati a confrontarsi tra loro in un contesto internazionale globalizzato, dove la conoscenza è fattore prioritario di crescita personale e collettiva e l’investimento più produttivo è quello in capitale umano. E’ noto, infatti, che nella società in cui viviamo la "qualità" delle risorse umane costituisce un bene primario e strategico di straordinaria importanza per interpretare correttamente e governare

l’innovazione e il cambiamento, per sostenere e orientare le vicende economiche, per essere competitivi, per dare solidità e stabilità alle istituzioni democratiche, per assicurare coesione sociale e promuovere la piena fruizione dei diritti di cittadinanza, per raggiungere livelli di benessere accettabili e duraturi.

Ma "qualità" delle risorse umane significa "qualità" dell’istruzione, centralità della scuola quale sede privilegiata di formazione integrale della persona, di crescita umana, civile e culturale delle giovani generazioni e fondamentale fattore di sviluppo della società nel suo complesso.

Nel nostro Paese, alle profonde trasformazioni intervenute nella vita individuale e negli assetti sociali, ai nuovi scenari disegnati dalla scienza e dalla tecnologia, alle nuove logiche della produzione e del mercato del lavoro non è corrisposta una politica dell’istruzione che realizzasse un disegno organico ed un intervento riformatore unitario e condiviso e, comunque, tale da adeguare alla mutevole realtà gli ordinamenti scolastici, i percorsi formativi, i modelli organizzativi e didattico-pedagogici, i profili professionali degli insegnanti, i sistemi di valutazione.

Le riforme e le innovazioni introdotte negli ultimi decenni hanno conosciuto vicende alterne e spesso tormentate, spinte in avanti, ritorni al passato e rifacimenti che ne hanno impedito la completa attuazione, generando confusione e sensibili ritardi nel processo di modernizzazione. Si rende perciò necessario un profondo e sereno ripensamento dell’impianto complessivo del nostro sistema scolastico, e l’avvio e la gestione di una fase di revisione, riordino ed "essenzializzazione"

dell’intero quadro normativo, ordinamentale, organizzativo e operativo. Non tanto si tratta di aggiungere a quelle esistenti altre soluzioni innovative, ma di razionalizzare e semplificare l’esistente e rendere pienamente efficienti i servizi scolastici al fine di raggiungere risultati qualitativi migliori e di più alto profilo.

Il presente piano programmatico, elaborato in attuazione dell’art. 64, comma 3, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 [1] , si fa interprete di questa esigenza, individuando un quadro organico di interventi e misure volti a realizzare contestualmente sia il riassetto della spesa pubblica sia l’ammodernamento e lo sviluppo del sistema.

Ai fini suddetti sono stati tenuti in debita evidenza gli elementi di successo degli apprendimenti evidenziati nel "Quaderno bianco sulla scuola", elaborato d’intesa tra il Ministero dell’Istruzione e quello dell’Economia e che si ritiene utile richiamare:

- percorsi formativi caratterizzati dalla chiarezza dei profili di uscita, dagli obiettivi e dai livelli di apprendimento per ogni ciclo di studi;

- essenzialità, coerenza e continuità dei contenuti dei curricoli e dei piani di studio, nella prospettiva di un progressivo passaggio ad una didattica per competenze, i cui esiti vanno certificati con "strumenti" oggettivi;

- autonomia didattica e di ricerca delle scuole nell’organizzare le soluzioni più efficaci per raggiungere i livelli di apprendimento previsti e per superare i fenomeni di dispersione e di insuccesso scolastico;

- un sistema di monitoraggio e di valutazione che misuri conoscenze, competenze e abilità degli studenti nel tempo, offrendo elementi per una didattica più personalizzata e assicurando maggiore omogeneità degli esiti tra le diverse aree del Paese;

- forme integrative della retribuzione di base, legate al riconoscimento del merito, in un contesto di autonomia organizzativa, didattica e di ricerca, sia a livello di istituzione scolastica che di singolo docente.

In consonanza con gli obiettivi e le strategie utilizzati in ambito internazionale, per realizzare il successo scolastico, il piano intende coniugare il dato quantitativo relativo al migliore assetto delle classi e alla riduzione degli indirizzi e dei carichi orario di insegnamento con quelli della migliore qualità dei servizi scolastici e di un efficace dimensionamento del sistema e a un più produttivo impegno degli insegnanti.

Le soluzioni di carattere strutturale e le politiche del territorio per rivelarsi produttive di effetti e assicurare il successo scolastico debbono essere sostenute da un corretto e ben ponderato impiego delle risorse professionali della scuola, attraverso l’adozione di interventi e misure che, nel mentre eliminino sprechi e sottoutilizzo di mezzi, responsabilizzino e recuperino motivazioni, valorizzino il merito, coinvolgano e rendano partecipi nelle scelte, conferiscano maggior ruolo, diano un più avvertito senso di appartenenza.

Si rende pertanto necessario ed urgente procedere alla revisione degli ordinamenti scolastici, dei piani di studio e dei quadri orari, all’attivazione di politiche del territorio efficaci, alla definizione e al riordino del sistema di istruzione professionale corrispondente alle attese ed ai bisogni della collettività: il tutto all’insegna della "essenzialità" e della "continuità" e alla luce di quanto previsto dalle Indicazioni nazionali da ridefinire rapidamente, tenendo anche conto, per il primo ciclo, degli esiti delle sperimentazioni in atto.

Si ritiene poi preliminare rispetto alle altre azioni e non più rinviabile, una complessiva e incisiva revisione della rete scolastica e dell’offerta formativa sul territorio, che elimini nel triennio duplicazioni di indirizzi - spesso frutto della pura sedimentazione di innovazioni successive e della mancanza di proficui raccordi e interazioni tra i livelli istituzionali, i soggetti e gli organismi rappresentativi interessati - e legittimi la presenza di istituzioni scolastiche secondo criteri di

corretto dimensionamento, sulla base dei parametri previsti dal DPR 233/98[2]per l’attribuzione dell’autonomia. A tal fine occorre stabilire una forte interlocuzione con le Regioni e gli Enti locali, al fine di consentire agli stessi, anche con la collaborazione degli Uffici Scolastici Regionali e Provinciali, scelte di politica scolastica più aderenti ai bisogni del territorio e meglio integrate con la formazione professionale, l’istruzione post-secondaria e l’istruzione per gli adulti.

Per poter raggiungere gli obiettivi di razionalizzazione e di sviluppo previsti dal presente piano si richiede, inoltre, un forte impegno che porti ad un’intesa con la Conferenza unificata e crei le condizioni per una progressiva attuazione di quanto previsto dal novellato titolo V della Costituzione.

Gli interventi finalizzati al razionale ed efficace utilizzo delle risorse - che si inseriscono nel più ampio contesto di un globale riassetto della spesa pubblica che il Governo è chiamato inderogabilmente ad avviare – mirano ad incrementare di un punto il rapporto alunni/docenti e a ridurre del 17% la consistenza del personale ATA. Contrariamente a quanto avvenuto nel passato, mirano anche a realizzare il riordino complessivo del sistema, attraverso la valorizzazione

dell’autonomia delle unità scolastiche, il pieno coinvolgimento delle Regioni e delle Autonomie locali, una nuova governance territoriale dell’istruzione/formazione e un più appropriato ed efficace utilizzo delle risorse.

Il 30% delle economie che saranno realizzate sarà destinato al merito e allo sviluppo professionale del personale della scuola, la cui partecipazione attiva e responsabile ai processi innovativi è indispensabile per il buon esito degli stessi.

I provvedimenti che si intende adottare si pongono, altresì, in una linea di continuità con le azioni poste in essere nel recente passato, previste dalle leggi finanziarie 2007 e 2008, dal c.d. decreto mille proroghe, dalla normativa sull’obbligo di istruzione e dalla Legge 40/2007, relativa all’istruzione tecnico-professionale.

CRITERI DI PREDISPOSIZIONE E ATTUAZIONE DEL PIANO.

Il citato articolo 64 individua una rete di collaborazioni interistituzionali per l’organizzazione del sistema scuola, in grado di assicurare trasparenza e qualità allo stesso e basata sull’impegno e sul lavoro comune del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, delle Regioni e delle Autonomie locali.

Il piano programmatico predisposto tenendo in debito conto, ai fini della puntuale realizzazione degli interventi, dell’importante ruolo della citata rete di collaborazioni, si ispira ai seguenti criteri e principi guida:

− la dimensione territoriale quale ambito di riferimento sia per l’esercizio delle competenze nazionali e regionali previste dalla Costituzione, anche in relazione alle attribuzioni delle Regioni in ordine all’allocazione delle risorse umane disponibili, sia per la definizione dell’offerta formativa e della rete territoriale di scuole, sia infine per la gestione del servizio scolastico, nel rispetto delle norme generali delle prestazioni e secondo criteri che assicurino uno sviluppo coerente ed omogeneo del sistema scolastico sul territorio nazionale;

− la trasparenza nelle scelte, con l’individuazione di parametri oggettivi, che consentano di valutare il percorso di riqualificazione della spesa e di progressivo riequilibrio territoriale nell’utilizzo delle risorse;

− l’integrazione delle risorse dello Stato, delle Regioni e degli Enti locali, per il governo della flessibilità e la valorizzazione del livello territoriale nell’individuazione delle soluzioni organizzative più idonee a rispondere alle esigenze degli studenti e delle loro famiglie;

− l’ottimale dimensionamento delle scuole autonome e la funzionale previsione di una rete di punti di erogazione del servizio realmente rispondente ai bisogni dell’utenza che risiede in aree disagiate (insulari, collinari, montane, etc.);

− la sostenibilità per gli studenti del carico orario e della dimensione quantitativa dei piani di studio, opportunamente riducendo l’eccessiva espansione degli insegnamenti e gli assetti orari dilatati, che si traducono in un impegno dispersivo e poco produttivo, in parte responsabile degli insuccessi, del fenomeno della dispersione e dell’abbandono;

− il superamento della frammentazione e proliferazione degli indirizzi di studio, che disorienta l’utenza e determina un aumento ingiustificato di docenti, e spesso produce una modesta qualità dei risultati di apprendimento.

LE AREE DI INTERVENTO

Per ragioni sistematiche e chiarezza di quadro espositivo si strutturano e articolano gli interventi programmati con riferimento alle tre aree successivamente indicate, riconducibili alle fattispecie e tipologie previste dalla legge 133/2008.

Il presente documento programmatico individua una sequenza organica di azioni strettamente correlate e interdipendenti secondo una logica unitaria, riferite alle seguenti macro aree:

1. Revisione degli ordinamenti scolastici;

2. Riorganizzazione della rete scolastica, ivi compresi i centri territoriali per l’educazione

degli adulti e i corsi serali;

3. Razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane delle scuole.

ACCELERAZIONE DELLE PROCEDURE

Al fine di poter disporre di strumenti normativi che consentano di raggiungere l’obiettivo del contenimento, della razionalizzazione e della migliore qualificazione dei servizi scolastici entro i tempi utili per la gestione di tutte le operazioni concernenti l’anno scolastico 2009/10, si prevederà l’emanazione di uno o più Regolamenti, secondo la procedura di cui all’art. 64, comma 4, della legge 133/2008, recante i principi base, le modalità ed i tempi per la realizzazione delle azioni

relative alle aree prima indicate, da declinare anche attraverso l’adozione di decreti ministeriali e interministeriali.

In particolare i citati Regolamenti disciplineranno la revisione dei curricoli del I e II ciclo e conterranno le indicazioni per l’adozione, entro il mese di dicembre, di una prima azione volta al dimensionamento e razionalizzazione della rete scolastica, da realizzare d’intesa con le Regioni, nonché i criteri e le misure da adottare per l’innalzamento del rapporto alunni docenti a modifica del D.M. 331/1998.

1. Revisione degli ordinamenti scolastici.

In questa area si rende necessaria l’attivazione di iniziative volte sia ad armonizzare e ricondurre in un quadro coerente i diversi interventi di riforma ordinamentale succedutisi negli ultimi anni, sia ad operare, all’interno dei diversi ordini di scuola opportunamente rivisti, una riformulazione degli assetti orari. Nel quadro di tali iniziative si darà attuazione alla disposizione di cui all’art. 4 del decreto legge 1 settembre 2008, n. 137, concernente la reintroduzione nella scuola primaria del maestro unico dal 1 settembre 2009.

- Intervento e razionalizzazione dei piani di studio

La revisione dei piani di studio di insegnamento e, conseguentemente, dei carichi orario, anche ai fini di una loro "essenzializzazione", tiene conto dei recenti interventi che hanno riguardato, da una parte, il primo ciclo di istruzione e, dall’altra, l’impianto di riforma del secondo ciclo di cui alla legge 53/2003 [3], nonché delle recenti misure di riassetto dell’istruzione tecnica e professionale introdotte dalla legge 40/2007[4] e dal decreto legge 137/2008 [5]. Tale revisione sarà realizzata anche mediante l’adozione di uno o più Regolamenti ai sensi dell’art. 64 più volte citato nonché, per

favorire il rapido e completo raggiungimento degli obiettivi, di appositi decreti ministeriali che avviino il processo di innovazione fin dall’anno scolastico 2009/2010.

In tale ottica le Indicazioni nazionali relative alla scuola dell’infanzia e alle scuole del primo ciclo di istruzione, di cui agli allegati A, B e C al decreto legislativo 18 febbraio 2004, n. 59, saranno opportunamente armonizzate con le Indicazioni per il curricolo proposte con direttiva ministeriale 3 agosto 2007, n. 68, con l’obiettivo di pervenire ad una stesura unitaria e semplificata. I relativi piani di studio, le discipline e i carichi orario saranno contestualmente riesaminati ed

"essenzializzati".

I nuovi piani di studio della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione costituiranno parte integrante dei Regolamenti da emanare in attuazione del presente piano programmatico.

I piani di studio relativi al sistema dei licei, di cui al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, come modificato dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, saranno riesaminati con l’obiettivo di razionalizzarne l’impianto in termini di massima semplificazione. Andranno in tale contesto definite le discipline ed i carichi orario delle singole tipologie in misura non superiore alle 30 ore settimanali. I piani di studio relativi agli istituti tecnici e professionali di cui la legge 2 aprile 2007, n. 40, saranno anch’essi riveduti al fine di pervenire ad una ulteriore razionalizzazione e semplificazione. Per quanto riguarda l’istruzione tecnica, se ne definiranno gli indirizzi in un numero contenuto e adottando un carico orario annuale obbligatorio delle lezioni non superiore a 32 ore settimanali. Per i citati ordini di studio le suddette operazioni dovranno essere raccordate con i tempi previsti per la effettuazione delle iscrizioni e la determinazione degli organici.

Per l’istruzione professionale si opererà nel senso che gli indirizzi aventi una sostanziale corrispondenza con quelli dell’istruzione tecnica, confluiscano in quest’ultima, evitando duplicazioni di percorsi e di carichi orari e conseguente disorientamento dell’utenza. Si riorganizzeranno i rimanenti indirizzi di durata quinquennale, finalizzati al conseguimento di un titolo di studio di istruzione secondaria superiore, in un numero ristretto di tipologie che abbiano rilevanza nazionale, con un carico orario settimanale non superiore a quello degli istituti tecnici.

Si provvederà, inoltre, all’elaborazione delle linee guida di cui all’art. 13, comma 1 quinquies, della legge n. 40/2007, con le quali saranno definiti i criteri atti a consentire, in regime di transitorietà e sussidiarietà, la prosecuzione dei percorsi di durata triennale degli istituti professionali finalizzati al rilascio di qualifiche professionali nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Dovrà infine essere ridefinito l'assetto organizzativo-didattico dei Centri di istruzione per gli adulti. I nuovi piani di studio degli istituti di istruzione secondaria costituiranno parte integrante dei Regolamenti da emanare in attuazione del presente piano programmatico.

- Revisione dei quadri orario nei diversi ordini di scuola

L’assestamento dei curricoli e la razionalizzazione dei piani di studio di cui sopra dovranno comportare nuovi quadri orario di durata più contenuta, con il superamento della duplicazione di indirizzi corrispondenti e la revisione delle attuali forma di compresenza, finalizzata al più proficuo utilizzo del personale docente e all’estensione del servizio.

Nella scuola dell’infanzia l’orario obbligatorio delle attività educative, nell’ottica di una progressiva generalizzazione e tenendo conto delle diversificate esigenze rappresentate dalle famiglie, si svolge anche solamente nella fascia antimeridiana, impiegando una sola unità di personale docente per sezione e riorganizzando il più possibile il funzionamento delle sezioni di una medesima scuola sulla base di tali opzioni. Le conseguenti economie di ore e di posti potranno consentire nuove attivazioni e conseguentemente l’estensione del servizio.

Nei territori montani, delle piccole isole e dei piccoli comuni privi di strutture educative per la prima infanzia, sarà consentita, ad integrazione del numero delle sezioni che non raggiungono il numero dei bambini stabilito, l’iscrizione alla scuola dell’infanzia di piccoli gruppi di bambini di età compresa tra i due e i tre anni, da inserire sulla base di progetti integrati, ispirati all’esperienza delle sezioni primavera, entro limiti massimi del numero di bambini fissato per sezione e dell’orario di svolgimento dell’attività educativa.

E’ reintrodotto con apposito intervento normativo, l’istituto dell’anticipo di cui alla legge 53/2003 e al decreto leg.vo 59/2004, nei limiti delle disponibilità finanziarie esistenti.

Ulteriori risposte alle esigenze relative alla medesima fascia di età potranno essere soddisfatte anche attraverso la prosecuzione e dallo sviluppo delle c.d. "sezioni primavera".

Nella scuola primaria va privilegiata ai sensi del decreto legge 1 settembre 2008, n. 137, l’attivazioni di classi affidate ad un unico docente e funzionanti per un orario di 24 ore settimanali.

Tale modello didattico e organizzativo, infatti, appare più funzionale "all’innalzamento" degli obiettivi di apprendimento, con particolare riguardo all’acquisizione dei saperi di base, favorisce l’unitarietà dell’insegnamento soprattutto nelle classi iniziali, rappresenta un elemento di rinforzo del rapporto educativo tra docente e alunno, semplifica e valorizza la relazione fra scuola e famiglia. Nell’arco di vita intercorrente dai sei ai dieci anni si avverte il bisogno di una figura unica

di riferimento con cui l’alunno possa avere un rapporto continuo e diretto.

Le economie derivanti da tale modello didattico, allo stato non quantificabili, consentono di ottenere ulteriori risorse che potranno ridurre l’incidenza degli altri interventi. Resta comunque aperta la possibilità di una più ampia articolazione del tempo scuola, tenuto conto della domanda delle famiglie e della dotazione organica assegnata alle scuole, nel rispetto dell’autonomia delle stesse.

Le relative opzioni organizzative possibili sono le seguenti:

- la prima (27 ore), corrispondente all’orario di insegnamento di cui al decreto legislativo 59/2004, con esclusione delle attività opzionali facoltative;

- la seconda (30 ore) comprensiva dell’orario opzionale facoltativo e con l’introduzione delmaestro prevalente; quest’ultimo nei limiti dell’organico assegnato, integrabile con le risorse disponibili presso le scuole.

Potrà altresì aversi, ai sensi del decreto legislativo 59/2004, una estensione delle ore di lezione pari ad un massimo di 10 ore settimanali, comprensive della mensa.

L’insegnamento della lingua inglese è affidato ad un insegnante di classe opportunamente specializzato. Si dovrà prevedere, pertanto, un piano di formazione linguistica obbligatoria della durata di 150/200 ore attraverso l’utilizzo, come formatori, di docenti specializzati e di docenti di lingua della scuola secondaria di I grado. I docenti in tal modo formati, saranno preferibilmente impiegati, già dall’anno scolastico 2009/2010, nelle prime due classi della scuola primaria e saranno assistiti da interventi periodici di formazione. Potrà altresì essere previsto, in via transitoria, un affiancamento da parte di un nucleo di docenti specializzati operanti presso ogni scuola, nonché, negli istituti comprensivi, da parte di docenti di lingua inglese.

Nelle more della conclusione del piano di formazione, in via transitoria e fino all’a.s. 2010/2011, potranno continuare ad essere utilizzati, in caso di carenza di docenti specializzati, docenti specialisti esterni alle classi, per l’intero orario settimanale di docenza previsto dal CCNL.

L’orario obbligatorio delle lezioni per la scuola secondaria di I grado è definito, in via ordinaria, nella misura di 29 ore settimanali (rispetto alle 32 attuali) con conseguente adattamento del quadro orario previsto dall’allegato C al decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59. Sono fatte salve le situazioni ordinamentali relative alla classi ad indirizzo musicale.

Le classi funzionanti col tempo prolungato, previste dall’art. 166, comma 4 del Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, saranno ricondotte all’orario normale qualora non dispongano di servizi e strutture per lo svolgimento obbligatorio di attività in fascia pomeridiana per almeno tre giornate a settimana ovvero non sia previsto il funzionamento di un corso intero a tempo prolungato. I quadri orario delle classi a tempo prolungato saranno opportunamente definiti per un orario massimo di 36

ore per insegnamenti e attività. Saranno determinate entro il mese di dicembre le classi di abilitazione ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo 59/2004 e la conseguente composizione delle cattedre, riconsiderando quelle attuali al fine di superare l’esistente frammentazione degli insegnamenti, privilegiando quelli di base e aggregazioni umanistico letterarie, scientifico tecnologiche e linguistiche.

L’orario obbligatorio di lezione nei licei classici, linguistici, scientifici e delle scienze umane sarà pari ad un massimo di 30 ore settimanali, con conseguente revisione dei quadri orario previsti dagli allegati al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226.

Per i licei artistici e i licei musicali e coreutici l’orario obbligatorio di lezione sarà di 32 ore settimanali, con conseguente revisione dei quadri orario previsti dagli allegati al decreto legislativo 17 ottobre, n. 226.

Per gli istituti tecnici e professionali previsti dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, per i quali il numero degli indirizzi di studio dovrà essere opportunamente ridimensionato tenendo conto anche delle proposte del documento finale predisposto dall’apposita Commissione ministeriale di studio, l’orario obbligatorio delle lezioni non potrà essere superiore a 32 ore settimanali, comprensive delle ore di laboratorio. Per quanto riguarda gli indirizzi degli istituti professionali, si fa rinvio a quanto in precedenza previsto per la semplificazione e riduzione dei percorsi. La modifica degli ordinamenti si avvierà progressivamente a decorrere dall’anno scolastico 2009/2010. Dall’a.s. 2009/2010 non saranno conseguentemente attivate nelle prime classi le sperimentazioni attualmente in atto.

Per i centri di istruzione per gli adulti, (compresi i corsi serali degli istituti di II grado) bisognerà ridefinire l’assetto organizzativo-didattico, prevedendo un numero contenuto di materie di insegnamento e legando l’autorizzazione dei corsi stessi al monitoraggio degli esiti finali. Eventuali docenti in esubero non potranno essere utilizzati in corsi o in moduli non ordinamentali. Apposito intervento dovrà riguardare la figura del docente tecnico-pratico presente negli istituti di

secondo grado, riducendo di almeno il 30%, rispetto a quelle previste dagli ordinamenti vigenti, le compresenze con il titolare della cattedra e la contemporanea revisione delle relative funzioni e di quelle dell’assistente tecnico, con l’obiettivo prioritario di assicurare la massima efficienza ed efficacia dell’attività didattica e in laboratorio.

2. Riorganizzazione della rete scolastica.

Il DPR 233/1998, nel fissare i parametri per il dimensionamento delle istituzioni scolastiche, prevede uno standard generale compreso tra i 500 e i 900 alunni, quale requisito per il conferimento dell’autonomia alle istituzioni scolastiche.

Lo stesso DPR 233 consente tuttavia una deroga a tale standard autorizzando, in via eccezionale, dimensionamenti di istituzioni scolastiche con una popolazione compresa tra le 300 e le 500 unità, a condizione che si trovino in zone montane o nelle piccole isole e si tratti di istituti comprensivi del 1° ciclo o "istituti superiori"del 2° ciclo.

Da quasi un decennio, però, la rete scolastica, è rimasta pressoché immutata nelle sue strutture vale a dire nei suoi punti di erogazione del servizio (plessi, sedi distaccate o principali, sezioni associate) e nei centri di coordinamento e gestione (istituzioni scolastiche), e ciò nonostante le dinamiche demografiche che spesso hanno svuotato o riempito a dismisura la platee scolastiche o hanno reso difficili o superflui la gestione e il coordinamento delle scuole.

La presenza dei due diversi livelli di competenza, quello nazionale e quello territoriale, l’assenza di un adeguato coordinamento tra i livelli istituzionali interessati, e la carenza di idonei monitoraggi della rete, che potessero prevenire o correggere tempestivamente il deteriorarsi dei livelli di erogazione del servizio, hanno favorito sprechi di risorse, sperequazioni e disfunzioni.

Attualmente circa 700 istituzioni scolastiche autonome hanno una popolazione scolastica inferiore ai minimi previsti dalla fascia in deroga (meno di 300 alunni). All’interno poi della stessa fascia in deroga vi sono oltre 850 istituzioni scolastiche che non hanno titolo, per tipologia di scuola (circoli didattici, scuole medie, istituti superiori), a farne parte, perché per la loro istituzione non è prevista la possibilità di deroga. Alle citate scuole se ne aggiungono altre 1.050 (istituti comprensivi)

comprese nella fascia minima, ma non tutte si trovano effettivamente nei territori montani o nelle piccole isole.

Si può dunque stimare che una buona percentuale di istituzioni scolastiche, compresa tra il minimo certo del 15% e il massimo probabile del 20%, non sia legittimato a funzionare come istituzione autonoma.

Anche per i diversi punti di erogazione del servizio le dinamiche demografiche hanno determinato significative modifiche nel numero della popolazione scolastica accolta.

La presenza di oltre 10.760 istituzioni scolastiche autonome, che governano 41.862 punti di erogazione del servizio, è di ostacolo alla stabilità delle stesse e all’offerta di una pluralità di scelte aggregate in maniera razionale alle esigenze del territorio e che agevolino l’esercizio del diritto all’istruzione. Inoltre, escludendo dal computo le scuole dell’infanzia per la loro particolare natura di servizio capillarmente diffuso, su poco più di 28 mila punti di erogazione del servizio circa il

15% ha meno di 50 alunni e un altro 21% ha meno di 100 alunni. In effetti, la polverizzazione sul territorio di piccole scuole non risulta funzionale al conseguimento degli obiettivi didattico-pedagogici, in quanto non consente l’inserimento dei giovani in comunità educative culturalmente adeguate a stimolarne le capacità di apprendimento e di socializzazione

Si rende pertanto necessario non solo eliminare le numerose situazioni non conformi ai parametri dell’attuale normativa, ma anche ripensare il sistema nel suo complesso al fine dell’ottimizzazione e della perequazione delle risorse umane a sostegno di una maggiore funzionalità gestionale, prevedendo anche ricorrenti verifiche, tali da prevenire e correggere tempestivamente le eventuali anomalie.

Il dimensionamento delle istituzioni scolastiche dovrà procedere pertanto attraverso la verifica delle situazioni in atto finalizzata al rispetto dei parametri previsti dalla normativa vigente per il funzionamento delle scuole autonome, a cominciare dai territori non ubicati nelle comunità montane o nelle piccole isole, anche attraverso il progressivo superamento delle attuali situazioni relative a plessi e a sezioni staccate con meno di 50 alunni. L’esperienza virtuosa di diversi Comuni, che ha consentito in questi anni di ovviare, ove possibile, alle criticità e all’isolamento delle piccole scuole, deve essere assunta come linea di intervento generalizzata, anche se richiederà tempi medio-lunghi, soprattutto nei territori montani e nelle piccole isole.

È opportuno, tuttavia, che l’intervento sia gradualmente realizzato dalle Regioni e dagli Enti Locali, col supporto di azioni mirate quali, ad esempio, l’attivazione di trasporti, l’adeguamento delle strutture edilizie ecc.. e provvedendo contestualmente alla realizzazione di servizi in rete. In tale contesto va anche considerato il conferimento dell’autonomia ai centri provinciali per l’istruzione degli adulti di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 25 ottobre 2007, in applicazione dell’articolo 1, comma 632, della legge finanziaria 2007.

Nell’azione di razionalizzazione della rete scolastica un modello da incentivare è quello degli Istituti «comprensivi» che, oltre a consentire una migliore organizzazione delle risorse, rispondono meglio sul piano didattico, garantendo una più incisiva continuità, il curricolo verticale e un migliore orientamento scolastico e professionale.

Un ulteriore ambito di intervento può essere quello di evitare, nella scuola secondaria superiore, duplicazioni di indirizzi formativi sostanzialmente equipollenti, riducendo la flessibilità dell’organico.

L’istituzione, la soppressione o l’aggregazione delle scuole, quali punti di erogazione del servizio scolastico, rientrano, com’è noto, nelle competenze delle Regioni e alle Autonomie locali, in base al disposto del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e alle previsioni del novellato titolo V della Costituzione sulla base dei parametri e dei criteri per il dimensionamento e per l’individuazione dei punti di erogazione dei servizi definiti dal Ministero dell’istruzione con

l’emanazione dell’apposito Regolamento previsto dall’art. 64.

In attesa della conclusione dell’iter di emanazione del citato Regolamento, l’Amministrazione scolastica offrirà alle Regioni e alle Autonomie locali la collaborazione necessaria per dimensionare la rete scolastica nel rispetto delle disposizioni vigenti; ciò tanto con riferimento alle istituzioni scolastiche, che al funzionamento delle sedi di erogazione del servizio.

3. Razionale ed efficiente utilizzo delle risorse umane della scuola.

Il processo di razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse prevede peculiari interventi volti ad eliminare circoscritte, ma non poco onerose, nicchie di spreco e sottoutilizzo delle risorse stesse, sia attraverso una verifica della situazione applicativa delle norme di ordinamento vigenti, sia attraverso l’emanazione di un nuova normativa mirata al contenimento di oneri non funzionali al

raggiungimento degli obiettivi istituzionali. Le azioni previste dal piano per il raggiungimento della suddetta finalità si riferiscono agli ambiti di seguito descritti.

Personale docente

Criteri e parametri per la determinazione degli organici del personale

Per il raggiungimento dell’obiettivo di un più razionale utilizzo delle risorse professionali occorre intervenire, in primo luogo, su quel complesso di norme e procedure che presiedono alla definizione degli organici del personale.

Si indicano, di seguito, alcune delle misure previste:

definizione di nuovi criteri per la determinazione e distribuzione delle dotazioni organiche in relazione alla revisione degli ordinamenti scolastici. L’organico di istituto, determinato secondo le nuove previsioni ordinamentali, verrà assegnato alle scuole che, nell’ambito della propria autonomia, organizzeranno l’attività didattica con criteri di flessibilità;

- ridefinizione dei criteri e parametri che presiedono alla formazione delle classi, con particolare riguardo ai valori minimi e massimi necessari per la costituzione delle stesse che consentano di incrementare sia il rapporto alunni/docenti che quello alunni/classi, per un accostamento di tale rapporto ai relativi standard europei, come previsto dall’art. 64 comma 4 della legge 133/2008.

Si confermerà il criterio di costituire le classi iniziali di ciclo esclusivamente sulla base del numero di alunni iscritti, procedendo solo successivamente all’assegnazione degli stessi alle classi secondo le diverse scelte espresse e nel limite dei posti disponibili. I dirigenti scolastici sono personalmente responsabili di tale operazione.

Come riportato nella scheda allegata, il rapporto alunni-classe si eleverà di uno 0,20 con riferimento all’a.s. 2009/2010 e di uno 0,10 in ciascuno dei due anni scolastici successivi.

L’innalzamento sarà riferito ai livelli massimi di alunni per classe attualmente vigenti per i vari gradi di istruzione, tenendo altresì conto della presenza di alunni disabili.

Tale intervento si rende necessario non solo per contenere la spesa, ma anche per superare la polverizzazione dei centri di erogazione del servizio non funzionali agli obiettivi formativi, in quanto non consente di inserire gli studenti in comunità educative culturalmente adeguate.

L’intervento in questione consentirà, altresì, di evitare, specie nel biennio iniziale, quella frammentazione degli indirizzi che costituisce ostacolo all’acquisizione di una formazione di base coerente con le esigenze della società della conoscenza.

L’applicazione dei nuovi parametri, correlata alla revisione della rete scolastica da parte delle Regioni, costituisce lo strumento necessario per la determinazione e l’assegnazione dei contingenti di organico. Resta inteso che, in relazione al progressivo rafforzamento dell’autonomia delle scuole, l’ottimale utilizzo dell’organico dei docenti potrà essere realizzato secondo criteri di flessibilità che promuovano l’azione modulare, ai sensi dell’art. 4, comma 2 lettera d) del DPR 8 marzo 1999, n. 275, di gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corsi.

-superamento delle attività di co-docenza e contenimento delle attività in compresenza tra docenti di teoria e insegnanti tecnico-pratici di laboratorio;

- riconduzione a 18 ore di tutte le cattedre di scuola di I e II grado;

- eliminazione nella scuola secondaria di secondo grado della norma che consente di salvaguardare la titolarità del docente nei casi in cui vi sia stata la riconduzione della cattedra a 18 ore di insegnamento;

-determinazione dell’organico dei docenti relativo ai corsi per l’istruzione degli adulti che tenga conto della serie storica degli alunni scrutinati e non di quelli iscritti, privilegiando i curricoli e i piani di studio con percorsi più brevi ed essenziali rispetto a quelli previsti per i corsi ordinari;

-sostegno allo sviluppo di sistemi di istruzione a distanza;

-graduale piena attuazione della disciplina prevista dal comma 413 dell’articolo 2 della legge 24 dicembre 2007 n. 244, relativa alla determinazione dei posti di sostegno per gli alunni disabili.

Classi di concorso

Si provvederà ad accorpare le classi di concorso con una comune matrice culturale e professionale, ai fini di una maggiore flessibilità nell’impiego dei docenti. Tale misura risulta funzionale al processo di essenzializzazione dei curricoli previsto dal piano, nonché alla revisione dei quadri orario delle discipline d’insegnamento.

Docenti specialisti di lingua inglese nella scuola primaria

Come in precedenza evidenziato, si porranno in essere le azioni finalizzate alla realizzazione di una intensiva formazione dei docenti che non hanno ancora il titolo per poter insegnare la lingua inglese.

Docenti inidonei per motivi di salute

La legge finanziaria per l’anno 2008 dispone la costituzione di un ruolo specifico per i docenti inidonei per motivi di salute, da impiegare anche in altre Amministrazioni. Occorre accelerare la prevista procedura. Ciò consentirà di eliminare questa voce di spesa che grava notevolmente sul bilancio dell’istruzione.

Riconversione professionale dei docenti

Saranno attivati corsi di riconversione professionale per i docenti, facenti parte delle classi di concorso in esubero, nonché corsi relativi ad altre tipologie di docenti, ai fini dell’inserimento in classi di concorso più ampie.

Utilizzo dei docenti in compiti diversi dall’insegnamento

Saranno rivisti gli istituti giuridici che comportano comandi, collocamenti fuori ruolo, utilizzazioni ecc.., onde ridurre allo stretto necessario la incidenza della spesa rappresentata dal pagamento dei supplenti in sostituzione. La revisione degli ordinamenti scolatici con una riduzione generalizzata del monte ore settimanale di insegnamento e la definizione di nuovi criteri per la formazione delle classi e degli organici, determinerà una riduzione strutturale della spesa. Quand’anche in via temporanea, in alcuni ambiti, si determinassero situazioni di soprannumero, riassorbibili con i successivi pensionamenti,

si determinerebbe comunque una economia a seguito dell’utilizzo di tale personale per le supplenze e, nella scuola primaria, per fronteggiare le richieste delle famiglie di un ampliamento del tempo scuola.

PERSONALE ATA

- Criteri e parametri per la determinazione del personale ATA.

Anche per il personale ATA si dovrà procedere ad una revisione dei criteri e parametri che

presiedono alla sua quantificazione e assegnazione.

Occorre premettere che la riduzione dell’organico del personale ATA verrà realizzata su tutti i profili professionali, salvaguardando, per quanto possibile, le figure amministrative necessarie allo sviluppo dell’autonomia, come indicato nel parere della Commissione cultura della Camera.

Si ipotizza un’ azione di contenimento nella misura media del 17 % della dotazione organica modulando tale misura sui diversi profili.

La riduzione richiederà pertanto:

a) la revisione delle tabelle che attualmente determinano l’organico dei vari profili professionali, salvaguardando, prioritariamente, il contingente degli assistenti amministrativi. Al fine di assicurare una maggiore aderenza nell’attribuzione del personale agli effettivi carichi di lavoro, si potrebbe ipotizzare l’attribuzione alle scuole di un organico essenziale, lasciando al livello territoriale l’intervento sulla complessità e per una più equa e funzionale distribuzione. Nell’ambito delle risorse finanziarie e di organico come sopra definite, vanno promosse iniziative di qualificazione professionale, procedendo anche alla costituzione dell’organico di area C, per dare concretezze a quelle figure di coordinamento previste dal vigente contratto di lavoro;

b) la formulazione del nuovo piano di dimensionamento sopra descritto ridurrà sia il numero delle istituzioni scolastiche che quello delle sezioni staccate, dei plessi e delle succursali, con conseguente riduzione del fabbisogno di personale ATA;

c) la revisione dell’orario degli assistenti tecnici, ai fini di una sua maggiore flessibilità in relazione alla specifiche esigenze delle scuole, con particolare riferimento alla funzionalità dei laboratori.

QUADRO DEGLI INTERVENTI

L’art. 64 della legge 6 agosto 2008, n.133 prevede l’adozione, con decorrenza dall’a.s. 2009/10, di interventi e misure da portare a compimento nell’arco di un triennio, volti a:

a) incrementare gradualmente di un punto il rapporto alunni/docenti da realizzare comunque entro il 2011/2012;

b) ridurre nel triennio 2009/11 del 17% la consistenza del personale ATA determinata per l’anno scolastico 2007/08.

Sono confermate le riduzioni previste dalla Legge finanziaria per il 2008.

Gli obiettivi attesi sono quelli indicati nella relazione tecnica di accompagnamento al decreto legge n. 112/2008, convertito dalla legge n.133/2008 e nel totale generale si quantificano in:

Personale docente

Anno scolastico

2009/2010

2010/2011

2011/2012

TOTALE

Decreto legge

32.105

15.560

19.676

67.341

Finanziaria 2008

10.000

10.000

 

20.000

Totale

42.105

25.560

19.676

87.341

Personale ATA

Anno scolastico

2009/2010

2010/2011

2011/2012

TOTALE

Decreto Legge

14.167

14.167

14.167

42.500

Finanziaria 2008

1.000

1.000

 

2.000

Totale

15.167

15.167

14.167

44.500

Di seguito sono riportati gli interventi di riduzione per conseguire i risultati nel triennio di

riferimento di cui all’art. 64:

ANNO SCOLASTICO 2009/10 – Tabella 1

Aree di intervento

Stima riduzioni

a) Innalzamanto del rapporto alunni classe dello 0,20

6.000

b) Determinazione organico scuola primaria con il solo orario

obbligatorio (quota riducibile fino a 10.000 unità in correlazione

all’eventuale attribuzione di un budget specifico per l’attivazione

dell’area opzionale facoltativa; per budget superiore non si ottiene il

raggiungimento completo dell’obiettivo di contenimento)

10.000

c) Riduzione insegnanti specialisti lingua inglese scuola primaria

4.000

d) Determinazione organico scuola I grado con il solo orario

obbligatorio e applicazione D.L.vo n. 59/04

10.300

e) Eliminazione clausola salvaguardi titolarità nella riconduzione

delle cattedre a 18 ore di insegnamento

2.000

f) Riconduzione di tutte le cattedre a 18 ore di insegnamento

5.000

g) Revisione dei curricoli istitutivi II grado

3.300

h)Razionalizzazione dell’organico dei corsi serali e dei corsi per

1.500

 

l’istruzione degli adulti

 

TOTALE

42.100

ANNO SCOLASTICO 2010/2011- Tabella 2

Aree di intervento

Stima riduzioni

a) Innalzamento del rapporto alunni-classe di un ulteriore 0,10

3.400

b) Determinazione organico scuola primaria con il solo orario

obbligatorio – ulteriore riduzione

4.000

c) Riduzione insegnanti specialisti lingua inglese scuola primaria

3.900

d) Revisione dell’organizzazione e dell’orario del tempo prolungato

nella scuola secodnaria di I grado

10.600

g) Revisione dei curricoli istitutivi II grado

3.700

TOTALE

25.600

ANNO SCOLASTICO 2011/12 - Tabella 3

Aree di intervento

Stima riduzioni

a) Innalzamento del rapporto alunni classe di un ulteriore 0,10

3.400

c) Riduzione insegnanti specialisti lingua inglese scuola primaria

3.300

d) Determinazione organico scuola I grado con il solo orario

obbligatorio e applicazione D.L.vo n. 59/04 - ulteriore riduzione -

3.000

d) Revisione dell’organizzazione e dell’orario del tempo prolungato

nella scuola secondaria di I grado

3.000

g) Revisione dei curricoli istitutivi II grado

7.000

TOTALE

19.700

Totale generale 87.400

Personale ATA

Riduzioni Decreto legge n. 42.500

Legge finanziaria 2008 n. 2.000

TOTALE n. 44.500

Riduzioni per profilo

1)D.S.G.A. (segretari)

 

700

2) Assistenti Amministrativi

 

10.452

3) Assistenti Tecnici

 

3.965

4) Collaboratori scolastici

 

29.076

5) Altri profili

 

307

TOTALE

 

44.500

Nei tre anni scolastici considerati le riduzioni verranno operate in proporzione ad ogni profilo professionale e il decremento sarà pari ad un terzo per anno scolastico della riduzione complessiva da conseguire.

La riduzione di circa 700 istituzioni scolastiche comporterà conseguentemente la riduzione dell’organico del personale dirigente scolastico oltre i DSGA sopra indicati.


Da cittadinolex.kataweb.it

 

Accesso studenti stranieri, la proposta della Lega

(Mozione 1-00033 Cota ed altri - Camera dei Deputati - 10.10.2008)

Il Governo dovrà rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, prevedendo il loro ingresso previo superamento di test e specifiche prove di valutazione. Chi non supererà questi esami sarà iscritto in "classi di inserimento" per lo studio della lingua italiana, classi propedeutiche all'ingresso nelle classi permanenti. E' quanto prevede una mozione della Lega approvata il 14 ottobre dalla Camera. La motivazione del provvedimento, ha spiegato la Lega, è legata al fatto che in classi comuni gli studenti immigrati non apprendono e impediscono di apprendere agli studenti italiani. Inoltre non dovrà essere consentito l'ingresso nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno, "al fine di un razionale ed agevole inserimento degli studenti stranieri", mentre occorrerà prevedere una distribuzione proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe, per favorirne la piena integrazione e evitare il rischio della formazione di classi di soli alunni stranieri.(15 ottobre 2008)

 

Mozione 1-00033 Cota ed altri - Camera dei Deputati - 14 ottobre 2008

La Camera,

premesso che:

il crescente fenomeno dell'immigrazione ha modificato sensibilmente il modello organizzativo del sistema scolastico italiano;

l'elevata presenza di alunni stranieri nelle singole classi scolastiche della scuola dell'obbligo determina difficoltà oggettive d'insegnamento per i docenti e di apprendimento per gli studenti;

il diverso grado di alfabetizzazione linguistica si rivela, quindi, un ostacolo per gli studenti stranieri che devono affrontare lo studio e gli insegnamenti previsti nei programmi scolastici, e per gli alunni italiani che assistono a una «penalizzante riduzione dell'offerta didattica» a causa dei rallentamenti degli insegnamenti dovuti alle specifiche esigenze di apprendimento degli studenti stranieri;

tale situazione è ancora più evidente nelle classi che vedono la presenza di studenti provenienti da diversi Paesi, le cui specifiche esigenze personali sono anche caratterizzate dalle diversità culturali del Paese di origine, tanto da indurre gli insegnanti ad essere più tolleranti e meno rigorosi in merito alle valutazioni volte a stabilire i livelli di competenza acquisiti dagli alunni stranieri e italiani sulle singole discipline;

dai dati forniti dal ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca la crescita di alunni stranieri, registrata nell'anno scolastico 2007-2008, è pari a 574.133 unità, con un incidenza del 6,4 per cento rispetto alla popolazione scolastica complessiva;

tale situazione è determinata dalla crescita degli alunni stranieri nel triennio 2003-2005 intensificatasi anche per effetto dei provvedimenti di regolarizzazione (legge n. 189 del 2002 e legge n. 222 del 2002);

rispetto alle nazionalità si confermano ai primi posti i gruppi di studenti provenienti dai Paesi dell'Est europeo, in particolare la Romania che, nell'arco di due anni, è passata dal 12,4 per cento (52.821 alunni), al 16,15 per cento (92.734 alunni), superando la numerosità degli alunni provenienti dall'Albania (85.195 pari al 14,84 per cento), e dal Marocco (76.217 presenze, pari al 13,28 per cento);

la disomogenea distribuzione territoriale di alunni con cittadinanza non italiana, molto concentrata al Centro-Nord e scarsa al Sud e nelle Isole, interessa circa 37.000 punti di erogazione del servizio scolastico, rispetto ai 57.000 presenti in ambito nazionale. È evidente il divario esistente tra i primi e i secondi, determinato dalla necessità per i primi di adeguare gli aspetti organizzativi e didattici all'attività di integrazione degli alunni stranieri;

la più elevata consistenza di alunni stranieri si trova nella scuola primaria e secondaria di I grado (il 7,7 per cento frequenta la primaria, il 7,3 per cento la secondaria di I grado, il 6,7 per cento le scuole dell'infanzia). Gli istituti di istruzione secondaria di II grado, pur non raggiungendo complessivamente i valori delle presenze registrate nella scuola primaria e secondaria di I grado, registrano l'8,7 per cento del totale degli studenti. Tra questi ultimi la maggior parte è concentrata nei professionali, dove rappresentano l'8,7 per cento del totale degli studenti, mentre nei tecnici raggiungono il 4,8 per cento e nei licei sono appena l'1,4 per cento;

l'osservazione a livello territoriale evidenzia che l'incidenza degli alunni con cittadinanza non italiana è particolarmente significativa in Emilia-Romagna,Umbria, Lombardia e Veneto dove essi rappresentano più del 10 per cento della popolazione scolastica regionale;

la presenza di studenti stranieri nel Centro-Nord è quindi superiore alla media italiana fino a raggiungere i 12 studenti stranieri ogni 100 in Emilia-Romagna, mentre nel Mezzogiorno l'incidenza percentuale varia tra l'1,3 e il 2,3 per cento ad eccezione dell'Abruzzo con il 5 per cento;

di grande attualità risultano i dati sulla presenza di alunni nomadi, essi raggiungono le 12.342 unità e pertanto rappresentano il 2,1 per cento degli alunni stranieri. Più della metà degli alunni nomadi frequenta la scuola primaria;

relativamente al rapporto tra la frequenza delle scuole statali e non statali e le loro suddivisioni tra i diversi gradi della scuola, si registra la presenza del 90,3 per cento di alunni stranieri in scuole statali, mentre il restante 9,7 per cento risulta iscritto in istituzioni scolastiche non statali;

i Paesi di provenienza degli alunni stranieri, sui 194 censiti dall'Istituto nazionale di statistica, sono ben 191. Nelle scuole della provincia di Bergamo, ad esempio, i dati del 2005 registravano la rappresentanza di 118 cittadinanze, a Perugia 109, a Pesaro 90, a Siena 80, a Latina 78;

l'osservazione sull'esito scolastico degli alunni italiani a confronto con quello degli alunni stranieri rivela che nelle scuole dove sono presenti alunni con cittadinanza non italiana si riscontra una maggiore selezione nei loro riguardi che finisce per incidere sui livelli generali di promozione: il divario dei tassi di promozione degli allievi stranieri e di quelli italiani è -3,36 per cento nella scuola primaria, -7,06 per cento nella secondaria di I grado, -12,56 per cento nella secondaria di II grado, in cui più di un alunno straniero su quattro non consegue la promozione;

la presenza di minori stranieri nella scuola si inserisce come fenomeno dinamico in una situazione in forte trasformazione a livello sociale, culturale, di organizzazione scolastica: globalizzazione, europeizzazione e allargamento dell'Unione europea, processi di trasformazione nelle competenze territoriali (decentramento, autonomia ed altro), trasformazione dei linguaggi e dei media della comunicazione, trasformazione dei saperi e delle connessioni tra i saperi, processi di riforma della scuola;

il fenomeno migratorio sta assumendo caratteri di stabilizzazione sia per le caratteristiche dei progetti migratori delle famiglie, sia per la quota crescente di minori di origine immigrata che nascono in Italia o comunque frequentano l'intero percorso scolastico;

la Convenzione internazionale dei diritti dell'infanzia sancisce che tutti devono poter contare su pari opportunità in materia di accesso alla scuola, nonché di riuscita scolastica e di orientamento;

la scuola italiana deve quindi essere in grado di supportare una politica di «discriminazione transitoria positiva», a favore dei minori immigrati, avente come obiettivo la riduzione dei rischi di esclusione;

la maggior parte dei Paesi europei ha costruito luoghi d'apprendimento separati per i bambini immigrati, allo scopo di attuare un percorso breve o medio di alfabetizzazione culturale e linguistica del Paese accogliente. La presenza di bambini stranieri, ma anche nomadi o figli di genitori con lo status di rifugiati politici, implica l'aggiunta di finanziamenti e di docenti, e l'organizzazione di classi di recupero successive o contemporanee all'orario normale, di classi bilingue, oppure con la presenza di assistenti assunti a tal fine;

in Grecia, ad esempio, le scuole con un gran numero di alunni stranieri, figli di genitori nomadi o di greci rimpatriati, organizzano delle classi propedeutiche o delle sezioni preparatorie per l'insegnamento del greco, ma anche della linguad'origine, per facilitare l'integrazione di questi bambini nel sistema educativo. Queste classi e sezioni usano materiale didattico specifico e possono essere seguite da insegnanti ordinari che effettuano delle ore supplementari, insegnanti di sostegno temporanei o da insegnanti con qualifiche specifiche a orario ridotto. Il rapporto ufficiale alunni/insegnanti da rispettare è di 9-17 alunni per insegnante nelle classi propedeutiche e di 3-8 alunni per insegnante nelle sezioni preparatorie. L'assegnazione delle risorse dipende dalla presenza di un numero di alunni sufficiente per poter organizzare una classe o sezione;

le gerarchie istituzionali del precedente Governo di centro-sinistra hanno rigettato la proposta della Lega Nord, sulla necessità di istituire dette «classi propedeutiche», considerandole addirittura «luoghi di segregazione culturale», o «mere strategie di integrazione degli alunni immigrati», ritenendole «soluzioni compensatorie di carattere speciale», avvolte in schemi stereotipi e folkloristici;

la pedagogia interculturale del centro-sinistra, attraverso l'affermazione dell'«universalismo», ha lasciato l'iniziativa alle singole scuole e agli enti locali che, pur avendo agito in maniera equilibrata, non possono attuare strategie per il superamento dei problemi derivanti dall'accoglienza e dalla formazione degli studenti stranieri. Le normative sull'immigrazione del 1998 e del 2002 (Testo unico di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998 e legge n. 189 del 2002) contengono indicazioni utili sulla funzione e sull'uso dei cosiddetti «spazi dotati di strumenti appositamente dedicati», demandando alle scuole e agli enti locali l'iniziativa e la gestione di tali spazi e strumenti mirati all'istituzione di percorsi specifici di alfabetizzazione linguistica di durata variabile;

i dati forniti dal ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca evidenziano come il problema dei ripetenti e della dispersione scolastica incida soprattutto sui ragazzi stranieri. Secondo tali dati, il numero degli studenti stranieri ripetenti è del 4 per cento nella scuola primaria, dell'8 per cento nella scuola secondaria di primo grado e arriva al 14 per cento nella scuola secondaria di secondo grado. In riferimento a quest'ultimo ciclo di istruzione si rilevano, inoltre, incongruenze tra la classe frequentata e l'età, incongruenze che riguardano circa il 75 per cento degli studenti stranieri;

la dimensione della scuola, la quantità di stranieri rispetto alla popolazione scolastica e la quantità di cittadinanze concorrono al successo o all'insuccesso scolastico di tutti gli studenti;

dai dati ministeriali si rileva che per i diversi ordini di scuola gli alunni stranieri sembrano ottenere maggiori risultati quando sono ridotti di numero;

la densità della presenza di alunni con cittadinanza non italiana in piccole scuole sembra non favorire livelli elevati di esiti positivi. Tale fattore si determina maggiormente nelle scuole secondarie di secondo grado dove il decremento degli esiti in rapporto alla maggiore consistenza di alunni stranieri è ancora più accentuato: negli istituti di piccole dimensioni con gruppi minimi di studenti non italiani, il tasso di promozione degli alunni stranieri scende dal 93,29 per cento (da 1 a 5) fino al 78,64 per cento (da 11 a 30) se vi sono consistenti gruppi di alunni stranieri. Negli istituti di medie dimensioni (da 101 a 300 alunni complessivi) si passa dal 91,79 per cento al 78,46 per cento; negli istituti maggiormente dimensionati si passa dall'89,87 per cento all'80,26 per cento; ciò vuol dire che il tasso di promozione di alunni stranieri nelle scuole primarie e secondarie di I grado è inversamente proporzionale alla dimensione della loro presenza nella scuola;

l'elemento della presenza di molte diverse cittadinanze nelle scuole, pur non coincidendo necessariamente con esiti negativi finali degli alunni stranieri, rappre senta un fattore condizionante del complesso sistema educativo e formativo che influenza l'intera classe;

le sopraccitate analisi sugli esiti scolastici sono importanti poiché consentono di comprendere determinate categorie di alunni per i quali l'obiettivo, oltre a quello degli apprendimenti, è anche quello dell'integrazione del sistema scolastico e del sistema sociale;

questa tipologia di alunni con cittadinanza non italiana consegue determinati esiti scolastici, in rapporto al livello di conoscenza della lingua italiana, alla dimensione temporale di scolarizzazione nel nostro Paese, alle misure di accompagnamento per la loro integrazione all'interno e all'esterno dell'ambito scolastico;

tali misure risultano infatti determinate sia dal numero degli studenti stranieri, sia dalle diverse nazionalità presenti nella stessa classe o scuola e dalle conseguenti differenti situazioni culturali e sociali che generano molteplici esigenze cui dare risposta,

impegna il Governo:

a rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, favorendo il loro ingresso previo superamento di test e specifiche prove di valutazione;

a istituire classi di inserimento che consentano agli studenti stranieri che non superano le prove e i test sopra menzionati di frequentare corsi di apprendimento della lingua italiana, propedeutiche all'ingresso degli studenti stranieri nelle classi permanenti;

a non consentire in ogni caso ingressi nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno, al fine di un razionale ed agevole inserimento degli studenti stranieri nelle nostre scuole e a prevedere, altresì, una distribuzione degli stessi proporzionata al numero complessivo degli alunni per classe, per favorirne la piena integrazione e scongiurare il rischio della formazione di classi di soli alunni stranieri;

a favorire, all'interno delle predette classi di inserimento, l'attuazione di percorsi monodisciplinari e interdisciplinari, attraverso l'elaborazione di un curricolo formativo essenziale, che tenga conto di progetti interculturali, nonché dell'educazione alla legalità e alla cittadinanza:

a) comprensione dei diritti e doveri (rispetto per gli altri, tolleranza, lealtà, rispetto della legge del paese accogliente);

b) sostegno alla vita democratica;

c) interdipendenza mondiale;

d) rispetto di tradizioni territoriali e regionali del Paese accogliente, senza etnocentrismi;

e) rispetto per la diversità morale e cultura religiosa del Paese accogliente;

a prevedere l'eventuale maggiore fabbisogno di personale docente da assegnare a tali classi, inserendolo nel prossimo programma triennale delle assunzioni di personale docente disciplinato dal decreto-legge n. 97 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 143 del 2004, alla cui copertura finanziaria si provvede mediante finanziamenti da iscrivere annualmente nella legge finanziaria.

 

 


 

 

 

 

PARTE SECONDA. SCUOLA E ISTRUZIONE IN ALCUNI PAESI DELLA U.E.

 (Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna, Svezia, Grecia)

 

 

INDICE

1. LA NORMATIVA EUROPEA SU ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE. 57

 

1.1 - LA NORMATIVA DEL TRATTATO DI ROMA. 57

1.2 - LA NORMATIVA COMUNITARIA DOPO IL TRATTATO DI ROMA. 59

 

2. IL SISTEMA SCOLASTICO IN ALCUNI PAESI DELL’ UNIONE EUROPEA. 63

 

2.1 - LA SCUOLA IN FRANCIA. 63

2.2 - LA SCUOLA IN GERMANIA. 64

2.3 - LA SCUOLA IN GRAN BRETAGNA. 66

2.4 - LA SCUOLA IN SPAGNA. 68

2.5 - LA SCUOLA IN SVEZIA. 71

2.6 - LA SCUOLA IN GRECIA. 72

 

3. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE. 74

 

    BIBLIOGRAFIA. 75

 


 

1. LA NORMATIVA EUROPEA SU ISTRUZIONE E FORMAZIONE PROFESSIONALE

 

1.1 LA NORMATIVA DEL TRATTATO DI ROMA

 

Il processo di integrazione europea abbraccia ormai ogni settore dell’ amministrazione e della vita degli stati membri, anche quello dell’ istruzione e della formazione professionale. Questo settore viene ritenuto di cruciale importanza dall’ Unione Europea, come testimoniano le numerose misure normative adottate a partire fin dai primi anni 60.

Già nel Trattato di Roma del 1957, atto istitutivo delle Comunità Europee e ancora oggi, opportunamente modificato nel tempo, pilastro fondamentale del processo di integrazione, sono contenute norme sull’ istruzione e la formazione professionale. Si tratta degli artt. 149 e 150. Il primo comma dell’ art. 149 sancisce che “la Comunità contribuisce allo sviluppo di un' istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell'insegnamento e l'organizzazione del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche”. Di seguito l’ art. 149 stabilisce che l' azione della Comunità è intesa:

- a sviluppare la dimensione europea dell'istruzione, segnatamente con l'apprendimento e la diffusione delle lingue degli Stati membri,

- a favorire la mobilità degli studenti e degli insegnanti, promuovendo tra l'altro il riconoscimento accademico dei diplomi e dei periodi di studio,

- a promuovere la cooperazione tra gli istituti di insegnamento,

- a sviluppare lo scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni dei sistemi di istruzione degli Stati membri,

- a favorire lo sviluppo degli scambi di giovani e di animatori di attività socioeducative,

- a incoraggiare lo sviluppo dell'istruzione a distanza.

 

Inoltre (comma 3), la Comunità e gli stati membri favoriscono la cooperazione con gli stati terzi e con le organizzazioni internazionali (in primis il Consiglio d’ Europa) in materia di istruzione.

Per quanto concerne la formazione professionale, si deve fare riferimento all’ art. 150, il quale stabilisce che la Comunità rafforza ed integra l’ azione degli stati membri in materia nel rispetto della loro responsabilità per quanto riguarda il contenuto e l’ organizzazione della formazione professionale. In particolare il comma 2 dell’ art. 150 sancisce che l’ azione della Comunità è volta:

-        a facilitare l'adeguamento alle trasformazioni industriali, in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale,

-   a migliorare la formazione professionale iniziale e la formazione permanente, per agevolare l'inserimento e il reinserimento professionale sul mercato del lavoro,

- a facilitare l'accesso alla formazione professionale ed a favorire la mobilità degli istruttori e delle persone in formazione, in particolare dei giovani,

-   a stimolare la cooperazione in materia di formazione tra istituti di insegnamento o di formazione professionale e imprese,

  a sviluppare lo scambio di informazioni e di esperienze sui problemi comuni dei sistemi di formazione degli Stati membri.

 

Infine (comma 3), anche per quanto riguarda la formazione professionale è stabilito che la Comunità e gli stati membri favoriscano la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali in materia di formazione professionale.

 

1.2 LA NORMATIVA COMUNITARIA DOPO IL TRATTATO DI ROMA

 

Subito dopo il Trattato di Roma, il primo provvedimento normativo della Comunità Economica Europea in materia di istruzione è costituito dalla decisione del Consiglio del 2 aprile 1963, n. 266, relativa alla determinazione di una politica comune in materia di formazione professionale. Il primo principio contenuto nella decisione definisce la politica comune di formazione professionale, la quale consiste in “una coerente e progressiva azione comune che implichi, da parte di ciascuno stato membro, la definizione di programmi e assicuri realizzazioni che siano conformi ai presenti principi generali e alle disposizioni di applicazione che ne deriveranno”.

Il secondo principio indica gli scopi fondamentali della politica comune di formazione professionale, tra i quali ricordiamo i seguenti:

  • Realizzare le condizioni che rendano effettivo per tutti il diritto a ricevere una adeguata formazione professionale;
  • Sulla base dell’ insegnamento generale, rendere la formazione professionale sufficientemente ampia per favorire lo sviluppo armonioso della persona e per soddisfare le esigenze derivanti dal progresso tecnico, dalle innovazioni nell’ organizzazione della produzione e dall’ evoluzione sociale ed economica;
  • Permettere a ciascuno di acquisire le conoscenze e le capacità tecniche necessarie per l’ esercizio di una determinata attività professionale e di conseguire il più alto livello di formazione possibile favorendo, nel contempo, particolarmente per quanto riguarda i giovani, l’ evoluzione intellettuale e morale, l’ educazione civica e lo sviluppo fisico;
  • Offrire a ciascuno, secondo le proprie aspirazioni, attitudini, conoscenze ed esperienze di lavoro, con i mezzi permanenti atti a permettere un miglioramento sul piano professionale, sia l’ accesso a un livello professionale superiore, sia la preparazione per una nuova attività di livello più elevato.

Importante è poi il settimo principio, che pone le basi per la formazione degli insegnanti, la quale viene ritenuta strumento fondamentale per una efficace politica di formazione professionale.

L’ ottavo principio sancisce che la politica di formazione comune deve essere orientata al progressivo ravvicinamento dei livelli di formazione. Inoltre esso stabilisce, tra l’ altro, che gli stati membri e la Commissione europea incoraggeranno la realizzazione di concorsi e prove su scala europea.

Il 6 giugno 1974 sono stati adottati due importanti provvedimenti: il primo è una risoluzione del Consiglio sul reciproco riconoscimento dei diplomi. Il secondo è una risoluzione dei Ministri della Pubblica Istruzione riuniti in sede di Consiglio sulla cooperazione in materia di istruzione. Essa, in base al provvedimento in questione, risulta basata sui seguenti principi:

  • L’ instaurazione di una cooperazione nel settore dell’ istruzione, che pur corrispondendo alla progressiva armonizzazione delle politiche economiche e sociali nella Comunità, dovrà rispondere agli obiettivi e agli interessi specifici del settore;
  • In nessun caso l’ istruzione deve essere considerata come una semplice componente della vita economica;
  • La cooperazione nel settore dell’ istruzione deve tener conto delle tradizioni di ogni paese, nonché delle diversità politiche e dei sistemi vigenti in materia.

Pertanto, in base alla risoluzione, la cooperazione verte su settori prioritari d’ azione, quali, ad esempio:

  • Miglioramento della corrispondenza tra i sistemi di istruzione in Europa;
  • Intensificazione della cooperazione tra istituti di insegnamento superiore;
  • Miglioramento delle possibilità di riconoscimento accademico dei diplomi e dei titoli di studio.

Questo provvedimento è particolarmente significativo in quanto afferma che la cooperazione nel settore dell’ istruzione non deve essere semplicemente finalizzata all’ integrazione economica. L’ istruzione ha infatti una sua dignità e non può essere considerata semplicemente come componente della vita economica di uno Stato o della Comunità.

Altro provvedimento importante è la risoluzione del Consiglio del 16 luglio 1985, che tratta della corrispondenza tra le qualifiche professionali nei vari stati membri delle Comunità Europee.

La disposizione più significativa è quella contenuta nell’ art. 1, che stabilisce che è necessaria un’ iniziativa congiunta degli stati membri e della Commissione per stabilire la corrispondenza delle qualifiche di formazione professionale nella Comunità e conseguire un miglioramento dell’ informazione al riguardo.

Fra i provvedimenti normativi europei in materia di istruzione ricordiamo anche la risoluzione del Consiglio e dei Ministri della pubblica istruzione riuniti in sede di Consiglio del 9 giugno 1986 sull’ educazione del consumatore. E’ significativo che sia sancito l’ inserimento dell’ educazione del consumatore fin dagli anni dell’ istruzione primaria.

Molto importante è anche la risoluzione del Consiglio e dei Ministri dell’ istruzione riuniti in sede di Consiglio adottata il 14 dicembre 1989 contro l’ insuccesso scolastico.

Un’ altra risoluzione del Consiglio è stata adottata il 27 giugno 2002 e riguarda le strategie fondamentali per l’ apprendimento permanente: questo concetto è importante nella politica europea dell’ istruzione; infatti l’ Unione Europea propone una formazione continua che deve essere assicurata dalla tenera età fino a dopo il raggiungimento dell’ età pensionabile. L’ apprendimento permanente serve per formare cittadini attivi, aperti, democratici e capaci di migliorare le proprie conoscenze, competenze e capacità in una prospettiva civica, sociale ed occupazionale.

Infine ricordiamo la risoluzione del Consiglio del 25 novembre 2003, di conclusioni su “Lo sviluppo del capitale umano per la coesione sociale e la competitività nella società dei saperi”. In questo provvedimento si dà giustamente grande importanza al capitale umano, ritenuto strategico per lo sviluppo complessivo dell’ Europa. Per questo è fondamentale investire e trovare le risorse necessarie per favorire lo sviluppo del capitale umano, tanto necessario per il progresso della competitività e dell’ economia.

L’ Unione Europea, come si può comprendere dall’ analisi della normativa, considera fondamentale l’ istruzione e la formazione professionale; e ciò sia dal punto di vista civico, sociale e  culturale, sia dal punto di vista più strettamente economico. Infatti un’ istruzione di buona qualità e basata sull’ apprendimento permanente serve a formare cittadini attivi ed aperti, favorisce la coesione sociale e culturale e contribuisce affinché l’ Europa divenga, secondo quanto stabilito dal Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000, l’ economia basata sulla conoscenza più competitiva e più dinamica al mondo.    

  


 

 

2. IL SISTEMA SCOLASTICO IN ALCUNI PAESI DELL’ UNIONE EUROPEA

 

2.1 - LA SCUOLA IN FRANCIA

 

La Costituzione francese del 1958, che ha dato origine alla Quinta Repubblica, pone una sorta di “norma in bianco” riguardo all’ istruzione: l’ art. 34 stabilisce, tra l’ altro, che la legge determina i principi fondamentali in materia di insegnamento. L’ impostazione costituzionale francese è assai diversa da quella italiana, che sancisce, invece, norme più ampie e dettagliate sul sistema scolastico, dedicando alla materia ben 2 articoli (il 33 e il 34) e trattandone anche nell’ ambito di un terzo articolo (il 117), riguardante l’ assetto delle competenze legislative di Stato e Regioni.

Per quanto concerne il sistema di istruzione francese ci si deve perciò riferire soprattutto alle fonti normative diverse dalla Costituzione.

La caratteristica fondamentale dell’ assetto scolastico francese è costituita dal fatto che esso è, per quanto riguarda l’ istruzione pubblica, completamente sotto il controllo dello Stato; ciò a partire dall’ epoca napoleonica: fu infatti Napoleone ad attribuire allo Stato i poteri in materia di istruzione tra il 1806 ed il 1808.

Tra il 1880 ed il 1882, il Ministro della Pubblica Istruzione Jules Ferry, operò una riforma della scuola che tendeva ad affrancarla dall’ influenza delle istituzioni ecclesiastiche ed a laicizzarla, coerentemente con il suo ideale di Stato laico nel quale il progresso sociale sarebbe venuto dalle scienze e dai Lumi. Ferry rese, così, la scuola laica, gratuita, mista e obbligatoria fino a 13 anni di età. In seguito venne istituito l’ insegnamento gratuito nelle scuole secondarie e tecniche e, il 9 dicembre 1905, fu emanata la nota legge di separazione tra Stato e Chiesa (che ovviamente investì anche l’ ambito dell’ educazione).

Nel 1951 e nel 1959 la legislazione permise il sovvenzionamento delle scuole private, comprese quelle religiose.

Nel 1959 l’ obbligo scolastico venne esteso fino ai 16 anni di età. 

Nel 1975 il Ministro Haby modificò i programmi per la scuola elementare.

L’ ultima riforma della scuola in Francia è arrivata nel 1992; essa ha unito la scuola materna e quella elementare. La scuola materna dura 3 anni e deve preparare il bambino all’ ingresso nel ciclo di istruzione elementare; quest’ ultimo dura dai 6 agli 11 anni di età, ma c’ è la possibilità di frequentare un anno in più o uno in meno. Alla scuola media (collège di insegnamento generale) accedono i ragazzi di 11 anni, che completano il ciclo a 15 anni. La scuola media deve fornire agli studenti i saperi fondamentali per costituzione di una cultura comune.

E’ prevista una sezione speciale della scuola media per i ragazzi che hanno gravi difficoltà (Section d’ Enseignement Generàl et Professionel Adapté).

Alla fine della scuola media è previsto un esame nazionale superato il quale si ottiene un brevetto.

Dopo la scuola media (15 anni di età) i ragazzi accedono al liceo, che ha durata triennale. Esso può essere generale e tecnologico o professionale. C’ è anche la possibilità di iscriversi in un centre de formation d’ apprentis, che fornisce una formazione professionale. 

L’ esame di maturità (baccalauréat) può essere generale o tecnologico.

Il liceo professionale prepara al conseguimento di diplomi professionali e alla maturità professionale (BAC pro), finalizzata all’ entrata nel mondo del lavoro.

La formazione superiore avviene nelle Università o in altre istituzioni (lycées e grandes écoles).

 

2.2 - LA SCUOLA IN GERMANIA  

 

Il sistema educativo vigente nella Repubblica Federale Tedesca è influenzato dal fatto che la Germania è uno stato federale; ciò significa che i poteri in materia di istruzione sono suddivisi tra il Governo centrale e i 16 Länder. L’ obbligo scolastico ha durata di 12 anni, dal 6° al 18° anno di età. E’ prevista una scuola per l’ infanzia, non obbligatoria (Kindergarten).

La Costituzione (o, meglio, la Grundgesetz) del 23 maggio 1949 stabilisce i principi fondamentali sull’ istruzione scolastica nell’ art. 7. Esso sancisce che “l’ intera organizzazione scolastica è sottoposta alla sorveglianza dello Stato” (comma 1). Il comma 4 dell’ art. 7 garantisce il diritto di istituire scuole private. Le scuole private necessitano dell’ autorizzazione dello Stato e sono sottoposte alle leggi dei Länder; esse sostituiscono le scuole pubbliche. L’ autorizzazione deve essere accordata qualora gli istituti privati non siano inferiori a quelli pubblici con riferimento alle finalità didattiche e ai sistemi di organizzazione, nonché alla formazione scientifica degli insegnanti. Inoltre l’ autorizzazione non deve essere negata se le scuole private non favoriscono la separazione degli alunni in base alle condizioni economiche dei genitori. Invece l’ autorizzazione deve essere negata quando la posizione economica e giuridica degli insegnanti non è sufficientemente assicurata.

Per quanto riguarda l’ insegnamento religioso, in base all’ art. 7, comma 2, spetta alle persone che hanno la patria potestà decidere se il fanciullo debba partecipare o meno a detto insegnamento. Il comma 3 sancisce che l’ insegnamento religioso è materia ordinaria negli istituti pubblici, ad eccezione di quelli non confessionali. Lo Stato ha diritto di sorveglianza sull’ insegnamento religioso, il quale però viene impartito conformemente ai principi delle comunità religiose.   

Esaminiamo ora nel dettaglio il sistema scolastico.

L’ istruzione primaria (Grundschule) dura 4 anni e inizia dal 6° anno di età. Ogni Land regola il passaggio dalla Grundschule al successivo grado di istruzione, ossia l’ istruzione secondaria inferiore. Quest’ ultima si divide in:

·         Hauptschule: dura 5 anni, in alcuni Länder 6 e assicura una formazione generale di carattere pratico. Nel corso degli ultimi due anni sono previsti stage in azienda. Al termine si consegue una licenza (Hauptschulabschluss). Dopo la Hauptschule è comunque possibile proseguire negli studi secondari, a condizione che si superi un particolare esame. 

·         Realschule: dura 6 anni, in alcuni Länder 4. Assicura un’ offerta  formativa più ampia rispetto alla Hauptschule. E’ rivolta a coloro che svolgeranno un apprendistato in campo economico. Il diploma che si consegue al termine della Realschule dà accesso agli studi secondari superiori e ad altri percorsi professionalmente qualificati (Fachoberschule, Berufsfachschule);

·         Gesamtschule: questa struttura comprende 3 diversi livelli di istruzione. Frequentando quello più alto si ottiene una qualifica che dà accesso alle Fachhochschule (scuole di specializzazione inferiori all’ Università). 

L’ istruzione secondaria superiore (Fachoberschule, Berufsfachschule, sistema duale) completa il curriculum scolastico per coloro che non hanno scelto il Gymnasium ed è rivolta a coloro che svolgeranno un’ attività professionale. Queste tipologie di scuola permettono l’ alternanza scuola-lavoro e preparano al conseguimento della maturità professionale.

Una particolarità del sistema tedesco è rappresentata dal Gymnasium, che riassume in sé l’ istruzione secondaria inferiore e quella superiore. Il Gymnasium si divide in classi inferiori e superiori;  dura 9 anni, in alcuni Länder 8. E’ l’ insieme delle scuole che assicurano una formazione di livello più alto, si concludono con l’ esame di maturità e permettono l’ accesso ai corsi universitari. E’ simile al nostro liceo.

Altra particolarità del sistema d’ istruzione tedesco è costituita dal cosiddetto sistema duale, ossia l’ alternanza scuola-lavoro. Ad esso possono accedere tutti i giovani che sono in possesso di un diploma di Hauptschule (Hauptschulabschluss).

Nel periodo di alternanza scuola-lavoro la formazione del giovane avviene in parte nelle aziende e nei centri professionali nei quali si apprendono i mestieri, in parte, per 1 o 2 giorni alla settimana, la scuola.   

 

2.3 - LA SCUOLA IN GRAN BRETAGNA

 

Il sistema d’ istruzione britannico ha una grande tradizione ed un notevole prestigio che risalgono al Medio Evo, quando istituzioni caritatevoli fondarono scuole per assicurare la scolarizzazione ai bambini indigenti. Tali scuole furono dette public schools; nonostante la denominazione questi istituti sono privati ed indipendenti.

Il sistema scolastico è simile in tutta la Gran Bretagna, dunque anche per il Galles, la Scozia e l’ Irlanda del Nord. Tuttavia quanto si dirà nel prosieguo di questa analisi farà riferimento all’ Inghilterra ed al Galles.

La politica educativa è stata affidata, fino al 28 giugno 2007, al Department for education and skills; il 28 giugno 2007 quest’ ultimo è stato “spacchettato” in due diversi departments: il Department for children, school and families ed il Department for innovation, universities and skills. Il primo dei due departments può essere considerato l’ equivalente del nostro Ministero della pubblica istruzione e si limita a svolgere un’ azione di controllo; infatti le scuole statali sono gestite a livello locale dalle Local Education Authorities.  

L’ istruzione prescolastica è effettuata presso asili o gruppi di gioco e dura fino ai 5 anni di età. Dai 5 ai 16 anni di età vige l’ obbligo scolastico. A 5 anni i bambini inglesi iniziano il loro percorso di istruzione primaria (primary education). Tale prima fase dura fino a 11 anni di età. Dagli 11 ai 16 anni di età viene effettuata l’ istruzione secondaria (secondary education).

Terminato l’ arco temporale dell’ istruzione obbligatoria, a partire dai 16 anni di età circa il 90% degli studenti accede alla tertiary education, che dura fino ai 18 anni di età e fa conseguire il titolo necessario per entrare all’ università.

Nel 1988 fu emanato l’ Education Reform Act, legge che ha istituito il curriculum nazionale concernente le materie fondamentali. In base all’ Act del 1988 gli studenti devono sostenere esami nelle 3 materie fondamentali, ossia inglese, matematica e scienze, rispettivamente all’ età di 7 e 11 anni. Oltre le 3 materie fondamentali, il National curriculum ne prevede 7 propedeutiche: tecnologia/informatica, storia, geografia, musica, arte, educazione motoria e lingua straniera.

Il passaggio dalla primary education alla secondary education avviene ad 11 anni non tramite un esame finale, bensì attraverso lo Standard assessment task, un sistema di valutazione che prevede verifiche periodiche effettuate in tre stadi (a 7, 11 e 14 anni).

Al termine del periodo dell’ obbligo scolastico, ossia a 16 anni, gli studenti inglesi sostengono un esame finale (General Certificate of Secondary Education) il quale dà accesso ad alcuni impieghi, ai corsi professionali. Per accedere all’ università occorre che gli studenti sostengano, a 18 anni di età, il General Certificate of education Advanced level. Questo è un esame di alto livello. A 18 anni lo studente si specializza nelle materie del corso universitario al quale pensa di iscriversi. Per accedere all’ università è necessario che lo studente sostenga il GCE A-level in almeno due materie oggetto del futuro corso di laurea.

In alternativa al GCE A-level gli studenti possono sostenere, sempre a 18 anni, l’ International Baccalaureate, esame di alto livello riconosciuto internazionalmente che dà accesso all’ università.

 

2.4  LA SCUOLA IN SPAGNA

 

La Costituzione spagnola del 27 dicembre 1978, entrata in vigore dopo la fine del regime franchista, sancì il ritorno della Spagna alla democrazia. In essa è dato grande spazio ai diritti di libertà. Tra questi l’ art. 27 riconosce il diritto all’ istruzione per tutti e la libertà d’ insegnamento. L’ istruzione ha per oggetto il pieno sviluppo della personalità umana. L’ istruzione primaria è obbligatoria e gratuita. I pubblici poteri garantiscono il diritto all’ istruzione mediante una programmazione generale dell’ insegnamento e la creazione di centri di insegnamento. Nel rispetto dei principi costituzionali, le persone fisiche e giuridiche hanno il diritto di creare detti centri.

Gli insegnanti, i genitori e gli alunni possono partecipare al controllo ed alla gestione dei centri finanziati dall’ amministrazione con fondi pubblici. E’ riconosciuta l’ autonomia alle Università.

Per quanto riguarda la gestione della scuola dobbiamo tenere presente che la Spagna riconosce un ampio grado di autonomia alle Comunità Autonome. Secondo questo schema il Governo centrale ha competenza, tra l’ altro,  per l’ organizzazione generale, la definizione degli elementi essenziali del curriculum, lo sviluppo della ricerca, la regolamentazione delle qualifiche, il controllo e la valutazione del sistema. Spettano, invece, alle Comunità Autonome le responsabilità amministrative, l’ organizzazione delle istituzioni locali, la gestione del personale, la pianificazione dei progetti educativi. Residue competenze, come ad esempio il mantenimento delle scuole infantili e primarie, sono affidate alle amministrazioni locali.  

A partire dal 1985 l’ obbligatorietà e gratuità dell’ istruzione vengono portate fino al raggiungimento dei 16 anni di età.

La legge di base sull’ istruzione è oggi la Ley Orgánica de Educación (LOE) approvata il 3 maggio 2006.

E’ previsto un primo periodo di scolarità non obbligatoria, fino ai 6 anni di età (Educación infantil). In base all’ art. 12 della LOE la finalità essenziale della educación infantil  è lo sviluppo fisico, affettivo, intellettuale e sociale dei bambini. Di fondamentale importanza in questa primissima fase dell’ educazione è la collaborazione tra scuola e famiglie.

L’ educazione primaria (artt. 16 e ss.) dura 6 anni e si svolge, ordinariamente, tra i 6 ed i 12 anni di età. Essa fornisce ai ragazzi gli elementi culturali di base: lettura, scrittura, espressione e comprensione orale e calcolo aritmetico. E’ organizzata secondo 3 cicli di 2 anni ciascuno.

Le materie che fanno parte del curriculum in questa fase sono: lingua e letteratura castigliana e, nel caso, lingua e letteratura della Comunità Autonoma di residenza, matematica, educazione fisica, educazione artistica, lingua straniera. Durante il 3° ciclo si aggiungerà l’ educazione alla cittadinanza ed ai diritti umani ed una seconda lingua straniera. 

La valutazione degli alunni è continua e globale. Al termine del 2° ciclo è previsto un esame (art. 21).

Al termine della fase di educazione primaria si prosegue con l’ educazione secondaria obbligatoria (artt. 22 e ss. LOE), la quale si svolge in 4 anni , dai 12 ai 16 anni di età. Le materie sono: lingua e letteratura castigliana e, nel caso, lingua e letteratura della Comunità Autonoma di residenza, matematica, lingua straniera, scienze sociali, storia, geografia, educazione visiva e plastica, scienze naturali, musica e tecnologia, educazione fisica. In uno dei primi 3 corsi si aggiungeranno educazione alla cittadinanza e diritti umani. Inoltre, nel prosieguo dei corsi si aggiungeranno altre materie, come ad esempio biologia, geologia, educazione civica, fisica, chimica, latino.

La valutazione sarà continua e differenziata per materia. Sono previste prove speciali per il recupero di materie nelle quali si è conseguita una valutazione negativa. Al termine del secondo corso è previsto un esame.

La fase dell’ educazione secondaria obbligatoria è terminata con il conseguimento del Graduado en Educación Secundaria  (art. 31 LOE).

Lo studente in possesso di tale titolo può scegliere tra varie opzioni:

·         Il Bachillerato

·         La formazione professionale di grado medio

·         I cicli di grado medio delle arti plastiche e del disegno

·         I cicli di grado medio degli insegnamenti sportivi

·         Il grado medio degli insegnamenti a regime speciale (cfr. art. 3, comma 6)

·         Il mercato del lavoro.

Il Bachillerato dura 2 anni, dai 16 ai 18 anni di età e assicura agli studenti l’ approfondimento delle conoscenze in settori specifici della cultura universitaria. Il Bachillerato comprende 3 indirizzi: artistico, scientifico e tecnologico, umanistico e delle scienze sociali.

Terminato il Bachillerato lo studente ottiene il titolo di  Bachiller. Esso dà accesso alla educación superior, ossia:

·         L’ università

·         la formazione professionale di grado superiore

·         gli insegnamenti professionali di grado superiore di arte plastica e disegno

·         gli insegnamenti sportivi di grado superiore.

·         Il grado superiore degli insegnamenti a regime speciale.

La formazione professionale si concretizza in un insieme di insegnamenti che preparano all’ esercizio qualificato di una professione ed è articolata in 2 cicli: il grado medio e il grado superiore. Accedono alla formazione professionale di grado medio coloro che sono in possesso del titolo di Graduado en educación secundaria obligatoria. Accedono al grado superiore della formazione professionale coloro che sono in possesso del titolo di bachiller. E’ prevista anche la formazione pratica presso le aziende. La valutazione è effettuata per moduli professionali. Chi consegue il titolo al termine della formazione professionale di grado medio può accedere al Bachillerato. Coloro che invece conseguono il titolo al termine del grado superiore della formazione professionale divengono “técnico superior”.  

L’ art. 3, comma 6 della LOE prevede gli insegnamenti cosiddetti “a regime speciale”, tra cui gli insegnamenti artistici. Essi, in base all’ art. 45, hanno lo scopo di formare i futuri professionisti della musica, della danza, del teatro, delle arti plastiche e del disegno.

Gli insegnamenti artistici possono essere di grado medio o di grado superiore. In genere, per accedere agli insegnamenti di grado medio è necessario essere in possesso del Graduado de educación secondaria obligatoria, mentre per accedere al grado superiore bisogna avere il titolo di bachiller. Sono previste anche prove di accesso specifiche, che a volte possono anche sostituire i titoli accademici (Graduado en educación secundaria obligatoria o bachillerato).

 

2.5 LA SCUOLA IN SVEZIA

 

Il sistema scolastico svedese prevede una fase di istruzione prescolastica da 1 a 5 anni di età (Förskola). A 6 anni di età i bambini frequentano la Förskoleklass, una scuola pre-elementare, per un anno.

Dai 7 anni di età inizia la fase dell’ istruzione vera e propria. Infatti, dai 7 ai 16 anni di età i ragazzi svedesi frequentano la scuola elementare e quella media, che danno un’ istruzione di base (Grundskola).

L’ educazione superiore (Gymnasieskola) dura 3 anni, dai 16 ai 20 anni di età.

L’ Università ha durata, in media, dai 2 ai 5 anni; è prevista anche un’ educazione post-universitaria.

Caratteristica importante e degna di nota del sistema educativo vigente in Svezia è che esso è esente dal pagamento delle iscrizioni. Solo per l’ Università è obbligatoria l’ iscrizione alle Unioni studentesche, da effettuarsi a pagamento.

 

2.6 LA SCUOLA IN GRECIA

 

In Grecia l’ istruzione è obbligatoria per tutti i ragazzi dai 6 ai 15 anni di età. Questo primo ciclo è articolato in 2 fasi: scuola primaria (Dimotiko) e scuola secondaria di primo grado (Gymnasio). I bambini greci possono, tuttavia, iniziare la loro vita scolastica già a 2 anni e mezzo, frequentando l’ istruzione pre-scolastica.

La frequenza del Dimotiko inizia a 6 anni di età e dura 6 anni, dunque fino ai 12 anni di età.

L’ educazione secondaria post-obbligatoria, secondo la riforma del 1997, è articolata in 2 tipi di scuola: l’ Eniaia Lykeia (Scuola secondaria superiore unificata) e le scuole tecniche. L’ Eniaia Lykeia ha durata di 3 anni. Per quanto riguarda le scuole tecniche, il corso di studi dura 2 anni per il livello “A” e 3 per il livello “B”.

L’ istruzione secondaria post-obbligatoria comprende anche gli istituti per l’ insegnamento, che forniscono un’ educazione formale, ma non classificata; questi istituti non sono classificati come un livello di educazione in quanto accettano sia i diplomati del Gymnasio, sia quelli del Lykeio, a seconda del tipo di specializzazione che forniscono.

Per quanto concerne il livello più alto dell’ educazione pubblica, esso è costituito dalle Università  e dagli istituti tecnologici. Sono ammessi a tali istituzioni educative coloro che superano l’ esame che si tiene al 2° o al 3° anno del Lykeio. Inoltre, gli studenti sono ammessi all’ Università Ellenica aperta dopo il compimento dei 22 anni di età, mediante sorteggio. 

Una particolarità del sistema educativo greco è costituita dal fatto che il Ministero dell’ Educazione è anche il Ministero dei culti e degli affari religiosi.


3. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

Come si può vedere dall’ analisi delle normative sui sistemi di istruzione in Europa,  i vari stati hanno adottato legislazioni abbastanza  simili tra loro. Infatti in ogni paese è presente una fase di istruzione pre-scolastica prima dei 6 anni di età. Successivamente sono previste scuole di base (primarie) e scuole secondarie. Nell’ ambito dell’ educazione superiore, poi, è possibile scegliere tra una formazione di più alto livello culturale e una più tecnico-professinale. Superata la fase della formazione superiore è possibile, in genere, accedere agli studi universitari.

In linea di massima è questo lo schema generale su cui si basano i vari sistemi scolastici presenti in Europa. Possiamo, tuttavia, osservare alcune particolarità; ad esempio, in Spagna ed in Germania il sistema educativo non è gestito esclusivamente dallo Stato, bensì anche dalle circoscrizioni del decentramento amministrativo (le Comunità Autonome in Spagna, i Länder in Germania). In Spagna esiste anche la particolarità del bachillerato, una sorta di “ponte” tra l’ istruzione superiore e l’ Università. In Germania, poi, il periodo dell’ istruzione di base termina a 10 anni di età. Ciò implica che la scelta dell’ indirizzo di studi fondamentale per il futuro deve essere fatta molto presto.

Il sistema svedese ha come nota significativa il fatto che è completamente gratuito (tranne per quanto riguarda l’ Università).

Per quanto concerne la normativa dell’ Unione Europea abbiamo avuto modo di vedere che essa, fin dal Trattato di Roma del 1957, ha previsto l’ integrazione anche in materia di istruzione e scuola. Inoltre le istituzioni europee hanno anche tenuto a specificare che l’ istruzione non può essere considerata semplicemente come una componente della vita economica (vedi la risoluzione dei Ministri della Pubblica istruzione del 6 giugno 1974). Attraverso una politica comune anche nel campo della scuola è possibile realizzare una più completa integrazione ed una maggiore coesione economica, sociale e culturale.

 

SITI INTERNET CONSULTATI

 

·         http://encarta.msn.com/

·         www.associazionedeicostituzionalisti.it

·         www.britishcouncil.org

·         www.camera.it 

·         www.comitatigenitori.it

·         www.comune.torino.it

·         www.europa.eu.int

·         www.svezia.cc

·         www.wikipedia.it 

·         www.ypepth.gr

 

 

 

 

 

      

 

 


 

 

 

 

 

 



[1] Dobbiamo, però, dare conto di due importanti eccezioni che si sono avute nel Medio Evo, quando vigeva il sistema di dominio feudale e non esisteva ancora un’ istituzione che perseguisse il pubblico interesse. Ci si riferisce alla costituzione del primo Ateneo di stato, creato a Napoli da Federico 2° di Svevia nel 12° secolo e alla Scuola Palatina, istituita da Carlo Magno tra l’ 8° ed il 9° secolo.

[2]  Gabrio Casati è stato il Ministro della pubblica istruzione del Regno di Sardegna dal 1859 al 1860.

[3] Cfr. Cfr. Aldo Sandulli, Istruzione, voce tratta dal Dizionario di diritto pubblico diretto da Sabino Cassese, vol. IV, Milano, Giuffré, 2006.

[4] Il liceo economico e quello tecnologico sono sostituiti con gli istituti professionali e gli istituti tecnici.

[5] Si confronti, per i parametri, il D.P.R. 18 giugno 1998, n. 233.