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Documentazione   Documento inserito il 26-1-2009


 

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LE ISTITUZIONI DELL’UNIONE EUROPEA DI FRONTE ALLA CRISI

Dibattito in occasione della pubblicazione del volume di EuropEos

L’Unione Europea del XXI Secolo

 

Nuove regole e mercati finanziari

 

Intervento di Fabrizio Saccomanni Direttore Generale della Banca d’Italia SSPA – Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione

Roma, 19 gennaio 2009

 

1- Verso nuove regole per i mercati finanziari La crisi finanziaria che stiamo attraversando dall’agosto del 2007 è stata affrontata con interventi coordinati di governi, banche centrali e autorità di vigilanza su scale europea e globale. Questi interventi, eccezionali per la natura degli strumenti utilizzati e per la dimensione dell’impegno finanziario, specialmente nei paesi maggiormente colpiti, hanno avuto come obiettivo immediato quello di ripristinare il funzionamento del mercato interbancario, limitare l’impatto sistemico della crisi nel sistema finanziario e contenere gli effetti negativi sull’economia reale. Fin dalle prime settimane della crisi si è sviluppata un’azione per rivedere e rafforzare la regolamentazione e la vigilanza. Già nell’ottobre del 2007 il Consiglio ECOFIN approvava una roadmap, che prevedeva numerosi filoni di lavoro; a livello globale il G7 dava mandato al Financial Stability Forum (FSF) di analizzare le cause della crisi e di formulare concrete proposte d’intervento. Il rapporto del FSF dell’aprile 2008 contiene una serie di raccomandazioni, alla cui attuazione stanno lavorando tutti i comitati di vigilanza, globali ed europei, e le autorità nazionali. Con l’aggravarsi della crisi a seguito al fallimento di Lehman Brothers nel settembre dello scorso anno si è diffusa tra le autorità come tra gli operatori privati la consapevolezza della necessità di una revisione complessiva del sistema regolamentare e di vigilanza. Al Vertice dei Capi di Stato e di Governo del G20 tenutosi a Washington il 15 novembre scorso sono state ulteriormente messe a punto le priorità di policy di una strategia globale. Alla prossima riunione del G20 di aprile si dovrebbe avere un quadro più definito del nuovo sistema di regole che emergerà dall’esperienza della crisi.

Le principali aree sulle quali si è concentrata l’attenzione sono:

il perimetro della regolamentazione: la crisi è originata in segmenti non regolamentati del sistema finanziario statunitense e il suo impatto è stato amplificato dall’eccessivo grado di leverage complessivo, alimentato anche dall’azione di soggetti non sottoposti a vigilanza. L’idea che segmenti non regolamentati del mercato potessero favorire l’innovazione finanziaria e aumentare le pressioni competitive e l’efficienza dei soggetti vigilati senza pregiudizio per la stabilità si è rivelata fallace; peraltro, anche paesi che hanno adottato approcci più prudenti sono stati colpiti, perché prodotti originati da soggetti non vigilati sono entrati nei prodotti strutturati che hanno avuto una diffusione globale. L’interconnessione tra i mercati rende quindi necessario ridefinire l’estensione e la graduazione dei controlli in modo il più possibile coordinato a livello internazionale, soprattutto per contrastare il formarsi del cosiddetto shadow banking system basato su “veicoli” e “condotti” fuori bilancio. Al massimo livello politico, il G20 si è impegnato a far cheall financial markets, products and participants are regulated or subject to oversight, as appropriate to their circumstances;

la dimensione macroprudenziale e la necessità di strumenti anticiclici: negli ultimi anni è emersa l’esigenza di potenziare l’analisi del rischio finanziario aggregato, per cogliere in anticipo possibili fonti di tensione sistemica e valutare meglio i rischi di contagio. Le analisi “macroprudenziali” hanno correttamente identificato, in molti casi, i rischi che si sono successivamente materializzati. Peraltro, le analisi macroprudenziali hanno finora utilizzato strumenti soft, principalmente la comunicazione con il mercato, senza che le conclusioni si traducessero in concreti interventi di policy. È mancato uno stretto raccordo con l’attività di vigilanza “microprudenziale”, che si basa su strumenti amministrativi riferiti alla situazione dei singoli intermediari. La potenziale prociclicità del sistema finanziario – ossia, la tendenza degli aggregati creditizi e finanziari a crescere eccessivamente nella fase ascendente del ciclo, richiedendo aggiustamenti più dolorosi e prolungati nella fase discendente – dovrà essere corretta con nuovi strumenti. La possibilità che le stesse regole prudenziali o gli standard contabili abbiano effetti prociclici deve essere contenuta;

il contenimento del leverage e il rafforzamento della gestione dei rischi: l’innovazione finanziaria ha generato l’illusione che ogni profilo di rischio potesse essere diversificato e riallocato in modo da consentire a un ammontare relativamente contenuto di risorse patrimoniali di sostenere attività finanziarie sempre crescenti. Il ricorso a strumenti di capitale innovativi e requisiti patrimoniali inadeguati in alcuni casi rispetto al rischio possono avere facilitato  questo processo. Sono in corso lavori per rivedere la definizione di capitale per le banche e per considerare il possibile uso di misure più semplici per valutare, e possibilmente limitare, il grado di leverage degli intermediari. La crisi ha anche posto in evidenza la necessità di una maggiore attenzione al rischio di liquidità, gestito con procedure assai diverse tra paesi, basate su regole rigide e in parte inadeguate rispetto al grado di sofisticazione del mercato;

trasparenza delle esposizioni ai rischi e valutazione degli strumenti finanziari: iniziative sono state prese per migliorare la qualità e la quantità delle informazioni diffuse dagli intermediari sulla loro esposizione ai rischi associati a prodotti strutturati e veicoli fuori bilancio. Rimane da affrontare la questione fondamentale della valutazione degli strumenti finanziari. Si è fatto finora affidamento su prezzi di mercato e su misurazioni effettuate con modelli interni sviluppati dagli operatori, o sulle valutazioni delle agenzie di rating. Le debolezze mostrate da queste metodologie, soprattutto in presenza di mercati illiquidi, sollecitano interventi delle autorità di regolamentazione e degli organismi contabili. Correzioni sono state già introdotte nei criteri per la classificazione e valutazione di strumenti finanziari; proposte di regolamentazione delle agenzie di rating sono state avanzate a livello europeo e verranno considerate anche a livello globale;

governance e incentivi: la forte concorrenza negli ultimi anni ha spinto verso schemi di incentivo per traders, gestori di fondi e manager bancari incentrati sulla performance a breve termine. In presenza di abbondante liquidità, si è accentuato il ricorso alla leva finanziaria all’eccessiva assunzione di rischi. Iniziative sono in corso in varie sedi internazionali per correggere queste disfunzioni;

cooperazione nell’attività di vigilanza: la crisi ha avuto un impatto particolarmente forte su intermediari sofisticati e globali, che operano in maniera integrata a livello internazionale, centralizzando funzioni chiave – come l’assunzione e il controllo dei rischi. Le responsabilità di vigilanza sono invece segmentate su un numero spesso assai vasto di autorità nazionali, che hanno giurisdizione sulle diverse componenti del gruppo. C’è generale accordo sulla necessità di potenziare la cooperazione di vigilanza, per rendere efficaci i controlli su questi intermediari. La risposta generalmente indicata dalle autorità è quella di un effettivo rafforzamento dei collegi di supervisori, le strutture di coordinamento tra le autorità nazionali responsabili per la vigilanza su ciascun gruppo bancario;

strumenti per la gestione delle crisi: gli strumenti per interventi correttivi e gestione delle crisi, come l’amministrazione straordinaria o i meccanismi di assicurazione dei depositi, sono assai differenti a livello nazionale. Correzioni sono state introdotte, mentre si sono avviati lavori a medio termine per una revisione più generale degli strumenti di intervento delle autorità. Inoltre, i meccanismi di gestione diventano particolarmente complessi e delicati a fronte della crisi di un gruppo cross-border, soprattutto quando si richiede l’iniezione di risorse finanziarie da parte di governi nazionali. In questi casi, i gruppi cross- border tendono a trasformarsi in agglomerati di entità legali, e le autorità nazionali dispiegano i propri strumenti con riferimento alle entità sotto il loro diretto controllo.

 

2. La dimensione europea

 

2.1 Problemi dell’assetto europeo di vigilanza Nell’Unione Europea lo sforzo di ridefinizione delle regole si intreccia con il dibattito sugli assetti istituzionali per la regolamentazione e la vigilanza. La struttura attuale per la vigilanza prudenziale si basa su tre elementi: (i) la responsabilità di vigilanza a livello nazionale; (ii) il principio dell’home-country control, che attribuisce all’autorità del paese di origine la responsabilità per le attività condotte nel Mercato Unico da una banca e da tutte le sue filiali; (iii) meccanismi per la cooperazione e il coordinamento internazionale tra le autorità di vigilanza. A seguito dell’introduzione dell’euro si è fortemente accresciuta l’integrazione dei mercati: i 45 gruppi cross-border censiti dalla BCE rappresentano più dei due terzi delle attività del settore bancario nell’Unione; in numerosi paesi membri filiali e filiazioni di banche di altri paesi UE detengono più del 50% del mercato domestico. Si è aperto un divario sempre più visibile tra i confini del mercato, ormai europei, e le giurisdizioni dei controlli di vigilanza, che rimangono nazionali. Il grado di coordinamento richiesto nella definizione di nuove regole e nella loro applicazione è sicuramente assai più elevato all’interno dell’area dell’euro e del Mercato Unico. In questo contesto differenze nelle regole generano frizioni nel funzionamento del Mercato Unico. Anche regolamentazioni armonizzate contengono un elevato numero di opzioni e discrezionalità nazionali (152 nella Capital Requirements Directive). A queste differenze si aggiungono quelle derivanti dal processo di recepimento. L’armonizzazione minima lascia poi aperta la strada a requisiti aggiuntivi a livello nazionale – il cosiddetto gold plating. A fronte di un quadro regolamentare comune, il manuale al quale un gruppo cross-border deve attenersi rimane la sommatoria dei manuali dei paesi in cui è presente e il processo di compliance è spesso frammentato in una serie di processi nazionali. L’introduzione di nuove regole fornisce un’opportunità per muovere verso un rulebook sempre più integrato a livello europeo. Un secondo elemento di difficoltà nasce dalle differenze nella pratiche di vigilanza nazionali. Sia le modalità di analisi (ad esempio, la combinazione dello strumento ispettivo con le analisi cartolari), sia le modalità di dialogo con gli intermediari, sia la natura degli meccanismi correttivi e il ricorso a strumenti sanzionatori differiscono tra paesi dell’UE. Anche nei casi in cui la regola comune fosse semplicemente copiata nelle diverse legislazioni nazionali, la sua applicazione risentirebbe delle differenze nei modelli di vigilanza nazionali. Ogni processo nazionale è scandito da una sua tempistica e da procedure definite. Nasce di qui un’esigenza di coordinamento operativo tra le autorità nazionali per la vigilanza dei gruppi cross- border, per evitare di duplicare richieste o fornire indicazioni contrastanti a diverse componenti del gruppo. Differenze nelle regole e nelle pratiche di vigilanza generano costi amministrativi per i gruppi cross-border che, soprattutto a fronte di requisiti armonizzati, sono percepiti come un peso inutile. Ad esempio, per gli schemi di supervisory reporting vengono spesso usati differenti formati per la segnalazione, diverse definizioni degli aggregati, diverse piattaforme IT per la trasmissione delle informazioni, e diverse frequenze e date di trasmissione dei dati. Al di là dei costi per i 5 gruppi finanziari, questo crea un ostacolo anche allo scambio di informazioni tra autorità di vigilanza. Il coordinamento degli interventi in situazioni di crisi non è agevole. L’esperienza dei mesi recenti mostra che un accordo a livello politico sui principi generali può tradursi in misure applicative parzialmente diverse, che possono generare problemi di level playing field. Questo possibilità è stata attenuata dall’intervento della BCE e della Commissione Europea: la prima ha infatti elaborato raccomandazioni per il pricing delle garanzie statali sulle passività bancarie; la seconda ha emanato una comunicazione sugli interventi di ricapitalizzazione ai sensi della disciplina comunitaria sugli aiuti di stato. Tuttavia, si tratta di interventi attuati con strumenti ad hoc, più che di un effettivo coordinamento delle politiche di intervento a fini di stabilità finanziaria. Inoltre, l’aggravarsi della crisi dopo il fallimento di Lehman Brothers ha mostrato che esistono seri limiti di natura legale al trasferimento di attività tra paesi, che possono intralciare la gestione della crisi. Anche per gli strumenti per interventi correttivi, le procedure straordinarie per la riorganizzazione e liquidazione delle banche, il livello di armonizzazione raggiunto è insoddisfacente e molto minore di quello realizzato nella regolamentazione prudenziale. Anche per gli schemi di garanzia dei depositi malgrado la maggiore armonizzazione nel funzionamento raggiunta nei mesi scorsi, rimangono importanti differenze che non favoriscono l’interoperabilità degli schemi e ostacolano il loro uso per interventi coordinati di burden sharing.

 

2.2 La revisione dell’approccio Lamfalussy Le criticità dell’aspetto di vigilanza sono note da tempo e molto lavoro è stato fatto negli anni recenti per porvi rimedio, soprattutto attraverso meccanismi istituzionali introdotti su proposta del Comitato presieduto da Alexandre Lamfalussy. L’approccio Lamfalussy suddivide il processo regolamentare e di vigilanza in quattro livelli, prevedendo vari comitati di Stati Membri e di autorità di vigilanza nazionali, con l’obiettivo di:

• migliorare la qualità della regolamentazione comunitaria, attraverso un maggiore coinvolgimento delle autorità tecniche ed estesi processi di consultazione;

• aumentare la flessibilità della legislazione comunitaria, consentendo l’adeguamento delle norme tecniche all’evoluzione delle pratiche di mercato attraverso procedure più snelle;

• assicurare un’applicazione coerente della legislazione comunitaria negli stati membri e la convergenza delle pratiche di vigilanza;

• sostenere la cooperazione e lo scambio di informazioni tra autorità di vigilanza, in tempi normali come in situazioni di crisi. Nel corso del 2007 le istituzioni europee hanno condotto una valutazione dei progressi ottenuti dall’approccio Lamfalussy.

Ne è uscito un quadro composito: passi avanti sono stati compiuti, ma in alcune aree appare necessario introdurre aggiustamenti significativi. Il processo di rule-making comunitario è stato sicuramente migliorato. I testi normativi sono di qualità superiore rispetto al passato; il processo normativo è assai più trasparente, con processi di consultazione che coinvolgono tutte le parti interessate; l’analisi di impatto della regolamentazione è ora condotta su tutte le proposte legislative; i tempi di emanazione e modifica delle norme si sono effettivamente ridotti. Minore successo ha avuto il tentativo di accrescere la coerenza delle regole tra stati membri e dare impulso alla convergenza delle pratiche di vigilanza. I comitati di vigilanza (il Committee of European Banking Supervisors – CEBS, il Commmittee of European securities Regulators – CESR e il Committee of European Insurance and Occupational Pensions Supervisors – CEIOPS) si sono dotati di meccanismi di peer review, che consentono di confrontare il modo in cui la legislazione comunitaria e le linee guida dei comitati sono applicate a livello nazionale, in modo da generare una pressione da parte delle altre autorità (peer pressure) e dei partecipanti al mercato (market pressure) verso la convergenza. È stato introdotta una procedura di mediazione per sostenere la risoluzione di controversie tra autorità di vigilanza su casi cross-border. Sono state predisposte linee guida per consentire a un supervisore di delegare parte del proprio lavoro a colleghi di altri paesi. Sono stati avviati programmi europei di training e scambi di personale. Questi nuovi strumenti si sono affiancati a un’intensa attività di standard setting: nei primi quattro anni di lavoro il CEBS ha emanato linee guida ora raccolte in un compendio di oltre 500 pagine, che ha favorito un’applicazione più coerente di Basilea II nell’UE. Gli effetti di questi strumenti sulla convergenza delle pratiche di vigilanza non sono ancora visibili. Un’indagine indipendente condotta dal CEBS con il coinvolgimento di tutte le parti interessate, pur esprimendo grande apprezzamento per la qualità del lavoro svolto, ha generalmente valutato poco rilevante l’impatto delle indicazioni del comitato sulla convergenza delle pratiche nazionali. Le politiche di vigilanza concordate a livello europeo vengono interpretate attraverso le lenti dei tradizionali approcci nazionali, portando a risultati parzialmente differenti e a una percezione di inefficacia dell’intero processo. Un quadro simile emerge sul terreno della cooperazione, soprattutto nella vigilanza dei gruppi cross-border. Per la vigilanza prudenziale, il CEBS ha lanciato nel 2006 un progetto volto a creare una rete operativa tra le autorità coinvolte nel funzionamento dei collegi sui principali gruppi cross-border europei. Lo scambio di informazioni ed esperienze ha portato alla definizione di schemi comuni per gli accordi tra autorità home e host di un gruppo bancario e sta conducendo all’individuazione di best practices sul funzionamento dei collegi di supervisori. Sul fronte della gestione delle crisi, è stato rafforzato ed esteso nel giugno 2008 il Memorandum of Understanding (MoU) per la cooperazione tra tutte le autorità competenti – ministeri delle finanze, banche centrali e autorità di vigilanza. È prevista anche la costituzione di Cross-Border Stability Groups composti dalle varie autorità per affrontare potenziali problemi in particolari imprese, mercati o infrastrutture di mercato. Anche in questo caso, tuttavia, i risultati pratici non sono ancora pienamente visibili. I collegi dei supervisori non sono ancora operanti su tutti i gruppi cross-border attivi in Europa. Dove operano, non sembrano avere giocato un ruolo centrale nel gestire le tensioni degli scorsi mesi. I meccanismi di cooperazione non sono ancora sufficientemente forti da permettere un coordinamento efficace e una risposta integrata. Non sono mancati casi di risposte prese unilateralmente da alcuni Stati Membri che hanno creato ripercussioni su intermediari di altri paesi, ad esempio nell’estensione di garanzie pubbliche alle passività bancarie. In alcuni casi il salvataggio di gruppi bancari cross-border è stato possibile solo frazionandoli nelle componenti nazionali.

 

3. Possibili linee evolutive dell’assetto europeo di vigilanza Il dibattito sugli assetti istituzionali europei per la vigilanza rimane vivace. La Commissione europea ha recentemente istituito un gruppo di alto livello, affidato alla presidenza di Jacques de Larosière, con il compito di fare proposte per stabilire un sistema di vigilanza europea più efficiente, integrato e sostenibile. I primi risultati del lavoro di questo gruppo saranno pubblicati nella primavera di quest’anno, il rapporto finale sarà pronto a giugno. L’orientamento è quello di discutere i diversi modelli istituzionali possibili, valutandone benefici e costi.

 

3.1 L’approccio evolutivo Una prima possibilità consiste nel proseguire con l’approccio evolutivo seguito finora, rafforzando gradualmente le strutture per la convergenza e la cooperazione di vigilanza sulla base di necessità individuate, sfruttando la flessibilità dell’approccio Lamfalussy. La valutazione del funzionamento del processo Lamfalussy effettuata prima della crisi si è conclusa con raccomandazioni per un rafforzamento dei meccanismi per la convergenza e la cooperazione.

In particolare:

• gli stati membri si sono impegnati a includere una dimensione europea nel mandato delle autorità di vigilanza nazionali;

• i mandati dei tre comitati di vigilanza sono stati rivisti, dando maggiore enfasi agli obiettivi di convergenza e cooperazione;

• i comitati di vigilanza possono ora approvare i lavori a maggioranza qualificata; anche se i loro provvedimenti rimangono privi di valore legale, i paesi che decidono di non attenervisi devono fornire una giustificazione pubblica (comply or explain);  

• gli schemi di segnalazione e le cadenze temporali della trasmissione di dati alle autorità devono essere completamente armonizzate, in modo da ridurre i costi amministrativi per i gruppi cross-border;

• i comitati di vigilanza devono porsi in grado di valutare l’evoluzione sui mercati e predisporre rapporti sulle vulnerabilità e i rischi del settore finanziario europeo,

• i collegi dei supervisori devono essere rafforzati, anche attribuendo loro una base legale. Queste raccomandazioni sono in corso di attuazione e dovrebbero effettivamente aumentare l’efficacia dell’approccio Lamfalussy.

Nulla impedisce infatti che in alcune aree si proceda a processi di decisione congiunta, replicando i risultati che si otterrebbero tramite una singola autorità europea, soprattutto ora che questo può essere fatto con meccanismi di decisione a maggioranza. L’approfondirsi della crisi negli ultimi mesi mostra però che anche questo rafforzamento degli assetti istituzionali può essere inadeguato rispetto all’integrazione dei mercati. Azioni comuni possono essere ostacolate da una carenza di analisi condivise. Dovrebbe assumere un rilievo centrale l’analisi dei rischi e delle vulnerabilità. Soprattutto, a questa analisi deve collegarsi uno sforzo per definire a livello europeo le priorità per l’azione di vigilanza. Nel campo della regolamentazione, invece di emanare linee guida che devono essere recepite dalle vigilanze nazionali, i comitati dovrebbero essere posti nella condizione di predisporre manuali operativi di vigilanza direttamente applicabili da parte di tutte le autorità nazionali. Questo si sta già attuando per gli schemi di segnalazione alle autorità, ma potrebbe essere esteso alle metodologie per la valutazione del rischio degli intermediari e per i controlli ispettivi. Infine, differenze nella legislazione di infrastruttura, in particolare nelle discipline civilistica e fallimentare, possono limitare i gradi di libertà delle autorità di vigilanza e precludere una maggiore convergenza. Ad esempio, la capacità di riconoscere il gruppo bancario come un’entità giuridicamente rilevante è vincolata da legislazioni assai diverse tra paesi. Può essere preclusa un’azione integrata a livello europeo in caso di difficoltà di un gruppo bancario. Si alimenta la percezione che in una crisi ciascuno rimane responsabile per le entità presenti nella propria giurisdizione. Ne risultano attenuati gli incentivi a una vigilanza più integrata anche in fase di prevenzione. La forza dell’approccio evolutivo è nella sua praticità: i cambiamenti sono introdotti nelle aree che ostacolano il funzionamento del Mercato Unico e sono perciò motivati e condivisi. Non si identifica un approdo finale, ma si possono individuare roadmaps e definire scadenze precise per ottenere certi risultati, verificando continuamente i progressi ottenuti. Il punto debole è la difficoltà di realizzare cambiamenti concreti nella vigilanza operativa.

 

3.2 La trasformazione dei comitati di vigilanza Una seconda possibilità è la trasformazione dei comitati di vigilanza in agenzie europee, simili a quelle che operano in altri ambiti. Si potrebbero attribuire alcuni, limitati, compiti direttamente operativi all’agenzia e rafforzare il suo ruolo come centro propulsivo per la convergenza e la cooperazione di vigilanza. Ad esempio, si potrebbe attribuire un valore legale vincolante ai manuali approvati da questa agenzia, mentre l’applicazione concreta dei requisiti comuni potrebbe essere lasciata alle autorità nazionali. La soluzione non richiederebbe modifiche del Trattato ma presenta alcune controindicazioni istituzionali, perché le agenzie europee svolgono compiti esecutivi a loro delegati dalla Commissione europea, che mantiene un forte controllo sulle loro attività. Questo non si concilierebbe con i principi di indipendenza operativa della vigilanza concordati a livello internazionale. Questo problema potrebbe essere risolto trasformando i comitati in istituzioni comunitarie autonome con poteri legali vincolanti in tema di convergenza delle politiche di vigilanza, lasciando alle autorità nazionali la gestione corrente delle pratiche di vigilanza. Per realizzare questa opzione sarebbe tuttavia necessaria una modifica del Trattato.  

 

3.3 Il lead supervisor Una terza opzione potrebbe essere quella di istituzionalizzare i gruppi cross-border, attribuendo le responsabilità di vigilanza su tutte le attività nell’UE all’autorità del paese di origine. È questa la proposta che è stata avanzata a più riprese dai principali gruppi finanziari europei. Avrebbe l’indubbio vantaggio di semplificare i processi amministrativi per i grandi operatori, senza introdurre cambiamenti costosi per le numerose istituzioni con operatività solo locale. Tuttavia, rimarrebbe aperta la questione del level playing field e della convergenza negli approcci per gruppi che cadrebbero sotto la responsabilità di autorità diverse. Potrebbero anche accrescersi i rischi di cattura delle autorità nazionali, che rischiano di essere trascinate nella competizione tra piazze finanziarie.

 

3.4 Un’autorità europea di vigilanza Infine vi è la possibilità più radicale, quella di stabilire un’autorità di vigilanza europea. In questo caso, sarebbe probabilmente opportuno seguire il modello introdotto con l’Eurosistema, che consente di utilizzare le strutture operative nazionali unendole in un assetto istituzionale comune. L’istituzione di un’autorità europea darebbe ovviamente il massimo risultato in termini di convergenza e cooperazione, annullando la distinzione tra giurisdizioni nazionali. Questo modello potrebbe essere realizzato in due modi. Primo, assegnando compiti di autorità europea di vigilanza alla BCE, come previsto dal Trattato all’art. 105 (6) che in ogni caso preclude la possibilità che la BCE eserciti la vigilanza sul settore assicurativo. Secondo, creando una nuova istituzione europea, un European System of Financial Supervision, che però richiederebbe una modifica del Trattato. Anche la prima alternativa, tuttavia, richiederebbe comunque una decisione del Consiglio presa all’unanimità. In assenza di accordo, potrebbe essere esplorata la possibilità di muovere verso forme di “vigilanza europea” attraverso una cooperazione rafforzata ai sensi dell’art. 11 del Trattato. Si dovrebbe inoltre decidere quale divisione del lavoro attuare tra l’istituzione europea e gli organi di vigilanza nazionali. Un criterio frequentemente menzionato assegnerebbe la vigilanza dei gruppi cross-border all’istituzione europea e quella delle banche locali  agli organi nazionali. Un altro criterio potrebbe attribuire la vigilanza macroprudenziale, rafforzata con nuovi strumenti, al centro, lasciando i controlli microprudenziali alla periferia. Si dovrebbe inoltre decidere come procedere in tema di controlli di trasparenza. Andrebbe infine individuato un apparato sanzionatorio comune e strutture europee per i ricorsi amministrativi contro le decisioni dell’autorità.

 

4. Conclusioni È importante che il dibattito su questi temi resti aperto e che tutte le soluzioni vengano analizzate e valutate con la massima attenzione. Ogni approccio ha diverse implicazioni di natura istituzionale per quanto riguarda i rapporti tra gli organi di vigilanza sui vari segmenti del sistema bancario, finanziario e assicurativo e i rapporti tra essi, le autorità di governo e le banche centrali, specie per la gestione delle crisi. L’approccio evolutivo, basato su un graduale rafforzamento delle strutture esistenti, è stato messo alla prova dalla crisi in atto. È innegabile che abbia favorito progressi nel funzionamento dei meccanismi istituzionali per la regolamentazione e la vigilanza, ma ha anche mostrato chiari limiti. L’adattamento della vigilanza al grado di integrazione dei mercati non è avvenuto in modo sufficientemente rapido. In situazioni di crisi, gli operatori cross-border sono soggetti a soluzioni nazionali, anche non efficienti, che possono portare a una segmentazione del gruppo nelle sue componenti locali. In prospettiva, questo può pregiudicare il conseguimento di un effettivo grado di integrazione anche in condizioni normali. Sembra crescere il consenso per soluzioni più coraggiose, che prevedano la centralizzazione almeno di alcune funzioni di vigilanza. Tra le soluzioni istituzionali possibili, andrebbero privilegiate quelle che minimizzano i cambiamenti istituzionali e, quindi, la necessità di complessi negoziati. La crisi sta sottoponendo il sistema finanziario e il sistema di controlli pubblici a un’enorme tensione. Fornisce però anche un’opportunità per rafforzare i presidi alla stabilità finanziaria e costruire un sistema più solido, che benefici dell’integrazione dei mercati senza accrescere il rischio complessivo.