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1 Comportati così, Lucilio mio: renditi padrone di te stesso
e raccogli e fa tesoro del tempo che fino ad oggi ti è stato portato via
o carpito con frode o è andato perduto. Convinciti che è proprio
come ti scrivo: certi momenti ci vengono portati via brutalmente, altri
sottratti subdolamente e altri ancora si disperdono. Ma la cosa più
vergognosa è perder tempo per incuria. E se ci pensi bene, osserva:
della nostra esistenza buona parte se ne va mentre operiamo malamente, la
maggior parte nel non far niente e tutta quanta nell’occuparci di cose che non
ci riguardano. 2 Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo
e alla sua giornata, che capisca di morire ogni giorno? Ecco il nostro errore:
vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già
alle nostre spalle: appartiene alla morte la vita passata. Dunque, Lucilio
caro, fai quel che mi scrivi: metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo
del futuro, se ti impadronirai del presente. Tra un rinvio e l'altro la vita se
ne va. 3 Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro. La
natura ci ha reso padroni di questo solo bene, fuggevole e labile: chiunque
voglia può privarcene. Gli uomini sono tanto sciocchi che se ottengono
beni insignificanti, di nessun valore e in ogni caso compensabili, accettano
che vengano loro messi in conto e, invece, nessuno pensa di dover niente per il
tempo che ha ricevuto, quando è proprio l'unica cosa che neppure una
persona riconoscente può restituire.
4 Ti chiederai forse come mi comporti io che ti do questi
consigli. Te lo dirò francamente: tengo il conto delle mie spese da
persona prodiga, ma attenta. Non posso dire che non perdo niente, ma posso dire
che cosa perdo e perché e come. Sono in grado di riferirti le ragioni della mia
povertà. Purtroppo mi accade come alla maggior parte di quegli uomini
caduti in miseria non per colpa loro: tutti sono pronti a scusarli, nessuno a
dar loro una mano. 5 E allora? Una persona alla quale basta quel poco che le
rimane, non la stimo povera; ma è meglio che tu conservi tutti i tuoi
averi e comincerai a tempo utile. Perché, come dice un vecchio adagio:
"È troppo tardi essere sobri quando ormai si è al
fondo." Al fondo non resta solo il meno, ma il peggio. Stammi bene.
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1 Da quanto mi scrivi e da ciò che sento, nutro sul tuo conto
buone speranze: non corri qua e là e non ti agiti in continui
spostamenti. Questa frenesia indica un'infermità interiore: per me,
invece, primo segno di un animo equilibrato è la capacità di
starsene tranquilli in un posto e in compagnia di se stessi. 2 Bada poi che il
fatto di leggere una massa di autori e libri di ogni genere non sia un po'
segno di incostanza e di volubilità. Devi insistere su certi scrittori e
nutrirti di loro, se vuoi ricavarne un profitto spirituale duraturo. Chi è
dappertutto, non è da nessuna parte. Quando uno passa la vita a
vagabondare, avrà molte relazioni ospitali, ma nessun amico. Lo stesso
capita inevitabilmente a chi non si dedica a fondo a nessun autore, ma sfoglia
tutto in fretta e alla svelta. 3 Non giova né si assimila il cibo vomitato
subito dopo il pasto. Niente ostacola tanto la guarigione quanto il frequente
cambiare medicina; non si cicatrizza una ferita curata in modo sempre diverso.
Una pianta, se viene spostata spesso, non si irrobustisce; niente è così
efficace da poter giovare in poco tempo. Troppi libri sono dispersivi: dal
momento che non puoi leggere tutti i volumi che potresti avere, basta
possederne quanti puoi leggerne. 4 "Ma," ribatti, "a me piace
sfogliare un po' questo libro, un po' quest'altro." È proprio di
uno stomaco viziato assaggiare molte cose: la varietà di cibi non nutre,
intossica. Leggi sempre, perciò autori di valore riconosciuto e se di
tanto in tanto ti viene in mente di passare ad altri, ritorna poi ai primi.
Procurati ogni giorno un aiuto contro la povertà, contro la morte e,
anche, contro le altre calamità; e quando avrai fatto passare tante
cose, estrai un concetto da assimilare in quel giorno. 5 Anch'io mi regolo
così; dal molto che leggo ricavo qualche cosa. Il frutto di oggi l'ho tratto
da Epicuro (è mia abitudine penetrare nell'accampamento nemico, ma non
da disertore, se mai da esploratore); dichiara Epicuro: "È nobile
cosa la povertà accettata con gioia." 6 Ma se è accettata
con gioia, non è povertà. Povero non è chi ha poco, ma chi
vuole di più. Cosa importa quanto c'è nel forziere o nei granaî,
quanti sono i capi di bestiame o i redditi da usura, se ha gli occhi sulla roba
altrui e fa il conto non di quanto ha, ma di quanto vorrebbe procurarsi? Mi
domandi quale sia la giusta misura della ricchezza? Primo avere il necessario,
secondo quanto basta. Stammi bene.
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4
1 Persevera come hai cominciato e affrettati quanto sei in grado:
potrai così godere più a lungo di un animo puro e sereno. Anzi ne
godi già mentre lo correggi, mentre lo acquieti: ma ben altro piacere
è quello che si riceve dalla contemplazione di un'anima immacolata e
limpida. 2 Certo ricordi la gioia provata quando sostituisti la veste da
fanciullo con la toga virile e fosti condotto nel foro: ebbene, aspettane una
maggiore quando avrai deposto l'animo infantile e la filosofia ti avrà
registrato fra gli uomini. Poiché la tua non è puerizia, bensì,
cosa più grave, puerilità, e, quel che è peggio, noi
abbiamo l'autorità degli anziani e i difetti dei bambini, anzi non dei
bambini, ma dei neonati; i bambini hanno paura di sciocchezze, i neonati di
false immagini, noi di tutte e due.
3 Cerca di progredire: capirai che certe cose proprio per questo
sono meno da temere, perché fanno molta paura. Nessun male è grande se
è l'ultimo. La morte ti viene incontro: la dovresti temere se potesse
rimanere con te: ma necessariamente o non è ancora arrivata o passa
oltre. 4 "È difficile", ribatti, "indurre lo spirito a
disprezzare la vita." Ma non ti accorgi per quali insulsi motivi essa
viene disprezzata? Uno si impicca davanti alla porta dell'amica, un altro si
butta giù dal tetto per non sentire più le sfuriate del padrone,
l'evaso si ficca un pugnale in corpo per sfuggire alla cattura: non pensi che
si possa compiere per coraggio un'azione che si compie per eccessiva paura? Non
può vivere una vita serena chi si preoccupa troppo di prolungarla e
annovera fra i grandi beni i molti anni vissuti. 5 Tu, invece, preparati ogni
giorno a lasciare serenamente questa vita a cui tanti si avvinghiano e si aggrappano,
come chi è trascinato via dalla corrente si aggrappa ai rovi e alle
rocce. I più ondeggiano infelici tra il timore della morte e le angosce
della vita: non vogliono vivere, né sanno morire. 6 Abbandona ogni
preoccupazione per la tua esistenza e te la renderai piacevole. Possedere un
bene non serve a niente se non si è pronti a perderlo. E i beni la cui
perdita è più facilmente tollerabile sono quelli che, perduti,
non possono essere oggetto di rimpianto. Fatti, dunque, animo e coràzzati
contro i casi che possono capitare anche ai più potenti. 7 Della vita di
Pompeo decisero un ragazzino e un eunuco, di quella di Crasso un Parto crudele
e barbaro. Gaio Cesare impose a Lepido di porgere il collo al tribuno Destro,
ma poi lui stesso porse il suo a Cherea. La sorte non ha innalzato nessuno
tanto da non ritorcere contro di lui quanto gli aveva concesso di fare. Non
fidarti della momentanea bonaccia: fa presto il mare ad agitarsi; nello stesso
giorno le barche affondano là dove si erano spinte per diporto. 8 Pensa
che tanto un bandito che un nemico possono puntarti un pugnale alla gola; in
assenza di un'autorità più grande ogni servo ha potere di vita o
di morte su di te. Voglio dire: chiunque disprezzi la propria vita, è
padrone della tua. Ricorda gli esempi di uomini uccisi dai propri schiavi, o
con aperta violenza o con l'inganno: ti renderai conto che il furore dei servi
non ha causato meno stragi dell'ira dei re. Che ti importa, dunque, quanto sia
potente l'uomo che temi, quando il male che temi te lo può fare chiunque?
9 Metti il caso che tu cada in mano ai nemici, il vincitore comanderà di
condurti proprio là dove stai andando. Perché inganni te stesso e ti
rendi conto solo in quel momento di una cosa che subivi da tempo? Ascoltami:
verso la morte sei spinto dal momento della nascita. Su questo e su pensieri
del genere dobbiamo meditare, se vogliamo attendere serenamente quell'ultima
ora che ci spaventa e ci rende inquiete tutte le altre.
10 Ma, per mettere fine alla mia lettera, senti il pensiero che ho
scelto oggi - anche questo l'ho preso dal giardino di un altro. "È
una grande ricchezza la povertà regolata dalla legge di natura." Li
conosci i confini che ci ha fissato la legge di natura? Non patire la fame, né
la sete, né il freddo. Per scacciare la fame e la sete non occorre sedere
presso la soglia di superbi padroni, né sopportare una fastidiosa arroganza e
una cortesia affettata e perciò offensiva, non è necessario
affrontare i pericoli della navigazione o partire per la guerra. Quanto esige la
natura è facile a procurarsi e a portata di mano. 11 E, invece, ci
affanniamo per il superfluo; ecco che cosa logora la toga, cosa ci costringe a
invecchiare sotto una tenda e cosa ci spinge in terre straniere, mentre quel
che ci basta è a portata di mano. Chi si adatta bene alla povertà
è ricco. Stammi bene.
5
1 Tu ti applichi con costanza e hai lasciato da parte tutto il
resto per renderti ogni giorno migliore: approvo e ne sono contento; quindi non
solo ti esorto, ma anche ti prego di perseverare. Un unico consiglio: non
abbigliarti e non vivere in maniera stravagante, come le persone che non
vogliono progredire, ma mettersi in mostra. 2 Evita gli abiti trasandati, i
capelli lunghi e la barba incolta, il disprezzo manifesto per i preziosi, il
letto sistemato a terra e in generale tutto ciò che per vie traverse
corre dietro al desiderio di distinguersi. Il nome stesso di filosofia, pur se
la si pratica con discrezione, è già abbastanza odiato. Figurati
poi se cominceremo a sottrarci alle abituali regole di comportamento. Bisogna
essere nell'intimo completamente diversi dagli altri, ma simili al resto della
gente nell'aspetto esteriore. 3 La toga non deve essere sfarzosa, ma nemmeno
sordida. Cerchiamo di non avere argento cesellato d'oro massiccio, ma neanche
consideriamo segno di frugalità far completamente a meno sia di oro che
di argento. Sforziamoci di vivere meglio della massa, non in maniera contraria:
altrimenti mettiamo in fuga e allontaniamo da noi quelli che vorremmo
correggere, e per giunta facciamo sì che non ci vogliano imitare in
niente, per timore di doverci imitare in tutto. 4 Ecco le promesse prime della
filosofia: senso comune, umanità e socievolezza: l'essere troppo diversi
ci impedirà di attuarle. Badiamo che non sia ridicolo e fastidioso quel
comportamento con cui vogliamo suscitare ammirazione. Certo il nostro proposito
è vivere secondo natura: ma è contro natura tormentare il proprio
corpo, trascurare una normale igiene, ricercare il sudiciume e nutrirsi di cibi
non solo poveri, ma addirittura disgustosi e sgradevoli. 5 Come è segno
di mollezza cercare alimenti raffinati, così è segno di pazzia
evitare quelli comuni che si possono avere a poco prezzo. La filosofia richiede
frugalità, non sofferenza, e la frugalità può essere
decorosa. Mi sembra buona questa via di mezzo: l'esistenza sia una giusta
combinazione tra moralità e morale predominante. Che tutta la gente
guardi con ammirazione la nostra vita, ma sia anche in grado di capirla. 6
"E allora, dovremo comportarci come gli altri? Non ci sarà nessuna
differenza tra noi e loro?" Sì, e grandissima: chi ci guarda
più da vicino, sappia che siamo diversi dalla massa; chi entra in casa
nostra ammiri noi, non il nostro mobilio. È grande chi usa vasellami di
argilla come se fossero di argento, ma non lo è meno chi usa l'argento
come se fosse argilla; solo i deboli non sono in grado di reggere la ricchezza.
7 Ma voglio dividere con te anche il piccolo guadagno di oggi: ho
letto nel nostro Ecatone che non avere più accesi desideri serve anche
come rimedio alla paura. "Non avrai più paura se smetterai di
sperare." "Ma," potresti obiettare, "come fanno a stare
insieme sentimenti tanto diversi?" Eppure è così, Lucilio
mio: sembrano in contraddizione e invece sono collegati. Come le stesse manette
legano il detenuto e la guardia, così elementi tanto differenti
procedono di pari passo: la paura segue la speranza. 8 E non mi meraviglio che
le cose vadano così: speranza e timore sono contrassegni di un animo
inquieto e preoccupato del futuro. La loro causa prima è che noi non ci
adattiamo al presente, ma ci spingiamo lontano con il pensiero; per questo la
capacità di fare previsioni, che pure è una delle qualità
migliori dell'uomo, si risolve in un male. 9 Le belve evitano i pericoli che
vedono e, una volta evitati, si sentono al sicuro: noi ci tormentiamo e per il
futuro e per il passato. Molte nostre prerogative ci nuocciono; la memoria
rinnova l'angoscia della paura, il prevedere il futuro ce l'anticipa; nessuno
è infelice solo per il presente. Stammi bene.
6
1 Lucilio caro, mi rendo conto che non solo mi sto correggendo, ma
addirittura mi trasformo; certo non garantisco, e nemmeno spero, che non ci sia
in me più nulla da cambiare. E perché non dovrei avere ancora molti
sentimenti da frenare, da attenuare, da elevare? Vedere difetti che fino ad
allora ignorava, proprio questa è la prova di un animo che ha fatto
progressi; con certi malati ci si rallegra quando prendono coscienza del loro
male. 2 Ci terrei, dunque, a farti conoscere questo mio improvviso cambiamento;
allora comincerei ad avere una più salda fiducia nella nostra amicizia,
quella vera che non la speranza, non il timore, né la ricerca del proprio
interesse può spezzare, quell'amicizia che dura fino alla morte, e per
la quale si è pronti a morire. 3 Potrei menzionarti molti cui non
è mancato l'amico, ma la vera amicizia: questo non può
verificarsi quando un'identica volontà di desiderare il bene induce gli
uomini a unirsi. Perché no? Perché essi sanno di avere ogni cosa in comune e
soprattutto le avversità.
Non puoi immaginare quali progressi io mi accorga di compiere
giorno per giorno. 4 Tu mi dici: "Riferisci anche a me questo metodo che
hai trovato così efficace." Certo desidero travasare in te tutto il
mio sapere e sono lieto di imparare qualcosa appunto per insegnarla. Di nessuna
nozione potrei compiacermi, per quanto straordinaria e vantaggiosa, se ne
avessi conoscenza per me solo. Se mi fosse concessa la sapienza a condizione di
tenerla chiusa in me senza trasmetterla ad altri, rifiuterei: non dà
gioia il possesso di nessun bene, se non puoi dividerlo con altri. 5 Ti
manderò perciò i miei libri e perché tu non perda tempo a
rintracciare qua e là i passi utili, li sottolineerò: così
troverai subito quello che condivido e apprezzo. Più che un discorso
scritto, però ti sarà utile il poter vivere e conversare insieme;
al momento è necessario che tu venga, primo perché gli uomini credono di
più ai loro occhi che alle loro orecchie, poi perché attraverso i
precetti il cammino è lungo, mentre è breve ed efficace attraverso
gli esempi. 6 Cleante non avrebbe potuto esprimere compiutamente la dottrina di
Zenone se avesse soltanto ascoltato le sue lezioni: fu partecipe della sua
vita, ne penetrò i segreti, osservò se viveva secondo i suoi
insegnamenti. Platone, Aristotele e tutta la massa dei filosofi, che poi
presero strade diverse, impararono più dalla vita che dalle parole di
Socrate. Non la scuola di Epicuro, ma il vivere con lui rese grandi Metrodoro,
Ermarco e Polieno. E non ti faccio venire solo perché tu ne tragga giovamento,
ma anche perché tu mi sia utile; ci aiuteremo moltissimo a vicenda.
7 Frattanto, poiché ti devo il mio piccolo contributo quotidiano,
ti dirò il pensiero che oggi mi è piaciuto in Ecatone. "Tu
chiedi quali progressi abbia fatto?" egli scrive, "Ho cominciato ad
essere amico di me stesso." Ha fatto un grande progresso: non sarà
mai solo. Sappi che tutti possono avere questo amico. Stammi bene.
7
6 Bisogna sottrarre alla folla gli animi deboli e poco saldi nel
bene: è molto facile subire l'influsso della maggioranza. Frequentare
una massa di gente diversa da loro avrebbe potuto cambiare i costumi persino di
Socrate, Catone, Lelio; nessuno di noi, soprattutto quando il nostro carattere
è in formazione, può resistere alla pressione di tanti vizi tutti
insieme. 7 Un solo esempio di mollezza o di avarizia produce gravi danni: un
commensale raffinato a poco a poco ti guasta, ti infiacchisce, un vicino ricco
scatena la tua avidità, un compagno malvagio contamina anche un uomo
semplice e puro: che cosa pensi che succeda alle nostre convinzioni morali quando
vengono attaccate in massa dai vizi? 8 Due sono i casi: o li imiti o li odi. Ma
sono da evitare l'uno e l'altro estremo: non devi assimilarti ai malvagi,
perché sono molti, né essere nemico di molti, perché sono dissimili. Ritirati
in te stesso per quanto puoi; frequenta le persone che possono renderti
migliore e accogli quelli che puoi rendere migliori. Il vantaggio è
reciproco perché mentre s'insegna si impara. 9 Non c'è ragione per cui
il desiderio di gloria debba spingerti a esibire a tutti il tuo ingegno con
declamazioni o discussioni pubbliche; ti consiglierei di agire così, se
tu avessi merce adatta alla massa, ma non c'è nessuno in grado di
capirti. Capiterà forse qualcuno, uno o due al massimo, e tu dovrai
formarlo ed educarlo perché ti possa capire. "Ma allora, per chi ho
imparato tutto questo?" Non temere di aver perso il tuo tempo, se hai
imparato per te.
10 Ma per evitare di aver imparato solo per me oggi, ti
scriverò tre belle massime che mi è capitato di leggere
all'incirca sullo stesso argomento: di queste una salda il mio debito per
questa lettera, le altre due prendile come anticipo. Scrive Democrito:
"Secondo me, una sola persona vale quanto tutto il popolo e il popolo
quanto una sola persona." 11 Dice bene anche quell'altro, chiunque sia
stato (è incerto, infatti, di chi si tratti); gli chiedevano perché si
applicasse con tanto impegno a una materia che pochissimi avrebbero compreso,
rispose: "A me bastano poche persone, anzi anche una sola o addirittura
nessuna." Eccellente anche questa terza affermazione, di Epicuro; in una
sua lettera a un compagno di studi: "Io parlo non per molti, ma per
te;" scrive, "noi siamo l'uno per l'altro un teatro sufficientemente
grande." 12 Devi, caro Lucilio, serbare in te queste massime, per
disprezzare il piacere che deriva dal consenso generale. Molti ti lodano; ma
perché dovresti rallegrarti se sono in tanti a capirti? I tuoi meriti
ricerchino l'approvazione della tua coscienza. Stammi bene.
8
1 "Mi esorti a evitare la folla," scrivi, "e a
starmene per conto mio, pago della mia coscienza? Che fine hanno fatto dunque i
precetti della vostra filosofia che impongono di essere attivi fino alla
morte?" Ma come? Credi che io ti inviti all'inerzia? Io mi sono appartato
e ho sbarrato le porte per essere utile a molta gente. Non trascorro mai la
giornata in ozio: parte della notte la dedico allo studio; non mi abbandono al
sonno, vi soccombo e costringo al lavoro gli occhi che si chiudono stanchi per
la veglia.
7 Ma ormai è tempo di concludere e, come stabilito, devo
pagare il mio tributo per questa lettera. Non è farina del mio sacco:
ancora una volta saccheggio Epicuro; oggi ho letto queste sue parole:
"Consacrati alla filosofia, se vuoi essere veramente libero." Chi si
sottomette e si affida a essa, non deve attendere: è libero subito;
infatti questo stesso servire la filosofia è libertà. 8
Probabilmente mi chiederai perché io riporti tante belle frasi di Epicuro,
invece che quelle degli Stoici: ma perché ritieni di Epicuro queste massime e
non patrimonio comune? Quanti poeti esprimono concetti già formulati o
che dovrebbero essere formulati dai filosofi! Non menzionerò i tragici e
nemmeno le nostre commedie togate, che per la loro gravità sono una via
di mezzo fra tragedia e commedia: quanti versi eloquentissimi ci sono nei mimi!
Quante frasi di Publilio dovrebbero essere recitate in una tragedia, non in un
mimo. 9 Ti citerò un unico suo verso che riguarda la filosofia e
l'argomento or ora discusso. Egli sostiene che non dobbiamo considerare nostri
i beni fortuiti:
Non ci appartiene quanto accade secondo i nostri desideri.
10 Ricordo che anche tu hai espresso lo stesso concetto assai meglio
e con maggiore concisione:
Non è tuo ciò che la fortuna ha fatto tuo.
Ma voglio citare quest'altra tua massima ancora migliore:
Un bene che può essere dato, può anche essere tolto.
Questo non lo calcolo come pagamento: ti restituisco un bene
già tuo. Stammi bene.
9
1 Tu vuoi sapere se Epicuro ha ragione a criticare in una sua
lettera quanti dicono che il saggio basta a se stesso e che perciò non
ha bisogno di amici. È un rimprovero che Epicuro rivolge a Stilbone e a
chi è convinto che il sommo bene sia un animo che non patisce. 2
È inevitabile cadere nell'equivoco se si vuole sbrigativamente tradurre
$PðÜèåéá$ con una sola parola e precisamente: impatientia.
Può infatti, intendersi il contrario di quello che vogliamo
sottolineare. Per noi si tratta dell'uomo che rifiuta la sensazione di
qualsiasi male: c'è il rischio di interpretarlo, invece, come uno che
non può sopportare nessun male. Vedi, dunque, se non è
preferibile parlare o di un animo invulnerabile o di un animo al di là
di ogni sofferenza. 3 Questa è la differenza tra noi e loro: il nostro
saggio vince ogni avversità, ma l'avverte; il loro neppure l'avverte. In
comune abbiamo l'opinione che il saggio è autosufficiente; e tuttavia,
egli vuole avere un amico, un vicino di casa, un compagno di vita. 4 E guarda
quanto è autosufficiente: certe volte di sé gli basta una sola parte. Se
una malattia o un nemico lo hanno privato di una mano, se per sventura ha perso
uno o tutt'e due gli occhi, anche così ridotto, sarà soddisfatto,
e il corpo sconciato e mutilato gli andrà bene non meno di quando era
integro. Ma se non rimpiange ciò che gli è venuto a mancare,
questo non significa che preferisce la menomazione. 5 Il saggio è
autosufficiente non nel senso che vuole essere senza amici, ma che può
stare senza amici; e questo "può" significa che, se perde un
amico, sopporta con animo sereno. Ma non sarà mai senza amici:
può crearsene altri in breve tempo. Come Fidia, persa una statua, ne
avrebbe fatta subito un'altra, così questo artefice di amicizie, perduto
un amico, lo sostituirà con un altro.
8 Ritorniamo ora al nostro tema. Il saggio, anche se è
autosufficiente, vuole, però avere un amico, se non altro per esercitare
l'amicizia, e perché una virtù così nobile non languisca; non lo
fa per il motivo dichiarato da Epicuro nella medesima lettera, e cioè
"per avere chi lo assista se ammalato, chi lo soccorra in carcere o in
miseria", ma per avere qualcuno da assistere lui stesso, nelle malattie, o
da liberare se prigioniero dei nemici. Se uno si preoccupa solo di sé e
perciò fa amicizia, sbaglia. L'amicizia finirà, come è
cominciata: si è procurato un amico perché lo aiutasse nella prigionia:
non appena ci sarà rumore di catene, costui sparirà. 9 Sono le
amicizie cosiddette opportunistiche: un'amicizia fatta per interesse
sarà gradita finché sarà utile. Così se uno ha successo,
lo circonda una folla di amici, mentre rimane solo se cade in disgrazia: gli
amici fuggono al momento della prova; per questo ci sono tanti esempi infami di
persone che abbandonano l'amico per paura, e di altre che per paura lo
tradiscono. L'inizio e la fine fatalmente concordano. Chi è diventato
amico per convenienza, per convenienza finirà di esserlo. Se
nell'amicizia si ricerca un utile, per ottenerlo si andrà contro
l'amicizia stessa. 10 "Perché, dunque, ti fai un amico?" Per avere
qualcuno per cui morire, qualcuno da seguire in esilio, da strappare alla morte
anche a prezzo della mia vita: quella che tu descrivi non è amicizia, ma
traffico, che mira a un profitto e guarda ai possibili vantaggi.
13 "Il saggio è autosufficiente". I più,
caro Lucilio, interpretano male questa espressione: allontanano il saggio da
tutto e lo costringono dentro il suo guscio. Bisogna allora chiarire il
significato e i limiti di questa frase: il saggio è autosufficiente per
vivere felice, non per vivere; a questo scopo gli occorrono, infatti, molti
elementi, per vivere felice solo un animo onesto, fiero e noncurante della
sorte. 14 Voglio ora indicarti anche la distinzione fatta da Crisippo. Egli
dice che il saggio non sente la mancanza di niente e, tuttavia, ha bisogno di
molte cose: "Lo sciocco, invece, non ha bisogno di niente, perché non sa
servirsi di niente, ma sente la mancanza di tutto." Il saggio ha bisogno
delle mani, degli occhi e di molte altre cose indispensabili alle attività
di ogni giorno, ma di nessuna sente la mancanza; sentire la mancanza di
qualcosa deriva dalla necessità, mentre al saggio niente è
necessario. 15 Quindi, per quanto sia autosufficiente, ha bisogno di amici e
desidera averne il più possibile, ma non per vivere felice: è
felice anche senza amici. Il sommo bene, cioè la felicità, non
cerca al di fuori mezzi per realizzarsi; è un bene interiore e nasce
tutto da se stesso; diventa schiavo della sorte se ricerca una parte di sé
all'esterno. 16 "Quale sarà la vita del saggio se, gettato in
carcere o relegato in terra straniera o costretto a una lunga navigazione o
sbattuto su una spiaggia deserta, rimane senza amici?" Sarà simile
a quella di Giove, quando alla fine del mondo, scomparsi gli dèi in un
tutt'uno e cessando per qualche tempo l'ordine naturale delle cose, si
riposerà chiuso in sé abbandonandosi ai suoi pensieri. Il saggio fa
qualcosa di simile: si ritira in sé, sta solo con se stesso. 17 Finché gli
è possibile ordinare le sue faccende a suo piacere, è
autosufficiente e prende moglie; è autosufficiente e genera figli;
è autosufficiente e tuttavia non potrebbe vivere se dovesse vivere senza
nessuno. All'amicizia non lo porta nessun interesse personale, ma una naturale
inclinazione; come in altri sentimenti, anche nell'amicizia c'è
un'innata attrattiva. Come esiste l'odio per la solitudine e la ricerca di
associazione, come la natura lega uomo a uomo, così anche in questo
sentimento c'è uno stimolo che ci spinge a ricercare le amicizie. 18 E
tuttavia, pur amando molto gli amici, che mette sul suo stesso piano, o che
spesso addirittura antepone, il saggio delimiterà in sé ogni bene e
ripeterà le parole di quel famoso Stilbone, lo stesso che Epicuro
critica nella sua lettera. Costui, dopo la caduta della sua città, in
cui aveva perso moglie e figli, uscì da solo, e tuttavia sereno,
dall'incendio generale; gli fu chiesto da Demetrio, che ebbe poi il soprannome
di Poliorcete per le città da lui distrutte, se avesse perso qualcosa.
"Tutti i miei beni," rispose, "li ho con me." Ecco un uomo
forte e valoroso! Egli vinse il nemico vincitore. 19 "Non ho perso
nulla," disse: e costrinse il nemico a dubitare della propria vittoria.
"Tutti i miei beni li ho con me": senso di giustizia, virtù,
saggezza e soprattutto l'intelligenza di non ritenere un bene ciò che
può essere tolto. Ci meravigliamo vedendo certi animali che attraversano
indenni il fuoco; quanto è più ammirevole quest'uomo che
uscì illeso e indenne dalle armi, le rovine, le fiamme! Vedi quanto
è più facile vincere tutto un popolo che un solo uomo? Sono
parole uguali a quelle del filosofo stoico: anch'egli porta i suoi beni intatti
attraverso la città in fiamme: è autosufficiente e in questi
confini delimita la sua felicità. 20 Non pensare che solo noi pronunciamo
nobili parole; lo stesso Epicuro, censore di Stilbone, proferì una frase
simile, e tu prendila per buona, anche se per oggi ho già pagato il mio
debito: "Se pure è padrone del mondo intero, è un infelice
l'uomo che non giudica ingentissimi i propri beni." Oppure, se in questo
modo ti sembra espresso meglio (bisogna badare più al significato che
alle parole): "Chi non si ritiene molto felice, anche se è padrone
del mondo, è un poveretto." 21 Perché tu sappia poi che questo
è un concetto comune, appunto perché dettato dalla natura, leggerai nei
versi di un poeta comico:
Non è felice chi non pensa di esserlo.
Che importa qual è il tuo stato, se a te non sembra buono?
22 "E come?" ribatti "se si definirà felice uno
vergognosamente ricco e quell'altro, padrone di molti schiavi, ma schiavo di
più persone ancora, diventeranno felici per la loro frase?" Non
importa quello che dicono, ma quel che pensano, e non quello che pensano un
giorno solo, ma quello che pensano sempre. Non temere, poi, che un bene tanto
grande tocchi ad un uomo indegno: solo il saggio è contento delle cose
sue; gli sciocchi, invece, sono tormentati dal disgusto di se stessi. Stammi
bene.
10
1 È così, non cambio parere: evita la massa, evita i
pochi, evita anche il singolo. Non conosco nessuno con cui vorrei che tu avessi
rapporti. Vedi come ti stimo: oso affidarti a te stesso. Cratete, raccontano,
discepolo proprio di quello Stilbone che ho nominato nella lettera precedente,
vedendo un ragazzo che passeggiava in disparte, gli chiese che cosa facesse lì
da solo. "Parlo con me stesso," fu la risposta. E Cratete
replicò: "Mi raccomando, fa' molta attenzione, stai parlando con un
cattivo individuo." 2 Solitamente teniamo d'occhio chi è in preda
al dolore e alla paura perché non faccia cattivo uso della solitudine. Se uno
è dissennato non deve essere lasciato a se stesso; ora rimugina cattivi
propositi, prepara pericoli a sé o agli altri, seconda turpi passioni; ora
manifesta tutti quei sentimenti che nascondeva per timore o per vergogna,
acuisce la sua audacia, eccita la libidine, fomenta l'ira. Infine, l'unico
vantaggio della solitudine, cioè non confidare niente a nessuno, non
temere spie, manca agli sciocchi: si tradiscono da soli.
Vedi, dunque, quali speranze nutro su di te; anzi, poiché la
speranza indica un bene incerto, vedi che cosa mi riprometto: non c'è
nessuno con cui vorrei che tu avessi rapporti piuttosto che con te stesso. 3
Ripenso alle parole magnanime e vigorose da te pronunciate: mi sono subito
rallegrato con me stesso e ho detto: "Queste frasi nascono dal cuore, non
dalle labbra; costui non è uno dei tanti, mira al bene." 4 Parla
così, vivi così: bada che niente possa abbatterti. Sii pure grato
agli dèi per avere esaudito i tuoi voti di un tempo, formulane altri nuovi:
chiedi l'integrità della mente, la salute dell'anima e poi del corpo.
Perché non dovresti formulare spesso questi voti? Prega dio con coraggio: non
è tua intenzione chiedergli nulla che appartenga ad altri.
5 Ma per mandarti come al solito la lettera con un piccolo dono,
ecco quello che ho trovato in Atenodoro e che secondo me corrisponde a
verità: "Sappi che sarai libero da ogni passione, quando arriverai
al punto di chiedere a dio solo ciò che puoi chiedere davanti a
tutti." E invece come sono privi di senno gli uomini! Rivolgono sottovoce
a dio le preghiere più turpi; se qualcuno li ascolta, tacciono, e quello
che non vogliono che gli uomini sappiano lo raccontano a dio. Vedi, dunque, se
non è utile questo insegnamento: vivi in mezzo agli uomini come se dio
ti vedesse e parla con lui come se gli uomini ti udissero. Stammi bene.
11
1 Ho avuto un colloquio con il tuo amico, un ragazzo di buona
indole e già le sue prime parole mi hanno mostrato la sua grandezza
d'animo, la sua intelligenza e i progressi morali compiuti. Mi ha fornito un
saggio delle qualità cui terrà fede. Non era preparato a parlare:
è stato colto di sorpresa. Mentre si concentrava, solo in parte
riuscì a superare quella timidezza che è un buon segno in un
giovane e arrossì come dal profondo dell'anima. Questo rossore,
immagino, lo seguirà sempre anche quando, confermati i suoi sani
principî e spogliatosi di tutti i vizi, sarà ormai diventato un saggio.
Nemmeno la saggezza può cancellare i difetti naturali del corpo o dello
spirito: la scienza può attenuare, non vincere completamente le tendenze
radicate e congenite. 2 Anche certi uomini di carattere fermo sudano
copiosamente davanti alla folla, come se fossero stanchi e accaldati; ad
alcuni, quando devono parlare, tremano le ginocchia; altri battono i denti,
tartagliano e hanno le labbra incollate; né l'esercizio, né l'esperienza
possono mai cancellare questi difetti: la natura esercita la sua forza e
persino agli uomini più vigorosi ricorda la propria presenza valendosi
delle loro debolezze. 3 Tra queste c'è pure il rossore che sale
d'improvviso anche al volto degli uomini più importanti. Ma più
spesso compare nei giovani che sono più ardenti e hanno il viso
delicato; non risparmia, però nemmeno gli anziani e i vecchi. Certuni
vanno temuti soprattutto quando arrossiscono, come se avessero perduto ogni
pudore, 4 Silla diventava violentissimo quando il sangue gli saliva al viso.
Niente era più dolce del volto di Pompeo; arrossiva sempre davanti alla
folla, soprattutto se doveva tenere un discorso. Ricordo che Fabiano, chiamato
in senato come testimone, arrossì e quel pudore gli si confaceva
mirabilmente. 5 Questo non accade per debolezza d'animo, ma per la
singolarità di un avvenimento che, se anche non sgomenta chi non
è abituato, lo altera se è incline per natura a questo difetto;
infatti, mentre alcuni sono di sangue calmo, altri lo hanno irruente,
eccitabile e che affluisce rapidamente al volto. 6 Come ho già detto,
nemmeno la saggezza può eliminare questi difetti: del resto, se potesse
cancellarli tutti, avrebbe il dominio della natura. Tutte le caratteristiche
legate alla nascita o alla costituzione fisica, persisteranno in noi, anche se
cercheremo a lungo e con tenacia di correggerci; non possiamo sradicarle, come
non possiamo procurarcele. 7 Gli attori che rappresentano i sentimenti, che
esprimono la paura, la trepidazione, la tristezza, riescono a rendere anche la
timidezza: chinano il volto, parlano con voce sommessa, abbassano gli occhi e
li tengono fissi a terra. Non possono, però fingere il rossore: è
una reazione che non si può frenare, né provocare. Nemmeno la saggezza
può in questo caso, garantire un rimedio o giovare in alcun modo: sono
fenomeni incontrollabili, vanno e vengono spontaneamente.
8 Ma è ormai tempo di concludere. Eccoti una massima utile
e salutare che voglio tu ti imprima bene nell'animo: "Dobbiamo indirizzare
la nostra stima verso un uomo onesto e averlo sempre davanti agli occhi per
vivere come se lui ci guardasse, e agire sempre come se ci vedesse." 9
Questo Lucilio mio, è un insegnamento di Epicuro; egli ci ha dato, e a
ragione, un custode e un maestro: si evitano molti errori, se è presente
un testimone quando si sta per commetterli. È bene provare rispetto e
riverenza per una persona che possa rendere più puro ogni nostro segreto
sentimento con la sua autorevolezza. Beato chi con la sua presenza fisica, o
anche solo spirituale, ci aiuta a emendarci! Beato chi rispetta un uomo al
punto di correggersi e migliorarsi anche solo ricordandolo! Se uno può
rispettare tanto una persona, presto sarà anch'egli oggetto di rispetto.
10 Scegli, dunque, Catone; e se ti sembra troppo intransigente, scegli Lelio
più mite di carattere. Scegli un uomo di cui approvi la vita, le parole
e il volto stesso, specchio dell'anima. Tienilo sempre davanti agli occhi come
guida e come esempio. È necessario, ti dico, regolare su qualcuno la
nostra condotta: non si possono correggere i difetti senza una norma cui fare
riferimento. Stammi bene.
12
1 Dovunque mi volti, vedo i segni della mia vecchiaia. Ero andato
nella mia villa fuori città e mi lamentavo per le spese necessarie alla
casa ormai in rovina. Il fattore mi risponde che non è colpa della sua
negligenza; lui fa il possibile, ma l'edificio è vecchio. Questa villa
l'ho tirata su io: che sarà di me, se i massi che hanno la mia
età sono in un tale disfacimento? 2 Adirato con lui, colgo al volo il
primo pretesto per sfogare la mia stizza: "È evidente," dico,
"che questi platani sono trascurati: non hanno foglie; i rami sono secchi
e nodosi, i tronchi spogli e aridi. Questo non succederebbe se qualcuno ci
zappasse intorno, se li innaffiasse." Egli giura sul mio genio protettore
che fa tutto il necessario, che non manca di curarli, ma sono alberi ormai
piuttosto vecchi. Rimanga fra noi: sono stato io a piantarli, io a vederne le
prime foglie.
4 Devo una cosa alla mia villa: dovunque mi sono girato, mi
è apparsa evidente la mia vecchiaia. Accogliamola e amiamola: può
procurare grandi piaceri, se sappiamo farne buon uso. I frutti di fine stagione
sono i più graditi; la fanciullezza è bellissima quando sta per
finire; chi è dedito al bere gusta soprattutto l'ultimo bicchiere,
quello che stordisce, che dà all'ebbrezza il tocco finale. 5 Di ogni
piacere, il meglio è alla fine. È dolcissima l'età
avanzata, ma non ancora sull'orlo della tomba, e anche il periodo agli
sgoccioli della vita ha, secondo me, i suoi piaceri; o, almeno, a essi subentra
il non sentirne più il bisogno. Come è dolce aver estenuato e
abbandonato le passioni! 6 "È penoso, però avere la morte
davanti agli occhi," ribatti. Innanzi tutto davanti agli occhi devono
averla vecchi e giovani: non siamo chiamati in base all'età; inoltre,
nessuno è tanto vecchio da non poter sperare in un altro giorno di vita.
E un solo giorno è un momento della vita. L'intera esistenza è
composta di tante parti e ha dei cerchi più grandi che ne comprendono
altri più piccoli; ce n'è uno che li abbraccia e li cinge tutti e
va dal giorno della nascita a quello della morte; ce n'è un secondo che
isola gli anni dell'adolescenza; c'è quello che comprende nel suo giro
tutta la fanciullezza; c'è poi l'anno che racchiude in sé tutti gli
attimi la cui somma forma la vita; il mese è compreso in un cerchio
più stretto; il giorno ha un corso molto breve, ma anch'esso va da un
inizio a una fine, dall'alba al tramonto. 7 Perciò Eraclito, che dal suo
linguaggio ebbe il soprannome di "oscuro" dice: "un giorno
è uguale ad ogni altro." Questa frase viene interpretata in modi
diversi. Secondo ‹alcuni› è uguale per numero di ore, e non sbagliano:
se il giorno è di ventiquattro ore, tutti i giorni devono essere uguali
tra loro perché le ore perse dal giorno le acquista la notte. Secondo altri un
giorno è uguale a tutti, perché tutti si somigliano; anche in un solo
giorno si può trovare, infatti, tutto quanto c'è in uno spazio di
tempo lunghissimo, luce e notte, e nelle alterne vicende dell'universo ‹la
notte›, ora più breve, ora più lunga, questi fenomeni li genera
in gran numero, ‹sempre della stessa natura›. 8 Perciò ogni giorno deve
essere organizzato come se fosse l'ultimo e concludesse la nostra vita.
Pacuvio, che fu governatore della Siria per un lungo periodo e quasi la fece
sua, celebrava le proprie esequie con vino e banchetti funebri; finita la cena
si faceva portare in camera da letto mentre i suoi amasî lo applaudivano e
cantavano accompagnati dalla musica: "$âåâßùôáé,
âåâßùôáé$". E ogni giorno celebrava questi funerali. 9 Quello
che Pacuvio faceva per cattiva coscienza, noi facciamolo spinti dalla buona
coscienza, e andando a dormire lieti e allegri diciamo:
Ho vissuto e ho percorso il cammino che il destino mi ha
assegnato.
Se dio vorrà concederci ancora un giorno accettiamolo con
gioia. È veramente felice e padrone di sé chi aspetta il domani senza
preoccupazione; se uno dice: "Ho vissuto," ogni giorno alzarsi al mattino
gli appare come un guadagno.
10 Devo ormai concludere la lettera. "Così",
dici, "mi arriverà senza nessun regalo." Non temere: porta
qualcosa con sé. Che dico? Qualcosa? Dovevo dire: molto. Che c'è di
più nobile della massima che le affido da riferirti? "Vivere nel
bisogno è un male, ma non c'è nessuna necessità di vivere
nel bisogno." E perché non c'è? Da ogni parte ci sono molte strade
aperte, brevi e facili, verso la libertà. Ringraziamo dio perché nessuno
è costretto a rimanere in vita: possiamo calpestare anche le
necessità. 11 "Questo lo ha detto Epicuro," ribatti, "che
hai a che fare con un estraneo?" Ciò che è vero è
anche mio. Continuerò a citarti Epicuro, perché coloro che giurano sulle
parole e non tengono conto del loro significato, ma della provenienza, sappiano
che le cose migliori sono patrimonio comune. Stammi bene.
13
1 So che hai molto coraggio; anche prima che
temprassi il tuo spirito con insegnamenti salutari e utili per superare le
avversità della vita, eri già piuttosto soddisfatto del tuo
atteggiamento di fronte alla sorte e ancor più lo sei ora dopo averla
affrontata con decisione e aver provato le tue forze; in queste non si
può mai confidare con sicurezza finché non si presentino numerose, e
talvolta incalzanti, difficoltà da ogni parte. Così si sperimenta
il coraggio vero, che non è sottoposto all'arbitrio altrui: è la
prova del fuoco. 2 Un atleta non può combattere con accanimento se non
è già livido per le percosse: chi ha visto il proprio sangue e ha
sentito i denti scricchiolare sotto i pugni, chi è stato messo a terra e
schiacciato dall'avversario e, umiliato, non si è perso d'animo, chi si
è rialzato più fiero, dopo ogni caduta, va a combattere con buone
speranze di vittoria. 3 Quindi, per continuare con questo paragone, molte volte
ormai hai subito l'assalto del destino; tu, però non ti sei arreso, ma
sei balzato in piedi e hai resistito con maggior fermezza: il valore, quando
è sfidato, si moltiplica.
Tuttavia, se credi, accetta le armi di difesa che ti offro. 4 Sono
più le cose che ci spaventano di quelle che ci minacciano
effettivamente, Lucilio mio, e spesso soffriamo più per le nostre paure
che per la realtà. Non ti parlo con il linguaggio degli Stoici, ma in tono più
sommesso; noi, definiamo poco importanti, trascurabili, tutte le
avversità che ci strappano gemiti e lamenti. Tralasciamo queste parole
magnanime, ma, buon dio, vere; ti raccomando solo di non essere infelice
anzitempo: le disgrazie che hai temuto imminenti, forse non arriveranno mai, o
almeno non sono ancora arrivate. 5 Certe cose ci tormentano più del
dovuto, certe prima del dovuto, certe assolutamente senza motivo; quindi, o
accresciamo la nostra pena o la anticipiamo o addirittura ce la creiamo.
Il primo punto per il momento rimandiamolo: il problema è
controverso e c'è una discussione in corso. Quei mali che io avrò
definito trascurabili, tu li giudicherai gravissimi; certi ridono sotto i colpi
di frusta, altri, invece, gemono per un pugno. Vedremo in seguito se quei mali
hanno forza per loro stessi o per la nostra debolezza. 6 Se chi ti sta intorno
vorrà persuaderti della tua infelicità, promettimi di badare non
a quello che ascolti, ma a quello che provi e di decidere in base alla tua
fermezza; chiedi a te stesso, che ti conosci meglio di tutti: "Perché
costoro mi compiangono? Perché stanno in allarme, perché hanno paura anche di
toccarmi, quasi che le disgrazie fossero contagiose? È veramente un male
o, più che di un male, si tratta di una valutazione errata?"
Chiediti: "Forse mi cruccio e mi affliggo senza motivo e mi creo un male
che non esiste?" 7 "In che modo," domandi, "posso capire se
mi angustio a torto o a ragione?" Eccoti una norma per stabilirlo: o ci
tormentiamo per il presente o per il futuro o per entrambi. Del presente
è facile giudicare: se sei libero, sano e non subisci dolorose violenze,
guarderemo al futuro: oggi non c'è motivo di crucciarsi. 8 "Ma ci
sarà". Innanzi tutto considera se ci sono sicuri indizi di un male
prossimo: il più delle volte, infatti, stiamo in ansia solo per sospetti
e ci facciamo gabbare da quelle dicerie che riescono a determinare la sorte di
una guerra e che a maggior ragione determinano la sorte dei singoli. È
così, mio caro: crediamo facilmente alle supposizioni; non mettiamo a
fuoco le cause delle nostre paure e non ce le scuotiamo di dosso; ci agitiamo e
voltiamo le spalle come soldati che abbandonano l'accampamento per il polverone
sollevato da un branco di pecore in fuga o come quelle persone che si lasciano
spaventare da racconti di cose prive di fondamento e di cui non è noto
nemmeno l'autore. 9 Non so perché le paure infondate turbino di più;
quelle fondate hanno un loro limite: tutto ciò che è incerto
è in balia delle congetture e dell'arbitrio di un animo terrorizzato.
Perciò niente è così dannoso, così irrefrenabile
come il panico; le altre forme di timore sono irrazionali, questa è
dissennata. 10 Esaminiamo, perciò attentamente, la questione. È
verosimile che in futuro accada qualche male: ma non è proprio sicuro.
Quanti eventi inaspettati sono accaduti! E quanti, attesi, non si sono mai
verificati. E se anche capiterà, a che giova andare incontro al dolore?
Ti dorrai a sufficienza quando il male arriverà: frattanto augurati il
meglio. 11 Che ci guadagnerai? Tempo. Possono intervenire molti fattori per cui
un pericolo vicino oppure ormai prossimo si ferma o cessa o piomba addosso a un
altro; spesso in un incendio si è offerta una possibilità di
fuga; qualcuno è uscito illeso da un crollo; a volte la spada è
stata ritirata proprio al momento dell'esecuzione; altri è sopravvissuto
al suo carnefice. Anche la sfortuna è mutevole. Forse sarà, forse
non sarà, nel frattempo non è; tu spera nel meglio. 12 Talora,
benché non ci siano segni manifesti che preannuncino qualche disgrazia, l'animo
si crea mali immaginari: o travisa in peggio una parola ambigua o ingigantisce
un'offesa ricevuta e pensa non a quanto l'altro è in collera, ma a
quanto è lecito a chi è in collera. Ma non c'è nessun
motivo di vivere, nessun limite alle sventure, se si teme tutto quello che
può accadere. Qui giova essere savi: respingi con forza d'animo la paura
anche se motivata; se no, scaccia una debolezza con un'altra: modera il timore
con la speranza. Gli eventi temuti non si verificano e quelli sperati deludono:
è una verità più certa di tutte le nostre paure. 13
Considera, quindi, speranza e timore e quando tutto sarà incerto,
favorisci te stesso: credi ciò che preferisci. Anche se il timore
avrà più argomenti, scegli la speranza e metti fine alla tua
angoscia; rifletti che la maggior parte degli uomini si arrovella e si agita,
benché non ci siano mali presenti né certezza di mali futuri. Nessuno resiste a
se stesso quando ha cominciato ad essere inquieto e non riconduce i suoi timori
alla verità; nessuno dice: "Mente chi sostiene questo, mente: o se
l'è inventato o crede a dicerie." Ci lasciamo trascinare dal vento;
temiamo l'incerto come se fosse certo; non abbiamo il senso della misura,
subito un dubbio si trasforma in timore.
16 Posso ormai concludere la lettera, se le imprimo il suo
sigillo, se le affido, cioè, una bella massima da riferirti. "Lo
stolto, tra gli altri mali, ha anche questo: incomincia sempre a vivere."
Considera il significato di questa frase, mio ottimo Lucilio, e comprenderai
quanto sia vergognosa la leggerezza di quegli uomini che ogni giorno pongono
nuove fondamenta alla loro vita, che nutrono speranze anche in punto di morte.
17 Guardali uno per uno: vedrai persone anziane che hanno mire
ambiziose e si danno ai viaggi, agli affari. Niente è più sconcio
di un vecchio che voglia ricominciare a vivere. Non aggiungerei il nome
dell'autore di questa frase, se non fosse troppo poco conosciuta: non fa parte
di quelle più note di Epicuro che io mi sono permesso di apprezzare e di
fare mie. Stammi bene.
14
1 Riconosco che è innato in noi l'amore del nostro corpo e
riconosco che ne abbiamo la tutela. Non dico che non bisogna averne riguardo,
dico che non bisogna esserne schiavi: se uno è schiavo del proprio corpo
e teme troppo per esso e fa tutto in sua funzione, sarà schiavo di
molti. 2 Comportiamoci non come se dovessimo vivere per il corpo, ma consci che
non possiamo vivere senza. Se lo amiamo più del necessario, siamo
tormentati dai timori, oppressi dalle preoccupazioni, esposti agli oltraggi.
Colui al quale è troppo caro il proprio corpo, tiene in poco conto la
virtù. Abbiamone, dunque, la massima cura, tanto, però da essere
pronti a gettarlo nel fuoco quando lo richiedano la ragione, la dignità,
la lealtà. 3 Nondimeno, per quanto possibile, evitiamo anche i disagi,
non solo i pericoli, e mettiamoci al sicuro, pensando di volta in volta come si
possano allontanare i casi più temibili. 4 Questi, se non sbaglio, sono
di tre tipi: si teme la povertà, le malattie, la violenza dei più
forti. Tra tutte queste ad atterrirci maggiormente è la minaccia del
potere altrui, poiché si presenta con grande strepito e fragore. I mali
naturali cui ho accennato, la povertà e le malattie, si insinuano
silenziosamente e non spaventano: non li vediamo, né li sentiamo giungere: il
male che ci viene dagli altri, invece, arriva con un grande apparato: ferro,
fuoco, catene, branchi di fiere per fare scempio delle vittime. 5 Pensa ora al
carcere, alla croce, al cavalletto, all'uncino, al palo ficcato nel corpo fino
a uscire dalla bocca, alle membra lacerate dai carri lanciati in direzioni
opposte, alla tunica intrisa e intessuta di materiale infiammabile e a tutte le
torture che la ferocia umana ha escogitato. 6 Non c'è, perciò, da
stupirsi se un male che ha forme diverse e un apparato raccapricciante spaventa
tanto. Infatti, come il carnefice ottiene di più se mette in mostra
più strumenti di tortura (spesso, è cosa nota, soccombe alla
vista uno che al dolore avrebbe resistito), così, tra le sciagure che
fiaccano e domano il nostro animo, hanno maggior forza quelle che si presentano
con grande esteriorità. Ci sono disgrazie altrettanto gravi, la fame,
intendo, la sete, le ulcere interne e la febbre che brucia le viscere, ma sono
occulte e prive di minacce evidenti: le altre, invece, sono come le grandi
guerre: si vincono con un vistoso spiegamento di forze.
7 Cerchiamo, dunque, di tenerci lontani dai mali. A volte è
il popolo che dobbiamo temere; a volte, se in una città vige la norma di
prendere in senato la maggior parte delle decisioni, dobbiamo temere i senatori
influenti; a volte singoli individui, cui è concesso dal popolo il potere
sul popolo. Avere amici tutti costoro sarebbe faticoso: è sufficiente
non averli nemici. Perciò il saggio non provocherà mai l'ira dei
potenti, anzi la eviterà, come in navigazione si evitano le tempeste. 8
Diretto in Sicilia, hai attraversato lo stretto. Il pilota temerario sfida
l'austro minaccioso che sconvolge il mare siciliano e crea pericolosi vortici;
non tiene la rotta a sinistra, ma si dirige là dove Cariddi agita il
mare. Il pilota più prudente, invece, chiede a chi conosce il posto la
direzione delle correnti e quali indicazioni diano le nubi; tiene la rotta
lontana da quella zona tristemente famosa per i suoi vortici. Così fa il
saggio: evita i potenti che possono nuocergli, badando soprattutto a non darlo
a vedere; parte della sicurezza risiede, infatti, nel non aspirarvi
apertamente: se uno fugge una cosa, la condanna. 9 Dobbiamo, dunque, vedere in
che modo possiamo metterci al sicuro dalla massa. Per prima cosa cerchiamo di
non avere i suoi stessi desideri: tra rivali c'è sempre lotta. Inoltre
non dobbiamo possedere nulla che procuri un grande guadagno a chi voglia
sottrarcelo: porta indosso il minimo indispensabile di beni soggetti a furto.
Nessuno versa il sangue di un altro per il gusto di uccidere, o almeno pochi;
la maggior parte agisce più percalcolo che per odio. I banditi non
assalgono uno che non ha niente con sé: anche in una strada insidiata da
malviventi, chi è povero può camminare tranquillo. 10 Inoltre,
secondo un vecchio precetto, ci sono tre cose da evitare con cura: l'odio, l'invidia,
il disprezzo. Solo la saggezza può mostrarci come realizzare questo
intento; è difficile tenere una giusta via di mezzo ed evitare che la
nostra paura dell'invidia ci porti a essere disprezzati, e mentre non vogliamo
calpestare nessuno, gli altri abbiano l'impressione che possiamo essere
calpestati. Per molti fu causa di timore l'essere temuti. Abbandoniamo tutte
queste posizioni: il disprezzo altrui nuoce quanto la deferenza. 11 Dobbiamo
rifugiarci nella filosofia; questa disciplina ispira un sacro rispetto non solo
alle persone oneste, ma anche agli uomini non del tutto malvagi. L'eloquenza
forense e qualunque altra cosa possa avere influenza sul popolo, crea
avversari: la filosofia, invece, pacifica e presa dalle sue occupazioni, non può
essere oggetto di disprezzo, viene anzi tenuta in considerazione in tutte le
professioni anche dagli uomini peggiori. Mai la perversità sarà
tanto potente, mai si congiurerà a tal punto contro le virtù che
il nome della filosofia non rimanga sacro e venerabile; bisogna però
occuparsene con serietà e moderazione.
12 "E allora?" ribatti. "Ti sembra che Catone abbia
esercitato la filosofia con misura, quando respinse la guerra civile con la
forza dei suoi discorsi? Quando intervenne nella lotta dei capi furenti? Quando,
mentre alcuni si scagliavano contro Pompeo, altri contro Cesare, egli li
attaccò entrambi?" 13 Qualcuno può mettere in discussione se
a quel tempo il saggio avrebbe dovuto occuparsi di politica. Che vuoi, Marco
Catone? Oramai non è più in gioco la libertà: già
da tempo è andata in malora. Il problema è se avrà il
potere Cesare o Pompeo: che hai a che fare con questa disputa? Niente. Si
sceglie un padrone: che ti importa chi vince? Può anche vincere il
migliore, ma chi vincerà non può non essere il peggiore. Ho
accennato all'ultimo periodo dell'attività di Catone; ma neppure negli
anni precedenti il saggio poteva intervenire in quello scempio dello stato. Che
altro poteva fare Catone se non gridare e parlare invano, quando, sollevato di
peso dal popolo e coperto di sputi, ora veniva trascinato via dal foro, ora
veniva condotto dal senato al carcere?
14 Vedremo in seguito se il saggio debba partecipare alla vita
politica: richiamo intanto la tua attenzione su quegli Stoici che, esclusi
dagli affari pubblici, si ritirarono a vivere in disparte e a dare agli uomini
leggi al riparo dalla violenza dei potenti. Il saggio non porterà
scompiglio nella moralità pubblica, e non attirerà il popolo a sé
vivendo in maniera singolare. 15 "E allora? Sarà completamente al sicuro
chi seguirà questo modello di vita?" Non posso garantirtelo, come a
un uomo temperante non posso garantire la salute, pur essendo la temperanza una
valida premessa al benessere fisico. Qualche nave naufraga addirittura in
porto: pensa a che cosa può accadere in mezzo al mare! Quanto maggiore
sarebbe il pericolo per chi ha molte attività e si dà da fare, se
neppure vivendo appartati si è al sicuro? Talora vanno a morte gli
innocenti (chi lo nega?), ma più spesso i colpevoli. Se un soldato
è stato colpito attraverso l'armatura non è detto che non sappia
combattere. 16 Il saggio, infine, in ogni cosa guarda al proposito, non
all'esito; cominciare dipende da noi, del risultato, invece, decide la sorte e
io non le riconosco il diritto di giudicarmi. "Ma farà nascere
contrattempi, avversità." Chi è colpevole non condanna.
17 E ora tendi la mano per il dono giornaliero. Te la
riempirò d'oro, e poiché si è fatto cenno all'oro, senti in che
modo puoi usarlo e goderne con maggiore soddisfazione. "Della ricchezza
gode soprattutto l'uomo che non ne sente affatto il bisogno."
"Dimmene l'autore" dici. Perché tu sappia quanto sono generoso, mi
sono proposto di lodare le sentenze altrui: si tratta di Epicuro o di Metrodoro
o di qualche altro filosofo di quella scuola. 18 E che importa chi l'ha detto?
L'ha detto per tutti. Se uno sente il bisogno della ricchezza, teme di
perderla; ma nessuno può godere di un bene che gli dà
preoccupazione. Cerca il modo di accrescerla; e mentre pensa a incrementarla,
dimentica di farne uso. Fa i conti, passa tutto il suo tempo nel foro, consulta
il libro dei crediti: da padrone diventa amministratore. Stammi bene.
15
1 Era abitudine degli antichi, in uso fino ai miei tempi, scrivere
all'inizio delle lettere "Se tu stai bene, ne sono contento, io sto
bene". Giustamente noi diciamo: "Se ti dedichi alla filosofia, ne
sono contento", poiché alla fin fine questo significa stare bene. Senza la
filosofia l'anima è malata; e anche il corpo, se pure è in forze,
è sano come può esserlo quello di un pazzo o di un forsennato. 2
Se vuoi star bene, dunque, cura soprattutto la salute dello spirito, e poi
quella del corpo, che non ti costerà molto. È sciocco, mio caro
Lucilio, e sconveniente per uno studioso esercitare i muscoli, sviluppare il
collo e irrobustire i fianchi; quand'anche ti sarai ingrossato e avrai
rinforzato i muscoli, non uguaglierai né il vigore, né il peso di un bue ben
nutrito. Inoltre, se il peso del corpo è eccessivo, lo spirito ne
è schiacciato ed è meno agile. Perciò riduci quanto più
puoi la cura del corpo e lascia spazio allo spirito. 3 Se uno si occupa troppo
del fisico, ha molti fastidi: per prima cosa la fatica degli esercizi ginnici
estenua lo spirito e lo rende incapace di concentrarsi e di dedicarsi agli
studi più impegnativi; poi l'abbondanza di cibo ottunde l'acume. A
questo aggiungi che come allenatori si prendono schiavi della peggior specie,
uomini occupati a ungersi d'olio e a bere, che giudicano soddisfacente una
giornata se hanno sudato abbondantemente e se al posto del sudore versato hanno
ingerito molto vino che a digiuno fa più effetto. Bere e sudare è
la vita dell'ammalato di stomaco. 4 Ci sono, invece, esercizi facili e brevi
che spossano sùbito il corpo e fanno risparmiare quel tempo che va
tenuto in gran conto: la corsa, il sollevamento pesi, il salto in alto, in
lungo e quello, per così dire, tipico dei Salii o, per usare una
definizione più volgare, del "lavandaio": scegli uno qualsiasi
di questi semplici e facili esercizi. 5 Ma qualunque cosa tu faccia, ritorna
sùbito dal corpo allo spirito ed esercitalo notte e giorno. L'animo si
rafforza con poca fatica; né il freddo, né il caldo e neppure la vecchiaia ne
impediscono l'allenamento. Cura quel bene che migliora col tempo. 6 Non ti dico
di stare sempre sui libri o sulle carte: bisogna concedere un po' di riposo
allo spirito, quanto basta per distenderlo senza svigorirlo. Una passeggiata in
vettura, ad esempio, stimola il corpo e non impedisce lo studio: puoi leggere,
dettare, parlare, ascoltare, tutte attività che nemmeno il camminare
preclude. 7 Non trascurare poi il timbro di voce: io ti consiglio di non
alzarla per gradi e a intervalli regolari e quindi abbassarla. E se poi volessi
imparare come si deve passeggiare? Chiama uno di quelli cui la fame ha insegnato
nuovi mestieri: ci sarà chi regolerà i tuoi passi e
sorveglierà la bocca mentre mangi: si spingerà tanto avanti
quanto tu concederai alla sua audacia con la tua tolleranza e credulità.
E allora? Comincerai a parlare gridando e alzando al massimo il tono della
voce? È naturale, invece, farla crescere a poco a poco: tanto è
vero che anche le parti in causa in tribunale cominciano con calma e finiscono
col gridare; nessuno implora subito la protezione dei Quiriti. 8 Quindi,
seguendo il tuo impulso, scagliati contro i vizi, ora con più veemenza,
ora con più calma, regolandoti come ti suggerisce la voce. E quando la
fai ridiscendere e la abbassi, deve calare, non precipitare; deve fuoriuscire
in tono misurato, e non violento alla maniera degli zotici ignoranti. Noi non
vogliamo che la voce venga educata, ma che educhi.
9 Ti ho evitato un grosso fastidio: a questo favore
aggiungerò un solo piccolo compenso, anch'esso di provenienza greca.
Ecco un precetto straordinario: "La vita degli sciocchi è
spiacevole, inquieta, tutta proiettata al futuro." "Chi lo
dice?" mi chiedi. Quello stesso di prima. Che vita - a tuo parere - si
può definire da sciocchi? Quella di Baba o di Issione? No, è la
nostra: una cieca avidità ci spinge a ricercare beni che nuoceranno e
che certo non ci sazieranno mai; proprio noi che, se qualcosa potesse bastarci,
l'avremmo già ottenuta; noi che non pensiamo quale gioia possa dare non
chiedere nulla, come sia meraviglioso essere soddisfatti e non dipendere dalla
sorte. 10 Perciò caro Lucilio, ricorda sempre quanti vantaggi hai
conseguito; e quando guarderai quante persone ti stanno davanti, pensa a quante
ti sono dietro. Se vuoi essere grato agli dèi e alla tua vita, pensa al
numero degli uomini che hai superato. Ma che hai a che fare tu con gli altri?
Hai superato te stesso. 11 Proponiti una meta da non oltrepassare neppure
volendo; allontana finalmente questi beni pieni di insidie; sembrano migliori
quando si spera di ottenerli che una volta ottenuti. Se in essi vi fosse
sostanza, finirebbero per soddisfare: invece eccitano la sete di chi beve.
Lascia da parte le belle apparenze; e il futuro, dominio dell'incerto destino,
perché implorarlo dalla fortuna? Meglio convincersi a non chiederlo. Perché,
poi, chiedere? Perché ammucchiare, dimenticando la fragilità umana?
Perché affannarsi? Ecco, questo giorno è l'ultimo; se non lo è,
è vicino all'ultimo. Stammi bene.
16
1 Caro Lucilio, ti è chiaro - ne sono certo - che nessuno
può vivere felicemente e neppure in maniera tollerabile senza l'amore della
saggezza: una perfetta saggezza rende felice la vita, ma tollerabile la rende
anche una saggezza imperfetta. Questo concetto, anche se è evidente,
deve tuttavia essere rafforzato e scolpito nel profondo con una riflessione
quotidiana: mantenere i propositi fatti richiede più impegno che
concepire onesti propositi. Bisogna perseverare e rinvigorire il nostro spirito
con una assidua applicazione, finché la tendenza al bene diventi saggezza.
2 Perciò con me non hai bisogno di molti discorsi o di
lunghe assicurazioni formali: so che hai fatto notevoli progressi. Conosco la
provenienza di ciò che scrivi; non fingi, né ingigantisci le cose. Ti
dirò tuttavia il mio pensiero: nutro in te grandi speranze, ma non ho
ancora completa fiducia. Voglio che anche tu faccia lo stesso: non confidare in
te sùbito e con facilità. Scruta, fruga ed esamina a fondo te
stesso; considera innanzi tutto se hai fatto progressi nella filosofia oppure
nella tua stessa vita. 3 La filosofia non è un'arte che cerca il favore
popolare e non è fatta per essere ostentata; non consiste nelle parole,
ma nei fatti. Di essa non ci si vale per far trascorrere piacevolmente le
giornate, per eliminare il disgusto che viene dall'ozio: educa e forma l'animo,
regola la vita, governa le azioni, mostra ciò che si deve o non si deve
fare, siede al timone e dirige la rotta attraverso i pericoli di un mare
agitato. Senza di lei nessuno può vivere tranquillo e sicuro; in ogni
momento si presentano innumerevoli circostanze che esigono una direttiva, e
questa bisogna cercarla nella filosofia. 4 Qualcuno dirà: "A che mi
giova la filosofia, se esiste il fato? A che, se c'è un dio che ci
governa? A che, se il caso detta legge? Non si possono mutare gli eventi
prestabiliti, né difendersi contro quelli incerti, ma o un dio è padrone
delle mie decisioni e ha stabilito che cosa devo fare, o la sorte non mi
concede nessuna decisione." 5 Qualunque di queste forze esista, anche se
esistono tutte, caro Lucilio, bisogna dedicarsi alla filosofia; sia che il destino
ci vincoli con la sua legge inesorabile, sia che un dio, arbitro dell'universo,
abbia disposto ogni cosa, sia che il caso sospinga e muova disordinatamente le
vicende umane, deve proteggerci la filosofia. Ci esorterà a obbedire di
buon grado a dio, e con fierezza alla sorte; ci insegnerà a seguire la
volontà di dio, a sopportare il caso. 6 Ma non è questo il
momento di discutere, quale sia il potere umano, se regna la provvidenza, o se
ci vincola e ci trascina l'alternarsi delle vicende volute dal destino, o se dominano
eventi impensati e improvvisi: io torno a raccomandarti e ti esorto a non
lasciare che lo slancio del tuo spirito cali e perda vigore. Disciplinalo e
rafforzalo, così che il tuo impulso al bene diventi un modo di essere.
7 Subito, appena avrai in mano la lettera, se ben ti conosco,
andrai a vedere quale piccolo dono ti porta: scorrila con attenzione e lo
troverai. Non stupirti della mia generosità: ancòra una volta ti
faccio dono di un pensiero altrui. Ma perché ho detto altrui? Ogni concetto
buono espresso da qualcuno, è mio. Anche questa è una massima di
Epicuro: "Se vivrai secondo natura, non sarai mai povero; se vivrai
secondo le opinioni non sarai mai ricco". 8 La natura ha poche esigenze,
le opinioni moltissime. Si concentrino pure nelle tue mani le ricchezze di
molti; la sorte ti dia più denaro di quanto ne possiede normalmente un
privato, ti ricopra d'oro, ti vesta di porpora, ti conceda tanto lusso e
magnificenza da poter ricoprire di marmo la terra e ti sia possibile non solo
avere ricchezze, ma calpestarle; si aggiungano statue, dipinti e tutto
ciò che le varie arti hanno creato per la soddisfazione della lussuria;
da questi beni imparerai solo a desiderare sempre di più. 9 I desideri
naturali hanno limiti ben definiti, quelli nati da una falsa opinione non ne
hanno: il falso non ha confini. Chi percorre una strada ha una mèta:
l'andare errando, invece, non ha mai fine. Allontanati, dunque, dalle
vanità e quando vuoi sapere se ciò cui aspiri corrisponde a un
desiderio cieco o naturale, considera se ha un termine; se dopo un lungo
cammino rimane sempre una mèta più avanzata, sappi che non
è un desiderio naturale. Stammi bene.
17
1 Se sei saggio, anzi, per essere saggio, abbandona tutte queste
faccende e sùbito con tutte le tue forze tendi alla saggezza; se
c'è qualcosa che ti trattiene, cerca di liberartene oppure tronca di
netto. "Mi trattiene," dici, "la cura del patrimonio; vorrei
disporlo in modo da poter vivere di rendita, per non essere gravato dalla
povertà o gravare io stesso su qualcuno." 2 Quando parli
così, sembra che tu non conosca la forza e la potenza di quel bene che
vai ricercando; hai una visione complessiva di quanto giovi la filosofia, ma
non distingui ancòra con sufficiente sottigliezza i particolari, non sai
ancòra quanto e in quali situazioni ci sia di aiuto, come ci
"soccorra", per dirla con Cicerone nelle circostanze più gravi
e arrivi sino alle più piccole. Dammi retta, chiedile consiglio: ti
persuaderà a non startene lì a far conti. 3 Questo cerchi e con
codesti rinvii a questo vuoi arrivare, a non temere più la
povertà: ma se bisogna ricercarla? Per molti la ricchezza è stata
un ostacolo alla filosofia; il povero non ha ostacoli, non ha preoccupazioni.
Quando risuona la tromba di guerra, sa di non essere in pericolo; quando viene
dato l'allarme per un'alluvione, cerca come mettersi in salvo, non che cosa
mettere in salvo; se deve fare un viaggio per mare, non c'è clamore in
porto e sulla spiaggia fermento di gente al seguito di uno solo; non lo
circonda una turba di servi il cui mantenimento richiede la fecondità
delle terre d'oltremare. 4 È facile nutrire il ventre di poche persone
temperanti, che non chiede altro se non di essere riempito: sfamare costa poco,
saziare molto. La povertà si contenta di soddisfare solo le necessità
impellenti: perché rifiuti una compagna di cui anche i ricchi, se hanno senno,
seguono le abitudini? 5 Se vuoi dedicarti allo spirito, devi essere povero o
vivere come un povero. Lo studio non può essere salutare se non si
ricerca la frugalità e la frugalità è una povertà
volontaria. Lascia, perciò da parte queste scuse: "Non possiedo
ancora quanto basta; se riuscirò a metterlo insieme, allora mi
dedicherò anima e corpo alla filosofia." Ma non ci si deve
procurare niente prima di quella filosofia che invece tu rimandi e hai
intenzione di procurarti dopo tutto il resto. Proprio dalla filosofia bisogna
cominciare. "Voglio conquistarmi il necessario per vivere", sostieni.
Ma contemporaneamente impara anche a preparare te stesso: se qualcosa ti
impedisce di vivere bene, non ti impedisce di morire bene. 6 Non c'è
motivo che la povertà o l'indigenza ci allontanino dalla filosofia. Chi
vi aspira deve saper sopportare anche la fame; certuni la sopportarono durante
gli assedi: eppure l'unico premio delle loro sofferenze era non cadere in balia
dei vincitori! Quanto maggiore è il bene che ti viene promesso: una
libertà perpetua, senza più timore né degli uomini, né della
divinità. Anche chi ha fame deve arrivare a possedere questi beni? 7 Ci
sono eserciti che hanno sofferto la mancanza di tutto, si sono nutriti di
radici e sfamati con cose ripugnanti solo a nominarle; tutto questo l'hanno
sopportato per un regno e - cosa più straordinaria - apparteneva ad
altri: esiterà qualcuno a sopportare la povertà per liberarsi
dalla furia delle passioni? Non c'è necessità di acquisire beni
prima: si può arrivare alla filosofia anche senza provviste per il
viaggio. 8 E così? Vuoi possedere tutto e poi avere anche la saggezza?
Sarà il corredo di vita meno importante, e, come dire, un di più?
Tu, se già possiedi qualcosa, dedicati alla filosofia (solo così
puoi sapere se possiedi ormai abbastanza); se non possiedi niente, ricercala
prima di qualsiasi altra cosa. 9 "Ma mi mancherà il necessario."
Anzitutto non potrà mancarti, perché la natura ha esigenze modestissime
e il saggio si adegua alla natura. Ma se gli capiterà di trovarsi in
condizioni decisamente critiche, sùbito abbandonerà la vita e
cesserà di essere gravoso a se stesso. Se poi i suoi mezzi per tirare
avanti saranno scarsi e limitati, si contenterà senza preoccuparsi o
angustiarsi più del necessario e darà al suo stomaco e al suo
corpo quanto occorre; sereno e felice se la riderà delle occupazioni dei
ricchi e dell'affannarsi di quegli uomini che corrono dietro alla ricchezza, e
dirà a se stesso: 10 "Perché vai tanto per le lunghe? Vuoi
aspettare i profitti dell'usura o gli utili del commercio o il testamento di un
vecchio ricco, quando puoi diventare ricco sùbito? La saggezza procura
sùbito la ricchezza: la dà rendendola superflua." Ma questo
non ti riguarda: tu sei più vicino ai ricchi. Cambia epoca, avrai sempre
troppo; quanto basta è uguale in ogni tempo.
11 Potrei chiudere qui la mia lettera, se non ti avessi abituato
male. Nessuno può accomiatarsi dai re Parti senza donare niente,
così io non posso salutarti senza pagare. Che posso fare?
Chiederò un prestito a Epicuro: "Per molti la ricchezza non ha
segnato la fine delle loro miserie, ma solo un cambiamento." 12 E non me
ne stupisco: il male non sta nelle cose, ma nell'anima. Quello che ci aveva
reso intollerabile la povertà, ci rende tale anche la ricchezza. Non ha
importanza se fai coricare un ammalato su un letto di legno o d'oro: dovunque
tu lo trasporti, porterà con sé la sua malattia; così non fa
differenza se un animo infermo si trova nella ricchezza o nella povertà:
il suo male lo segue. Stammi bene.
18
1 È dicembre: ora più che mai c'è fervore in
città. Si è data ufficialmente via libera alla sfrenatezza; tutto
risuona di grandiosi preparativi, come se ci fosse differenza tra i Saturnali e
i giorni di lavoro; invece non ce n'è proprio nessuna, tanto che secondo
me ha ragione chi ha detto che una volta dicembre durava un mese e ora invece
è dicembre tutto l'anno. 2 Se ti avessi qui, discuterei volentieri con te
sulla condotta da seguire: vanno mantenute le nostre abitudini quotidiane
oppure, per non sembrare in contrasto con gli altri, dobbiamo pranzare
più allegramente e toglierci la toga? Mentre una volta questo accadeva
solo nei momenti difficili e quando la città era in pericolo, ora
cambiamo veste per festeggiare e darci ai piaceri. 3 Se ben ti conosco, tu,
assumendo il compito di giudice conciliatore, non vorresti che noi fossimo in
tutto simili alla folla imberrettata, e neppure completamente diversi; salvo
che proprio in questi giorni in cui la massa si abbandona ai piaceri, dobbiamo
costringere il nostro animo ad astenersene, anche se è il solo; una
prova certissima della propria fermezza può averla se non si accosta
agli allettamenti che portano alla dissolutezza né vi si lascia trascinare. 4
Essere perfettamente sobri e temperanti mentre tutti gli altri si ubriacano e
vomitano, è indice di una maggiore forza morale, ma è segno di
una maggiore moderazione non allontanarsi da tutti, non cercare di distinguersi
dagli altri, e nemmeno mescolarsi alla massa; fare le stesse cose, ma in modo
diverso: è possibile festeggiare senza sfrenarsi.
5 Voglio, d'altra parte, mettere alla prova la tua fermezza
d'animo; ti invito a comportarti come insegnano i grandi uomini: per qualche
giorno nutriti di cibi pessimi e scarsi, vesti abiti ruvidi e rozzi e poi
chiediti. "È questo ciò che temo?" 6 Anche nei momenti
di tranquillità l'animo si prepari ai tempi difficili e quando va tutto
bene si rafforzi contro i colpi della sorte. Il soldato fa le esercitazioni in
tempo di pace, costruisce trincee quando non ci sono nemici e si sottopone a
fatiche inutili per essere in grado di sostenere quelle necessarie; se non vuoi
che uno sia in preda al terrore al momento della prova, fallo esercitare prima.
Hanno seguito questo metodo quegli uomini che, per un po' ogni mese, vissero da
poveri, quasi fino all'indigenza, così da non temere mai quello stato
che avevano conosciuto frequentemente. 7 Non devi ora pensare che io parli delle
cene di Timone o delle camerette da povero e di tutto quello che i ricchi
annoiati dal lusso fanno per passatempo: devi avere veramente un pagliericcio,
un saio e pane nero e secco. Vivi in questo stato per tre o quattro giorni,
talvolta anche di più, perché non sia un gioco, ma una prova: allora,
credimi, Lucilio mio, sarai contento di esserti saziato con poca spesa e
capirai che per la serenità non serve che la fortuna sia propizia. Anche
se è contraria, ti darà quanto basta alle necessità della
vita. 8 Non c'è motivo, però che ti sembri di fare grandi cose:
farai lo stesso che migliaia di schiavi e migliaia di poveri; puoi compiacerti
solo perché lo farai senza esservi costretto, perché sopportare la
povertà per sempre sarà per te facile quanto sperimentarla di
tanto in tanto. Esercitiamoci al palo e perché la sorte non ci sorprenda
impreparati, familiarizziamo con la povertà; vivremo più
tranquilli nella ricchezza se sapremo che non è gravoso essere poveri. 9
Epicuro, famoso maestro di piaceri, aveva stabilito dei giorni in cui si cibava
frugalmente per vedere se veniva a mancare qualcosa al pieno e perfetto
piacere, quanto grande era il senso della mancanza e se il divario meritava di
essere colmato a prezzo di grande fatica. Nelle lettere che egli scrisse a Polieno,
sotto l'arcontato di Carino, dice proprio questo e si vanta di spendere meno di
un asse per sfamarsi, mentre Metrodoro, che non aveva fatto gli stessi
progressi, ne spendeva uno intero. 10 Pensi che ci si possa saziare con questo
tipo di vitto? Sì, certamente, e si può anche provare piacere;
non quel piacere superficiale e fuggevole che deve essere ripetutamente
stimolato, ma un piacere costante e sicuro. L'acqua, la polenta o un pezzo di
pane d'orzo non sono saporiti; dà, però un grandissimo godimento
poter trarre piacere anche da questi cibi ed essere arrivati a tal punto che
nessuna avversità della sorte non può toglierci più nulla.
abbi la forza di disprezzare le ricchezze, ospite, e renditi anche
tu degno di dio.
13 Nessun altro è degno di dio quanto colui che disprezza
le ricchezze; non ti proibisco di possederle, ma voglio che tu le possieda
senza timori; e questo risultato lo conseguirai in un solo modo: se sarai
convinto di poter vivere felice anche senza, se le guarderai sempre come se
dovessi perderle.
14 Ma è tempo ormai di chiudere la lettera.
"Prima," mi dici, "paga il tuo debito." Ti farò
pagare da Epicuro: "L'ira sfrenata genera pazzia." Quanto ciò
sia vero lo sai necessariamente perché hai avuto servi e nemici. 15 Questo
sentimento può divampare contro qualsiasi persona; nasce tanto
dall'amore, quanto dall'odio, sia nei momenti critici che tra giochi e scherzi
e non importa la gravità delle cause, ma l'animo in cui si manifesta.
Allo stesso modo del fuoco non importa la sua violenza, ma il materiale su cui
si sviluppa: i corpi più compatti non lo alimentano anche se è
violentissimo, mentre quelli aridi e facilmente infiammabili mantengono viva
anche una scintilla fino a trasformarla in incendio. È così,
Lucilio mio: dall'ira violenta nasce la follia, perciò l'ira va evitata
non solo in nome della moderazione, ma anche per mantenersi sani. Stammi bene.
19
1 Sono felice ogni volta che ricevo le tue lettere: mi colmano di
buone speranze e non mi portano più solo promesse, ma precise garanzie
su di te. Continua così, ti supplico; che posso chiedere di meglio a un
amico, se non ciò che chiedo per il suo stesso bene? Se puoi, sottraiti
a codeste occupazioni; se no, staccatene a viva forza. Abbiamo già
sprecato troppo tempo: ora che siamo vecchi cominciamo a preparare i bagagli. 2
È disonorevole? Abbiamo vissuto in mezzo ai marosi, almeno moriamo in
porto. Non ti consiglio di ricercare la fama con una vita ritirata: non devi
sbandierarla e nemmeno nasconderla; pur condannando la follia umana non
arriverei mai al punto da volere che tu vivessi nell'oscurità
dimenticato da tutti: comportati in modo che il tuo ritiro non spicchi troppo;
sia, però evidente. 3 Quelle persone che sono agli inizi e devono ancora
prendere le loro decisioni vedranno se scegliere una vita oscura: tu non sei
libero. Sei al centro dell'attenzione per il vigore del tuo ingegno, l'eleganza
degli scritti, l'amicizia con uomini nobili e illustri; ormai sei famoso; anche
se ti apparti e cerchi di nasconderti completamente, le tue azioni passate ti
metteranno in mostra. 4 Non puoi rimanere nell'ombra: dovunque tu fugga, ti
seguirà gran parte della vecchia luce: puoi, però, rivendicare la
tua tranquillità senza attirarti l'astio di nessuno, senza rimpianti o
rimorsi. Che cosa dovresti lasciare a malincuore? I clienti? Nessuno di loro
vuole te, ma qualcosa da te; un tempo si cercava l'amicizia, oggi il profitto;
i vecchi cambieranno testamento, vedendosi abbandonati, il cliente
busserà ad altre porte. Una cosa di gran valore non può costare poco:
valuta se preferisci rinunciare a te stesso o a qualcuno dei tuoi privilegi. 5
Ti fosse toccato di invecchiare nello stesso stato in cui nascesti e la fortuna
non ti avesse innalzato tanto! La tua rapida carriera, il governo della
provincia, l'ufficio di procuratore e tutti i vantaggi connessi ti hanno
allontanato dalla visione di una vita sana; poi si succederanno cariche sempre
più importanti: quale sarà il risultato? 6 Che cosa aspetti? Di
aver esaurito tutti i tuoi desideri? Non arriverà mai quel momento. Noi
diciamo che c'è una successione di cause cui il fato è
concatenato: tale è ‹la successione› dei desideri: nascono l'uno
dall'altro. Ti sei cacciato in un sistema di vita che mai porrà fine da
sé alle tue miserie e alla tua schiavitù: sottrai al giogo il collo ormai
consunto; meglio un taglio netto che una continua oppressione. 7 Se ti
ritirerai a vita privata, avrai di meno, ma sarai soddisfatto; ora invece la
gran quantità di beni raccolti da ogni parte non ti sazia. Ma allora
preferisci la sazietà nell'indigenza o la fame nell'abbondanza? Il ricco
è avido ed è soggetto all'avidità altrui; fino a quando
non ti basterà niente, tu stesso non basterai agli altri. 8 "E come
ne uscirò?" domandi. In qualunque modo. Pensa a quanto hai temuto
per il denaro, quanto ti sei affaticato per la carriera: bisogna osare qualcosa
anche per conseguire il riposo, oppure invecchiare nelle preoccupazioni delle
procurature e poi delle cariche cittadine, in continua agitazione e fra sempre
nuove inquietudini: non vi si può sfuggire né con la moderazione, né con
una vita calma. Che importa se tu vuoi vivere tranquillo? Il tuo destino non
vuole. E che accadrà se anche ora gli permetterai di crescere? Le paure
aumenteranno proporzionalmente ai successi. 9 Voglio a questo punto riferirti una
frase di Mecenate. Ha detto molte verità anche in mezzo ai tormenti
della sua posizione: "L'altezza di per sé espone le cime ai fulmini".
Vuoi sapere in che libro lo ha scritto? In quello intitolato Prometeo. Mecenate
voleva dire che chi sta in alto è esposto ai colpi della sorte. E tu
valuti tanto il potere da giudicare queste parole un discorso da ubriaco?
Quell'uomo ebbe un grande ingegno e avrebbe dato un insigne esempio di
eloquenza romana, se non lo avesse snervato, anzi castrato, la prosperità.
Ti attende questa fine se non ammaini le vele, se non ti dirigi verso la
terraferma, cosa che egli decise di fare troppo tardi.
10 Con questa massima di Mecenate avrei potuto saldare il mio
debito con te, ma, se ben ti conosco, ne farai una questione e vorrai ricevere
quanto ti devo in valuta nuova e pregiata. Stando così le cose, devo
chiedere un prestito a Epicuro. Scrive: "Bisogna prima guardare con chi si
beve e si mangia e poi che cosa si beve e si mangia; mangiare senza un amico
è vivere come i leoni o i lupi." 11 E questo non ti
succederà, se non farai vita ritirata: altrimenti avrai come commensali
quelli scelti tra la massa dei clienti dallo schiavo addetto ai nomi; chi cerca
gli amici nell'atrio o li prova a tavola sbaglia. Il male peggiore per l'uomo
indaffarato e occupato ad amministrare i suoi beni è ritenere amici
persone cui egli non è amico, e pensare che i suoi favori servano ad
accattivargli gli animi, mentre certuni più sono debitori, più
odiano: una piccola somma data in prestito crea un debitore, una grossa crea un
nemico. 12 "E allora? I favori non procurano amici?" Certo li
procurano, se è possibile scegliere chi li riceve, se sono fatti a
ragion veduta, non distribuiti a caso. Perciò ora che cominci a
ragionare con la tua testa, segui questo consiglio dei saggi: giudica
più importante il beneficato del beneficio. Stammi bene.
20
1 Se hai la forza e ti ritieni degno di avere un giorno pieno
dominio su di te, ne sono contento; sarà per me motivo di gloria se
riuscirò a tirarti fuori da questa situazione in cui ondeggi senza
speranza di uscirne. Ti prego caldamente, Lucilio mio, scolpisci nel profondo
del tuo animo i principî filosofici e constata i tuoi progressi non in base ai
discorsi o agli scritti, ma alla fermezza d'animo e al controllo delle
passioni: dimostra con i fatti la verità delle parole. 2 Diverso
proposito hanno gli oratori che cercano di ottenere il consenso del pubblico,
oppure coloro che attirano l'attenzione dei giovani e degli oziosi dissertando
con scioltezza su svariati argomenti: la filosofia insegna ad agire, non a
parlare, ed esige che si viva secondo le sue leggi, perché la vita non sia in
contrasto con le parole, né con se stessa, e tutte le nostre azioni si
uniformino a un unico principio. Questo è il compito principale della
saggezza, e anche l'indizio più certo: che le azioni concordino con i
discorsi, così che l'uomo sia sempre uguale e identico a se stesso.
"Chi si comporta così?" Pochi, ma qualcuno c'è. Certo
non è facile; io non sostengo che il saggio avanzerà sempre con
lo stesso passo, ma per una stessa via. 3 Perciò esaminati a fondo: se i
tuoi abiti sono in contrasto con la tua casa, se sei generoso con te e avaro
con i tuoi, se ceni frugalmente, ma hai dimore lussuose. Scegli un'unica regola
di vita e conforma ad essa tutta la tua esistenza. Alcuni in casa si moderano,
fuori, invece, conducono una vita sfarzosa e senza freni; questa disuguaglianza
è un difetto ed è indizio di un animo volubile che non ha trovato
ancòra la sua strada. 4 Ti spiegherò anche da dove nascano
quest'incostanza e questa incoerenza di azione e di pensiero: nessuno ha chiari
propositi e, se li ha, non persevera, ma li lascia da parte; e non si limita a
cambiare idea: torna indietro e si volge nuovamente a quelli che aveva
abbandonato e rinnegato. 5 Perciò per lasciare da parte le vecchie
definizioni di saggezza e abbracciare ogni espressione della vita umana, mi
contento di questa: che cos'è la saggezza? Volere o non volere sempre la
stessa cosa. Non occorre aggiungere la condizione che bisogna volere il bene:
nessuno può volere sempre la stessa cosa, se non è giusta. 6 Gli
uomini non sanno che cosa vogliono, se non nel momento in cui lo vogliono;
nessuno ha deciso una volta per tutte ciò che vuole o non vuole; ogni
giorno cambiano opinione e se ne formano una opposta, e i più prendono
la vita come un gioco. Persegui, dunque, i tuoi propositi e forse arriverai
alla vetta o a un punto dove tu solo puoi capire di non essere ancòra in
cima.
7 "Che cosa accadrà," chiedi, "a tutti i
miei servi quando non avrò più il mio patrimonio?" Quando
cesserai di mantenerli, si manterranno da soli, oppure, quello che tu non puoi
sapere dai tuoi favori, lo saprai dalla povertà: resteranno gli amici
veri e sicuri, e se ne andrà chi non cercava te, ma altro. Non si deve,
allora, amare la povertà anche solo perché ti mostra chi ti ama
veramente? Quando verrà quel giorno in cui nessuno mentirà
più per rispetto a te! 8 I tuoi pensieri tendano a questo: ricerca e
desidera solo, rimettendo a dio ogni altro desiderio, di essere pago di te
stesso e dei beni che nascono da te. Quale felicità può essere
più vicina? Riduciti a un modesto livello di vita, da cui non puoi
precipitare; e perché tu lo faccia più volentieri, il tributo che ora ti
darò in questa lettera verterà sull'argomento.
9 Se pure non sei d'accordo, anche questa volta Epicuro
pagherà volentieri al mio posto. "Se dormirai in un misero letto e
vestirai umili panni, le tue parole, credimi, sembreranno ancòra
più nobili: non le pronuncerai soltanto, ma le proverai coi fatti."
Io, certo, ascolto con spirito diverso gli insegnamenti del nostro Demetrio, da
quando l'ho visto con la sola tunica, disteso su meno che un pagliericcio: non
è maestro, ma testimone della verità. 10 "E allora? Non si
può disprezzare la ricchezza, pur possedendola?" Perché no? E
dimostra una straordinaria grandezza morale chi se la ride delle ricchezze che
lo circondano, molto stupito di possederle, e sente dire che sono sue, ma
dentro di sé non le sente tali. È già molto non essere corrotti
dal contatto con la ricchezza; è grande chi ci vive in mezzo da povero.
11 "Io non so," dici, "come costui sopporterà la
povertà, se dovesse incapparvi." E io, da parte mia, o Epicuro, non
potrei dire se [...] questo povero disprezzerà la ricchezza nel caso
dovesse capitargli; bisogna, perciò esaminare in entrambi i casi la
disposizione di spirito e considerare se il ricco si adatterebbe alla
povertà, e se il povero non si compiacerebbe della ricchezza. Il
lettuccio o i vestiti miseri non bastano a provare la buona disposizione di
spirito, a meno che non sia evidente che si sopportano non per
necessità, ma per libera scelta. 12 E d'altra parte è segno di un
animo grande non correre verso la povertà come se fosse la condizione
migliore, ma esservi preparati come se fosse facile. E, in realtà,
è facile, Lucilio; e anche piacevole, se ci accostiamo a essa dopo aver
meditato a lungo; vi troveremo la serenità senza la quale non c'è
nessuna gioia. 13 Ritengo, dunque, necessario quello che, come ti ho scritto, hanno
fatto spesso i grandi uomini: inframmezzare alcuni giorni in cui, vivendo una
povertà immaginaria, ci prepariamo a quella vera; e tanto più
dobbiamo farlo, in quanto viviamo immersi nei piaceri e giudichiamo tutto duro
e difficile. Bisogna, invece, scuotere l'animo nostro dal sonno, stimolarlo e
ricordargli che la natura ci ha dato esigenze minime. Nessuno nasce ricco; a
tutti i neonati deve bastare del latte e un panno: ma, dopo questi inizi, non
ci bastano i regni. Stammi bene.
21
1 Credi di avere dei problemi con le persone di cui mi hai
scritto? I problemi maggiori li hai invece con te stesso, sei tu gravoso a te
stesso. Non sai che cosa vuoi, apprezzi la virtù, più che
seguirla, vedi dove sta la felicità, ma non osi raggiungerla. Visto che
tu non riesci a capirlo, ti dirò io che cosa ti ostacola: tieni in gran
conto ciò che hai intenzione di lasciare, e quando ti poni davanti agli
occhi quella serenità che vuoi conseguire, sei trattenuto dallo
splendore di questa vita da cui stai per allontanarti, come se poi dovessi
precipitare in una esistenza sordida e oscura. 2 Sbagli, mio caro: da questa
vita a quella si sale. E tra questa vita e quella c'è la stessa
differenza che intercorre tra lo splendore e la luce, perché la luce ha una propria
sicura origine, mentre lo splendore brilla di luce riflessa: questa vita
è illuminata da una luce che viene dall'esterno, e chiunque si
interponga vi proietta subito una densa ombra; quella, invece, splende di luce
propria. Gli studi cui ti dedicherai ti renderanno illustre e celebre. 3 Ti
farò l'esempio di Epicuro. Scrivendo a Idomeneo, allora funzionario di
un potente re e ministro di affari importanti, per richiamarlo da una vita
bella solo esteriormente a una gloria sicura e stabile, diceva: "Se ti
interessa la gloria, ti renderanno più famoso le mie lettere che tutte
le faccende di cui ti occupi e per cui sei onorato." 4 E non ha forse
detto la verità? Chi conoscerebbe Idomeneo se Epicuro non ne avesse
scolpito il nome con le sue lettere? Tutti quei magnati e satrapi e lo stesso
re da cui derivava a Idomeneo ogni onore, sono sepolti nell'oblio. Le lettere
di Cicerone fanno vivere il nome di Attico. A nulla gli sarebbe servito il
genero Agrippa e Tiberio, marito della nipote, e il pronipote Druso Cesare; tra
nomi tanto illustri non si parlerebbe di lui, se Cicerone non lo avesse legato
a sé. 5 Piomberà su noi la sconfinata profondità del tempo, pochi
ingegni riusciranno a emergere e, anche se sono egualmente destinati a
scomparire prima o poi nel silenzio, resisteranno all'oblio e rivendicheranno
la loro parte di gloria per lungo tempo. La promessa che Epicuro poté fare al
suo amico te la faccio anch'io, caro Lucilio: godrò del favore dei
posteri e posso condurre con me fuori dalle tenebre uomini destinati a una
lunga fama. Il nostro Virgilio promise a due giovani memoria eterna e ha
mantenuto la promessa:
Fortunati entrambi! Se i miei versi hanno qualche valore, nessun
giorno mai vi sottrarrà al ricordo delle generazioni future finché la
stirpe di Enea abiterà l'immota rupe del Campidoglio e il padre Romano
avrà l'impero.
6 Tutti quegli uomini che si sono messi in luce col favore della
sorte e sono stati strumento e parte della potenza altrui, hanno goduto in vita
di grande favore e la loro casa era frequentata: dopo la morte però ne
è scomparso sùbito anche il ricordo. Il rispetto tributato agli
uomini di ingegno cresce, invece, col tempo e non sono onorati solo loro, ma si
conserva tutto ciò che è unito alla loro memoria.
7 E perché Idomeneo non sia nominato gratuitamente nella mia
lettera, pagherà lui di tasca sua il mio debito. Epicuro gli scrisse
quella famosa frase con cui lo esorta a rendere ricco Pitocle non con i mezzi
comuni e incerti. "Se vuoi," dice, "rendere ricco Pitocle, non
devi aumentargli i beni, ma diminuirne i desideri." 8 È una frase
troppo chiara ed eloquente per necessitare di una spiegazione o di un sostegno.
Ti raccomando unicamente di non pensare che valga solo per la ricchezza: a
qualunque argomento la applichi, avrà la stessa validità. Se vuoi
che Pitocle abbia credito, non devi aumentargli le cariche, ma diminuirne i
desideri; se vuoi che Pitocle viva nella gioia, non devi aumentargli i piaceri,
ma ridurne i desideri; se vuoi che Pitocle diventi vecchio e viva pienamente la
sua vita, non devi aggiungergli anni, ma ridurne i desideri. 9 Non credere che
questi insegnamenti appartengano a Epicuro; sono di tutti. Quello che di solito
si fa in senato, penso si debba farlo anche in filosofia: quando qualcuno
esprime un'opinione che io non condivido pienamente, gli chiedo di suddividere
il suo pensiero e seguo solo le parti che approvo.
Queste belle massime di Epicuro le cito tanto più
volentieri perché dimostrino a chi ricorre a lui, sperando a torto di trovare
una copertura ai propri vizi, che dovunque si volgano, devono vivere in maniera
onesta. 10 Quando andrai nei suoi giardini dove c'è questa scritta:
"OSPITE, QUI STARAI BENE, QUI IL PIACERE È IL SOMMO BENE", ti
si farà incontro il custode della casa, uomo ospitale e affabile; ti
accoglierà con della polenta e ti offrirà anche acqua in
abbondanza; poi chiederà: "E allora, sei stato accolto bene? Questi
giardini non stimolano la fame, ma la saziano, e le bevande non aumentano la
sete, ma la estinguono con un rimedio naturale e gratuito; io sono diventato
vecchio tra questi piaceri." 11 Ti parlo di quei desideri che non vengono
appagati a parole, ma devono ricevere qualcosa per estinguersi. Per i desideri
particolari che è possibile rinviare, reprimere e frenare, ti raccomando,
invece, una sola cosa: sono piaceri naturali, non necessari. Ad essi non sei
debitore di nulla: se paghi qualcosa, è un tributo volontario. Lo
stomaco non ascolta insegnamenti: chiede, reclama. Non è, però un
creditore molesto: si soddisfa con poco, se soltanto gli dai ciò che
devi, non ciò che puoi. Stammi bene.
22
1 Tu ormai capisci che devi tirarti fuori da queste occupazioni
belle e nocive; ma chiedi come puoi farlo. Certi suggerimenti li si può
dare solo di persona; il medico non può scegliere per lettera l'ora del
pranzo o del bagno: deve tastare il polso. Dice un vecchio proverbio che il
gladiatore decide le sue mosse nell'arena: gliele suggeriscono il volto
dell'avversario, i movimenti delle mani, l'inclinazione stessa del corpo, che egli
studia attentamente. 2 Sulle consuetudini e le regole di condotta si possono
rivolgere raccomandazioni sul piano generale per mezzo di qualcuno o per
iscritto; consigli simili non si dànno solo agli assenti, ma addirittura
ai posteri; ma sul tempo o sulle modalità delle azioni nessuno
può consigliare da lontano: bisogna decidere sul posto. 3 Non basta
essere presenti, bisogna avere gli occhi aperti per scorgere l'occasione
propizia e fugace; devi cercare di scovarla, e se la vedi, devi coglierla al
volo e mettere ogni slancio, ogni tua forza per liberarti di questi tuoi
impegni. E ora ascolta bene il mio giudizio: io penso che da una vita come
questa devi uscire, oppure uscire addirittura dalla vita. Ma penso anche che
non devi farlo in maniera brusca: sciogli più che spezzare quei nodi in
cui ti sei malamente impigliato, e tuttavia, se non ci sarà altro modo
di scioglierli, spezzali. Nessuno è tanto pavido da preferire di stare
sempre in bilico, piuttosto che di cadere una volta per tutte. 4 Frattanto, per
prima cosa, non crearti altri impedimenti: bastano questi affari in cui ti sei
cacciato o, come vorresti far credere, sei finito. Non devi cercartene altri o
non avrai più scusanti: sarà chiaro che te li sei voluti. Le
scuse che in genere si accampano sono pretestuose: "Non ho potuto fare
diversamente. Che sarebbe accaduto se mi fossi rifiutato? Era necessario."
Inseguire il successo non è indispensabile per nessuno: ma, se anche non
vogliamo opporci, possiamo esercitare una resistenza passiva senza incalzare la
fortuna che ci porta avanti.
5 Non avertela a male se i consigli non te li do io solo, ma
ricorro anche ad altri, certo più saggi di me, ai quali di solito mi
rivolgo, quando devo prendere una decisione. Leggi a questo proposito la
lettera che Epicuro scrisse a Idomeneo: lo prega di fuggire il più in
fretta possibile, prima che intervenga una forza maggiore e gli tolga la
libertà di ritirarsi. 6 Occorre, però agire solo quando si
potrà farlo in maniera adeguata, aggiunge, e al momento opportuno; ma quando
si presenta l'occasione a lungo attesa, bisogna balzare su prontamente. Egli
non ammette che sonnecchi chi pensa alla fuga, e pronostica un esito positivo
anche nelle situazioni più difficili: basta non affrettarsi prima del
tempo, e non ritirarsi al momento dell'azione.
13 Già mettevo il sigillo alla lettera: ma devo riaprirla,
perché ti arrivi col consueto piccolo dono e porti con sé una bella massima; me
ne viene in mente una, non so se più vera o più eloquente.
"Di chi è?" chiedi. Di Epicuro; ancora una volta faccio miei
bagagli di altri: 14 "Tutti escono dalla vita come se vi fossero entrati
da poco." Pensa a chi vuoi, giovani, vecchi, uomini maturi; li troverai
ugualmente timorosi della morte, ugualmente ignari della vita. Nessuno ha
concluso niente; rimandiamo sempre tutto al futuro. Quello che più mi
piace di questa frase è che rimprovera ai vecchi di essere infantili. 15
"Nessuno," dice, "muore diverso da come è nato."
È falso: moriamo peggiori di quando siamo nati. E la colpa è
nostra, non della natura. Essa ha il diritto di lamentarsi con noi: "E
allora?" dice, "vi ho generato senza desiderî, senza paure, senza
superstizioni, senza perfidie, senza altri mali: uscite dalla vita quali siete
entrati." 16 Chi muore sereno come è nato ha conquistato la
saggezza; e invece, quando il pericolo ci è vicino, abbiamo paura, il
coraggio se ne va, scoloriamo in volto, versiamo lacrime inutili. Che
c'è di più vergognoso dell'essere turbati proprio alle soglie
della serenità? 17 Il motivo è che siamo privi di ogni bene e
soffriamo di aver sprecato la vita. Non ce n'è rimasto niente: è
passata, scivolata via. Nessuno si preoccupa di vivere bene, ma di vivere a
lungo; eppure tutti possono fare in modo di vivere bene, nessuno di vivere a
lungo. Stammi bene.
23
1 Pensi che ti scriva quanto è stato benevolo con noi
l'inverno, così mite e breve, quanto sia maligna la primavera, quanto
fuori stagione il freddo e altre sciocchezze tipiche di chi non ha argomenti?
Ti scriverò invece, qualcosa che possa essere utile a entrambi. E che
altro se non esortarti alla saggezza? Chiedi quale ne sia il fondamento? Non
compiacersi delle vanità. 2 Ho detto il fondamento: dovevo dire il
culmine. E lo raggiunge chi sa di che cosa gioire, chi non mette la sua
felicità nelle mani d'altri; è preoccupato e insicuro l'uomo che
si lascia sedurre da una qualche speranza, anche se l'ha a portata di mano,
anche se non è difficile a realizzarsi, anche se non è mai stato
deluso nelle sue attese. 3 Impara innanzi tutto a gioire, Lucilio mio. Pensi davvero
che ti voglia privare di molti piaceri perché allontano i beni fortuiti e
ritengo che si debba evitare il dolce conforto della speranza? Anzi, al
contrario, non voglio che ti manchi mai la gioia. Voglio, però che ti
nasca in casa: e nasce, purché scaturisca dall'intimo. Le altre forme di
contentezza non riempiono il cuore; rasserenano il volto, ma sono fugaci, a
meno che tu non giudichi felice uno che ride: l'animo deve essere allegro e
fiducioso ed ergersi al di sopra di tutto. 4 Credimi, la vera gioia è austera.
Oppure ritieni che l'uomo sereno e, come dicono questi sdolcinati, gaio in
volto, disprezzi la morte, apra la sua casa alla povertà, tenga a freno
i piaceri, si prepari a sopportare i dolori? Chi medita su questi pensieri
prova una grande gioia, anche se poco seducente. Questa gioia voglio che tu la
possieda: non verrà mai meno, una volta che tu sappia da dove derivi. 5
I metalli vili si trovano in superficie: i più preziosi sono nascosti,
invece, nelle viscere della terra, e procurano un compenso maggiore a chi ha la
costanza di scavare. Quei beni di cui si compiace la massa dànno un
piacere inconsistente e superficiale: ogni gioia che viene dall'esterno manca
di fondamenta: questa, di cui ti parlo e alla quale cerco di condurti, è
reale e si spiega più intensamente nell'intimo. 6 Ti prego, carissimo,
fa' la sola cosa che può renderti felice: distruggi e calpesta questi
beni splendidi solo esteriormente, che uno ti promette o che speri da un altro;
aspira al vero bene e godi del tuo. Ma che cosa è "il tuo"? Te
stesso e la parte migliore di te. Anche il corpo, povera cosa, benché non se ne
possa fare a meno, stimalo necessario più che importante; ci procura
piaceri vani, di breve durata, di cui necessariamente ci pentiamo e che, se non
li frena una grande moderazione, hanno un esito opposto. Questo dico: il
piacere sta sul filo, e si muta in dolore se non ha misura; ma è
difficile tenere una giusta misura in quello che si crede un bene: solo il
desiderio, anche intenso, del vero bene è senza pericoli. 7 Vuoi sapere
che cosa sia il vero bene o da dove venga? Te lo dirò: dalla buona
coscienza, dagli onesti propositi, dalle rette azioni, dal disprezzo del caso,
dal tranquillo e costante tenore di vita di chi segue sempre lo stesso cammino.
Quegli uomini che passano da un proposito all'altro o neppure passano, ma si
lasciano portare dal caso, come possono avere sicurezza e stabilità se
sono incerti e instabili? 8 Sono pochi quelli che decidono di sé e delle
proprie cose a ragion veduta: gli altri, come gli oggetti che galleggiano nei
fiumi, non avanzano: vengono trasportati: alcuni sono trattenuti e spostati
più lentamente da una corrente più debole, altri trascinati con
maggiore violenza, altri deposti vicino alla riva da una corrente meno forte,
altri gettati in mare dall'impeto delle acque. Dobbiamo, perciò
stabilire che cosa vogliamo e perseverare nei nostri propositi.
9 È arrivato il momento di pagare il mio debito. Posso
riferirti una frase del tuo Epicuro e adempiere al vincolo di questa lettera:
"È penoso cominciare sempre la vita", oppure, se così
il senso è più chiaro: "Vivono male quelle persone che
cominciano sempre a vivere." 10 "Perché?" chiedi; difatti questa
frase necessita di una spiegazione. Perché la loro vita è sempre
incompleta; non può essere pronto alla morte chi proprio allora comincia
a vivere. Dobbiamo fare in modo di aver vissuto abbastanza. Ma questo non lo fa
chi è intento proprio allora a tessere la trama della sua esistenza. 11
Non pensare che uomini del genere siano pochi: sono quasi tutti così.
Certi, poi, cominciano quando è tempo di smettere. Se ti pare strano,
aggiungerò una cosa che ti sembrerà ancora più strana:
certi uomini finiscono di vivere ancora prima di cominciare. Stammi bene.
24
6 "Queste sono leggende," ribatti, "dette e
ripetute in tutte le scuole; e ora quando si arriverà a parlare del
disprezzo della morte, mi racconterai di Catone." E perché non dovrei
raccontarti che in quella famosa ultima notte leggeva un libro di Platone con
la spada posata vicino alla testa? Si era procurato in quel momento supremo
questi due strumenti: uno che rafforzasse la sua decisione di morire, l'altro
che la rendesse possibile. Disposte le sue cose come meglio poteva in quelle
circostanze terribili ed estreme, decise di agire in modo che nessuno potesse
uccidere Catone, o gli toccasse di salvarlo; 7 e afferrata la spada che fino a
quel giorno non aveva mai macchiato di sangue, disse: "Fortuna, non hai ottenuto
nulla contrastando i miei tentativi. Fino ad oggi non ho lottato per la mia
libertà, ma per quella della patria e non agivo con tanta determinazione
per vivere libero, ma per vivere tra uomini liberi: ora, poiché la condizione
del genere umano è disperata, possa Catone mettersi al sicuro." 8
Poi si inferse la ferita mortale; quando i medici gliela suturarono, benché
avesse perso sangue e forza, ma non coraggio, irato non tanto con Cesare quanto
con se stesso, cacciò le mani nude nella ferita e non spirò ma
scagliò via la sua anima generosa e sprezzante di ogni potenza.
9 Non è mia intenzione raccogliere questi esempi per
esercitare la mente, ma per farti coraggio contro il male ritenuto il peggiore;
e riuscirò più facilmente nel mio proposito mostrandoti che non
solo uomini coraggiosi hanno affrontato con sprezzo il momento della morte, ma
che alcuni, vili in altre circostanze, in questa occasione hanno emulato il
coraggio dei più forti; per esempio il famoso Scipione, suocero di G.
Pompeo; egli, spinto sulle coste africane da venti contrari, vedendo che la sua
nave era caduta in mano nemica, si trafisse con la spada, e a chi chiedeva dove
fosse il generale: "Il generale sta bene", rispose. 10 Questa frase
lo ha reso degno dei suoi antenati e ha perpetuato la fatale gloria degli
Scipioni in Africa. Fu una grande impresa vincere Cartagine, ma ancora
più grande fu vincere la morte. "Il generale sta bene"' doveva
forse morire diversamente un generale e per di più il generale di
Catone? 11 Non ti richiamo alle vicende storiche, e nemmeno voglio raccogliere
da tutte le epoche quegli uomini, e sono numerosissimi, che hanno disprezzato
la morte. Guarda a questi nostri tempi, di cui lamentiamo la rilassatezza e
l'amore dei piaceri: vedrai persone di ogni ceto sociale, di ogni condizione,
di ogni età, i quali hanno troncato i loro mali con la morte. Credimi,
Lucilio, la morte è così poco temibile che proprio per merito suo
non dobbiamo temere nulla. 12 Ascolta, perciò tranquillo le minacce del
tuo nemico; la tua coscienza ti dà fiducia, ma, poiché hanno il loro
peso anche fattori estranei al processo, spera, sì, in una sentenza
veramente giusta, ma preparati anche a una totalmente ingiusta. E innanzi tutto
ricordati di spogliare gli avvenimenti dal tumulto che li accompagna e di
considerarli nella loro essenza: capirai che in essi non c'è niente di
terribile se non la nostra paura. 13 Ciò che vedi succedere ai
fanciulli, succede anche a noi che siamo solo dei fanciulli un po' più
grandi: quando vedono mascherate le persone che amano e con le quali hanno una
consuetudine di giochi e di vita, si spaventano: anche alle cose, come agli
uomini, bisogna togliere la maschera e restituire loro il vero aspetto. 14
Perché mi mostri spade, fuoco e una turba di carnefici fremente intorno a te?
Togli di mezzo questo apparato sotto il quale ti nascondi e atterrisci gli
sciocchi: tu sei la morte, per te or ora un mio servo, una mia ancella, hanno
mostrato disprezzo. Perché tu di nuovo mi spieghi davanti con grande messa in
scena flagelli e strumenti di tortura? Perché mi mostri arnesi diversi per
tormentare le varie articolazioni e mille altri macchinari per straziare un
uomo brano a brano? Lascia da parte questi strumenti di terrore; fa' cessare i
gemiti, le grida e gli urli lancinanti strappati con la tortura: tu sei il
dolore che il podagroso disprezza, che l'ammalato di stomaco sopporta in mezzo
ai piaceri del pranzo, che la giovane donna soffre con coraggio durante il
parto. Se ti posso sopportare, sei leggero; se non posso, durerai poco.
15 Rifletti su queste parole che hai spesso udito e spesso
pronunciato; prova ora coi fatti che hai ascoltato, che hai parlato con
sincerità; sovente ci rinfacciano un comportamento davvero vergognoso:
discutiamo di filosofia, ma non la mettiamo in pratica. Come? Che ti minaccia
la morte, l'esilio, il dolore l'hai capito ora per la prima volta? Sei nato con
questo destino; qualunque cosa possa accadere pensiamola come se fosse certa.
16 Hai sicuramente agito come ti suggerisco, lo so: ora, però ti esorto
a non sommergere il tuo spirito in queste preoccupazioni; si indebolirà
e avrà meno vigore al momento in cui dovrà levarsi a combattere.
Volgilo dai tuoi problemi personali a quelli generali; ripetigli che hai un
corpo mortale e fragile; sofferenze possono infliggergliene non solo la
violenza o la forza dei più potenti; i piaceri stessi si volgono in
tormenti: i pranzi provocano indigestioni, l'ubriachezza torpore e tremiti
nervosi, la lussuria può deformare piedi, mani e tutte le articolazioni.
17 Diventerò povero: sarò tra i più. Andrò in
esilio: penserò di esser nato là dove mi manderanno. Sarò
incatenato: e allora? Sono forse libero adesso? La natura mi ha vincolato a
questo grave peso: il corpo. Morirò: è come se tu dicessi: non
correrò più il rischio di ammalarmi, di essere messo in catene,
di morire.
18 Non sono tanto ottuso da recitare a questo punto la litania
epicurea e ripetere che sono falsi gli spauracchi dell'oltretomba; Issione non
gira legato a una ruota, Sisifo non spinge con le spalle un masso su per una
salita, a nessuno possono ogni giorno ricrescere ed essere divorate le viscere:
non c'è uomo così infantile da temere Cerbero, le tenebre e gli
spettri sotto forma di nudi scheletri. La morte o ci consuma o ci spoglia; se
ci libera dal peso del corpo, rimane la parte migliore di noi; se ci consuma,
di noi non resta niente; beni e mali scompaiono allo stesso modo. 19 Permettimi
a questo punto di citare un tuo verso; bada, però: non lo hai scritto
solo per gli altri, ma anche per te. È vergognoso dire una cosa e
pensarne un'altra: ma scrivere una cosa e pensarne un'altra lo è
ancòra di più. Ricordo che una volta hai trattato questo
argomento: noi non precipitiamo all'improvviso nella morte, ma ci avviciniamo a
poco a poco. 20 Moriamo ogni giorno: ogni giorno ci viene tolta una parte della
vita e anche quando ancora cresciamo, la vita decresce. Abbiamo perduto
l'infanzia, poi la fanciullezza, poi la giovinezza. Tutto il tempo trascorso
fino a ieri è ormai perduto; anche questo giorno che stiamo vivendo lo
dividiamo con la morte. Come la clessidra non la vuota l'ultima goccia d'acqua,
ma tutta quella defluita prima, così l'ora estrema, che mette fine alla
nostra vita, non provoca da sola la morte, ma da sola la compie; noi vi
giungiamo in quel momento, da tempo, però, vi siamo diretti. 21 Dopo
aver delineato questi concetti con il tuo solito linguaggio, sempre sostenuto e
tuttavia mai più penetrante di quando metti le parole al servizio della
verità, scrivi:
La morte non viene una volta sola: quella che ci porta via
è l'ultima morte.
È meglio che tu legga te stesso invece della mia lettera;
capirai che questa da noi temuta, è la morte estrema, non la sola.
22 So dove guardi: cerchi che cosa ho inserito in questa lettera, che
massima coraggiosa, che insegnamento utile di un qualche autore. Ti
manderò dei pensieri sull'argomento in questione. Epicuro biasima chi
brama la morte non meno di chi la teme e afferma: "È ridicolo
correre verso la morte per stanchezza della vita, quando è il tuo
sistema di vita che ti fa correre incontro alla morte." 23 E ancòra
in un altro passo: "Che c'è di tanto ridicolo quanto cercare la
morte, se proprio per paura della morte ti sei reso la vita impossibile?"
Aggiungi anche un'altra considerazione simile: è tanta la
stupidità, anzi la follia degli uomini, che alcuni sono spinti alla
morte dal timore della morte. 24 Medita su uno qualsiasi di questi pensieri,
rafforzerai il tuo animo a sopportare o la morte o la vita; dobbiamo essere
consigliati e incoraggiati sia a non amare troppo la vita, sia a non odiarla
troppo. Anche quando la ragione ci spinge a farla finita, non prendiamo
risoluzioni sconsiderate e avventate.
25
1 Riguardo ai nostri due amici, bisogna seguire una strada
diversa: correggere i vizi dell'uno, stroncare quelli dell'altro. Sarò
molto franco: non gli vorrei bene, se non lo trattassi con asprezza.
"Come?" dici. "Pensi di tenere sotto la tua tutela un pupillo di
quarant'anni? Considera la sua età: è ormai incallito e indocile:
non lo puoi cambiare; solo i materiali duttili si modellano." 2 Non so se
ci riuscirò: certo preferisco l'insuccesso al disimpegno. Non bisogna
disperare: anche gli ammalati cronici possono guarire, se ti opponi alle loro intemperanze
e li costringi a fare e a sopportare molte cose contro la loro volontà.
Neppure nell'altro avrei molta fiducia, se non arrossisse ancòra dei
suoi peccati; bisogna alimentare questo pudore: fino a quando durerà nel
suo animo, ci sarà posto per la speranza. Con questo peccatore di
vecchia data, secondo me, occorre agire con più tatto, perché non arrivi
a disperare di se stesso; 3 e per tentare, nessun momento era migliore di
questo, mentre ha un periodo di quiete, mentre sembra che si sia corretto.
Questa interruzione può ingannare altri, non me: mi aspetto che i vizi
ritornino e con gli interessi. Ora non compaiono, lo so, ma non sono stati
eliminati del tutto. Dedicherò qualche giorno a questo problema e
vedrò se si può fare o no qualcosa.
4 Tu dimostrati forte, come fai, e diminuisci i tuoi bagagli; di
ciò che possediamo niente è necessario. Ritorniamo alla legge di
natura; la ricchezza è a portata di mano. Ciò di cui abbiamo
necessità o è gratuito o costa poco: la natura ha bisogno solo di
pane e acqua. Nessuno è troppo povero per procurarseli e se uno limita
qui le sue esigenze, può competere in felicità con Giove stesso,
come dice Epicuro di cui voglio inserire una frase in questa lettera. 5
"Agisci sempre," dice, "come se Epicuro ti vedesse." Senza
dubbio serve imporsi un custode, avere un uomo cui guardare, saperlo partecipe
dei tuoi pensieri. È molto meglio vivere come se si fosse sempre sotto
gli occhi di un uomo virtuoso; ma se tu agisci come se ti osservasse uno
qualsiasi, mi basta. La solitudine ci spinge ad ogni genere di mali. 6 Quando
avrai fatto progressi tali da avere soggezione anche di te stesso, potrai
congedare il tuo pedagogo: intanto fatti controllare da un uomo autorevole -
sia pure il famoso Catone o Scipione o Lelio o un altro alla cui presenza anche
uomini corrotti cercherebbero di soffocare i loro vizi - finché ti renderai
tale che non oserai peccare di fronte a te stesso. Quando avrai realizzato
questo e comincerai ad avere rispetto di te, ti permetterò quanto consiglia
lo stesso Epicuro: "Ritirati in te soprattutto quando sei costretto a
stare tra la folla." 7 Bisogna che tu diventi diverso dalla massa, per
poterti ritirare in te senza pericolo. Guarda uno per uno quelli che ti
circondano: non c'è nessuno per cui non sarebbe preferibile stare col
primo venuto piuttosto che con se stesso. "Ritirati in te soprattutto
quando sei costretto a stare tra la folla", se sei un uomo onesto,
tranquillo, temperante. Altrimenti devi sfuggire da te e andare tra la gente:
nello stato in cui versi sei più vicino a un uomo disonesto. Stammi
bene.
26
1 Poco fa ti dicevo di essere in cospetto della vecchiaia: ora
temo di essermela già lasciata alle spalle. Ai miei anni e a questo mio
fisico conviene ormai un altro termine; vecchiaia indica un'età stanca,
ma non priva di forze; mettimi, invece, nel numero degli uomini decrepiti,
vicini alla fine. 2 Posso, tuttavia, dirti che sono grato a me stesso: i danni
dell'età, benché li avverta nel corpo, non li sento nello spirito. Solo
i vizi e gli strumenti dei vizi sono invecchiati: lo spirito è forte e
gioisce di non aver molto in comune con il corpo: ha ormai deposto gran parte
del suo peso. Esulta e discute con me sulla vecchiaia: dice che questo è
il suo fiore. Crediamogli: si goda il suo bene.
8 Volevo ormai finire e già mi accingevo a concludere, ma
devo preparare il denaro e darlo come viatico a questa lettera. Non ti dico da
chi prenderò il prestito: tu sai a quale forziere ricorro. Aspetta
ancòra un poco ed effettuerò il pagamento con i miei averi;
intanto mi farà un prestito Epicuro; scrive: "Pensa alla
morte." Oppure, se così il senso è più chiaro:
"È cosa egregia imparare a morire." 9 Forse ritieni superfluo
imparare una cosa di cui dobbiamo servirci una volta sola. Proprio per questo
motivo si deve pensare alla morte: bisogna sempre imparare ciò che non
possiamo esser certi di conoscere bene. 10 "Pensa alla morte": chi
dice queste parole ci esorta a riflettere sulla libertà. Chi ha imparato
a morire, ha disimparato a essere schiavo: è superiore a ogni umana
potenza o, almeno, ne è al di fuori. Che gli importa del carcere, delle
guardie, delle catene? Ha sempre la porta aperta. Una sola è la catena
che ci vincola, l'amore per la vita: non dobbiamo soffocarlo, ma ridurlo,
così che, se le circostanze lo richiedono, niente ci trattenga, né ci
impedisca di essere pronti a compiere subito un passo che presto o tardi
bisogna compiere. Stammi bene.
27
1 "Tu mi dai consigli?" potresti dire. "Li hai
già dati a te stesso, ti sei corretto? Perciò ti dedichi a
correggere gli altri?" Non sono così impudente da volere assumermi,
io malato, la cura del prossimo; ma come se mi trovassi nel medesimo ospedale,
ti parlo della comune malattia e divido con te le medicine. Perciò
ascoltami come se parlassi con me stesso. Ti faccio entrare nel segreto della
mia anima e davanti a te mi giudico. 2 Grido a me stesso: "Conta i tuoi
anni e ti vergognerai di avere i medesimi desideri di quando eri fanciullo, di
cercare le medesime cose. Si avvicina il giorno della morte, garantisciti che i
tuoi vizi muoiano prima di te. Allontana questi torbidi piaceri, che devi
scontare a caro prezzo: non nuocciono solo quelli futuri, ma anche quelli
passati. Anche se i delitti non sono scoperti, rimane sempre il rimorso,
così il pentimento che nasce dai piaceri disonesti non finisce con loro.
Non sono reali, né costanti; se pure non danneggiano, svaniscono. 3 Cerca
piuttosto un bene duraturo; ma è duraturo solo quel bene che l'animo
trova in sé. Soltanto la virtù procura una gioia stabile e sicura; anche
se c'è un ostacolo, fa' come le nubi, che si frappongono, ma non vincono
mai la luce del giorno." 4 Quando si potrà raggiungere questa
gioia? Finora non siamo rimasti inoperosi, dobbiamo, però affrettarci.
Resta ancora molto lavoro ed è necessario che vigili, che fatichi
proprio tu, se vuoi portarlo a termine; in altri tipi di studio si può
ricevere un aiuto, qui non sono ammesse deleghe. 5 Ai miei tempi viveva
Calvisio Sabino, un riccone, che aveva patrimonio e indole da liberto; non ho
mai visto un uomo agiato in modo più indecente. Costui aveva una memoria
così debole che dimenticava il nome di Ulisse, di Achille, o di Priamo:
eppure li conosceva bene quanto noi conosciamo i nostri maestri. Nessun vecchio
schiavo nomenclatore, il quale anziché riferire i nomi esatti, li inventi di
sana pianta, ha mai salutato i cittadini confondendoli tanto quanto lui
confondeva i Troiani e gli Achei. 6 E tuttavia voleva apparire erudito.
Escogitò perciò questo espediente: spese una grande somma per
comprare dei servi: uno che ricordasse a memoria Omero, un altro Esiodo;
assegnò inoltre uno schiavo a ciascuno dei nove lirici. Non c'è
da stupirsi che avesse speso tanto: non avendone trovati già istruiti,
pagò per farli preparare. Dopo essersi procurato questa servitù,
cominciò a molestare i suoi ospiti. Teneva ai suoi piedi questi schiavi
e a essi di volta in volta chiedeva i versi da recitare, e tuttavia spesso si
interrompeva a metà di una parola. 7 Satellio Quadrato, uno sfruttatore
di ricchi insensati, e di conseguenza adulatore e, caratteristica legata a
queste due, schernitore, gli consigliò di assumere dei letterati per
raccattare gli avanzi della mensa. Quando Sabino disse che ogni servo gli
costava centomila sesterzi, ribatté: "A minor prezzo avresti comprato
altrettante casse di libri." Egli, tuttavia, riteneva di saperne
più di qualunque altro in casa sua. 8 Questo stesso Satellio
cominciò a incitarlo a praticare la lotta, benché fosse malato, pallido
e gracile. E quando Sabino gli rispose: "E in che modo potrei farlo? A
stento mi reggo in piedi." "Non dire così, ti prego," gli
disse, "non vedi quanti servi forti hai?" La saggezza non si prende
in prestito, e nemmeno si compra; e ritengo che se anche fosse in vendita, non
si troverebbero compratori: la stupidità, invece, si compra
quotidianamente.
9 Ma prendi ormai quanto ti devo e arrivederci. "La
povertà regolata secondo le leggi della natura è ricchezza."
Lo dice spesso Epicuro ora in un modo, ora nell'altro, ma non si ripete mai troppo
quello che non si impara mai abbastanza; a qualcuno bisogna indicare i rimedi,
ad altri bisogna inculcarli. Stammi bene.
28
1 Pensi che sia capitato solo a te e ti stupisci come di un fatto
inaudito, perché, pur avendo viaggiato a lungo e in tanti posti diversi, non ti
sei scrollato di dosso la tua tristezza e il tuo malessere spirituale? Devi
cambiare animo, non cielo. Attraversa pure il mare, lascia, come dice il nostro
Virgilio, che
Scompaiano terre e città, all'orizzonte,
i tuoi vizi ti seguiranno dovunque andrai. 2 Socrate, a un tale
che si lagnava per la stessa ragione, disse: "Perché ti stupisci se
viaggiare non ti serve? Porti in giro te stesso. Ti perseguitano i medesimi
motivi che ti hanno fatto fuggire". A che possono giovare nuove terre? A
che la conoscenza di città e posti diversi? Tutto questo agitarsi
è vano. Chiedi perché questa fuga non ti sia di aiuto? Tu fuggi con te
stesso. Deponi il peso dell'anima: prima di allora non ti andrà a genio
nessun luogo. 3 Pensa che la tua condizione è simile a quella che il
nostro Virgilio rappresenta nella profetessa esaltata, spronata e invasata da
uno spirito non suo:
La profetessa si dimena tentando di scacciare il dio dalla sua
anima.
Vai di qua e di là per scuoterti di dosso il peso che ti
opprime e che diventa più gravoso proprio per questa tua agitazione;
così in una nave il carico stabile grava di meno, mentre, se è
sballottato qua e là in maniera diseguale, fa affondare il fianco su cui
pesa. Qualunque cosa fai, si risolve in un danno per te e gli stessi continui
spostamenti ti nuocciono: tu muovi un ammalato. 4 Ma quando avrai rimosso
questo male, ogni cambiamento di sede diventerà piacevole. Anche se
verrai esiliato in terre lontanissime o sarai trasferito in un qualsiasi paese
barbaro, quel posto, comunque sia, ti sembrerà ospitale. Conta
più lo stato d'animo che il luogo dove arrivi, perciò l'animo non
va reso schiavo di nessun posto. Bisogna vivere con questa convinzione: non
sono nato per un solo cantuccio, la mia patria è il mondo intero. 5 Se
ti fosse chiaro questo concetto, non ti stupiresti che non ti serva a niente
cambiare continuamente regione, perché sei stanco delle precedenti; ti sarebbe
piaciuta già la prima, se le considerassi tutte come tue. Ora non
viaggi, vai errando e ti lasci condurre e ti sposti da un luogo a un altro,
mentre quello che cerchi, vivere serenamente, si trova dovunque.
9 È tempo di finire, purché prima io paghi il pedaggio.
"Aver coscienza delle proprie colpe è il primo passo verso la
salvezza." A me pare che Epicuro abbia espresso un concetto molto giusto:
se uno non sa di sbagliare, non vuole correggersi; devi coglierti in fallo,
prima di correggerti. 10 Certi si gloriano dei propri vizi: e tu pensi che
cerchi un rimedio chi considera virtù i suoi vizi? Perciò per
quanto puoi, accùsati, fa' un esame di coscienza; assumi prima il ruolo
di accusatore, poi di giudice, da ultimo quello di intercessore; e talvolta
punisciti. Stammi bene.
29
4 Ancora non dispero del nostro Marcellino; ancora si può
salvare, purché gli si tenda sùbito la mano. C'è, però il
pericolo che trascini con sé chi gliela porge; ha una grande forza d'ingegno,
ma già rivolta al male. Correrò tuttavia, questo pericolo e mi
arrischierò a mostrargli i suoi vizi. 5 Farà come al solito:
ricorrerà a quelle facezie che riescono a far ridere anche chi sta
piangendo e scherzerà dapprima su di sé, poi su di noi;
anticiperà tutto quello che intendo dirgli. Frugherà nelle nostre
scuole e rinfaccerà ai filosofi le elargizioni ricevute, le amanti, la
ghiottoneria.
9 Mentre io mi preparo a curarmi di lui, frattanto, tu che puoi,
che sai da che cosa ti sei tirato fuori e quindi sei in grado di capire dove
potrai arrivare, regola le tue abitudini, innalza lo spirito, stai saldo contro
ciò che temi; non metterti a considerare quanti ti fanno paura. Se uno
temesse la folla in un punto dove può passare solo una persona per volta
non sembrerebbe stupido? Ugualmente non sono molti a poterti dare la morte,
anche se molti te la minacciano. È una legge di natura: una sola persona
ti ha dato la vita, una sola te la toglierà.
10 Se avessi un po' di rispetto, mi avresti condonato l'ultima
rata; ma neppure io, arrivato alla fine dei miei debiti, voglio comportarmi da
avaro e ti darò per forza quanto ti devo. "Non ho mai voluto
piacere al popolo: il popolo non apprezza le cose che io so, e io non so le
cose che apprezza il popolo." 11 "Chi ha scritto questa frase?"
chiedi, come se non sapessi a chi do l'ordine di pagare. Epicuro; ma questo
stesso concetto te lo esprimeranno a gran voce tutti insieme i filosofi di ogni
scuola, peripatetici, accademici, stoici, cinici: se uno ama la virtù,
come può piacere al popolo? Il favore popolare si ottiene con mezzi
loschi. Devi renderti simile a loro: non ti apprezzeranno, se non ti
riconosceranno uguale. Ma l'opinione che hai di te stesso è molto
più importante dell'opinione altrui; solo con sistemi disonesti ci si può
accattivare il favore dei disonesti. 12 Che cosa, dunque, ti potrà
insegnare quella filosofia tanto lodata e preferibile a tutte le arti e a tutti
i beni? Naturalmente a voler piacere a te stesso più che al popolo, a
valutare i giudizi, ma non in base al numero, a vivere senza paura degli
dèi e degli uomini, a vincere i mali o a mettervi un limite. Ma se
vedrò che sei famoso per i giudizi favorevoli del popolo, se al tuo
ingresso risuoneranno grida e applausi, onori da pantomimi, se in tutta la città
faranno le tue lodi donne e ragazzi, perché non dovrei avere compassione di te?
So qual è la strada che porta a questo genere di favore. Stammi bene.
30
1 Ho visto Aufidio Basso, gran brava persona, mal ridotto e in
lotta con l'età. Ma questa ormai pesa a tal punto su di lui da non
permettergli più di riaversi; la vecchiaia gli sta addosso con tutto il
suo tremendo peso. Sai che ha sempre avuto un fisico debole e smunto; a lungo
l'ha sostenuto, anzi, per meglio dire, rabberciato: improvvisamente ha ceduto.
2 Quando una nave imbarca acqua, si tamponano ora l'una ora l'altra falla, ma
se incomincia a cedere e ad aprirsi in più punti, non c'è rimedio
per l'imbarcazione che si sfascia; allo stesso modo un fisico vecchio e debole
si può tenere in piedi e puntellare fino a un certo punto. Quando tutte
le commessure si aprono, come in un edificio marcio, e mentre ne ripari una, se
ne spacca un'altra, bisogna cercare il modo di venirne fuori. 3 Tuttavia il
nostro Basso ha uno spirito vivace: questo ti dà la filosofia: essere
sereno di fronte alla morte, forte e addirittura lieto indipendentemente dalle
condizioni fisiche, e non cedere anche se le forze non reggono più. Un
pilota abile naviga pure se la velatura è a brandelli e, se ha perso le sartie,
segue ugualmente la rotta con quel che resta della nave. Così fa il
nostro Basso e guarda alla sua fine con quello spirito e quel volto che
apparirebbero eccessivamente tranquilli persino per uno che guardasse la morte
di un altro. 4 È questa, Lucilio mio, una lezione importante, che va
imparata e meditata a lungo: andarsene con animo sereno, quando si avvicina
l'ora fatale. Altri generi di morte non escludono una speranza di salvezza: una
malattia può finire, un incendio si può spegnere, a volte un
crollo ha lasciato incolumi persone che pareva dovesse schiacciare; il mare ha
gettato sulla riva sani e salvi i naufraghi con la stessa violenza con cui li
aveva inghiottiti; il soldato ha ritirato la spada proprio dal collo della
vittima; ma se uno lo trascina a morte la vecchiaia, non ha nessuna speranza:
solo a essa non ci si può opporre. Nessun tipo di morte è
più dolce, ma neppure più lunga.
13 Confesso di essere andato piuttosto di frequente da quest'uomo,
a me caro per moltissimi motivi, per vedere se lo avrei trovato ogni volta
nella stessa disposizione di spirito, o se insieme alla forza fisica diminuisse
il suo vigore spirituale; ma questo cresceva in lui come l'esultanza degli
aurighi diventa più evidente quando, al settimo giro, si avvicinano alla
vittoria. 14 Egli, seguendo gli insegnamenti di Epicuro, diceva di sperare
prima di tutto che non ci fosse nessuna sofferenza in quell'anelito supremo; e
se poi c'era, il fatto stesso che fosse di breve durata rappresentava
già un grande sollievo: nessun dolore intenso dura a lungo. Ma anche al
momento del distacco dell'anima dal corpo, nel caso fosse doloroso, lo avrebbe
aiutato il pensiero che dopo quella sofferenza non avrebbe più potuto
soffrire. Non dubitava, poi, che la sua anima senile fosse a fior di labbra e
che si sarebbe staccata dal corpo senza grande violenza. "Il fuoco, quando
si propaga a materiali infiammabili, bisogna spegnerlo con l'acqua, e a volte
demolendo tutto; se gli manca alimento si estingue da solo." 15 Mio caro,
queste parole le ascolto volentieri, non perché mi siano nuove, ma perché mi
mettono di fronte alla realtà. E dunque? Non ho visto molti togliersi la
vita? Sì, li ho visti, ma per me ha più valore chi arriva alla
morte senza odiare la vita, e la accoglie, senza tirarsela addosso. 16 Basso
sosteneva poi che quel tormento noi lo sentiamo per colpa nostra, perché ci
lasciamo prendere dal panico quando crediamo che la morte ci sia vicina: ma la
morte è vicina a ognuno, pronta a ghermirci in ogni luogo e in ogni
momento. "Quando ci sembra che si avvicini un pericolo di morte,"
diceva, "consideriamo quanto ci sono più vicini altri pericoli di
cui non abbiamo paura." 17 Un tale era minacciato di morte da un suo
nemico e invece è morto prima di indigestione. Se vorremo analizzare le
cause dei nostri timori, ne troveremo alcune reali, altre apparenti. Noi non
temiamo la morte, temiamo il pensiero della morte; dalla morte siamo sempre
ugualmente lontani. Così se va temuta, va temuta sempre: non c'è
momento della vita che ne sia privo.
18 Ma temo che lettere tanto lunghe tu finisca per odiarle
più della morte. Perciò concludo: tu, però alla morte
pensaci sempre per non temerla mai. Stammi bene.
31
1 Riconosco il mio Lucilio: comincia a mostrarsi quale aveva
promesso: tu hai calpestato i beni cari alla massa e ti sei diretto alle
più alte forme di bene: persevera in quel tuo slancio. Non desidero che
tu divenga più grande o migliore di quanto hai cercato di essere. Hai
fondamenta solide e ampie: realizza quanto hai tentato e metti in atto i tuoi
propositi.
e rendi anche te degno di un dio.
Ma non potrai farlo con l'oro o con l'argento; non si può
da questi metalli tirar fuori un'immagine simile alla divinità; pensa
che gli dèi, quando ci erano propizî, erano fatti di creta. Stammi bene.
32
1 Indago su di te e da tutti quelli che vengono da codesta regione
cerco di sapere che cosa fai, dove e con chi passi il tuo tempo. Non puoi
ingannarmi: ti sono vicino. Comportati come se io potessi sentire, anzi, vedere
quello che fai. Vuoi sapere che cosa mi è più gradito di quello
che sento su di te? Il fatto che non sento niente, che la maggior parte di
quanti interrogo non sanno che cosa fai. 2 La cosa migliore è non avere rapporti
con chi non è simile a noi e ha aspirazioni diverse. Sono, però
convinto che non sia possibile fuorviarti e che rimarrai saldo nei tuoi
propositi, anche se ti circonda una massa di gente che cerca di corromperti. E
allora? Non temo che ti cambino, temo solo che ti siano di ostacolo. Anche chi
provoca ritardi danneggia molto, soprattutto perché la vita è tanto
breve, e noi la rendiamo ancòra più breve con la nostra
incostanza, ricominciandola di continuo ora in un modo, ora in un altro: la
riduciamo in pezzi e la laceriamo. 3 Affrettati, dunque, Lucilio carissimo, e
pensa quanto andresti più veloce, se il nemico ti incalzasse alle
spalle, se temessi l'arrivo della cavalleria sulle tracce dei fuggiaschi.
Succede proprio questo: ti inseguono; affretta il passo e fuggi, mettiti al
sicuro e considera come è bello portare a compimento la vita prima che
sopraggiunga la morte e poi aspettare serenamente il tempo che rimane, non
chiedendo niente per sé, nel possesso di un'esistenza felice, che più
felice non diventa, se dura più a lungo. 4 Quando arriverà quel
giorno in cui ti renderai conto che del tempo non ti importa, in cui sarai
tranquillo e sereno, incurante del domani e ormai completamente pago di te
stesso! Vuoi sapere che cosa rende gli uomini avidi del futuro? Nessuno appartiene
a se stesso. I tuoi genitori hanno desiderato ben altro per te; io, invece,
desidero che tu disprezzi tutti quei beni che loro ti augurano in abbondanza. I
loro voti spogliano molti altri per arricchire te; tutto ciò che
vogliono darti, bisogna toglierlo a qualcuno. 5 Io ti auguro, invece, di avere
il possesso di te stesso in modo che la tua mente, travagliata da pensieri
volubili, trovi riposo e certezze, che sia soddisfatta di sé e, riconosciuti i
beni veri, che si possiedono non appena si riconoscono, non desideri una vita
più lunga. Se uno vive dopo aver portato a compimento la propria vita,
ha ormai superato tutte le necessità ed è completamente libero da
ogni vincolo. Stammi bene.
33
1 Tu vuoi che anche in queste lettere, come nelle precedenti, io
aggiunga qualche massima dei nostri maestri. Essi non si sono occupati di
sentenze: l'intero ordito delle loro opere è pieno di vigore. Sappi che
c'è disuguaglianza dove si notano concetti che spiccano sugli altri. Non
può essere oggetto di ammirazione un solo albero, quando tutto il bosco
è cresciuto alla stessa altezza. 2 Di frasi simili sono pieni anche i
poemi e le storie. Pertanto non voglio che tu ascriva ad Epicuro quelle
massime: appartengono a tutti e soprattutto a noi Stoici, ma in lui si notano
di più perché compaiono raramente, inaspettate, e poi perché queste
espressioni virili sorprendono pronunciate da un uomo che professa la mollezza.
Così crede la maggior parte della gente: secondo me Epicuro è
virile anche se indossa una veste da donna; la fortezza, l'operosità e
uno spirito battagliero si possono trovare tanto nei Persiani, quanto negli
uomini che vestono abiti succinti. 3 Non c'è, quindi, motivo che tu
chieda massime scelte e ripetute: nella nostra scuola è continuo quel
pensiero che negli altri filosofi è espresso qua e là. Non
abbiamo pertanto merce che dà nell'occhio, e non inganniamo il
compratore: chi entra troverà solo gli articoli in mostra all'esterno:
gli lasciamo scegliere un campione dove vuole. 4 Immagina che noi vogliamo selezionare
da tutto l'insieme singole massime: a chi le attribuiremo? A Zenone, a Cleante,
a Crisippo, a Panezio, a Posidonio? Non siamo sotto un monarca: ciascuno
rivendica i propri diritti. Presso gli Epicurei, invece, ciò che ha
detto Ermarco o Metrodoro, è riportato a uno solo; e il pensiero che
qualcuno ha espresso in quella scuola, è stato espresso sotto la guida e
gli auspici di uno solo. Noi non possiamo, sostengo, anche se lo tentassimo, da
una così grande quantità di concetti dello stesso valore, enuclearne
qualcuno:
È il povero che conta le sue pecore.
Dovunque volgerai lo sguardo, ti capiteranno sotto gli occhi
pensieri che potrebbero spiccare se non fossero letti in mezzo ad altri di
uguale importanza. 5 Abbandona, perciò la tua speranza di poter gustare
per sommi capi l'ingegno degli uomini più grandi: devi esaminarlo e
considerarlo nella sua totalità. Il pensiero si svolge con
continuità e l'opera dell'ingegno è concatenata nelle sue linee
fondamentali: niente può essere tolto senza che l'insieme crolli. Non
dico che non si debbano prendere in considerazione le membra una per una,
purché non si perda di vista l'individuo: non è bella la donna di cui si
lodano le gambe o le braccia, ma quella la cui bellezza nel suo insieme
distoglie dall'ammirare le singole parti. 6 Tuttavia, se lo chiederai, non mi
comporterò con te meschinamente, ma darò a piene mani; da ogni
parte c'è grande abbondanza di massime: basta prenderle, non occorre
raccoglierle. Non compaiono di tanto in tanto, ma fluiscono a profusione; sono
continue e concatenate. Servono molto, non ne dubito, alle persone
ancòra incolte la cui attenzione è solo esteriore: singoli
concetti circoscritti e racchiusi nella misura di un verso rimangono impressi
più facilmente. 7 Perciò ai fanciulli facciamo imparare a memoria
le massime e quelle che i greci chiamano chreiai perché l'intelligenza
infantile arriva a comprenderle, mentre non è ancòra in grado di
recepire concetti più complessi. Per un uomo maturo è una vergogna
cercare di cogliere fiorellini e puntellarsi con pochissime massime, le
più famose, basandosi sulla memoria: deve ormai appoggiarsi su se
stesso. Concetti del genere li esprima con parole sue e non stia a impararli a
memoria. È riprovevole per un vecchio o per uno ormai prossimo alla
vecchiaia avere una cultura antologica: "Questo l'ha detto Zenone"; e
tu, cosa dici? "Questo Cleante"; e tu? Fino a quando ti muoverai
sotto la guida di un altro? Prendi il comando e pronuncia frasi che meritino di
essere imparate a memoria, tira fuori anche qualcosa di tuo. 8 Tutti costoro,
mai autori, sempre interpreti, nascosti all'ombra degli altri, non nutrono,
secondo me, sentimenti magnanimi e non hanno mai osato fare una buona volta
quello che per tanto tempo hanno imparato. Hanno esercitato la memoria su
concetti di altri; ma una cosa è ricordare, un'altra sapere. Ricordare
è conservare i concetti affidati alla memoria; sapere, invece, è
far propri i concetti senza dipendere dai modelli e senza guardare sempre al
maestro. 9 "Questo l'ha detto Zenone, questo Cleante." Deve esserci
una differenza fra te e il libro. Fino a quando imparerai? Ormai è tempo
anche di insegnare. Perché dovrei stare a sentire una cosa che posso leggere?
"A viva voce le idee risultano molto più efficaci", ribatti.
Non se si prendono a prestito da altri le parole e si funge da segretari. 10
Inoltre costoro, che non si rendono mai autonomi, seguono le teorie dei
filosofi precedenti anche per questioni sulle quali tutti gli altri si sono
dissociati e poi per quelle su cui ancòra si discute. Non scopriremo mai
niente, se ci accontentiamo delle scoperte già fatte. Inoltre, se uno
segue le orme di un altro, non trova niente, anzi neppure cerca. 11 E allora?
Non dovrò seguire le orme di chi mi ha preceduto? Certo posso percorrere
la vecchia strada, ma se ne troverò una più corta e più
piana, cercherò di aprirla. Quegli uomini che hanno suscitato questi
problemi prima di noi non sono i nostri padroni, ma le nostre guide. La
verità è aperta a tutti; nessuno se n'è ancòra
impossessato; gran parte di essa è stata lasciata anche ai posteri.
Stammi bene.
34
35
1 Quando ti chiedo con tanta insistenza di dedicarti allo studio,
lo faccio nel mio interesse. Voglio avere un amico, ma questa fortuna non mi
può toccare, se tu non continui, come hai cominciato, a perfezionare te
stesso. Ora mi ami, ma non sei un amico. "Come? Sono due cose diverse?"
Certamente, anzi dissimili. Chi è amico ama, ma chi ama non sempre
è un amico; e pertanto l'amicizia giova sempre, l'amore, invece,
può a volte anche nuocere. Cerca di fare progressi se non altro almeno
per imparare ad amare veramente. 2 Sbrigati, dunque, in modo che i tuoi
progressi giovino a me e tu non debba imparare per un altro. Io ne raccolgo
già i frutti, quando mi immagino che noi saremo un'anima sola e il
vigore che se n'è andato con l'età mi verrà dai tuoi anni,
sebbene non ci sia tra noi molta differenza; ma voglio essere soddisfatto anche
di come stanno le cose ora. 3 Dalle persone che amiamo, se pure sono lontane,
ci viene una gioia, lieve però e caduca: la vista, la presenza, i
rapporti diretti danno un vivo piacere, soprattutto se abbiamo davanti, non
solo la persona che vogliamo, ma come la vogliamo. Vieni, dunque, da me, mi
farai un grande regalo e, per essere più pronto, pensa che tu sei
mortale e io vecchio. 4 Affréttati verso di me, ma prima ancora verso di te.
Cerca di migliorare e innanzi tutto preoccupati di essere coerente con te
stesso. Ogni volta che vuoi constatare se hai fatto qualche progresso,
considera se oggi vuoi le stesse cose di ieri: un cambiamento di volontà
indica che l'animo ondeggia e compare ora da una parte ora dall'altra, come lo
porta il vento. Se una cosa è salda e ha buone fondamenta, non va qua e
là, e questa è una caratteristica del perfetto saggio e, in certa
misura, anche di chi avanza e fa progressi. Dunque, che differenza c'è
fra i due? Quest'ultimo, è scosso, tuttavia non si muove, ma vacilla
sulla sua posizione. Il saggio non è neppure scosso. Stammi bene.
36
1 Esorta il tuo amico a disprezzare orgogliosamente quelli che lo criticano
perché ha scelto una vita umbratile e ritirata, perché ha lasciato la sua
brillante posizione e, pur potendo arrivare più in alto, ha anteposto a
tutto la tranquillità; mostri loro ogni giorno come abbia fatto
utilmente il proprio interesse. Gli uomini oggetto di invidia sono destinati a
scomparire: alcuni verranno eliminati, altri cadranno. La prosperità
è inquieta; si tormenta da sé. Essa sconvolge la mente in svariati modi:
eccita gli uomini a passioni diverse: gli uni alla sete di potere, gli altri
alla lussuria; rende tronfi i primi, snerva e svigorisce completamente i
secondi. 2 "Ma qualcuno la regge bene." Sì, come il vino.
Perciò non farti convincere da costoro che è felice chi è
assediato da molte persone: corrono da lui come a una sorgente d'acqua che
esauriscono e intorbidano. "Lo chiamano buono a nulla e inetto." Sai
che certe persone parlano a rovescio e dànno alle parole il significato
opposto. Lo definivano felice: e allora? Lo era veramente? 3 E non mi preoccupo
neppure del fatto che secondo alcuni è troppo duro e severo. Aristone
diceva di preferire un giovane austero a uno allegro e gradito alla folla;
diventa un buon vino quello che, nuovo, sembrava acerbo e aspro; mentre il vino
gradevole già nella botte non regge all'invecchiamento. Lascia che lo
definiscano triste e nemico dei propri successi: quando sarà vecchio la
sua stessa tristezza si rivelerà positiva, purché perseveri nel
coltivare la virtù e si imbeva di studi liberali, non quelli con cui
è sufficiente bagnarsi, ma questi in cui bisogna immergere lo spirito. 4
Il tempo di imparare è questo. "Come? C'è un tempo in cui
non bisogna imparare?" No; ma, mentre è giusto studiare a qualsiasi
età, non lo è andare sempre a scuola. È vergognoso e
ridicolo che un vecchio sia ancòra alle nozioni elementari: il giovane
deve prepararsi, il vecchio deve mettere a profitto. Farai, quindi, una cosa a
te molto utile se renderai il tuo amico il migliore possibile; i benefici che
si devono chiedere ed elargire, dicono, appartenenti senza dubbio alla
categoria più alta, sono quelli che è utile sia fare che
ricevere. 5 Infine, costui non è più libero: ha dato la sua
parola; ed è meno disonesto fallire ai danni di un creditore, che
deludere una buona speranza. Il commerciante ha bisogno di una navigazione
propizia per saldare i suoi debiti, l'agricoltore della fertilità del
terreno che coltiva e di un clima favorevole: il tuo amico, invece, può
pagare con la sola volontà il suo debito: la fortuna non vanta nessun
diritto nella sfera morale. 6 Regoli la sua condotta in modo che il suo spirito
giunga alla perfezione in tutta tranquillità, senza fare caso a
ciò che gli viene tolto o aggiunto, mantenendo, però sempre lo
stesso atteggiamento comunque vadano le cose: se gli aumenteranno i beni
graditi alla massa, se ne sentirà al di sopra; se la sorte gliene
toglierà una parte o tutti, non si sentirà sminuito.
7 Se fosse nato tra i Parti, già da fanciullo imparerebbe a
tendere l'arco; se fosse nato in Germania, fin da piccolo scaglierebbe l'asta
flessibile; se fosse vissuto ai tempi dei nostri avi, avrebbe imparato a
cavalcare e a colpire il nemico combattendo corpo a corpo. È il modo di
vivere della propria gente a consigliare e a imporre ai singoli queste
attività. 8 Su che cosa, dunque, deve riflettere il tuo amico? Su quello
che serve contro ogni arma, contro ogni genere di nemici: il disprezzo della
morte; essa ha in sé qualcosa di terribile, che affligge il nostro spirito per
natura amante di se stesso: nessuno lo mette in dubbio; non sarebbe necessario
prepararsi ed esercitarsi a un evento verso il quale andassimo per impulso
volontario, così come tutti sono portati alla propria conservazione. 9
Nessuno impara a starsene tranquillamente, se necessario, sopra un letto di
rose, ma cerca di abituarsi a non cedere ai tormenti, a vegliare a difesa delle
fortificazioni, in caso di bisogno, stando in piedi, talvolta anche ferito, e a
non appoggiarsi al giavellotto, perché spesso il sonno sorprende chi si
appoggia a un sostegno. La morte non provoca nessun danno; altrimenti dovrebbe
esserci qualcosa che subisce questo danno. 10 Se desideri tanto una vita
più lunga, pensa che nessuno degli esseri che spariscono al nostro
sguardo e si nascondono in seno alla natura, da dove sono usciti e presto
usciranno di nuovo, si consuma: ogni cosa finisce, ma non si annienta; la morte
che tanto temiamo e rifiutiamo, interrompe la vita, non la elimina;
verrà di nuovo il giorno che ci riporterà alla luce, ma molti lo
rifiuterebbero se non tornassero ormai dimentichi del passato.
12 Concludo, ma voglio aggiungere ancora una cosa: gli infanti, i
fanciulli, i pazzi non temono la morte; e allora è proprio vergognoso
che la ragione non sia in grado di darci quella serenità interiore a cui
porta l'assenza di raziocinio. Stammi bene.
37
1 Hai promesso di essere un uomo virtuoso, ti sei impegnato con un
giuramento: e questo è il vincolo più grande per arrivare alla
saggezza. Se uno ti dicesse che è un'impresa facile e agevole, ti
schernirebbe. Non voglio che tu sia ingannato. Le parole di questo giuramento,
che è il più onorevole, e di quello dei gladiatori, che è
il più disonorevole, sono identiche: "Sopportare il fuoco, le
catene e la morte di spada." 2 Dai gladiatori che prestano le loro mani
all'arena e mangiano e bevono quanto dovranno restituire col sangue, si esige
che sopportino questi tormenti anche controvoglia: da te, che tu lo faccia volontariamente
e di buon grado. A loro è concesso abbassare le armi e invocare la
pietà del popolo: tu non potrai arrenderti, e neppure chiedere grazia
della vita; devi morire in piedi e invitto. A che serve, poi, guadagnare pochi
giorni o pochi anni? Siamo nati per combattere a oltranza. 3 "E come me la
caverò?" chiedi. Non puoi sfuggire al destino, puoi solo vincerlo.
Ci si apre la strada con la forza,
e questa strada te la indicherà la filosofia. Volgiti a
essa, se vuoi essere salvo, sereno, felice, e infine, se vuoi essere, e questo
è il massimo, libero; non si può diventarlo in altro modo. 4 La
stoltezza è cosa meschina, ignobile, sordida, da schiavi, soggetta a
molte, violentissime passioni. La saggezza, l'unica vera libertà, allontana
da te dei padroni tanto gravosi, che comandano un po' alternativamente, un po'
tutti insieme. E alla saggezza porta un'unica via e diritta; non puoi
sbagliare; avanza con passo sicuro. Se vuoi sottomettere a te ogni cosa,
sottomettiti alla ragione; farai da guida a molti se la ragione farà da
guida a te. Da essa imparerai che cosa devi intraprendere e in che modo; non ti
imbatterai inaspettatamente negli eventi. 5 Tu non puoi citarmi nessuno che
sappia come ha cominciato a volere le cose che vuole: non vi è giunto di
proposito, vi è capitato seguendo un impulso. La fortuna ci viene
incontro tanto spesso quanto noi andiamo incontro a lei. È vergognoso
non avanzare, ma essere trascinati e, trovandosi improvvisamente in mezzo alla
tempesta degli eventi, chiedersi stupiti: "Come sono arrivato a questo
punto?" Stammi bene.
38
1 È giusta la tua richiesta di intensificare questo nostro
carteggio. Una conversazione alla buona giova moltissimo, poiché si insinua
nell'anima a poco a poco: le dissertazioni preparate ed esposte alla presenza
del pubblico hanno più risonanza, ma sono meno familiari. La filosofia
è un buon consiglio: e nessuno dà consigli ad alta voce. A volte
bisogna ricorrere anche a quelle così dette "concioni", quando
bisogna stimolare una persona incerta; quando, però lo scopo non
è di ottenere che voglia imparare, ma che impari, bisogna ricorrere a
queste parole più sommesse. Penetrano e rimangono impresse con maggiore
facilità; e non ne occorrono molte, purché siano efficaci. 2 Bisogna
spargerle come un seme, che, per quanto minuscolo, se cade nel terreno adatto,
sprigiona le sue forze e da piccolissimo si dilata fino a raggiungere il
massimo sviluppo. Lo stesso fa la ragione: se osservi, non appare grande:
cresce nell'agire. Sono poche le cose che si dicono, ma se l'animo le accoglie
bene, acquistano vigore e si sviluppano. I precetti, a mio parere, sono come i
semi: danno grossi risultati, eppure sono piccola cosa. Come ho detto,
però occorre che li afferri e li assorba una mente adatta; essa a sua
volta produrrà molti frutti e darà più di quanto ha
ricevuto. Stammi bene.
39
1 Ti preparerò senz'altro gli appunti che mi chiedi,
ordinati con cura e brevi; bada, però, che il sistema abituale non sia
più utile di questo che ora comunemente si chiama breviarium e che un
tempo, quando parlavamo un buon latino, si chiamava summarium. Il primo metodo
serve di più a chi impara, il secondo a chi già sa; l'uno
insegna, l'altro richiama alla memoria. Ma di entrambi te ne farò avere
in abbondanza. Tu non devi chiedermi questo o quell'autore: solo chi è
sconosciuto presenta un garante. 2 Ti scriverò ciò che vuoi, ma a
modo mio; intanto hai a disposizione molti scrittori; non so, però se le
loro opere sono abbastanza ordinate. Prendi in mano l'elenco dei filosofi:
già questo ti costringerà a scuoterti, vedendo quanti hanno
faticato per te. Desidererai essere anche tu uno di loro; la qualità
migliore di un animo generoso è l'istinto al bene. Nessun uomo di
spirito elevato si compiace di cose abiette e sordide: lo attira e lo esalta la
bellezza delle cose grandi. 3 La fiamma si leva diritta, non può stare
distesa o abbassarsi, come non può rimanere ferma; così il nostro
spirito è sempre in movimento, ed è più mobile e attivo
quanto maggiore sarà il suo impeto. Ma beato l'uomo che ha rivolto questo
slancio al meglio: si sottrarrà al dominio e al potere della sorte;
sarà moderato nella prosperità, attenuerà le sventure e
disdegnerà quanto gli altri ammirano. 4 Un animo grande disprezza la
grandezza e preferisce la moderazione agli eccessi; quella è utile e
vitale, questi, invece, nuocciono, proprio perché sono superflui. Un'eccessiva
fertilità danneggia le messi; i rami si spezzano per il peso; una
soverchia fecondità non arriva alla maturazione. Così capita
anche allo spirito: una prosperità smodata lo fiacca e diventa dannosa
non soltanto per gli altri, ma anche per lui stesso. 5 Nessuno è stato
oltraggiato tanto da un nemico quanto certi uomini dai propri piaceri. La loro
sfrenatezza e la loro insana libidine può essere perdonabile solo perché
quello che hanno fatto ricade su di loro. E questa follia li tortura a ragione;
i desideri che superano i confini naturali sfociano inevitabilmente nella
dismisura: la natura ha un suo limite, mentre i desideri vani e scaturiti dalla
libidine non ne hanno.
40
1 Tu mi scrivi spesso e io ti ringrazio: ti mostri a me nell'unico
modo possibile. Ogni volta che ricevo una tua lettera, siamo subito insieme. Se
i ritratti dei nostri amici assenti ci sono graditi, perché rinnovano il
ricordo e alleviano la nostalgia con un falso ed effimero conforto, tanto
più ci è gradita una lettera, che porta le vere tracce, i veri
segni dell'amico assente. La sensazione più dolce che si prova alla
presenza di un amico, il riconoscerlo, ce la dà l'impronta della sua
mano nella lettera.
2 Scrivi di aver ascoltato il filosofo Serapione, quando è
approdato lì, in Sicilia: "Parla molto velocemente e perciò
storpia sempre le parole e non lascia che si diffondano [...], ma le constringe
tutte insieme accavallandole: gli arrivano alle labbra più numerose di
quanto si possano pronunciare con un'unica emissione di voce." Questo non
lo approvo in un filosofo: il suo modo di parlare deve essere composto, come la
sua vita; non può esserci ordine, se c'è precipitazione e foga.
Perciò l'eloquenza concitata, che fluisce senza interruzione come la
neve, Omero l'attribuisce all'oratore giovane; ma nel vecchio le parole
scorrono lievi e più dolci del miele. 3 Credimi, la forza di questo
eloquio rapido e straripante è più adatta a un ciarlatano, non a
un filosofo che tratta e insegna una materia seria e importante. Secondo me,
non deve stillare le parole, e nemmeno correre; non deve costringere il
pubblico a tendere le orecchie, né frastornarlo. Anche l'eloquenza povera e
scarna rende gli ascoltatori meno attenti: la lentezza e le frequenti
interruzioni annoiano; tuttavia, un discorso che si fa attendere rimane
più facilmente impresso di uno che scorre via veloce. Si dice, infine,
che i filosofi trasmettono ai discepoli i loro insegnamenti: ma non si
può trasmettere una cosa che fugge via.
9 Farai bene a non dare retta a questi conferenzieri che si
preoccupano di quanto e non di come parlano; tu stesso, se è necessario,
è meglio che parli come P. Vinicio. "Come, dunque?" Una volta
che si discuteva su come costui parlasse, Asellio disse:
"Lentamente", e Gemino Vario replicò: "Non so come
possiate definirlo eloquente: non è capace a mettere insieme tre
parole." E perché non dovresti preferire di parlare come lui? 10 Certo,
potrebbe intervenire uno tanto sciocco come quel tizio che, mentre Vinicio
spiccava le parole a una a una, quasi dettasse più che fare un discorso,
gli gridò: "Parla, parli dunque?" A mio parere un uomo
assennato deve tenersi lontano dalla celerità di Q. Aterio, oratore
famosissimo ai suoi tempi: non aveva mai un'esitazione, non faceva mai una
pausa; quando cominciava, arrivava fino in fondo.
11 Tuttavia, penso, che certe caratteristiche si adattino
più o meno alle singole popolazioni. Tra i greci questa libertà
è tollerabile: noi, invece, siamo abituati a fare delle pause anche
quando scriviamo. Pure il nostro Cicerone, da cui scaturì l'eloquenza romana,
aveva un'andatura posata. Da noi l'oratoria procede guardandosi più
attorno, fa delle valutazioni e si presta ad essere valutata. 12 Fabiano, uomo
straordinario sia per la sua vita, che per la sua cultura e, qualità a
queste secondaria, anche per la sua eloquenza, si esprimeva speditamente, ma
non in maniera concitata; la sua poteva essere definita facilità di
parola, non rapidità. Nel saggio la ammetto, ma non la giudico
fondamentale; purché le sue frasi vengano fuori senza impedimenti, è
meglio tuttavia che siano emesse, piuttosto che sgorghino con profusione. 13 Da
questo difetto cerco di tenerti lontano tanto più perché può
sopravvenire solo se perderai il tuo pudore: devi deporre ogni vergogna e non
ascoltare più te stesso; quella rapidità incontrollata, infatti,
porta con sé molti difetti da censurare. 14 Non può ripeto,
sopravvenire, se il tuo pudore lo mantieni intatto. È necessario,
inoltre, un esercizio giornaliero e bisogna trasferire l'attenzione dai fatti
alle parole. Ma anche se queste si presenteranno da sé e potranno fluire senza
nessuna fatica da parte tua, bisogna, tuttavia, moderarle; come al saggio si
addice un incedere contegnoso, così gli si addice un eloquio cauto, non
avventato. In conclusione: parla lentamente. Stammi bene.
41
1 Fai proprio una cosa buona e a te salutare se, come scrivi,
continui ad avanzare verso la saggezza: è insensato chiederla a dio,
visto che puoi ottenerla da te. Non occorre alzare le mani al cielo o
scongiurare il sacrestano che ci lasci avvicinare alle orecchie della statua,
quasi potessimo trovare più ascolto: dio è vicino a te, è
con te, è dentro di te. 2 Secondo me, Lucilio, c'è in noi uno
spirito sacro, che osserva e sorveglia le nostre azioni, buone e cattive; a
seconda di come noi lo trattiamo, lui stesso ci tratta. Nessun uomo è
virtuoso senza dio: oppure qualcuno può ergersi al di sopra della sorte
senza il suo aiuto? Egli ci ispira principi nobili ed elevati. In ogni uomo
virtuoso
abita un dio (quale non si sa).
3 Se ti troverai davanti a un bosco folto di alberi secolari, di
altezza insolita, dove la densità dei rami, che si coprono l'un l'altro,
impedisce la vista del cielo, l'altezza di quella selva, la solitudine del
luogo e lo stupore che desta un'ombra tanto densa e ininterrotta in uno spazio
aperto, ti persuaderà che lì c'è un dio. Se una grotta,
creata non dalla mano dell'uomo, ma scavata in tanta ampiezza da fenomeni
naturali, sostiene su rocce profondamente corrose un monte, un sentimento di
religioso timore colpirà il tuo animo. Noi veneriamo le sorgenti dei
grandi fiumi; vengono innalzati altari là dove d'improvviso scaturisce
dal sottosuolo una copiosa corrente; onoriamo le fonti di acque termali, e il
colore opaco o la smisurata profondità hanno reso sacri certi laghi. 4
Se vedrai un uomo impavido di fronte ai pericoli, libero da passioni, felice
nelle avversità, tranquillo in mezzo alle tempeste, che guarda gli altri
uomini dall'alto e gli dèi alla pari, non ti pervaderà un senso
di rispetto per lui? Non dirai: "C'è un qualcosa di troppo grande
ed eccelso perché possa ritenersi simile al povero corpo in cui si trova"?
5 Una forza divina è discesa in lui; una potenza celeste stimola questo
spirito straordinario, moderato, che passa oltre ogni cosa considerandola di
poco conto, che se la ride dei nostri timori e desideri. Non può un
essere così grande restare saldo senza l'aiuto divino; perciò la
parte maggiore di lui è là da dove è disceso. Come i raggi
del sole raggiungono la terra, ma non si staccano dal loro punto di partenza,
così l'anima grande e santa, mandata quaggiù per farci conoscere
meglio il divino, sta insieme a noi, ma rimane unita alla sua origine; dipende
da essa, a essa guarda e aspira e sta in mezzo a noi come un essere superiore.
6 Qual è, dunque, quest'anima? È l'anima che brilla solo del suo
bene. Cosa c'è, infatti, di più insensato che lodare in un uomo
beni che non gli appartengono? Chi è più pazzo di uno che
apprezza beni che possono sempre passare a un altro? Le briglie d'oro non rendono
migliore un cavallo. Un leone dalla criniera dorata, ammansito e costretto,
ormai stanco, a sopportare le bardature, si slancia in maniera diversa dal
leone selvaggio, nel suo pieno vigore: naturalmente quest'ultimo, violento
nella sua furia, quale lo volle la natura, splendido per l'aspetto feroce, la
cui bellezza consiste nell'essere guardato con terrore, è preferito a
quello fiacco e coperto d'oro. 7 Ognuno si deve gloriare solo di quello che gli
appartiene. Lodiamo una vite se i tralci sono carichi di frutti, se la pianta
sotto il loro peso abbatte i sostegni: forse qualcuno potrebbe preferire una
vite cui fossero appesi grappoli e foglie d'oro? La virtù propria della
vite è la fertilità; anche nell'uomo bisogna lodare quello che
gli è proprio. Ha begli schiavi, una magnifica casa, vasti terreni
seminati, cospicui redditi da usura; nessuno di questi beni è in lui, ma
intorno a lui. 8 Nell'uomo devi lodare quello che non può essergli tolto
o essergli dato, quello che gli è proprio. Chiedi cos'è? L'anima
e nell'anima una ragione perfetta. L'uomo è un animale dotato di
ragione: il suo bene lo attua appieno, se adempie al fine per cui è
nato. Che cosa esige da lui questa ragione? Una cosa facilissima: che viva
secondo la natura che gli è propria. Ma la follia comune la rende una
cosa difficile: ci trasciniamo l'un l'altro nei vizi. E come si può
ricondurre alla salvezza gente che nessuno trattiene e che è spinta
dalla massa? Stammi bene.
42
1 Costui è già riuscito a convincerti di essere un uomo
virtuoso? Ma non si può diventare, e nemmeno si può riconoscere
tanto presto un uomo virtuoso. E sai che uomo virtuoso intendo ora? Quello di
seconda qualità; l'altro perfetto, infatti, nasce forse, come la Fenice,
una volta ogni cinquecento anni. E non c'è da stupirsi che le grandi
cose siano generate a distanza di anni: la sorte produce spesso
mediocrità destinate alla massa, ma alle cose straordinarie dà
pregio il fatto stesso di essere rare. 2 Costui è ancora molto lontano
dal punto in cui si dichiara di essere arrivato; e se sapesse veramente che
cosa è un uomo virtuoso, non si riterrebbe ancora tale, e forse
dispererebbe anche di poterlo diventare. "Ma egli giudica male i
malvagi." Questo lo fanno i malvagi stessi: la punizione più grande
per l'uomo perverso consiste nel dispiacere a sé e ai suoi. 3 "Ma detesta
le persone che abusano di un'improvvisa e grande potenza." Quando
avrà lo stesso potere, agirà nello stesso modo. I vizi di molta
gente rimangono nascosti perché sono deboli; quando avranno forze sufficienti,
la loro audacia sarà pari a quella dei vizi che la prosperità ha
reso già manifesti. A gente del genere mancano i mezzi per mettere in
pratica la loro perversità. 4 Così un serpente, anche se è
velenoso, lo si può toccare senza rischi, mentre è insensibile
per il freddo: non gli manca il veleno, ma è intorpidito. A molti uomini
crudeli, ambiziosi, sfrenati, manca il favore della sorte perché osino
comportarsi come gli individui più infami. Hanno i medesimi intenti: da'
loro la possibilità di fare quanto vogliono e te ne renderai conto. 5
Ricordi? Quando affermavi che quel tale era in tuo potere, io ti dissi che era
volubile, incostante e che tu non lo tenevi per un piede, ma per un'ala. Mi
sono sbagliato: lo tenevi per una piuma, te l'ha lasciata in mano ed è
fuggito. Sai che brutti scherzi ti ha giocato dopo e quante cattiverie ha
tentato, che dovevano poi ricadere su di lui. Non si accorgeva che,
danneggiando gli altri, correva verso la propria rovina; non pensava quanto
fosse gravoso quello cui aspirava, anche se avesse dato dei frutti.
6 Perciò nelle mete che ci prefiggiamo e a cui tendiamo con
grande sforzo, dobbiamo osservare che non c'è nessun vantaggio o che gli
svantaggi sono superiori; alcune sono superflue, altre non meritano tanto
impegno. Ma di questo non ci accorgiamo e ci sembrano gratuite cose che,
invece, paghiamo a carissimo prezzo. 7 La nostra insensatezza è
evidente: secondo noi compriamo unicamente ciò per cui sborsiamo del
denaro, e definiamo gratuito quello per cui paghiamo di persona. Cose che non
vorremmo acquistare se per averle dovessimo dar in cambio la nostra casa o un
podere ridente e fertile, siamo prontissimi a procurarcele a prezzo di
preoccupazioni, di rischi, di disonore, perdendo libertà e tempo: a tal
punto ciascuno di noi non tiene niente in minor conto di se stesso. 8
Perciò al momento di decidere in ogni circostanza dobbiamo comportarci
come quando andiamo da un mercante: chiediamo il prezzo della merce che ci
interessa. Spesso una cosa per la quale non si sborsa niente ha un prezzo
altissimo. Te ne potrei indicare molte che, una volta acquisite e accettate, ci
hanno tolto la libertà; saremmo ancora padroni di noi stessi, se non
fossero diventate nostre. 9 Fa', dunque, queste considerazioni, non solo quando
è in ballo un guadagno, ma anche una perdita. "Questo andrà
perduto." In realtà è un bene venuto dall'esterno, senza di
esso vivrai bene come hai vissuto fin'ora. Se ne hai goduto a lungo, lo perdi
dopo essertene saziato; se no, lo perdi prima di averci fatto l'abitudine.
"Avrai meno denaro", e senz'altro anche meno fastidi. "Meno
prestigio", e anche minore invidia. 10 Guarda quei beni che ci portano
alla pazzia e sulla cui perdita versiamo un mare di lacrime: ti renderai conto
che non è gravosa la loro perdita, ma il ritenerla tale. Per la loro
mancanza non si soffre, si crede di soffrire. Chi è padrone di sé non
perde niente: ma a quanti capita di essere padroni di sé? Stammi bene.
43
1 Chiedi come mi sia arrivata questa notizia, chi mi abbia
raccontato i tuoi pensieri, che tu non avevi confidato a nessuno? Lo ha fatto
chi sa tutto, la voce pubblica. "Come? sono così importante da
suscitare le chiacchiere della gente?" Non devi misurarti in base a Roma,
ma al luogo in cui risiedi. 2 Tutto quello che si distingue da quanto lo
circonda, è grande in quell'ambito; la grandezza non ha una misura
determinata: il confronto la innalza o la diminuisce. Un'imbarcazione che sul
fiume sembra grande, diventa piccola in mare; un timone, grande per una nave, è
piccolo per un'altra. 3 Ora tu in provincia, anche se ti sminuisci, sei grande.
La gente vuol sapere, e sa, che cosa fai, come pranzi, come dormi: devi
perciò vivere con più cautela. Ritieniti felice solo quando
potrai vivere in pubblico, quando le pareti serviranno a ripararti, non a
nasconderti; di solito, invece, pensiamo di averle intorno non per una nostra
maggiore sicurezza, ma per nascondere meglio i nostri peccati. 4 Ti dirò
una cosa dalla quale potrai giudicare la nostra moralità: non ti sarà
facile trovare uno in grado di vivere con la porta aperta. I guardiani di
fronte alle porte di casa non ce li ha fatti mettere la superbia, ma la nostra
cattiva coscienza: viviamo in modo tale che essere visti all'improvviso
significa essere colti in fallo. Ma a che serve nascondersi ed evitare gli
occhi e le orecchie del prossimo? 5 La buona coscienza chiama a sé la gente,
quella cattiva è ansiosa e preoccupata anche in solitudine. Se le tue
azioni sono oneste, le sappiano tutti; se vergognose, che importa che nessuno le
conosca, se tu le conosci? Povero te, se non tieni conto di questo testimone!
Stammi bene.
44
1 Di nuovo ti fai piccolo ai miei occhi e dici che la natura prima
e la sorte poi si sono comportate piuttosto male con te, e invece, potresti
tirarti fuori dalla massa e innalzarti alla più grande felicità
umana. La filosofia ha, tra l'altro, questo di buono: non guarda all'albero
genealogico: tutti, se si rifanno alla loro prima origine, discendono dagli
dèi. 2 Tu sei un cavaliere romano e a questo ceto ti ha condotto la tua
laboriosità; sono molti a non avere diritto alle prime quattordici file
e il senato non accoglie tutti; anche nell'àmbito militare gli uomini
destinati a imprese faticose e piene di pericoli si scelgono dopo un severo
esame: la saggezza, invece, è accessibile a tutti, tutti siamo
sufficientemente nobili per raggiungerla. La filosofia non respinge, non
sceglie nessuno: splende per tutti. 3 Socrate non era patrizio; Cleante
attingeva l'acqua e irrigava lui stesso il giardino; la filosofia non ha
accolto Platone già nobile, ma lo ha reso tale: perché disperi di poter
diventare pari a loro? Sono tutti tuoi antenati, se ne sarai degno; e lo sarai,
se ti convincerai sùbito che nessuno è più nobile di te. 4
Tutti noi abbiamo un ugual numero di avi; la nostra origine va oltre la memoria
umana. Platone sostiene che non c'è re che non discenda da schiavi e
schiavo che non discenda da re. Vicende alterne nel corso dei secoli hanno
sconvolto tutte queste categorie e la fortuna le ha sovvertite. 5 Chi è nobile?
Chi dalla natura è stato ben disposto alla virtù. Bisogna
guardare solo a questo: altrimenti, se ci rifacciamo ai tempi antichi, tutti
provengono da un punto prima del quale non c'è niente. Una serie alterna
di splendori e miserie ci ha condotto dalla prima origine del mondo fino ai
nostri tempi. Non ci rende nobili un ingresso pieno di ritratti anneriti dal
tempo; nessuno è vissuto per nostra gloria e non ci appartiene quello
che è stato prima di noi: ci rende nobili l'anima, che da qualunque
condizione può ergersi al di sopra della fortuna. 6 Immagina, dunque, di
essere non un cavaliere romano, ma un liberto: puoi ottenere di essere il solo
uomo libero tra uomini nati liberi. "Come?" mi chiedi. Se
distinguerai il male e il bene senza seguire il parere della massa. Bisogna
considerare non l'origine, ma il fine delle cose. Se ce n'è qualcuna che
può rendere felice la vita, è un bene di per sé; non può
infatti, degenerare in un male. 7 Qual è, allora, lo sbaglio che si fa,
visto che tutti desiderano la felicità? Gli uomini la confondono con i
mezzi per raggiungerla e mentre la ricercano, ne fuggono lontano. Il culmine di
una vita felice è una sicura tranquillità e una inalterata
fiducia in essa, e invece tutti raccolgono motivi di inquietudine e portano,
anzi trascinano, il loro carico attraverso l'insidioso cammino della vita;
così si allontanano sempre di più dallo scopo al quale tendono e,
più si danno da fare, più si creano impedimenti e retrocedono. Lo
stesso accade a chi cerca di avanzare in fretta in un labirinto: la
velocità stessa lo ostacola. Stammi bene.
45
1 Ti lamenti che lì a Siracusa ci siano pochi libri. Non
importa il loro numero, ma il loro valore: una lettura ben determinata è
utile, quella condotta su svariate opere può solo divertire. Se uno
vuole arrivare a destinazione, deve seguire una sola strada, non vagare qua e
là: questo non è avanzare, ma andare errando. 2
"Vorrei,", dici, "che tu mi dessi più libri che
consigli." Io sono pronto a mandarti tutti i volumi che ho e a vuotare la
biblioteca; anzi, se potessi, mi trasferirei anch'io lì da te e, se non
sperassi che otterrai presto di lasciare il tuo incarico, avrei già
organizzato questa spedizione senile, e non mi avrebbero potuto spaventare
Scilla e Cariddi e codesto mitico mare. Lo avrei attraversato addirittura a
nuoto, pur di poterti abbracciare e constatare di persona i tuoi progressi
spirituali.
3 Certo non mi giudico più facondo, perché mi chiedi di
mandarti i miei libri, di quanto non mi considererei bello se tu mi chiedessi
il mio ritratto. So che questa richiesta è dettata da benevolenza, non
da un giudizio ponderato; e se pure nasce da un giudizio, te lo ha imposto la
tua indulgenza. 4 Ma quali che siano, tu leggili tenendo presente che
ancòra cerco la verità: non la posseggo e la cerco ostinatamente.
Non mi sono fatto servo di nessuno, non porto il nome di nessuno; ho stima
dell'opinione di molti grandi uomini, ma rivendico qualche diritto anche al mio
pensiero. Loro stessi ci hanno lasciato verità non ancora scoperte, da
ricercare, e avrebbero trovato forse le spiegazioni necessarie, se non avessero
ricercato anche quelle superflue. 5 Hanno sottratto loro molto tempo le
conversazioni cavillose e le dispute capziose, vano esercizio di acutezza.
Intrecciamo nodi e leghiamo alle parole significati ambigui e poi li
sciogliamo: abbiamo proprio tanto tempo? Sappiamo ormai vivere, sappiamo
morire? Dobbiamo cercare con tutta la nostra intelligenza di non farci
ingannare non tanto dalle parole, quanto dalle cose. 6 Perché fare distinzione
tra parole simili, da cui nessuno è tratto in inganno, se non in una
disputa? È la realtà che ci inganna; qui servono le distinzioni.
Noi abbracciamo il male credendolo il bene; formuliamo desideri contrari a
quelli precedenti; le nostre preghiere, le nostre decisioni sono in contrasto
tra loro. 7 Quanto è simile l'adulazione all'amicizia! Non solo la
imita, ma la vince e la supera; trova orecchie ben disposte e pronte a
recepirla, e scende nel più profondo dell'anima, resa gradita proprio da
ciò che reca danno: insegnami come posso distinguerle nonostante la loro
somiglianza. Mi si presenta un nemico pieno di lusinghe spacciandosi per amico;
si insinuano in noi i vizi sotto l'apparenza di virtù: la
temerità si nasconde sotto le spoglie del valore, l'ignavia si chiama
moderazione, il vile viene considerato prudente. Questi errori di giudizio
rappresentano per noi un grave pericolo: su queste false apparenze imprimi un
marchio sicuro. 8 D'altra parte, se uno si sente chiedere se ha le corna, non è
tanto sciocco da toccarsi la fronte, e nemmeno è tanto stupido o ottuso
da non saperlo, a meno che tu non lo abbia convinto con qualche sottile
argomentazione. Così questi giochetti non sono dannosi, come i
bussolotti e le pietruzze dei prestigiatori che divertono proprio per i loro
trucchi. Svelami il meccanismo e il divertimento è finito. Lo stesso
dico di questi cavilli (e come potrei chiamarli invece che sofismi?): non nuoce
ignorarli, non serve conoscerli.
9 Se vuoi sciogliere del tutto l'ambiguità delle parole,
insegnaci che non è felice l'uomo definito tale dalla massa, e che
dispone di molto denaro, ma quello che possiede ogni suo bene nell'intimo e si
erge fiero e nobile calpestando ciò che desta l'ammirazione degli altri;
che non trova nessuno con cui vorrebbe cambiarsi; che stima un uomo per quella
sola parte per cui è uomo; che si avvale del magistero della natura, si
uniforma alle sue leggi e vive secondo le sue regole; l'uomo al quale nessuna
forza può strappare i propri beni, che volge il male in bene, sicuro nei
giudizi, costante, intrepido; che una qualche forza può scuotere,
nessuna può turbare; che la sorte, quando gli scaglia contro la sua arma
più micidiale con la massima violenza, riesce a pungere, e raramente, ma
non a ferire; le altre armi, con cui la fortuna prostra il genere umano,
rimbalzano come la grandine, che battendo sui tetti senza causare danni agli
inquilini, crepita e si scioglie. 10 Ma perché mi trattieni su un tema che tu
stesso definisci capzioso, e che è argomento di tanti libri? Ecco, per
me tutta la vita è un inganno: mostrane le menzogne, riconducila alla
verità, se hai acume. Essa giudica necessari beni per la maggior parte
superflui; ma anche quelli che non sono superflui non hanno il potere di
renderci fortunati e felici. Ciò che è necessario non per questo
è senz'altro un bene: oppure sviliamo il concetto di bene se diamo
questo nome al pane, alla polenta e alle altre cose senza le quali non si tira
avanti. 11 Ciò che è un bene è senz'altro necessario:
ciò che è necessario non è senz'altro un bene, perché sono
necessarie anche cose di scarsissimo valore. Nessuno ignora a tal punto la
dignità del bene da abbassarlo al livello di queste cose utili all'uso
quotidiano. 12 E allora? rivolgi piuttosto le tue cure a mostrare a tutti che
si ricercano con grande dispendio di tempo beni superflui e che molti hanno
trascorso la vita cercando i mezzi per viverla. Esamina gli uomini
singolarmente, considerali tutti insieme: ognuno vive guardando al domani. 13
Chiedi che male c'è in questo atteggiamento? Un male grandissimo. Non
vivono, ma sono in attesa di vivere: rimandano ogni cosa. Anche se badassimo a
tutto, la vita ci precederebbe sempre; mentre noi indugiamo, passa oltre come
se appartenesse ad altri e benché finisca con l'ultimo giorno, va scomparendo
giorno per giorno.
Ma per non superare la giusta misura di una lettera, che non deve
riempire la mano sinistra di chi la legge, rimanderò a un altro momento
questa disputa con i dialettici troppo sottili che badano solo alle minuzie e a
niente altro. Stammi bene.
46
1 Ho ricevuto quel tuo libro che mi avevi promesso; l'ho aperto
deciso a leggerlo con comodo e con l'intenzione di prenderne solo un assaggio;
ma poi mi ha invitato ad andare avanti. È scritto bene e puoi capirlo da
questo: mi è parso gradevole, pur non essendo della mia o della tua
statura, ma tale da sembrare a una prima occhiata o di Tito Livio o di Epicuro.
Mi ha attratto e mi ha assorbito tanto che l'ho letto tutto d'un fiato fino
alla fine. Il sole mi invitava, la fame si faceva sentire, le nuvole
comparivano minacciose; ma io l'ho divorato tutto. 2 E non ho provato solo
diletto, ma addirittura godimento. Ne ha avuto ingegno l'autore, e anche
spirito! Direi, "che impeto!" , se avesse fatto qualche pausa, se si
fosse innalzato a intervalli; ma non ha proceduto per slanci, bensì con
andatura costante: un disegno virile e venerando; nondimeno compariva a tratti
un tono dolce e pacato. Sei grande e fiero: voglio che tu continui ad avanzare
per questa strada. Anche l'argomento ha avuto il suo peso; perciò
bisogna sceglierlo fertile, che occupi la mente, che la sproni.
3 Scriverò ancora sul libro quando lo riprenderò in
mano; ora mi sono formato un giudizio incompleto, come se avessi ascoltato e
non letto quei concetti. Lascia che lo esamini più a fondo. Non temere,
udrai la verità. Beato te: non dài motivo perché qualcuno ti
menta da una tale distanza! Per quanto, ormai, si menta per abitudine anche
senza ragione. Stammi bene.
47
1 Ho sentito con piacere da persone provenienti da Siracusa che
tratti familiarmente i tuoi servi: questo comportamento si confà alla
tua saggezza e alla tua istruzione. "Sono schiavi." No, sono uomini.
"Sono schiavi". No, vivono nella tua stessa casa. "Sono schiavi".
No, umili amici. "Sono schiavi." No, compagni di schiavitù, se
pensi che la sorte ha uguale potere su noi e su loro. 2 Perciò rido di
chi giudica disonorevole cenare in compagnia del proprio schiavo; e per quale
motivo, poi, se non perché è una consuetudine dettata dalla piú grande
superbia che intorno al padrone, mentre mangia, ci sia una turba di servi in
piedi? Egli mangia oltre la capacità del suo stomaco e con grande
avidità riempie il ventre rigonfio ormai disavvezzo alle sue funzioni:
è più affaticato a vomitare il cibo che a ingerirlo. 3 Ma a
quegli schiavi infelici non è permesso neppure muovere le labbra per
parlare: ogni bisbiglio è represso col bastone e non sfuggono alle
percosse neppure i rumori casuali, la tosse, gli starnuti, il singhiozzo:
interrompere il silenzio con una parola si sconta a caro prezzo; devono stare
tutta la notte in piedi digiuni e zitti. 4 Così accade che costoro, che
non possono parlare in presenza del padrone, ne parlino male. Invece quei servi
che potevano parlare non solo in presenza del padrone, ma anche col padrone
stesso, quelli che non avevano la bocca cucita, erano pronti a offrire la testa
per lui e a stornare su di sé un pericolo che lo minacciasse; parlavano durante
i banchetti, ma tacevano sotto tortura. 5 Inoltre, viene spesso ripetuto quel
proverbio frutto della medesima arroganza: "Tanti nemici, quanti
schiavi": loro non ci sono nemici, ce li rendiamo tali noi. Tralascio per
ora maltrattamenti crudeli e disumani: abusiamo di loro quasi non fossero
uomini, ma bestie. Quando ci mettiamo a tavola, uno deterge gli sputi, un
altro, stando sotto il divano, raccoglie gli avanzi dei convitati ubriachi. 6
Uno scalca volatili costosi; muovendo la mano esperta con tratti sicuri
attraverso il petto e le cosce, ne stacca piccoli pezzi; poveraccio: vive solo
per trinciare il pollame come si conviene; ma è più sventurato
chi insegna tutto questo per suo piacere di chi impara per necessità. 7
Un altro, addetto al vino, vestito da donna, lotta con l'età: non
può uscire dalla fanciullezza, vi è trattenuto e, pur essendo
ormai abile al servizio militare, glabro, con i peli rasati o estirpati alla
radice, veglia tutta la notte, dividendola tra l'ubriachezza e la libidine del
padrone, e fa da uomo in camera da letto e da servo durante il pranzo. 8 Un
altro che ha il còmpito di giudicare i convitati, se ne sta in piedi,
sventurato, e guarda quali persone dovranno essere chiamate il giorno dopo
perché hanno saputo adulare e sono stati intemperanti nel mangiare o nei
discorsi. Ci sono poi quelli che si occupano delle provviste: conoscono
esattamente i gusti del padrone e sanno di quale vivanda lo stuzzichi il
sapore, di quale gli piaccia l'aspetto, quale piatto insolito possa sollevarlo
dalla nausea, quale gli ripugni quando è sazio, cosa desideri mangiare
quel giorno. Il padrone, però non sopporta di mangiare con costoro e
ritiene una diminuzione della sua dignità sedersi alla stessa tavola con
un suo servo. Ma buon dio! quanti padroni ha tra costoro. 9 Ho visto stare
davanti alla porta di Callisto il suo ex padrone e mentre gli altri entravano,
veniva lasciato fuori proprio lui che gli aveva messo addosso un cartello di
vendita e lo aveva presentato tra gli schiavi di scarto. Così quel servo
che era stato messo tra i primi dieci in cui il banditore prova la voce, gli rese
la pariglia: lo respinse a sua volta e non lo giudicò degno della sua
casa. Il padrone vendette Callisto: ma Callisto come ha ripagato il suo
padrone!
10 Considera che costui, che tu chiami tuo schiavo, è nato
dallo stesso seme, gode dello stesso cielo, respira, vive, muore come te! Tu
puoi vederlo libero, come lui può vederti schiavo. Con la sconfitta di
Varo la sorte degradò socialmente molti uomini di nobilissima origine,
che attraverso il servizio militare aspiravano al grado di senatori: qualcuno lo
fece diventare pastore, qualche altro guardiano di una casa. E ora disprezza
pure l'uomo che si trova in uno stato in cui, proprio mentre lo disprezzi, puoi
capitare anche tu.
11 Non voglio cacciarmi in un argomento tanto impegnativo e
discutere sul trattamento degli schiavi: verso di loro siamo eccessivamente
superbi, crudeli e insolenti. Questo è il succo dei miei insegnamenti:
comportati con il tuo inferiore come vorresti che il tuo superiore agisse con
te. Tutte le volte che ti verrà in mente quanto potere hai sul tuo
schiavo, pensa che il tuo padrone ha su di te altrettanto potere. 12 "Ma
io", ribatti, "non ho padrone." Per adesso ti va bene; forse,
però lo avrai. Non sai a che età Ecuba divenne schiava, e Creso,
e la madre di Dario, e Platone, e Diogene? 13 Sii clemente con il tuo servo e
anche affabile; parla con lui, chiedigli consiglio, mangia insieme a lui.
A questo punto tutta la schiera dei raffinati mi griderà:
"Non c'è niente di più umiliante, niente di più
vergognoso." Io, però potrei sorprendere proprio loro a baciare la
mano di servi altrui. 14 E neppure vi rendete conto di come i nostri antenati
abbiano voluto eliminare ogni motivo di astio verso i padroni e di oltraggio
verso gli schiavi? Chiamarono padre di famiglia il padrone e domestici gli
schiavi, appellativo che è rimasto nei mimi; stabilirono un giorno
festivo, non perché i padroni mangiassero con i servi solo in quello, ma almeno
in quello; concessero loro di occupare posti di responsabilità
nell'ambito familiare, di amministrare la giustizia, e considerarono la casa un
piccolo stato. 15 "E dunque? Inviterò alla mia tavola tutti gli
schiavi?" Non più che tutti gli uomini liberi. Sbagli se pensi che
respingerò qualcuno perché esercita un lavoro troppo umile, per esempio quel
mulattiere o quel bifolco. Non li giudicherò in base al loro mestiere,
ma in base alla loro condotta; della propria condotta ciascuno è
responsabile, il mestiere, invece, lo assegna il caso. Alcuni siedano a mensa
con te, perché ne sono degni, altri perché lo diventino; se c'è in loro
qualche tratto servile derivante dal rapporto con gente umile, la dimestichezza
con uomini più nobili lo eliminerà. 16 Non devi, caro Lucilio,
cercare gli amici solo nel foro o nel senato: se farai attenzione, li troverai
anche in casa. Spesso un buon materiale rimane inservibile senza un abile
artefice: prova a farne esperienza. Se uno al momento di comprare un cavallo
non lo esamina, ma guarda la sella e le briglie, è stupido; così
è ancora più stupido chi giudica un uomo dall'abbigliamento e
dalla condizione sociale, che ci sta addosso come un vestito. 17 "È
uno schiavo." Ma forse è libero nell'animo. "È uno
schiavo." E questo lo danneggerà? Mostrami chi non lo è: c'è
chi è schiavo della lussuria, chi dell'avidità, chi dell'ambizione,
tutti sono schiavi della speranza, tutti della paura. Ti mostrerò un ex
console servo di una vecchietta, un ricco signore servo di un'ancella, giovani
nobilissimi schiavi di pantomimi: nessuna schiavitù è più
vergognosa di quella volontaria. Perciò codesti schizzinosi non ti
devono distogliere dall'essere cordiale con i tuoi servi senza sentirti
superbamente superiore: più che temerti, ti rispettino.
18 Qualcuno ora dirà che io incito gli schiavi alla rivolta
e che voglio abbattere l'autorità dei padroni, perché ho detto "il
padrone lo rispettino più che temerlo". "Proprio
così?" chiederanno. "Lo rispettino come i clienti, come le
persone che fanno la visita di omaggio?" Chi dice questo, dimentica che
non è poco per i padroni quella reverenza che basta a un dio. Se uno
è rispettato, è anche amato: l'amore non può mescolarsi al
timore. 19 Secondo me, perciò tu fai benissimo a non volere che i tuoi
servi ti temano e a correggerli solo con le parole: con la frusta si puniscono
le bestie. Non tutto ciò che ci colpisce, ci danneggia; ma l'abitudine
al piacere induce all'ira: tutto quello che non è come desideriamo,
provoca la nostra collera. 20 Ci comportiamo come i sovrani: anche loro,
dimentichi delle proprie forze e della debolezza altrui, danno in escandescenze
e infieriscono, come se fossero stati offesi, mentre l'eccezionalità
della loro sorte li mette completamente al sicuro dal pericolo di una simile
evenienza. Lo sanno bene, ma, lamentandosi, cercano l'occasione per fare del
male; dicono di essere stati oltraggiati per poter oltraggiare.
21 Non voglio trattenerti più a lungo; non hai bisogno di
esortazioni. La rettitudine ha, tra gli altri, questo vantaggio: piace a se
stessa ed è salda. La malvagità è incostante e cambia
spesso, e non in meglio, ma in direzione diversa. Stammi bene.
48
1 Durante il tuo viaggio mi hai mandato una lettera lunga quanto
il viaggio stesso: a questa risponderò in seguito; debbo starmene in
disparte e meditare sui consigli da darti. Tu stesso che chiedi il mio parere,
hai pensato a lungo se farlo: tanto più devo riflettere io: per
risolvere i problemi è necessario un tempo maggiore che per proporli,
specialmente se a te preme una cosa e a me un'altra. 2 Parlo di nuovo come un
epicureo? In realtà a me preme la stessa cosa che a te: oppure non sarei
un amico se tutto ciò che riguarda te non riguardasse pure me.
L'amicizia mette tutto in comune tra noi; non c'è circostanza propizia o
avversa che tocchi uno solo di noi; viviamo dividendo ogni cosa. Nessuno
può vivere felice se bada solo a se stesso, se volge tutto al proprio
utile: devi vivere per il prossimo, se vuoi vivere per te. 3 Questo vincolo,
scrupolosamente e coscienziosamente rispettato, che unisce gli uomini tra loro
e dimostra che esiste una legge comune per il genere umano, serve moltissimo
anche per coltivare quella società interiore di cui parlavo: l'amicizia;
se uno ha molto in comune con il prossimo, avrà tutto in comune con
l'amico.
4 Preferirei, mio ottimo Lucilio, che questi sottili argomentatori
mi insegnassero che doveri ho verso un amico e verso gli uomini, piuttosto che
in quanti modi si possa dire "amico" e quanti significati abbia la
parola "uomo". Ecco, la saggezza e la stoltezza vanno in direzioni
opposte! A quale devo accostarmi? Da quale parte mi consigli di andare? Per il
saggio, uomo significa amico, per lo stolto, amico non significa neppure uomo;
l'uno si procura un amico, l'altro si offre all'amico: loro mi storpiano le
parole e le dividono in sillabe. 5 Naturalmente se non avrò preparato argomentazioni
sottilissime e non avrò fatto nascere, con una falsa conclusione, una
menzogna dalla verità, non potrò distinguere le cose da ricercare
da quelle da fuggire! Mi vergogno: siamo vecchi e scherziamo su una questione
tanto seria.
6 "Mus è una sillaba; mus rode il formaggio, dunque
una sillaba rode il formaggio." Mettiamo che io non sia in grado di
sciogliere questo nodo: quale pericolo incombe su di me per questa ignoranza?
Quale danno? Senza dubbio c'è da temere che io un giorno o l'altro
prenda in trappola le sillabe, oppure che, se sarò troppo distratto, un
libro mangi il formaggio. Ma c'è un sillogismo ancora più
sottile: "Mus è una sillaba; la sillaba non mangia il formaggio;
mus, dunque, non mangia il formaggio." 7 Che sciocchezze puerili! Per
questo abbiamo corrugato le sopracciglia? Per questo abbiamo fatto crescere la
barba? È questo che insegniamo tutti seri e pallidi? Vuoi sapere che
cosa promette la filosofia al genere umano? Avvedutezza. Uno lo chiama la
morte, un altro lo angustia la povertà, un terzo lo tormenta la
ricchezza sua o di altri; quello ha orrore della mala sorte, questo desidera
sottrarsi alla sua prosperità; a Tizio fanno del male gli uomini, a Caio
gli dèi. 8 Perché architetti questi giochi? Non è il momento di
scherzare: tu sei chiamato ad aiutare degli infelici. Hai promesso di
soccorrere naufraghi, prigionieri, malati, bisognosi, gente che deve sottoporre
il capo alla scure del carnefice. Dove ti volgi? Che fai? Quest'uomo, con cui
scherzi, ha paura: aiutalo, [...]. Tutti da ogni parte ti tendono le mani,
implorano un aiuto per la loro vita fallita o destinata al fallimento,
ripongono in te ogni speranza di soccorso; chiedono che tu li liberi da una
tale inquietudine, che mostri loro, reietti e smarriti, il fulgido lume della
verità. 9 Insegna loro che cosa la natura ha generato di necessario, che
cosa di superfluo, che norme semplici ha dato, quanto è bella la vita e
quanto è facile per chi vi obbedisce, quanto è dura e complicata
per quegli uomini che hanno creduto più ai pregiudizi che alla natura
***; ma prima dovrai insegnare quale parte dei loro mali potrà essere
alleviata. Quale di questi cavilli può estinguere le passioni? Quale
moderarle? Magari si limitassero a non giovare! Nuocciono addirittura. Quando
vorrai, ti dimostrerò molto chiaramente che anche uno spirito magnanimo
diventa debole e fiacco se si perde in codeste sottigliezze.
così si sale alle stelle?
La filosofia promette di rendermi simile alla divinità;
sono stato chiamato per questo, per questo sono venuto: mantieni le tue
promesse.
12 Stai lontano, Lucilio mio, più che puoi, da queste
obiezioni e sottigliezze dei filosofi: all'onestà si addice un
linguaggio chiaro e semplice. Anche se avessimo ancòra molto tempo da
vivere, bisognerebbe amministrarlo con parsimonia, perché basti per ciò
che è necessario: e allora, non è da pazzi imparare nozioni
superflue quando abbiamo così poco tempo? Stammi bene.
49
1 Mio caro, è davvero una persona apatica e trascurata chi
si ricorda di un amico quando glielo richiama alla mente la vista di un qualche
luogo; certe volte, però posti familiari evocano in noi una nostalgia
che era latente dentro di noi; non è che riaccendano un ricordo ormai
spento, ma lo scuotono dal torpore; allo stesso modo che uno schiavo caro alla
persona scomparsa, o un suo vestito, o la casa, riacutizzano il dolore di chi
piange, anche se ormai è stato mitigato dal tempo. Ecco, è
incredibile come la Campania, e soprattutto Napoli, e la vista della tua Pompei
abbiano reso cocente la nostalgia di te: ti ho tutto davanti agli occhi.
È il momento del distacco: ti vedo mentre inghiotti le lacrime e non
riesci a resistere al dirompere dell'affetto nonostante cerchi di frenarti.
5 Perciò mi sdegno tanto più con coloro che spendono
in occupazioni inutili la maggior parte di questo tempo insufficiente
già per le attività necessarie, anche se vi si bada con la
massima cura. Cicerone afferma che se pure gli venisse raddoppiata la vita, non
avrebbe il tempo di leggere i lirici; nello stesso conto tengo i dialettici: ma
essi sono più tristemente inutili. Quelli vaneggiano e lo riconoscono,
questi ritengono di fare qualcosa di buono. 6 Non dico che non si debba dare
un'occhiata a queste futilità, ma solo un'occhiata e un saluto dalla
soglia, badando che non ci raggirino e ci facciano credere che in esse ci sia
un grande bene nascosto. Perché ti tormenti e ti maceri su un problema che
è cosa più intelligente disprezzare che risolvere? Se uno si
sposta tranquillo e con tutta calma, può anche raccogliere le cose di
poco conto: ma quando il nemico incalza alle spalle e il soldato ha ricevuto
l'ordine di muoversi, bisogna gettar via quanto si è accumulato nella
quiete della pace. 7 Non ho tempo di seguire le loro frasi ambigue e di
mettervi alla prova il mio acume.
Guarda quali popoli si radunano, quali città, chiuse le
porte, affilano le armi.
Devo ascoltare con grande coraggio questo strepito di guerra che
risuona intorno a me. 8 Giustamente sembrerei a tutti un pazzo se, mentre le
donne e i vecchi ammassano pietre per fortificare le mura, mentre i giovani in
armi aspettano o chiedono vicino alle porte il segnale della sortita, mentre i
giavellotti nemici vibrano conficcandosi nelle porte e il suolo stesso trema
per le trincee e le gallerie, sedessi in ozio ponendomi sciocche questioni di
questo tipo: "Hai quello che non hai perduto; non hai perduto le corna,
quindi hai le corna" e altre, formate sull'esempio di questo acuto
delirio. 9 Ebbene, ugualmente potrei sembrarti un pazzo se adesso impiegassi le
mie energie in codeste questioni: anche ora sono assediato. Tuttavia
nell'assedio di una città mi sovrasterebbe un pericolo esterno, un muro
mi separerebbe dal nemico: ora, invece, i pericoli mortali sono dentro di me.
Non ho tempo per queste sciocchezze; ho tra le mani una faccenda importante.
Che devo fare? La morte mi incalza, la vita fugge. 10 Insegnami come affrontare
questa situazione; fa' che io non fugga la morte, che la vita non fugga me.
Incoraggiami contro le difficoltà, contro i mali inevitabili; prolunga
il poco tempo che ho. Insegnami che il valore della vita non consiste nella sua
durata, ma nell'uso che se ne fa; che può accadere, anzi accade
spessissimo, che chi è vissuto a lungo è vissuto poco. Dimmi,
quando sto per addormentarmi: "Potresti non svegliarti più"; e
quando mi sono svegliato: "Potresti non addormentarti più".
Dimmi quando esco: "Può accadere che tu non torni"; e quando
ritorno: "Può accadere che tu non esca più." 11 Sbagli
a ritenere che soltanto in mare è minima la distanza che separa la vita
dalla morte: è ugualmente breve in ogni posto. La morte non si mostra
dovunque tanto vicina: ma dovunque è tanto vicina. Dissipa queste
tenebre e più facilmente mi darai quegli insegnamenti cui sono
preparato. La natura ci ha creato duttili e ci ha dato una ragione imperfetta,
ma suscettibile di perfezionamento. 12 Discuti con me della giustizia, della
pietà, della sobrietà, delle due forme di pudore, sia di quello
che non viola il corpo altrui, sia di quello che ha riguardo del proprio corpo.
Se non mi condurrai fuori strada arriverò più facilmente alla
meta cui tendo; come dice quel famoso tragediografo: "La verità si
esprime con parole semplici"; perciò non bisogna ingarbugliarla; a
un animo che abbia grandi aspirazioni niente si addice meno di questa subdola
acutezza di ingegno. Stammi bene.
50
1 Ho ricevuto la tua lettera molti mesi dopo che l'avevi spedita;
ho, perciò creduto superfluo chiedere che cosa facessi a chi la portava.
Certo, se lo ricorda, ha una buona memoria; spero, tuttavia, che tu viva ormai
in modo che io sappia quello che fai, dovunque ti trovi. E, infatti, che altro
fai se non renderti ogni giorno migliore, eliminare qualcuno dei tuoi errori,
capire che i vizi che ritieni siano nelle cose, sono in realtà in te?
Alcuni li imputiamo ai luoghi e alle circostanze; ma essi ci seguiranno
dovunque andremo. 2 Arpaste, quella povera matta, trastullo di mia moglie, sai
che mi è rimasta in casa come fastidiosa eredità. Io sono
contrarissimo a queste anormalità; se qualche volta voglio divertirmi
con un pagliaccio, non devo cercare lontano: rido di me. Questa matta di colpo
ha perso la vista. Ti racconto un fatto incredibile, ma vero: non sa di essere
cieca; chiede continuamente al suo accompagnatore di condurla via, dice che la
casa è buia. 3 Ti sia chiaro che accade a tutti noi quello che in lei ci
fa ridere: nessuno si rende conto di essere avaro, nessuno di essere avido. I
ciechi, però chiedono una guida, noi andiamo errando senza guida e
diciamo: "Io non sono ambizioso, ma nessuno può vivere diversamente
a Roma; non sono uno spendaccione, ma è proprio la città a
richiedere grandi spese; non è colpa mia se sono collerico, se non ho
ancòra stabilito una precisa condotta di vita: è colpa della
giovane età".
4 Perché vogliamo ingannarci? Non viene dall'esterno il nostro
male: è dentro di noi, sta nelle nostre stesse viscere e, perciò
difficilmente possiamo guarire: ignoriamo di essere malati. Se pure
cominciassimo a curarci, quando potremo disperdere le enormi forze di tante malattie?
Ma per ora non cerchiamo neppure un medico: avrebbe meno da fare se fosse
chiamato per un vizio recente; animi malleabili e semplici seguirebbero chi
indica la retta via. 5 Non è difficile ricondurre alla natura nessuno,
se non chi alla natura si è ribellato: ci vergogniamo di apprendere la
saggezza. Ma, perbacco, se per noi è vergognoso cercare un maestro che
ce la insegni, non possiamo sperare che un bene così grande possa
penetrare per caso in noi: dobbiamo faticare e, a dire il vero, non è
neppure una grande fatica, purché, come ho detto, cominciamo a plasmare il
nostro spirito e a correggerlo prima che il male si incallisca. 6 Tuttavia, non
dispero di correggere nemmeno i vizi incalliti: non c'è niente che
resista a un'azione costante e a una cura intensa e attenta. È possibile
raddrizzare i tronchi d'albero per quanto piegati; il calore rimette in sesto
travi ricurve e, sebbene siano diverse originariamente, vengono disposte come
richiede l'uso che ne vogliamo fare. Quanto più facilmente può
essere plasmato l'animo che è flessibile e più docile di
qualsiasi liquido! Che altro è l'anima se non un soffio che ha un suo
modo di essere? E vedi che il soffio è tanto più duttile di ogni
altra materia quanto più è tenue. 7 Mio caro Lucilio, il fatto
che la malvagità ci domini e ci tenga in suo potere da tempo, non deve
impedirti di nutrire per noi buone speranze: in nessuno la saggezza precede la
malvagità. Questa è la prima a impadronirsi di noi tutti:
imparare la virtù significa disimparare i vizi. 8 Ma dobbiamo apprestarci
a correggere noi stessi con tanto più slancio perché, una volta ottenuto
il bene, lo possiederemo per sempre; la virtù non si disimpara. Il male
non attecchisce in un terreno che non sia il suo e, proprio per questo, lo si
può estirpare e distruggere; ma ciò che capita sul terreno adatto
mette salde radici. La virtù è secondo natura, i vizi, invece,
sono ostili e avversi. 9 Ma come le virtù, una volta conquistate, non
possono scomparire ed è facile custodirle, così all'inizio
è difficile accostarvisi, poiché è una caratteristica di uno
spirito debole e malato temere ciò che non conosce; bisogna,
perciò costringerlo a cominciare. In un secondo momento la medicina non
sembra amara: riesce gradita man mano che risana. Gli altri rimedi danno
piacere dopo la guarigione; la filosofia, invece, è al tempo stesso
salutare e piacevole. Stammi bene.
51
1 Ciascuno come può caro Lucilio: tu lì hai l'Etna,
[...] il famosissimo monte della Sicilia (ma non capisco per quale motivo sia
Messalla, sia Valgio - l'ho letto in entrambi - lo definiscano unico:
moltissimi luoghi vomitano fuoco, e non solo quelli elevati, cosa abbastanza
frequente, evidentemente perché il fuoco è spinto in alto, ma anche
quelli bassi); io, per quanto posso, mi accontento di Baia; me ne sono andato,
però il giorno dopo il mio arrivo: è un posto da evitare,
nonostante certe bellezze naturali, poiché ha scelto di essere famoso per la
sua dissolutezza.
2 "E allora, bisogna dichiarare guerra a certi luoghi?"
No; ma come un certo abbigliamento si confà più di un altro
all'uomo saggio e onesto ed egli, senza detestare nessun colore, ne ritiene
qualcuno poco adatto a chi si professa sobrio, lo stesso vale per un luogo che
un uomo saggio, o che aspira alla saggezza, evita, perché contrario alla
moralità. 3 Perciò se uno vuole vivere in ritiro, non
sceglierà mai Canopo, sebbene Canopo non impedisca a nessuno di essere
onesto, e neppure Baia: stanno diventando un ricettacolo di vizi. Là si
concede moltissimo alla dissolutezza, là, come se si dovesse al posto
una certa licenza, si abbandona ancor più ogni ritegno. 4 Dobbiamo
scegliere una località salutare non solo per il corpo, ma anche per la
nostra condotta di vita; non vorrei certo abitare tra i carnefici e neppure
nelle bettole. Che necessità c'è di vedere gente ubriaca che
girovaga sulla spiaggia, che fa baldoria sulle navi; specchi d'acqua dove
risuonano concerti e altre brutture che la dissolutezza, quasi sciolta da ogni
legge, commette, e per giunta sotto gli occhi di tutti? 5 Dobbiamo cercare di
fuggire il più lontano possibile dalle sollecitazioni dei vizi; l'anima
va fortificata e sottratta alle lusinghe dei piaceri. Bastò l'ozio di un
solo inverno a fiaccare Annibale: le mollezze della Campania snervarono
quell'uomo che le nevi alpine non avevano domato: vinse con le armi, ma fu
vinto dai vizi. 6 Anche noi siamo chiamati alle armi ed è una milizia
che non concede mai tregua, né riposo: dobbiamo sconfiggere innanzitutto i
piaceri che, come vedi, hanno travolto anche i caratteri più fieri. Se
uno considera l'impegno dell'opera intrapresa, si renderà conto di non
poter vivere in maniera molle e dissoluta. A che mi servono questi bagni caldi?
A che le saune dove c'è racchiuso un vapore asciutto che indebolisce il
corpo? È la fatica che deve spremere il sudore. 7 Se facessimo come
Annibale e tralasciassimo la guerra, interrompendo il corso delle imprese e ci
dedicassimo alla cura del corpo, tutti giustamente ci rimprovererebbero questa
inerzia intempestiva, pericolosa sia per il vincitore, sia, e tanto più,
per chi è vicino alla vittoria. Noi ci troviamo in una situazione
più critica di quella delle truppe cartaginesi: corriamo un pericolo
più grave ritirandoci e, se continuiamo nella lotta, dobbiamo sostenere
uno sforzo maggiore. 8 La sorte combatte contro di me: non obbedirò agli
ordini; non mi sottometto al suo giogo, anzi, e questo richiede maggiore
coraggio, me lo scuoto di dosso. Non dobbiamo indebolire lo spirito: se
cederò ai piaceri, devo cedere al dolore, alla fatica, alla povertà;
l'ambizione e l'ira vorranno avere gli stessi diritti su di me; sono diviso,
anzi lacerato, tra tante passioni. 9 La posta in gioco è la
libertà; a questo premio sono rivolte le mie fatiche. Chiedi che cosa
sia la libertà? Non essere schiavi di niente, di nessuna necessità,
di nessun caso, affrontare la fortuna alla pari. Quando comprenderò di
essere più potente di lei, non potrà più farmi niente:
dovrei esserle sottomesso, se ho il dominio sulla morte?
10 Se uno si dedica a queste meditazioni, deve scegliere posti
austeri e puri; la bellezza eccessiva snerva lo spirito e senza dubbio un luogo
può in qualche misura indebolirne il vigore. I cavalli da tiro che si
sono induriti le unghie su terreni impervi, possono sopportare qualunque
percorso: gli zoccoli di quelli allevati in pascoli molli e paludosi, invece,
si logorano subito. Il soldato che proviene da località aspre è
più forte: mentre è fiacco quello nato e vissuto in una casa di
città. Chi passa dall'aratro alle armi non rifiuta nessuna fatica: ma se
uno è ben curato ed elegante, cade al primo cimento. 11 Un luogo
più austero fortifica lo spirito e lo rende adatto alle grandi imprese.
Scipione ritenne più dignitoso andare in esilio a Literno che a Baia:
una simile disgrazia non può trovare posto fra tanta mollezza. Anche C.
Mario, Gn. Pompeo e Cesare, cui la sorte diede per primi pubblici poteri sul
popolo romano, costruirono le loro ville a Baia, ma le ubicarono sulle cime dei
monti: sembrava loro più militare dominare dall'alto in lungo e in largo
la zona sottostante. Guarda che posizione hanno scelto, in quali luoghi e come
hanno innalzato le loro case: ti renderai conto che non sono ville, ma
accampamenti. 12 Pensi che Catone avrebbe mai abitato laggiù per contare
le donne adultere che passano in barca là davanti e i tanti tipi di
imbarcazioni variamente dipinte e le rose galleggianti sull'intero lago, o per
sentire di notte schiamazzi e canti? Non avrebbe preferito stare in una trincea
da lui stesso scavata per una notte? Un vero uomo non preferirebbe essere
svegliato da una tromba di guerra, piuttosto che da una musica?
13 Ma abbiamo processato abbastanza Baia; i vizi, invece, non li
processeremo mai abbastanza: ti scongiuro, Lucilio, combattili a oltranza senza
mezze misure, poiché non hanno né misura, né fine. Scaccia tutte le passioni
che dilaniano il tuo cuore e se non possono essere sradicate in modo diverso,
stràppati con esse anche il cuore. Elimina soprattutto i piaceri e
odiali profondamente; come i banditi, che gli Egiziani chiamano "fileti",
ci abbracciano per strangolarci. Stammi bene.
52
1 Cos'è, Lucilio mio, questa forza che ci trascina in una
direzione opposta a quella cui tendiamo e ci spinge là da dove vogliamo
allontanarci? Che cosa è in lotta con la nostra anima e non ci permette di
essere risoluti nelle nostre decisioni? Ondeggiamo tra propositi differenti; le
nostre scelte non sono mai libere, assolute, immutabili. 2 "È la
stoltezza," dici, "che è incostante e mutevole." Ma in
che modo o quando ce ne distaccheremo? Nessuno può uscirne con le sue
sole forze; occorre che qualcuno gli porga la mano, che lo tiri fuori. 3 Dice
Epicuro che certi uomini sono arrivati alla verità senza l'aiuto di
nessuno, che si sono aperti da soli la strada; e li loda soprattutto perché
hanno trovato in sé lo slancio e si sono fatti avanti con le loro forze; certi,
invece, hanno bisogno dell'intervento altrui: non avanzeranno se nessuno li
precederà, ma ne seguiranno bene le orme. Secondo lui tra questi
c'è Metrodoro; una mente insigne, ma del secondo tipo. Neppure noi
apparteniamo al primo gruppo e ci andrà bene se saremo accolti nel
secondo. Ma non bisogna disprezzare neppure l'uomo che può salvarsi con
l'aiuto di altri; anche la volontà di salvarsi è già
molto. 4 Oltre a queste due troverai ancòra un'altra categoria di uomini
- neppure loro vanno disprezzati: quelli che possono essere costretti e spinti
sulla retta via e che hanno bisogno non solo di una guida, ma di uno che li
assista e, per così dire, li forzi; questo è il terzo gruppo. Ne
vuoi un esempio? Epicuro indica Ermarco. Egli, perciò si congratula di
più con l'uno, ma ammira maggiormente l'altro; difatti, benché siano
arrivati entrambi allo stesso fine, merita più lodi chi ha ottenuto lo
stesso risultato in una condizione più difficile. 5 Supponi che siano
stati fabbricati due edifici, simili, ugualmente alti e splendidi. L'uno, in
un'area sgombra da difficoltà, è venuto su alla svelta; le
fondamenta dell'altro, gettate in un terreno mobile e instabile, hanno ceduto e
c'è voluta molta fatica per arrivare a uno strato compatto: tutto il
lavoro richiesto dal primo lo vedrai; del secondo rimane nascosta una gran
parte e la più difficile. 6 Certe menti sono vivaci e pronte, altre,
invece, devono, come si dice, essere plasmate a mano e le loro fondamenta
richiedono un grande lavoro. Definirei, perciò più fortunato chi
non ha incontrato difficoltà in se stesso, ma più meritevole chi
ha superato le sue limitazioni naturali e alla saggezza non è giunto, ma
vi si è innalzato a forza.
7 Sappi che a noi è stata data questa natura ostica e poco
malleabile: procediamo in mezzo a ostacoli. Dobbiamo, perciò combattere,
invocare l'aiuto di qualcuno. "Chi invocherò", chiedi,
"Tizio o Caio?" Ricorri agli uomini che ci hanno preceduti: sono
disponibili; non solo i vivi, ma anche i morti possono aiutarci. 8 Tra i vivi,
però scegliamo non quelli che parlano a rotta di collo ripetendo luoghi
comuni e anche in privato discorrono come ciarlatani, ma quelli che insegnano
con la loro stessa vita, che ci dicono che cosa dobbiamo fare e lo dimostrano
con i fatti, che ci indicano cosa bisogna evitare e non vengono mai sorpresi a
compiere le azioni che ci avevano esortato a fuggire; scegli come guida un uomo
di cui ammiri più gli atti che le parole. 9 Non ti proibirei nemmeno di ascoltare
chi ha l'abitudine di raccogliere la folla intorno a sé e di dissertare, purché
si mostri in pubblico col proposito di migliorare se stesso e gli altri e non
agisca per ambizione. Non c'è niente di più vergognoso della
filosofia che va in cerca di applausi. L'ammalato può forse lodare il
medico che lo opera? 10 Tacete e sottoponetevi di buon grado alla cura; anche
se griderete la vostra approvazione, vi ascolterò come se gemeste perché
tasto le vostre magagne. Volete dimostrare che prestate attenzione e siete
toccati dall'importanza degli argomenti discussi? Sia pure: ma perché dovrei
permettere che esprimiate il vostro giudizio e approviate quello che vi sembra
migliore? Nella scuola di Pitagora i discepoli dovevano tacere per cinque anni:
pensi che subito dopo fosse loro lecito parlare ed esprimere lodi?
11 Quanto è insensato l'oratore che si allontana felice per
gli applausi di un pubblico ignorante! Perché ti rallegri di essere lodato da
persone che non puoi a tua volta lodare? Fabiano parlava al popolo e lo
ascoltavano composti; scoppiava talvolta un forte applauso di approvazione, ma
lo provocava la grandezza degli argomenti, non il suono di un'eloquenza facile
e gradevole. 12 Deve esserci una differenza tra l'applauso del teatro e quello
della scuola: esiste una certa eleganza anche nel modo di lodare. Ogni cosa, a
ben guardare, è rivelatrice e anche da particolari minimi si può
dedurre l'indole di una persona: l'incedere, un movimento della mano e a volte
una sola risposta o il portare un dito alla testa o il movimento degli occhi
denunciano un uomo impudico; il modo di ridere rivela il malvagio; il viso e
l'atteggiamento il pazzo. Questi elementi vengono alla luce attraverso segni
evidenti: puoi sapere come è ciascuno, badando a come loda e a come
riceve le lodi. 13 Da ogni parte il pubblico tende le mani al filosofo e la
folla degli ammiratori lo assedia: in realtà costui non viene lodato, ma
acclamato. Lasciamo questi strepiti a quelle arti che vogliono riuscire gradite
alla massa: la filosofia deve essere venerata. 14 Bisognerà a volte
concedere ai giovani di seguire il loro impulso, ma solo quando lo faranno di
slancio, quando non potranno imporsi il silenzio; simili elogi in qualche
misura spronano anche il pubblico e stimolano l'animo dei giovani. Li tocchi,
però la sostanza, non le belle parole; altrimenti l'eloquenza
sarà loro nociva, se non provocherà desiderio di contenuti, ma
compiacimento di se stessa.
15 Rimandiamo per ora questo tema, poiché richiede una lunga e
appropriata trattazione: come si debba dissertare in pubblico, che cosa ci si
possa permettere di fronte al pubblico, che cosa si possa permettere al
pubblico di fronte a noi. La filosofia ha senza dubbio sofferto un danno da
quando si è prostituita; ma può ricomparire nei suoi santuari,
purché non trovi mercanti, ma sacerdoti. Stammi bene.
53
1 Sono pronto a tutto, ora che mi sono lasciato convincere a
mettermi in mare. Salpai col mare calmo; veramente il cielo era carico di quei
nuvoloni neri che, di solito, portano acqua o vento, ma pensai di farcela a
percorrere le poche miglia tra la tua Napoli e Pozzuoli, anche se il tempo era
incerto e minacciava tempesta. Perciò per uscirne prima, mi diressi
subito al largo verso Nisida tagliando via tutte le insenature. 2 Quando
già mi trovavo a mezza strada, quella calma che mi aveva lusingato,
finì; ancora non era scoppiata la burrasca, ma il mare era mosso e
andava agitandosi sempre più. Cominciai a chiedere al timoniere di
sbarcarmi in qualche punto della costa: mi disse che il litorale era dovunque a
picco e privo di approdi e che in mezzo alla tempesta la cosa che temeva di
più era la terra. 3 Io intanto stavo così male da non curarmi
più del pericolo; mi tormentava una nausea spossante, ma senza vomito;
quella che smuove la bile e non la caccia fuori. Insistetti, perciò con
il timoniere e lo costrinsi, volente o nolente, a dirigersi verso terra. Quando
ne siamo in prossimità, non aspetto che venga eseguita nessuna delle
manovre descritte da Virgilio,
Volgono le prore al mare
o
Si getta l'ancora dalla prora:
memore della mia maestria di vecchio amante dell'acqua gelida, mi
getto in mare vestito di panno come è bene per chi fa bagni freddi. 4
Sapessi che cosa ho passato arrampicandomi su per gli scogli, cercando una via,
anzi creandomela! Ho capito che i marinai non hanno torto a temere la terra.
Sono incredibili le sofferenze che ho sostenuto, mentre quasi non potevo
sostenere me stesso: Ulisse, sappilo, non era destinato dalla nascita a trovar
mari così agitati da fare sempre naufragio: soffriva di mal di mare.
Anch'io, dovunque dovrò recarmi per mare, ci arriverò dopo
vent'anni.
5 Non appena rimisi in sesto lo stomaco - il senso di nausea, lo
sai, non finisce venendo via dal mare - non appena rinfrancai il corpo ungendolo,
cominciai a riflettere tra me e me, come ci dimentichiamo dei nostri difetti
anche fisici, che pure si fanno sentire spesso, nonché di quelli spirituali,
che più sono grandi più restano nascosti. 6 Una leggera
febbriciattola può sfuggire; ma quando aumenta e divampa una vera
febbre, anche un uomo forte e abituato a soffrire deve confessare la sua
malattia. I piedi ci dolgono, avvertiamo leggere fitte alle articolazioni: ma
noi ancora dissimuliamo e diciamo o che ci siamo slogati una caviglia o che ci
siamo stancati facendo ginnastica. All'inizio si cerca di dare un nome alla
malattia ancora incerta; ma quando comincia a interessare le caviglie e a
deformare i piedi, bisogna ammettere che si tratta di podagra.
7 Il contrario accade nelle malattie dello spirito: più uno
sta male, meno se ne rende conto. Non c'è da stupirsene, carissimo; chi
dorme un sonno leggero, durante il sonno percepisce delle immagini e dormendo a
volte si accorge di dormire: un sonno profondo, invece, cancella anche i sogni
e fa sprofondare la mente tanto che perdiamo coscienza di noi stessi. 8 Perché
nessuno ammette i propri difetti? Perché vi è ancora immerso: i sogni li
racconta chi è sveglio e così i propri vizi li ammette solo chi
è guarito. Destiamoci, dunque, e rendiamoci conto dei nostri errori. Ma
solo la filosofia può destarci, può scuoterci dal nostro sonno
profondo: dedicati a lei completamente, tu ne sei degno ed essa è degna
di te: stringetevi l'uno all'altra. Respingi tutto il resto con forza, apertamente;
non ci si può dedicare alla filosofia di tanto in tanto. 9 Se tu fossi
malato, avresti tralasciato la cura del patrimonio e dimenticato le
attività forensi e non stimeresti nessuno tanto da acconsentire ad
assumerti la sua difesa durante gli intervalli della malattia; cercheresti in
ogni modo di liberarti quanto prima del tuo male. E allora? Non farai lo stesso
anche adesso? Metti da parte ogni impedimento e dedicati alla saggezza: nessuno
può arrivarvi se ha mille impegni. La filosofia esercita il suo potere;
il tempo lo accorda lei, non lo riceve da noi; non è un'attività
accessoria, ma fondamentale; è padrona, ci sta dappresso e ci comanda.
10 Alessandro, a una città che gli prometteva una parte delle terre e
metà di tutti i beni, rispose: "Non sono venuto in Asia per
accettare quello che mi avreste dato, ma perché voi aveste quello che io vi
avrei lasciato." Lo stesso dice la filosofia per ogni cosa: "Non ho
intenzione di accettare il tempo che vi avanza: voi avrete quello che io stessa
rifiuterò." 11 Rivolgile tutta la tua attenzione, stalle vicino,
venerala: ci sarà un grande divario tra te e gli altri; sarai superiore
di molto a tutti gli uomini e gli dèi non saranno di molto superiori a
te. Chiedi quale differenza ci sarà tra te e loro? Vivranno più a
lungo. Ma, perbacco, ci vuole una grande abilità a racchiudere tutto in
poco spazio; per il saggio la propria vita si estende quanto per dio
l'eternità. Ma c'è qualcosa in cui il saggio può essere
superiore a dio: quegli non teme nulla per merito della sua natura, il saggio
per merito suo. 12 Ecco una gran cosa, avere la debolezza di un uomo e la
tranquillità di un dio. È incredibile la forza della filosofia
nel respingere ogni attacco della sorte. Nessun'arma si conficca nel suo corpo;
è ben difesa e salda; certi dardi li neutralizza e, come se fossero
colpi leggeri, li para con le pieghe dell'ampia veste, altri li rende vani e li
respinge contro chi li aveva scagliati. Stammi bene.
54
1 La malattia mi aveva accordato una lunga tregua; all'improvviso
mi ha assalito ancora. "Di che malattia parli?" chiederai. Domanda
giusta: nessun male mi è sconosciuto. Ma a uno in particolare sono come
destinato: non so perché dovrei usare un termine greco: "difficoltà
di respiro" è una definizione abbastanza adatta. L'attacco è
brevissimo e simile a una tempesta; finisce per lo più nel giro di
un'ora: e chi mai potrebbe agonizzare a lungo? 2 Su di me sono passati tutti i
malanni e i pericoli cui è soggetto il nostro corpo, ma nessuno mi
sembra più penoso. E perché no? Qualunque altra infermità
significa essere malati, questa è esalare l'anima. Perciò i
medici la chiamano "preparazione alla morte": un giorno il respiro
riesce a fare quello che ha spesso tentato. 3 Se mi compiacessi di questa stasi
come di una guarigione sarei ridicolo, quanto un individuo che pensasse di aver
vinto solamente perché è riuscito a rimandare il processo.
Ma io, anche quando ero sul punto di soffocare, ho sempre trovato
conforto in pensieri lieti e forti. 4 "Che c'è?" mi dico,
"La morte mi mette alla prova tanto spesso? Faccia pure: l'ho sperimentata
a lungo." "Quando?" mi chiedi. Prima di nascere. La morte
è non esistere. E ormai so com'è: dopo di me sarà
ciò che fu prima di me. Se nella morte c'è tormento, ci fu
necessariamente anche prima che venissimo alla luce; ma allora non sentimmo
nessuna sofferenza. 5 Ti chiedo: se uno pensasse che per una lucerna è
peggio quando è spenta che prima di essere accesa, non lo giudicheresti
veramente stupido? Anche noi ci accendiamo e ci spegniamo: in quell'intervallo
proviamo qualche sofferenza; prima e dopo, invece, c'è una profonda
serenità. Questo, se non m'inganno, è il nostro errore, Lucilio
mio: crediamo che la morte ci segua e, invece, ci ha preceduto e ci
seguirà. Tutto quello che è stato prima di noi è morte; che
importa se non cominci oppure finisci, quando il risultato in entrambi i casi
è questo: non esistere.
6 Ho continuato a rivolgere a me stesso queste e altre esortazioni
dello stesso tipo (in silenzio, s'intende: non potevo parlare); poi a poco a
poco quella difficoltà di respiro, che ormai cominciava a essere
affanno, venne a intervalli maggiori e si arrestò. Ma ha lasciato uno
strascico e pur essendo finito l'attacco, la respirazione non è ancora
tornata alla normalità; sento che è come impacciata e impedita.
Sia come sia, purché l'affanno non provenga dall'anima. 7 Tieni questo per
certo: non trepiderò nel momento supremo, sono ormai preparato, non
faccio programmi per l'intera giornata. Tu apprezza e imita l'uomo a cui non
rincresce morire, quando vivere gli è gradito: che coraggio ci sarebbe a
morire, se si è banditi dalla vita? Tuttavia, anche in questo caso ci
può essere coraggio: sì, sono scacciato, ma me ne vado come se lo
facessi di mia volontà. Perciò il saggio non sarà mai
scacciato: essere scacciato significa essere allontanato da un luogo contro la
propria volontà; ma il saggio non fa niente contro la sua
volontà; sfugge alla necessità perché vuole ciò che essa
gli imporrà di fare. Stammi bene.
55
1 Ritorno proprio ora dalla passeggiata in lettiga stanco come se
avessi camminato tanto tempo quanto sono stato seduto: è una fatica
anche l'essere trasportati a lungo e non so se è maggiore perché contro
natura: la natura ci ha dato i piedi per camminare da soli, gli occhi per
vedere da soli. Le mollezze ci hanno indebolito e non possiamo più fare
ciò che per lungo tempo non abbiamo voluto fare. 2 Tuttavia era per me
indispensabile scuotere il corpo, sia perché si dissipasse la bile che avevo in
gola, sia perché lo sballottamento normalizzasse il respiro che per qualche
motivo era troppo frequente; insomma, mi è parso che mi giovasse. Ho,
perciò continuato a farmi trasportare, invitato anche dalla costa, che
forma una curva tra Cuma e la villa di Servilio Vazia: da una parte il mare, dall'altra
il lago la chiudono a formare uno stretto passaggio. Una recente burrasca lo
aveva reso compatto; come sai, le onde ripetute e violente spianano il
litorale; un periodo piuttosto lungo di bel tempo, invece, lo sfalda, perché la
sabbia, che viene tenuta insieme dall'acqua, perde l'umidità.
3 Come mia abitudine, ho cominciato a guardarmi intorno per
trovare qualcosa che potesse essermi utile e ho rivolto lo sguardo alla villa
che un tempo era di Vazia. Là era diventato vecchio quel ricco ex
pretore, noto solo per la sua vita ritirata e solo per questo motivo ritenuto
fortunato. Tutte le volte che l'amicizia per Asinio Gallo, oppure l'odio o
l'amore per Seiano (era ugualmente pericoloso sia averlo offeso, sia averlo
amato) faceva cadere qualcuno in disgrazia, la gente esclamava: "Vazia, tu
solo sai vivere." 4 Ma lui sapeva stare nascosto, non vivere; c'è
una grande differenza tra una vita ritirata e una vita oziosa. Non passavo mai
davanti a questa villa, quando era vivo, senza dire: "Qui è sepolto
Vazia." Ma, mio caro Lucilio, la filosofia è talmente sacra e
veneranda che se qualcosa le somiglia, la apprezziamo nonostante sia una
contraffazione. Per la massa chi conduce una vita appartata è un uomo
libero da impegni, sereno, soddisfatto di sé, che vive per se stesso; e,
invece, tutto ciò può toccare solo al saggio. Lui solo sa vivere
per se stesso, perché egli, e questa è la cosa più importante, sa
vivere. 5 Chi fugge uomini e cose, chi si isola perché deluso nelle proprie
aspettative, chi non può sopportare la vista di altri più
fortunati, chi si nasconde per paura, come un animale pavido e incapace di
reagire, quell'uomo non vive per se stesso, ma, ed è veramente una
vergogna, per mangiare, dormire e soddisfare tutti i propri piaceri. Non vive
per sé chi non vive per nessuno. Tuttavia l'essere costanti e il perseverare
nei propri propositi ha una forza tale che anche l'inerzia ostinata incute un
certo rispetto.
6 Sulla villa non ti posso scrivere niente di preciso; ne conosco solo
la facciata e l'esterno visibile a chiunque passi. Ci sono due grotte
artificiali, opera grandiosa, ampie come un vasto atrio: sull'una non batte mai
il sole, l'altra lo riceve fino al tramonto. Un ruscello, formato dall'acqua
del mare e del lago Acherusio, simile a un canale, attraversa un boschetto di
platani ed è sufficiente a nutrire dei pesci, anche se vi si attinge
incessantemente. Quando si può andare per mare, lo si risparmia; ma se
il brutto tempo costringe i pescatori a un riposo forzato, si mette mano a
quella comoda riserva. 7 La maggiore prerogativa della villa è,
però l'avere Baia vicina: si godono i piaceri che essa offre, senza
subirne gli svantaggi. E so che ha anche questo vantaggio: penso sia abitabile
tutto l'anno; vi soffia, infatti, lo zefiro, che essa riceve togliendolo a
Baia. Non fu sciocco Vazia a scegliere questa località per trascorrervi
da vecchio una vita appartata e inoperosa.
8 Ma il luogo di residenza influisce poco sulla serenità:
è l'animo che dà valore alle cose. Ho visto con i miei occhi
uomini tristi in ville ridenti e amene, ho visto uomini che parevano
indaffarati in piena solitudine. Perciò non devi pensare di non star
bene perché non sei in Campania. E perché, poi, non ci sei? Indirizza qui i
tuoi pensieri. 9 Puoi intrattenerti con gli amici assenti ogni volta e per
tutto il tempo che vuoi. Quando siamo lontani godiamo maggiormente di questo
grandissimo piacere; il frequentarsi ci rende esigenti e poiché talvolta
parliamo, passeggiamo, sediamo insieme, quando ci separiamo non pensiamo alle
persone che abbiamo visto da poco. 10 Dobbiamo sopportare serenamente la
lontananza perché spesso si è molto distanti anche da chi ci sta vicino.
Tieni conto innanzi tutto della separazione notturna, poi delle occupazioni
diverse, degli studi fatti in solitudine, degli spostamenti fuori città:
vedrai che i viaggi non ci tolgono molto.
56
1 Che io possa morire se, quando uno se ne sta appartato a
studiare, il silenzio è necessario come si pensa. Ecco, intorno a me
risuonano da ogni parte schiamazzi di tutti i tipi: abito proprio sopra uno
stabilimento balneare. Immagina ora ogni genere di baccano odioso agli orecchi:
quando i più forti si allenano e fanno sollevamento pesi, quando
faticano o fingono di faticare, odo gemiti, e, tutte le volte che trattengono
il fiato ed espirano, sibili e ansiti; quando càpita qualcuno pigro che
si contenta di un normale massaggio, sento lo scroscio delle mani che
percuotono le spalle e che dànno un suono diverso se battono piatte o
ricurve. Se poi arrivano quelli che giocano a palla e cominciano a contare i
colpi, è fatta. 2 Mettici ancora l'attaccabrighe, il ladro colto in
flagrante, quello cui piace sentire la propria voce mentre fa il bagno, e poi
le persone che si tuffano in piscina e smuovendo l'acqua fanno un fracasso
indiavolato. Oltre a tutti questi che, se non altro, hanno voci normali, pensa
al depilatore che spesso sfodera una vocetta sottile e stridula per farsi
notare e tace solo quando depila le ascelle e costringe un altro a gridare al
suo posto. Poi ci sono i vari richiami del venditore di bibite, il salsicciaio,
il pasticcere e tutti gli esercenti delle taverne che vendono la loro merce con
una particolare modulazione della voce.
3 "Sei di ferro", dici, "oppure sordo, se rimani
presente a te stesso fra tanti rumori diversi e discordi, mentre al nostro
Crisippo sembra di morire per il continuo salutare." Ma, perbacco, io di
questo frastuono non mi curo più che dello scorrere o del cadere
dell'acqua, sebbene senta che un popolo si è trasferito altrove per
questo solo motivo: non poteva sopportare il fragore delle cascate del Nilo. 4
Secondo me la voce distrae più del frastuono: quella attira
l'attenzione, quest'ultimo riempie e colpisce solo le orecchie. Tra i rumori
che mi risuonano intorno senza distrarmi metto le vetture che passano in corsa,
l'artigiano, mio coinquilino, e il vicino fabbro, oppure quel tale che, presso la
Meta Sudante, prova trombette e flauti, e non suona, ma strepita: 5 un suono
intermittente mi dà, però più fastidio di uno continuo. Ma
ormai mi sono così corazzato contro tutti questi rumori, che potrei
udire persino il comito dare il tempo ai rematori con voce stridula. Costringo
la mente a rimanere assorta in se stessa senza farsi distrarre da fattori
esterni; risuoni pure fuori di me ogni genere di fracasso, purché interiormente
non ci sia scompiglio, purché non combattano tra loro cupidigia e paura, purché
l'avarizia e l'intemperanza non siano in lotta e l'una non tormenti l'altra. A
che serve il silenzio dell'intero quartiere, se le passioni si agitano in noi?
6 Tutto era tranquillo nella placida quiete della notte.
È falso: non esiste nessuna placida quiete se non quella
regolata dalla ragione; la notte rivela l'inquietudine, non la elimina, cambia
semplicemente gli affanni. Quando dormiamo, i nostri sogni sono tormentati come
le nostre giornate: la vera tranquillità è quella in cui si
dispiega la saggezza. 7 Guarda quell'uomo cui si cerca di conciliare il sonno
facendo silenzio nell'ampia dimora: tutta la schiera dei servi tace e quelli
che si avvicinano alla sua stanza camminano in punta di piedi, perché nessun
rumore disturbi le sue orecchie: ma lui si gira di qua e di là e cerca
di prendere un po' di sonno tra le sue preoccupazioni; si lamenta di aver udito
qualcosa, in realtà non ha sentito niente. 8 Secondo te qual è il
motivo? È l'anima che strepita dentro di lui. Questa bisogna placare,
è la sua rivolta che deve essere sedata; non devi pensare che l'anima
è tranquilla, se il corpo riposa: talvolta la quiete stessa è
carica di inquietudine; perciò dobbiamo essere spronati ad agire e
impegnarci a svolgere qualche nobile attività tutte le volte che
l'inerzia, insofferente di se stessa, ci fa star male. 9 I grandi generali,
quando vedono che un soldato obbedisce controvoglia, lo tengono a freno con
qualche occupazione e lo impiegano in spedizioni militari. Chi ha molto da fare
non ha tempo di abbandonarsi alla dissolutezza. Senza dubbio il lavoro cancella
i vizi generati dall'ozio. Spesso ci si ritira a vita privata apparentemente
per disgusto dell'attività politica e malcontenti di una posizione
sterile e sgradita; tuttavia in quel nascondiglio dove ci hanno gettato la
paura e la stanchezza a volte si risveglia l'ambizione: non era stata
estirpata; era come spossata o anche sdegnata per il fallimento delle proprie
aspettative. 10 Lo stesso vale per la dissolutezza: a volte sembra essere
definitivamente scomparsa, ma poi tormenta coloro che hanno fatto professione
di moderazione e nella parsimonia ricerca i piaceri: erano stati abbandonati,
ma non condannati e li ricerca con più impeto quanto più è
nascosta. Tutti i vizi, se manifesti, sono meno gravi; anche le malattie si
avviano alla guarigione quando esplodono e mostrano la loro virulenza. Sappi
che l'avarizia, l'ambizione e le altre infermità spirituali dell'uomo
sono pericolosissime se si nascondono sotto un'apparente salute. 11 Sembriamo quieti,
ma in realtà non è così. Se siamo in buona fede, se
abbiamo chiamato a raccolta le nostre forze, se, come dicevo poco prima,
abbiamo disprezzato le belle apparenze, niente ci distoglierà: nessuna
voce di uomini o canto di uccelli interromperà i nostri buoni propositi,
ormai saldi e fermi. 12 Chi presta attenzione alle voci e agli eventi fortuiti,
ha un'indole incostante e incapace di raccoglimento interiore; ha in sé
preoccupazioni e timori che lo rendono ansioso, come scrive il nostro Virgilio:
e io, che poco tempo fa non temevo i dardi scagliati, né i Greci
raccolti in schiere contro di noi, ora sono spaventato da ogni soffio di vento,
ogni suono mi scuote e mi tiene in sospeso e temo in egual misura sia per il
compagno che per il peso che porto.
13 Il primo è il saggio che non teme i dardi scagliatigli
contro, né l'urto degli eserciti in fila serrata, né il fragore di una
città attaccata dai nemici: quest'altro non conosce la filosofia, teme
per i suoi beni e trasale a ogni più piccolo rumore, si abbatte per una
qualsiasi voce scambiandola per una minaccia, resta senza fiato al più
lieve movimento ed è timoroso per i suoi bagagli. 14 Scegli una
qualunque tra queste persone fortunate che si tirano dietro o che portano su di
sé molti beni, la vedrai "temere per il compagno e per il peso".
Sappi che sarai veramente tranquillo solo quando non ti toccherà nessun
clamore, quando nessuna voce ti scuoterà, né blanda, né minacciosa, né
vana e menzognera. 15 "E allora? Non è preferibile fare a meno una
volta buona di questo schiamazzo?" Certo; perciò me ne andrò
da questa casa. Ho voluto mettermi alla prova ed esercitarmi: che
necessità c'è di farsi tormentare più a lungo, quando
Ulisse trovò per i suoi compagni un rimedio tanto semplice anche contro
le Sirene? Stammi bene.
57
1 Dovevo tornare da Baia a Napoli e mi sono subito lasciato
convincere che minacciasse un temporale, per non sperimentare di nuovo la nave;
ma la strada era tanto fangosa che mi sembra quasi di essere stato
ancòra per mare. Quel giorno ho dovuto subire fino in fondo il destino
degli atleti: dopo l'unguento, nella galleria di Posillipo, ci ha assalito la
polvere. 2 Niente è più lungo di quello stretto passaggio, niente
più oscuro di quelle torce che ci servono non a vedere in mezzo alle
tenebre, ma a vedere le tenebre. Del resto anche se ci fosse luce, la
ingoierebbe la polvere che è fastidiosa e seccante anche all'aperto;
immagina là dentro: turbina su se stessa e così rinchiusa, non
avendo via d'uscita, ricade su quelli che l'hanno sollevata! Abbiamo
perciò sopportato due inconvenienti opposti nel medesimo tempo: per la
stessa strada, nello stesso giorno ci hanno tormentato polvere e fango.
3 Tuttavia quell'oscurità mi ha dato l'occasione di
riflettere: ho sentito un colpo al cuore e un'alterazione, ma senza paura,
causati dalla stranezza di quella situazione insolita e orribile. Non ti parlo
ora di me che sono un uomo molto lontano da un livello accettabile, né, tanto
meno, sono perfetto, ma di chi si è sottratto al dominio della sorte: anche
costui si turberà e sbiancherà in volto. 4 Ci sono reazioni, mio
caro, alle quali nemmeno un uomo virtuoso può sottrarsi: la natura gli
ricorda che è mortale. Contrae, perciò il volto di fronte al
dolore, rabbrividisce davanti agli imprevisti, gli si annebbia la vista, se
dall'orlo di una voragine guarda in basso: questa non è paura, ma un
impulso istintivo e irrazionale. 5 Per ciò uomini coraggiosi e
prontissimi a versare il loro sangue non sopportano la vista del sangue altrui;
certi si sentono venir meno e svengono se vedono medicare o esaminare una
ferita recente, altri una ferita vecchia e purulenta. C'è chi preferisce
ricevere un colpo di spada che vederlo dare. 6 Sentii, come dicevo, non un
turbamento, ma un'alterazione: poi, appena vidi riapparire la luce, ritornai
allegro senza pensarci e impormelo. Cominciai allora a dirmi quanto siamo
sciocchi a temere certe cose di più, certe altre di meno, quando poi
l'esito è identico. Che differenza c'è se ci cade addosso il
casotto delle sentinelle o un monte? Nessuna. Eppure c'è chi teme di
più quest'ultima evenienza, sebbene entrambe siano ugualmente mortali:
abbiamo più paura delle cause che degli effetti.
7 Pensi ora che io segua la dottrina degli Stoici, ossia che
l'anima di un uomo schiacciato da un enorme peso, non avendo via d'uscita, non
può perdurare e subito si dissolve? No, non lo faccio: la ritengo una
teoria sbagliata. 8 Come la fiamma non la si può schiacciare (infatti si
propaga intorno all'oggetto che la comprime), come l'aria non viene ferita da
colpi o sferzate e nemmeno si scinde, ma si riversa intorno al corpo che ne ha
preso il posto; così l'anima, formata di particelle sottilissime, non
può essere presa o uccisa dentro il corpo, ma, grazie alla sua
sottigliezza, erompe attraverso ciò che la comprime. Come il fulmine,
anche se ha colpito e illuminato un ampio spazio, si ritira attraverso una
piccola apertura, così l'anima, più sottile ancòra del
fuoco, può fuggire attraverso ogni corpo. 9 Sorge, perciò il
problema della sua immortalità. Tieni questo per certo: se sopravvive al
corpo, non può essere annientata in nessun modo: l'immortalità
non ammette eccezioni e, d'altra parte, nulla può nuocere a ciò
che è eterno. Stammi bene.
58
1 Mai come oggi mi sono reso conto della nostra povertà,
anzi penuria di vocaboli. Per caso si parlava di Platone e sono capitati mille
concetti che richiedevano un termine appropriato e non lo avevano, e altri che,
pur avendolo avuto in passato, lo avevano perso per la nostra sofisticheria. Ma
è tollerabile essere schizzinosi nella miseria? 2 Quello che i Greci
chiamano oistros (e cioè l'insetto che perseguita il bestiame e lo
disperde per i pascoli) i nostri avi lo chiamavano asilus. Puoi credere a
Virgilio:
Vicino al sacro bosco del Silaro e all'Alburno verdeggiante di
lecci vola in fitti sciami un insetto il cui nome romano è asilus e che
i Greci chiamano oistros, molesto, dal verso penetrante, che spaventa gli
armenti e li fa fuggire per i boschi.
3 Penso sia chiaro che il termine è caduto in disuso. Per
non tirarla alle lunghe, si usavano certe forme semplici come cernere ferro
inter se. Lo stesso Virgilio lo testimonia:
ingentis, genitos diversis partibus orbis, / inter se coiisse
viros et cernere ferro.
Ora diciamo decernere, si è perso l'uso della parola
semplice. 4 Gli antichi dicevano si iusso, ora si dice iussero. Non devi
credere a me, ma sempre a Virgilio:
cetera, qua iusso, mecum manus inferat arma.
5 Tanto zelo non è per dimostrarti quanto tempo ho perduto
a studiare la grammatica, ma per farti capire quanti termini usati da Ennio e
da Accio siano ammuffiti, se addirittura ci sono state sottratte parole di
Virgilio che pure scorriamo ogni giorno. 6 "Che significa questo
preambolo? Dove va a parare?" Non è un segreto: voglio, se è
possibile, usare la parola essentia con la tua approvazione; ma, in caso
contrario, la userò lo stesso anche se non ti piace. Garante, penso
autorevole, di questo vocabolo è Cicerone; se ne vuoi uno più
vicino a noi, Fabiano, facondo e raffinato, di eloquenza brillante anche per i
nostri gusti difficili. Se no, che accadrà, Lucilio mio? In che modo
diremo $ïšóßá$, realtà necessaria, sostanza che ha in sé il
fondamento di tutto? Permettimi allora, ti prego, di usare questo termine.
Cercherò peraltro, di esercitare con molta parsimonia il diritto che mi
concedi; anzi, forse mi accontenterò solo di questo diritto.
16 Ritorno ora a quello che ti ho promesso, ossia come Platone
divida in sei gruppi tutti gli esseri. Quel primo elemento definito
"ciò che è" non si percepisce né con la vista, né col
tatto, né con gli altri sensi: è solo pensabile. Ciò che è
in forma generale, come il genere uomo, non è visibile; ma è
visibile l'individuo particolare, come Cicerone e Catone. Noi non vediamo il
genere animale; lo pensiamo. Ne vediamo, invece, la specie, cavallo, cane. 17
Al secondo posto tra tutti gli esseri Platone colloca quello che sovrasta ed
è superiore a tutti; lo definisce l'essere per eccellenza. Poeta
è una parola di uso comune (tutti coloro che compongono versi hanno
questo nome), ma presso i Greci sta a designare uno solo: quando si sente dire
poeta, si intende Omero. Chi è, allora, questo essere? Naturalmente dio,
il più grande e il più potente di tutti gli esseri. 18 Il terzo
gruppo comprende quegli esseri che hanno un'esistenza propria; sono innumerevoli,
ma non sono visibili ai nostri occhi. Quali sono? È una concezione
particolare di Platone: le chiama "idee": tutto ciò che
vediamo deriva da esse e su di esse si modella. Sono immortali, immutabili,
inviolabili. 19 Senti ora che cos'è un'idea, o meglio, che cos'è
per Platone: "L'idea è il modello immortale degli esseri che la
natura genera." Ti spiegherò ora questa definizione perché ti sia
più chiaro il concetto. Voglio fare il tuo ritratto. Ho te come modello
del dipinto e la mia mente ne trae un aspetto da fissare nella sua opera;
così quell'immagine che mi ammaestra e mi indirizza e da cui deriva
l'imitazione, è l'idea. La natura possiede in numero infinito tali
modelli di uomini, di pesci, di alberi e a questi si conforma tutto ciò
che da essa nasce. 20 Il quarto posto l'occupa l'idos. Devi fare ben attenzione
per capire cosa sia questo idos e imputare a Platone, non a me, la
difficoltà del concetto; ma non c'è sottigliezza priva di
difficoltà. Poco fa mi sono servito dell'esempio del pittore. Quello,
per fare il ritratto di Virgilio, doveva guardarlo. L'immagine di Virgilio era
l'idea, il modello della futura opera; ciò che l'artista ne trae e ha
impresso nella sua opera è l'idos. 21 Che differenza c'è, chiedi?
L'idea è il modello, l'idos la forma desunta dal modello e impressa
nell'opera; l'artista imita l'una, crea l'altro. La statua ha un'immagine:
questa è l'idos. Il modello stesso ha un'immagine cui ha guardato
l'artista dando forma alla statua: questa è l'idea. Ancora, se vuoi
un'altra distinzione: l'idos è nell'opera, l'idea è fuori
dell'opera, e non solo fuori, ma precedente a essa. 22 Al quinto gruppo
appartengono gli esseri che esistono comunemente: questi cominciano a
riguardarci; qui c'è tutto: uomini, bestie, cose. Il sesto gruppo comprende
le cose che quasi esistono, come lo spazio, il tempo.
Tutto ciò che vediamo o tocchiamo Platone non lo annovera
tra gli esseri che ritiene abbiano un'esistenza propria; poiché essi scorrono e
di continuo diminuiscono o crescono. Nessuno di noi è in vecchiaia lo
stesso che in gioventù; nessuno di noi è al mattino lo stesso
della sera prima. I nostri corpi sono trascinati via come l'acqua dei fiumi.
Tutto ciò che vedi vola al ritmo del tempo: niente di quello che abbiamo
sotto gli occhi rimane tale e quale; io stesso mentre dico che queste cose
cambiano, sono cambiato. 23 Dice Eraclito: "Non ci si può immergere
due volte nello stesso fiume." Il nome del fiume rimane lo stesso, ma
l'acqua è passata oltre. È un fenomeno più evidente in un
corso d'acqua che nell'uomo; ma il flusso che trascina via anche noi è
altrettanto veloce; perciò mi stupisco della nostra insensatezza: amiamo
tanto una cosa fugacissima, il nostro corpo, e temiamo il momento della morte,
mentre ogni momento è la morte dello stato precedente: non devi temere
che avvenga una volta ciò che avviene ogni giorno! 24 Ho parlato
dell'uomo, materia fragile e caduca, esposta a ogni influenza: anche
l'universo, eterno e indistruttibile, muta e non rimane uguale a se stesso.
Sebbene abbia in sé tutti i fattori originari, li ha diversi dallo stadio
primitivo: cambia l'ordine.
25 "A che mi servono," dirai, "queste
sottigliezze?" Vuoi il mio parere? A niente. Ma come l'incisore distoglie
e volge altrove gli occhi stanchi per la lunga concentrazione e, come si suol
dire, li ristora, così anche noi dobbiamo ogni tanto concedere riposo
alla nostra anima e ricrearla con qualche svago. Ma anche le distrazioni devono
essere attività; se farai attenzione, potrai ricavarne salutari
insegnamenti. 26 Io di solito mi comporto così, caro Lucilio: da
qualsiasi nozione, anche se non ha niente a che fare con la filosofia, cerco di
enucleare e di procurarmi qualche concetto utile. Gli argomenti or ora trattati
non hanno il minimo rapporto con la questione morale. Come possono migliorarmi
le idee platoniche? Che insegnamento posso trarne per dominare le mie passioni?
Questo, per esempio: Platone nega un'esistenza vera e propria a tutte le cose
soggette ai sensi, che ci infiammano e ci stimolano. 27 Sono quindi, immaginarie,
hanno una forma esteriore, limitata nel tempo, ma non sono né stabili, né
concrete; eppure noi le desideriamo come se fossero eterne o potessimo
possederle per sempre. Deboli e fragili ci soffermiamo tra cose prive di
sostanza: rivolgiamo, invece, l'anima a ciò che è eterno.
Contempliamo stupiti le forme di tutte le cose volare altissime e dio che sta
in mezzo a esse: egli provvede a difendere dalla morte quegli esseri che non ha
potuto creare immortali per l'ostacolo della materia, e a vincere con la ragione
la limitatezza del corpo.
È bene, allora, disdegnare la vecchiaia avanzata e non
aspettare la morte, ma darsela con le proprie mani? Ecco il mio parere. Se uno
attende inerte il proprio destino, non è dissimile da chi lo teme, come
è un ubriacone chi vuota la bottiglia e beve anche la feccia. 33
Dovremo, però chiederci se l'ultima parte della vita è feccia o
piuttosto bevanda limpidissima e purissima, sempre che la mente sia sana e i
sensi integri aiutino l'anima, e il corpo non sia in declino e morto prima del
tempo; importa molto, se prolunghiamo la vita o la morte. 34 Ma se il corpo non
assolve più le sue funzioni, non è meglio liberare l'anima dalle
sue sofferenze? E forse bisogna agire un po' prima del dovuto perché, arrivato
il momento, non ci si trovi nell'impossibilità di farlo; il pericolo di
vivere male è maggiore del pericolo di morire presto; quindi, se uno non
scongiura il rischio di una grande disgrazia per guadagnare un po' di tempo,
è pazzo. Pochi uomini sono morti vecchissimi senza subire danno; molti
hanno condotto un'esistenza passiva e inutile: aver perduto una parte della
vita ti sembra tanto più crudele che perdere il diritto di mettervi
fine? 35 Non ascoltarmi contro voglia, come se il mio parere ormai ti riguardasse
direttamente e pondera bene quello che ti dico: non abbandonerò la
vecchiaia, se mi conserverà integro, ma integro nella parte migliore di
me; se, però comincerà a turbare e a sconvolgermi la mente, se
non mi lascerà la vita, ma solo il soffio vitale, mi precipiterò
fuori dall'edificio marcio e in rovina. 36 Non fuggirò la malattia con
la morte, purché non sia una malattia inguaribile e non danneggi l'anima. Non
mi darò la morte per paura del dolore: morire così significa darsi
per vinto. Tuttavia, se saprò di dover soffrire per tutta la vita, me ne
andrò non per il dolore in se stesso, ma perché mi sarebbe di ostacolo a
tutte quelle attività che sono lo scopo dell'esistenza; è debole
e vile chi si dà la morte per paura del dolore, è insensato chi
vive per soffrire.
37 Ma la sto tirando troppo alla lunga; ho ancora argomenti che
potrebbero occupare un giorno intero: e come potrà mettere fine alla sua
vita un uomo incapace di finire una lettera? Perciò addio: leggerai
più volentieri questo commiato, che tutti i miei ragionamenti sulla
morte. Stammi bene.
59
1 La tua lettera mi ha fatto molto piacere; permettimi di usare le
parole nel significato comune e non rifarti a quello degli Stoici. Per noi il
piacere è un vizio. Sia pure; tuttavia di solito usiamo questo termine
per indicare uno stato d'animo gioioso. 2 Sì, lo so che il piacere, se
ci rifacciamo al vocabolario stoico, è una cosa infame e che la gioia
può toccare solo al saggio; infatti è l'elevazione dell'anima
fiduciosa in quello che ha in sé di buono e di vero. Abitualmente, tuttavia,
diciamo di aver provato una grande gioia per l'elezione a console di un amico,
o per le sue nozze, o perché la moglie ha partorito, tutti avvenimenti che non
sono gioia, ma spesso inizio di sofferenze future; e, invece, è una
caratteristica della gioia non finire e non mutarsi in dolore. 3 Perciò
quando il nostro Virgilio scrive
le malvagie gioie dello spirito,
si esprime con eleganza, ma con poca proprietà: non esiste
gioia malvagia. Egli ha dato questo nome ai piaceri e ha espresso con chiarezza
il suo pensiero; indica gli uomini contenti del proprio male. 4 Tuttavia non ho
sbagliato a dire che la tua lettera mi ha fatto molto piacere; infatti, anche
se è onesto il motivo per cui un uomo ignorante gioisce, quel sentimento
che egli non sa dominare e che inclina sùbito al suo opposto, lo chiamo
piacere: nasce dall'opinione di un falso bene e non ha moderazione, né misura.
Ma per tornare al tema del discorso, senti che cosa mi ha fatto
piacere nella tua lettera: domini le parole, e non ti lasci trasportare dalla
foga del discorso oltre i termini stabiliti. 5 Il fascino di qualche bel
vocabolo induce molti autori a scrivere anche cose che non si erano proposti;
questo a te non succede: tutto è stringato e attinente all'argomento;
esponi le tue idee e lasci intendere più di quanto dici. Questo è
indice di un fatto più importante: è chiaro che anche nel tuo
animo non c'è niente di superfluo, di eccessivo. 6 Trovo, però
metafore ardite, anche se non al punto di essere pericolose; trovo immagini
che, secondo alcuni, non dovremmo usare perché lecite solo ai poeti. Costoro,
credo, non hanno letto nessuno degli antichi scrittori, che non ricercavano
ancora gli applausi coi loro discorsi; essi parlavano con semplicità per
dimostrare un concetto e facevano largo uso di similitudini; io le ritengo
necessarie non per lo stesso motivo per cui sono necessarie ai poeti, ma come
sostegno alla nostra debolezza per favorire la concentrazione di chi parla e di
chi ascolta sull'argomento trattato.
7 Ecco, ora sto leggendo Sestio, uomo acuto che scrive di
filosofia in greco, basandosi sulla morale romana. Mi ha colpito questa sua
immagine: un esercito avanza a colonne affiancate, pronto al combattimento,
quando si teme da ogni parte un attacco nemico. "Lo stesso," dice,
"deve fare il saggio: spieghi in ogni direzione tutte le sue virtù
e dovunque si manifesti un pericolo, là siano pronte le difese e
rispondano al cenno del comandante senza creare scompiglio." Negli
eserciti guidati da grandi condottieri, noi vediamo che tutte le truppe sentono
nello stesso momento l'ordine del comandante e sono disposte in modo che il
segnale dato da un solo uomo arrivi simultaneamente alla fanteria e alla
cavalleria; Sestio afferma che questa tattica è ancora più necessaria
per noi. 8 I soldati spesso temono il nemico senza motivo, ma poi la marcia che
li spaventava tanto non presenta nessun pericolo: l'uomo insensato non è
mai tranquillo; i motivi di paura gli vengono dall'alto e dal basso, da destra
e da sinistra; i pericoli gli si parano davanti e lo seguono. Trepida di fronte
a tutto, è colto sempre di sorpresa e l'atterriscono i suoi stessi
soccorritori. Il saggio, invece, è premunito e pronto a ogni attacco;
non indietreggerà se la povertà, i lutti, il disonore, il dolore
lo assalgono: avanzerà imperterrito contro di essi e in mezzo ad essi. 9
Sono molte le cose che ci vincolano e ci indeboliscono. A lungo ci siamo
crogiolati nei vizi ed è difficile far piazza pulita: non ci siamo solo
insozzati, ma addirittura infettati.
Per non passare da una similitudine all'altra, ti chiederò
una cosa su cui spesso rifletto: perché la stupidità ci domina con tanta
ostinazione? Punto primo: non la respingiamo con forza e non tendiamo con
slancio alla salvezza; punto secondo: non abbiamo sufficiente fiducia nelle
verità scoperte dai saggi, non le accogliamo nel profondo del cuore e ci
dedichiamo con scarso impegno a una questione tanto importante. 10 Come
può imparare quanto serve per combattere i vizi chi si applica nei
ritagli di tempo che i vizi gli lasciano? Nessuno di noi va a fondo; cogliamo
solo quanto è in superficie e i pochi minuti spesi per la filosofia
bastano e avanzano per gente tanto affaccendata.
14 Ti insegnerò come tu possa renderti conto di non essere
saggio. Il saggio è pieno di gioia, allegro e sereno, imperturbabile; la
sua vita è pari a quella degli dèi. E ora esamina te stesso: se
non sei mai triste, se nessuna speranza ti fa trepidare in attesa del futuro,
se notte e giorno il tuo spirito fiero e soddisfatto di sé mantiene un
atteggiamento stabile e sempre uguale, hai toccato il culmine dell'umano bene;
ma se cerchi dovunque ogni genere di piaceri, sappi che ti mancano ugualmente
saggezza e gioia. Vuoi raggiungerla, ma sbagli se speri di arrivarci tra le
ricchezze e gli onori: cerchi cioè la gioia tra gli affanni: i falsi
beni, cui aspiri convinto che ti daranno contentezza e piacere, sono causa di
dolori. 15 Tutti, lo ribadisco, tendono alla gioia, ma ignorano dove sia
possibile trovarne una duratura e intensa: c'è chi la cerca nei
banchetti e nell'intemperanza, chi nell'ambizione e nella folla dei clienti che
gli si accalcano intorno, chi nell'amante, chi poi nella vana ostentazione
delle scienze liberali e negli studi letterari che non giovano a niente; tutti
costoro si lasciano ingannare da piaceri fallaci e di breve durata, come
l'ubriachezza che fa scontare l'allegra pazzia di un'ora con un lungo
malessere, come gli applausi e il favore della folla acclamante che si ottiene
e si paga a prezzo di gravi preoccupazioni. 16 Riflettici; questo è il
risultato della saggezza: una gioia stabile. L'animo del saggio è come
il mondo sulla luna: là c'è sempre il sereno. Hai, dunque, un
valido motivo per desiderare la saggezza: una gioia perpetua. Questa gioia
nasce unicamente dalla coscienza delle proprie virtù: può gioire
solo l'uomo forte, giusto, temperante. 17 "E allora?" chiedi.
"Gli stolti e i malvagi non provano gioia?" Non più dei leoni
che conquistano la preda. Quando sono stanchi di vino e di orge, quando hanno
passato la notte negli stravizi, quando i piaceri accumulati smisuratamente nel
corpo cominciano a farlo marcire, allora, infelici, gridano quel famoso verso
virgiliano:
Tu sai come abbiamo trascorso l'ultima notte tra false gioie.
18 I lussuriosi passano ogni notte tra false gioie e come se fosse
l'ultima: ma quella gioia che tocca agli dèi e a chi li emula è
continua, senza fine; finirebbe, se derivasse da altri. Ma poiché non è
un dono di altri, non è soggetta all'arbitrio altrui: la sorte non
può strappare ciò che non ci ha dato. Stammi bene.
60
61
1 Finiamola di volere le stesse cose che in passato! Per quel che
mi riguarda, ora che sono vecchio, cerco di non avere gli stessi desideri che
avevo da fanciullo. Questo solo è lo scopo dei miei giorni e delle mie
notti, la mia occupazione, il mio pensiero fisso: porre fine ai mali di un
tempo. Faccio in modo che un giorno corrisponda a tutta una vita; e perbacco,
non lo afferro come se fosse l'ultimo, ma lo considero come se potesse anche
essere l'ultimo. 2 Ti scrivo questa lettera e il mio stato d'animo è
tale come se la morte dovesse chiamarmi proprio ora mentre sto scrivendo; sono
pronto ad andarmene e continuerò a godere della vita perché non mi
preoccupo troppo di quanto durerà ancora. Prima di diventare vecchio ho
cercato di vivere bene, ora che sono vecchio cerco di morire bene; ma morire
bene significa morire volentieri. 3 Vedi di non fare mai nulla contro la tua
volontà: tutto quello che è una costrizione se uno fa resistenza,
non lo è per chi lo accetta. Ascolta: chi obbedisce volentieri agli
ordini evita la parte più dura della schiavitù: fare quello che
non vuole. Infelice non è chi esegue un ordine, ma chi lo esegue contro
la propria volontà. Disponiamoci, perciò a volere quello che le
circostanze esigono e prima di tutto a pensare senza tristezza alla nostra
fine. 4 Prepariamoci a morire prima che a vivere. Per vivere abbiamo abbastanza,
ma noi siamo sempre avidi; ci sembra, e ci sembrerà sempre, che ci
manchi qualcosa: non gli anni e nemmeno i giorni, ma lo spirito ci dice se
abbiamo vissuto abbastanza. Ho vissuto abbastanza, carissimo Lucilio; ora,
sazio, aspetto la morte. Stammi bene.
62
1 Mente chi sostiene che la mole dei suoi affari gli impedisce di
dedicarsi agli studi: finge impegni, li aumenta e si tormenta da sé. Io sono
libero, Lucilio, sono libero e dovunque mi trovi sono padrone di me stesso. Non
mi abbandono alle cose, mi presto ad esse e non cerco scuse per perdere tempo;
dovunque mi fermi, mi immergo nei miei pensieri e medito su qualcosa di utile.
2 Quando mi dedico agli amici, non mi distolgo da me stesso; e non mi
intrattengo con quelli ai quali mi hanno legato le circostanze o gli obblighi
derivanti da pubblici uffici, ma sto con i migliori; rivolgo a loro il mio
pensiero dovunque e in qualunque periodo siano vissuti. 3 Porto sempre con me
Demetrio, uomo stimabilissimo e, lasciati da parte i porporati, parlo con lui
benché vestito poveramente e lo ammiro. Perché non dovrei? Mi sono accorto che
non gli manca nulla. C'è qualcuno capace di disprezzare tutto, ma
nessuno può avere tutto: la via più breve per arrivare alla
ricchezza è una: il disprezzo. Il nostro Demetrio vive così: non
disprezza tutto, ma ne ha lasciato il possesso agli altri. Stammi bene.
63
Comportati, dunque, mio caro, in modo adatto al tuo equilibrio,
non interpretare in maniera distorta un beneficio della fortuna: ti ha tolto,
ma ti ha dato. 8 Godiamo, perciò avidamente della presenza degli amici,
perché non sappiamo per quanto tempo ci possa toccare. Basta riflettere a
quante volte li abbiamo lasciati per qualche lungo viaggio o come siamo stati
tanto senza vederli pur abitando nello stesso luogo; è facile rendersi
conto che abbiamo perduto più tempo quando erano vivi. 9 Come si fa a
tollerare che uomini tanto trascurati con gli amici piangano poi disperatamente
e non amino nessuno, se non dopo averlo perduto? Temono che si dubiti del loro
amore e allora si abbandonano alla disperazione, cercano tardive testimonianze
del loro affetto. 10 Se abbiamo altri amici e non possono esserci di conforto
per la perdita di uno solo, ci comportiamo male con loro e li stimiamo poco; se
non ne abbiamo altri, il male che ci siamo inflitti da noi stessi è
superiore a quello che ci viene dalla sorte: essa ci ha tolto un solo amico,
noi tutti quelli che non ci siamo fatti. 11 E poi chi non sa amare più
di uno, non ama eccessivamente neppure quel solo. Se un tale, rimasto a
sèguito di un furto sprovvisto dell'unica veste che possedeva,
preferisce piangere nudo invece che cercare un modo per scampare al freddo e
trovare qualcosa con cui coprirsi le spalle, non ti sembrerebbe completamente
pazzo? Hai seppellito una persona che amavi? Cercane un'altra da amare. Invece
di piangere, è meglio farsi un nuovo amico.
12 Quello che sto per aggiungere è trito e ritrito, lo so;
ma non voglio tralasciarlo solo perché lo hanno già detto tutti:
"Col passare del tempo sente esaurirsi il proprio dolore anche chi non vi
ha posto fine volontariamente." Ma è proprio una vergogna per un
individuo assennato che il rimedio al dolore sia la stanchezza di soffrire:
è meglio che sia tu a lasciare il dolore, non il dolore te; rinuncia
subito a un atteggiamento che, anche volendo, non sarai in grado di sostenere a
lungo. 13 I nostri padri stabilirono un anno di lutto per le donne, ma come
limite massimo, non minimo, al pianto; per gli uomini, invece, la legge non
fissa nessun periodo, perché non sarebbe dignitoso. Puoi menzionarmi una sola
di quelle donnette che, tirate via a forza dal rogo, allontanate a stento dal
cadavere del marito, abbia pianto per tutto un mese? Niente viene più
rapidamente a noia del dolore e, se è recente, trova un consolatore e
attira qualcuno a sé, ma se è di vecchia data, è deriso, e a
ragione: o è simulato o è stupido.
64
1 Ieri sei stato insieme a noi. Potresti lamentarti, se si fosse
trattato solo di ieri; perciò ho aggiunto "con noi": con me ci
sei sempre. Sono venuti certi amici e per loro il fumo è aumentato; non
quel fumo che erompe dalle cucine dei ricchi e mette in allarme i vigili, ma
quello moderato che indica l'arrivo di ospiti. 2 Abbiamo parlato di tanti
argomenti, come si fa durante un banchetto, senza esaurirne nessuno, ma
saltando dall'uno all'altro. Poi abbiamo letto il libro di Quinto Sestio padre,
un grande uomo, parola mia, e uno stoico, anche se lui non si riconosce tale. 3
Che vigore, buon dio, che temperamento! Non in tutti i filosofi lo troverai:
certi, che pure sono famosi, hanno scritto pagine senza nerbo. Ammaestrano,
discutono, cavillano, non infondono energia: non ne hanno; se leggi Sestio,
dirai: "È vivo, è vigoroso, è libero, è
superiore agli altri, mi lascia una notevole carica di fiducia." 4 Ti
confesserò qual è il mio stato d'animo quando lo leggo: ho voglia
di sfidare tutti gli eventi, ho voglia di gridare: "Perché questo indugio,
o sorte? Attacca, sono pronto." Mi rivesto dello spirito di uno che,
cercando di dar prova del proprio valore e di sperimentare se stesso,
desidera ardentemente di imbattersi tra imbelli armenti in un
cinghiale con la bava alla bocca, o che scenda dai monti un fulvo leone.
5 Avere qualche ostacolo da vincere ed esercitarvi la mia
fermezza: ecco quello che mi piace. Sestio ha quest'altra straordinaria dote:
ti mostra la grandezza della felicità, ma non ti fa disperare di
ottenerla: comprenderai che la felicità si trova molto in alto, ma
è accessibile, se uno vuole. 6 Ed è proprio quello che la
virtù ti darà: un senso di ammirazione nei suoi confronti e la
speranza di raggiungerla. A me la semplice contemplazione della saggezza porta
via molto tempo; la guardo stupefatto, come guardo talvolta l'universo che
spesso vedo con occhi nuovi. 7 Nutro, perciò venerazione per le scoperte
della saggezza e per chi le opera. Mi piace venirne in possesso come se fossero
eredità di molti. Queste conquiste, questi sforzi sono stati fatti per
me. Ma comportiamoci come un buon padre di famiglia, ampliamo il patrimonio
ricevuto; quest'eredità passi accresciuta da me ai posteri. Da fare
resta ancora molto e molto ne resterà, e a nessuno, sia pure fra mille
secoli, sarà negata la possibilità di aggiungere qualche cosa
ancora. 8 Ma anche se gli antichi hanno scoperto tutto, l'applicazione, la
conoscenza e l'organizzazione delle scoperte altrui sarà sempre nuova.
Supponi che ci siano stati lasciati dei farmaci per sanare gli occhi: non ho
bisogno di cercarne altri; ma quelli che ho devo adattarli alle malattie e alle
circostanze. Uno allevia il bruciore agli occhi; un altro attenua il gonfiore
delle palpebre; con questo si può stroncare uno spasmo improvviso e
l'eccessiva lacrimazione, quest'altro acuisce la vista; bisogna poi triturare
le erbe mediche, scegliere il momento giusto per la cura e dosarle secondo le
necessità del paziente. Gli antichi hanno trovato farmaci per i mali dell'anima;
come o quando vanno adoperati spetta a noi ricercarlo. 9 I nostri predecessori
hanno fatto molto, ma non hanno fatto tutto. Pure vanno rispettati e venerati
come dèi. Perché non dovrei tenere i ritratti dei grandi uomini come
sprone morale e non dovrei celebrarne l'anniversario della nascita? Perché non
dovrei menzionarli sempre a titolo di onore? Devo un'identica venerazione ai
miei maestri e a loro, maestri dell'umanità: sono stati loro la fonte di
un bene così prezioso. 10 Se incontro un console o un pretore, gli
tributo l'onore dovuto alla sua carica: balzo giù da cavallo, mi scopro
il capo, cedo il passo. Ma come? I due Catoni, Lelio il saggio, Socrate e
Platone, Zenone e Cleante li accoglierò nel mio animo senza il massimo
rispetto? Anzi, li venero e mi alzo sempre in piedi di fronte a nomi tanto
importanti. Stammi bene.
65
1 Ieri la giornata l'ho divisa con la malattia: il mattino se
l'è preso lei, nel pomeriggio ho avuto la meglio io. E così,
dapprima ho messo alla prova il mio spirito con la lettura, poi, visto che
l'aveva accolta bene, ho osato imporgli, anzi, permettergli di più: ho
scritto qualcosa e con più zelo del solito, alle prese con un argomento
difficile senza volermi arrendere; ma poi sono arrivati degli amici e con la forza
mi hanno costretto a smettere come se fossi un malato recalcitrante. 2 Allo
scrivere è subentrata la conversazione: te ne riferirò la parte
controversa. Come arbitro abbiamo designato te. Hai più daffare di
quanto immagini: la controversia è triplice.
I nostri Stoici, ti è ben noto, sostengono che in natura ci
sono due elementi da cui deriva tutto, la causa e la materia. La materia giace
inerte, una cosa pronta a ogni trasformazione, ma destinata alla stasi se
nessuno la muove; la causa, invece, cioè la ragione, plasma la materia,
la modifica come vuole e ne ricava opere diverse. Deve esserci quindi un
elemento di cui una cosa è fatta e uno da cui è fatta: materia e
causa. 3 Ogni arte è imitazione della natura; perciò quello che
dicevo dell'universo trasferiscilo al campo operativo umano. Una statua ha
avuto e la materia a disposizione dell'artista e l'artista che ha dato una
forma alla materia; dunque nella statua la materia è stata il bronzo, la
causa lo scultore. Identico è il modo di essere di tutte le cose:
risultano dalla somma di ciò che subisce l'azione e di ciò che
agisce.
4 Per gli Stoici la causa è una sola, precisamente
ciò che agisce. Aristotele ritiene che la causa si articoli in tre modi:
"La prima causa," dice, "è proprio la materia, senza la
quale non può essere creato nulla; la seconda l'artefice; la terza
è la forma, che viene imposta alle singole opere come alla statua."
Aristotele la chiama idos. "A queste se ne aggiunge una quarta, il fine
dell'intera opera."
Pronuncia nella tua veste di giudice la sentenza e dichiara chi
secondo te sostiene la tesi più verisimile, non quella vera in assoluto;
ciò è al di sopra di noi quanto la verità stessa.
11 Questa massa di cause enunciate da Platone e Aristotele pecca
per eccesso o per difetto. Per difetto, se essi ritengono causa efficiente
qualunque elemento senza il quale non può farsi niente. Tra le cause
devono mettere il tempo: niente può farsi senza il tempo. Lo spazio: se
manca il luogo dove una cosa può avvenire, non avverrà neppure.
Il moto: senza di esso niente nasce o muore; senza il moto non c'è
nessuna attività, nessun mutamento. 12 Ma noi ora cerchiamo la causa
prima e universale. Deve essere semplice, poiché anche la materia è
semplice. La domanda è: qual è la causa? Ovviamente la ragione
creatrice, cioè dio; tutte quelle che hai riferito non sono molteplici e
singole cause, ma dipendono tutte da una sola, da quella efficiente. 13 Dici
che la forma è una causa? È l'artista che la imprime all'opera:
dunque, è una parte della causa, non la causa. Anche il modello non
è una causa, ma un mezzo indispensabile alla causa. Il modello è
indispensabile all'artista come lo scalpello, come la lima: senza di essi
l'arte non può procedere e tuttavia non sono parti o cause dell'arte. 14
"Il fine," si dice, "per cui l'artista si accinge a fare
qualcosa è una causa." Sarà una causa, ma accessoria, non
efficiente. Le cause accessorie sono innumerevoli: noi cerchiamo la causa
universale. Platone e Aristotele venendo meno al loro consueto acume hanno
affermato che l'intero universo, in quanto opera perfetta, è una causa;
ma c'è una grande differenza fra l'opera e la causa dell'opera.
23 Per ritornare al nostro tema, a questa libertà
servirà molto anche quella osservazione della natura di cui parlavamo or
ora; tutto è formato appunto di materia e di dio. Dio regola gli esseri
che, sparsi tutt'intorno, seguono colui che li governa e li guida. Chi agisce,
cioè dio, è più potente e prezioso della materia, la quale
subisce l'azione di dio. 24 La posizione che dio occupa nell'universo, l'anima
la occupa nell'uomo; in noi il corpo rappresenta quello che là
rappresenta la materia. Le cose inferiori siano sottomesse a quelle superiori;
siamo forti contro la sorte; non temiamo le offese, le ferite, il carcere, la
povertà. Cos'è la morte? O la fine o un passaggio. E io non temo
di finire (è lo stesso che non aver cominciato) e nemmeno di passare; in
nessun luogo avrò confini tanto ristretti. Stammi bene.
66
1 Ho rivisto dopo molti anni un mio compagno di scuola, Clarano:
vecchio, è superfluo aggiungerlo, ma energico e vigoroso di spirito e in
perpetua lotta col suo fragile corpo. La natura è stata ingiusta e ha
alloggiato male un'anima come la sua; o forse ci ha voluto dimostrare proprio
questo: che sotto qualsiasi spoglia può nascondersi un ingegno
straordinariamente forte e fecondo. Lui comunque ha superato ogni ostacolo e
dal disprezzo di sé è arrivato a disprezzare tutto il resto. 2 Secondo
me Virgilio sbaglia quando scrive:
La virtù è più gradita se proviene da un bel
corpo.
Alla virtù non servono ornamenti: è bella di per sé
e rende sacro il corpo in cui risiede. Il nostro Clarano ho cominciato a guardarlo
con occhi diversi: mi sembra bello e perfetto di corpo come lo è di
anima. 3 Un grand'uomo può sbucare da una capanna e un'anima bella e
generosa da un corpiciattolo deforme e debole. La natura, ritengo, vuol
dimostrare che la virtù nasce dovunque e perciò genera degli
individui come questi. Potendolo, avrebbe creato anime senza corpo; ma fa di
più: crea uomini menomati nel fisico, eppure capaci di abbattere ogni
ostacolo. 4 Per me Clarano è stato generato come esempio: possiamo
così capire che non è la deformità del corpo a rendere
brutta l'anima, ma la bellezza dell'anima a far bello il corpo.
Siamo stati insieme solo pochissimi giorni, e tuttavia abbiamo
parlato di molti argomenti: a mano a mano li trascriverò per mandarteli.
5 Ecco la discussione del primo giorno: come possono i beni essere sullo stesso
piano se si distinguono in tre categorie. Alcuni, secondo gli Stoici,
appartengono alla prima categoria, come la gioia, la pace, la salvezza della
patria; altri alla seconda e si manifestano in situazioni difficili, come la
capacità di sopportare i supplizi e un sereno equilibrio nelle malattie
gravi. Ai primi aspireremo senz'altro, ai secondi solo in caso di
necessità. Vi è poi la terza categoria: come la compostezza del
portamento, una faccia serena e onesta, un modo di muoversi adatto al saggio. 6
Se alcuni di questi beni si devono desiderare e altri respingere, come possono
essere sullo stesso piano?
Se vogliamo distinguerli, ritorniamo al bene primo ed esaminiamo
quale sia. Un'anima rivolta alla verità, consapevole di ciò che
va fuggito e di ciò che va cercato, capace di valutare le cose non in
base a pregiudizi, ma in base alla natura, un'anima che s'inserisce nella
totalità dell'universo, che ne scruta ogni manifestazione, ugualmente
attenta ai pensieri e alle opere, grande e impetuosa, non domata né da minacce,
né da lusinghe e neanche schiava della buona o della cattiva sorte, al di sopra
del contingente e dell'accidentale, un'anima di straordinaria bellezza, con un
perfetto equilibrio di dignità e di forza, sana e vigorosa,
imperturbabile e intrepida, che nessuna forza riesce a spezzare, che non si
lascia esaltare né deprimere dagli imprevisti: un'anima così, ecco la
virtù. 7 Questo sarebbe il suo aspetto, se mai potesse assumere un'unica
figura e mostrarsi una volta in tutto il suo insieme. E invece molte sono le
sembianze della virtù, determinate dalle azioni e dai molteplici casi
della vita: di per sé non diventa più grande o più piccola. Il
sommo bene non può decrescere e la virtù non può
retrocedere; le sue caratteristiche le muta di volta in volta, adeguandosi al
tipo di azioni che deve compiere. 8 Trasforma a propria somiglianza e colora di
sé tutto ciò che tocca; adorna azioni, amicizie, talvolta le case in cui
è penetrata e nelle quali ha riportato l'armonia; tutto ciò che
tocca lo rende piacevole, stupendo, straordinario. Perciò la sua forza e
la sua grandezza non possono aumentare: il massimo non comporta crescita; non
puoi trovare nulla di più giusto della giustizia, di più vero della
verità, di più moderato della moderazione. 9 Ogni virtù
consiste nella misura; e la misura ha una sua grandezza ben definita; la
costanza non può andare oltre se stessa, come la fiducia o la
verità o la fede. Che cosa può aggiungersi a ciò che
è perfetto? Niente. O non sarebbe perfetto se comportasse una qualche
aggiunta; lo stesso è per la virtù: se le si può
aggiungere qualcosa, vuol dire che le mancava. Anche l'onestà non
comporta aggiunte; è onestà per i motivi che ho detto. E allora?
Non pensi che dignità, giustizia, legittimità, abbiano la stessa
caratteristica, siano, cioè, comprese entro precisi limiti? Essere
suscettibile di crescita è indizio di una cosa imperfetta. 10 Ogni bene
obbedisce alle stesse leggi: utile pubblico e utile privato sono uniti, per
dio, come è inseparabile ciò che è lodevole da ciò
cui bisogna aspirare. Quindi le virtù sono tutte sullo stesso piano,
come le azioni dettate dalla virtù e tutti gli uomini che esercitano la
virtù. 11 Le virtù delle piante e degli animali sono mortali e
perciò sono fragili, caduche e incerte, conoscono impennate e flessioni,
perciò ne oscilla il valore. Una sola è la regola che si applica
alle virtù umane: una sola, difatti, è la ragione retta e
semplice. Niente è più divino del divino, più celeste del
celeste. 12 Le cose mortali decadono e si estinguono, si logorano, si
sviluppano, si esauriscono, si colmano; sono diseguali perché hanno una sorte
tanto incerta: la natura delle cose divine, invece, è una sola. La
ragione non è che una scintilla dello spirito divino che si trova nel
corpo umano; se la ragione è divina, e non esiste bene senza ragione,
ogni bene è divino. Tra le cose divine, inoltre, non c'è nessuna
differenza, quindi, non c'è neppure tra i beni. Perciò la gioia e
la sopportazione coraggiosa e ferma dei supplizi sono sullo stesso piano; in
entrambe è insita la stessa grandezza d'animo, nell'una mite e pacata,
nell'altra pugnace e veemente. 13 E allora? Secondo te il soldato che espugna
coraggiosamente le mura nemiche non è valoroso come il soldato che
sostiene un assedio con incrollabile fermezza? È grande Scipione che
stringe d'assedio Numanzia e ne obbliga i cittadini invitti a darsi la morte,
ma è grande anche il coraggio degli assediati: sanno che se uno
può darsi la morte ha una via d'uscita e spirano abbracciando la
libertà. Ugualmente anche le altre virtù sono sullo stesso piano,
serenità, lealtà, liberalità, costanza, moderazione,
tolleranza; hanno tutte come base la virtù, garanzia di un'anima onesta
e incrollabile.
14 "Ma come? Non c'è nessuna differenza tra la gioia e
la capacità di sopportare con fermezza il dolore?" Nessuna, quanto
a virtù: moltissima nelle manifestazioni dei due tipi di virtù;
in un caso c'è un naturale rilassamento e distensione dello spirito,
nell'altro un dolore innaturale. Perciò queste cose che sono agli
antipodi risultano indifferenti: la virtù è uguale in entrambi i
casi. 15 Non la cambiano le situazioni; quelle spiacevoli e difficili non la
rendono peggiore, come non la rendono migliore quelle gioiose e liete; la
virtù è, dunque, necessariamente uguale. In entrambi i tipi di
virtù le azioni che si compiono sono giuste, sagge, oneste allo stesso
modo; i beni sono, quindi, uguali e al di là di essi non può
comportarsi meglio né chi è nel pieno della gioia, né chi si trova nella
sofferenza; e quando di due cose non c'è niente di meglio, queste sono
sullo stesso piano. 16 Se c'è qualcosa al di fuori della virtù
che può sminuirla o accrescerla, l'onestà cessa di essere l'unico
bene. Ammettendo questo, scomparirebbe la categoria di onesto. Perché? Te lo
dico subito: perché non sono oneste le azioni compiute contro voglia o per
costrizione; tutto ciò che è onesto parte dalla volontà.
Mischiaci pigrizia, querimonie, esitazioni, paura: perde la sua qualità
migliore: l'essere contento di sé. Non c'è onestà, se non
c'è libertà; il timore genera la schiavitù.
18 So che cosa mi si può rispondere a questo punto:
"Tenti di persuaderci che non c'è nessuna differenza se uno
è immerso nella gioia, oppure se giace sul cavalletto di tortura e
stanca il suo carnefice?" Potrei risponderti: anche secondo Epicuro il
saggio, messo a bruciare nel toro di Falaride, griderebbe: "È
piacevole, non mi tocca." Di che cosa ti stupisci, se sostengo che sono
sullo stesso piano i beni di chi se ne sta sdraiato a mensa e di chi resiste
con grande fermezza tra i supplizi, quando Epicuro fa un'affermazione ancora
più incredibile, che è piacevole essere bruciati? 19 Ti rispondo,
invece, che c'è una grandissima differenza tra la gioia e il dolore;
messo di fronte a una scelta, ricercherei l'una ed eviterei l'altro: la prima
è secondo natura, il secondo contro natura. Finché li consideriamo sotto
questo aspetto, c'è tra loro una profonda differenza; ma quando si
arriva alla virtù, essa è uguale in entrambi i casi: si riveli in
circostanze liete o dolorose. 20 La sofferenza, il dolore e qualunque altro
disagio non hanno nessun peso: sono annientati dalla virtù. Lo splendore
del sole oscura le luci più fioche, così la virtù nella
sua grandezza elimina e annulla i dolori, le pene, le offese; dovunque
risplenda, tutto quello che in sua assenza aveva un rilievo, scompare e le
contrarietà, quando si imbattono nella virtù, non hanno più
importanza di un acquazzone sul mare. 21 Vuoi convincerti che le cose stanno
così? L'uomo virtuoso si slancerà senza esitare verso ogni azione
nobile: anche se gli sta di fronte il carnefice o l'aguzzino col fuoco,
rimarrà saldo e non prendere in considerazione quello che deve subire,
ma quello che deve fare, e si affiderà a un'azione onorevole, come a un
uomo onesto; la giudicherà utile, sicura e prospera. Avrà per
un'azione onorevole, ma dolorosa e difficile, la stessa stima che ha per un
uomo virtuoso, anche se povero oppure esule o gracile e smorto. 22 Metti da una
parte un uomo onesto e ricco, dall'altra uno nullatenente ma che possieda tutto
dentro di sé: entrambi saranno ugualmente uomini onesti, anche se godono di una
diversa fortuna. Lo stesso metro di giudizio vale, come ho già detto,
per le cose e per gli uomini: la virtù posta in un corpo robusto e
libero è lodevole quanto in un corpo malato e in catene. 23 Quindi, se
la fortuna ti ha concesso un corpo sano, non devi stimare la tua virtù
maggiormente che se fossi mutilato in qualche parte: altrimenti sarà
come giudicare il padrone dall'aspetto degli schiavi. Tutti questi beni
soggetti al caso, denaro, corpo, onori, sono come schiavi, deboli, precari,
mortali, di incerto possesso: le opere della virtù sono, invece, libere
e invincibili e non bisogna ricercarle di più se la sorte le tratta
benevolmente, oppure meno se sono oppresse da circostanze avverse. 24 Il
desiderio per le cose è come l'amicizia per gli uomini. Non ameresti,
credo, un uomo onesto se fosse ricco più che se fosse povero, o se fosse
robusto e muscoloso più che se fosse gracile e debole; quindi, non
ricercherai o amerai di più una condizione lieta e tranquilla di una
straziante e gravosa. 25 Oppure, in questo caso, tra due uomini ugualmente onesti
avrai più caro quello pulito e curato di quello impolverato e
trasandato; poi arriverai al punto di apprezzare più un uomo integro in
tutte le membra e sano di uno storpio o guercio; a poco a poco diventerai
schifiltoso al punto da preferire, tra due uomini ugualmente giusti e saggi,
quello con i capelli lunghi e ricci. Quando la virtù è uguale in
entrambi, non ci sarà nessun'altra disuguaglianza; tutte le altre
caratteristiche non sono elementi integranti, ma accessori.
28 Perché non esiste bene superiore all'altro? Perché non esiste
nulla di più adatto dell'adatto, di più evidente dell'evidenza.
Se due cose sono uguali a un'altra, non puoi dire che la prima è
più uguale della seconda; quindi, non esiste niente di più onesto
dell'onesto. 29 E se uguale è la natura di tutte le virtù, i tre
generi di bene sono sullo stesso piano. Intendo dire: la moderazione nella
gioia e la moderazione nel dolore sono sullo stesso piano. La gioia non
è un bene superiore alla fermezza d'animo di chi reprime i gemiti sotto
la tortura: quelli sono beni desiderabili, questi degni di ammirazione; e
nondimeno sono entrambi sullo stesso piano, poiché quanto c'è di
negativo scompare sotto il peso di un bene tanto più grande. 30 Se uno
li ritiene diseguali, distoglie gli occhi dalla virtù in se stessa e ne
guarda gli aspetti esteriori. I veri beni hanno medesimo peso, medesima
grandezza: quelli falsi sono inconsistenti; splendidi e imponenti a guardarli,
pesati rivelano le loro carenze. 31 È così, caro Lucilio: tutto
quello che la vera ragione approva è solido ed eterno, rende forte
l'anima e la innalza per sempre a una sfera superiore: quei beni che vengono
apprezzati sconsideratamente e sono ritenuti tali dalla massa, inorgogliscono
gli uomini che si compiacciono di vanità; viceversa i fatti temuti come
mali incutono terrore negli animi e li sconvolgono come un apparente pericolo
sconvolge gli animali. 32 Beni e mali, dunque, rallegrano e affliggono l'animo
senza motivo: e invece gli uni non meritano gioia come gli altri non meritano
timore. Solo la ragione è immutabile e ferma nel giudicare, poiché non
è schiava, ma padrona dei sensi. La ragione è uguale alla
ragione, come la rettitudine alla rettitudine; quindi, anche la virtù
alla virtù; la virtù, difatti, non è altro che la retta
ragione. Tutte le virtù sono ragione e sono ragione se sono rette; ma se
sono rette sono anche uguali. 33 Le azioni sono tali e quali alla ragione;
quindi sono tutte uguali, poiché se sono simili alla ragione, sono anche simili
tra loro. Le azioni, dico, sono uguali tra loro in quanto sono oneste e rette;
ma si differenzieranno molto col variare della materia: ora è più
ampia, ora più ristretta, ora illustre, ora umile, ora riguardante
molti, ora pochi. Tuttavia in tutti questi casi l'elemento migliore è
uguale: sono azioni oneste. 34 Così come gli uomini virtuosi sono tutti
uguali poiché sono virtuosi, ma hanno differenze di età: uno è
più vecchio, un altro più giovane; di costituzione fisica: uno
è bello, un altro brutto; di sorte: quello è ricco, questo
povero; quello influente, potente, noto a città e nazioni, questo ignoto
e sconosciuto ai più. E tuttavia sono uguali in quanto sono virtuosi.
35 I sensi non possono giudicare sul bene e il male; non sanno che
cosa sia utile e che cosa sia inutile. Non possono esprimere un giudizio se non
sono messi di fronte alla realtà del momento; non prevedono il futuro,
non ricordano il passato; ignorano il principio di concatenazione. Ma è
in base a esso che si compone la serie e la successione degli eventi e
l'unità di una vita istradata sulla retta via. Dunque è compito
della ragione fare da arbitro tra il bene e il male; essa tiene in poco conto i
fattori estranei ed esteriori, e quelli che non sono né beni né mali li giudica
accessori e di nessuna importanza; per essa ogni bene è interiore. 36 Ma
alcuni li considera beni primarî da ricercarsi di proposito, come la vittoria,
i figli onesti, la salvezza della patria; altri secondari, che non si
manifestano se non nelle avversità, come sopportare serenamente le
malattie, il fuoco della tortura, l'esilio; altri indifferenti: non sono
secondo natura più che contro natura, come camminare con contegno o
sedere compostamente. Difatti, sedere è secondo natura quanto star fermi
o camminare. 37 Le prime due categorie di beni sono, invece, diverse: gli uni
sono secondo natura, gioire dell'amore dei figli, della salvezza della patria;
gli altri contro natura, affrontare con coraggio la tortura e sopportare la
sete quando la febbre brucia dentro. 38 "Ma come? È un bene una
cosa contro natura?" No; ma a volte è contro natura la situazione
in cui si manifesta quel bene. Essere feriti, bruciati dal fuoco, afflitti da
una malattia, è contro natura, ma conservare un animo imperturbabile in
queste circostanze è secondo natura. 39 E, per dirla in breve, la materia
del bene è talvolta contro natura, il bene mai, poiché non esiste nessun
bene senza ragione e la ragione segue la natura. "Che cos'è,
dunque, la ragione?" È l'imitazione della natura. "Qual
è il sommo bene dell'uomo?" Comportarsi secondo natura.
40 "Senza dubbio," si afferma, "una pace stabile
è più prospera di una riconquistata a prezzo di molto sangue.
Senza dubbio una salute di ferro è più prospera di una
riacquistata a forza e con tenacia, scampando a malattie gravi e al pericolo di
morte. Analogamente la gioia è senza dubbio un bene maggiore che un
animo saldo nel sopportare i tormenti delle ferite o del fuoco." 41 Niente
affatto: i beni fortuiti sono molto differenti tra loro poiché vengono valutati
in base all'utilità che ne ricava chi se ne serve. I veri beni, invece,
hanno un unico scopo: essere in sintonia con la natura; e questo è
uguale in tutti. Quando in senato aderiamo alla proposta di qualcuno, non
possiamo dire Tizio è più d'accordo di Caio. L'assenso è
unanime. Per le virtù è lo stesso: tutte concordano con la
natura. 42 Uno è morto giovane, un altro vecchio, un altro ancora
bambino e ha potuto solo affacciarsi alla vita: tutti costoro erano ugualmente
mortali, anche se la morte ha concesso che la vita di alcuni fosse più
lunga, mentre ha reciso nel suo fiorire o addirittura all'inizio quella
d'altri.
45 Non devi ammirare questo concetto come se appartenesse alla
scuola stoica: secondo Epicuro i beni che formano la felicità suprema
sono due: un corpo senza dolore e un'anima serena. Questi beni, se sono
completi, non si accrescono: come potrebbe accrescersi una cosa completa? Il
corpo non soffre: che cosa si può aggiungere a questa assenza di dolore?
L'anima è imperturbabile e serena: che cosa si può aggiungere a
questa serenità? 46 Il cielo quando è sereno e chiaro di un
purissimo splendore non può diventare ancora più limpido; allo
stesso modo la condizione dell'uomo che cura corpo e anima e costruisce su
entrambi il suo bene è perfetta ed egli vede esaudito il più
grande dei suoi desideri se l'anima è serena e il corpo non soffre. Gli
allettamenti che arrivano dall'esterno non accrescono il sommo bene, ma lo
rendono, per così dire, più gustoso e gradevole: il bene assoluto
dell'uomo consiste nella pace dell'anima e del corpo.
47 Ti esporrò ora una divisione che Epicuro fa dei beni:
è molto simile alla nostra. Secondo lui ci sono beni che vorrebbe gli
toccassero, come un corpo tranquillo, libero da ogni fastidio e un'anima serena
che goda di contemplare i suoi beni; ce ne sono altri che non vorrebbe gli
capitassero, nondimeno li loda e li apprezza, come quello di cui parlavo prima:
la sopportazione di malattie e di dolori atroci, ed Epicuro la dimostrò
nel giorno estremo della sua vita, il più felice. Alla vescica e al
ventre ulcerato lo tormentavano dolori che non avrebbero potuto essere
più forti e tuttavia sosteneva che quello era per lui un giorno felice.
Ma solo chi possiede il sommo bene può vivere un giorno felice. 48
Quindi, anche secondo Epicuro, ci sono beni che sarebbe preferibile non
sperimentare, ma che, se si presenta la necessità, si devono
abbracciare, apprezzare e giudicare uguali a quelli maggiori. Questo bene che
pose fine a una vita felice è senza dubbio uguale ai beni maggiori ed
Epicuro lo ringraziò con le sue ultime parole.
49 Lascia, mio ottimo Lucilio, che io esprima un concetto un po'
azzardato: se certi beni potessero essere maggiori di altri, a quelli piacevoli
e dolci io preferirei quelli che appaiono dolorosi, li definirei migliori. Ha
più valore superare le difficoltà che moderare le gioie. 50 Per
la stessa ragione accade, lo so bene, che alcuni accolgano con moderazione la
prosperità e con fermezza le disgrazie. Può essere ugualmente
prode il soldato che tranquillo ha fatto la guardia all'accampamento senza che
ci fosse nessun attacco da parte dei nemici e quello che, colpito alle gambe,
si è retto sulle ginocchia e non ha abbandonato le armi; ma:
"Gloria a voi!" si grida ai soldati che tornano insanguinati dalle
battaglie. Perciò oserei apprezzare maggiormente quei beni sottoposti a
dure prove e che esigono coraggio, in lotta con la fortuna. 51 Dovrei esitare a
lodare la mano mutilata, bruciata dal fuoco di Muzio Scevola più di
quella intatta di un uomo valorosissimo? Stette immobile disprezzando i nemici
e il fuoco, e guardò la propria mano consumarsi sul braciere del nemico,
finché Porsenna, che pure ne voleva il supplizio, fu geloso della sua gloria e
comandò che gli togliessero il braciere contro la sua volontà. 52
Questo bene perché non dovrei annoverarlo tra i primi e ritenerlo tanto
più grande di quelli che non creano affanni e non sono in contrasto con
la fortuna, quanto è più raro vincere il nemico senza una mano
che impugnando le armi? "Ma allora," mi chiedi, "ti augurerai
questo bene?" Perché no? Può ottenerlo solo l'uomo che può
anche desiderarlo. 53 O dovrei piuttosto desiderare di sottoporre il mio corpo
al massaggio dei miei amasi? O che una donnetta o un eunuco mi stirasse le
dita? Perché non dovrei considerare più fortunato Muzio? Col fuoco si
è comportato come se avesse porto la mano al massaggiatore. Rimediò
così all'errore commesso: senza armi e monco mise fine alla guerra e con
quella mano mutilata vinse due re. Stammi bene.
67
1 Apro la lettera con un argomento banale: è arrivata la
primavera; andiamo incontro all'estate e dovrebbe far caldo; la temperatura,
invece, è scesa e non c'è ancora da fidarsi; spesso sembra si
ripiombi nell'inverno. Vuoi avere una prova dell'attuale incertezza del tempo?
Non mi arrischio ancora a fare il bagno nell'acqua completamente fredda: ne
tempero il rigore. "Questo significa," tu dici, "non sopportare
né il caldo, né il freddo." È vero, Lucilio mio: ormai agli anni
miei basta il loro freddo; e a stento si sciolgono dal gelo in piena estate.
Perciò la maggior parte del tempo la passo sotto le coperte. 2 Ringrazio
la vecchiaia che mi costringe a letto: e perché non dovrei ringraziarla per
questo? Prima mi costringevo a non fare determinate cose, ora non posso farle.
Mi intrattengo soprattutto con i miei libri. Se a volte arrivano lettere tue,
mi sembra di stare con te e ho la sensazione di risponderti a voce, non per
iscritto. Sonderemo, perciò insieme, quasi parlassi con te, l'argomento
su cui mi interroghi.
3 Chiedi se ogni bene è desiderabile. "Se è un
bene," dici, "sopportare con fermezza la tortura, sottoporsi ai
tormenti del fuoco con coraggio, tollerare con pazienza le malattie, ne
consegue che questi beni siano desiderabili; ma io non ne vedo alcuno
desiderabile. E certamente fino a oggi non ho conosciuto nessuno che abbia
sciolto un voto per essere stato frustato o storpiato dalla podagra o tirato
sul cavalletto." 4 Fa' una precisa distinzione, caro Lucilio, e
comprenderai che in essi c'è qualcosa di desiderabile. Io vorrei evitare
la tortura, ma se dovrò subirla, desidero comportarmi da forte, con
dignità e coraggio. Certo, preferisco che non scoppi la guerra; ma se
scoppia, desidero sopportare da valoroso le ferite, la fame e tutti quei disagi
inevitabili in guerra. Non sono tanto pazzo da desiderare di ammalarmi, ma se
mi ammalo, desidero essere misurato e virile. Così, desiderabili non
sono le sofferenze, ma la virtù con cui si sopportano le sofferenze.
5 Certi Stoici ritengono che sopportare da forti tutte queste
avversità non è desiderabile, anche se non è neppure da
respingere, perché bisogna aspirare al bene puro, sereno e al di fuori di ogni
turbamento. Non sono d'accordo. Perché? Primo: non è possibile che una
cosa sia buona, ma non sia desiderabile; secondo: se la virtù è
desiderabile, e non esiste bene senza virtù, ne consegue che ogni bene
è desiderabile. Inoltre, anche se ‹i tormenti non sono desiderabili›,
desiderabile è la sopportazione coraggiosa dei tormenti. 6 Ora chiedo:
non è desiderabile il coraggio? Ebbene esso disprezza, sfida i pericoli;
e la sua caratteristica più bella e più straordinaria è
non arrendersi al fuoco, andare incontro alle ferite, certe volte non evitare
neppure i colpi, ma offrire il petto. Se il coraggio è desiderabile,
è desiderabile anche la sopportazione ferma dei tormenti: anch'essa fa
parte del coraggio. Ma fai una distinzione, come ho già detto: non puoi
sbagliare. Desiderabile non è subire i tormenti, bensì subirli da
forte; desidero proprio quel "da forte": in esso consiste la
virtù. 7 "Tuttavia chi mai si è augurato tutto questo?"
Certi desideri sono palesi e manifesti, quando vengono formulati singolarmente;
altri rimangono nascosti, se un unico voto ne comprende molti. Per esempio,
quando mi auguro una vita onesta; ma una vita onesta è formata da azioni
diverse: c'è la botte di Attilio Regolo, la ferita che Catone si
aprì con le sue mani, l'esilio di Rutilio, la coppa avvelenata che
portò Socrate dal carcere al cielo. Quindi, quando mi auguro una vita
onesta, mi auguro anche queste azioni, senza le quali la vita non può
essere onesta.
8 Tre e quattro volte beati coloro ai quali toccò in sorte
morire davanti agli occhi dei loro padri, sotto le alte mura di Troia.
C'è differenza tra augurare a qualcuno questa sorte o
affermare che era desiderabile? 9 Decio si sacrificò per la salvezza
della patria: spronò il cavallo e irruppe tra i nemici cercando la
morte. Dopo di lui il figlio, emulo del valore paterno, pronunziata la sacra
formula a lui familiare, piombò nel folto dei nemici, preoccupato solo
di offrirsi in sacrificio: giudicava desiderabile una morte da prode. E tu
dubiti che morire gloriosamente e compiendo un atto di valore sia bellissimo?
10 Quando uno sopporta con fermezza i tormenti, mette in pratica tutte le
virtù. Forse una sola virtù è evidente e manifesta
più delle altre, la sopportazione; ma c'è anche il coraggio:
sopportazione, resistenza, tolleranza ne sono le ramificazioni; c'è il
senno, senza il quale non si possono prendere decisioni e che ci induce a
sopportare con la maggiore forza possibile quello cui non ci si può
sottrarre; c'è la costanza, incrollabile e ferma nei suoi propositi a
dispetto di qualsiasi violenza; c'è tutto il corteggio inseparabile
delle virtù. Ogni azione virtuosa è opera di una sola
virtù, ma per decisione unanime di tutte le altre; quindi, ciò
che è approvato da tutte le virtù, anche se è opera di una
sola, è desiderabile.
11 Come? Secondo te è desiderabile solo quello che ci viene
attraverso il piacere e la vita tranquilla, e quello che è accolto con
grande festa? Ci sono beni dolorosi all'apparenza; ci sono voti la cui
realizzazione non viene esaltata da una schiera di gente che si congratula, ma
sono fatti oggetto di venerazione e rispetto. 12 Così tu non credi che
Regolo desiderasse raggiungere i Cartaginesi? Mettiti nello stato d'animo di
quel grande uomo e lascia un po' da parte i pregiudizi del volgo; cerca di
comprendere, come devi, la bellezza e la magnificenza della virtù: non
dobbiamo renderle omaggio con incenso e corone, ma con sudore e sangue. 13
Guarda Catone che porta al suo sacro petto le mani purissime e allarga le ferite
troppo superficiali. Gli dirai: "Mi auguro che sia come vuoi tu" e
"Mi dispiace"' oppure: "Che tutto ti vada bene"?
68
1 Condivido la tua risoluzione: vivi una vita ritirata, ma
nascondila agli altri. Sappi che così agirai se non secondo gli
insegnamenti, certo secondo l'esempio degli Stoici; e, tuttavia, anche secondo
gli insegnamenti: e potrai provarlo a te stesso e a chi vorrai. 2 Noi non
lasciamo che il saggio partecipi sempre e senza limiti di tempo a ogni forma di
governo; inoltre, quando gli diamo uno stato degno di lui, cioè
l'universo, egli non vive al di fuori della politica, anche se si è
isolato; anzi forse, lasciato da parte un unico cantuccio, si dedica a
questioni più importanti e vaste; collocato in cielo comprende come era
sceso in basso quando saliva alla sedia curule o sulla tribuna. Racchiudi in te
queste parole: mai il saggio è più operoso di quando si trova al
cospetto delle cose divine e umane.
3 Torno ora al mio consiglio iniziale: tieni nascosto il tuo
ritiro. Non dire che vuoi vivere una vita serena, dedita alla filosofia:
definisci altrimenti la tua decisione; chiamala malattia, debolezza, chiamala
anche peggio, pigrizia. È sciocca ambizione vantarsi di una vita
ritirata. 4 Certi animali, per non essere scovati, confondono le loro orme intorno
alla tana: devi fare lo stesso, altrimenti non mancheranno i seccatori. Molti
oltrepassano i luoghi facilmente accessibili ed esplorano quelli nascosti e
occulti; gli oggetti chiusi in cassaforte stimolano il ladro. Se una cosa
è sotto gli occhi di tutti, sembra di poco valore; lo scassinatore
tralascia quello che è a portata di mano. La massa e tutte le persone
ignoranti hanno queste abitudini: vogliono violare i segreti. 5 La miglior
cosa, perciò è non divulgare il proprio isolamento, anche se il
nascondersi troppo e l'allontanarsi dalla vista degli altri è già
un modo di divulgarlo. Uno si è ritirato a Taranto, un altro vive
confinato a Napoli, un terzo da anni non varca la soglia di casa; chi circonda
il suo ritiro di un alone di leggenda, richiama l'attenzione della massa.
6 Se ti isoli, devi fare in modo non che gli uomini parlino di te,
ma che tu parli con te stesso. E di che cosa? Fai quello che gli uomini fanno
molto volentieri nei confronti degli altri: critica te stesso; ti abituerai a
dire e ad ascoltare la verità. Considera soprattutto i lati più
deboli del tuo carattere. 7 Ciascuno conosce bene i difetti del proprio corpo.
Perciò c'è chi alleggerisce lo stomaco col vomito, chi lo
sostiene con pasti frequenti, chi libera il corpo e lo purifica col digiuno; le
persone che soffrono di podagra evitano di bere vino o di bagnarsi: trascurano
tutto il resto e si premuniscono contro la malattia che spesso li fa tribolare.
Allo stesso modo nella nostra anima ci sono delle parti - come dire? - inferme,
e vanno curate. Che cosa faccio nel mio ritiro? Curo la mia piaga. 8 Se ti
mostrassi un piede gonfio, una mano livida, i muscoli scarni di una gamba
contratta, mi consentiresti di stare inoperoso in un angolo e di curare la mia
malattia; più grave è il male che non posso mostrarti: la piaga
ulcerata ce l'ho nell'anima. Non voglio, non voglio che tu mi lodi, non voglio
che tu dica: "Che grand'uomo! Ha disprezzato ogni cosa ed è
fuggito; ha ripudiato le follie della vita umana." Io non ripudio niente,
solo me stesso. 9 Non c'è motivo che tu venga da me per trarne profitto.
Sbagli, se speri di trovare in me un aiuto: qui non abita un medico, ma un
ammalato. Preferisco che quando te ne andrai, tu dica: "Lo credevo un uomo
felice e colto, avevo drizzato le orecchie. Sono deluso, non ho visto nulla,
non ho udito nulla di quello che desideravo e che mi spinga a ritornare."
Se pensi, se parli così, c'è stato un progresso: è meglio
che tu abbia compassione, non invidia del mio ritiro.
10 "E proprio tu, Seneca," potresti obiettare, "mi
raccomandi una vita ritirata? Stai forse scivolando verso la dottrina
epicurea?" Ti raccomando una vita ritirata in cui svolgere attività
più importanti e più belle di quelle che hai lasciato: bussare
alle superbe porte degli uomini potenti, tenere un elenco dei vecchi privi di
eredi, esercitare un grande potere nel foro, è indice di
un'autorità che suscita invidia, di breve durata e, a ben guardare,
spregevole. 11 Ci sarà qualcuno di molto superiore a me per il prestigio
di cui gode nel foro, qualche altro per le imprese militari e per
l'autorità così conquistata, un altro ancora per la folla dei
clienti. Non posso essere uguale a loro, godono di più favore: vale la
pena che tutti mi vincano, purché io vinca la fortuna. 12 Magari tu avessi
deciso già da tempo di attuare questo proposito! Magari non discutessimo
della felicità ora, al cospetto della morte! Ma non indugiamo anche
adesso; avremmo potuto ricavare dalla ragione ciò che ora sappiamo per
esperienza: che molte cose sono superflue e dannose. 13 Acceleriamo il passo
come fanno le persone che si sono messe in cammino in ritardo e vogliono
recuperare il tempo perduto andando veloci. La nostra età è la
più adatta a questi studi: gli ardori si sono ormai spenti, i vizi, indomabili
nel primo fervore della giovinezza, sono sopiti; e tra poco scompariranno del
tutto. 14 "E quando," ribatti, "o a che fine ti gioverà
quello che impari alle soglie della morte?" A questo: a uscire meglio
dalla vita. Credimi, non c'è età più adatta alla saggezza
di quella che è arrivata al dominio di sé attraverso svariate
esperienze, dopo lunghi e frequenti pentimenti, di quella che, sedate le
passioni, ha raggiunto ciò che dà la salvezza. È questa
l'età che ci porta un simile bene: chiunque raggiunga la saggezza da vecchio,
vi è arrivato attraverso gli anni. Stammi bene.
69
1 Non voglio che tu sia sempre in movimento e salti da un posto
all'altro, innanzi tutto perché gli spostamenti frequenti sono indizio di un
animo instabile: l'animo non può fortificarsi nel ritiro, se non smette
di guardarsi intorno e di andare errando. Ferma per prima cosa la fuga del
corpo per tenere a freno lo spirito. 2 E poi, i rimedi giovano veramente se
sono continui: non bisogna interrompere la tranquillità e l'oblio della
vita condotta in precedenza; lascia che i tuoi occhi dimentichino, che le tue
orecchie si abituino a parole più sane. Tutte le volte che uscirai in
pubblico, perfino di passaggio, ti si presenterà qualcosa che
riacutizzerà i tuoi desideri. 3 Se uno tenta di liberarsi di un amore,
deve evitare ogni ricordo del corpo amato (l'amore è la passione che
riarde con più facilità); allo stesso modo chi vuole eliminare il
rimpianto di tutto quello per cui bruciava di desiderio, deve distogliere occhi
e orecchie da ciò che ha abbandonato. 4 Le passioni ritornano
prontamente all'attacco. Dovunque si volgano, scorgeranno una ricompensa
immediata al loro affaccendarsi. Non c'è male che non prometta un
compenso. L'avidità promette denaro, la lussuria numerosi e svariati piaceri,
l'ambizione cariche e favore e, quindi, potenza e quanto essa implica. 5 I vizi
ti allettano con una ricompensa: al servizio della virtù devi vivere
gratuitamente. Non basta la vita intera a domare e a soggiogare i vizi
imbaldanziti da una sfrenatezza durata così a lungo, tanto più se
un tempo così breve lo frantumiamo con continui intervalli; una
qualsiasi impresa può a stento essere portata a termine con una cura e
un'applicazione continue. 6 Dammi ascolto, medita e preparati sia ad accogliere
la morte, sia a cercarla, se sarà necessario: non fa differenza se
è lei a venire da noi o noi da lei. Convincitene: è falsa quella
frase che dicono tutti gli uomini più ignoranti: "È bello
morire di morte naturale". Tutti muoiono di morte naturale. Medita poi su
questo: tutti muoiono nel giorno stabilito dal destino. Non perdi nulla del
tempo che ti è stato assegnato; quello che lasci non ti appartiene.
Stammi bene.
70
1 Ho rivisto la tua Pompei dopo molto tempo. Mi ha riportato indietro
alla mia giovinezza; mi sembrava di poter ripetere tutte le mie giovanili
imprese compiute là, e che fossero recenti. 2 Navigando, Lucilio, ci
siamo lasciati alle spalle la vita e come in mare
si allontanano paesi e città,
scrive il nostro Virgilio, così in questa corsa rapidissima
del tempo ci siamo lasciati dietro prima la fanciullezza, poi l'adolescenza,
poi tra giovinezza e vecchiaia quell'età che confina con entrambe, poi
gli anni migliori della vecchiaia; ora in ultimo comincia a mostrarsi quella
che è la fine comune di tutti gli uomini.
Perciò il saggio vivrà non quanto può ma
quanto deve. 5 E considererà dove vivere, con chi, in che modo, e quale
attività svolgere. Egli bada sempre alla qualità, non alla
lunghezza della vita. Se le avversità che gli si presentano sono tante e
turbano la sua serenità, si libera e non aspetta di trovarsi alle
strette: non appena comincia a sospettare della sorte, considera seriamente se
non sia il momento di farla finita. Non ritiene importante cercare la morte o accoglierla,
morire prima o poi: non teme la morte come un grave danno: uno stillicidio non
causa a nessuno grandi perdite. 6 Non importa morire presto o tardi, ma morire
bene o male; morire bene significa sfuggire al pericolo di vivere male.
Giudico, perciò vilissime le parole di quel famoso rodiese, che, gettato
dal re in una gabbia e nutrito come una fiera, rispose a uno che gli
consigliava di non toccare cibo: "Finché c'è vita, c'è
speranza". 7 Se anche fosse vero, non ci si deve comprare la vita a
qualunque prezzo. Ammettiamo pure che si offrano beni cospicui e sicuri, io non
vorrei ottenerli con una vergognosa professione di viltà: dovrei pensare
che la fortuna ha pieni poteri su chi è in vita e non che è
impotente contro chi sa morire?
11 Quando una forza esterna minaccia la morte, si deve aspettare o
prevenirla? Non si può stabilire una regola generale; molte sono le
circostanze che possono fare propendere per l'una o per l'altra decisione. Se
l'alternativa è una morte fra atroci sofferenze oppure una morte
naturale e facile, perché non approfittare di quest'ultima? Come scelgo la
nave, se devo andare per mare, e la casa in cui vivere, così
sceglierò la morte quando dovrò lasciare questa vita. 12 E poi,
una vita più lunga non è necessariamente migliore, ma una morte
attesa più a lungo è senz'altro peggiore. In nessuna cosa
più che nella morte siamo tenuti ad obbedire alla volontà
dell'anima. Esca per quella strada che ha preso di slancio: sia che cerchi una
spada o un cappio o un veleno che scorre nelle vene, avanzi decisa e spezzi le
catene della sua schiavitù. La vita ognuno di noi deve renderla
accettabile anche agli altri, la morte solo a se stesso: quella che riesce
gradita è la migliore. 13 È insensato pensare: "Qualcuno
dirà che ho agito da vigliacco, qualcuno con troppa sconsideratezza,
qualcun altro che c'era un genere di morte più eroico." Vuoi
convincerti che si tratta di una decisione in cui non bisogna tenere conto
dell'opinione altrui! Bada a una sola cosa: a sottrarti nel modo più
rapido al capriccio della sorte; del resto ci sarà sempre qualcuno
pronto a criticare il tuo gesto.
14 Troverai anche uomini che hanno fatto professione di saggezza e
sostengono che non si debba fare violenza a se stessi; per loro il suicidio è
un delitto: bisogna aspettare il termine fissato dalla natura. Non si accorgono
che in questo modo si precludono la via della libertà? Averci dato un
solo ingresso alla vita, ma diverse vie di uscita è quanto di meglio
abbia stabilito la legge divina. 15 Dovrei aspettare la crudeltà di una
malattia o di un uomo, quando posso invece sottrarmi ai tormenti e stroncare le
avversità? Ecco l'unico motivo per cui non possiamo lamentarci della
vita: non trattiene nessuno. La condizione dell'uomo poggia su buone basi:
nessuno è infelice se non per sua colpa. Ti piace vivere? Vivi; se no,
puoi tornare da dove sei venuto. 16 Contro il mal di testa sei spesso ricorso a
un salasso; si apre una vena per diminuire la pressione del sangue. Non
è necessario squarciarsi il petto con una vasta ferita: è
sufficiente un bisturi ad aprire la via a quella famosa grande libertà:
la serenità dipende da un forellino. Cos'è, allora, che ci rende
indolenti e inetti? Prima o poi dovremo lasciare questa dimora, ma nessuno di
noi lo pensa. Ci comportiamo come inquilini di vecchia data che l'abitudine e
l'attaccamento al posto trattiene anche in mezzo ai disagi. 17 Vuoi essere
indipendente dal corpo? Abitalo come se stessi per trasferirti. Tienilo
presente: questa convivenza verrà a mancare, prima o poi: sarai
più forte di fronte alla necessità di andartene. Ma se uno non ha
limiti in tutti i suoi desideri come potrà venirgli in mente il pensiero
della propria fine? 18 Non c'è cosa su cui si debba meditare come sulla
morte; per altre evenienze ci si esercita forse inutilmente. Lo spirito si
è preparato alla povertà: e invece, siamo rimasti ricchi. Ci
siamo armati per disprezzare il dolore: e invece, il nostro corpo si è
mantenuto fortunatamente integro e sano e non ha mai richiesto che mettessimo
alla prova questa virtù. Ci siamo preparati a sopportare da forti il
rimpianto di cari perduti; e invece, il destino ha tenuto in vita tutti quelli
che amavamo. 19 La meditazione della morte è l'unica che un giorno
dovrà essere messa in pratica. Non pensare che solo i grandi uomini
abbiano avuto la forza di spezzare le catene della schiavitù umana;
Catone strappò con le sue mani l'anima che non era riuscito a gittar
fuori con la spada; non credere che possa farlo lui solo: uomini di infima
condizione sociale si sono messi in salvo con straordinario impeto e, non
potendo morire a loro agio e nemmeno scegliere il mezzo che volevano per darsi
la morte, hanno afferrato quello che capitava sotto mano e con la loro violenza
hanno tramutato in armi oggetti di per sé innocui. 20 Non molto tempo fa,
durante i combattimenti tra gladiatori e bestie feroci, uno dei Germani, mentre
si preparava per gli spettacoli del mattino, si appartò per evacuare gli
intestini. Era l'unico momento in cui gli fosse concesso stare solo senza
essere sorvegliato: lì c'era un bastone con attaccata una spugna per
pulire gli escrementi: se lo cacciò in gola e morì soffocato. Uno
sfregio alla morte. Proprio così, in maniera immonda e indecente: fare
gli schizzinosi davanti alla morte è la cosa più stupida. 21 Che
uomo forte, degno di poter scegliere il proprio destino! Con quanta fermezza
avrebbe usato la spada, con quanto coraggio si sarebbe gettato negli abissi del
mare o in un burrone. Era privo di ogni mezzo, eppure trovò il modo e
l'arma per uccidersi; la mancanza di volontà è il solo ostacolo
alla morte: egli ce lo dimostra. Ognuno giudichi come crede l'azione di
quest'uomo indomito, ma sia chiaro: alla schiavitù più pulita
è preferibile la morte più sozza.
22 Visto che ho cominciato con esempi sordidi, continuerò
così: esigeremo di più da noi stessi, vedendo che la morte
può essere disprezzata anche dagli uomini più disprezzati.
Catone, Scipione e altri, i cui nomi sono abitualmente oggetto di ammirazione,
li giudichiamo inimitabili: ma io ti dimostrerò che esempi di questa
virtù tra i gladiatori ce ne sono quanti tra i capi della guerra civile.
23 Una mattina, poco tempo fa, un gladiatore mentre veniva trasportato sotto
scorta allo spettacolo, come se gli ciondolasse la testa per il sonno, la
piegò fino a infilarla tra i raggi di una ruota e rimase fermo al suo
posto finché questa girando non gli spezzò l'osso del collo; con lo
stesso mezzo che lo portava al supplizio vi si sottrasse. 24 Se uno vuole
spezzare le catene e fuggire, non ci sono ostacoli: la natura ci custodisce in
un carcere aperto. Quando le circostanze lo permettono, si cerchi una via di
uscita agevole; se poi uno ha a portata di mano più possibilità
di affrancarsi, faccia la sua scelta e consideri il modo migliore di liberarsi.
Mancano le occasioni? Allora afferri la prima che gli capita come se fosse la
migliore, anche se è strana e insolita. A chi non manca il coraggio non
mancherà una strada ingegnosa verso la morte. 25 Non vedi che anche gli
schiavi più umili, quando li pungola la sofferenza, prendono coraggio ed
eludono anche la più stretta sorveglianza? L'uomo che non solo decide di
morire, ma trova anche il modo di farlo, è grande. Ti ho promesso
più esempi dello stesso genere. 26 Durante il secondo spettacolo di naumachia
un barbaro si cacciò in gola tutta quanta la lancia che impugnava per
combattere gli avversari. "Ma perché, perché?" disse, "non
sfuggo subito a ogni tormento, a ogni umiliazione? Ho in mano un'arma, perché
aspetto la morte?" Questo spettacolo fu tanto più bello quanto
è più onorevole che gli uomini imparino a morire e non a
uccidere. 27 E allora? Persino degli sciagurati, dei delinquenti hanno questo
coraggio: e non lo avrà chi a questa evenienza è preparato da una
lunga meditazione e dalla ragione, maestra di vita? Essa ci insegna che gli
accessi alla morte sono numerosi, ma il punto di arrivo è lo stesso; non
importa da dove cominci una cosa che arriva senz'altro. 28 La ragione stessa
invita a morire, se è consentito, come ci piace, altrimenti come
possiamo, e ad afferrare qualunque cosa càpiti per darci la morte.
È vergognoso vivere di rapina, morire di rapina, invece, è
bellissimo. Stammi bene.
71
1 Sovente mi chiedi consiglio su singoli problemi, dimenticando
che ci divide un largo tratto di mare. Ma l'efficacia di un consiglio, in gran
parte, consiste nell'essere tempestivo e così, inevitabilmente, il mio
parere su certi argomenti ti arriva quando ormai sarebbe preferibile la
decisione opposta. I consigli devono aderire alla realtà e la nostra si
evolve, anzi precipita: un consiglio, quindi, deve maturare nell'arco di un
giorno; anzi, anche così è troppo tardi: deve nascere, come si
dice, su due piedi. Ti preciso come ci si arriva. 2 Se vuoi sapere volta per
volta che cosa evitare o che cosa ricercare, guarda al sommo bene, il fine
supremo di tutta la tua vita. Ogni nostra azione vi si deve accordare: se uno
non ha già disposto la propria vita nel suo complesso, non potrà
deciderne i particolari. Nessuno, per quanto abbia pronti i colori, può
fare un quadro somigliante, se non sa già che cosa vuol dipingere. Noi
tutti decidiamo su singoli episodi della nostra vita, non sulla sua
totalità e questo è il nostro errore.
Mira a cose più alte, mio ottimo Lucilio, e abbandona
questi giochetti infantili dei filosofi che riducono a sillabe una disciplina
stupenda e, insegnando minuzie, scoraggiano e deprimono lo spirito: diventerai
simile a chi queste cose le ha scoperte e non a chi le insegna in modo che la
filosofia risulti non grande, ma difficile. 7 Socrate, che riconduce tutta la
filosofia alla morale e sostiene che la massima saggezza consiste nel distinguere
il bene dal male, dice: "Se godo di un po' di credito presso di te, segui
le orme di quei grandi uomini e sarai felice; lascia pure che qualcuno ti
giudichi uno sciocco. Ti insulti e ti offenda chi vuole: non soffrirai se ti
sarà compagna la virtù. Se vuoi essere felice," sostiene,
"se vuoi veramente essere uomo di solida moralità, lascia che
qualcuno provi disprezzo per te." Nessuno arriverà a questi
risultati senza aver prima lui stesso disprezzato ogni cosa, senza aver posto
tutti i beni sullo stesso piano. Non esiste bene senza rettitudine e la
rettitudine è identica in tutti i beni.
8 "Davvero? Non c'è differenza se Catone diventa
pretore o no? Se perde o vince a Farsalo? Non poter essere sconfitto nonostante
la sconfitta del suo partito era per lui un bene pari a tornarsene da
trionfatore in patria e ristabilire la pace?" Direi di sì. La
virtù che vince la cattiva sorte e quella che regola la buona è
la stessa; e la virtù non può essere più grande o
più piccola. Ha sempre la stessa statura. 9 "Ma Gneo Pompeo
perderà l'esercito; ma il più bell'ornamento dello stato, il
patriziato, e la prima linea del partito pompeiano, il senato in armi, saranno
sconfitti in una sola battaglia e le rovine di un così vasto impero si disperderanno
per tutto il mondo: una parte cadrà in Egitto, una in Africa, una in
Spagna. A quell'infelice repubblica non toccherà neanche questo: di
crollare tutta in una volta." 10 Càpiti pure di tutto: non riesca
utile a Giuba nel suo regno la conoscenza del territorio, e nemmeno il valore
fermo di un popolo in difesa del suo re; venga a mancare anche la
fedeltà degli Uticensi stroncata dalle avversità, e la fortuna,
che ha sempre accompagnato il nome di Scipione, lo abbandoni in Africa.
Già da un pezzo era stato provveduto che Catone non subisse nessun
danno. 11 "Ma tuttavia è stato battuto." Metti in conto anche
questo tra gli insuccessi di Catone: sopporterà con la stessa forza
d'animo l'aver perso oggi la vittoria, ieri la pretura. Il giorno della sua sconfitta
elettorale lo passò giocando a palla; e leggendo la notte in cui doveva
morire. Non fece differenza tra perdere la pretura e perdere la vita; era
persuaso di dover sopportare con coraggio tutte le avversità.
12 E perché non avrebbe dovuto sopportare serenamente, da forte, il
rivolgimento dello stato? Che cosa si sottrae al pericolo di cambiamenti? Non
la terra, non il cielo, non l'intero contesto dell'universo, benché sia
regolato da dio; non manterrà sempre lo stesso ordine: ma verrà
un giorno che ne trasformerà il corso presente. 13 Tutti gli esseri
procedono secondo tempi precisi: devono nascere, crescere, morire. I corpi
celesti che vedi correre sopra di noi e la terra su cui siamo stati messi e
poggiamo come se fosse solidissima, si consumeranno e finiranno; ogni cosa ha
la sua vecchiaia. A intervalli che non si corrispondono la natura conduce tutti
gli esseri allo stesso punto: ciò che esiste non esisterà
più; ma non è destinato a finire: semplicemente si
disgregherà. 14 Disgregarsi per noi significa morire; consideriamo solo
le cose che abbiamo davanti agli occhi, la nostra mente ottusa e soggetta al
corpo non guarda più in là. Ma sopporteremmo con maggior fermezza
la morte nostra e dei nostri cari, se sperassimo che, come tutto il resto, la
vita e la morte si avvicendano e la materia composta si dissolve e dissolta si
ricompone: in quest'opera si svolge l'eterna attività di dio che tutto
ordina. 15 E dunque, come M. Catone, riandando al passato, diremo:
"È condannato a morte tutto il genere umano, sia presente che futuro;
tutte le città che detengono il potere in qualche parte del mondo e
quelle che sono lo splendido ornamento di imperi altrui, ci si chiederà
un giorno dove si trovavano, e spariranno ciascuna con diversa fine: alcune le
distruggeranno le guerre, altre le consumerà l'inerzia e una pace
mutatasi in ozio, e la dissolutezza, fatale alle grandi potenze. Un'improvvisa
inondazione sommergerà tutte queste fertili pianure o il suolo,
sprofondando, le inghiottirà di colpo in una voragine. Perché allora
dovrei sdegnarmi o dolermi se precedo di poco il destino comune? 16 Un'anima
grande obbedisca a dio e si sottometta senza esitare alle norme della legge
universale: o sarà avviata a un'esistenza migliore per vivere una vita
più splendida e serena nel mondo divino o almeno sarà immune da
ogni molestia, se si riunirà alla natura e ritornerà al tutto. La
nobile vita di M. Catone non è un bene più grande della sua
nobile morte: la virtù è sempre uguale a se stessa. Socrate
diceva che virtù e verità coincidono. La verità non
cresce, e nemmeno la virtù: ha tutte le sue parti, è completa.
17 Non c'è, dunque, da stupirsi che i beni siano uguali,
sia quelli che bisogna cercare di proposito, sia quelli che ci portano le
circostanze. Se ammetterai una disparità tra i beni, e subire da forti
la tortura lo giudicherai un bene minore, finirai anche per calcolarlo tra i
mali e definirai infelice Socrate in carcere e infelice Catone che
riaprì le sue ferite con più coraggio di quello con cui se le era
inferte, e più sventurato di tutti Regolo, che pagò il prezzo di
un giuramento rispettato anche nei confronti dei nemici. Ma nessuno, neppure
l'individuo meno virile, ha osato affermare questo; non dicono che lui sia
stato felice, ma neppure che sia stato infelice. 18 I filosofi della antica
Accademia ammettono che uno può essere felice anche tra i supplizi, ma
non in maniera completa, totale; una tesi assolutamente inaccettabile: se uno
non è felice, non possiede il sommo bene. Il sommo bene è al
culmine della scala dei valori, purché in esso sia insita la virtù, e
non la indeboliscano le avversità e rimanga intatta anche quando il
corpo è fatto a pezzi: e tale rimane. Mi riferisco a quella virtù
coraggiosa ed eccelsa, che è spronata da qualunque avversità. 19
È la virtù a trasmetterci e a infonderci questo coraggio: spesso
lo hanno i giovani di temperamento generoso, colpiti dalla bellezza di una
nobile azione al punto da disprezzare tutto ciò che è dovuto al
caso; la saggezza è in grado di convincerci che esiste un solo bene e
cioè la virtù e che non si può né tenderla, né allentarla,
come non si può piegare la riga con cui si controlla se una linea
è retta. Qualunque modifica apporti deformi la linea retta. 20 Della
virtù possiamo dire lo stesso: anch'essa è retta e non ammette
storture: può certo, diventare più rigida, ma ‹non› tendersi
maggiormente. È giudice di tutto, ma non ha giudici. E se non può
diventare più diritta di quanto è, neppure le azioni che ne
derivano conoscono gradi differenziati di dirittura; devono necessariamente
corrisponderle e, dunque, sono uguali.
21 "E allora?" ribatti, "starsene a banchetto ed
essere torturati è lo stesso?" Ti stupisci? Di questo dovresti
stupirti di più: stare a banchetto è un male, essere sottoposti a
tortura è un bene, se lì prevale un atteggiamento vergognoso e
qui uno nobile. Non sono le occasioni, ma la virtù a rendere le azioni
buone o malvagie; dovunque si mostri, tutto diventa della stessa misura e
valore.
29 Vengo ora alla questione su cui aspetti il mio parere. Perché
la nostra virtù non sembri una dote soprannaturale, aggiungo che anche
il saggio è soggetto ad aver paura, a soffrire, a impallidire; sono
tutte sensazioni fisiche. Quando, allora, sono reali disgrazie, veri mali?
Evidentemente quando mortificano l'anima e la portano a dichiararsi schiava e
le fanno sentire disgusto di sé. 30 Il saggio vince la fortuna con la
virtù, ma molti che si professano saggi sono spesso atterriti da minacce
del tutto trascurabili. In questo consiste il nostro errore: nell'esigere lo
stesso comportamento dal saggio e dal neofita. La condotta che lodo, vorrei
tenerla, ma non ne sono ancòra persuaso e, se anche ne fossi persuaso,
non sarei ancòra pronto ed esercitato al punto da affrontare ogni
evenienza. 31 Certi colori la lana li assume con un solo bagno, altri, invece,
li assorbe solo dopo essere stata a mollo e fatta bollire più volte;
così ci sono insegnamenti che il cervello incamera sùbito, appena
li riceve. La saggezza, invece, se non penetra in profondità e non
sedimenta a lungo, e colora, ma non impregna, l'anima, non mantiene nessuna
delle sue promesse. 32 Questo concetto si può anche esprimere in breve
con pochissime parole: la virtù è l'unico bene, non esiste nessun
bene senza la virtù e la virtù risiede nella parte migliore di
noi, quella razionale. Che cos'è, dunque, questa virtù? Una vera
e salda capacità di giudizio; ne provengono gli impulsi della mente ed
essa darà chiarezza ad ogni immagine che suscita un impulso. 33
Giudicare come beni e uguali tra loro tutti quelli che sono in rapporto con la
virtù sarà conseguente a questa capacità di giudizio. I
beni fisici sono beni per il corpo, ma non sono tali in senso lato; avranno in
sé un valore materiale, ma non spirituale. Ci sarà tra loro una grande
differenza: alcuni saranno più piccoli, altri più grandi. 34
Dobbiamo ammettere che anche fra i seguaci della saggezza ci sono grandi
differenze: uno ha fatto progressi tali da levare gli occhi contro la sorte; ma
non resiste e abbassa lo sguardo accecato dall'eccessivo splendore; un altro
è avanzato tanto che può fronteggiarla, se non è
già arrivato alla vetta ed è pieno di fiducia in se stesso. 35
È inevitabile che gli esseri imperfetti cadano, avanzino, scivolino
indietro, soccombano. Ma scivoleranno, se non persevereranno nello sforzo di
andare avanti; se allenteranno l'impegno e la tenacia dei loro propositi,
dovranno arretrare. Chi demorde, rinuncia ai progressi fatti.
36 Insistiamo e perseveriamo, dunque; non siamo nemmeno a mezza
strada, ma i progressi in gran parte consistono nella volontà di
progredire. Di questo sono conscio: voglio e voglio con tutto me stesso. Anche
tu, lo vedo, provi questi impulsi, uno straordinario slancio verso le mete
più belle. Affrettiamoci: solo a questa condizione la vita sarà
un beneficio; altrimenti è solo una perdita di tempo e per giunta spregevole,
per chi vive in mezzo alle miserie. Comportiamoci in modo che il tempo sia
tutto nostro; ma perché lo sia, dobbiamo prima cominciare a essere padroni di
noi stessi. 37 Quando ci avverrà di disprezzare la buona e la cattiva
sorte, di sedare tutte le passioni riducendole in nostro dominio, di esclamare:
"Ho vinto"? Chi? Mi chiederai. Non certo i Persiani, e nemmeno i
lontanissimi Medi o le genti bellicose che abitano oltre i Dai, ma l'avarizia,
l'ambizione, il timore della morte: anche i grandi conquistatori ne sono stati
vinti. Stammi bene.
72
73
1 Per me sbaglia chi pensa che i veri filosofi siano arroganti e indocili
e disprezzino i magistrati o i sovrani o chi amministra lo stato. Al contrario
non c'è nessuno più riconoscente di loro verso gli uomini
politici, e giustamente: questi dànno di più proprio ai filosofi,
ai quali permettono di vivere una vita tranquilla e ritirata. 2 Per i filosofi
la pace pubblica è determinante al loro proposito di vivere
virtuosamente, di conseguenza venerano come un padre chi assicura questo bene,
certo molto più di quanto facciano quegli uomini turbolenti e sempre a
mezzo, che devono molto ai sovrani, ma attribuiscono loro anche molte colpe:
nemmeno la liberalità più generosa può saziare le loro
voglie che crescono a mano a mano che vengono soddisfatte. Se uno pensa ai
benefici che deve ricevere, ha già dimenticato quelli ricevuti: il male
peggiore dell'avidità è l'ingratitudine. 3 Inoltre, non il numero
delle persone che supera, ma gli individui da cui è superato interessano
al politico, e per lui vedere molti dietro di sé è piacevole, ma non
quanto è penoso vedere qualcuno davanti a sé. Ogni tipo di ambizione ha
questo grave difetto: non guarda indietro. Instabile non è soltanto
l'ambizione, ma anche ogni forma di avidità, perché ricomincia dove
dovrebbe finire. 4 Ma l'uomo sincero e onesto che ha lasciato il senato, il
foro e ogni carica pubblica per dedicarsi in solitudine a questioni più
importanti, ama quelli che gli permettono di farlo tranquillamente, è il
solo a rendere una testimonianza spontanea e si considera debitore di chi
nemmeno lo sa. Egli venera e rispetta costoro sotto la cui tutela può
dedicarsi alla filosofia, come venera e rispetta i suoi maestri, grazie ai
quali è uscito dall'intrico in cui era.
5 "Ma il re protegge anche gli altri con le sue forze".
Nessuno lo nega. E tuttavia come tra le persone che hanno navigato con mare
calmo, si considera più obbligato a Nettuno chi ha trasportato per mare
prodotti più preziosi e in maggiore quantità, e ai voti fatti
adempie con più slancio il mercante che il passeggero, e tra gli stessi
mercanti si mostra grato con più larghezza chi trasportava profumi,
porpora e altri oggetti di valore, di quello che aveva riempito la nave di
merce di scarsissimo pregio per fare zavorra; così il beneficio di
questa pace, che pure riguarda tutti, tocca maggiormente coloro che ne fanno
buon uso. 6 Ci sono molti cittadini i quali hanno più da fare in pace
che in guerra: o pensi forse che abbiano un identico obbligo di riconoscenza
per la pace gli individui che la spendono nell'ubriachezza o nel sesso o in
altri vizi che dovrebbero essere stroncati persino con la guerra? A meno che tu
non giudichi il saggio tanto ingiusto da ritenere di non essere personalmente
debitore per beni che divide con altri. Io devo moltissimo al sole e alla luna,
eppure non sorgono per me solo; sono personalmente obbligato al succedersi
delle stagioni e a dio che le regola, sebbene non siano stati fissati affatto
*** in mio onore. 7 Gli uomini, nella loro stupida avarizia, distinguono il
possesso e la proprietà e non giudicano propri i beni pubblici; ma il saggio
invece giudica suo soprattutto quello che possiede in comune con
l'umanità intera. Questi beni non sarebbero di tutti, se ai singoli
individui non ne spettasse una parte: una cosa che è in comune anche in
minima parte rende soci.
8 Per di più, i veri grandi beni non sono divisi in maniera
che al singolo tocchi una piccola quantità: pervengono a ciascuno
globalmente. Di una elargizione ognuno prende quanto è stato stabilito a
testa; un banchetto e una distribuzione pubblica di carne e qualsiasi altro
bene tangibile vengono divisi in parti: ma i beni indivisibili, la pace e la
libertà, appartengono a tutti e ai singoli nella loro interezza. 9 Il
saggio pensa pertanto per opera di chi gli è possibile usufruire con
vantaggio di questi beni, per opera di chi la situazione dello Stato è
tale da non chiamarlo alle armi, o a fare i turni di guardia, o a difendere le
mura e a pagare i molteplici tributi di guerra ed è grato nei confronti
di chi lo governa. La filosofia insegna soprattutto a sentirsi debitori per i
benefici ricevuti e a ripagarli; a volte l'ammettere il proprio debito è
già un pagamento. 10 Ammetterà, dunque, di dovere molto all'uomo
che con il suo saggio governo gli permetta di godere di un ritiro fecondo, di
disporre del suo tempo e di vivere un'esistenza tranquilla, non turbata da
occupazioni pubbliche.
O Melibeo, un dio mi ha concesso questo ozio; certo, per me egli
sarà sempre un dio.
11 Se si deve molto a chi rende possibili quegli ozi che portano
questo come massimo dono:
egli, come vedi, ha permesso che i miei buoi pascolassero liberi e
che io suonassi sull'agreste zampogna le mie melodie preferite,
quanto dobbiamo apprezzare questa vita ritirata che si conduce tra
gli dèi, che ci rende dèi?
12 Certo, Lucilio, ti chiamo in cielo per la via più rapida.
Sestio diceva spesso che Giove non è più potente di un uomo
virtuoso. Giove può fare agli uomini più doni, ma tra due
individui onesti non è migliore il più ricco, come tra due
timonieri ugualmente esperti non puoi definire migliore chi ha l'imbarcazione
più bella e più grande.
si sale alle stelle,
di qua seguendo la frugalità, la temperanza, il
coraggio." Gli dèi non sono altezzosi, né invidiosi: accolgono
tutti e tendono la mano a chi sale. 16 Ti stupisci che l'uomo salga fino agli
dèi? Dio scende in mezzo agli uomini, anzi, più esattamente,
scende dentro gli uomini: non esiste saggezza senza dio. Semi divini sono stati
sparsi nel corpo dell'uomo e, se a riceverli è un buon coltivatore, si
sviluppano simili alla loro origine e crescono uguali all'essere da cui sono
derivati. Ma se è un buono a nulla, li fa morire, come fa la terra
sterile e paludosa, e poi produce erbacce invece di grano. Stammi bene.
74
1 La tua lettera mi ha fatto piacere, mi ha scosso dal torpore e
mi ha anche risvegliato la memoria, ormai pigra e tarda. Perché, Lucilio mio,
non dovresti pensare che il mezzo migliore per raggiungere la felicità
sia la convinzione che l'unico bene è la virtù? Se uno ritiene
che altri siano i beni, cade in balìa della sorte e si sottomette
all'arbitrio altrui: solo chi racchiude ogni bene nella virtù prova una
felicità tutta interiore. 2 Uno è addolorato per la perdita dei
figli, un altro si preoccupa perché sono malati, un terzo si affligge perché
sono disonesti e si sono coperti di vergogna; Tizio lo vedrai soffrire per
amore della donna di un altro, Caio per amore della sua; non mancherà
chi si tormenta per un insuccesso elettorale; o chi, invece, è
angustiato da una carica pubblica. 3 Ma la massa più numerosa di
infelici è quella tormentata dall'attesa della morte che incombe da ogni
lato: non c'è parte da cui non possa arrivare. Perciò come
soldati che attraversano un territorio nemico, devono guardarsi intorno qua e
là e voltare la testa a ogni rumore; se uno non scaccia questa intima
paura, vive col batticuore. 4 Troverai uomini cacciati in esilio e spogliati di
ogni bene; troverai, ed è il genere di povertà più
terribile, individui poveri nella loro ricchezza; incontrerai naufraghi o gente
che è passata per un'esperienza analoga: il furore o l'invidia popolare,
arma funesta contro i migliori, li ha inaspettatamente travolti, come tempesta
che si scatena quando il cielo è sereno e rassicurante, o come fulmine
improvviso che, là dove colpisce, fa tremare anche i dintorni. Se uno si
trova troppo vicino al fulmine rimane attonito come chi è stato colpito,
così nelle disgrazie provocate da un atto di violenza uno solo subisce
il danno, gli altri sono preda della paura, e si angustiano al pari della
vittima per la possibilità di subire la stessa sorte. 5 I mali
improvvisi che toccano agli altri preoccupano tutti. Gli uccelli sono
spaventati anche dal sibilo di una fionda vuota: nello stesso modo ci agitiamo
noi, non soltanto per il colpo, ma per il rumore. Uno non può essere
felice se si abbandona a questi timori infondati. È felice solo chi non
ha paura; si vive male tra i sospetti. 6 Se uno si attacca troppo ai beni
fortuiti, si crea smisurati e insormontabili motivi di turbamento: una sola è
la strada per chi vuole mettersi al sicuro: disprezzare i beni esteriori e
appagarsi della virtù. Se pensiamo che ci sia qualcosa di meglio della
virtù o un bene al di là di essa, finiremo per aprire l'animo ai
beni che la sorte distribuisce e aspetteremo ansiosi i suoi doni. 7 Immagina
ora che la fortuna organizzi dei giochi e sulla gente ad essi convenuta riversi
onori, ricchezze, favori; una parte di questi donativi si riduce in pezzi tra
le mani di quanti se li disputano, un'altra viene spartita con soci malfidati,
un'altra si risolve in un gran danno per chi se l'era vista piombare addosso e
l'aveva afferrata. Ci sono dei beni che cadono su chi si cura d'altro, dei beni
afferrati con troppa foga vanno perduti e sfuggono di mano proprio nel momento
in cui si tenta di afferrarli: nessuno, però anche se è riuscito
a impadronirsene, gioisce a lungo del suo bottino. Per questo gli uomini
più assennati, appena vedono comparire dei piccoli doni, fuggono dal
teatro sapendo che quei beni di poco valore costano molto. Nessuno viene alle
mani con chi si allontana, nessuno colpisce chi va via: la lotta si ingaggia
intorno al bottino. 8 Lo stesso accade per i beni che la fortuna ci getta
dall'alto: noi miseri ci agitiamo, ci affanniamo, desidereremmo avere molte mani,
guardiamo ora da una parte, ora dall'altra; quei doni che accendono i nostri
desideri ci sembra che la sorte tardi troppo a mandarli: tutti li aspettano, ma
arriveranno a pochi. 9 Vorremmo afferrarli già mentre cadono; siamo
contenti se ne agguantiamo qualcuno e se altri rimangono delusi nella vana
speranza di catturarli; un magro bottino lo paghiamo con gravi fastidi, oppure
rimaniamo [...] delusi. Allontaniamoci da questi giochi e facciamo largo ai
predatori; guardino questi beni sospesi su di loro e loro stessi stiano ancora
più in sospeso.
10 Se uno vuole essere felice, si convinca che l'unico bene
è la virtù; se pensa che ce ne sia qualche altro, prima di tutto
giudica male la provvidenza, perché agli uomini onesti capitano molte disgrazie
e perché tutti i beni che essa ci ha concesso sono insignificanti e di breve
durata, se paragonati all'età dell'universo. 11 Conseguenza di questi
lamenti è che non manifestiamo gratitudine per i benefici divini:
deploriamo che non ci capitino sempre, che siano scarsi, incerti e caduchi. Ne
deriva che non vogliamo vivere, né morire: odiamo la vita, temiamo la morte.
Ogni nostro disegno è incerto e non siamo mai pienamente felici. Il
motivo? Non siamo arrivati a quel bene immenso e insuperabile dove la nostra
volontà necessariamente si arresta: oltre la vetta non c'è
niente. 12 Chiedi perché la virtù non provi nessun bisogno? Gode di
quello che ha, non desidera quello che le manca; per essa è grande
quanto le basta. Abbandona questo criterio e verranno a cadere il sentimento
religioso, la lealtà: chi vuole mantenere l'uno e l'altra deve
sopportare molti dei cosiddetti mali, rinunciare a molte cose di cui si
compiace come se fossero beni. 13 Scompare la forza d'animo, che deve mettere
se stessa alla prova; scompare la magnanimità, che non può
emergere se non disprezza come cose di poco conto tutti quei beni che la massa
desidera e tiene nella massima considerazione; scompaiono la gratitudine e i
rapporti di gratitudine, se temiamo la fatica, se pensiamo che ci sia qualcosa
di più prezioso della lealtà, se non miriamo al meglio.
14 Ma lasciamo perdere; o questi cosiddetti beni non sono tali, o
l'uomo è più fortunato di dio, poiché dio non può
usufruire di quei piaceri a noi cari; non la lussuria, né i lauti pranzi, né le
ricchezze, niente di quello che alletta gli uomini e li trascina con promesse
di vili piaceri lo riguarda. Quindi, o è verosimile che a dio manchino
dei beni, o il fatto stesso che manchino a dio è la prova che non sono
beni. 15 E poi, molti beni presunti toccano più numerosi agli animali
che all'uomo. Le bestie si nutrono con più avidità, si stancano
meno nell'accoppiamento; hanno forze maggiori e più uniformi: ne
consegue che sono molto più felici dell'uomo. Vivono senza
malvagità, senza inganni; godono di più dei piaceri e con
più facilità, senza alcun pudore o timore di pentimento. 16
Considera, perciò se si può definire un bene una cosa in cui dio
è superato dall'uomo e l'uomo dagli animali. Il sommo bene è
racchiuso nella nostra anima: perde il suo valore se passa dalla parte migliore
alla parte peggiore di noi e si trasferisce ai sensi, che sono più
pronti negli animali. Non dobbiamo riporre nella carne la nostra massima
felicità: i veri beni li dà la ragione, e sono solidi ed eterni,
non possono venir meno e neppure diminuire e decrescere. 17 Gli altri sono
falsi beni e con quelli veri hanno in comune solo il nome, ma non hanno le
caratteristiche del bene: chiamiamoli, dunque, comodità, e, per usare il
nostro linguaggio, "cose preferibili". Ma rendiamoci conto che sono
nostri schiavi e non una parte di noi: teniamoceli pure, ma ricordiamo che sono
degli elementi esterni; anche se ce li teniamo, dobbiamo considerarli tra le
cose inferiori e senza valore di cui nessuno deve inorgoglirsi. L'uomo
più sciocco è quello che si compiace di ciò che non
è opera sua. 18 Ci tocchino pure in sorte tutti questi beni, ma non ci
stiano attaccati, sicché, se ce li strappano, si distacchino senza alcuno
strazio per noi. Serviamocene senza vantarci e usiamoli con moderazione, come
se li avessimo provvisoriamente in prestito. Se uno li possiede senza
raziocinio, non riesce a conservarli a lungo; la buona fortuna, se non ha una
regola, opprime se stessa. Se confida in beni troppo fugaci, presto ne è
abbandonata e ammesso che non ne sia abbandonata, ne riceve danno. Pochi hanno
potuto perdere senza traumi la loro prosperità: gli altri cadono insieme
a quei beni che li avevano fatti emergere e proprio ciò che li aveva
innalzati, li schiaccia. 19 Comportiamoci, perciò con saggezza per
imporre ad essi misura e moderazione: se uno è sfrenato, in poco tempo
manda in rovina le sue ricchezze: gli eccessi non hanno mai vita lunga, se la
ragione moderatrice non fa da freno. La fine di molte città ti
mostrerà proprio questo: i loro fastosi imperi sono caduti all'apice
dello splendore e l'intemperanza ha mandato in rovina tutte le conquiste del
valore. Dobbiamo premunirci contro queste evenienze. Nessun muro è
inespugnabile per la fortuna: corazziamoci interiormente; se l'anima è
al sicuro, possiamo essere colpiti, non catturati. 20 Qual è il sistema?
Non sdegnarsi qualunque cosa accada e sapere che quegli stessi eventi che
apparentemente ci danneggiano, servono alla conservazione del tutto e fanno
parte di quelle cause che conducono a compimento il cammino e la funzione del
cosmo; l'uomo deve accettare i voleri di dio; guardare con ammirazione se
stesso e le proprie imprese: è invincibile, domina il male con la
ragione, la forza più grande, vince il caso, il dolore, l'ingiustizia.
21 Ama la ragione! L'amore per essa ti fortificherà contro le più
gravi disgrazie. L'amore per i proprî cuccioli spinge le fiere contro le armi
dei cacciatori, la loro ferocia e la furia istintiva le rende indomabili;
spesso il desiderio di gloria porta l'animo dei giovani a disprezzare ferro e
fuoco; l'apparenza o l'ombra della virtù trascina alcuni a una morte
volontaria: quanto la ragione è più forte e salda di tutti questi
istinti, tanto maggiore è l'impeto con cui sfiderà paure e
pericoli.
22 "Non concludete niente," ribattono, "sostenendo
che l'unico bene è la virtù: questo baluardo non può
mettervi al sicuro e sottrarvi alla sorte. Considerate beni i figli devoti, la
patria governata con giustizia, i genitori virtuosi. Se li minaccia un
pericolo, non potete starvene tranquilli a guardare: l'assedio della patria, la
morte dei figli, la schiavitù dei genitori vi sconvolgerà."
23 Ecco che cosa si è soliti rispondere in nostra difesa
contro queste obiezioni; ti dirò poi quello che, secondo me, si
può aggiungere. Diversa è la posizione di quei beni che, quando
sono strappati, vengono sostituiti da una disgrazia: per esempio una buona
salute si altera e ci si ammala; la vista si spegne e diventiamo ciechi; se ci
spezziamo le gambe non solo non possiamo più correre, ma non possiamo
addirittura più muoverci. I beni elencati prima non sono soggetti a
questo rischio. Perché? Se perdo un amico sicuro, non devo sopportarne al suo
posto uno in malafede, se ho sepolto dei figli virtuosi non è detto che
debba sostituirli con figli empî.
26 "Ma come? Se uno è circondato da una folla di amici
e di figli non è più felice?" Perché dovrebbe esserlo? Il
sommo bene non si riduce, non si accresce; rimane tale e quale, qualunque corso
segua la fortuna. Può toccargli in sorte una lunga vecchiaia, può
perire prima di invecchiare, il sommo bene ha sempre un'identica dimensione, la
differenza di età non conta. 27 Traccia un cerchio più grande e
uno più piccolo, cambia lo spazio, non la forma. Anche se uno rimane disegnato
per tanto tempo e l'altro lo cancelli subito e sparpagli la polvere su cui era
tracciato, entrambi hanno avuto la stessa forma. La rettitudine non si valuta a
grandezza, a quantità, a tempo; non si può né allungare, né
accorciare. Abbrevia una vita onesta da cento anni a quanto vuoi, riducila a un
solo giorno: continua a essere onesta. 28 La virtù si diffonde su ampi
spazi, governa regni, città, province, detta leggi, favorisce amicizie,
ripartisce doveri tra genitori e figli; ma è anche racchiusa negli stretti
confini della povertà, dell'esilio, dei lutti; e tuttavia non è
minore se viene spostata da un rango più elevato a uno più basso,
dalla condizione regale a quella di privato cittadino, da un ampio ambito
pubblico all'angustia di una casa o di un cantuccio. 29 È ugualmente
grande, anche se si ritira in se stessa isolata da ogni parte: possiede sempre
un animo forte e fiero, una saggezza perfetta, un incrollabile senso della
giustizia. E dunque, è ugualmente felice; la felicità ha un'unica
sede: lo spirito, stabile, grande, sereno, ma non può realizzarsi senza
la conoscenza delle questioni umane e divine.
30 Ed ecco ora la mia risposta, come ti avevo preannunciato. Il
saggio non si addolora per la perdita dei figli o degli amici; sopporta la loro
morte con lo stesso spirito con cui aspetta la sua; non teme questa, di quella
non si duole. La virtù è fatta di armonia: tutte le opere del
saggio sono a essa conformi e consone. Questa, però viene a mancare se
lo spirito, che deve mantenersi al di sopra di tutto, si lascia sopraffare dai
lutti o dal rimpianto. Tutte le ansie, le preoccupazioni, l'inerzia operativa
sono contrarie alla virtù; la virtù è serena, libera,
imperturbabile, pronta al combattimento. 31 "E come? Il saggio non si
turberà mai? Non sbiancherà in viso, non avrà l'espressione
sconvolta, non rabbrividirà? Non avrà nessun'altra di quelle
manifestazioni originate da un inconsulto impulso naturale e non dai comandi
della ragione?" Certo; ma sarà sempre convinto che non si tratti di
un male e che di fronte a esso una mente sana non debba soccombere. 32
Farà quanto deve con coraggio e prontezza. Uno potrebbe dire che
è tipico dello sciocco agire senza energia e contro voglia, spingere il
corpo in una direzione, l'animo in un'altra ed essere lacerato tra impulsi
completamente opposti. Infatti lo sciocco è disprezzato per quegli
stessi motivi per cui si esalta e si pavoneggia e non compie volentieri neppure
quelle azioni di cui si gloria. Se poi teme un male, si tormenta nell'attesa,
come se fosse già arrivato, e tutto quello che teme di soffrire, lo
soffre già per paura. 33 Quando uno si ammala ci sono sintomi che
precedono la malattia - indolenza e mancanza di forza, sfinimento non motivato
da fatica, sbadigli, tremito per tutto il corpo - allo stesso modo un animo
debole è sconvolto dai mali molto prima di esserne assalito, se li
immagina e si abbatte anzitempo. Ma non è da pazzi angustiarsi per il
futuro e non risparmiarsi i tormenti, anzi chiamare e tirarsi addosso le
disgrazie? Se non si possono evitare, la cosa migliore è rinviarle. 34
Vuoi essere certo che nessuno deve tormentarsi per il futuro? Se uno sa che
passerà dei guai tra cinquant'anni, non si preoccupa, a meno che non
salti il tempo intermedio e non si immedesimi in quelle preoccupazioni che verranno
dopo tanti anni: così capita che disgrazie vecchie e dimenticate
rattristino gli spiriti proclivi alla malinconia e che cercano motivi di
afflizione. Sia quanto è successo in passato, sia quanto dovrà
succedere in futuro è lontano da noi: non sentiamo né l'uno né l'altro.
Il dolore può venirci solo da quello che sentiamo. Stammi bene.
75
1 Ti lamenti perché ti invio lettere scritte con minore
ricercatezza. Ma con ricercatezza si esprime solo chi vuole essere manierato.
Io voglio, invece, che le mie lettere siano quali sarebbero le mie parole se
sedessimo o passeggiassimo insieme: semplici e chiare; non voglio che abbiano
niente di artificioso o di falso. 2 Se fosse possibile, preferirei mostrarti
più che esprimerti i miei sentimenti. Anche se discutessi, non batterei
i piedi e nemmeno agiterei le mani o alzerei la voce, ma lascerei tutti questi
artifici agli oratori, accontentandomi di esternarti i miei sentimenti senza
fronzoli o sciatterie. 3 Un'unica cosa vorrei mostrarti chiaramente: che sento
in me tutto quello che dico e non solo lo sento, ma lo amo. Gli uomini baciano
l'amante in modo diverso che i figli, ma anche in questo abbraccio così
puro e misurato l'affetto è abbastanza evidente. Non voglio, perbacco,
che si usi un linguaggio arido e scarno per argomenti tanto importanti: la
filosofia non rinunzia all'elaborazione formale; non conviene, però
sprecare fatica per le parole. 4 Il nostro principale proposito deve essere di
dire quello che sentiamo e di sentire quello che diciamo; vita e parole devono
essere coerenti. Mantiene il suo impegno chi è sempre lo stesso a parole
e a fatti. Vedremo le sue qualità e la sua grandezza: è il
medesimo. 5 Le nostre parole non devono essere piacevoli, ma utili. E tuttavia,
se l'eloquenza scaturisce senza sforzo, facile o spontanea, ben venga e tratti
argomenti di grande rilievo: ma evidenzi la sostanza, non se stessa. Le altre
arti riguardano interamente la mente, qui è in gioco la salvezza
dell'anima.
8 "Ma come? Al di sotto del saggio non ci sono altri stadi?
Subito dopo la saggezza c'è l'abisso?" Credo di no; chi sta
progredendo è ancora nel numero degli stolti, ma c'è già un
notevole distacco. E anche tra quegli stessi che stanno progredendo ci sono
grandi differenze: certi li dividono in tre gruppi.
9 Primo: quelli che non possiedono ancora la saggezza, ma le sono
ormai arrivati vicino; nondimeno anche ciò che è vicino è fuori.
Chi sono? Quegli uomini che si sono liberati da tutte le passioni e i vizi e
hanno imparato i concetti necessari, ma non hanno messo alla prova il loro
impegno. Non hanno ancora dimestichezza col bene che hanno raggiunto e tuttavia
non possono più cadere negli errori da cui sono fuggiti; sono ormai
arrivati a un punto da dove non possono cadere all'indietro, ma questo non lo
hanno ancora chiaro: ricordo di averlo scritto in una lettera: "Non sanno
di sapere." Usufruiscono del loro bene, ma non ne sono ancora sicuri. 10
Alcuni comprendono in questa classe di neofiti, di cui si è detto,
quegli uomini che sono ormai sfuggiti alle malattie dell'anima, ma non alle
passioni, e stanno ancora su un terreno malcerto, perché solo chi si è
scrollato di dosso la malvagità non corre più nessun pericolo; ma
se l'è scrollata di dosso solo chi in cambio ha conquistato la saggezza.
11 Ho già parlato spesso della differenza tra passioni e malattie dello
spirito. Ma voglio ricordartela anche adesso: malattie sono i vizi radicati e
tenaci come l'avarizia o l'ambizione; hanno avviluppato strettamente l'anima e
sono diventati mali permanenti. Per farla breve: malattia è il pervicace
proposito al male, come ricercare con accanimento beni trascurabili; o, se
preferisci, concludiamo così: aspirare troppo a beni che vanno ricercati
con moderazione o tralasciati del tutto, oppure apprezzare molto beni di scarso
o di nessun valore. 12 Le passioni, invece, sono i moti dell'anima riprovevoli,
improvvisi e violenti, che, ripetuti e trascurati, provocano la malattia;
facciamo un esempio: il catarro, quando è un'affezione momentanea ed
episodica, porta la tosse, ma se è cronico e di vecchia data fa venire
la tisi. Perciò chi ha fatto molti progressi è ormai fuori dal
pericolo di malattie, ma nonostante sia vicino alla perfezione avverte ancora
le passioni.
13 Al secondo gruppo appartengono quegli uomini che si sono
liberati dai mali peggiori dell'anima e dalle passioni, ma non al punto da
essere sicuri della conquistata serenità: possono, difatti, ripiombare
nei medesimi vizi.
14 Il terzo gruppo si è liberato di molti gravi vizi, ma
non di tutti. È sfuggito all'avarizia, ma è ancora soggetto
all'ira; non è più preda della lussuria, ma lo è ancora
dell'ambizione; non ha desideri sfrenati, ma ha ancora molte paure, e nella
paura di fronte a certe evenienze è abbastanza fermo, di fronte ad altre
cede: disprezza la morte, teme il dolore.
15 Facciamo qualche riflessione su questo punto: ci va già
bene se apparteniamo all'ultimo gruppo. Il secondo possiamo raggiungerlo, se
abbiamo una buona predisposizione naturale e attraverso un'assidua e grande
applicazione allo studio; ma non dobbiamo disprezzare nemmeno il terzo gruppo.
Pensa a quanti mali vedi intorno a te; guarda quanti esempi di ogni delitto,
quanto si diffonda giorno dopo giorno la malvagità, quali colpe si
commettano nella sfera pubblica e privata: capirai che è già un
buon risultato se non siamo tra i peggiori. 16 "Ma io spero," mi
dici, "di poter far parte anche del gruppo superiore." Più che
prometterlo, io lo desidererei: siamo assaliti da ogni parte, aspiriamo alla
virtù assediati dai vizi. Mi vergogno a dirlo: curiamo la virtù
nei ritagli di tempo. Ma che grande premio ci aspetta se riusciamo a farla
finita con le nostre occupazioni e con i mali più incalliti. 17 Non ci
colpiranno cupidigia e terrore; senza i turbamenti della paura e la corruzione
dei piaceri non avremo più timore della morte e neppure degli
dèi; ci renderemo conto che la morte non è un male e che gli
dèi non ci fanno del male. Quello che nuoce è debole quanto colui
a cui nuoce: gli esseri migliori non hanno forza nociva. 18 Se un giorno
riusciremo ad arrivare da questa feccia in quel mondo sublime ed eccelso, ci
aspettano la serenità e, dissipati tutti gli inganni, una libertà
incondizionata. Cos'è questa libertà? Non temere gli uomini e
nemmeno gli dèi: non concepire desideri turpi o sfrenati, avere un
grandissimo dominio di se stessi; appartenersi è un bene inestimabile.
Stammi bene.
76
1 Minacci di non essermi più amico, se non ti
informerò di tutto quello che faccio giornalmente. Guarda come sono
schietto con te: ti confiderò anche questo. Vado a sentire un filosofo;
già da cinque giorni frequento la sua scuola e lo ascolto parlare alle
due del pomeriggio. "È proprio l'età giusta!" osservi.
E perché non dovrebbe essere quella giusta? È da stupidi non voler
imparare solo perché per tanto tempo non lo si è fatto. 2 "E
allora? Dovrei fare come i bellimbusti e i giovanotti?" Mi va bene se
è l'unica cosa sconveniente alla mia vecchiaia: questo tipo di scuola
ammette uomini di ogni età. "E noi invecchiamo per seguire i
giovani?" Sono vecchio, eppure andrò a teatro, al circo,
assisterò a tutti gli spettacoli di gladiatori e dovrei arrossire perché
vado a scuola da un filosofo? 3 Devi imparare finché non sai; anzi, a credere
al proverbio, finché vivi. Il che torna perfettamente con quanto segue: finché
hai vita devi imparare a vivere. Tuttavia anch'io insegno qualcosa lì.
Che cosa? Che anche un vecchio deve imparare. 4 Ogni volta che entro a scuola
mi vergogno del genere umano. Per andare a casa di Metronatte si deve, come
sai, oltrepassare il teatro dei Napoletani. È strapieno e vi si giudica
con grande attenzione chi sia un buon flautista; anche il trombettiere greco e
l'araldo richiamano molta gente: ma in quella scuola dove si ricerca l'uomo
virtuoso e si impara a diventare virtuosi, ci sono pochissime persone, e i
più ritengono che costoro non hanno niente di buono da fare; li
definiscono inetti e fannulloni. Tocchi anche a me questo scherno: gli insulti
degli ignoranti bisogna ascoltarli senza scomporsi e se uno aspira alla
virtù deve disprezzare il disprezzo stesso.
5 Vai avanti, Lucilio, e affrettati, perché non ti accada come a
me, di imparare da vecchio; anzi affrettati ancora di più perché hai
intrapreso studi che potresti a stento concludere da vecchio. "Quanti
progressi farò?" mi chiedi. Proporzionati ai tuoi sforzi. 6 Che
aspetti? A nessuno capita di diventare saggio per caso. Il denaro arriverà
spontaneamente; una carica sarà offerta, favori e crediti ti verranno
forse messi davanti: ma la virtù non può capitarti per caso. E
neppure la si può apprendere con poca fatica o scarso impegno; ma vale
la pena darsi da fare per conquistare tutti i beni in una sola volta. L'unico
bene è l'onestà: negli altri apprezzati dalla massa non troverai
niente di vero, niente di sicuro. 7 Secondo te, nella mia lettera precedente
non ho trattato il problema esaurientemente e ho dedicato più spazio
alle lodi che alla dimostrazione; ti ripeterò allora in breve perché
sostengo che la virtù sia l'unico bene.
8 Ogni cosa vale per il bene che ha in sé: la fertilità e
il sapore del vino dà pregio alla vite, la velocità al cervo; dei
cavalli da tiro, che sono utilizzati solo per il trasporto di carichi, si
chiede se hanno la schiena forte; la principale qualità di un cane
è il fiuto, se deve scovare le fiere, la velocità se deve
inseguirle, il coraggio, se deve assalirle e azzannarle; ognuno deve
raggiungere la perfezione in quello per cui nasce, per cui viene valutato. 9 E
nell'uomo qual è la caratteristica migliore? La ragione: grazie a essa
è superiore agli animali e di poco inferiore agli dèi. Quindi la
ragione perfetta è un suo bene peculiare; le altre qualità le ha
in comune con gli animali e le piante. È forte: lo è anche il
leone. È bello: anche il pavone. È veloce: anche il cavallo.
Senza dire che in tutte queste qualità è superato; io non cerco
la sua qualità migliore, ma quella sua propria. Ha un corpo: anche gli
alberi. Ha slanci e movimenti volontari: li hanno anche le bestie, anche i
vermi. Ha la voce: ma i cani ce l'hanno tanto più forte, le aquile
più acuta, i tori più profonda, gli usignoli più dolce e
agile. 10 Qual è la qualità peculiare dell'uomo? La ragione: se
questa è onesta e perfetta, dà all'uomo una felicità
completa. Quindi se ogni cosa, quando ha portato a perfezione il suo bene,
è lodevole e raggiunge il suo fine naturale, e il bene proprio dell'uomo
è la ragione, se egli lo ha portato a perfezione, è lodevole e ha
toccato il suo fine naturale. La ragione perfetta si chiama virtù e
coincide con l'onestà. 11 Pertanto è l'unico bene nell'uomo,
poiché è l'unico bene proprio dell'uomo: noi non stiamo cercando che
cosa sia il bene, ma quale sia il bene proprio dell'uomo. Se esso consiste solo
nella ragione, questa sarà l'unico suo bene, ma va confrontato con tutti
gli altri. Se uno è malvagio, verrà, a mio parere, giudicato
negativamente; se è buono, positivamente. Quindi, nell'uomo, primo e
solo bene è quello per cui egli riceve approvazione e disapprovazione.
12 Tu non dubiti che questo sia un bene, dubiti che sia il solo
bene. Se uno ha tutti gli altri beni, salute, ricchezza, antenati famosi, una
massa di clienti, ma è chiaramente un malvagio, lo disprezzerai;
così se uno non ha alcuno dei beni suddetti, è privo di denaro,
di clienti, di nobiltà e di una sfilza di avi e bisavoli, ma è
palesemente virtuoso, lo apprezzerai. Quindi è questo l'unico bene
dell'uomo: chi lo possiede, anche se gli mancano gli altri beni, merita apprezzamento;
chi non lo possiede, è disapprovato e disprezzato, benché di tutti gli
altri beni ne abbia in abbondanza. 13 Identica la condizione dell'uomo e quella
delle cose: non si definisce buona la nave dipinta con colori preziosi o quella
col rostro d'oro o d'argento o che ha il dio protettore scolpito in avorio o
che è carica di tesori o ricchezze degne di un re, ma quella stabile e
sicura, compatta in modo che non entri acqua, solida e resistente alla furia
del mare, docile al timone, veloce e non soggetta alla violenza del vento; 14
non definirai buona una spada se ha il cinturino d'oro o il fodero tempestato
di gemme, ma se ha la lama dal taglio affilato e una punta in grado di
trapassare ogni difesa; non si richiede che una riga sia bella, ma che sia
perfettamente diritta: ogni oggetto è apprezzato in virtù
dell'uso per cui è fatto e che gli è proprio. 15 Dunque, anche in
un uomo non importa quanta terra abbia, quanto frutto ricavi dai suoi capitali,
quanta gente gli renda omaggio, se dorme in un letto prezioso, se beve in una
coppa scintillante, ma la sua onestà. Ed è onesto se la sua
ragione è libera, giusta e realizzata in armonia con l'inclinazione
della sua natura. 16 Questa si chiama virtù, questa è l'onestà
ed è l'unico bene dell'uomo. Solo la ragione può rendere perfetto
l'uomo, solo la ragione, quindi, può renderlo perfettamente felice e
questo è l'unico bene che da solo rende felici. Noi definiamo beni anche
quelli che scaturiscono e nascono dalla virtù, cioè tutte le sue
opere; perciò la virtù è l'unico bene, poiché non esiste
bene senza di lei. 17 Se ogni bene risiede nell'anima, tutto ciò che la
rafforza, la innalza, l'accresce, è un bene; ma è la virtù
a rendere più forte, più eccelsa, più grande l'anima. Gli
altri beni che accendono i nostri desideri, avviliscono l'anima, la abbattono e
apparentemente la elevano, in realtà la gonfiano e la ingannano con
false apparenze. Quindi l'unico bene è quello che rende migliore
l'anima. 18 Ogni azione dell'intera nostra esistenza è regolata dalla
considerazione del bene e del male; su di essi si basa la norma dell'agire e
del non agire. Ecco qual è: l'uomo virtuoso farà quello che
ritiene onesto anche se gli costerà fatica, anche se lo
danneggerà o sarà rischioso; non compirà, invece,
un'azione indegna, anche se gli procurerà denaro o piacere o potenza:
niente lo distoglierà dal bene, niente lo indurrà al male. 19
Quindi, se perseguirà sempre l'onestà, eviterà sempre la
disonestà e in ogni azione della sua vita terrà presente questi
due principî, non c'è altro bene che l'onestà, non c'è
altro male che la disonestà; se solo la virtù è incorrotta
e sola rimane sempre uguale a se stessa, la virtù è l'unico bene
e non può succedere che non sia un bene. Non corre il pericolo di
cambiare: lo stolto può salire con fatica alla saggezza, il saggio non
può ripiombare nella stoltezza.
20 Ho già detto, se te ne ricordi, che molti obbedendo a
uno slancio inconsulto si sono messi sotto i piedi tutto quello che la massa
desidera o teme: abbiamo trovato uomini che hanno rinunciato alla ricchezza,
che hanno messo la mano nel fuoco, che hanno continuato a sorridere anche sotto
tortura, che non hanno versato una sola lacrima al funerale dei figli, che
hanno affrontato coraggiosamente la morte; amore, ira, ambizione li hanno portati
a sfidare i pericoli. Se arriva a tanto una momentanea risolutezza, prodotta da
un qualche stimolo, quanto più potrà compiere la virtù: la
sua forza non dipende da un impulso improvviso, ma è sempre uguale a se
stessa e duratura. 21 Ne consegue che quanto viene disprezzato spesso da gente
temeraria e sempre dai saggi, non è né bene, né male. La virtù
è, quindi, l'unico bene e avanza superba tra la buona e la cattiva
sorte, disprezzandole entrambe.
22 Se, invece, ti convincerai che c'è qualche altro bene
oltre l'onestà, vacilleranno tutte le virtù; non potrà
mantenersene nessuna, se prenderà in considerazione altro fuori di sé.
Se è così, questa affermazione contrasta con la ragione da cui
scaturiscono le virtù, e con la verità, che non esiste senza la
ragione; ma qualunque opinione sia in contrasto con la verità, è
falsa. 23 Devi ammettere che un uomo virtuoso ha una grandissima venerazione
per gli dèi. Sopporterà perciò con animo sereno tutto
quello che gli accade; sa che è accaduto per la legge divina che muove
l'universo. Se è così, per lui l'unico bene sarà
l'onestà; essa comprende l'obbedienza agli dèi, non adirarsi per
gli imprevisti, non deplorare la propria sorte, ma accogliere con rassegnazione
il destino e fare quello che comanda. 24 Se c'è qualche altro bene oltre
all'onestà, ci perseguiterà la bramosia di vivere, la bramosia
dei beni che corredano la vita, tutti desideri insopportabili, senza limiti e
incerti. Il solo bene è dunque l'onestà che ha una misura.
25 Come ho già detto, la vita degli uomini sarebbe
più felice di quella degli dèi, se fossero veri beni quelli di
cui gli dèi non godono, come il denaro, gli onori. Aggiungi ora che, se
pure le anime sopravvivono alla morte del corpo, le aspetta una condizione più
felice di quando si trovano nel corpo. Se, però, sono beni veri quelli
di cui godiamo per mezzo del corpo, una volta persi, la condizione dell'anima
sarebbe peggiore; ma è impossibile credere che le anime chiuse e
oppresse nei corpi siano più felici che libere e proiettate nell'universo.
26 Avevo anche detto che se sono veri beni quelli che toccano tanto agli uomini
quanto agli animali, anche gli animali vivrebbero una vita felice; e questo non
è assolutamente possibile. Per la virtù bisogna sopportare tutto,
ma ciò non sarebbe necessario se ci fosse qualche altro bene oltre la
virtù.
Ho riassunto ed esposto in breve questi concetti sebbene li abbia
trattati più ampiamente in precedenza. 27 Ma tu non potrai mai
condividere un'opinione come questa, se non elevi il tuo spirito e non ti
domandi se saresti pronto a offrire non solo con rassegnazione, ma anche
volentieri, la testa, nel caso che le circostanze richiedano di morire per la
patria e di pagare con la vita la salvezza di tutti i cittadini. Se la risposta
è sì, non esiste nessun altro bene, perché tu rinunci a tutto per
ottenerlo. Guarda quanta forza ha la virtù: morirai per la patria, anche
se dovrai farlo subito, non appena ti renderai conto che è tuo dovere.
30 Questo, dunque, è l'unico bene e lo avverte non soltanto
l'animo perfetto, ma anche l'animo generoso e di indole buona: gli altri beni
sono futili e instabili. Perciò il loro possesso non dà
serenità; anche se la fortuna propizia li ha concentrati in un solo
individuo, pesano su chi li possiede, lo opprimono sempre, a volte lo
ingannano. 31 Nessuno di questi dignitari che vedi è felice, non
più di quanto lo siano gli attori ai quali il copione assegna lo scettro
e il manto sulla scena: in presenza del pubblico avanzano fieri e alti sui
coturni, ma appena escono, se li tolgono e ritornano alla loro statura. Non
è grande nessuno di quegli uomini che le ricchezze e gli onori mettono in
una condizione privilegiata. E perché, allora, sembra grande? Perché lo misuri
insieme al piedistallo. Un nano, anche se sta su un monte, non è alto;
un gigante mantiene la sua altezza anche in un fosso. 32 Fatalmente commettiamo
questo errore: non stimiamo nessuno per quello che è: gli aggiungiamo
anche tutti gli orpelli. Ma se vuoi fare una valutazione esatta di un uomo e
sapere com'è veramente, esaminalo spoglio di tutto; deponga il
patrimonio, deponga le cariche e gli altri inganni della fortuna, si spogli anche
del corpo: guarda alla qualità e alla grandezza della sua anima, se
è grande per beni propri o estranei. 33 Stimalo felice, se vede balenare
lame davanti ai suoi occhi e non li abbassa né gli importa di rendere l'anima
dalla bocca o dalla gola; se minacce di tortura gli vengono dalla sventura o
dalla violenza di un potente, se è condannato al carcere o all'esilio o
è messo di fronte a circostanze che riempiono di vano terrore l'animo
degli uomini e non trema, ma esclama:
o vergine, nessuna pena mi giunge nuova o inaspettata; tutto ho
previsto, tutto ho considerato nell'animo mio.
"Tu oggi mi annunci queste disgrazie: io le ho sempre
annunciate a me stesso e come uomo mi sono preparato al destino umano." 34
Non è duro il colpo inferto da una disgrazia prevista. Ma se uno
è sciocco e si affida alla sorte, ogni avvenimento gli sembra nuovo e
inaspettato; per gli ignoranti gran parte del male è rappresentato dalla
novità. Sappi questo: le disgrazie che sembravano loro intollerabili, le
sopportano con più coraggio quando ci hanno fatto l'abitudine. 35
Perciò il saggio si abitua ai mali futuri e, mentre per gli altri
diventano sopportabili dopo una lunga sofferenza, egli li rende tali con una
lunga meditazione. Certe volte sentiamo dire da un ignorante: "Questo me
lo aspettavo"; il saggio si aspetta tutto; qualunque cosa gli capiti,
dice: "Me l'aspettavo." Stammi bene.
77
1 Oggi sono comparse improvvisamente le navi alessandrine, che di
solito precedono la flotta e ne preannunciano l'arrivo: si chiamano "navi
staffetta". In Campania le vedono arrivare volentieri: tutta la
popolazione di Pozzuoli si accalca sul molo e anche in mezzo a tante navi
riconosce quelle alessandrine dal tipo di vele: solo a esse è consentito
spiegare la vela di gabbia che tutte le navi alzano in alto mare. 2 Non
c'è niente che favorisca la velocità della nave quanto la parte
alta della velatura; è da qui che la nave riceve la spinta maggiore.
Perciò quando il vento cresce ed è più forte del dovuto,
l'antenna viene abbassata: in basso il soffio ha meno forza. Quando arrivano in
prossimità di Capri e del promontorio da cui
Pallade su una cima tempestosa guarda dall'alto,
le altre navi devono ridurre la velatura: la vela di gabbia
è il segno distintivo delle navi alessandrine.
3 Mentre tutti si precipitavano alla spiaggia, ho tratto un enorme
piacere dalla mia pigrizia: dovevo ricevere lettere dai miei amministratori e
non mi affrettavo per conoscere la situazione dei miei affari laggiù e
che notizie mi portassero: già da tempo per me non ci sono né perdite né
guadagni. Avrei dovuto pensarla così anche se non fossi vecchio e quindi
ancor più adesso: per quanto poco io abbia, sono provviste superiori al
cammino che mi rimane, soprattutto perché ho imboccato una via che non è
necessario percorrere fino in fondo. 4 Un viaggio è incompiuto se ci si
ferma a mezza strada o prima del punto stabilito; la vita non è
incompiuta, se è virtuosa. Dovunque la concludi, se la concludi bene,
è completa. Spesso poi bisogna farla finita con coraggio per cause che
non sono tra le più importanti: del resto non sono importantissimi
neppure i motivi che ci tengono in vita.
5 Tullio Marcellino, che tu conoscevi molto bene, un ragazzo
tranquillo e invecchiato di colpo, colpito da una malattia non inguaribile, ma
lunga e fastidiosa e che esigeva molte cure, cominciò a pensare al
suicidio. Riunì intorno a sé numerosi amici. Ognuno, o perché era vile,
gli consigliava quello che avrebbe fatto egli stesso, o perché era compiacente
e adulatore, gli dava il consiglio che supponeva a lui più gradito. 6
Uno stoico mio amico, una personalità fuori dal comune e, per lodarlo
con parole degne di lui, un individuo forte e coraggioso, gli rivolse, a mio
parere, le parole più opportune: "Mio caro Marcellino, non
tormentarti," gli disse, "come se dovessi prendere una decisione
fondamentale; vivere non è poi una gran cosa: tutti i tuoi schiavi,
tutte le bestie vivono: l'importante è morire con dignità,
saggezza e coraggio. Pensa da quanto tempo fai sempre le stesse cose: mangi,
dormi, fai l'amore. È un circolo vizioso. Desiderare la morte non
è solo un segno di saggezza o di coraggio o di infelicità, ma
anche di nausea." 7 Marcellino non aveva bisogno di uno che lo
convincesse, ma di uno che lo aiutasse. I servi si rifiutavano di obbedire. Lo
stoico intanto li tranquillizzò e mostrò che la servitù si
sarebbe trovata in pericolo se fossero nati dubbi sul suicidio del padrone; del
resto non era un atto esemplare tanto uccidere il padrone, quanto impedirgli di
uccidersi. 8 Allo stesso Marcellino ricordò poi, che sarebbe stato un
bel gesto offrire alla fine della vita qualcosa alle persone che per tutta la
vita lo avevano servito, come, finita la cena, si dividono gli avanzi tra gli
schiavi presenti. Marcellino era generoso e liberale, disposto a dare anche del
suo; distribuì così piccole somme tra i servi che piangevano e
per giunta cercò di consolarli. 9 Non ebbe bisogno di un'arma o di una
morte cruenta: non mangiò per tre giorni e comandò che nella
stanza da letto mettessero una tenda. Poi fu portata una tinozza: vi giacque a
lungo e a poco a poco mentre versavano l'acqua calda, gli vennero meno le
forze, come diceva, non senza un suo piacere, il piacere tipico di quel lieve
dissolversi ben noto a me che certe volte perdo i sensi.
Non sperare che per le tue preghiere mutino i disegni divini.
Sono stati sanciti, sono immutabili, li governa una potente ed
eterna necessità: andrai là dove vanno tutti gli esseri.
Cos'è che ti sembra nuovo? Tu sei nato sotto questa legge; così
è stato per tuo padre, tua madre, i tuoi avi, per tutte le generazioni
passate e sarà così per quelle future. Una successione
ineluttabile, che nessuna forza può infrangere, vincola e trascina ogni
cosa. 13 Che folla di uomini destinati a morire verrà dopo di te, che
folla si accompagna a te! Saresti più forte, penso, se insieme a te
morissero molte migliaia di individui: eppure, nel preciso momento in cui tu
esiti a morire, molte migliaia di uomini e di animali in maniere diverse
esalano l'ultimo respiro. Ma non pensavi che prima o poi saresti arrivato alla
meta del tuo cammino? Ogni viaggio ha una sua fine.
14 Tu credi che ora mi rifarò a esempi di grandi uomini?
No, parlerò di ragazzi. È famoso quel ragazzo spartano ancora
imberbe che, fatto prigioniero, gridava nel suo dialetto dorico: "Non
sarò schiavo mai"; e mantenne fede alle sue parole: quando gli
ordinarono il primo lavoro umiliante e servile, (portare un vaso da notte), si
fracassò la testa sbattendola contro la parete. 15 La libertà è
così vicina: e c'è chi vive schiavo? Preferiresti che tuo figlio
morisse così, o che diventasse vecchio nell'inerzia? Perché dunque
turbarti, se anche un fanciullo può morire con coraggio? Metti caso che
tu non voglia seguire il destino comune: sarai costretto. Riduci in tuo dominio
ciò che dipende da altri. Non imiterai il coraggio di un fanciullo per
affermare: "No, non sarò un servo"? Infelice, sei schiavo
degli uomini, delle cose, della vita; anche la vita, se manca il coraggio di
morire, è una schiavitù. 16 Hai davvero buoni motivi per
aspettare? Anche i piaceri, che ti bloccano e ti trattengono, li hai esauriti:
non ce n'è nessuno nuovo per te; nessuno che non ti disgusti ormai per
la troppa sazietà. Conosci il sapore del vino puro, del vino col miele,
non c'è differenza se per la tua vescica ne passano cento o mille
anfore: sei solo un filtro. Conosci benissimo il gusto delle ostriche e delle
triglie: la tua mollezza non ti ha lasciato nulla di ignoto da godere per gli
anni a venire. Eppure sono queste le cose da cui ti stacchi a malincuore.
78
1 Ti tormentano continuamente catarro e febbriciattole, inevitabile
conseguenza di un catarro cronico e di vecchia data; mi dispiace tanto
più perché ci sono passato anch'io per questo genere di malattia:
all'inizio non ci feci caso, ero giovane e potevo ancòra sopportare i
danni di un male e comportarmi con una certa arroganza nei suoi confronti; poi,
dovetti soccombere, e mi ridussi a essere tutto catarro e diventai uno
scheletro. 2 Tante volte mi prese la voglia di farla finita: ma mi trattenne la
vecchiaia del mio amorevolissimo padre. Pensai non come potevo morire da forte,
ma come mio padre non avesse la forza di sopportare la mia scomparsa.
Perciò mi imposi di vivere; talvolta anche vivere è un atto di
coraggio.
3 Ti dirò che cosa mi diede sollievo; ma prima voglio dirti
che quanto mi confortava ebbe per me l'efficacia di una medicina; un conforto
onesto diventa una medicina e, se una cosa solleva l'anima, giova anche al
corpo. Gli studi furono la mia salvezza. È grazie alla filosofia se mi
sono risollevato, se sono guarito; alla filosofia sono debitore della vita, ma
questo è il debito più piccolo che ho con lei. 4 Anche gli amici
contribuirono molto alla mia guarigione; i loro consigli, le veglie, le
conversazioni mi erano di sollievo. Niente, mio ottimo Lucilio, rianima un
ammalato e lo sostiene quanto l'affetto degli amici, niente serve tanto a
ingannare l'attesa e il timore della morte: non ritenevo di morire, se
rimanevano in vita loro. Pensavo, voglio dire, che sarei vissuto non con loro,
ma attraverso loro; non mi sembrava di esalare l'anima, ma di trasmetterla.
Tutto questo mi diede la volontà di farmi forza e di sopportare ogni
tormento; altrimenti è ben triste cosa non avere il coraggio di vivere e
aver buttato via il coraggio di morire.
5 Questi sono i farmaci da prendere: il medico ti
prescriverà quante passeggiate o quanto moto devi fare; ti
raccomanderà di non abbandonarti all'ozio cui si tende quando una
malattia costringe all'inattività; di leggere ad alta voce e di
esercitare il fiato perché vie respiratorie e polmoni lavorano male; di andare in
barca per smuovere le viscere con quel dolce ondeggiare; ti dirà che
cosa devi mangiare, quando devi bere vino per darti forza, quando devi
astenertene per non provocare e inasprire la tosse. Io ti prescrivo un rimedio
adatto non solo a questa malattia, ma a tutta l'esistenza: il disprezzo della
morte. Non c'è più nulla di triste, se ci sottraiamo alla paura
della morte.
7 Torniamo ora ai disagi veri e propri: una malattia provoca forti
sofferenze, ma a intervalli che le rendono tollerabili. Un dolore quando
è al massimo dell'intensità non dura; nessuno può soffrire
intensamente e a lungo: la natura, che ci ama molto, ci ha regolato in modo che
il dolore fosse o sopportabile o di breve durata. 8 I dolori più acuti
si localizzano nei punti più magri del corpo; i nervi, le giunture e le
altre parti più scarne ci fanno soffrire terribilmente quando il male si
annida nella loro superficie limitata. Queste parti, però si
intorpidiscono presto e l'intensità stessa del dolore le rende
insensibili, primo perché lo spirito vitale è impedito nelle sue
attività naturali e si deteriora: perde la forza da cui trae vigore e
con cui ci stimola; secondo perché gli umori corrotti, quando non hanno
più uno sbocco, si neutralizzano da sé e privano di sensibilità
quelle parti che hanno riempito in maniera eccessiva. 9 Così la gotta
che colpisce mani e piedi e tutti i dolori delle vertebre e dei nervi si
calmano quando ottundono le parti che tormentavano; le prime fitte di tutte
queste malattie sono lancinanti, poi, se durano, finisce la fase acuta e al
dolore subentra l'intorpidimento. Il mal di denti, di occhi, di orecchie
è più acuto perché si sviluppa in organi molto piccoli, e lo
stesso è, perbacco, per il mal di testa; se, però è troppo
violento, provoca delirio e torpore. 10 Perciò un dolore intenso porta
questo sollievo: se lo si sente troppo, si finisce necessariamente per non
sentirlo più. Ma c'è una cosa che tormenta gli ignoranti nelle
sofferenze fisiche: non sono abituati a essere paghi dello spirito; attribuiscono
molta importanza al corpo. Perciò l'uomo magnanimo e saggio separa
l'anima dal corpo e con la parte migliore di sé, di origine divina, si
intrattiene a lungo, con quella corporea lamentosa e fragile, invece, solo lo
stretto necessario. 11 "Ma," si obietta, "è fastidioso
non godere dei consueti piaceri, astenersi dal cibo, soffrire la sete, la
fame." In un primo momento queste privazioni sono gravose, poi il
desiderio comincia ad attenuarsi proprio per la spossatezza e l'indebolimento
degli organi del desiderio; lo stomaco diventa schifiltoso e all'avidità
di cibo subentra la nausea. Anche le voglie si spengono e allora non è
duro rinunciare a ciò che non si desidera. 12 Aggiungi che ogni dolore a
tratti si placa o, almeno, diminuisce. Inoltre, è possibile prevenirlo e
contrastarlo con le medicine; ogni tipo di sofferenza presenta chiari sintomi,
specie se ritorna spesso. È, dunque, possibile sopportare la malattia se
ne disprezzi le estreme conseguenze.
13 Non renderti più gravosi i tuoi mali, non opprimerti con
i lamenti: il dolore è leggero se non lo accresci con la tua
suggestione. Se comincerai invece a farti coraggio e a dirti: "Non
è niente o almeno è cosa da poco; resistiamo, sta per
finire", con questi pensieri lo renderai leggero. Tutto dipende dalla
suggestione; e non ne sono soggette soltanto l'ambizione, la lussuria,
l'avidità: soffriamo per suggestione. 14 Ognuno è infelice quanto
ritiene di esserlo. Ma evitiamo, io la penso così, di lamentarci per i
dolori passati dicendo: "A nessuno è mai capitato di peggio. Che
sofferenze, che mali ho sopportato! Nessuno pensava che mi sarei ripreso.
Quante volte i miei mi hanno pianto, quante volte i medici mi hanno dato per
spacciato! Nemmeno sotto tortura si soffre tanto." Anche se questo
è vero, ormai è andata: a che serve rivangare i dolori sofferti
ed essere infelice ora perché lo sei stato in passato? Tutti ingigantiscono i
loro mali e mentono a se stessi! E poi è piacevole che siano finiti quei
dolori che è stato duro sopportare: quando il male finisce, è
naturale goderne. Due cose, dunque, vanno eliminate: il timore di un nuovo male
e il ricordo di quello vecchio; l'uno ancora non mi tocca, l'altro non mi tocca
più. 15 Proprio quando uno sta male deve dire:
Forse un giorno mi riuscirà gradito anche il ricordo di queste
sofferenze.
Combatta con tutto se stesso; se si arrende, sarà
sconfitto, ma vincerà se lotterà contro il dolore. E invece, la
maggior parte della gente attira su di sé le disgrazie a cui dovrebbe opporsi.
Il male che ti incalza, che ti sovrasta, che non ti dà tregua, se
cercherai di sottrarti, ti inseguirà e ti piomberà addosso
più pesantemente; se rimarrai saldo e opporrai resistenza, riuscirai a
respingerlo. 16 Quanti colpi prendono gli atleti sulla faccia, su tutto il corpo!
E tuttavia sopportano ogni sofferenza per desiderio di gloria, non solo durante
i combattimenti, ma anche quando si preparano ai combattimenti: l'allenamento
stesso è già sofferenza. Vinciamo anche noi ogni male: il premio
non è una corona o una palma o un banditore che impone il silenzio per
proclamare il nostro nome, ma la virtù e la fermezza d'animo e la pace
conquistata in ogni altro campo, se vinciamo una volta un combattimento con la
fortuna. 17 "Sento un dolore lancinante." E allora? Non lo senti, se
ti comporti come una donnetta? Il nemico è più pericoloso per chi
fugge; allo stesso modo una disgrazia dovuta al caso preme di più su chi
si arrende e volge le spalle. "Ma è lancinante." E come? Siamo
forti solo per portare pesi leggeri? Preferisci una malattia lunga oppure breve
e violenta? Se è lunga ha degli intervalli, lascia un po' di respiro,
concede molto tempo e necessariamente, come comincia, finisce; una malattia
breve e violenta presenta due alternative: o si estingue o estingue. Che
differenza c'è se vengo meno io o la malattia? In entrambi i casi
finisce la sofferenza.
18 Gioverà anche volgere lo spirito ad altri pensieri e
staccarsi dal dolore. Ripensa ai tuoi atti di onestà e di coraggio;
considerane gli elementi positivi; ricorda le imprese che più hai
ammirato; richiama allora alla memoria tutti gli uomini più forti che
hanno sconfitto il dolore: quello che ha continuato a leggere un libro mentre
si faceva operare di varici, quello che non ha smesso di sorridere mentre i
suoi carnefici, rabbiosi proprio per questo, provavano su di lui tutti gli
strumenti della loro crudeltà. Quel dolore che il riso è riuscito
a vincere, non lo vincerà la ragione? 19 Ora puoi descrivere quello che
vuoi, il catarro e la virulenza di una tosse continua che ti fa vomitare anche
le viscere, la febbre che ti brucia il petto, la sete, gli arti storpiati dalla
deformazione delle articolazioni: sono, però, peggiori il fuoco, il
cavalletto, le piastre roventi, tutto quello che viene cacciato dentro le
ferite tumefatte per riaprirle e tormentarle più in profondità.
Eppure c'è chi tra queste torture non si è lasciato sfuggire un
lamento. Ma questo è poco: non ha implorato. È poco: non ha
risposto. È poco: ha riso, e di cuore. Vuoi allora ridertela del dolore
dopo questi esempi?
20 "Ma," si dice, "la malattia non mi permette di
far niente, mi ha distolto da tutte le mie occupazioni." La malattia
colpisce il corpo, non lo spirito. Può impedire i piedi del corridore,
impacciare le mani del sarto o del fabbro: ma se tu abitualmente ti servi dello
spirito, potrai dare consigli e insegnare, ascoltare e imparare, domandare e
ricordare. E dunque? Secondo te non fai niente, se, pur essendo infermo,
mantieni un comportamento equilibrato? Dimostrerai che un male si può
vincere o almeno sopportare. 21 Credimi, anche in un lettuccio c'è posto
per la virtù. Prova di un animo ardente, che la paura non riesce a
domare, non possono darla solo le armi e le battaglie: l'uomo forte si rivela
anche sotto le coperte. Hai qualcosa da fare: combattere valorosamente contro
la malattia. Se non c'è cosa a cui potrà costringerti o indurti,
darai un esempio insigne. Che straordinaria occasione di gloria ci sarebbe, se
gli uomini ci osservassero quando siamo ammalati! Ma tu osservati e lodati da
te.
22 Ci sono, poi, due generi di piaceri. La malattia impedisce i
piaceri fisici, ma non li elimina; anzi, a ben guardare, li stimola. Se uno ha
sete, bere gli piace di più; il cibo è più gradito a chi
ha fame; tutto quello che si riceve dopo un periodo di astinenza, si prende con
maggiore avidità. Ma i piaceri dell'animo che sono più grandi e
più sicuri, nessun medico li nega all'ammalato. Chi tende a essi e li
conosce bene, disprezza tutti gli allettamenti dei sensi. 23 "Povero
malato!" E perché? Perché non può sciogliere la neve nel vino?
Perché non può mantenere fresca la sua bevanda, preparata in una capace
coppa, aggiungendovi pezzi di ghiaccio? Perché non gli vengono aperte proprio
sulla tavola le ostriche del lago Lucrino? Perché mentre cena non c'è
intorno a lui un trambusto di cuochi che insieme alle pietanze portano i
fornelli? Ormai la dissolutezza ha escogitato anche questo: per evitare che i
cibi diventino tiepidi, che il palato ormai indurito li senta poco caldi, la
cucina fa da scorta alla cena. 24 "Povero malato!" Mangerà quanto
può digerire: non gli si metterà di fronte un cinghiale, bandito
poi dalla mensa come carne poco pregiata, non si ammucchieranno sul piatto da
portata petti di uccello (vederli interi darebbe il voltastomaco). Che
c'è di male? Mangerai come un malato, anzi una buona volta come una
persona sana.
25 Ma tutti questi disagi li sopporteremo volentieri, brodini,
acqua calda e tutte quelle altre cose che sembrano intollerabili agli
schifiltosi snervati dai piaceri e malati più nell'anima che nel corpo:
basta non avere più orrore della morte. E non ne avremo più, se
conosceremo i confini del bene e del male; allora soltanto non avremo disgusto
della vita, né timore della morte. 26 Non può avere nausea della vita
uno che esamini tante questioni, diverse, grandi, divine: chi vive pigramente
nell'ozio arriva di solito a odiare la vita. Se uno scruta la natura, la
verità non gli verrà mai a nausea: solo le cose false saziano
fino al disgusto. 27 E poi, se la morte arriva e lo chiama, anche se è
prematura, anche se tronca la sua vita a metà, egli ha già
raccolto i frutti di una lunghissima esistenza. Conosce gran parte della
natura; sa che la virtù non cresce col passare del tempo: solo a quegli
uomini che misurano la vita in base a piaceri vani e perciò senza limiti,
ogni vita sembra necessariamente breve.
28 Rinfrancati con questi pensieri e intanto leggi attentamente le
mie lettere. Verrà finalmente un tempo in cui ritorneremo a vivere
insieme; per quanto breve sia, il saperlo usare lo renderà lungo. Dice
Posidonio: "Un solo giorno di un uomo colto è più esteso di
una lunghissima esistenza di un uomo ignorante." 29 Intanto tieni ben
ferma questa regola: non soccombere ai casi avversi, non fidarsi di quelli
propizi, avere presenti gli arbìtrî della sorte, come se dovesse attuare
tutto quanto è in suo potere. Ogni evento che si è aspettato a
lungo, giunge più sopportabile. Stammi bene.
79
1 Aspetto tue lettere per sapere che novità hai scoperto
girando per tutta la Sicilia e avere notizie più sicure su Cariddi. Infatti,
so benissimo che Scilla è uno scoglio e non è pericoloso per i
naviganti: desidero, invece, che tu mi scriva esattamente se sono vere le
leggende su Cariddi e, se ci hai fatto caso, (e certo la cosa merita
attenzione), informami se i vortici li provoca un vento in particolare, oppure
se tutte le burrasche sconvolgono allo stesso modo quel tratto di mare, e se
è vero che ogni relitto strappato via da quel turbinio di correnti viene
trascinato sott'acqua per molte miglia ed emerge vicino alla spiaggia di
Taormina. 2 Se mi scriverai tutte queste notizie, allora oserò chiederti
di salire anche sull'Etna per farmi piacere. Secondo alcuni questo vulcano si
sta consumando e abbassando a poco a poco; lo deducono dal fatto che un tempo i
naviganti lo scorgevano più da lontano. Questo fenomeno può
succedere non perché diminuisce l'altezza del monte, ma perché il fuoco
è più debole ed esce con minore violenza e in minore
quantità e per lo stesso motivo anche il fumo diventa più tenue
durante il giorno. Sono due ipotesi plausibili, sia che il monte si stia
consumando e abbassando giorno dopo giorno, sia che rimanga tale e quale,
perché il fuoco non lo divora, ma si forma in qualche cavità
sotterranea, ribolle ed è nutrito da altre sostanze: nel monte non trova
alimento: solo una via d'uscita.
4 Ma mettiamo da parte questo argomento per approfondirlo quando
mi scriverai a che distanza dal cratere si trova la neve; pur essendo vicina al
fuoco, è tanto riparata che non si scioglie nemmeno in estate. Non devi,
però addebitarmi la fatica della scalata: anche se nessuno te lo avesse
chiesto, l'avresti fatto per soddisfare la tua forte curiosità. 5 Non
c'è niente che possa distoglierti dal descrivere l'Etna nel tuo poema e
dal toccare questo soggetto abituale per tutti i poeti. Il fatto che Virgilio
ne avesse parlato diffusamente non impedì a Ovidio di trattare
l'argomento; e Virgilio e Ovidio insieme non distolsero neppure Cornelio
Severo. Inoltre questo soggetto si è prestato con successo a tutti, e
gli scrittori precedenti, secondo me, non hanno portato via agli altri quello
che c'era da dire, ma hanno spianato la via. 6 È molto diverso
accostarsi a un tema ormai esaurito, oppure a uno su cui hanno lavorato altri:
questo si sviluppa giorno per giorno e le immagini create non sono di ostacolo
a chi ne vorrà creare di nuove. E poi lo scrittore che arriva per ultimo
è nella condizione ottimale: trova le parole pronte; basta disporle
diversamente e acquistano una fisionomia nuova. Il suo non è un furto:
appartengono a tutti. 7 O io non ti conosco o l'Etna ti fa venire l'acquolina
in bocca; e già desideri scrivere qualcosa di grande e allo stesso
livello delle opere precedenti. La tua modestia non ti fa sperare di più:
è tale che, secondo me, saresti pronto a trattenere le forze del tuo
ingegno se ci fosse pericolo di superare gli altri: tanto è il rispetto
che nutri per gli scrittori precedenti.
8 La saggezza ha, oltre al resto, anche questo di buono: uno
può superare un altro solo durante la salita. Arrivati in cima, si
è tutti uguali; non c'è possibilità di avanzare, si sta
fermi. Il sole aumenta forse la sua grandezza? E la luna percorre un'orbita
più lunga di quella solita? I mari non crescono; l'universo conserva
sempre lo stesso aspetto e la stessa estensione. 9 Le cose che hanno raggiunto
le dovute dimensioni non possono ingrandirsi: tutti coloro che raggiungeranno
la saggezza saranno uguali e alla pari. Ciascuno di loro avrà doti sue
proprie: uno sarà più affabile, uno più pronto, uno
più spedito nel parlare, uno più eloquente: la virtù, di
cui si discute e che rende felici, è uguale in tutti. 10 Non so se il
tuo Etna possa crollare e precipitare su se stesso o se l'azione violenta e
continua del fuoco possa corrodere questa alta vetta, visibile su un largo
tratto di mare: ma né le fiamme, né un crollo possono trascinare in basso la
virtù; è l'unica dignità che non conosce diminuzioni. Non
può avanzare e nemmeno indietreggiare; la sua grandezza è fissa
come quella dei corpi celesti. Cerchiamo di innalzarci fino a essa. 11 Si
è fatto già molto; anzi, a dire il vero, non molto. La
bontà non consiste nell'essere migliori dei peggiori: chi potrebbe
vantarsi della propria vista, se scorge appena la luce del giorno? Se uno vede
splendere il sole attraverso una fitta nebbia, benché sia lieto di essere per
il momento sfuggito alle tenebre, non gode ancora del bene della luce. 12
Allora l'anima nostra potrà congratularsi con se stessa quando, uscita
dalle tenebre in cui è avvolta, scorgerà la luce, non con vista
debole, ma accoglierà tutto lo splendore del giorno e sarà
restituita al suo cielo, quando riprenderà il posto assegnatole dalla
sorte al momento della nascita. Le sue origini la chiamano in alto e ci
arriverà anche prima di liberarsi dalla prigionia del corpo, se
disperderà i vizi, e pura e leggera si innalzerà a pensieri
divini.
13 È bello, mio carissimo Lucilio, perseguire questo scopo,
e tendervi con tutto il nostro slancio, anche se pochi, o nessuno, sono in
grado di farlo. La gloria è l'ombra della virtù: la
seguirà anche contro il suo volere. Ma come l'ombra a volte precede, a
volte segue, oppure è alle spalle, così certe volte la gloria
è davanti a noi, visibile, certe altre è dietro ed è
più grande quanto più tardi arriva, una volta scomparsa
l'invidia. 14 Per quanto tempo Democrito fu considerato pazzo! A fatica Socrate
divenne famoso! Per quanto tempo i concittadini ignorarono Catone! Lo
respinsero e ne compresero il valore solo dopo la sua morte. L'integrità
e la virtù di Rutilio non sarebbero emerse se non avessero subìto
un'ingiustizia: l'oltraggio le fece risplendere. Non fu forse grato alla sua
sorte e non accettò volentieri l'esilio? Parlo di uomini che la fortuna
ha reso celebri mentre ne subivano le angherie: ma di quanti vennero alla luce
i meriti solo dopo la morte! Quanti la fama non accolse subito, ma li trasse
poi fuori dall'oblio! 15 Vedi quanto è ammirato Epicuro non solo dai
più dotti, ma anche dalla massa degli ignoranti! Eppure egli che viveva
in disparte nei dintorni di Atene, in Atene stessa era sconosciuto. Molti anni
dopo che Metrodoro era morto, celebrò in una lettera con un ricordo
grato la sua amicizia con lui; alla fine aggiunse che, fra i tanti beni di cui
avevano goduto, né per sé, né per Metrodoro era stato un danno che la celebre
Grecia non solo non li avesse conosciuti, ma quasi non li avesse sentiti
nominare. 16 Non fu scoperto forse dopo la sua morte? Non rifulse la sua fama?
Anche Metrodoro in una lettera confessa che lui ed Epicuro non erano abbastanza
noti, ma che dopo di loro avrebbero ottenuto grande e immediata fama gli uomini
che avessero voluto calcare le loro stesse orme. 17 La virtù non rimane
mai sconosciuta e l'essere stata sconosciuta non la danneggia: verrà il
giorno che la riporterà alla luce dalle tenebre in cui era stata
seppellita e compressa dall'invidia dei contemporanei. Chi si dà
pensiero degli uomini del suo tempo, è nato per pochi. Seguiranno
migliaia di anni, migliaia di generazioni: guarda a loro. Anche se l'invidia
ridurrà al silenzio tutti i tuoi contemporanei, verranno i posteri a
giudicarti senza risentimenti o compiacenze. Se dalla fama deriva un premio
alla virtù, neppure questo andrà perduto. Non ci toccherà
quello che i posteri diranno di noi; tuttavia ci onoreranno e ci celebreranno
anche se non potremo sentirli. 18 La virtù ricompensa tutti o da vivi o
da morti, purché la seguiamo con lealtà, senza fregiarcene o
adornarcene, ma rimanendo sempre gli stessi, sia che sappiamo di essere visti,
sia che veniamo colti di sorpresa, impreparati. Fingere non serve; una maschera
superficiale può ingannare solo pochi: la verità è uguale
in ogni sua parte. L'inganno non ha solide basi. La menzogna è uno
schermo sottile: se guardi con attenzione, è trasparente. Stammi bene.
80
1 Oggi sono libero: non tanto per merito mio, ma di uno spettacolo
di pugilato che ha fatto da richiamo a tutti gli scocciatori. Nessuno
farà irruzione a casa mia, nessuno verrà a interrompere le mie
riflessioni, che, proprio fidando in questo, procedono più ardite. La
porta non cigolerà improvvisamente, nessuno alzerà la tenda della
mia stanza: potrò procedere in tutta tranquillità, e questo
è necessario soprattutto per chi cammina da solo e percorre una sua
strada. Non seguo, dunque, le orme dei miei predecessori? Sì, ma mi
permetto di trovare, di cambiare, di tralasciare qualcosa; condivido le loro
idee, senza, però esserne schiavo.
2 Ho parlato troppo, tuttavia, quando mi ripromettevo silenzio e
solitudine senza scocciatori: ecco, alte grida arrivano dallo stadio: non mi
distolgono dai miei pensieri, ma mi portano a esaminare proprio questo fatto.
Penso tra me e me quanti sono gli uomini che esercitano il corpo e quanto pochi
quelli che esercitano la mente; quanta gente accorre a un passatempo
inconsistente e vano, e che deserto intorno alle scienze; che animo debole
hanno quegli atleti di cui ammiriamo i muscoli e le spalle. 3 E soprattutto
penso a questo: se con l'esercizio il corpo può arrivare a sopportare
pugni e calci, e non di un uomo solo, se un individuo può passare un
giorno intero sotto un sole a picco nella polvere rovente, perdendo sangue,
quanto sarebbe più facile rinforzare l'animo in modo che riceva senza
piegarsi i colpi della fortuna, che si risollevi anche atterrato e calpestato. Il
corpo ha bisogno di molte cose per star bene: l'animo cresce da sé, alimenta ed
esercita se stesso. Gli atleti hanno bisogno di molto cibo, molte bevande,
molto olio e, infine, di un lungo esercizio: tu, invece, raggiungerai la
virtù senza preparativi, senza spesa. Tutto quello che può
renderti virtuoso lo hai con te. 4 Di che cosa hai bisogno per diventare
virtuoso? Della volontà. Ma che cosa puoi volere di meglio che sottrarti
a questa schiavitù che opprime tutti, che persino gli schiavi di infimo
stato, nati in questa abiezione, tentano in ogni modo di scuotersi di dosso?
Loro, per avere la libertà, sborsano quei risparmi che hanno accumulato
privandosi del cibo: e tu, che ritieni di essere nato libero, non desidererai
raggiungere a ogni costo la libertà? 5 Perché guardi la cassaforte? La
libertà non puoi comprarla. Perciò è inutile scrivere sui
documenti la parola libertà: non si può comprarla, né venderla:
questo bene te lo devi donare tu stesso, devi chiederlo a te stesso. Liberati
prima di tutto dalla paura della morte, che ci impone il suo giogo, e poi dalla
paura della povertà. 6 Nella povertà non c'è niente di
male; per rendertene conto confronta tra loro il volto dei poveri e quello dei
ricchi: il povero ride più spesso e più di cuore, non ha nessuna
preoccupazione nel suo intimo e, anche se gli capita qualche cruccio, passa
come una nube leggera: ma l'allegria di quegli uomini che vengono definiti
felici è simulata oppure gravata e corrotta da un'intima tristezza, ed
è tanto più penosa perché certe volte non possono mostrare
apertamente la loro infelicità, ma devono fingersi lieti anche se gli
affanni rodono loro il cuore. 7 Dovrei servirmi più spesso di questo
esempio, perché esprime, più efficacemente di qualsiasi altro, questa
farsa della vita umana, dove ci viene assegnata una parte che recitiamo male.
L'attore che avanza impettito sulla scena e a testa alta recita queste battute:
Ecco comando su Argo; Pelope mi lasciò in eredità
quei luoghi dove l'Istmo è battuto dall'Ellesponto e dal mare Ionio,
è uno schiavo, la sua paga è di cinque moggi di
farina e cinque denari. 8 Quell'altro che superbo e tracotante, fiduciosamente
orgoglioso della sua potenza, dice:
Se non stai quieto, Menelao, perirai per mia mano,
è pagato a giornata e dorme su un pagliericcio. Lo stesso
si può dire di tutti questi effeminati che in lettiga avanzano sopra una
folla di teste: la loro felicità è una commedia. Se li spogli, li
disprezzerai. 9 Quando compri un cavallo vuoi che gli tolgano la gualdrappa:
gli schiavi messi in vendita li fai svestire perché non nascondano qualche
difetto fisico: e giudichi un uomo tutto paludato? I mercanti di schiavi
cercano di nascondere le anomalie con qualche espediente, perciò chi
compra diffida proprio delle bardature: se vedessi un braccio o una gamba
bendati, li faresti scoprire e mettere a nudo. 10 Vedi quel re di Scizia o di
Sarmazia col capo splendidamente adorno di una corona? Se vuoi giudicarlo e
sapere com'è veramente, levagli il diadema: sotto si nascondono molte
magagne. Ma perché parlo degli altri? Se vuoi valutare te stesso, metti da
parte il denaro, la casa, la tua posizione, esaminati nell'intimo: ora ti
affidi al giudizio degli altri. Stammi bene.
81
1 Ti lamenti di esserti imbattuto in un ingrato: se questa
è la prima volta, ringrazia la fortuna oppure la tua prudenza. Ma in
questo caso la prudenza non può fare niente, se non renderti gretto;
difatti, se non vorrai correre il pericolo dell'ingratitudine, non dovrai
più fare benefici; così, perché non vadano perduti per colpa
d'altri, andranno perduti per te. È meglio non ricevere gratitudine
piuttosto che non fare del bene; anche dopo un cattivo raccolto bisogna
seminare. Spesso la produzione abbondante di un solo anno compensa le perdite
dovute alla persistente sterilità di un terreno infecondo. 2 Vale la
pena sperimentare anche l'ingratitudine pur di trovare una persona grata.
Nessuno può elargire benefici con tanta avvedutezza da non ingannarsi di
frequente: cadano pure nel vuoto, purché qualche volta non vadano perduti. I
marinai riprendono il mare anche dopo un naufragio; se un debitore fallisce,
non per questo l'usuraio abbandona i suoi affari. La vita si intorpidirebbe ben
presto in un ozio inerte se dovessimo lasciare da parte tutto quello che non ha
fortuna. Proprio questa delusione deve renderti più generoso; anche se
la riuscita di un'azione è incerta, bisogna fare diversi tentativi
perché prima o poi vada a segno.
3 Ma di questo argomento ho parlato abbastanza nel mio libro I
benefici: mi sembra, invece, vada approfondito un problema che, secondo me, non
è stato sviluppato a sufficienza: cioè, se il nostro benefattore
in un secondo momento ci fa del male, siamo pari e liberi da ogni debito di
riconoscenza? Aggiungi, se vuoi, anche questa evenienza: mi ha fatto più
male poi di quanto mi avesse giovato prima. 4 Vuoi la giusta sentenza di un
magistrato severo? Giudicherà che le azioni si compensano l'una con
l'altra e sentenzierà: "Sebbene le offese siano preponderanti,
tuttavia la parte di male in eccesso sia condonata in nome dei beneficî
arrecati." Il male è stato maggiore, ma il beneficio è
precedente; perciò anche il tempo deve avere il suo peso. 5 Ci sono poi
dei fattori troppo evidenti perché debba ricordarteli: bisogna vedere se il
bene è stato fatto volentieri, e il male invece contro la propria
volontà, poiché sia i benefici che le offese hanno un valore a seconda
dello spirito con cui si fanno. "Non avrei voluto concedere quel favore;
mi sono lasciato vincere o dal rispetto, o dall'insistenza di chi me lo
chiedeva o da una qualche speranza." 6 Ogni favore bisogna ricambiarlo con
lo stesso spirito con cui è fatto, senza considerarne l'entità,
ma la volontà che lo ha originato. Lasciamo ora da parte le ipotesi: quello
è stato il favore e questa è l'offesa, che ha superato
l'entità del favore. L'individuo virtuoso nel fare i calcoli si
imbroglia da sé: aumenta il valore del beneficio, diminuisce quello
dell'offesa. Un altro giudice più indulgente - e questo vorrei essere io
- ci imporrà di dimenticare l'offesa e di ricordare il beneficio. 7
"Ma," ribatti, "è più giusto ricambiare ciascuno
come si merita, il benefattore con la riconoscenza, chi ci ha offeso con la
legge del taglione o almeno con il rancore." Questo sarà vero se
chi ci ha fatto del male e chi ci ha beneficato non sono la stessa persona; in
caso contrario il beneficio annulla il male. Se era giusto perdonare a chi ci
fa del male, anche se non c'erano meriti precedenti, gli si deve più che
il perdono se ci danneggia dopo che ci ha fatto del bene. 8 Per me beneficio e
offesa non hanno il medesimo valore: valuto di più l'uno che l'altra.
Non tutti sanno dimostrarsi grati: anche un uomo qualsiasi, sciocco e rozzo,
può sentirsi obbligato, soprattutto se il favore l'ha ricevuto da poco;
ignora, però in che misura deve esserlo. Solo il saggio sa quanto e che
cosa bisogna valutare. Lo sciocco di cui parlavo ora, anche se ha buona
volontà, ricambia in misura minore al dovuto, oppure non ricambia a luogo
e tempo debito; così spreca e getta via la sua riconoscenza.
9 Per certi soggetti esistono vocaboli straordinariamente
appropriati, e un'antica consuetudine linguistica designa taluni concetti con
termini efficacissimi volti a indicare i doveri. Noi almeno diciamo abitualmente:
"Gli ha ricambiato il favore." Ricambiare significa dare di propria
iniziativa quanto è dovuto. Non diciamo: "Ha restituito il
favore", perché restituiscono anche quelle persone che lo fanno su
richiesta o contro voglia o quando pare a loro o per mezzo di un altro. Non
diciamo: "Ha reso il favore" o "Ha pagato il suo debito":
non ci piacciono le parole che si adoperano per i debiti. 10 Ricambiare
è restituire il favore a chi te l'ha fatto. Questa parola indica un rapporto
spontaneo: chi ha ricambiato, ha fatto appello a se stesso. Il saggio
esaminerà fra sé tutto quanto ha ricevuto, da chi, il motivo, il
momento, il luogo e la maniera. Perciò sosteniamo che solo il saggio sa
ricambiare il favore, come è il solo che lo sa fare; egli certo gode a farlo
più di quanto un altro goda a riceverlo. 11 Qualcuno classifica questo
concetto tra quelli che noi sosteniamo contro l'opinione comune (i Greci li
chiamano $ðáñÜäïîá$) e dice: "Nessuno, dunque, se non il
saggio, sa ricambiare un favore? Nessun altro sa restituire il suo debito al
creditore o, quando compra qualcosa, sa pagare il prezzo a chi vende?"
Perché non mi si guardi male, sappi che Epicuro dice la stessa cosa. Metrodoro
almeno sostiene che solo il saggio sa ricambiare un favore. 12 Lo stesso avversario
si stupisce, poi, quando affermiamo: "Solo il saggio sa amare, solo il
saggio è un vero amico." Ma la riconoscenza è parte
integrante sia dell'amore che dell'amicizia, anzi è più comune e
più diffusa della vera amicizia. Sempre lo stesso si stupisce, inoltre,
perché diciamo che solo il saggio è leale, come se egli non dicesse poi
la stessa cosa. Oppure, secondo te, può essere leale un uomo che non sa
essere riconoscente? 13 La finiscano allora di accusarci come se affermassimo
cose incredibili e sappiano che il saggio possiede l'onestà vera e
propria, mentre la massa possiede solo immagini e parvenze di onestà.
Nessuno, se non il saggio, sa essere riconoscente. Anche lo sciocco mostri la
sua gratitudine, come sa e come può; gli manchi la scienza piuttosto che
la volontà: la volontà non si impara. 14 Il saggio metterà
a confronto ogni elemento: anche se è la stessa, un'azione può
avere più o meno valore a seconda del momento, del luogo, delle cause.
Spesso la ricchezza piovuta su una casa non ha avuto lo stesso effetto di mille
denari dati al momento opportuno. C'è una grande differenza tra fare un
regalo e dare un aiuto, tra salvare una persona con la propria
liberalità, oppure dargli il superfluo; spesso quello che si dà è
poco, ma produce molto. Che differenza pensi che ci sia se uno dà del
proprio o ha ricevuto da altri per dare?
15 Ma per non ritornare sullo stesso argomento che abbiamo
trattato a sufficienza, in questo confronto tra beneficio e offesa, il saggio
giudicherà nel modo più equo, ma attribuirà più
valore al beneficio e propenderà per esso.
19 Dobbiamo fare di tutto per dimostrare la massima gratitudine.
Questo è un bene nostro, allo stesso modo che la giustizia non riguarda
gli altri, come comunemente si crede: gran parte ricade su se stessa. Ognuno,
quando fa del bene a un altro, lo fa a se stesso. E non lo dico perché chi
è stato aiutato vuole aiutare, chi è stato difeso vuole
proteggere e perché il buon esempio ritorna sulla persona che lo ha dato,
(così come i cattivi esempi ricadono sugli autori, e se uno con le sue
azioni ha insegnato che si può offendere, non trova commiserazione
quando viene a sua volta offeso); ma lo dico perché ogni virtù trova in
se stessa la sua ricompensa. Non la si esercita in vista di un premio: il
guadagno di un'azione virtuosa consiste nell'averla compiuta. 20 Dimostro
gratitudine non perché un altro spronato dal mio precedente esempio mi aiuti
più volentieri, ma per compiere un'azione dolcissima e bellissima; sono
grato non perché mi conviene, ma perché mi piace. Per renderti conto che le
cose stanno così, sappi che se potrò dimostrare la mia
gratitudine solo sembrando ingrato, se potrò ricambiare un favore solo
sotto l'apparenza di un'offesa, con la massima tranquillità
realizzerò questo giusto proposito anche a prezzo dell'onore. Nessuno,
secondo me, tiene in maggior conto la virtù, nessuno le è
più devoto di chi rovina la propria reputazione di uomo onesto per non
tradire la propria coscienza. 21 Perciò come ho già detto, il
dimostrare gratitudine è un bene maggiore per te che per il tuo
prossimo; a lui càpita un fatto comune, di tutti i giorni, riavere
quello che ha dato, a te un fatto importante, generato da uno stato d'animo di
intensa felicità, aver dimostrato gratitudine. Se la malvagità
rende infelici e la virtù felici, e l'essere riconoscenti è una
virtù, hai dato una cosa comune e ne hai ottenuta una di valore
inestimabile, la coscienza della gratitudine, che nasce solo in un animo straordinario
e fortunato.
Chi nutre sentimenti contrari a questi è oppresso dalla
più profonda infelicità; se uno è ingrato verso gli altri,
non è gradito a se stesso. Tu pensi che io dica: l'ingrato sarà
infelice? Non lo rinvio al futuro: è infelice subito. 22 Evitiamo
perciò l'ingratitudine, non per gli altri, ma per noi stessi. La parte
di malvagità che ricade sugli altri è minima e leggerissima:
quella peggiore e, per così dire, più gravosa, rimane e opprime
il malvagio; il nostro Attalo spesso diceva: "La malvagità stessa
beve la maggior parte del proprio veleno." Quel veleno letale per gli
altri, ma innocuo a loro stessi che i serpenti emettono non assomiglia a
questo: questo è deleterio anche per chi lo possiede.
27 Nessuno poi può mostrarsi grato se non disprezza quelle
avversità a causa delle quali il popolino precipita nel terrore: se vuoi
dimostrare la tua riconoscenza, devi essere pronto ad andare in esilio, a
versare il tuo sangue, ad accollarti la miseria, spesso a macchiare la tua
stessa onestà e ad esporti a immeritate calunnie. La gratitudine costa
molto. 28 Noi, quando chiediamo un favore, lo valutiamo moltissimo, quando poi
lo abbiamo ottenuto, lo disprezziamo. Vuoi sapere che cosa ci fa dimenticare i
benefici ricevuti? La smania di quelli che dobbiamo ricevere; non pensiamo a
quanto abbiamo ottenuto, ma a quanto dobbiamo chiedere. Ci distolgono dalla
retta via la ricchezza, gli onori, il potere e gli altri beni che riteniamo
preziosi e che invece valgono poco. 29 Non sappiamo valutare cose che vanno
giudicate non in base all'opinione comune, ma in base alla natura. In esse non
c'è niente di magnifico che possa attirarci tranne la nostra abitudine
ad ammirarle. Non vengono apprezzate perché sono desiderabili, ma vengono
desiderate perché sono apprezzate, e quando l'errore di singoli individui ha
causato un errore comune, questo a sua volta causa l'errore dei singoli. 30 Ma
come abbiamo creduto in quei beni, così dobbiamo credere all'opinione
comune anche in questo: non c'è niente di più bello della
gratitudine; tutte le città, tutti i popoli, anche quelli barbari, lo
proclameranno; su questo buoni e cattivi saranno d'accordo. 31 Ci sarà
chi loda i piaceri e chi preferisce la fatica; chi dice che il dolore è
il male più grave e chi, invece, non lo chiamerà neppure un male;
qualcuno giudicherà la ricchezza il bene supremo, qualche altro
dirà che è stata inventata per la rovina dell'umanità, che
l'uomo più ricco è quello a cui la fortuna non trova niente da
dare: in tanta diversità di pareri tutti affermeranno, come si dice,
all'unisono, che bisogna essere grati con i propri benefattori. La massa tanto
discorde concorderà su questo punto; e invece noi a volte ricambiamo
benefici con offese, e la causa principale dell'ingratitudine è il non
aver potuto mostrare abbastanza gratitudine. 32 La pazzia umana è
arrivata al punto che fare grandi favori a qualcuno diventa pericolosissimo:
costui, infatti, poiché ritiene vergognoso non ricambiare, vorrebbe togliere di
mezzo il suo creditore. Tieniti pure quello che hai ricevuto: non lo voglio indietro,
non lo reclamo, desidero solo che il mio gesto non mi sia fatale. Non
c'è odio più funesto di quello che nasce dalla vergogna di aver
tradito un beneficio. Stammi bene.
82
1 Ormai non mi preoccupo più per te. "Quale dio,"
chiedi, "hai accettato come garante?" Naturalmente quello che non
inganna nessuno: un'anima che ama la giustizia e il bene. La parte migliore di
te è al sicuro. La fortuna può farti del male: ma, e questo
è l'importante, non temo che tu possa farne a te stesso. Continua per la
strada che hai intrapreso e disponiti a questo sistema di vita tranquillo, non
molle. 2 Preferisco vivere male che con mollezza - intendi "male" nel
senso più comune del termine: duramente, con difficoltà, con
fatica. Tante volte sentiamo che la vita di certa gente viene apprezzata ed
è oggetto di invidia: "Vive nella mollezza"' ma questo
significa: "È un uomo molle." Lo spirito a poco a poco si
illanguidisce e si snerva a somiglianza dell'ozio e della pigrizia in cui
giace. E allora? Non è preferibile per un vero uomo abituarsi
addirittura alle durezze della vita? *** e poi quella gente effeminata teme la
morte a cui ha reso simile la propria vita. C'è una grande differenza
tra l'ozio e il sepolcro. 3 "E come?" chiedi. "Non è
preferibile giacere nell'ozio piuttosto che essere trascinati nel vortice degli
impegni?" Attivismo esasperato e inerzia sono entrambi detestabili. Per me
chi giace tra i profumi è morto come chi è trascinato con
l'uncino; l'ozio senza gli studî è morire, essere dei sepolti vivi. 4 E
poi, a che serve appartarsi? Come se i motivi di preoccupazione non ci
seguissero anche al di là del mare. C'è forse un nascondiglio in
cui non entri la paura della morte? Un luogo tanto difeso e fuori mano dove si
possa vivere tranquilli senza temere il dolore? Dovunque ti nasconderai, i mali
dell'uomo ti circonderanno col loro strepito. Molti sono fuori di noi e ci
stanno intorno per ingannarci o tormentarci, molti dentro di noi e ci ribollono
dentro anche nella più completa solitudine. 5 Dobbiamo fare della
filosofia una fortificazione, un muro inespugnabile, che la fortuna non possa
superare anche attaccandolo con uno spiegamento di macchinari bellici. L'anima
che ha trascurato tutto quello che è al di fuori di sé, occupa una
posizione inaccessibile e si difende nella sua rocca; nessun colpo arriva fino
a lei. La fortuna non ha le mani lunghe come pensiamo: agguanta solo chi le si
aggrappa. 6 E allora, allontaniamocene il più possibile; solo la
conoscenza di noi stessi e della natura, però può assicurarcelo.
Ognuno sappia dove è diretto e da dove proviene, che cosa è per
lui il bene e che cosa è il male, che cosa desiderare e che cosa
evitare, in base a quale norma può distinguere quello che deve ricercare
oppure fuggire, come possa placare la follia delle passioni, reprimere la
violenza delle paure. 7 Qualcuno pensa di aver represso questi sentimenti anche
senza la filosofia; ma quando qualche disgrazia lo mette inaspettatamente alla
prova, riconosce, ormai tardi, la sua colpa; le belle parole vengono meno
quando il carnefice gli afferra le mani, quando la morte si avvicina. Potresti
dirgli: "Sfidavi a cuor leggero i mali quando erano lontani: ecco ora il
dolore che definivi sopportabile; ecco la morte contro la quale pronunciavi
tante parole coraggiose; sibila la sferza; scintilla la spada:
ora ci vuole coraggio, Enea, ora animo saldo."
8 Solo una preparazione assidua potrà rendere forte il tuo
animo, ma dovrai esercitare lo spirito, non le parole, dovrai prepararti ad
affrontare la morte; contro di essa non potranno spronarti o rinfrancarti
quegli individui che con cavilli tenteranno di convincerti che la morte non
è un male. Mi piace ridermela, mio ottimo Lucilio, di certe sciocchezze
greche che, con mio stupore, non mi sono ancora levato di mente. 9 Il nostro
Zenone si serve di questo sillogismo: "Nessun male può essere
motivo di gloria; la morte è motivo di gloria; la morte non è un
male." Ci sei riuscito! Mi sono liberato dalla paura; dopo questo
ragionamento non esiterò a porgere il collo al boia. Non vuoi parlare con
più serietà senza far ridere anche chi è in punto di
morte? Perbacco non saprei dirti se è più sciocco chi ha ritenuto
di eliminare la paura della morte con questo sillogismo, o chi ha cercato di
dimostrarne l'infondatezza, come se fosse importante. 10 Lo stesso filosofo a
questo sillogismo ne ha contrapposto uno contrario, originato dal fatto che noi
poniamo la morte tra le cose indifferenti, quelle che i Greci chiamano
"$PäéÜöïñá$". Dice: "Una cosa indifferente non è
motivo di gloria: la morte è motivo di gloria; quindi la morte non
è indifferente." Vedi in che cosa consiste la capziosità di
questo sillogismo: motivo di gloria non è la morte, ma il morire da
valoroso. E quando dici: una cosa indifferente non è motivo di gloria,
sono d'accordo con te nel dire che non c'è niente di glorioso se non in
rapporto alle cose indifferenti; per indifferenti, cioè, né beni, né
mali, intendo le malattie, il dolore, la povertà, l'esilio, la morte. 11
Nessuna di queste cose è di per sé motivo di gloria e tuttavia non
esiste gloria senza di esse. Non si loda la povertà, ma l'uomo che non
si piega e non si sottomette alla povertà; non si loda l'esilio, ma
l'uomo che va in esilio mostrando un coraggio maggiore che se fosse stato lui a
mandare un altro; non si loda il dolore, ma l'uomo che non è soggiogato
dal dolore; nessuno loda la morte, ma l'uomo cui la morte tolse la vita prima
che il coraggio. 12 Tutte queste cose di per sé non dànno né onore, né
gloria, ma è la virtù a renderle onorevoli e gloriose se
interviene e le governa: esse stanno al centro; quello che importa è se
vi mette mano la malvagità o la virtù: la morte, portatrice di
gloria per Catone, diventa sùbito motivo di vergogna e di rossore per
Bruto. Bruto infatti, in punto di morte, cercando dei pretesti per ritardare
l'esecuzione, si appartò per scaricare il ventre; quando lo chiamarono
al patibolo e gli fu comandato di porgere il collo, disse: "Lo porgo, e
così potessi vivere." Che pazzia è cercare di fuggire quando
non si può più tornare indietro! "Lo porgo, e così
potessi vivere." Per poco non aggiunse: "Anche sotto Antonio."
Che uomo degno di essere lasciato in vita!
13 Ma, come avevo cominciato a dire, vedi che la morte in se
stessa non è né un male, né un bene: Catone morì nel modo
più nobile, Bruto nel modo più disonorevole. Ogni cosa, anche se
non è bella, lo diventa se associata alla virtù. La camera, che
noi definiamo luminosa, di notte è completamente buia; è il
giorno a darle la luce; la notte gliela toglie: 14 così è per
queste cose che noi chiamiamo indifferenti e neutre, ricchezza, forza,
bellezza, onori, potere, e di contro la morte, l'esilio, le malattie, i dolori
e tutte le altre cose di cui abbiamo più o meno paura: sono o la
malvagità o la virtù a farle diventare beni oppure mali. Un
blocco di metallo di per sé non è né caldo, né freddo: se lo gettiamo in
una fornace, si arroventa, immerso nell'acqua si raffredda. La morte è
resa onorevole da quello che è onorevole, cioè dalla virtù
e da un'anima che disprezza le cose al di fuori di noi.
15 Anche tra queste cose che definiamo neutre c'è, o
Lucilio, una grande differenza. La morte non è indifferente come il
fatto di avere un numero di capelli pari o dispari: la morte è tra
quelle cose che non sono mali e tuttavia hanno l'apparenza di un male: c'è
insito nell'uomo l'amore per se stesso, la volontà di durare e di
conservarsi e la ripugnanza del dissolvimento: *** poiché sembra strapparci
tanti beni e allontanarci dall'abbondanza di cose cui siamo abituati. Noi
avversiamo la morte anche perché questa vita ormai la conosciamo, mentre non
sappiamo a che cosa andiamo incontro e abbiamo orrore dell'ignoto. Crediamo poi
che la morte ci condurrà nelle tenebre, e noi ne abbiamo una naturale
paura. 16 Perciò anche se la morte è cosa indifferente, non
è tuttavia tale che si possa trascurare con facilità: lo spirito
va rafforzato con un costante esercizio perché ne sopporti la vista e
l'avvicinarsi. Bisogna disprezzare la morte più di quanto si è
soliti fare; su di essa ci siamo formati molti pregiudizi; parecchi uomini
d'ingegno hanno fatto a gara per aumentarne la cattiva fama; hanno descritto
una prigione sotterranea e un luogo immerso in una notte eterna, in cui
lo smisurato guardiano dell'Orco giacendo nell'antro cruento sulle
ossa corrose, con i suoi eterni latrati atterrisce le pallide ombre.
Anche se ti persuaderai che queste sono favole e che per i defunti
non c'è niente da temere nell'aldilà, si insinua un'altra paura:
si teme il nulla al pari dell'aldilà. 17 Nonostante questi pregiudizi
che ci ha inculcato una secolare credenza, perché morire da forti non dovrebbe
essere un gesto apportatore di gloria tra i maggiori dell'animo umano? L'animo
non si innalzerà mai alla virtù, se crederemo che la morte sia un
male: ci arriverà solo convincendosi che è una cosa indifferente.
L'uomo per natura non può affrontare con coraggio quello che giudica un
male: lo farà svogliatamente e con esitazione. Ma non può essere
motivo di gloria un gesto compiuto contro voglia e tergiversando; la spinta
della virtù non è la necessità. 18 Inoltre, nessuna azione
è onorevole se non quella a cui l'animo si è applicato e ha preso
parte attiva con tutto se stesso. Quando però ci si accosta a un male o
per paura di mali peggiori o per la speranza di beni che vale la pena
raggiungere a costo di sopportare un solo male, chi agisce non sa che decisione
prendere: da una parte c'è l'impulso di attuare i propri propositi,
dall'altra vorrebbe ritirarsi e fuggire da una cosa sospetta e pericolosa;
quindi è lacerato da pareri opposti. In questo caso la gloria viene
meno: la virtù, infatti, attua le decisioni prese con serenità,
quello che fa, non lo teme.
Non cedere ai mali, ma affrontali più fiero
per la via che ti consentirà la fortuna.
19 Se giudicherai che sono mali, non li affronterai con fierezza.
Cancella dall'intimo questa convinzione, altrimenti il sospetto, che è
causa di indugio, arresterà il nostro slancio; si finisce per essere
trascinati in quella situazione sulla quale ci si doveva gettare con
entusiasmo.
Gli Stoici vorrebbero che fosse preso per buono il sillogismo di
Zenone, e giudicato ingannevole e falso quello che gli viene opposto. Io non
riduco l'argomento a formule dialettiche, a intrichi artificiosi e oziosi:
penso che tutti questi tipi di argomentazione debbano essere tolti di mezzo:
chi è interrogato si sente irretito e quando arriva il momento di
esprimere il proprio parere dice una cosa e ne pensa un'altra. Per difendere la
verità ci vuole più schiettezza, e più coraggio per
combattere la paura. 20 Io preferirei sciogliere e spiegare i nodi che essi
intrecciano, per persuadere, non per ingannare. Al momento di condurre
l'esercito sul campo di battaglia ad affrontare la morte in difesa delle spose
e dei figli, come gli farai coraggio? Prendi i Fabî che hanno addossato a una
sola famiglia tutta una guerra di stato. E gli Spartani appostati al passo
delle Termopili: non sperano nella vittoria e nemmeno nel ritorno; quel luogo
sarà il loro sepolcro. 21 Come li esorterai a sostenere, facendo scudo
coi loro corpi, l'impeto di tutto un popolo e lasciare la vita piuttosto che il
loro posto? Dirai loro: "Il male non è motivo di gloria; la morte
è motivo di gloria; dunque la morte non è un male"? Che
discorso efficace! Dopo averlo ascoltato chi esiterebbe a lanciarsi contro le
spade nemiche e a morire sul posto? Ma che parole coraggiose rivolse loro
Leonida! "Compagni," disse, "pranzate sapendo che cenerete agli
inferi!" Il cibo non crebbe loro in bocca, non si fermò in gola,
non cadde dalle mani: allegri accettarono tanto l'invito a pranzo quanto quello
a cena. 22 E allora? Un famoso condottiero romano, che mandava i suoi soldati a
occupare una posizione e ad affrontare ingenti forze nemiche, parlò
così: "Soldati, è necessario andare là, ma non è
necessario fare ritorno." Vedi come è semplice e potente la
virtù: i vostri sofismi non possono rendere nessuno più forte,
nessuno più coraggioso. Fiaccano lo spirito che, invece, non deve essere
limitato e costretto in questioni capziose e di poco conto, soprattutto quando
si prepara a un'azione importante. 23 Non a trecento soldati, ma a tutti gli
uomini bisogna togliere la paura della morte. Come insegnerai loro che non
è un male? Come vincerai le convinzioni di sempre che ci vengono
inculcate fin dall'infanzia? Quale aiuto troverai per la debolezza umana? Cosa
dirai perché infiammati affrontino il pericolo? Con quali parole allontanerai
questa paura comune, con quali forze d'ingegno scaccerai questa radicata
opinione dell'umanità in contrasto con il tuo pensiero? Mi metterai insieme
discorsi capziosi per trarne conclusioni assurde? Ci vogliono grandi armi per
uccidere grandi mostri.
83
3 Oggi è stata una giornata piena, nessuno mi ha fatto
perdere nemmeno un attimo; l'ho divisa interamente tra il letto e la lettura;
alla ginnastica ho dedicato pochissimo tempo e di questo ringrazio la
vecchiaia: non mi costa molto. Appena mi muovo, mi stanco; e anche per i più
forti il fine della ginnastica è questo. 4 Vuoi sapere quali siano gli
schiavi che mi fanno compagnia durante gli esercizî? Mi basta il solo Fario, un
fanciullo, come sai, amabile, ma lo cambierò: ne cerco ormai uno
più giovane. Egli dice che noi attraversiamo la stessa crisi: a entrambi
cadono i denti. Ma ormai nella corsa gli tengo dietro a stento e tra pochissimi
giorni non ce la farò più: vedi a che serve l'esercizio
quotidiano. Presto la distanza tra noi due che andiamo in direzioni opposte
sarà grande: nello stesso momento lui sale e io scendo, e tu sai quanto
la discesa sia più veloce della salita. Ma non ho detto la
verità; ormai la mia vita non scende, precipita. 5 Chiedi come è
finita la gara di oggi? Siamo arrivati alla pari, cosa rara per dei corridori.
Dopo la corsa, che è stata più una fatica che un esercizio, ho
fatto il bagno nell'acqua fredda: chiamo così l'acqua non molto calda.
Io che amavo tanto tuffarmi nell'acqua gelata, che il primo gennaio salutavo i
canali intorno al Circo, che cominciavo il nuovo anno non solo leggendo,
scrivendo, conversando un po', ma anche facendo un tuffo nella sorgente
chiamata Vergine, ho spostato dapprima le tende al Tevere, poi a questa tinozza
scaldata dal sole, quando sono, però particolarmente in forze e va tutto
bene: non per molto tempo ancora farò bagni. 6 Quindi il pranzo: pane
secco, senza mettersi a tavola: dopo un simile pasto non occorre lavarsi le
mani. Dormo pochissimo, tu conosci le mie abitudini: faccio sonni brevissimi e
a intervalli; mi basta riposarmi un po'; a volte so di aver dormito, a volte
non ne sono sicuro. 7 Ecco, si sentono grida provenire dal Circo; un vociare
improvviso e generale mi ferisce le orecchie, ma non mi distoglie dai miei
pensieri, e neppure li interrompe. Sopporto il rumore con molta pazienza, il
vociare confuso della folla è per me come l'infrangersi delle onde o il
vento che sferza gli alberi o altri suoni indistinti.
8 Quali sono i miei pensieri? Eccoli. Ieri ho fatto una
riflessione che devo ancora risolvere: a che mirano uomini tra i più
saggi dando di problemi veramente importanti dimostrazioni superficialissime e
capziose che, se pure sono vere, sembrano false. 9 Quell'uomo straordinario che
fu Zenone, fondatore di questa fortissima e venerandissima scuola filosofica,
vuole tenerci lontani dall'ubriachezza. Senti come cerca di concludere che
l'uomo virtuoso non sarà mai ubriaco. "Nessuno confida a un ubriaco
un segreto, lo confida a un uomo onesto, dunque, l'uomo onesto non sarà
mai ubriaco." Guarda come questo sillogismo può essere messo in
ridicolo da uno simile, ma contrario (basta citarne uno dei molti):
"Nessuno confida a un uomo che dorme un segreto, a un uomo onesto lo
confida; quindi, l'uomo onesto non dorme." 10 Posidonio cerca di difendere
il nostro Zenone nell'unico modo possibile, ma nemmeno così, a mio
parere, può essere difeso. Sostiene che "ubriaco" si
può usare in due sensi, il primo quando uno è pieno di vino e non
è padrone di sé, il secondo se uno è solitamente ubriaco ed
è soggetto a questo vizio; Zenone parla non di chi è ubriaco, ma
di chi lo è abitualmente; a costui nessuno affiderebbe un segreto perché
potrebbe rivelarlo sotto l'effetto del vino. 11 Ma questo è falso; la
prima parte del sillogismo si riferisce a chi è ubriaco, non a chi lo
sarà. Devi ammettere che c'è una grande differenza tra un ubriaco
e un ubriacone: chi è ubriaco può esserlo allora per la prima
volta e non avere questo vizio, e l'ubriacone spesso può essere sobrio;
la parola ubriaco, perciò io la intendo nel suo senso comune, soprattutto
perché viene usata da un uomo notoriamente preciso e solito a pesare le parole.
Inoltre, se Zenone ha inteso una cosa e voleva che noi ne intendessimo
un'altra, ha cercato di ingannarci usando una parola ambigua, e questo è
inammissibile quando si ricerca la verità. 12 Ma ammettiamo pure che
l'abbia intesa in questo senso: la seconda parte, però cioè che
non si confida un segreto a chi è abitualmente ubriaco è falsa.
Pensa a quanti soldati non sempre sobri il comandante, il tribuno o il centurione
hanno affidato messaggi segreti. Per l'assassinio di Cesare, parlo di quello
che prese il potere dopo aver sconfitto Pompeo, ci si affidò sia a
Tillio Cimbro, sia a C. Cassio. Cassio era completamente astemio, Tillio Cimbro
era un ubriacone e un attaccabrighe. Su questo fatto scherzava lui stesso:
"Io che non posso tollerare il vino," diceva, "come potrei
sopportare qualcuno?"
13 Ciascuno di noi potrebbe a questo punto nominare delle persone
a cui sa di non poter affidare del vino, ma un segreto sì; io citerò
un solo esempio che mi viene in mente e vorrei che fosse ricordato perché non
si perda. La nostra vita dobbiamo formarla con esempi celebri, senza ricorrere
sempre a quelli antichi.
16 Facciamo, perciò piazza pulita di tutte queste
vuotaggini: "Se uno è schiavo dell'ubriachezza non è padrone
di sé: il mosto fermentando fa scoppiare anche le botti e la forza del calore
rigetta in alto la feccia del fondo, così il vino ribolle dentro di noi
e porta fuori, rivelandolo a tutti, ogni più intimo segreto. Chi
è gonfio di vino non riesce a trattenere il cibo poiché il vino
trabocca, allo stesso modo non trattiene neppure i segreti; mette fuori i suoi
e quelli degli altri." 17 Ma nonostante le cose vadano in genere così,
accade anche che su questioni importanti ci consigliamo con persone
notoriamente dedite al bere; è, dunque, falsa l'affermazione fatta per
difendere Zenone che a un ubriacone non si confida un segreto.
Quanto sarebbe meglio accusare apertamente l'ubriachezza e
metterne in luce i vizi: anche un uomo normale dovrebbe evitarli, e a maggior
ragione l'uomo compiutamente saggio; a lui basta togliersi la sete e anche se a
volte è spinto a bere da un'allegria che si protrae non per sua
volontà, si ferma prima di ubriacarsi. 18 Vedremo in seguito se il bere
eccessivo turba l'animo del saggio e se lo porta ad agire come gli ubriachi:
intanto se vuoi arrivare alla conclusione che un uomo onesto non deve
ubriacarsi, perché vai avanti a forza di sillogismi? Di' piuttosto come
è vergognoso ingoiare più di quanto si può contenere, e
non conoscere la capienza del proprio stomaco, quanti spropositi che fanno
arrossire le persone sobrie commettono gli ubriachi: l'ubriachezza non è
altro che una pazzia volontaria. Il comportamento di un ubriaco prolungalo per
diversi giorni: dubiterai che si tratti di pazzia? Anche l'ubriachezza
momentanea è la stessa cosa, solo più breve. 19 Fai l'esempio di
Alessandro Magno: durante un banchetto trafisse Clito, il suo più caro e
fedele amico; quando si rese conto del suo delitto, voleva morire e certo
avrebbe dovuto farlo. L'ubriachezza esaspera e mette a nudo tutti i vizi,
cancella il pudore che fa da freno ai cattivi impulsi; è la vergogna di
fare il male più che la buona volontà a distogliere la maggior
parte degli uomini da azioni illecite. 20 Quando l'animo è in preda
all'effetto violento del vino, tutta la malvagità nascosta emerge.
L'ubriachezza non origina i vizi, ma li mette in luce: è allora che
l'uomo libidinoso non aspetta nemmeno di entrare in camera da letto, ma
soddisfa subito le sue voglie; che l'impudico rivela apertamente i suoi istinti
morbosi; che l'insolente non tiene più a freno la lingua e le mani.
Cresce la superbia dell'arrogante, la crudeltà del violento, la
malevolenza dell'invidioso; ogni vizio viene fuori ingigantito.
27 Spiega, allora, perché il saggio non deve ubriacarsi; mostra a
fatti, non a parole, l'infamia e la brutalità di questo vizio. Prova, ti
sarà facilissimo, che i cosiddetti piaceri, quando passano la misura,
diventano sofferenze. Se cercherai di dimostrare con cavilli che il saggio non
si ubriaca anche bevendo molto vino e può condurre una vita onesta anche
se è un ubriacone, potrai concludere che non morirà se beve un
veleno, non dormirà se ingerisce un sonnifero, e non vomiterà
quello che ha nello stomaco, se prenderà l'elleboro. Ma se i piedi sono
incerti, se la lingua balbetta, come puoi ritenerlo in parte sobrio e in parte
ubriaco? Stammi bene.
84
1 Questi viaggi, che mi scuotono di dosso l'apatia, credo che
facciano bene alla mia salute e ai miei studi. Perché facciano bene alla mia
salute lo vedi bene: l'amore per gli studi mi rende pigro e mi fa trascurare il
corpo, così faccio esercizio a spese di altri. Quanto allo studio, ecco
perché servono: non ho smesso un momento di leggere. Le letture - penso - mi
sono necessarie, primo perché non sia pago solo di me stesso, poi perché
venendo a conoscenza delle indagini altrui, possa formulare giudizi sui
risultati e riflettere sulle ricerche da farsi. La lettura nutre la mente e la
ristora quando è affaticata dallo studio, anche se richiede una certa
applicazione. 2 Non dobbiamo limitarci a scrivere o a leggere: la prima
attività, parlo dello scrivere, riduce ed esaurisce le forze; la seconda
ti snerva e ti spossa. Bisogna, invece, passare dall'una all'altra e
contemperarle in modo che la penna riconduca a unità quanto si è
raccolto con la lettura. 3 Dobbiamo, si dice, imitare le api che svolazzano qua
e là e suggono i fiori adatti a fare il miele, poi dispongono e
distribuiscono nei favi quello che hanno portato e, come scrive il nostro
Virgilio,
Accumulano il limpido miele e colmano le celle di dolce nettare.
4 Non si sa bene se ricavino dai fiori un succo che è
addirittura miele, oppure trasformino in questa sostanza saporita le essenze
raccolte, mescolandole insieme e servendosi di una qualità del loro
alito. Secondo certi studiosi le api non hanno la capacità di fare il
miele, ma solo di raccoglierlo. Dicono che in India il miele si trova nelle
foglie di canna e che lo produce o la rugiada di quel clima o il succo dolce e
piuttosto denso della canna stessa e che anche nelle nostre piante c'è
un'identica sostanza, meno appariscente, però e percepibile, e le api,
generate a questo scopo, la cercano e la concentrano. Per altri le api
trasformano in miele le sostanze che succhiano dalle piante e dai fiori
più teneri, preparandole e disponendole convenientemente, e usano, per
dire così, una sorta di lievito, con cui amalgamano in un tutt'uno omogeneo
essenze diverse.
5 Ma per non allontanarmi dall'argomento in questione, anche noi
dobbiamo imitare le api e distinguere quello che abbiamo ricavato dalle diverse
letture, poiché le cose si mantengono meglio divise; dobbiamo fondere poi, in
un unico sapore, valendoci della capacità e della diligenza della nostra
mente, i vari assaggi, così che, anche se ne è chiara la
derivazione, appaiano tuttavia diversi dalla fonte. 6 Noi vediamo che nel
nostro corpo il processo della digestione si svolge naturalmente, senza il
nostro intervento; (gli alimenti che ingeriamo, finché mantengono le loro
caratteristiche e galleggiano allo stato solido nello stomaco, costituiscono un
peso; ma quando modificano il loro precedente stato, diventano sangue ed
energie fisiche); facciamo lo stesso con il nutrimento dello spirito: e quanto
abbiamo attinto, non lasciamolo intero, perché non ci rimanga estraneo. 7
Digeriamolo: altrimenti alimenterà la nostra memoria, non il nostro
spirito. Aderiamo a esso totalmente e facciamolo nostro: da elementi differenti
si formerà così un tutt'uno, come i singoli numeri, quando si fa
il calcolo complessivo di somme minori e diverse, danno un'unica cifra. Si
faccia in questo modo: dissimuliamo tutti gli apporti esterni e mostriamo solo
il risultato. 8 Anche se in te si scorgerà una somiglianza con qualcuno
che hai ammirato e che ti è rimasto impresso in maniera piuttosto
profonda, vorrei che gli assomigliassi come un figlio, non come un ritratto: il
ritratto non ha vita. "Ma come? Non si capirà chi è l'autore
di cui imiti il linguaggio, le argomentazioni, i pensieri?" Secondo me,
certe volte non si può nemmeno intuire, quando un uomo di grande ingegno
dà un'impronta personale a tutte le idee che ha tratto dal suo modello e
le rende uniformi. 9 Non vedi di quante voci è composto un coro? E
tuttavia dall'insieme nasce una melodia unica. Ci sono voci acute, basse,
medie; alle maschili si uniscono quelle femminili, si sovrappongono i flauti:
le singole voci scompaiono e si percepiscono tutte insieme.
11 "Come si può arrivare a questo?" chiedi; con
un'applicazione continua: se non ci faremo consigliare dalla ragione, non
concluderemo niente e non potremo evitare errori. Se la vorrai ascoltare, essa
ti dirà: abbandona subito questi falsi beni che tutti inseguono;
abbandona la ricchezza: è un pericolo o un peso per chi la possiede;
abbandona i piaceri del corpo e dello spirito: indeboliscono e snervano;
abbandona l'ambizione: è un sentimento pieno di boria, vano, volubile,
non ha limiti, si preoccupa di non essere inferiore o pari a nessuno, soffre di
una duplice forma di invidia: guarda quanto è infelice uno che invidia
ed è invidiato. 12 Vedi le case di chi conta, le soglie piene di
strepito per gli alterchi dei clienti? Si litiga violentemente per entrare e
ancora di più una volta entrati. Passa oltre queste scale dei ricchi e
gli ingressi costruiti su grandi rialzi: qui ti trovi su un terreno che non
è solo scosceso ma anche scivoloso. Volgiti piuttosto alla saggezza e
aspira a quello stato di mirabile tranquillità e ampiezza che le
è proprio. 13 Tutto quello che nelle vicende umane sembra emergere, si
raggiunge per strade difficili e ardimentose, pur essendo roba da poco e
risaltando solo al confronto con le cose più umili. Scabrosa è la
via per arrivare ai vertici della dignità. Ma se vuoi raggiungere questa
vetta, di fronte alla quale si piega anche la fortuna, vedrai sotto di te tutto
quello che gli uomini ritengono eccelso: e tuttavia in cima ci arrivi per un
sentiero pianeggiante. Stammi bene.
85
1 Ti avevo risparmiato e avevo tralasciato tutte le questioni
complicate che ancora rimanevano, contento di darti come un assaggio delle
teorie stoiche tendenti a dimostrare che la virtù da sola basta a
rendere felice la vita. Ora tu vuoi che io ti esponga tutte le argomentazioni
della nostra scuola oppure quelle escogitate per schernirci: se volessi farlo,
la mia non sarebbe una lettera, ma un libro. Te l'ho detto tante volte che non
mi piace questo genere di argomenti, mi vergogno di scendere in campo e di
battermi a favore di dèi e uomini armato di una lesina.
2 "L'uomo saggio è anche moderato; l'uomo moderato
è anche tenace; l'uomo tenace è imperturbabile, l'uomo
imperturbabile non è mai triste; chi non è mai triste è
felice; quindi, il saggio è felice e la saggezza è sufficiente
per avere una vita felice."
Ella potrebbe volare a fior delle messi intatte senza danneggiare con
la corsa le tenere spighe, o attraversare il mare sospesa sui gonfi flutti,
senza bagnare i veloci piedi.
Questa è una velocità apprezzata per se stessa, che
non è lodata al confronto con i più lenti. Definiresti sana una
persona che ha una febbre leggera? Non avere una malattia grave non è
salute. 5 "Così," continuano, "si dice che il saggio
è imperturbabile, come si dice che sono senza nocciolo non i frutti
privi di semi, ma quelli che li hanno più piccoli." Falso. Il
saggio, a mio parere, deve essere senza vizi, e non averne di meno; devono
mancare completamente, non essere piccoli; se ce n'è qualcuno,
crescerà e sarà a volte di ostacolo. Un principio di cataratta
offusca la vista; quando diventa più grande e matura rende ciechi. 6 Se
al saggio attribuisci delle passioni, la ragione sarà sopraffatta e
trascinata via come da un torrente, soprattutto se deve combattere, a tuo
parere, non contro una sola passione, ma contro tutte. Una massa di passioni,
anche se moderate, ha più forza di un'unica, violenta passione. 7
È avido, ma non troppo; è ambizioso, ma non in maniera esagerata;
è collerico, ma si calma sùbito; è incostante, ma non
eccessivamente volubile e mutevole; è lussurioso, ma non maniaco. Si
tratterebbe meglio con un individuo caratterizzato da un unico vizio completo
che con chi li ha tutti, anche se più leggeri. 8 Inoltre, non importa
quanto è grande una passione: per piccola che sia, non sa obbedire, non
accetta consigli. Nessun animale, sia feroce, sia domestico e mansueto, obbedisce
alla ragione: la loro natura è sorda ai moniti che da essa provengono;
così le passioni, per quanto piccole siano, non seguono la ragione, non
le dànno ascolto. Le tigri e i leoni non si spogliano mai della loro
ferocia, certe volte la placano, ma, quando meno te l'aspetti, la loro
ferinità, momentaneamente lenita, esplode. Non c'è mai sicura
garanzia che i vizi siano domati. 9 E poi, se la ragione viene in aiuto, le
passioni non nascono nemmeno; ma se cominciano a dispetto della ragione, a
dispetto della ragione continueranno. È più facile impedirne la
nascita che dominarne la violenza.
Parlare di una via di mezzo è perciò sbagliato e
inutile, come se uno dicesse che ci si può ammalare o impazzire solo un
po'. 10 Solo la virtù conosce la moderazione, i vizi no; è più
facile eliminarli che dominarli. I vizi radicati e incalliti dell'anima umana,
quelli che noi definiamo malattie, come l'avarizia, la crudeltà, la
prepotenza, sono senza dubbio smodati. Quindi, smodate sono anche le passioni;
giacché da quelli si passa a queste. 11 E poi, se riconosciamo un qualche
diritto alla tristezza, alla paura, alla cupidigia, e agli altri impulsi
perversi, non riusciremo più a dominarli. Perché? Perché le forze che li
eccitano sono fuori di noi, e perciò essi cresceranno a seconda che a
suscitarli siano cause più o meno grandi. Se uno guarda più a
lungo o più da vicino quello che lo atterrisce, la sua paura sarà
maggiore; così la cupidigia sarà più acuta se la stimola
la speranza di una cosa più preziosa. 12 Se non siamo in grado di
impedire l'insorgere delle passioni, non saremo neppure in grado di regolarle.
Se hai permesso loro di nascere, cresceranno con le loro cause e la loro forza
sarà proporzionale al loro sviluppo. Aggiungi poi che le passioni, per
quanto possano essere moderate, tendono ad aumentare; le cose nocive non
mantengono mai una giusta misura; per quanto all'inizio siano leggeri, i mali
serpeggiano e a volte un attacco lievissimo abbatte un organismo malato. 13 Che
pazzia è credere di poter mettere fine a nostro piacimento a quelle
passioni di cui non siamo in grado di contrastare gli inizi! Come posso avere
forza sufficiente per mettere fine a una cosa che non ho avuto la forza di
impedire, quando è più facile respingere che mettere freno a
quello cui si è lasciato via libera!
14 Certi filosofi hanno fatto questa distinzione: "L'uomo
moderato e saggio è sereno per disposizione e abito mentale, ma non lo
è di fronte ad avvenimenti improvvisi. Per abito mentale non si turba,
non si rattrista, non ha paura, ma a turbarlo possono intervenire molte cause
esterne." 15 Precisiamo quello che vogliono dire: costui non è
collerico, ma qualche volta si infuria; non è un vigliacco, ma qualche
volta ha paura, in lui, cioè, la paura non è un vizio, ma
un'affezione momentanea. Se ammettiamo questo, la paura a lungo andare
può trasformarsi in vizio, e l'ira, una volta penetrata nell'animo,
può modificare quella fisionomia propria di un animo che ne è
esente. 16 Inoltre, se uno non disprezza le cause esterne e teme qualcosa,
esiterà a muoversi e sarà riluttante quando dovrà
affrontare con coraggio le armi, il fuoco per difendere la patria, le leggi, la
libertà. Ma il saggio non è soggetto a questi sentimenti
contrastanti. 17 Ritengo, inoltre, che bisogna fare attenzione a non mescolare
due questioni che vanno esaminate separatamente; in un modo si argomenta che
l'unico bene è l'onesto, in un altro che la virtù basta alla
felicità. Se l'unico bene è l'onesto, tutti ammettono che la
virtù basta alla felicità; viceversa, se è solo la virtù
a rendere felici, non si concederà che l'unico bene è l'onesto.
18 Senocrate e Speusippo giudicano che si può diventare felici anche per
la sola virtù, ma non che l'unico bene è l'onesto. Anche secondo
Epicuro, avendo la virtù, si è felici, ma la virtù non
basta alla felicità, perché a rendere felici è il piacere che
deriva dalla virtù, non la virtù in se stessa. È una
distinzione che non vale niente: lo stesso Epicuro sostiene infatti che la
virtù si accompagna sempre al piacere. Così se vi è sempre
strettamente unita e ne è inseparabile, basta anche da sola; difatti,
anche quando è sola, ha con sé il piacere, senza il quale non esiste. 19
È poi assurdo affermare che si sarà felici anche con la sola
virtù, ma non perfettamente felici; non capisco come ciò sia
possibile. La felicità ha in sé il bene perfetto e insuperabile; e se
è così, la felicità è perfetta. Se non c'è
niente di più grande o di migliore della vita degli dèi, e la
vita degli dèi è felice, essa non può innalzarsi a vertici
più alti. 20 Inoltre, se la felicità non ha bisogno di niente,
ogni felicità è perfetta ed è, al tempo stesso, felice e
la più felice. Dubiti forse che la felicità sia il sommo bene? E
allora, se possiede il sommo bene, è felice al massimo grado. Il sommo
bene non ammette aumenti, perché non c'è niente al di sopra del sommo;
analogamente non ne ammette neppure la felicità, che non esiste senza il
sommo bene. Perché se postuli uno "più" felice, postulerai
anche uno "molto più" felice; farai innumerevoli distinzioni
del sommo bene, mentre io intendo come sommo bene ciò che non ha gradi
sopra di sé. 21 Se uno è meno felice di un altro, ne consegue che il
primo preferisce alla sua la vita dell'altro più felice; ma l'uomo
felice non preferisce niente alla sua vita. Entrambi i casi sono inverosimili:
sia che per l'uomo felice ci sia qualcosa da preferire al suo stato, sia che
non preferisca uno stato migliore del suo. Più uno è saggio,
più tenderà al meglio e desidererà conseguirlo a ogni
costo. Ma come può essere felice uno che può anzi deve, avere
ancora dei desideri?
22 Ti spiegherò l'origine di questo errore: non sanno che
una sola è la felicità. La sua qualità, non la sua
grandezza, la mette nella condizione migliore; perciò è uguale
sia lunga, sia breve, sia estesa, sia ristretta, distribuita in molti luoghi e
in parti diverse o costretta in un unico posto. Chi la valuta in base a numeri,
misure e parti, la priva della sua singolare caratteristica. E qual è
questa caratteristica? La completezza. 23 Saziarsi è secondo me lo scopo
del mangiare e del bere. Uno mangia di più, un altro di meno: che
importa? Si sono saziati entrambi. Uno beve di più, un altro di meno:
che importa? Nessuno dei due ha sete. Uno ha vissuto più a lungo, un
altro meno: non importa, se i numerosi anni di vita hanno reso felice l'uno
quanto l'altro i pochi. Quell'uomo che tu definisci meno felice, non è
felice: questo aggettivo non può venire limitato.
24 "Chi è forte non ha paura; chi non ha paura non
è triste; chi non è triste è felice."
Questo è un sillogismo stoico; tentano di confutarlo
dicendo che noi vogliamo far passare per vera un'affermazione falsa e
controversa, cioè che l'uomo forte non ha paura. "E come?"
dicono. "L'uomo forte non temerà i mali che lo sovrastano? Questo
è l'atteggiamento di un pazzo, di un demente, non di una persona forte.
Egli riesce a dominare la sua paura, ma non ne è del tutto immune."
25 Quelli che la pensano così ricadono di nuovo nello stesso errore:
considerano virtù i vizi meno accentuati; se uno ha paura, ma più
raramente e meno degli altri, non è che non abbia questo vizio, solo ne
è affetto in misura minore. "Ma per me è un pazzo chi non
teme i mali che lo minacciano." Ciò che dici sarebbe vero se si
trattasse di mali, ma se egli sa che quelli non sono mali e giudica un male
soltanto la disonestà, dovrà guardare i pericoli senza paura e
disprezzare i timori degli altri. Oppure, se non temere i mali è da
sciocchi o da pazzi, più uno è saggio più ne avrà
timore. 26 "Secondo voi," continuano, "l'uomo forte deve esporsi
ai pericoli." Niente affatto: non ne avrà paura, ma cercherà
di evitarli; gli si addice la cautela, non la paura. "Ma come?"
chiedono. "Non avrà paura della morte, della prigione, del fuoco e
degli altri colpi della fortuna?" No; sa che non sono mali, ne hanno solo
l'apparenza; tutti questi li giudica spauracchi della vita umana. 27
Descrivigli la prigionia, le frustate, le catene, la povertà, le membra
straziate dalle malattie o dalla violenza e qualunque altro tormento vorrai
aggiungere: le considera paure degne di una mente malata. Solo i deboli ne
hanno timore. Oppure giudichi un male quello che a volte dobbiamo affrontare
volontariamente? 28 Chiedi qual è il male? Cedere ai cosiddetti mali e
consegnare ad essi la propria libertà, in nome della quale bisogna
sopportare ogni sofferenza: la libertà finisce, se non disprezziamo le
cose che ci impongono un giogo. Se sapessero cos'è il coraggio, non
avrebbero dubbi sull'atteggiamento conveniente a un uomo coraggioso. E il
coraggio non è temerità sconsiderata o amore del pericolo o
ricerca di situazioni spaventose: è la capacità di distinguere
cos'è male e che cosa non lo è. L'uomo coraggioso è molto
attento alla sua difesa e nello stesso tempo sopporta con grande fermezza gli
eventi che hanno la falsa apparenza di mali. 29 "E allora? Se l'uomo forte
lo minaccia una spada, se è colpito ripetutamente in più parti
del corpo, se dal ventre squarciato vede le sue viscere, se viene torturato a
intervalli perché senta di più i tormenti e nuovo sangue esce dalle
ferite rimarginate, dirai forse che non ha paura, né tanto meno prova
dolore?" Soffre, sì (nessuna virtù toglie all'uomo la
sensibilità), ma non ha paura: incrollabile guarda dall'alto le sue
sofferenze. Vuoi sapere qual è il suo stato d'animo in quel momento?
Quello di chi conforta un amico ammalato.
30 "Ciò che è male nuoce; ciò che nuoce
rende peggiori, il dolore e la povertà non rendono peggiori; quindi, non
sono mali."
"Sillogismo falso," sostengono, "quello che nuoce
non è detto che renda anche peggiori. Tempeste e burrasche nuocciono al
timoniere, ma non lo rendono peggiore." 31 Qualche Stoico controbatte
così: tempeste e burrasche rendono peggiore il timoniere perché non
può realizzare i suoi propositi e non può mantenere la rotta; non
diventa peggiore nella sua arte, ma nel realizzarla. A questi filosofi i
Peripatetici rispondono: "Dunque, la povertà, il dolore e qualunque
altra disgrazia del genere, renderanno peggiore anche il saggio; non gli
toglieranno la virtù, ma ne impediranno l'attuazione." 32 Questa affermazione
sarebbe giusta se la condizione del timoniere e quella del saggio non fosse
diversa. Il saggio non si propone di realizzare a ogni costo nel corso della
vita i suoi scopi, ma di agire sempre con rettitudine: il timoniere, invece, si
propone di condurre a ogni costo la nave in porto. Le arti sono strumenti,
devono mantenere quello che promettono, la saggezza è signora e padrona;
le arti sono al servizio della vita, la saggezza la comanda.
33 Ritengo, quindi, che si debba rispondere diversamente: nessuna
burrasca rende peggiore l'arte del timoniere o la sua attuazione pratica. Il
timoniere non ti promette un esito fortunato, ma un servizio utile e la
capacità di condurre la nave; e questa risulta tanto più evidente
quanto maggiori sono le forze impreviste che lo ostacolano. Chi ha potuto dire:
"Nettuno, non avrai mai questa nave, se non sulla giusta rotta", ha
fatto abbastanza per l'arte sua. La tempesta non impedisce il lavoro del
timoniere, ma il successo. 34 "Come?" chiedono. "Al timoniere
non nuoce una cosa che gli impedisce di arrivare in porto, che rende vani i
suoi tentativi, che lo spinge indietro oppure non lo fa avanzare e distrugge
l'attrezzatura dell'imbarcazione?" Non gli nuoce come timoniere, ma come
navigante: per altri aspetti egli non è un timoniere. Non impedisce la
sua arte, anzi la mette in risalto; col mare tranquillo - dice il proverbio -
tutti sono bravi piloti. Queste difficoltà danneggiano la nave, non il
timoniere, in quanto timoniere. 35 Il timoniere riveste due ruoli: uno comune a
tutti i passeggeri della nave: anch'egli è un passeggero; l'altro suo
proprio: è il timoniere. La tempesta gli nuoce come passeggero, non come
timoniere. 36 Inoltre l'arte del timoniere è un bene per gli altri:
riguarda i passeggeri, come quella del medico riguarda i pazienti: l'arte del
saggio è un bene comune, sia di coloro con cui vive, sia suo proprio.
Perciò forse il timoniere subisce un danno quando la tempesta gli
impedisce di compiere un servizio promesso ad altri; 37 al saggio, invece, non
nuocciono la povertà, il dolore e le altre vicissitudini della vita: non
gli impediscono ogni attività, ma solo quelle che riguardano gli altri;
egli è sempre in azione e realizza i suoi intenti soprattutto quando la
sorte gli è sfavorevole; allora agisce nell'interesse della stessa
saggezza che, come abbiamo detto, è un bene suo e degli altri.
38 Il saggio, inoltre, può giovare agli altri anche se
è oppresso dalle difficoltà. La povertà gli può
impedire di insegnare come governare lo stato, ma egli insegna come governare
la povertà. La sua opera dura per tutta la vita. L'attività del
saggio non la impediscono così nessun caso, nessuna circostanza: egli si
occupa di quella stessa faccenda che gli impedisce di occuparsi d'altro.
È pronto a entrambe le evenienze: essere padrone del bene e saper
vincere il male. 39 Si è preparato, dico, a dimostrare la sua
virtù sia nella buona che nella cattiva fortuna e a guardare non alla
materia in cui la virtù si esplica, ma direttamente ad essa; perciò
non lo ferma la povertà, né il dolore, né qualunque altro caso che
distoglie e mette in fuga gli ignoranti. Pensi che i mali lo abbattano? Al
contrario, se ne serve. 40 Fidia non sapeva scolpire solo statue d'avorio, le
faceva anche di bronzo. Se avesse avuto a disposizione marmo o un materiale
ancòra meno pregiato, avrebbe fatto il meglio che la materia consentiva.
Così il saggio dimostrerà la sua virtù - se sarà
possibile - nella ricchezza, se no, in povertà; se potrà, in patria,
se no, in esilio; come comandante supremo, se no, come soldato; sano, se no
storpio. Qualunque sia il suo destino, ne ricaverà cose memorabili. 41
Ci sono domatori che ammaestrano bestie ferocissime e spaventose a trovarsele
davanti, e non si accontentano di averle private della loro fierezza, le ammansiscono
fino ad averne familiarità: il domatore caccia la mano nelle fauci del
leone, il sorvegliante bacia la tigre; un giovanissimo etiope fa inginocchiare
l'elefante e lo fa passeggiare sulla fune. Così il saggio è
capace di domare i mali: il dolore, la miseria, il disonore, il carcere,
l'esilio, spaventosi sempre, davanti a lui diventano mansueti. Stammi bene.
86
1 Ti scrivo mentre me ne sto in riposo proprio nella villa di
Scipione l'Africano, dopo aver reso onore al suo spirito e all'ara che - immagino
- è il sepolcro di un così grande uomo. Sono convinto che la sua
anima è ritornata in cielo, sua origine, non perché comandò
grandi eserciti (lo fece anche quel pazzo di Cambise, e con successo nella sua
pazzia), ma per la sua straordinaria moderazione e per il suo amore di patria,
che - penso - fu in lui più ammirevole quando lasciò la sua
città che quando la difese. Doveva scegliere, o Scipione a Roma, o Roma
libera. 2 "Non voglio," disse, "derogare alle leggi, né alle
istituzioni; tutti i cittadini abbiano uguali diritti. Goditi, o patria, senza
di me il bene che ti ho fatto. Sono stato l'artefice della tua libertà,
ne sarò anche la prova: me ne vado, se la mia autorità è
cresciuta più di quanto ti è utile." 3 E perché non dovrei
ammirare questa grandezza d'animo che lo spinse ad andare volontariamente in
esilio e a liberare la città da un peso? La situazione era arrivata a un
punto tale che o la libertà avrebbe fatto violenza a Scipione, o
Scipione alla libertà. In entrambi i casi sarebbe stato un sacrilegio;
egli, perciò obbedì alle leggi e si ritirò a Literno,
imputando allo stato tanto il suo esilio, quanto quello di Annibale.
4 Ho visto la villa costruita con massi quadrati, il muro che
delimita il bosco, e anche le torri edificate a difesa della casa su i due
lati, la cisterna, nascosta da fabbricati e piante, che potrebbe bastare
persino al fabbisogno di un esercito, il bagno angusto e buio secondo le
abitudini antiche: per i nostri antenati non era caldo, se non era oscuro. 5 Ho
provato un grande piacere a confrontare i costumi di Scipione e i nostri: in
questo cantuccio "il terrore di Cartagine", a cui Roma è
debitrice di essere stata invasa una sola volta, lavava via la stanchezza della
fatica nei campi. Si dedicava ai lavori agricoli e vangava la terra di sua
mano, come era costume degli antichi. Abitò sotto questo tetto
così squallido e calpestò questo pavimento tanto rustico: ma
adesso chi sopporterebbe di fare il bagno in questo modo? 6 Ci sembra di essere
poveri e meschini se le pareti non risplendono di grandi e preziosi specchi, se
i marmi alessandrini non sono adornati di rivestimenti numidici e la vernice,
data con perizia e varia come un dipinto, non li ricopre da ogni parte, se il
soffitto non è rivestito di vetro, se il marmo di Taso, che un tempo si
ammirava, e di rado, in qualche tempio, non circonda le vasche, in cui
immergiamo il corpo snervato dall'abbondante sudorazione, se l'acqua non sgorga
da rubinetti d'argento. 7 E ancora parlo di bagni plebei: che dovrei dire
arrivando ai bagni dei liberti? Quante statue, quante colonne che non
sostengono niente, ma sono solo un elemento ornamentale e una dimostrazione
della spesa sostenuta! Che volume d'acqua viene giù fragorosamente dai
gradini. Siamo arrivati a un lusso tale che vogliamo avere sotto i piedi solo
pietre preziose.
Buccillo odora di pastiglie profumate.
Immagina un Buccillo di ora: si direbbe che puzza di caprone e lo
si metterebbe al posto di quel Gargonio che lo stesso Orazio contrappone a
Buccillo. È poco passarsi l'unguento una sola volta, bisogna ripetere
l'operazione due o tre volte al giorno, perché non svanisca il profumo. E poi
si vantano di questo odore come se fosse il loro!
14 Se questi discorsi ti sembrano troppo pesanti, dài la
colpa alla villa di Scipione: qui ho imparato da Egialo, scrupolosissimo padre
di famiglia (è lui ora il padrone di questa terra), che un albero, anche
vecchio, lo si può trapiantare. Dobbiamo impararlo noi vecchi, che
piantiamo tutti, senza eccezione, uliveti per gli altri. [...] 15
Coprirà anche te quell'albero che
cresce lentamente e darà ombra ai lontani nipoti,
come dice il nostro Virgilio; ma egli non mira a scrivere la
verità, ma a scrivere con la massima eleganza e non vuole dare consigli
agli agricoltori, ma deliziare chi legge. 16 Lasciando da parte tutti gli altri
errori, voglio trascrivertene uno che ho dovuto osservare oggi:
In primavera si seminano le fave; i molli solchi accolgono pure
te, erba medica; comincia anche la coltura annuale del miglio.
Puoi giudicare tu stesso se queste piante vanno seminate insieme e
a primavera: mentre ti scrivo siamo a giugno, anzi, alla fine di giugno: ho
visto raccogliere le fave e seminare il miglio nello stesso giorno.
17 Torniamo all'uliveto: ho visto piantare gli alberi in due modi:
Egialo ha trapiantato con il loro ceppo i tronchi di grossi ulivi, dopo averne
potato i rami a circa trenta centimetri dal fusto. Ne ha tagliato pure le
radici, lasciando solo il nucleo centrale da cui si diramavano. Li ha, quindi,
ficcati in una fossa dopo averli ben concimati; poi, non si è limitato
ad ammassare la terra, ma l'ha calcata e pressata. 18 Dice che non c'è
niente di più efficace di questa che lui chiama "pestatura".
Evidentemente tiene lontano il freddo e il vento; inoltre il tronco è
più saldo e questo permette alle nuove radici di crescere e abbarbicarsi
al suolo: quando sono ancora tenere e non aderiscono bene al terreno, una
scossa anche leggera le strappa. Quanto al ceppo, lo ha raschiato prima di
coprirlo di terra; da qualsiasi pezzo di legno così scorticato, dice,
spuntano nuove radici. Il tronco, poi, non deve sporgere dalla terra più
di tre o quattro piedi: così si ricoprirà subito di gemme nella
parte inferiore e non avrà come i vecchi ulivi la gran parte del fusto
arida e secca. 19 Egli ha adottato anche un secondo sistema di trapianto: con
lo stesso procedimento ha interrato dei rami forti e di corteccia tenera, come
hanno in genere gli alberi giovani. Questi crescono un po' più tardi, ma
poiché si sviluppano come dalla pianta, non sono brutti o secchi. 20 Ho visto
anche separare una vecchia vite dall'albero di sostegno e trapiantarla; anche i
filamenti delle sue radici, se possibile, vanno raccolti, quindi la vite va
distesa accuratamente in modo che metta radici anche dal tronco. Le ho viste
piantare non solo a febbraio, ma anche alla fine di marzo; e si sono
abbarbicate e attaccate ai nuovi olmi. 21 Egialo sostiene che tutte queste
piante, come dire, di alto fusto, vanno aiutate con acqua di cisterna; se i
risultati sono buoni, non siamo più vincolati alla pioggia.
Ma non ho intenzione di darti altri insegnamenti per non fare di
te un mio antagonista, come Egialo ha fatto di me. Stammi bene.
87
1 Ho fatto naufragio prima di imbarcarmi: non aggiungo come sia
accaduto, perché non voglio che tu lo ritenga uno dei paradossi stoici; ma ti
dimostrerò tu voglia o non voglia, che nessuno di essi è falso,
né tanto singolare quanto sembra a prima vista.
Intanto questo viaggio mi ha insegnato quante cose inutili abbiamo
e come sarebbe facile decidere di rinunziarvi: difatti, se ci capita di esserne
privi per necessità, non ci accorgiamo della loro mancanza. 2 Con pochissimi
servi, quanti ne ha potuto contenere una sola vettura, senza altri oggetti che
quelli indosso, io e il mio amico Massimo già da due giorni viviamo qui
felicissimi. Dormo su un materasso messo a terra; due mantelli fanno uno da
lenzuolo, l'altro da coperta. 3 Il pranzo è ridotto al minimo
indispensabile; è pronto in un'ora, non mancano mai i fichi secchi, mai
le tavolette per scrivere; i fichi, se ho il pane, fanno da companatico, se non
ce l'ho, da pane. Ogni giorno comincia per me un nuovo anno e io lo rendo
propizio e fortunato con onesti pensieri ed elevando lo spirito, che raggiunge
il suo culmine quando bandisce ciò che gli è estraneo e conquista
la tranquillità eliminando ogni paura, e la ricchezza, eliminando ogni
desiderio. 4 La vettura su cui mi sono sistemato è di campagna, le mule
dimostrano di essere vive solo perché camminano; il mulattiere è scalzo,
e non perché è estate. Mi costa molto non voler nascondere che è
la mia; dura ancora in me un distorto senso del pudore e ogni volta che incontriamo
un equipaggio più ricco, arrossisco senza volerlo: questo è un
segno che i princìpî che apprezzo e lodo non sono ancora in me saldi e
incrollabili. Se uno arrossisce di una vettura rozza, andrà orgoglioso
di una sontuosa. 5 Ho fatto proprio pochi progressi: ancora non oso manifestare
apertamente la mia frugalità; ancora mi preoccupo di ciò che
pensano i passanti.
Avrei dovuto gridare contraddicendo l'opinione generale:
"Pazzi, sbagliate; rimanete a bocca aperta di fronte a beni inutili e non
valutate nessuno per ciò che è veramente suo. Quando si tratta
del patrimonio, siete bravissimi a fare i conti in tasca a chi dovete prestare
denaro o fare un favore, poiché anche i favori li mettete sotto la voce
'spese';
I veloci cavalli bardati di porpora e con coperte variopinte: sui
loro petti pendono ondeggiando ornamenti d'oro; coperti d'oro, masticano sotto i
denti fulvo oro.
Questi fregi non possono rendere migliore né il padrone, né la
cavalcatura.
12 "Ciò che è buono rende buoni (infatti anche
in musica ciò che è buono rende musicisti); i beni fortuiti non
rendono buoni, quindi non sono veri beni."
I Peripatetici confutano questo sillogismo dicendo che la premessa
è falsa. "Non sempre ciò che è buono rende buoni. In musica
c'è qualcosa di buono come il flauto, la cetra o qualche strumento
adatto per suonare; nessuno di questi, tuttavia, rende musicista." 13 Ecco
la nostra risposta: "Voi non capite che cosa intendiamo con ciò che
è buono in musica. Non definiamo così gli strumenti a
disposizione del musicista, ma ciò che lo rende tale: tu parli di
strumenti musicali, non di musica. Ma se c'è qualcosa di buono proprio
nell'arte musicale, questo renderà senz'altro musicisti." 14 Voglio
spiegarmi ancora più chiaramente. In musica "buono" si intende
in due modi: una cosa utile all'esecuzione musicale o una cosa utile all'arte:
gli strumenti, flauti, organi, cetre, riguardano l'esecuzione, non l'arte in se
stessa. L'artista è tale anche senza di essi: anche se, forse, non
può mettere in pratica la sua arte. Questa duplicità di aspetti
manca nell'uomo; il bene dell'uomo e della sua vita coincidono.
15 "Quello che può capitare agli uomini più
spregevoli e disonesti non è un bene; le ricchezze capitano anche a un
lenone e a un maestro di gladiatori, quindi, non sono beni."
"La premessa è falsa," dicono, "vediamo,
infatti, che nella filologia, nella medicina, nell'arte nautica i beni
càpitano anche alle persone più umili." 16 Ma queste arti
non promettono grandezza d'animo, non si elevano verso l'alto, non disprezzano
i beni fortuiti: la virtù innalza l'uomo e lo rende superiore alle cose
care ai mortali; e non desidera troppo o teme i cosiddetti beni e mali.
Chelidone, uno degli eunuchi di Cleopatra, possedeva un grande patrimonio. Non
molto tempo fa, Natale, persona dalla lingua dissoluta e corrotta, nella cui
bocca le donne si ripulivano, fu erede di molti ed ebbe molti eredi. E dunque?
Fu il denaro a insozzare lui o fu lui a insozzare il denaro? La ricchezza cade
su certuni come una moneta d'argento in una cloaca. 17 La virtù sta
sopra tutto questo; viene valutata in base a quanto possiede veramente; non
giudica un bene nessuno di quelli che possono capitare a chiunque. La medicina
e l'arte di guidare una nave non impediscono a sé e a chi le pratica di
ammirare tali beni; uno può non essere onesto e tuttavia essere medico o
timoniere o letterato come, per bacco, essere cuoco. Se a uno capita di
possedere una cosa fuori del comune, dirai che è fuori del comune; ognuno
vale tanto quanto possiede. 18 Una cassetta vale in base al contenuto, anzi, ne
diventa un elemento accessorio. Chi darebbe a un borsellino pieno un valore
diverso da quello del denaro in esso contenuto? Lo stesso capita a chi possiede
grandi patrimoni: ne è un elemento accessorio, un'appendice. Perché,
dunque, il saggio è grande? Perché è grande interiormente. E
allora è vero che quanto capita agli uomini più spregevoli non
è un bene. 19 Perciò non dirò mai che l'insensibilità
è un bene: ce l'ha la cicala, ce l'ha la pulce. E non dirò
neppure che è un bene la tranquillità e il non avere fastidi: chi
è più tranquillo di un verme? Chiedi qual è l'essenza del
saggio? La stessa di dio. Devi riconoscergli qualcosa di divino, di celeste, di
magnifico: il bene non capita a tutti e non ammette un possessore qualsiasi. 20
Guarda
quello che un terreno produce e quello che non fa attecchire: qui
crescono più rigogliose le messi, qui l'uva, altrove gli alberi da
frutto e la verde erba spontanea. Non vedi come il Tmolo ci mandi il profumato
zafferano, l'India l'avorio, gli effeminati Sabei i loro incensi e i nudi
Calibi il ferro?
21 Questi prodotti sono stati distribuiti in regioni diverse
perché gli scambi commerciali fossero per gli uomini un'attività
necessaria, dovendo cercare gli uni i prodotti degli altri. Anche il sommo bene
ha una propria dimora; non nasce dove c'è l'avorio o il ferro. Chiedi
qual è questa dimora? L'anima. Ma se non è pura e santa non
può accogliere dio.
22 "Il bene non nasce dal male; la ricchezza nasce dall'avidità;
quindi, la ricchezza non è un bene."
"Non è vero," ribattono, "che il bene non
nasce dal male; il denaro può provenire da un sacrilegio o da un furto;
pertanto il sacrilegio e il furto sono mali, ma perché producono più
mali che beni; procurano sì un guadagno, ma unito a paura,
preoccupazioni, tormenti spirituali e fisici." 23 Chiunque faccia queste
affermazioni deve necessariamente considerare il sacrilegio un male, perché
causa molti mali, e in parte anche un bene, perché causa qualche bene: ma che
cosa può esserci di più mostruoso? Eppure siamo proprio convinti
che il sacrilegio, il furto, l'adulterio si debbano considerare beni. Quanti
non si vergognano di rubare, quanti si vantano di essere adulteri! Le colpe
piccole vengono punite, quelle grandi sono addirittura celebrate trionfalmente.
24 Inoltre se il sacrilegio è in parte senz'altro un bene, sarà
anche una cosa onesta e verrà considerato un'azione virtuosa [...], ma
nessun uomo può pensarlo. Quindi, da un male non possono nascere beni.
Se, infatti, come dite, il sacrilegio è un male solo perché causa molto
male, se gli condoniamo la pena e gli assicuriamo l'impunità,
sarà sotto ogni aspetto un bene. Ma i delitti hanno in se stessi la loro
più grave punizione. 25 Sbagli, ti dico, a rinviare la pena al boia o al
carcere: i delitti vengono puniti subito appena sono commessi, anzi, mentre
vengono commessi. Da un male non nasce un bene, come un fico non nasce da un
ulivo: ogni seme dà i suoi frutti, e i beni non possono degenerare. Da
un'azione turpe non ne deriva una onesta, così da un male non deriva un
bene; perché bene e onestà coincidono.
26 Certi Stoici ribattono così: "Supponiamo che il
denaro sia un bene, da qualunque parte provenga; perciò anche se deriva
da un sacrilegio, il denaro non è sacrilego. Eccoti un esempio. In uno
stesso scrigno c'è dell'oro e una vipera: se dallo scrigno prendi l'oro,
non lo prendi perché lì c'è anche una vipera; voglio dire, lo
scrigno mi dà l'oro non perché contiene una vipera, ma mi dà
l'oro, pur contenendo anche una vipera. Allo stesso modo da un furto sacrilego
si ricava un guadagno, non perché il sacrilegio è un'azione infame e
scellerata, ma perché procura anche un guadagno. Come in quello scrigno il male
è la vipera e non l'oro che le sta accanto, così nel sacrilegio
il male è l'azione delittuosa, non il guadagno." 27 Non sono
d'accordo; le due situazioni sono molto diverse. Nel primo caso posso prendere
l'oro senza la vipera, nel secondo non posso ricavare un guadagno senza
commettere il sacrilegio; questo guadagno non è vicino al delitto: vi
è strettamente unito.
28 "Quello che conseguiamo a prezzo di molti mali, non
è un bene; la ricchezza la conseguiamo a prezzo di molti mali; quindi,
la ricchezza non è un bene."
"La vostra premessa," dicono, "può significare
due cose: primo, che conseguiamo la ricchezza a prezzo di molti mali. Ma anche
la virtù la conseguiamo a prezzo di molti mali: qualcuno durante un
viaggio per motivi di studio ha fatto naufragio, qualche altro è stato
fatto prigioniero. 29 Il secondo significato è questo: non è un
bene ciò che è causa di mali. Dalla vostra premessa non consegue
che la ricchezza o i piaceri sono per noi causa di mali; oppure, se la
ricchezza è causa di molti mali, la ricchezza non solo non è un
bene, ma è addirittura un male; voi, invece, sostenete soltanto che non
è un bene. Inoltre," continuano, "ammettete che la ricchezza
abbia una certa utilità e la considerate tra i vantaggi. Ma per la
stessa ragione non sarà neppure un vantaggio, perché ci causa molti
mali." 30 Alcuni controbattono così: "Sbagliate imputando i
mali alla ricchezza. In realtà essa non danneggia nessuno: a ciascuno il
danno lo porta o la propria stoltezza o la malvagità degli altri,
così come la spada di per sé non uccide nessuno: è un'arma per
l'assassino. Perciò se la ricchezza ti danneggia, la colpa non è
della ricchezza." 31 Più giusta, a mio parere, la tesi di
Posidonio: egli afferma che la ricchezza causa il male, non perché sia essa
stessa a produrlo, ma perché spinge gli altri a farlo. Una cosa è la
causa efficiente, che di necessità provoca direttamente il male,
un'altra è la causa antecedente. La ricchezza è la causa
antecedente: esalta gli animi, genera arroganza, provoca l'invidia e fa uscire
di senno al punto che il credito derivante dal denaro, anche se ci
danneggerà, ci riesce gradito. 32 Tutti i beni, invece, devono essere
immuni da colpa; sono puri, non corrompono l'anima, non la turbano; ci
innalzano e ci dilatano, ma senza renderci superbi. I veri beni ci rendono
sicuri, la ricchezza arroganti; i veri beni generano grandezza d'animo, la
ricchezza tracotanza. La tracotanza non è altro che una falsa apparenza
di grandezza. 33 "In questo modo," dicono, "la ricchezza, non
soltanto non è un bene, ma è anche un male." Sarebbe un male
se essa stessa provocasse il male, se, come ho detto, fosse la causa
efficiente: invece, è la causa antecedente che non solo eccita gli
animi, ma li trascina; diffonde del bene un'immagine verosimile cui la
maggioranza presta fede. 34 Anche la virtù è una causa antecedente:
suscita invidia; molti sono invidiati per la loro saggezza, molti per la loro
giustizia. Ma questa causa non ce l'ha in sé la virtù e non è
verosimile; al contrario la virtù offre all'anima umana quell'aspetto
più verosimile che la richiama all'amore e all'ammirazione.
35 Posidonio dice che il sillogismo bisogna formularlo
così: "Le cose che non danno all'anima né grandezza, né sicurezza,
né tranquillità non sono beni; la ricchezza, la salute e altre cose
simili non dànno niente di tutto questo; dunque, non sono beni."
Egli dà a questo sillogismo un senso ancora più ampio: "Le
cose che non dànno all'anima né grandezza, né sicurezza, né
tranquillità, anzi provocano superbia, orgoglio, arroganza, sono mali;
ad essi ci spingono i doni della fortuna, quindi non sono beni."
36 "Secondo questo ragionamento," si ribatte, "non
saranno neppure dei vantaggi." Vantaggi e beni sono due cose diverse: per
vantaggio si intende ciò che porta più utilità che
fastidio; il bene, invece, deve essere genuino e completamente innocuo. Non
è un bene quello che è più utile, ma quello che è
solamente utile. 37 Il vantaggio, inoltre, tocca agli animali, agli uomini
imperfetti, agli stolti. Può essere perciò unito a uno
svantaggio, ma viene definito un vantaggio in base agli elementi predominanti:
il bene riguarda solo il saggio e deve essere incontaminato.
38 Coraggio: ti resta un solo nodo, anche se difficile, da
sciogliere: "Dai mali non nasce il bene; da molte povertà nasce la
ricchezza; dunque la ricchezza non è un bene."
I filosofi stoici non riconoscono questo sillogismo, i
peripatetici, invece, lo formulano e lo risolvono. Dice Posidonio che questo
sofisma trattato in tutte le scuole dai dialettici, viene così confutato
da Antipatro: 39 "La povertà non viene definita per possesso, ma
per detrazione (o, come dicevano gli antichi, per privazione; i Greci dicono
kat¦ stšrhsin), non indica quello che si possiede, ma quello che non si
possiede. Con molti vuoti non si può riempire niente: la ricchezza la
formano molti beni, non molte carenze. Voi non intendete la povertà nel
modo dovuto. Povertà non è possedere poche cose, ma non
possederne molte; non viene definita da quanto possiede, ma da quanto le
manca."
40 Quello che intendo, l'esprimerei più facilmente se ci
fosse una parola latina per indicare $Píõðáñîßá$. Antipatro
la ascrive alla povertà: secondo me la povertà è
unicamente possedere poco. Se un giorno avremo tempo, esamineremo che cosa
siano in sostanza la ricchezza e la povertà, ma anche allora
considereremo se non sia meglio mitigare la povertà e togliere superbia
alla ricchezza piuttosto che discutere sulle parole, come se sulla sostanza si
fosse già formulato un giudizio. 41 Supponiamo di partecipare a una
adunanza popolare: viene proposta una legge per l'abolizione della ricchezza.
La sosterremo o la combatteremo con questi sillogismi? Otterremo con essi che
il popolo romano ricerchi e apprezzi la povertà, base e origine del suo
impero, e tema la sua ricchezza; che pensi di averla trovata presso i popoli
vinti e che da qui intrighi, corruzione, disordini si siano riversati in una
città modello assoluto di purezza e di temperanza; che le prede di
guerra vengano ostentate con troppa superbia, che i beni strappati da un solo
popolo a tutti gli altri, possano più facilmente essere strappati da
tutti i popoli a uno solo? È meglio persuaderlo di ciò e vincere
le passioni che esprimersi con giri di parole. Parliamo, se è possibile,
con più forza; se no, con maggiore chiarezza. Stammi bene.
88
1 Tu vuoi sapere che cosa penso degli studi liberali: non stimo,
non considero un bene studi che sfociano in un guadagno. Sono arti venali,
utili se esercitano la mente, ma non la occupano del tutto. Bisogna dedicarvisi
finché l'animo non è in grado di trattare una materia più
impegnativa; sono il nostro tirocinio, non il nostro lavoro. 2 Perché si
chiamano studi liberali lo capisci: perché sono degni di un uomo libero. Ma
l'unico studio veramente liberale è quello che rende liberi, cioè
lo studio della saggezza, sublime, forte, nobile: gli altri sono insignificanti
e puerili. Pensi che in questi studi di cui sono maestri gli uomini più
infami e dissoluti ci sia qualcosa di buono? Queste cose non dobbiamo
impararle, ma averle imparate.
Secondo certi filosofi bisogna chiedersi se gli studi liberali
possono formare l'uomo virtuoso: in realtà essi non se lo ripromettono
né aspirano a questa scienza. 3 La filologia si rivolge allo studio della
lingua e, se vuole spaziare di più, alla storia; e arriva, come limite
estremo, alla poesia. Quale di queste materie spiana la via alla virtù?
La scansione delle sillabe, la proprietà di linguaggio, la tradizione
mitica, le leggi e la misura dei versi? Che cosa di tutto questo cancella la
paura, libera dalle passioni, frena l'intemperanza? 4 Passiamo alla geometria e
alla musica: non vi troverai niente che inibisca timori, desideri: se uno
ignora questo, è inutile che conosca altro.
‹Bisogna vedere› se costoro insegnano la virtù o no: se non
la insegnano, non possono neppure trasmetterla; se la insegnano, sono filosofi.
Vuoi renderti conto come non si siano mai soffermati a insegnare la
virtù? Guarda come sono dissimili tra loro gli studi di tutti questi: se
insegnassero la stessa cosa, dovrebbe esserci somiglianza.
9 Passo alla musica. Tu mi insegni come le note gravi si accordino
a quelle acute, come si armonizzino i suoni diversi emessi dalle corde degli
strumenti: fa' piuttosto in modo che il mio animo sia coerente con se stesso,
che le mie decisioni non siano in contrasto. Tu mi indichi quali sono i suoni
lamentosi: mostrami piuttosto come non debba lamentarmi in mezzo alle sventure.
10 Il geometra mi insegna a misurare i latifondi, invece che insegnarmi
quanto basta a un uomo. Mi insegna a fare i conti prestando le dita alla mia
avidità: mi insegni piuttosto che questi calcoli non hanno nessuna
importanza, che non è più felice chi possiede un patrimonio tale
da stancare i ragionieri; anzi possiede beni superflui e sarà
infelicissimo se è costretto a contare da sé i suoi averi.
14 Veniamo ora all'astrologia che si vanta di conoscere i corpi
celesti:
dove si ritiri la gelida stella di Saturno, quali orbite percorra
nel cielo il pianeta Mercurio.
A che serve conoscere tutto questo? Per preoccuparmi quando
Saturno e Marte saranno in opposizione o quando Mercurio tramonterà la
sera in vista di Saturno? È meglio che impari che gli astri, dovunque si
trovino, sono propizi e immutabili. 15 Li spinge un ordine continuo e fatale e
una corsa ineluttabile; l'uno dopo l'altro ritornano periodicamente e
determinano tutti gli eventi o li preannunciano. Ma se sono la causa diretta di
qualunque avvenimento, a che servirà la conoscenza di un fatto
ineluttabile? E se lo preannunciano solamente, che importa prevedere una cosa a
cui non si può sfuggire? Lo sai, non lo sai; accadrà lo stesso.
16 Ma se osserverai il sole nella sua rapida corsa e le stelle nel
loro ordinato cammino, non ti ingannerà mai il domani e non verrai
sorpreso dalle insidie di una notte serena.
Ho preso precauzioni più che sufficienti per mettermi al
sicuro dalle insidie. 17 "Il domani non mi ingannerà? Gli
imprevisti ingannano." Non so che cosa accadrà, ma so che cosa
può accadere. Non cercherò di scongiurare nulla, mi aspetto
tutto: se qualche disgrazia mi viene risparmiata, me ne rallegro. L'ora che mi
risparmia, mi inganna, ma neppure così mi inganna. Io so che tutto
può accadere, come so che non è sicuro che accada. Perciò
aspetto gli eventi propizi e sono pronto a quelli sfavorevoli.
18 Non seguo la via già tracciata, concedimelo; non mi va
di comprendere tra le arti liberali i pittori, gli scultori, i marmisti o gli
altri servi del lusso. Analogamente escludo da queste occupazioni liberali i
lottatori e l'arte che consiste interamente nel lordarsi d'olio e di fango;
oppure dovrei includere anche i profumieri, i cuochi e tutti gli altri che
mettono il loro acume al servizio dei nostri piaceri. 19 Ma, via, che hanno di
liberale questi vomitatori a digiuno, grassi di corpo, emaciati e torpidi nello
spirito? Oppure pensiamo che in questo consista lo studio liberale per la
gioventù di oggi, mentre i nostri antenati la esercitavano a scagliare
le lance in posizione eretta, a vibrare il bastone, a spronare il cavallo, a
maneggiare le armi? Non insegnavano ai loro figli niente che potessero imparare
standosene coricati. Ma né le une, né le altre attività insegnano o
alimentano la virtù; a che serve saper guidare un cavallo e frenare la
sua corsa, se ci facciamo trascinare dalle passioni più sfrenate? A che
serve vincere tanti atleti nella lotta o nel pugilato ed essere poi vinti
dall'ira?
20 "E allora? Gli studi liberali non ci sono per niente
utili?" In altri campi sì, molto, per la virtù no; anche le
arti manuali chiaramente vili, benché servano moltissimo a corredare la vita,
non riguardano la virtù. "Perché, dunque, insegniamo ai figli gli
studi liberali?" Non perché possono dare la virtù, ma perché
preparano l'anima ad accoglierla. Come i primi rudimenti di lingua che vengono
dati ai fanciulli, gli antichi li chiamavano litteratura, non insegnano le arti
liberali, ma ne predispongono l'apprendimento, così le arti liberali non
conducono l'anima alla virtù, ma la preparano ad essa.
21 Posidonio classifica le arti in quattro generi: quelle popolari
e vili, quelle ricreative, quelle per i fanciulli, quelle liberali. Le arti
popolari sono proprie degli artigiani e si basano sul lavoro manuale; servono
alle necessità pratiche della vita: in esse non c'è riproduzione
di bellezza morale, né di virtù. 22 Le arti ricreative tendono al
piacere della vista e dell'udito; tra esse bisogna includere quella dei
costruttori progettisti di macchine teatrali, che si sollevano da sole, e di
palchi, che si alzano silenziosamente e compiono diversi altri spostamenti improvvisi,
o perché si separano elementi prima uniti, o perché si uniscono da sé pezzi
staccati, o perché a poco a poco si abbassano parti che stavano in alto. Questi
macchinari colpiscono la gente ignorante che guarda ammirata, non conoscendone
le cause, tutti gli improvvisi cambiamenti. 23 Sono per i ragazzi e
assomigliano in qualcosa alle arti liberali, quelle che i greci chiamano
$dãêýêëéïé$ e noi "liberali". Ma le sole arti
liberali, anzi, per meglio dire, libere, sono quelle che si occupano della virtù.
24 "Come c'è una branca della filosofia - si dice -
che studia la natura, una la morale, una la logica, così anche questa
massa di arti liberali rivendica un posto nella filosofia. Quando si indaga sui
fenomeni naturali, ci si basa sulle dimostrazioni geometriche; la geometria
è utile alla filosofia, dunque ne fa parte." 25 Molte cose ci sono
di aiuto, ma non per questo sono parte di noi; anzi, se lo fossero, non ci
sarebbero di aiuto. Il cibo aiuta il corpo, ma non ne fa parte. La geometria ci
presta un servizio: è necessaria alla filosofia, come alla geometria
è necessario chi fabbrica gli strumenti; ma né costui è parte
della geometria, né la geometria della filosofia. 26 Entrambe, inoltre, hanno
fini propri; il saggio ricerca e conosce le cause dei fenomeni naturali, mentre
il geometra ne determina e ne calcola la quantità e la grandezza. Il
saggio sa su quali leggi si basino i corpi celesti, qual è la loro forza
e la loro natura: il matematico calcola i loro corsi e ricorsi e certe orbite
lungo le quali essi sorgono e tramontano e sembrano talvolta stare immobili,
fenomeno impossibile per i corpi celesti. 27 Il saggio saprà perché
un'immagine si rifletta nello specchio; il geometra può dirti quale deve
essere la distanza tra un corpo e la sua immagine e quale forma di specchio
restituisca una certa immagine. Il filosofo dimostrerà che il sole
è grande; il matematico, basandosi sull'esperienza e la pratica,
dirà quanto è grande. Ma per procedere deve impadronirsi di certi
princìpî; e non è indipendente quella scienza priva di basi
proprie. 28 La filosofia non chiede niente agli altri, erige interamente
l'edificio fin dalle fondamenta: la matematica è, come dire,
"usufruttuaria", costruisce su terreno altrui; da qui trae i primi
elementi e grazie ad essi va avanti. Se si muovesse verso la verità con
le sue forze, se fosse in grado di comprendere la natura dell'intero universo,
direi che sarebbe apportatrice di un grande contributo al nostro spirito: esso
si sviluppa trattando i fenomeni celesti e trae vantaggi dall'alto.
C'è una sola cosa che può rendere l'animo perfetto,
la scienza immutabile del bene e del male; nessun'altra arte indaga sul bene e
sul male. 29 Prendiamo ora in considerazione le singole virtù. La
fortezza disprezza le cose che spaventano; disdegna, sfida, vince le paure che
soggiogano la nostra libertà: le arti liberali possono forse
rafforzarla? La lealtà è il bene più sacro dell'anima
umana, nessuna circostanza può costringerla all'inganno, non si lascia
corrompere da nessuna ricompensa: "Brucia," grida, "colpisci,
uccidi; non tradirò ma più si vorrà con la sofferenza
scoprire i miei segreti, più li terrò nascosti." Possono
forse gli studi liberali formare animi del genere? La temperanza domina i
piaceri, alcuni li ha in odio e li elimina, altri li regola e li riconduce a
una sana misura, e non vi si accosta mai per loro stessi; sa che la misura
migliore dei nostri desideri è prendere non quanto vogliamo, ma quanto
dobbiamo. 30 Il senso di umanità ci impedisce di essere superbi e
sgarbati con il prossimo; nelle parole, nelle azioni, nei sentimenti si mostra
cortese e disponibile con tutti; fa suoi i mali degli altri e ama il suo bene
soprattutto quando può essere un bene per gli altri. Gli studi liberali
ci insegnano forse un simile comportamento? No, e non ci insegnano la
semplicità, la modestia, la moderazione e neppure la frugalità e
la parsimonia, né la clemenza che risparmia il sangue altrui come se fosse il
proprio e sa che l'uomo non deve abusare di un suo simile.
31 "Voi sostenete," ribattono, "che senza gli studi
liberali non si raggiunge la virtù; come potete affermare allora che non
contribuiscono alla virtù?" Perché neppure senza cibo si arriva
alla virtù e tuttavia il cibo non è in relazione con la
virtù; il legno non dà nessun apporto sostanziale alla nave,
eppure non si può costruire una nave senza legno: non c'è motivo
di credere, intendo dire, che una cosa sia di aiuto per un'altra, se senza di
essa non la si può fare. 32 Si può anche affermare che possiamo
raggiungere la saggezza senza gli studi liberali; difatti, sebbene la
virtù si debba apprenderla, tuttavia non la si apprende per mezzo loro.
Perché dovrei ritenere che non diventerà saggio chi ignora le lettere,
quando la saggezza non consiste nelle lettere? Essa insegna cose, non parole, e
non so se sia più affidabile quel tipo di memoria che non ha altro aiuto
all'infuori di se stessa. 33 La saggezza è cosa grande e vasta; ha
bisogno di uno spazio sgombro; si devono acquisire nozioni sull'umano e il
divino, sul passato e il futuro, sull'effimero e l'eterno, sul tempo. E su
questo solo argomento guarda quanti problemi sorgono: primo, se sia qualcosa di
per sé; poi, se ci sia qualcosa prima del tempo e senza tempo; se è
cominciato col mondo oppure, visto che dev'essere esistito qualcosa prima del
mondo, se anche il tempo sia esistito prima del mondo. 34 Innumerevoli
questioni si pongono poi solo intorno all'anima: la sua origine, la sua natura,
quando cominci a esistere, quanto viva, se passi da un luogo all'altro e cambi
sede, gettata nelle spoglie ora di uno, ora di un altro animale, oppure sia
schiava solo una volta e, liberata, vaghi nell'universo; se sia o no corporea;
che cosa farà quando finirà di agire per mezzo nostro, come
farà uso della sua libertà una volta fuggita da questa gabbia; se
dimentichi la vita precedente e cominci a conoscere se stessa dal momento in
cui, distaccatasi dal corpo, sale in cielo. 35 Qualsiasi parte delle questioni
umane e divine prenderai in considerazione, sarai spossato dall'ingente quantità
di quesiti e di nozioni. Eliminiamo dal nostro animo le nozioni superflue
perché questi problemi così numerosi e importanti possano trovare campo
libero. La virtù non si va a rinchiudere in stretti confini; una cosa
grande necessita di un ampio spazio. Bisogna scacciare tutto dal proprio petto
e lasciarlo sgombro per la virtù.
36 "Ma mi piace conoscere molte scienze." Rammentiamone
solo lo stretto necessario. Oppure secondo te è riprovevole chi
raccoglie oggetti superflui e in casa fa sfoggio di preziose suppellettili, e
non chi ha la mente ingombra di inutili suppellettili letterarie? Voler
conoscer più del necessario è una forma di intemperanza. 37 Che
dire poi di questa avida ricerca delle arti liberali che ci rende importuni,
prolissi, intempestivi, compiaciuti di noi stessi e incapaci di apprendere il
necessario, perché abbiamo imparato il superfluo? Il grammatico Didimo scrisse
quattromila libri: ne avrei compassione se solo avesse letto una simile mole di
inutilità. In questi libri si discute sulla patria di Omero, sulla vera
madre di Enea, se Anacreonte fu più dedito al sesso che al vino, se
Saffo fu una donna di malaffare e altre questioni che, se si conoscessero,
sarebbe bene disimparare. Su, e adesso nega che la vita sia lunga!
38 Ma anche quando arriveremo alle dottrine stoiche, ti
mostrerò che bisogna sfrondare molto a colpi di scure. Gran perdita di
tempo e gran fastidio agli ascoltatori costa questo elogio: "Che uomo
colto!" Accontentiamoci invece di questo titolo più semplice:
"Che brav'uomo!" 39 Non è così? Sfoglierò gli
annali di tutti i popoli per cercare chi fu il primo poeta? E non disponendo
dei fasti, farò il conto di quanti anni intercorrono tra Orfeo e Omero?
Esaminerò le note con cui Aristarco segnava i versi spuri e
consumerò la mia vita sulle sillabe? Rimarrò lì a
tracciare figure geometriche sulla polvere? Ho dimenticato fino a questo punto
quel famoso salutare precetto: "Risparmia il tempo"? Dovrei conoscere
questi argomenti? E che cosa dovrei ignorare? 40 Il grammatico Apione, che al
tempo di Caligola girò per tutta la Grecia e fu accolto da tutte le
città in nome di Omero, sosteneva che Omero, portate a termine sia
l'Iliade che l'Odissea, aggiunse un proemio alla sua opera, in cui comprendeva
tutta la guerra di Troia. Come prova di questa affermazione adduceva il fatto
che il poeta aveva inserito di proposito nel primo verso due lettere che
indicavano il numero dei suoi libri. 41 Se uno vuole sapere molto, deve saperle
queste cose!
Non vuoi pensare quanto tempo ti sottraggono le malattie, gli
affari pubblici e privati, le occupazioni giornaliere, il sonno? Misura la tua
vita: non può contenere tante cose. 42 Io parlo degli studi liberali: ma
i filosofi, a quanti problemi superflui e inutili si dedicano! Anch'essi si
sono abbassati a distinguere le sillabe e a studiare le proprietà delle
congiunzioni e preposizioni, hanno avuto invidia dei grammatici e dei geometri;
quanto c'era di inutile nelle discipline di quelli, l'hanno trasferito nella
propria. Il risultato è che sanno parlare con più precisione di
quanto vivono. 43 Senti come è dannosa l'eccessiva sottigliezza e come
è nemica della verità. Protagora sostiene che si possono addurre
argomentazioni ugualmente valide pro e contro su ogni questione, compresa
questa: se su ogni questione si possono addurre argomentazioni pro e contro.
Nausifane sostiene che di tutte le cose che sembrano esistere niente è
più probabile che la loro non esistenza. 44 Parmenide afferma che di
tutte le cose che appaiono, niente esiste se non l'uno. Zenone di Elea
eliminò dal problema ogni problema: sostiene che non esiste niente.
All'incirca dello stesso argomento si occupano i Pirroniani, i Megarici, gli
Eretici, gli Accademici, che hanno introdotto una nuova scienza, non sapere
niente. 45 Butta tutte queste teorie nello sterile branco degli studi liberali;
gli uni mi insegnano una scienza inutile, gli altri mi tolgono ogni speranza di
conoscenza. Conoscere il superfluo è meglio che non conoscere niente.
Gli uni non portano una luce che indirizzi gli occhi alla verità, gli
altri gli occhi me li cavano addirittura. Se credo a Protagora, nella natura
esiste solo il dubbio; se credo a Nausifane, c'è una sola certezza, che
niente è certo; se credo a Parmenide, niente esiste, se non l'uno; se
credo a Zenone, non esiste neppure l'uno. 46 Che siamo noi, dunque? Che cosa
sono le cose che ci circondano, ci nutrono, ci sostengono? Tutta la natura
è un'ombra o vana o ingannevole. Non mi sarebbe facile dirti con chi ce
l'ho di più, se con quei filosofi che ci hanno voluto privare di ogni
conoscenza o con quelli che non ci hanno lasciato neppure questo: non avere
nessuna conoscenza. Stammi bene.
89
1 Tu desideri una cosa utile e necessaria per chi è ansioso
di raggiungere la saggezza, cioè dividere la filosofia, e il suo corpo
smisurato distinguerlo in membra: alla conoscenza del tutto è più
facile arrivarvi attraverso le singole parti. Come si presenta ai nostri occhi
l'aspetto generale dell'universo, magari potesse dispiegarsi così
davanti a noi l'intera filosofia in uno spettacolo assai vicino a quello
dell'universo! Certo strapperebbe ai mortali tutti l'ammirazione, lasceremmo da
parte ciò che ora riteniamo grande per ignoranza di ciò che
è veramente grande. Ma poiché questo è impossibile, dobbiamo
volgere lo sguardo sulla filosofia nello stesso modo in cui si scrutano i
segreti dell'universo.
4 Comincerò, pertanto, se sei d'accordo, con lo spiegarti
la differenza tra saggezza e filosofia. La saggezza è il bene supremo
della mente umana; la filosofia è amore e desiderio per la saggezza:
tende là dove la saggezza è arrivata. È chiaro perché si
chiama filosofia; il suo stesso nome dichiara che cosa ama. 5 Qualcuno ha
definito la saggezza la scienza del divino e dell'umano; per altri la saggezza
è conoscenza del divino, dell'umano e delle loro cause. Questa mi sembra
un'aggiunta superflua: le cause del divino e dell'umano rientrano nel divino.
Anche per la filosofia si sono trovate decine e decine di definizioni; è
stata chiamata da alcuni ricerca della virtù, da altri ricerca di ben
indirizzare la mente, e anche desiderio di una ragione retta. 6 Per quasi
unanime consenso si indica una differenza tra filosofia e saggezza: l'oggetto e
il soggetto di una aspirazione non possono identificarsi. Come tra avarizia e
denaro c'è una profonda differenza, perché l'avarizia agogna e il denaro
è agognato, lo stesso succede tra filosofia e saggezza: la seconda
è conseguenza e compenso della prima; quella viene, all'altra si va. 7 I
Greci dànno alla saggezza il nome di $óïößá$. È un termine
che un tempo adoperavano anche i romani, così come ora usano filosofia;
la testimonianza la trovi nelle antiche commedie togate e nell'epigrafe del
monumento di Dossenno:
Férmati, forestiero, e leggi la sofia di Dossenno.
8 Certi Stoici, benché la filosofia sia ricerca di virtù, e
la virtù sia oggetto della ricerca, mentre la filosofia ricerca, non
hanno ritenuto che i due elementi potessero essere disgiunti, perché non esiste
filosofia senza virtù, né virtù senza filosofia. La filosofia
è ricerca di virtù, ma attraverso la virtù stessa; e la
virtù non può esistere senza la ricerca di sé, né la ricerca
della virtù senza la virtù. Quando si cerca di colpire un oggetto
da lontano, da una parte c'è chi tira, dall'altra il bersaglio; nella
virtù, invece, non c'è separazione; le strade che conducono alle
città sono fuori dalle città: ma le vie che conducono alla
virtù non sono fuori dalla virtù: alla virtù si arriva
attraverso di essa, e filosofia e virtù sono strettamente legate.
9 Secondo la maggioranza dei più grandi scrittori, le parti
della filosofia sono tre: morale, fisica e logica. La prima regola l'anima, la
seconda indaga la natura, la terza esamina la proprietà del linguaggio,
l'ordinata disposizione delle parole, le argomentazioni, perché il falso non si
insinui al posto del vero. Ma si possono trovare altri che dividono la filosofia
in un numero minore o maggiore di parti. 10 Certi Peripatetici aggiungono una
quarta parte, la politica, in quanto richiede una sua pratica e si interessa di
una materia diversa. Altri aggiungono la parte cosiddetta
$ïkêïíïìéêÞ$, la scienza
dell'amministrazione del patrimonio; e, infine, c'è chi distingue i
differenti generi di esistenza. Sono tutti elementi riconducibili alla morale.
11 Gli Epicurei sostenevano che le parti della filosofia sono due, fisica e
morale: eliminavano la logica. Poi, costretti dalla realtà a sceverare
le incertezze e a individuare il falso nascosto sotto l'apparenza della
verità, hanno introdotto anch'essi un settore chiamato "norme di
giudizio", che è un altro nome per logica, ma per loro si tratta di
un'appendice della fisica. 12 I Cirenaici hanno eliminato la fisica e la
logica, accontentandosi della morale, per poi recuperare anche loro in altro
modo quello che hanno rimosso; suddividono, infatti, la morale in cinque parti;
la prima riguarda ciò che va fuggito e cercato, la seconda le passioni,
la terza le azioni, la quarta le cause, la quinta gli argomenti. Ma le cause
fanno parte della fisica, gli argomenti della logica 13 Aristone di Chio
arrivò a definire la fisica e la logica non solo superflue, ma
addirittura nocive; e arriva anche a limitare la morale, unica superstite. Ha
soppresso, infatti, la precettistica attribuendola al pedagogo, non al
filosofo, come se il saggio fosse qualcosa di diverso dal pedagogo del genere
umano.
14 Dato che la filosofia consta di tre parti, cominceremo a
passare in rassegna per prima la morale, che a sua volta si è deciso di
distinguere in tre parti: la prima è l'esame di ciò che tocca a
ciascuno e la determinazione del valore di ogni cosa, còmpito della
massima utilità, perché non c'è niente di più necessario
che attribuire la giusta stima alle cose. La seconda è l'esame degli
impulsi, la terza delle azioni. In primo piano c'è il giudizio sul
valore di ogni cosa, in secondo il tendervi in maniera regolare e misurata, in
terzo la concordanza tra impulso e azione in maniera che tu sia in ogni momento
coerente con te stesso. 15 La mancanza di una sola di queste tre componenti
sconvolge anche le altre. Che vantaggio ti dà aver ponderato tutto, se
poi il tuo slancio è eccessivo? A che serve avere represso gli slanci,
avere il controllo dei desideri, se manchi di tempestività al momento di
agire, se non sai che cosa si deve fare, quando, dove, e come? Un conto
è conoscere grado e valore delle cose, un altro i momenti decisivi, e un
altro ancora frenare gli impulsi e avviarsi, non precipitarsi, all'azione. La
vita è coerente con se stessa quando c'è equilibrio tra azione e
impulso; l'impulso nasce dal valore dell'oggetto e di conseguenza è
debole o più forte a seconda che l'oggetto meriti di essere ricercato.
16 La fisica si divide in due sezioni: il corporeo e l'incorporeo;
ciascuna delle due si articola, per così dire, in gradi.
Nell'àmbito dei corpi innanzi tutto si distinguono quelli che generano e
quelli che da essi sono generati, e gli elementi sono generati. Lo stesso
àmbito degli elementi, a parere di qualcuno, è semplice, a parere
di altri, si fraziona nella materia, nella causa, che muove tutto, e negli
elementi veri e propri.
per sommi capi toccherò le cose;
altrimenti se vorrò occuparmi delle ripartizioni delle
parti, nascerà un libro di problemi.
18 Non ti distolgo, mio ottimo Lucilio, dal leggere trattati del
genere, purché tu riporti immediatamente alla morale tutto quello che avrai
letto. Sappi regolarla, ridesta ciò che langue in te, tira le redini
allentate, doma le resistenze, attacca per quanto puoi le passioni tue e degli
altri, e a chi ti obbietta: "Ma non la smetterai mai con la stessa
predica?" rispondi:
19 "Io dovrei dire: 'Non la smetterete mai di commettere gli
stessi errori?' Volete che i rimedi finiscano prima dei vizi? Io parlerò
ancòra di più, e insisterò perché voi avete un
atteggiamento di rifiuto; una medicina comincia a fare effetto quando il corpo
che aveva perduto la sensibilità reagisce con dolore allo stimolo. Anche
se non volete, vi indicherò i farmaci. È bene che talvolta vi
arrivi qualche parola un po' dura e dato che singolarmente vi rifiutate di
ascoltare la verità, ascoltatela tutti insieme."
20 "Fin dove estenderete i confini delle vostre terre? Un
territorio che bastava a un popolo è piccolo per un padrone solo? Fin
dove spingerete i vostri aratri, se a delimitare i vostri campi non vi
soddisfano neppure i confini di una provincia? Fiumi importanti attraversano
solo proprietà private e grandi corsi d'acqua, che segnano confini di
grandi popoli, sono vostri dalla sorgente alla foce. E anche questo è
poco: se coi vostri latifondi non avete circondato i mari, se il vostro
amministratore non regna oltre l'Adriatico, lo Ionio, l'Egeo; se le isole, dimora
di grandi condottieri, non sono annoverate tra le quisquilie. Aggiungete
proprietà a proprietà, sia un fondo privato quello che una volta
si chiamava impero, appropriatevi di tutto quello che potete, fintanto che i
possedimenti altrui sono più estesi dei vostri."
21 "Adesso mi rivolgo a voi, il cui lusso si dilata non meno
dell'avidità di quegli altri. Dico a voi: fino a quando i tetti delle
vostre ville si affacceranno su ogni lago o le vostre case costelleranno le
rive di tutti i fiumi? Dovunque zampilleranno vene d'acqua calda, là si
fabbricheranno nuovi alloggi di lusso. Dovunque il litorale si curverà
in una baia, voi getterete sùbito delle fondamenta, e, contenti solo del
terreno che create artificialmente, incalzerete il mare fin dentro. I vostri
palazzi risplendano dovunque, sia sulla cima dei monti con un ampio orizzonte
di terra e di mare, sia in pianura, alti quanto montagne; quando avrete
costruito palazzi su palazzi e smisurati, sarete soltanto un corpo e piccolo. A
che servono tante camere da letto? Dormite in una sola; non è vostro
quello dove non state."
22 "E ora passo a voi, ghiottoni: la vostra golosità
senza fondo e insaziabile fruga i mari, le terre; con ami, lacci, vari tipi di
reti braccate faticosamente gli animali, non date loro tregua se non quando vi
sono venuti a nausea. Ma con la bocca stanca di tante prelibatezze quanto
gustate di questi banchetti allestiti col lavoro di tanta gente? Quanto
assaggia di questa bestia catturata con tanto rischio un signore che digerisce
male e ha la nausea? Sono stati fatti venire da lontano tanti crostacei, quanti
ne scivolano dentro questo stomaco insaziabile? Poveri infelici, non vi rendete
conto che la vostra fame è più grande del vostro ventre?"
23 Dille queste cose agli altri, purché anche tu ascolti mentre
parli; scrivile, purché tu le legga mentre le scrivi; poni ogni tua cura alla
morale e a placare il furore delle tue passioni. Cerca non di sapere di
più, ma di saper meglio. Stammi bene.
90
1 Il fatto di vivere, Lucilio mio, è un dono degli
dèi immortali, il fatto di vivere bene, della filosofia, nessuno
può dubitarne. Dunque, noi dovremmo avere un debito maggiore verso la
filosofia che non verso gli dèi, in quanto un'esistenza virtuosa
è certamente un beneficio maggiore che l'esistenza; ma sono stati gli
dèi a darci proprio la filosofia: non hanno concesso a nessuno la
conoscenza di essa, a tutti la possibilità. 2 Se avessero reso anche la
filosofia un bene comune e noi nascessimo saggi, la saggezza avrebbe perduto la
sua straordinaria prerogativa di non essere un bene fortuito. Quello che essa
ha di prezioso e di stupefacente è di non essere un dono della sorte, ma
una conquista personale, qualcosa che non si chiede a un terzo. Cosa ci sarebbe
da ammirare nella filosofia se derivasse da un beneficio? 3 Il suo unico
còmpito è scoprire la verità sul divino e sull'umano; da
essa non si staccano mai religione, sentimento del dovere, giustizia e il
corteo di tutte le altre virtù strettamente connesse tra di loro. Ci ha
insegnato, la filosofia, a venerare gli dèi, ad amare gli uomini, e che
il comando è nelle mani degli dèi, e che gli uomini sono uniti
tra loro. Questo stato di cose fu per un certo tempo rispettato, poi
l'avidità ruppe l'associazione e fece diventare povere anche quelle
persone che aveva un tempo reso ricchissime: desiderando beni propri cessarono
di possedere il tutto. 4 Ma i primi uomini e la loro progenie seguivano con
purezza la natura, trovavano nello stesso uomo la guida e la legge, affidandosi
alle decisioni del migliore, poiché la natura subordina quello che è
inferiore a quello che è superiore. Le greggi le guidano gli animali
più grossi o più impetuosi, le mandrie non le precede un toro di
scarto, ma quello che per grossezza e massa muscolare supera gli altri maschi;
i branchi degli elefanti li conduce il più alto; fra gli uomini conta il
migliore, non il più forte. Il capo veniva scelto per le sue
qualità interiori, e perciò i popoli più fiorenti erano
quelli in cui solo il migliore poteva essere il più potente: poiché
può fare con sicurezza quello che vuole solo l'uomo che ritiene di
potere unicamente quello che deve.
5 Posidonio pensa che nell'età cosiddetta aurea, il governo
fosse nelle mani dei saggi. Essi tenevano a freno la violenza, difendevano il
più debole dai più forti, facevano opera di persuasione e di
dissuasione, indicavano ciò che era utile o inutile; la loro preveggenza
faceva in modo che non mancasse niente al popolo, la loro forza teneva lontani
i pericoli, la loro liberalità arricchiva e dava benessere ai sudditi.
Comandare era un dovere, non una tirannide. Nessuno sperimentava il proprio
potere contro chi gli aveva permesso di averlo, nessuno era incline o motivato
a commettere ingiustizie, poiché i sudditi obbedivano con sollecitudine al
sovrano che comandava rettamente e la minaccia più grave del re a chi
disobbediva era di rinunciare al potere. 6 Ma quando, per l'insinuarsi dei
vizi, il regnare si tramutò in dispotismo, nacque la necessità
delle leggi: e anch'esse all'inizio furono i saggi a presentarle. Solone, che
diede ad Atene solide fondamenta di giustizia, fu uno dei sette famosi
sapienti: Licurgo, se fosse vissuto nella stessa epoca, sarebbe stato inserito
in quella sacra congrega come ottavo. Si elogiano i codici di Zaleuco e di
Caronda; costoro il diritto non lo impararono nel foro o nell'atrio degli
avvocati, ma le leggi che avrebbero dato alla Sicilia allora fiorente e,
attraverso l'Italia meridionale, alla Grecia, le appresero nel sacro e tacito
ritiro di Pitagora.
7 Fin qui sono d'accordo con Posidonio: non condivido, invece, che
la filosofia abbia inventato le arti di uso quotidiano, e non le attribuirei la
gloria dei mestieri artigianali. "La filosofia," egli afferma,
"insegnò a costruire case agli uomini dispersi qua e là e
che trovavano riparo o in capanne, o in qualche caverna, o nel cavo di un
albero." Secondo me la filosofia non ha escogitato questi congegni di
tetti che sorgono sui tetti, di città che incalzano le città,
come non ha escogitato i vivai ittici, creati per risparmiare alla gola il rischio
delle tempeste e per offrire alla mollezza, quando il mare impazzisce furioso,
cale tranquille in cui ingrassare diverse qualità di pesci. 8 Che dici?
La filosofia ha insegnato agli uomini ad avere chiavi e serrature? Non era dar
via libera all'avidità? La filosofia avrebbe innalzato dei tetti che
sovrastano così pericolosamente chi vi abita? Non bastava proteggersi
con ripari fortuiti, trovarsi un rifugio naturale che non richiedesse tecnica o
fatica. 9 Credimi, era felice quell'epoca senza architetti, né decoratori.
Tagliare le assi in modo regolare, segare le travi con mano sicura secondo le
linee tracciate, questo è nato col nascere del lusso;
i primi uomini, infatti, spaccavano con cunei il legno che si
fendeva con facilità.
Non costruivano dimore con stanze destinate ai banchetti, pini e
abeti non venivano trasportati in lunghe file di carri, facendo tremare le
strade, per trasformarli in soffitti carichi d'oro sospesi sulle loro teste. 10
Puntelli dai due lati sostenevano la capanna; rami secchi stipati, fronde
ammassate disposte con opportuna inclinazione assicuravano il defluire delle
piogge anche torrenziali. Sotto questi tetti abitavano al sicuro: un tetto di
paglia riparava gente libera; oggi sotto i marmi e l'oro abitano dei servi.
11 Su un altro punto ancora dissento da Posidonio: egli pensa che
gli strumenti artigianali sono stati inventati dai filosofi; allo stesso modo
potrebbe tranquillamente dire che i saggi
allora escogitarono il modo di catturare le fiere con i lacci, di
ingannarle con il vischio e di circondare con i cani le grandi balze selvose.
Tutte queste scoperte le fece la sagacia, non la saggezza umana.
12 Anche su questo non sono d'accordo: le miniere di ferro e di rame non le
hanno trovate i saggi quando la terra bruciata dall'incendio delle foreste
aveva riversato fuse le vene di metalli giacenti in superficie: sono cose che
le trova chi se ne occupa. 13 E neppure mi sembra tanto acuto, come a
Posidonio, il problema se l'uso del martello fu anteriore a quello delle tenaglie.
Li inventò entrambi qualcuno dalla mente brillante e acuta, non nobile
ed elevata, e fu così per qualsiasi altra cosa che va cercata col corpo
curvo e concentrandosi sulla terra. Il saggio condusse sempre una vita
semplice. E perché no? Anche di questi tempi desidera essere il più
libero possibile. 14 Ma via, come può essere che ammiri Diogene e Dedalo
insieme? Chi di loro ti sembra saggio? L'inventore della sega o il filosofo
che, dopo aver visto un bambino bere l'acqua nel cavo della mano, tirò
fuori il bicchiere dalla bisaccia e lo ruppe immediatamente rivolgendo a se
stesso questo rimprovero: "Per quanto tempo ho portato da insensato pesi
inutili!", egli che dormiva rannicchiato in una botte? 15 E oggi, chi
ritieni più saggio? Chi ha trovato il modo di spruzzare a grandi
altezze, attraverso condotti invisibili, essenze profumate, chi riempie i
canali con un improvviso getto d'acqua o li prosciuga, e congiunge i soffitti
girevoli delle sale da pranzo in modo che si susseguano immagini diverse e il
tetto cambi tante volte quante sono le portate, oppure chi dimostra a sé e agli
altri che la natura non ci costringe a nulla di faticoso e di difficile, che
possiamo avere case senza ricorrere al marmista e al fabbro, che possiamo
vestirci senza importare sete, che possiamo avere il necessario per i nostri
bisogni se ci accontentiamo dei beni che la terra presenta in superficie? Se
l'umanità vorrà ascoltarlo, capirà che un cuoco le
è inutile quanto un soldato.
16 Erano saggi, o almeno simili ai saggi, quegli uomini che
curavano il proprio corpo in modo sbrigativo. Procurarsi il necessario non
richiede un impegno particolare: per i piaceri, invece, ci si affanna. Non
c'è bisogno di artigiani: segui la natura. Essa non ha voluto che ci
occupassimo di troppe cose: ci ha fornito il necessario per affrontare le prove
alle quali ci costringeva. "Quando si è nudi, il freddo è
insopportabile." Ebbene? La pelle delle fiere e di altri animali non
può difenderci più che a sufficienza dal freddo? Tanti popoli non
si coprono il corpo con la corteccia degli alberi? Non si intrecciano piume di
uccelli per farne vestiti? Anche oggi la gran parte degli Sciti non indossa
pelli di volpi e di martore, morbide al tatto e impenetrabili ai venti? E gli
uomini non intrecciavano a mano un graticcio di vimini e lo spalmavano di fango
e poi coprivano il tetto di paglia e di rami e passavano tranquilli l'inverno
mentre le piogge scivolavano sugli spioventi del tetto? 17 "Però,
bisogna respingere la calura estiva creando più ombra." Ebbene? Con
gli anni non si sono formati molti anfratti che, scavati dalla corrosione del
tempo o da qualsiasi altro fenomeno, divennero caverne? Non si rifugiano
sottoterra i popoli della Sirte e quelli che, per l'eccessivo ardore del sole,
non hanno nessuna copertura sufficientemente valida per respingere il caldo, se
non la stessa terra riarsa? 18 La natura, che ha dato a tutti gli altri animali
una vita facile, non è stata ingiusta al punto che solo l'uomo non
potesse vivere senza tante arti; non ci ha imposto niente di gravoso, niente da
ricercare con fatica per prolungare la vita. Fin dalla nascita abbiamo avuto
tutto a portata di mano: ci siamo, però, resi tutto difficile per
ripugnanza delle cose facili. Le case, i vestiti, i medicinali, il cibo e quanto
ora è diventato fonte di grandi difficoltà, erano a portata di
mano, gratuiti ed era possibile procurarseli con poca fatica; la misura di
tutto era determinata dalla necessità: noi abbiamo reso questa roba
preziosa, straordinaria e frutto di molte e importanti arti. La natura basta a
soddisfare i suoi bisogni. 19 Il lusso si è scostato dalla natura, si
incita da sé giorno per giorno, cresce attraverso le generazioni e alimenta i
vizi con l'intelligenza. Dapprima ha cominciato col desiderare le cose superflue,
poi quelle dannose, infine ha assoggettato l'anima al corpo, comandandole di
servire le sue voglie. Tutte queste arti che mettono in movimento o riempiono
di strepito le città fanno gli interessi del corpo: un tempo gli si dava
tutto come a uno schiavo, ora glielo si offre come a un padrone. Ecco, dunque,
qua le botteghe dei tessitori, là quelle dei fabbri, gli odori delle
cucine, le scuole dove si insegnano molli danze e canti languidi ed effeminati.
È scomparsa quella naturale misura che limitava i desideri alle
necessità; ormai è segno di grossolanità e di miseria
volere solo quanto basta.
20 È incredibile, Lucilio mio, con quanta facilità
la suggestione della parola distolga anche i grandi uomini dalla verità.
Ecco Posidonio, a mio avviso, uno degli uomini che hanno dato un grandissimo
apporto alla filosofia; egli vuole descrivere prima come si ritorcano alcuni
fili, come altri siano tratti da una massa morbida e lenta; poi come il telaio
tenga dritto l'ordito per mezzo di pesi attaccati, come con la spatola si
raccolgano e uniscano i fili inseriti per ammorbidire la durezza della trama
che preme sui due lati; afferma poi che anche la tessitura è stata
inventata dai saggi, dimenticando che, in sèguito, si è trovato
questo sistema più ingegnoso in cui
la tela è legata al subbio, il pettine separa i fili
dell'ordito, con la spola appuntita si inserisce fra mezzo la trama, e i denti
intagliati nel largo pettine la battono.
Che avrebbe pensato se avesse potuto vedere i tessuti di oggi con
cui si confezionano vestiti completamente trasparenti, che non servono né al
corpo, né al pudore? 21 Posidonio passa quindi ai contadini: con la stessa
eloquenza descrive come venga arato più volte il terreno perché le
radici penetrino più facilmente nella terra morbida, poi descrive la
semina e l'estirpazione a mano delle erbacce perché non spunti qualcosa a caso
o qualche pianta selvatica che faccia morire il raccolto. Pure quest'opera la
attribuisce ai saggi, come se i contadini non trovassero anche oggi moltissimi
sistemi nuovi per accrescere la produttività. 22 Poi, non ancora
contento di queste arti, egli infila il saggio anche nei mulini e racconta come
incominciò a fare il pane imitando la natura. "I denti con la loro
durezza," afferma, "spezzano i cereali che mettiamo in bocca e quanto
sfugge, la lingua lo riporta di nuovo ai denti; poi il tutto viene mescolato
con la saliva perché scivoli più facilmente per la gola; quando arriva
allo stomaco, è digerito dal suo calore uniforme; infine, viene
assorbito dal corpo. 23 Qualcuno, seguendo questo esempio, pose due pietre
ruvide l'una sull'altra a somiglianza dei denti, di cui una parte sta ferma e
l'altra si muove; poi con l'attrito delle due pietre spezzò i chicchi, e
ripeté più volte l'operazione fino a ridurli triturati in farina; poi
bagnò la farina, la impastò lavorandola a lungo e fece il pane,
che all'inizio fu cotto al calore della cenere e in un vaso di argilla rovente,
quindi nei forni inventati col tempo e con altri sistemi a calore
regolabile." Per poco non disse che anche il mestiere di calzolaio l'hanno
inventato i saggi.
24 La ragione, non la retta ragione, ha escogitato tutte queste
attività. Sono scoperte dell'uomo, non del saggio, come, appunto, le
navi con cui attraversiamo fiumi e mari, dopo aver sistemato le vele per
sfruttare la forza del vento e collocato a poppa il timone per indirizzare la
nave su rotte diverse. L'esempio è stato preso dai pesci che regolano i
loro movimenti con la coda e si dirigono rapidamente con un guizzo da una parte
o dall'altra. 25 "Tutte queste scoperte," egli afferma, "le fece
proprio il saggio, ma poiché erano troppo poco importanti per occuparsene lui
stesso, le ha passate a più umili esecutori." E invece, queste arti
sono state escogitate proprio da quegli stessi che, ancor oggi, le praticano.
Certe invenzioni, lo sappiamo, sono recenti: l'uso dei vetri, che con il loro
materiale trasparente lasciano filtrare la luce nella sua luminosità; le
volte dei bagni e i tubi attaccati ai muri che emanano un calore omogeneo per
tutta la stanza sopra e sotto. E che dire dei marmi di cui risplendono i
templi, le case? E le enormi colonne di pietra levigata che sostengono
porticati ed edifici atti a contenere una gran quantità di gente, e
della tachigrafia, grazie alla quale si possono trascrivere anche discorsi
rapidi e seguire con la mano la velocità della lingua? Queste sono
invenzioni degli schiavi più umili: 26 la saggezza sta più in
alto, insegna agli animi, non alla mano. Vuoi sapere che cosa ha scoperto, che
cosa ha prodotto? Non i movimenti aggraziati del corpo, o la diversa melodia
della tromba o del flauto, che ricevono il fiato e durante il passaggio o
all'uscita dallo strumento lo trasformano in suono. Non fabbrica armi,
fortificazioni o arnesi da guerra: favorisce la pace, e il genere umano lo
invita alla concordia. 27 Non è - ripeto - l'artefice di strumenti per
le necessità pratiche. Perché le assegni attività così
meschine? Tu hai davanti l'artefice della vita. Ella ha il dominio sulle altre
arti: è signora della vita e signora di ciò che è
ornamento della vita: ma tende a uno stato di felicità, a quella
mèta ci conduce e ci spiana il cammino. 28 Ci mostra i mali veri e
quelli apparenti; libera la mente da ogni vanità, dà la grandezza
autentica e reprime quella tronfia, fatta di vuote apparenze, vuole che
sappiamo la differenza tra grandezza e superbia; ci fa conoscere se stessa e la
totalità della natura. Ci rivela l'essenza e le qualità degli
dèi, che cosa siano gli inferi, i lari, i genii, le anime che sopravvivono
sotto forma di divinità secondarie, la loro sede, la loro
attività, il loro potere e volontà. Questa è l'iniziazione
attraverso la quale essa ci schiude non il sacrario di una città, ma il
vasto tempio di tutti gli dèi, l'universo stesso, di cui ha offerto
all'esame dell'intelligenza l'immagine vera, il vero aspetto: l'occhio umano
è debole per spettacoli così grandi. 29 È ritornata, poi,
ai principî delle cose, alla ragione eterna immanente nell'universo e alla
forza di tutti i semi che dà ai singoli esseri una propria forma. Ha
cominciato a indagare sull'anima, sulla sua origine, la sua sede, la sua
durata, e sulle parti in cui è divisa. È poi passata dal corporeo
all'incorporeo e ha esaminato la verità e le prove della verità;
ha, quindi, mostrato come si possono distinguere le ambiguità nella vita
e nelle parole, perché in entrambe vero e falso sono confusi insieme.
30 Secondo me il saggio non è che si sia allontanato da
queste occupazioni, come sostiene Posidonio; non vi si è mai applicato.
Per il saggio non sarebbe stata meritevole di invenzione una cosa che non
giudicasse meritevole di un uso perpetuo; non avrebbe intrapreso un'opera che
poi doveva lasciare. 31 "Anacarsi," afferma, "inventò il
tornio, che ruotando permette di foggiare i vasi." E, poiché in Omero si
parla del tornio, si è preferito ritenere falsi i suoi versi invece
della notizia di Posidonio. Io non contesto il fatto che Anacarsi fu
l'inventore del tornio; in questo caso fu certo un saggio a fare questa
scoperta, ma non come tale: i saggi compiono molte azioni in quanto uomini, non
in quanto saggi. Supponi che un saggio sia velocissimo nella corsa:
supererà tutti perché è veloce, e non perché è saggio.
Vorrei mostrare a Posidonio un vetraio, che soffiando foggia il vetro in
molteplici forme: una mano precisa stenterebbe a modellarlo. Queste scoperte
furono fatte quando si smise di trovare i saggi. 32 "Affermano che
Democrito inventò l'arco" dice Posidonio, "in cui la pietra
centrale tiene ferme le altre che gradualmente si inclinano." Ma è
falso! Già prima di Democrito c'erano necessariamente ponti e porte che
sono in genere curvi alla sommità. 33 Vi sfugge, inoltre, che sempre
Democrito inventò il modo di lavorare l'avorio, di tramutare in smeraldo
una pietruzza, sottoponendola a un forte calore, sistema con cui, anche oggi,
si colorano le pietre adatte a questo scopo. Saranno pure scoperte di un
saggio, ma non in quanto tale: egli, difatti, fa molte cose che vediamo fare o
nello stesso modo o con più abilità e più pratica da gente
del tutto ignorante.
34 Vuoi conoscere le ricerche e le scoperte del saggio? Per prima
cosa, ha studiato la verità e la natura, che non ha indagato con occhi
tardi a comprendere la realtà divina, come gli altri esseri animati;
poi, la legge dell'esistenza, che ha regolato secondo l'ordine universale e ha
insegnato non solo a conoscere, ma anche a obbedire agli dèi e ad
accogliere gli eventi della vita come comandi. Ha impedito che si seguissero
false credenze e ha attribuito a ogni oggetto il suo valore facendone una stima
precisa; ha condannato i piaceri, cui si mescola il pentimento, lodato i beni,
fonte di perpetua soddisfazione, e ha dimostrato che l'uomo più felice
è quello che non ha bisogno della felicità e il più
potente quello che ha il dominio di se stesso. 35 Non mi riferisco a quella
filosofia che ha posto i cittadini fuori dallo stato, gli dèi fuori dal
mondo, che ha messo la virtù in balia del piacere, ma a quella che
giudica l'onestà il solo bene, che non si lascia sedurre dai doni degli
uomini o della fortuna e il cui valore è di essere incorruttibile.
Non credo che questa filosofia esistesse in quell'età rozza
quando non c'erano ancòra i mestieri e l'esperienza stessa insegnava
ciò che era utile. 36 Credo, invece, che venne dopo quei tempi fortunati,
quando i beni della natura erano in comune e tutti potevano farne uso insieme,
prima che l'avidità e il lusso dividessero gli uomini e insegnassero a
passare dalla comunanza al ladrocinio. Non erano saggi, quelli, anche se
facevano quello che devono fare i saggi. 37 Nessuno potrebbe guardare con
più ammirazione un'altra condizione umana e se anche dio permettesse a
qualcuno di dare ordine alla terra e costumi ai popoli, non potrebbe giudicare
opportuna altra condizione che quella esistente al tempo in cui
nessun colono lavorava i campi; e non si poteva nemmeno
contrassegnare o dividere il terreno con linee di confine: il raccolto era
comune ed era la terra ad offrire i suoi beni spontaneamente, senza che nessuno
li ricercasse.
38 Ci può essere generazione di uomini più felice di
quella? Insieme godevano i prodotti della natura che, come una madre, bastava
al sostentamento di tutti, e, senza pericolo, possedevano le ricchezze in
comune. Perché non dovrei definire ricchissimi quegli uomini tra cui non
avresti potuto trovare un solo povero? L'avidità fece breccia in quelle
eccellenti condizioni di vita e mentre desiderava sottrarre dei beni e farli
suoi, fu privata di tutto e da una ricchezza smisurata si ridusse in
ristrettezze. L'avidità portò la miseria: desiderando troppo,
perse ogni cosa. 39 Si sforzi pure, adesso, di recuperare ciò che ha
perduto, aggiunga campi su campi, scacciando il vicino col denaro o con la
violenza, estenda le campagne a intere province e la parola possesso significhi
un lungo viaggio attraverso le proprie terre: nessun ampliamento di confini ci
riporterà al punto di partenza. Facciamo tutto il possibile: avremo
molto; ma prima avevamo tutto. 40 Anche la terra, senza lavorarla, era
più fertile e generosa verso le necessità degli uomini che non si
contendevano i suoi frutti. Era un piacere sia trovare i prodotti della terra,
sia mostrarli agli altri; nessuno poteva avere troppo o troppo poco: si
divideva in pieno accordo. Il più forte non aveva ancòra messo le
mani sul più debole, l'avaro non aveva ancòra tolto anche lo
stretto necessario al prossimo, nascondendo il capitale inutilizzato: ognuno
aveva la stessa cura di sé e degli altri. 41 Non si combatteva e le mani, senza
spargere sangue umano, riversavano tutta la loro aggressività sulle
fiere. Quegli uomini che si riparavano dal sole nel fitto di un bosco, che per
sfuggire l'inclemenza dell'inverno e della pioggia vivevano al sicuro in un
umile rifugio sotto le fronde, passavano notti tranquille senz'ansia. Ora in preda
all'angoscia noi ci rivoltiamo nei nostri letti lussuosi e ci pungolano aspri
tormenti; su quella terra dura, invece, che placidi sonni per loro! 42 Non li
sovrastavano soffitti intagliati, ma giacevano all'aperto mentre sul loro capo
scorrevano le stelle e, straordinario spettacolo delle notti, l'universo si
muoveva rapido, compiendo in silenzio una così grande opera. Sia di
giorno che di notte si apriva loro la vista di questa splendida dimora; era un
piacere contemplare il declino delle stelle in mezzo al cielo e il sorgere di
altre da un buio segreto. 43 Non era piacevole vagare fra tante meraviglie
sparse per ogni dove? Voi, invece, tremate di paura a ogni rumore della casa e
fra i vostri affreschi fuggite spaventati al minimo suono. Non possedevano case
grandi come città: l'aria e il suo libero soffio per gli spazi aperti,
l'ombra leggera di una rupe o di un albero, fonti e ruscelli trasparenti che
l'uomo non aveva ancora deturpato con dighe, tubi, o deviandone il corso, ma
che scorrevano naturalmente, e prati belli senza artificio, e in mezzo a un
tale scenario una rustica dimora abbellita da mani semplici - era questa la
casa secondo natura, in cui era bello vivere, senza aver paura di essa o per
essa: ora la casa costituisce gran parte delle nostre paure.
44 Certo, condussero una vita perfetta e pura, ma non furono
saggi: questo è un nome che ormai indica l'attività più
nobile. Non nego, tuttavia, che avessero un animo elevato e fossero, per
così dire, usciti proprio allora dalle mani degli dèi; sicuramente
il mondo, non ancora esausto, produceva esseri migliori. Ma se avevano un
carattere più forte e più disposto alle fatiche, non tutti,
però erano dotati di una intelligenza perfetta. La virtù non
è un dono naturale: diventare virtuosi è un'arte. 45 Quelli non
cercavano oro, argento e pietre preziose nelle viscere della terra e
risparmiavano anche gli animali: non si concepiva nemmeno che un uomo uccidesse
un proprio simile, non per ira, né per timore, ma solo per il gusto di vederlo
morire. Non avevano ancòra vestiti variopinti, non tessevano l'oro, anzi
nemmeno l'estraevano. 46 E allora? Erano innocenti per ignoranza: ma c'è
molta differenza fra chi non vuole e chi non sa agire male. Non avevano
giustizia, prudenza, temperanza, fortezza. Somigliava un po' a queste
virtù quella vita primitiva: ma solo l'animo profondamente istruito ed
elevato al più alto grado di perfezione da un costante esercizio
raggiunge la virtù. Per essa nasciamo, ma senza di essa, e anche negli
uomini migliori, prima che vengano istruiti, c'è materia di
virtù, non virtù. Stammi bene.
91
1 Ora il nostro Liberale è triste: ha saputo dell'incendio
che ha distrutto la colonia di Lione; è una disgrazia che commuoverebbe
chiunque, a maggior ragione un uomo molto amante della sua patria. In questa
circostanza ha fatto invano appello alla sua fermezza d'animo: evidentemente
l'aveva esercitata per le disgrazie che riteneva possibili. In realtà
non mi stupisco che non avesse temuto una calamità così
imprevedibile e quasi inaudita, poiché non aveva precedenti: incendi hanno
devastato molte città, ma non ne hanno mai cancellata nessuna. Anche
quando il fuoco alle case lo appiccano i nemici, molti focolai si spengono e,
sebbene venga ripetutamente attizzato, è raro che divori tutto e non
lasci niente alle armi. Anche il terremoto fu di rado così grave e
disastroso da annientare città intere. E poi non divampò mai in
nessun luogo un incendio tanto rovinoso che non rimanesse niente per un altro
incendio. 2 È bastata una sola notte ad abbattere tante stupende
costruzioni, ognuna delle quali avrebbe potuto dare lustro a una città,
e in un periodo di pace così completa è accaduto quanto non si
potrebbe temere neanche in guerra. Chi lo crederebbe? Mentre ovunque tacciono
le armi e c'è tranquillità nel mondo intero, si cerca invano
Lione, vanto della Gallia. La fortuna ha sempre concesso a tutte le vittime di
una calamità di prevedere i mali che avrebbero subìto; tutto
quello che è grande non precipita improvvisamente: in questo caso è
intercorsa una sola notte fra l'esistenza di una città grandissima e la
sua sparizione. Insomma, è scomparsa più rapidamente di quanto te
lo racconto.
3 Tutti questi avvenimenti abbattono l'animo del nostro Liberale,
che pure si è dimostrato saldo e coraggioso di fronte alle sue sventure;
e a ragione ne è rimasto sconvolto: gli imprevisti gravano maggiormente;
l'inatteso rende più pesanti le disgrazie e per tutti gli uomini il
dolore è più acuto se sono colti di sorpresa. 4 Non ci deve
essere, perciò per noi niente di imprevisto: è bene considerare
ogni eventualità e pensare non a quello che generalmente accade, ma a
quello che può accadere. C'è qualcosa che la sorte non possa
togliere - basta che lo voglia - quando si è all'apice della prosperità?
Che non assalga e abbatta con tanta maggiore violenza quanto più
è vistoso e splendente? Non c'è niente di arduo, niente di
difficile per lei. 5 Il modo in cui ci assale non è uno solo e nemmeno
sempre lo stesso. Ora ci volge contro le nostre stesse mani, ora, paga delle
sue forze, ci crea da sola pericoli senza interventi esterni. Nessuna
circostanza fa eccezione: anche in mezzo ai piaceri nascono motivi di dolore.
La guerra scoppia mentre regna la pace e quanto ci dava sicurezza si trasforma
in paura; l'amico ora è un avversario, l'alleato un nemico. Dalla
tranquillità estiva si passa a tempeste improvvise e più violente
di quelle invernali. I mali che subiamo non ci vengono da nemici e i motivi di
sventura, se ne mancano altri, l'eccessiva prosperità li trova da sé. La
malattia colpisce gli uomini più temperanti, la tisi i più
robusti, la punizione i più innocenti, le rivolte quelli che più
vivono in disparte; il destino sceglie qualche nuovo sistema per imporre le
proprie forze se ce ne fossimo dimenticati. 6 Basta un solo giorno a disperdere
e distruggere quello che è stato costruito a prezzo di dure fatiche col
favore degli dèi in una lunga serie di anni. Dire un giorno è
dare una scadenza troppo lunga ai mali che ci incalzano: basta un'ora, anzi, un
istante per distruggere un impero. Sarebbe una consolazione per la nostra
debolezza e per i nostri beni se tutto andasse in rovina con la stessa lentezza
con cui si produce e, invece, l'incremento è graduale, la rovina
precipitosa. 7 Non c'è stabilità individuale, e nemmeno
collettiva; il destino ha un suo corso sia per gli uomini, che per le
città. Il terrore nasce nella calma più assoluta e i mali
erompono là da dove erano del tutto inaspettati, senza cause apparenti.
I regni che avevano resistito alle lotte civili e alle guerre crollano senza
nessuna spinta: ben poche città hanno mantenuto una prospera condizione!
Bisogna, quindi, considerare ogni eventualità e rafforzare l'animo
contro i possibili mali. 8 Pensa all'esilio, alle sofferenze, alle guerre, ai
naufragi. Un caso potrebbe strappare te alla patria o la patria a te, potrebbe
cacciarti in un deserto, un deserto potrebbe diventare perfino questo luogo
dove la folla boccheggia. Mettiamoci sotto gli occhi ogni aspetto del destino
umano: non figuriamoci quanto accade spesso, ma quanto può con
grandissima probabilità accadere, se non vogliamo farci schiacciare e
rimanere attoniti di fronte a eventi insoliti come se fossero straordinari; la
fortuna va considerata nella sua totalità. 9 Quante volte città
dell'Asia, città della Grecia sono crollate per una sola scossa
tellurica! Quante città in Siria, quante in Macedonia sono state
ingoiate dalla terra? Quante volte Cipro è stata devastata da questa
calamità! Quante volte Pafo è precipitata su se stessa! Abbiamo
spesso avuto notizia della rovina di tante città e noi, a cui vengono di
frequente annunziate queste disgrazie, che minima parte siamo
dell'umanità! Leviamoci, dunque, contro i casi fortuiti, consapevoli che
la gravità dell'accaduto è inferiore a quanto si va dicendo. 10
È bruciata una città ricca, fregio delle province di cui faceva
parte in posizione di spicco e tuttavia costruita su un solo colle e per giunta
non molto grande: il tempo cancellerà anche le tracce di tutte queste
città di cui ora senti celebrare la magnificenza e la fama. Ma non lo
vedi che in Grecia sono ormai corrose le fondamenta di città celebri e
non rimane niente che indichi almeno la loro passata esistenza? 11 Non decade
solo quello che costruiamo con le nostre mani, il tempo non distrugge soltanto
i frutti dell'arte e dell'operosità umana: le vette dei monti si
disfano, intere regioni sprofondano, vengono sommersi dalle onde luoghi che
erano lontani persino dalla vista del mare; il fuoco, con la sua enorme
violenza, ha eroso i colli sui quali risplendeva, e abbassato cime prima
altissime, sollievo dei naviganti e punti di vedetta. Anche le opere della
natura vengono devastate e perciò dobbiamo sopportare serenamente la
rovina delle città. 12 Si ergono destinate a cadere: questa è la
fine che le aspetta tutte, sia che la forza interna dei venti e il loro soffio
impetuoso attraverso luoghi chiusi faccia precipitare i muri che li serrano,
sia che la furia dei torrenti, più terribile nel sottosuolo, infranga
ogni resistenza, sia che la violenza delle fiamme crepi la massa compatta del
terreno, sia che la vecchiaia, cui niente scampa, le faccia capitolare a poco a
poco, sia che il clima insalubre scacci le popolazioni e la muffa guasti quei
luoghi ormai deserti. Tutte le vie del destino sarebbe lungo elencarle. Io so solo
questo: ogni opera dei mortali è condannata a morte sicura, viviamo fra
cose destinate a finire.
13 Perciò al nostro Liberale che arde di un amore
straordinario per la sua patria - e forse è stata distrutta per
risorgere migliore - rivolgo queste e altre simili parole di conforto. Spesso
una disgrazia apre la strada a un destino più felice: molte opere sono
risorte più splendide dalla loro rovina. Timagene, ostile alla fortuna
di Roma, diceva che gli incendi di quella città lo facevano soffrire
solo perché sapeva che sarebbero sorti edifici migliori di quelli bruciati. 14
È probabile che anche in questa città tutti faranno a gara per
ricostruire edifici più imponenti e grandiosi di prima. Voglia il cielo
che viva nel tempo e sia edificata con auspici più fausti e durevoli!
Dalla fondazione di questa colonia sono passati cento anni, che non sono il
limite massimo neppure per un uomo. Fondata da Planco, ebbe questo aumento
demografico per la sua posizione favorevole: ma quante terribili disgrazie ha
subìto nello spazio di una vita umana! 15 Sappia, dunque, il nostro
animo comprendere e sopportare il proprio destino, sappia che la fortuna
può osare tutto e ha gli stessi diritti sull'autorità e su chi la
detiene e lo stesso potere sulla città e sui cittadini. Non indignamoci
per questi fatti: sono le leggi che regolano la vita dell'universo di cui
facciamo parte. Ti va bene: accettale. Non ti va bene: vattene per la via che
preferisci. Potresti sdegnarti se l'ingiustizia fosse deliberata esclusivamente
contro di te; ma se questa è una necessità che vincola tutti, dal
più piccolo al più grande, riconcìliati col destino, che
tutto viola. 16 Non giudicare gli uomini dalla diversità dei monumenti
funebri e delle tombe che adornano le strade: la cenere rende tutti uguali.
Nasciamo diversi, moriamo uguali. Quanto dico per le città, vale anche
per chi le abita: fu conquistata Ardea, fu conquistata Roma. L'autore delle
leggi umane ci ha distinto per nascita o per fama solo nell'arco della nostra
vita: ma quando giunge la fine per gli uomini, dice: "Vattene, ambizione:
la legge sia identica per tutti gli esseri che calcano questa terra."
Siamo uguali di fronte alla sofferenza; nessuno è più debole
dell'altro, nessuno è più certo del domani.
17 Alessandro, re dei Macedoni, aveva incominciato a studiare la
geometria per sapere, infelice, quanto fosse piccola la terra di cui aveva
occupato una minima parte. Infelice - dico - perché avrebbe dovuto capire che
il suo soprannome era sbagliato: chi può essere grande in pochissimo spazio?
Gli argomenti che gli venivano insegnati erano sottili e bisognava studiarli
con grande attenzione: non era in grado di capirli un pazzo, che indirizzava i
suoi pensieri al di là dell'oceano. "Insegnami nozioni
facili," disse. "Sono le stesse per tutti, ugualmente
difficili," gli rispose il precettore. 18 Supponi che la natura ti dica:
"I mali di cui ti lamenti sono uguali per tutti; non posso darne a nessuno
di più sopportabili, ma chi vorrà se li renderà
tali." Come? Con l'imperturbabilità. E dovrai soffrire e patire la
sete, la fame e invecchiare (se ti toccherà di stare più a lungo
tra gli uomini), e dovrai ammalarti e subire delle perdite e morire. 19 Non
c'è ragione, però di credere a quelli che gridano intorno a te i
loro lamenti: nessuna di queste cose è un male, nessuna è
insopportabile o penosa. La paura nasce perché tutti la pensano così. Tu
temi la morte come le dicerie: ma non è del tutto insensato un uomo che
teme le parole? Acutamente il nostro Demetrio afferma spesso di considerare i
discorsi degli ignoranti alla stessa stregua dei rumori del ventre. "Che
importa," afferma, "se risuonano su o giù?" 20 Che follia
temere di essere screditati da gente screditata. E come è immotivata la
tua paura per l'opinione pubblica, così lo sono i timori che hai perché
la gente te li ha imposti. Verrebbe danneggiato un uomo onesto se venisse
coperto di calunnie? 21 E quindi non dobbiamo giudicare male nemmeno la morte,
e la morte ha una cattiva fama. Nessuno di quelli che l'accusano l'ha
sperimentata: è da sconsiderati condannare quello che non si conosce.
Però sai a quanti è utile, quanti libera dalle sofferenze, dalla
povertà, dai lamenti, dalle pene, dalla noia. Nessuno ha potere su di
noi, quando noi abbiamo la morte in nostro potere. Stammi bene.
92
1 Io e te siamo d'accordo, penso: i beni materiali ce li
procuriamo per il corpo, il corpo lo curiamo per onorare l'anima, nell'anima ci
sono parti subalterne dateci per l'elemento principale, per mezzo delle quali
ci muoviamo e ci nutriamo. In questo elemento principale c'è una parte
irrazionale, e ce n'è anche una razionale; la prima è soggetta
alla seconda, e questa è la sola a non essere subordinata a niente
altro, ma a subordinare tutto a sé. Anche la ragione divina è preposta a
tutto, non dipende da nessuno; così è la nostra ragione che da
lei nasce.
2 Se siamo d'accordo su questo punto, lo saremo di conseguenza
anche sul fatto che la felicità consiste soltanto nell'avere la perfetta
ragione. Essa sola non si scoraggia e sta salda contro la fortuna; in qualsiasi
condizione conserva la padronanza di sé. Ed è il solo bene che non viene
mai spezzato. È felice, secondo me, l'uomo che non può essere
sminuito da nulla; è giunto alla sommità e non si appoggia che a
se stesso: infatti, chi si sostiene con l'aiuto di qualcuno, può cadere.
In caso contrario, cominceranno a prevalere in noi elementi estranei. Ma chi
vuole dipendere dalla fortuna o qual è il saggio che ammira se stesso
per beni non suoi? 3 Che cos'è la felicità? Uno stato duraturo di
sicurezza e di serenità, e ce lo daranno la grandezza d'animo e la
continuità nel giudicare sempre rettamente. Come ci si arriva?
Esaminando la verità nella sua interezza, conservando nelle proprie
azioni l'ordine, la misura, la dignità, una volontà che non fa il
male, ma il bene, che non perde di vista la ragione e non se ne allontana mai,
degna di essere amata e insieme ammirata. Infine, per dirla in breve, l'animo
del saggio deve essere degno di dio. 4 Che cosa può desiderare d'altro
chi ha raggiunto ogni virtù? Infatti, se i vizi possono contribuire al
raggiungimento del bene supremo, la felicità consisterà in essi,
poiché senza di essi non esiste. E che cosa c'è di più vergognoso
e sciocco che legare all'irrazionale il bene di un animo razionale?
5 Certi filosofi, tuttavia, ritengono che il sommo bene si
accresca, poiché non è perfetto se la sorte è contraria. Anche
Antipatro, uno dei grandi rappresentanti della nostra scuola filosofica,
attribuisce una certa importanza, sia pure molto scarsa, ai fattori esterni.
Pensa che assurdità sarebbe non accontentarsi della luce del giorno e
voler accendere una fiammella: che valore può avere una scintilla quando
splende il sole? 6 Se non sei contento della sola virtù, è
inevitabile che tu voglia aggiungerci o la serenità dello spirito, che i
Greci chiamano $Pï÷ëçóßá$, o il piacere. L'una la si può accettare
comunque, poiché l'animo libero dagli affanni si dedica all'osservazione
dell'universo e niente lo distoglie dalla contemplazione della natura. L'altro,
il piacere, è il bene delle bestie; aggiungiamo, dunque, l'irrazionale
al razionale, l'immorale al morale, ‹il piccolo› al grande: l'eccitazione dei
sensi rende la vita ‹felice›? 7 Perché allora esitate a dire che l'uomo sta
bene, se sta bene il palato? E tu, quest'individuo per cui il sommo bene
consiste nei sapori, nei colori, nei suoni, lo annoveri non dico fra gli uomini
di valore, ma fra gli uomini comuni? Esca da questa bellissima categoria di
esseri, seconda unicamente agli dèi; da animale, contento solo di mangiare,
si aggreghi alle bestie.
nella parte superiore fino al pube ha aspetto umano, di fanciulla
dal bel petto; in basso è un mostro marino dal corpo smisurato con code
di delfini unite a ventre di lupi.
A questa Scilla sono congiunti animali selvaggi, orribili, veloci:
ma costoro, con che razza di mostri l'hanno messa insieme la saggezza?
11 "Ma come?" si obietta, "se la salute, la
serenità e l'assenza di dolore non ostacolano la virtù, non
cercherai di ottenerle?" E perché no? Non, però; perché sono beni,
ma perché sono secondo natura e perché le sceglierò con criterio. Che
cosa avranno, allora, di positivo? Solo questo: una scelta opportuna. Quando
indosso un vestito adatto, quando cammino come si conviene, quando sto a tavola
come si deve, non il pranzo o il camminare o il vestito sono beni, ma la mia intenzione
di mantenere in ogni circostanza un comportamento in sintonia con la ragione.
12 Dirò di più: l'uomo deve scegliere una veste pulita, poiché
per natura l'uomo è un essere pulito ed elegante. Perciò non
è un bene di per sé una veste pulita, ma la scelta di una veste pulita,
poiché il bene non consiste nella cosa in sé, ma nel tipo di scelta; oneste
sono le nostre azioni, non l'oggetto delle nostre azioni. 13 Quanto ho detto
del vestito, fa' conto che lo dica del corpo. Anche questo la natura lo ha messo
intorno all'animo come una veste: è il suo manto. Chi ha mai valutato i
vestiti in base all'armadio? Il fodero non rende una spada né buona, né
cattiva. Quindi, ti rispondo lo stesso anche per il corpo: sceglierò se
sarà possibile, la salute e le forze, ma il bene consisterà nel
mio giudizio su di esse, non in questi elementi in se stessi.
14 "Certo," dicono, "il saggio è felice;
tuttavia, raggiunge il sommo bene solo se ha a disposizione anche i mezzi
naturali. Così non può essere infelice chi possiede la
virtù, ma non è veramente felice chi ha perso i beni naturali,
come la salute o l'integrità fisica." 15 Quello che sembra
più incredibile, tu lo ammetti, cioè che un uomo non sia infelice
in mezzo a dolori gravissimi e continui, anzi che sia addirittura felice;
neghi, invece, la cosa più semplice: che sia veramente felice. Eppure,
se la virtù può fare in modo che uno non sia infelice, più
facilmente lo renderà molto felice; tra un uomo felice e uno molto
felice c'è una distanza inferiore che tra uno infelice e uno felice.
Oppure, una cosa che riesce a strappare un uomo alle disgrazie e renderlo
felice, non può aggiungere quel che resta e renderlo molto felice? Le
mancheranno le forze proprio all'ultimo? 16 Nella vita ci sono beni e mali,
entrambi fuori di noi. Se l'uomo virtuoso non è infelice, per quanto
oppresso da ogni male, come può non essere molto felice anche se gli
manca qualche bene? Come non è abbattuto dal peso dei mali fino a essere
infelice, così non è strappato dalla condizione di uomo estremamente
felice per la mancanza di beni, ma è molto felice senza beni quanto non
è infelice sotto il peso dei mali; altrimenti, il suo bene, se lo si
può diminuire, potrà anche essergli tolto. 17 Poco fa dicevo che
una fiammella non aggiunge niente alla luce del sole, poiché lo splendore di
questo astro nasconde qualunque cosa brilli indipendentemente da lui. "Ma
ci sono corpi che fanno da ostacolo anche al sole," dicono. Il sole,
però conserva la sua integrità anche in presenza di ostacoli, e,
se pure c'è di mezzo qualcosa che ci impedisce di vederlo, è in
attività e continua il suo corso; ogni volta che risplende fra le nubi
non è più debole e neppure più lento di quando c'è
il sereno, poiché è una cosa molto diversa se c'è solo un
ostacolo o un vero e proprio impedimento. 18 Così quanto si oppone alla
virtù non le sottrae nulla: essa non è più debole, ma
riluce meno. Forse non ci è visibile e non brilla allo stesso modo, ma
si mantiene identica a se stessa e, senza apparire, esercita la sua forza, come
il sole quando è coperto. Così le sventure, le privazioni e le
offese hanno sulla virtù lo stesso potere che una nube ha sul sole.
21 "Noi conosciamo il freddo e il caldo," ribattono,
"in mezzo c'è il tiepido; così c'è il felice,
l'infelice, e chi non è né felice, né infelice." Voglio esaminare
questo paragone che ci viene opposto. Se aggiungerò una sostanza
più fredda a una tiepida, questa diventerà fredda, se ne
aggiungerò una più calda, alla fine diventerà calda. Ma
per quanto io aggravi le disgrazie di quest'uomo che non è felice, né
infelice, non sarà infelice, come dite; quindi, il paragone non è
appropriato. 22 Eccoti, poi, un uomo né infelice, né felice. Gli aggiungo la
cecità: non diventa infelice; la debolezza: non diventa infelice; dolori
continui e violenti: non diventa infelice. Se tanti mali non lo portano
all'infelicità, non possono nemmeno strapparlo alla felicità. 23
Se il saggio, come voi dite, non può ridursi da felice a infelice, non
può neppure ridursi all'assenza di felicità. Perché uno che ha
incominciato a scivolare dovrebbe a un certo punto fermarsi? Ciò che non
lo lascia precipitare fino in fondo lo trattiene in cima. E perché la felicità
dovrebbe poter essere distrutta? Non può neppure essere diminuita e per
questo la virtù da sola basta a raggiungerla.
24 "Ma come?" continuano, "il saggio che è
vissuto più a lungo senza essere distratto da nessun dolore non è
più felice di quello che ha lottato sempre con la cattiva sorte?"
Rispondimi: è forse migliore e più onesto? Se non è
così, non è neppure più felice. Per vivere più
felicemente deve condurre una vita più retta: se non può vivere
più rettamente, non potrà nemmeno essere più felice. La
virtù non si accresce e, perciò, neppure la felicità che
da essa nasce. La virtù è un bene così grande che non
avverte questi insignificanti complementi, la brevità del tempo, il
dolore e le varie malattie, poiché il piacere non è degno di essere
preso in considerazione. 25 Qual è la prerogativa della virtù?
Non aver bisogno del futuro e non fare il conto dei propri giorni. In un
momento conduce a pienezza i beni eterni. Questo ci sembra incredibile e
superiore alla natura umana: noi misuriamo la sua grandezza in base alla nostra
debolezza e diamo ai nostri vizi il nome di virtù. E dunque? Non sembra
ugualmente incredibile che un uomo fra i più atroci tormenti, dica:
"Sono felice"? Eppure queste parole si sono sentite proprio nella
scuola del piacere. "Vivo questo mio ultimo giorno, il più
felice," disse Epicuro, anche se era tormentato da difficoltà
urinarie e dal dolore di un'ulcera addominale inguaribile. 26 E perché questo
comportamento dovrebbe sembrare incredibile a chi pratica la virtù,
quando si ritrova anche in quegli uomini che obbediscono al piacere? Anche
questa gente degenere e d'animo vilissimo sostiene che in mezzo alle più
gravi sofferenze, alle più terribili disgrazie, il saggio non
sarà né infelice, né felice. Eppure anche questo è incredibile,
anzi più incredibile ancòra: non vedo come la virtù
cacciata dai suoi fastigi non precipiti in fondo. O deve assicurare all'uomo la
felicità, oppure, se è costretta a rinunziare, non gli
impedirà di diventare infelice. Finché è in lizza, non può
ritirarsi: deve vincere o essere vinta.
27 "Solo agli dèi immortali," dicono,
"è toccata la virtù e la felicità, a noi un pallido
riflesso di quei beni; ci avviciniamo a essi, senza raggiungerli." In
realtà la ragione è comune agli dèi e agli uomini; in
quelli è perfetta, in noi è suscettibile di perfezione. 28 Ma i
nostri vizi ci portano a disperare. Infatti, l'uomo che ha una capacità
di giudizio ancòra vacillante e incerta è inferiore, in quanto
poco fermo nel mantenere i suoi propositi di virtù. Desìderi pure
vista e udito integri, salute, bell'aspetto e una vita lunga senza decadenza
fisica. 29 Così si può condurre una vita soddisfacente, ma
c'è in quest'uomo imperfetto una certa quantità di malizia,
poiché ha un animo incline al male; tuttavia, la sua non è una malizia
profondamente radicata e che non ha tregua. Non è ancòra un uomo
virtuoso, ma cerca di rendersi tale; però, se a uno manca qualcosa per
essere virtuoso, è malvagio. 30 Ma
chi ha coraggio e animo risoluto in corpo
eguaglia gli dèi e tende a loro memore della sua origine.
Tutti giustamente si sforzano di risalire là da dove erano scesi. Perché
non dovresti credere che ci sia qualcosa di divino in chi è parte di
dio? Tutto quello che ci circonda è una sola cosa: dio; e noi ne siamo
alleati e membra. La nostra anima ha la capacità di raggiungerlo, se i
vizi non la trascinano in basso. Come il nostro corpo ha una posizione eretta e
guardiamo al cielo, così l'anima, che può protendersi quanto
vuole, desidera per sua formazione naturale le stesse cose degli dèi. E
se si avvale delle sue forze e procede nel suo àmbito, tende alla vetta
per la via che gli è propria. 31 È una grande fatica salire al
cielo: eppure vi fa ritorno. Trovata questa strada, avanza con coraggio,
disprezzando ogni cosa; non si volta a guardare il denaro, l'oro e l'argento,
del tutto degni delle tenebre in cui giacevano, non li vàluta dallo
splendore con cui colpiscono gli occhi degli ignoranti, ma dal fango di vecchia
data da cui la nostra avidità li ha separati ed estratti. L'anima sa, dico,
che le ricchezze stanno altrove, non dove vengono ammassate; sa che si deve
riempire lo spirito, non il forziere. 32 La si può mettere a capo di
tutto, darle il possesso della natura, in modo che l'oriente e l'occidente
siano i confini delle sue proprietà e sia padrona dell'universo come gli
dèi e disprezzi con le sue ricchezze i ricchi; nessuno di loro è
mai tanto lieto dei propri beni quanto triste per quelli altrui. 33 Giunta a
tale sublime altezza, non ama il corpo, ma se ne cura come di un peso necessario,
e non si sottomette a quello cui è stata assegnata. Se uno è
schiavo del corpo, non è libero; anche a trascurare gli altri padroni
che si trovano, se ci si cura troppo del corpo, il suo dominio è
capriccioso ed esigente. 34 Dal corpo l'anima del saggio ora esce serenamente,
ora balza fuori con audacia e non si chiede che fine faranno le sue spoglie; ma
come non ci curiamo della barba e dei capelli tagliati via, così
quell'anima divina quando sta per lasciare l'uomo ritiene che non la riguardi
dove andrà a finire quello che era il suo riparo, se lo divori il fuoco
o lo ricopra la terra o lo lacerino le fiere, come la placenta non riguarda un
bambino appena nato. Che importa a chi non c'è più se il suo
corpo viene abbandonato allo strazio dei rapaci ed
è gettato come preda ai pescecani
e divorato? 35 Ma anche quando è ancòra fra gli
uomini non teme nessuna minaccia di quegli spauracchi che spingono i nostri
timori al di là della morte. "Non mi atterrisce," dice,
"l'uncino, né l'orribile vista del cadavere straziato ed esposto
all'oltraggio. Non chiedo a nessuno di celebrare le mie esequie, a nessuno
affido i miei resti. La natura provvede a non lasciare insepolto nessuno; il
tempo ricoprirà i cadaveri abbandonati dalla crudeltà
umana." Dice bene Mecenate:
non mi curo della tomba: la natura seppellisce i resti insepolti.
Potresti pensare che a parlare sia stato un grand'uomo: avrebbe
avuto un'indole nobile e virile, se il successo non l'avesse infiacchita.
Stammi bene.
93
1 Nella lettera in cui lamentavi la morte del filosofo Metronatte,
come se avesse potuto e dovuto vivere più a lungo, ho sentito la
mancanza di quel senso di giustizia di cui sei ricco in ogni funzione, in ogni
attività, e che ti difetta in una sola cosa, come a tutti: ho trovato
molte persone giuste verso gli uomini, ma nessuna giusta verso gli dèi.
Ogni giorno rimproveriamo il destino: "Perché Tizio è stato rapito
nel pieno della vita? Perché non Caio? Perché prolunga una vecchiaia penosa a
sé e agli altri?" 2 Ma dimmi: ritieni più giusto che sia tu a
obbedire alla natura o la natura a te? Che importanza ha se esci presto o tardi
dalla vita? Bisogna in ogni caso uscirne. Non dobbiamo cercare di vivere a
lungo, ma di vivere abbastanza; vivere a lungo dipende dal destino, dalla
nostra anima vivere quanto basta. La vita è lunga se è piena, e
diventa tale quando l'anima ha riconsegnato a se stessa il suo bene e ha preso
il dominio di sé. 3 Che cosa servono a quel tizio ottant'anni trascorsi
nell'inerzia? Costui non è vissuto, ma si è attardato nella vita,
e non è morto tardi, ma lentamente. "È vissuto
ottant'anni." L'importante è da che giorno calcoli la sua morte. 4
"Invece quell'altro è scomparso nel fiore degli anni." Ha
adempiuto, però ai doveri di onesto cittadino, di fedele amico, di buon
figlio; mai è venuto meno ai propri obblighi; anche se è
incompleta la sua età, è completa la sua vita. "È
vissuto ottant'anni." Anzi è esistito per ottant'anni, a meno che
tu non dica che è vissuto, così come si dice che gli alberi vivono.
Ti scongiuro, Lucilio mio, facciamo in modo che la nostra vita, come tutte le
cose preziose, non conti per la sua estensione, ma per il suo peso; misuriamola
dalle azioni, non dal tempo. Vuoi sapere che differenza c'è fra un uomo
vigoroso e sprezzante della fortuna, che ha adempiuto a tutti i doveri della
vita umana ed è giunto al sommo bene, e un uomo che ha lasciato scorrere
gli anni? Il primo vive anche dopo la morte, il secondo si è spento
prima di morire. 5 Lodiamo, perciò e mettiamo nel numero degli uomini
felici chi ha ben impiegato il poco tempo avuto in sorte. Egli ha visto la vera
luce; non è stato uno dei tanti; è vissuto; è stato forte.
Talora ha goduto di giorni sereni; talora, come spesso avviene, lo splendore
del sole si è mostrato fra le nubi. Perché chiedi quanto è
vissuto? Vive ancora: è balzato tra i posteri e si è consegnato
al loro ricordo. 6 Non per questo rifiuterei degli anni in più; ma anche
se la vita mi viene troncata, dirò che non mi è mancato niente
per avere la felicità; non ho regolato la mia esistenza su quel giorno
che un'avida speranza mi aveva promesso come ultimo: ogni giorno l'ho guardato
come se fosse l'ultimo. Perché mi chiedi la data di nascita o se faccio
ancòra parte della lista dei giovani? Ho quello che mi spetta. 7 Un uomo
con un fisico più piccolo del normale può essere perfetto, e allo
stesso modo può essere perfetta una vita più breve del normale.
L'esistenza dipende da fattori esterni. Non dipende da me la lunghezza della
vita: da me dipende vivere veramente la vita che avrò. Pretendi questo
da me: che non conduca un'esistenza oscura in mezzo alle tenebre, ma che guidi
la mia vita senza lasciarmi vivere. 8 Chiedi qual è la vita più
lunga? Vivere fino alla saggezza; chi la raggiunge, non tocca la meta
più lontana, ma la più importante. Ne sia pure fiero; ringrazi
gli dèi e fra gli dèi anche se stesso e imputi alla natura
ciò che è stato. E lo farà a ragione: le ha restituito una
vita migliore di quella ricevuta. Egli ha dato un esempio di uomo virtuoso, ha
dimostrato le sue qualità e il suo valore; se fosse vissuto ancora,
tutto sarebbe rimasto uguale. 9 E dunque, fino a quando vogliamo vivere? Siamo
ormai arrivati a conoscere tutto: sappiamo su quali princìpî si fondi la
natura, che ordinamento dia al mondo, attraverso quali cicli faccia ritornare
l'anno, in che modo abbia segnato i confini di tutte le cose future e si sia
posta come limite a se stessa; sappiamo che le stelle si muovono per loro
impulso, che nessun corpo celeste è fermo, eccetto la terra e che gli
altri scorrono veloci ininterrottamente; sappiamo come la luna superi il sole e
perché, pur essendo più lenta, si lasci alle spalle quello che è
più veloce, come si illumini e si oscuri, per quale causa si avvicendino
il giorno e la notte: bisogna andare là dove questi fenomeni si
contemplano più da vicino. 10 "Non esco dalla vita con maggiore
forza d'animo," dice il saggio, "perché spero che mi sia aperta la
strada verso i miei dèi. Mi sono procurato il diritto di essere ammesso
tra di loro (e per altro ci sono già stato): il mio spirito è
giunto fino a loro e loro a me. Supponi che io scompaia e che dopo la morte
dell'uomo non rimanga nulla: io ho lo stesso un'anima grande anche se, uscito
dalla vita, non andrò a finire in nessun luogo." 11 "Non visse
tanto a lungo quanto avrebbe potuto." Anche un libro di poche righe
può essere apprezzabile e utile: hai presente la mole degli annali di
Tanusio e che fama li accompagni. La lunga vita di certa gente è simile
e segue la stessa sorte degli annali di Tanusio. 12 Secondo te il gladiatore
ucciso alla fine dello spettacolo è forse più felice di quello
che muore a metà giornata? Pensi che uno sia tanto stupidamente
attaccato alla vita da preferire che lo scannino nello spogliatoio piuttosto
che nell'arena? Se uno muore prima, non precede un altro di un intervallo
maggiore di questo. La morte arriva per tutti, l'assassino segue la vittima. Ci
tormentiamo tanto per una sciocchezza. Ma a che serve evitare a lungo
l'inevitabile? Stammi bene.
94
1 Certi filosofi hanno accolto unicamente quella parte della
filosofia che dà insegnamenti particolari sul ruolo che ognuno ricopre
nella vita, e non forma l'uomo in generale, ma consiglia al marito come
comportarsi verso la moglie, al padre come educare i figli, al padrone come
governare i servi, e hanno trascurato le altre parti come fossero per noi
inutili, quasi si potessero dare consigli su un aspetto della vita senza averla
prima abbracciata nella sua totalità. 2 Secondo lo stoico Aristone,
invece, questa parte è poco importante e non penetra nell'intimo, con i
suoi insegnamenti da nonnetta; per lui giovano moltissimo i princìpî
stessi della filosofia e la definizione del sommo bene; "chi l'ha compresa
e imparata bene, può decidere lui stesso il da farsi in ogni singola
circostanza." 3 Quando uno impara a scagliare il giavellotto, cerca di
colpire il bersaglio ed esercita la mano a dirigere il tiro; raggiunta questa
capacità con la disciplina e l'esercizio, se ne serve a suo piacimento,
perché non ha imparato a colpire questo o quel bersaglio, ma tutti quelli che
vuole; così, se uno è preparato ad affrontare la vita in tutti i
suoi aspetti, non ha bisogno di essere consigliato sui particolari, perché
è istruito in generale, e non su come vivere con la moglie o con il figlio,
ma su come vivere bene: e questo comprende anche come vivere con la moglie o
coi figli. 4 Per Cleante anche questa parte è utile, ma è
inefficace se non ha origine da una conoscenza universale, se non conosce i
precetti e i princìpî stessi della filosofia.
Questa sezione della filosofia, cioè la precettistica
particolare, presenta due problemi: se sia utile o inutile e se da sola possa
rendere l'uomo virtuoso, o meglio se sia superflua o renda superflue tutte le
altre. 5 Chi la ritiene superflua afferma: se un ostacolo impedisce la vista,
va rimosso; finché rimane, è tempo perso impartire degli insegnamenti:
"camminerai così, stenderai la mano da quella parte." Allo
stesso modo quando qualcosa ottenebra l'anima e le impedisce di comprendere la
scala dei doveri, chi insegna: "Così vivrai col padre, così
con la moglie" non conclude niente. Gli ammaestramenti non serviranno a
nulla finché l'errore offusca la mente: se viene eliminato apparirà
chiaro come dobbiamo adempiere a ciascun dovere. Altrimenti tu insegni a uno
che cosa debba fare un uomo sano, ma non lo rendi sano. 6 Mostri al povero come
comportarsi da ricco: ma se rimane povero, come può farlo? All'affamato
spieghi che cosa dovrebbe fare se fosse sazio: togligli piuttosto la fame che
ha nelle ossa. Lo stesso vale per tutti i vizi: bisogna eliminarli, non
insegnare cose impossibili a realizzarsi finché essi rimangono. Se non
rimuoverai i pregiudizi che ci affliggono, l'avaro non comprenderà come
va usato il denaro, né il vile come disprezzare i pericoli. 7 Devi fargli
comprendere che il denaro non è né un bene, né un male e mostrargli
persone ricche molto infelici. Devi fargli comprendere che quello che
generalmente temiamo non è temibile come si dice, che nessuno soffre a
lungo e non muore più di una volta: nella morte, che è
inevitabile, c'è un grande motivo di consolazione: non ritorna per
nessuno; nel dolore sarà un rimedio la fermezza d'animo, che rende meno
penosi i mali se sopportati con coraggio; la natura del dolore è
eccellente, perché, se si protrae, non può essere grande, e se è
grande, non può protrarsi. Dobbiamo accettare da forti quanto ci comanda
la legge dell'universo. 8 Quando, stabiliti questi princìpî, metterai
uno davanti alla sua condizione e capirà che si è felici vivendo
non secondo piacere, ma secondo natura, quando amerà veramente la
virtù come unico bene dell'uomo e fuggirà la disonestà
come unico male, quando comprenderà che tutto il resto - ricchezza,
onori, salute, forze, poteri - sono cose indifferenti da non annoverarsi né tra
i beni, né tra i mali, allora non sentirà il bisogno di uno che lo
consigli in ogni situazione e dica: "Cammina così, pranza
così; questo comportamento è adatto all'uomo, questo alla donna,
questo a chi è sposato, questo al celibe." 9 Chi dà questi
consigli così minuziosi non è in grado di metterli in pratica
nemmeno lui; il pedagogo impartisce questi insegnamenti all'allievo, la nonna
al nipote e il maestro, così proclive all'ira, disputa sulla
necessità di non adirarsi. Se entrerai in una scuola, ti renderai conto
che i precetti elargiti dai filosofi con estrema alterigia si trovano
già nei libri di testo per l'infanzia.
10 E poi, darai ammaestramenti lampanti o dubbi? Quelli lampanti
non hanno bisogno di consiglieri; quanto a quelli dubbi non si presta fede a
chi li dà: dunque, ammaestrare è inutile. Soprattutto impara
questo: se dài consigli oscuri e ambigui, dovrai provarli; se li
proverai, le prove addotte hanno più valore e bastano di per sé. 11
"Tratta così con l'amico, così con il concittadino, così
con il compagno." "Perché?" "Perché è giusto."
Tutti questi insegnamenti mi vengono dalla sezione della filosofia che riguarda
la giustizia: lì apprendo che bisogna desiderare la giustizia di per sé,
che ad essa non ci costringe la paura o ci induce il guadagno, che non è
un uomo giusto chi in questa virtù si compiace di qualcosa al di fuori
di essa. Quando mi sono persuaso e sono profondamente convinto di ciò a
che servono questi precetti che insegnano a uno già istruito? A chi sa,
è inutile dare dei precetti, a chi non sa, è poco, poiché deve
apprendere non solo quello che gli viene insegnato, ma anche perché. 12 I
precetti, dico io, sono necessari, per chi ha le idee chiare sul bene e sul
male, o per chi non le ha? A costui tu non sarai affatto d'aiuto: dicerie
contrarie ai tuoi consigli gli otturano le orecchie. Se uno sa esattamente che
cosa evitare o che cosa ricercare, sa come deve comportarsi anche senza che tu
parli. In conclusione, tutta questa parte della filosofia si può
eliminare.
13 Per due motivi noi erriamo: o c'è nell'animo una
perversità prodotta da convinzioni malvagie, oppure, anche se esso non
è in preda all'errore, vi è incline e, fuorviato dalle apparenze,
fa presto a rovinarsi. Perciò dobbiamo o curare bene lo spirito ammalato
e liberarlo dai vizi, oppure, se ne è libero, ma è propenso al
male, prenderne possesso in tempo. I principî della filosofia hanno sia l'uno
che l'altro effetto; pertanto questo genere di insegnamenti non serve a niente.
14 E poi, impartire norme a ognuno è un'impresa immane: sono di un certo
tipo per l'usuraio, di un altro per il contadino, per il commerciante, per il
cortigiano, per chi cerca l'amicizia dei suoi pari e per chi quella degli
inferiori. 15 Nel matrimonio insegnerai come vivere con una donna sposata
vergine, o con una che ha avuto un marito in precedenza, come vivere con una
donna ricca o con una senza dote. Oppure secondo te non c'è differenza
tra una donna sterile e una feconda, fra una matura e una ragazzina, fra una
madre e una matrigna? Non possiamo abbracciare tutti i vari casi: eppure
ciascuno richiede regole particolari, mentre le norme della filosofia sono
brevi e comprendono tutto. 16 I precetti della saggezza, inoltre, devono essere
definiti e precisi; se non si possono definire, non fanno parte della saggezza,
che conosce i limiti delle cose. Bisogna pertanto eliminare questa parte
precettistica, perché non è in grado di garantire a tutti le promesse
fatte a pochi; la saggezza, invece, riguarda tutti. 17 Fra la pazzia collettiva
e quella curata dai medici non c'è differenza, se non che questa nasce
da malattia, quell'altra da false opinioni; l'una affonda le radici della sua
frenesia nello stato di salute, l'altra è una malattia dell'anima. Se a
un pazzo qualcuno volesse insegnare come parlare, camminare, comportarsi in
pubblico e in privato, sarebbe più folle di lui: bisogna curare la bile
nera e rimuovere la causa stessa della pazzia. Lo stesso va fatto per la pazzia
dello spirito: la si deve scacciare, altrimenti i consigli andranno sprecati.
18 Queste sono le affermazioni di Aristone e noi le
controbatteremo una per una. Veniamo alla prima; egli sostiene che, se
c'è un ostacolo davanti agli occhi e ne impedisce la vista, deve essere
rimosso; anch'io ammetto che per vedere non c'è bisogno di precetti, ma
di un rimedio che liberi la vista ed elimini l'ostacolo che la impedisce: la
vista è un fatto naturale e rimuovendo ciò che è
d'impedimento le restituiamo la sua funzione. Ma la natura non insegna come si
debba adempiere a ciascun dovere.
21 "L'errore," continua Aristone, "è la
causa delle nostre mancanze: i precetti non lo eliminano e non dissipano le
idee sbagliate sul bene e sul male." Ammetto che i precetti non riescano
di per sé a rimuovere le convinzioni errate; ma non per questo non servono,
uniti anche ad altri sistemi. Per prima cosa rinfrescano la memoria; poi, quei
concetti che, tutti insieme, sembravano piuttosto confusi, divisi in sezioni,
possono essere esaminati con più attenzione. Oppure, in questo modo,
puoi definire inutili anche i discorsi consolatori e di esortazione: e invece
non sono inutili; quindi, non lo sono neppure gli ammonimenti. 22
"È sciocco," dice, "insegnare a un malato che cosa debba
fare come se fosse sano; restituiscigli, invece, la salute: senza di essa i
precetti sono vani." E che dire del fatto che ad ammalati e sani su certe
questioni vanno rivolti consigli uguali? Come ad esempio, non mangiare con
avidità ed evitare la spossatezza. Anche per il povero e il ricco ci
sono precetti in comune. 23 "Guarisci l'avidità," afferma
Aristone, "e non dovrai dare consigli al povero o al ricco, se si è
calmata la loro cupidigia." Ma come? Un conto è non desiderare il
denaro, un altro è saperlo usare. Gli avari ne ignorano la giusta
misura, ma anche chi non è avaro può ignorarne il giusto uso.
"Elimina gli errori," dice il filosofo, "e i precetti sono
inutili." È falso. Immagina che si sia mitigata l'avidità,
domata la dissolutezza, frenata l'imprudenza, spronata l'ignavia: anche se i
vizi sono stati eliminati, bisogna imparare che cosa fare e come. 24 "Contro
i vizi gravi," egli sostiene, "non riusciranno a niente gli
ammonimenti." Nemmeno la medicina vince le malattie inguaribili, eppure
viene usata come rimedio per alcune, per altre come sollievo. Nemmeno la
potenza stessa dell'intera filosofia, anche se chiama a raccolta tutte le sue
forze, potrà sradicare dall'animo un male ormai incallito e di vecchia
data; ma perché non guarisce tutto, non si può dire che non guarisca
niente.
25 "A che serve," dice Aristone, "insegnare
l'evidenza?" Serve moltissimo. Certe volte, infatti, le cose le sappiamo,
ma non siamo attenti. Le esortazioni non servono da insegnamento, risvegliano,
però l'attenzione, stimolano, mantengono viva la memoria e non la
lasciano smarrire. Noi tralasciamo molte cose che pure abbiamo davanti agli
occhi: un ammonimento è una forma di esortazione. Spesso l'animo finge
di non vedere neppure l'evidenza; e allora bisogna ricordargli anche le cose
più note. A questo punto è bene ricordare la frase pronunciata da
Calvo contro Vatinio: "Voi lo sapete che c'è stato un broglio e
tutti sanno che voi lo sapete." 26 Sai che le amicizie vanno venerate come
sacre, ma non lo fai. Sai che è un infame chi pretende dalla moglie il
pudore, ma seduce le donne altrui; sai che come lei non deve avere rapporti con
un altro, così tu non ne devi avere con un'amante, e non lo fai.
Perciò bisogna rinfrescarti sovente la memoria; quei princìpî non
devono stare in un canto, ma essere a portata di mano. Tutte le norme salutari
vanno esaminate di frequente e meditate; non devono esserci solo note: devono
essere sùbito disponibili. Inoltre anche i concetti chiari diventano di
solito ancò ra più chiari.
27 "Se i tuoi ammaestramenti sono incerti," continua,
"dovrai aggiungere delle prove; perciò utili saranno quelle e non
gli ammaestramenti." Ma se a giovare è proprio l'autorità di
chi consiglia, anche senza prove? Così come i pareri dei giureconsulti
sono validi anche se non se ne dà una spiegazione. E poi gli stessi
ammaestramenti hanno molto peso di per sé, soprattutto se messi in versi oppure
racchiusi in massime in prosa come quelli di Catone: "compra non
l'occorrente, ma l'indispensabile; il superfluo è caro anche a pagarlo
un soldo"; 28 e così i responsi dell'oracolo o simili:
"risparmia il tempo", "conosci te stesso". Chiederai
spiegazioni quando uno ti reciterà questi versi?
L'oblio è il rimedio delle offese.
La fortuna aiuta gli audaci, il pigro è di ostacolo a se
stesso.
Sono parole che non richiedono un esperto; toccano i sentimenti e
sono utili perché la natura fa sentire la sua forza.
31 "Se uno non ha dei retti princìpî," continua
Aristone, "legato com'è al malcostume, a che cosa gli serviranno
gli ammonimenti?" Naturalmente a liberarsene, perché in lui le
qualità naturali non sono scomparse, ma soltanto nascoste e oppresse.
Anche così esse cercano di risollevarsi e di resistere alla depravazione
e, trovato un sostegno e un aiuto nei precetti, riprendono forza, purché non le
abbia infettate a morte un male di vecchia data: in questo caso non
potrà sanarle neppure la dottrina filosofica impiegando tutte le sue
forze. Che differenza c'è, infatti, fra i princìpî filosofici e i
precetti se non che i primi sono norme universali, i secondi particolari?
Entrambi istruiscono, ma gli uni in generale, gli altri in particolare.
32 "Se uno," egli dice, "ha dei princìpî
retti e onesti è inutile dargli dei consigli." Niente affatto;
anche costui conosce il suo dovere, ma non ne ha una chiara percezione. Non
sono solo le passioni a impedirci di agire virtuosamente, ma
l'incapacità di capire che cosa esigano le singole circostanze. Il nostro
animo a volte è ben regolato, ma inerte e poco pratico a trovare la via
dei doveri, che un buon consiglio ci può invece indicare.
33 "Elimina," egli dice, "le false idee sul bene e
sul male, metti al loro posto idee giuste e i consigli saranno inutili." Questo
sistema senza dubbio regola l'animo, ma non basta; anche se con argomentazioni
logiche si ricava qual è il bene e qual è il male, tuttavia i
precetti hanno un loro ruolo. Sia la prudenza che la giustizia sono formate da
vari doveri: e i doveri li determinano i precetti. 34 Inoltre, anche il
giudizio sul male e sul bene trova conferma nel compimento dei doveri, e a
questo ci conducono i precetti. Sono due cose in armonia tra loro: gli uni non
possono precedere senza che gli altri seguano e questi seguono un ordine
proprio; è quindi evidente che sono i doveri a precedere.
35 "I precetti," dice Aristone, "sono
infiniti." Non è vero; sulle questioni più importanti e
fondamentali non sono infiniti; ci sono differenze minime determinate dal
momento, dal luogo, dalle persone, ma anche in questi casi si dànno
precetti generali.
36 "Non si può curare," sostiene, "la pazzia
con i precetti; quindi, nemmeno la malvagità." È diverso: se
elimini la pazzia restituisci la salute mentale; togliendo di mezzo le idee false,
invece, non ce ne deriva immediatamente la capacità di distinguere le
azioni da compiere; ma, posto che sia così, un consiglio
avvalorerà il nostro giusto giudizio sul bene e sul male. Ed è
ugualmente falso che ai pazzi i precetti non servano a nulla. Da soli non
giovano, ma sono di aiuto alla cura; i pazzi li frenano sia le minacce che le
punizioni - certo, mi riferisco a quelli la cui mente vacilla, ma non è
stravolta completamente.
37 "Le leggi," dice, "non riescono a farci
comportare come dovremmo, e che altro sono se non precetti misti a
minacce?" Prima di tutto le leggi non persuadono proprio perché
minacciano, mentre i precetti non costringono, ma cercano di persuadere; le
leggi, inoltre, distolgono dal delitto, i precetti esortano al dovere. E poi
anche le leggi giovano alla moralità, specialmente se, oltre a
comandare, insegnano.
42 "Dove va a parare questo discorso?" chiedi. I buoni
precetti, se li terrai sempre presenti, ti saranno utili quanto i buoni esempi.
Pitagora afferma che cambia interiormente una persona che entra in un tempio e
vede da vicino le immagini degli dèi e attende il responso di un
oracolo. 43 E chi può negare che certi precetti colpiscano nel segno
anche gli uomini più ignoranti? Come queste frasi molto concise, ma
pregnanti:
Niente di troppo.
Non c'è guadagno che sazi l'animo dell'avaro.
Aspettati da altri ciò che hai fatto al tuo prossimo.
A queste parole rimaniamo come colpiti e nessuno può
dubitare o chiedere: "Perché?", tanto la verità è
palese anche senza spiegazioni. 44 Se il rispetto frena gli animi e reprime i
vizi, perché non dovrebbero avere la stessa efficacia anche gli ammonimenti? Se
la punizione è causa di vergogna, perché non dovrebbe essere lo stesso
per gli ammonimenti, anche se si avvalgono di semplici precetti? In
realtà sono più efficaci e penetrano più a fondo i
consigli che sostengono con prove i loro insegnamenti, che aggiungono quali
siano le azioni da compiere e le loro motivazioni e quale utile attenda chi
agisce in obbedienza ai precetti. Se gli ordini servono, servono anche i
consigli; ebbene, gli ordini servono, dunque servono anche i consigli. 45 La
virtù si divide in due parti: contemplazione della verità e
azione: la prima ce la dànno gli insegnamenti, alla seconda ci spingono
i consigli. Le azioni oneste esercitano e mostrano la virtù. Se i
consigli giovano a chi intende operare, gli saranno utili anche gli
ammonimenti. Quindi, se l'agire onestamente è necessario alla
virtù e gli ammonimenti indicano le azioni oneste, anche gli ammonimenti
sono necessari. 46 Due cose dànno una grandissima forza all'anima, la
fede nella verità e la fiducia in se stessi; entrambe ci vengono dagli
ammonimenti, poiché in essi si crede e, quando si è giunti a credere,
l'anima concepisce sentimenti elevati e si riempie di fiducia; quindi, gli
ammonimenti non sono inutili. M. Agrippa, uomo di straordinario temperamento,
l'unico ad aver fortuna nella vita pubblica fra le persone rese famose e
potenti dalle guerre civili, spesso diceva di dover molto a questa massima:
"Con la concordia i piccoli stati crescono, con la discordia vanno in
rovina i più grandi." Affermava che essa lo aveva reso un
eccellente amico e fratello. 47 Se massime di questo tipo recepite nell'intimo
formano l'animo, perché non potrebbe fare lo stesso anche quella sezione della
filosofia che da tali massime è formata? Parte della virtù si
basa sull'insegnamento, parte sull'esercizio; devi imparare e poi confermare
con le azioni quanto hai appreso. Se ciò si verifica, non servono solo i
princìpi della saggezza, ma anche i precetti, che frenano le nostre
passioni e le reprimono come in forza di un editto.
48 "La filosofia," dice Aristone, "si divide in
conoscenza e stato morale; chi ha imparato e capìto le azioni da
compiere e quelle da evitare, non è ancora saggio se il suo animo non si
è modellato su quanto ha appreso. Questa terza parte, cioè
l'insegnamento, deriva sia dalla dottrina che dallo stato morale, perciò
è superflua per conseguire la virtù: bastano le prime due."
52 Tali prove dimostrano come questa parte della filosofia non sia
superflua. Ci si chiede, poi, se da sola basti a formare il saggio. Questo
problema lo affronteremo a suo tempo; intanto, messe da parte le prove, non
è forse chiaro che abbiamo bisogno di un esperto che ci dia
ammaestramenti contrari a quelli della massa? 53 Tutte le parole che ascoltiamo
ci danneggiano: ci nuoce chi ci augura il bene come chi ci augura il male. Le
maledizioni degli uni ci incutono false paure, e l'amore degli altri, con i
suoi buoni augùrî, ci dà dei cattivi insegnamenti, perché ci
indirizza verso beni lontani, incerti e dubbi, mentre la nostra felicità
la possiamo trovare dentro di noi. 54 Non si può secondo me, procedere
per la retta via; ci fanno deviare i genitori, i servi. Nessuno coinvolge negli
errori solo se stesso, ma diffonde la sua follia sul prossimo e a sua volta la
riceve dagli altri. Per questo i vizi della massa li ritroviamo nei singoli:
è stata la massa a trasmetterli. Nel momento in cui uno corrompe,
è corrotto; ha imparato il male e lo ha poi insegnato e ne è nata
quell'enorme malvagità, poiché si accumulano in un solo individuo i vizi
peggiori di ciascuno. 55 Deve, dunque, esserci qualcuno che ci sorvegli, che di
volta in volta ci tiri le orecchie, e tenga lontano le chiacchiere della gente
e protesti contro le lodi della folla. Sbagli se pensi che i vizi nascano con
noi: sono venuti dopo, si sono accumulati in noi. Respingiamo, perciò
con moniti frequenti, i pregiudizi che ci rintronano. 56 La natura non ci mette
sulla strada del vizio: ci ha generati puri e liberi. Non ha messo in evidenza
niente che eccitasse la nostra avidità: ci ha posto sotto i piedi l'oro
e l'argento e ci ha dato da calpestare e da schiacciare quello per cui siamo
calpestati e schiacciati. Ci ha fatto volgere lo sguardo al cielo e ha voluto
che quanto di grandioso e stupendo essa ha creato noi lo vedessimo alzando gli
occhi: il sorgere e il tramontare degli astri, il vertiginoso moto su se stesso
del mondo che mostra di giorno le bellezze terrene, di notte quelle celesti, il
procedere delle stelle, lento se lo paragoni a quello dell'universo, ma velocissimo
se pensi che enormi spazi percorrano a velocità costante, le eclissi del
sole e della luna che si oscurano a vicenda, e altri fenomeni ancora, degni di
ammirazione sia che si manifestino con ordine o che compaiano d'un tratto
determinati da cause improvvise, come strisce di fuoco nella notte e lampi nel
cielo che si apre senza colpi o tuoni, colonne di fuoco, meteore e varie figure
fiammeggianti. 57 Tutto questo la natura lo ha posto sopra di noi, ma l'oro,
l'argento e il ferro, che per questi metalli è sempre in guerra, li ha
nascosti, come se fosse male affidarceli. Li abbiamo portati noi alla luce e
per essi combattiamo, abbiamo tirato fuori noi le cause e gli strumenti dei
nostri pericoli fendendo il grembo della terra, noi abbiamo affidato alla fortuna
le nostre disgrazie e non ci vergogniamo di tenere nella massima considerazione
materiali che stavano sottoterra in profondità. 58 Vuoi sapere che falso
splendore ha ingannato i tuoi occhi? Finché essi giacciono coperti e immersi
nel fango, non c'è niente di più brutto, di più ignobile.
E perché no? Vengono estratti attraverso lunghissimi e oscuri cunicoli. Non
c'è niente di più orribile, mentre vengono alla luce e sono
liberati dalle impurità. Guarda, infine, gli stessi operai che con le
mani ripuliscono questa sorta di terra sterile e sotterranea: vedrai come sono
sporchi di fuliggine! 59 Eppure questi metalli insudiciano più l'animo
che il corpo e ci si sporca più a possederli che a lavorarli. È
necessario, dunque, essere consigliati, aver vicino una persona onesta che ci
difenda, e fra tanto strepito e confusione di menzogne dar ascolto finalmente a
una voce sola. Quale sarà questa voce? Naturalmente quella che ti
sussurri parole salutari, assordato come sei dal gran chiasso dell'ambizione, una
voce che dica: 60 non c'è ragione di invidiare gli uomini che il popolo
definisce importanti e fortunati; non c'è ragione che il plauso
distrugga la tua serenità e la tua salute spirituale, che quel porporato
pieno di cariche ti faccia venire a nausea la tua pace, che tu ritenga
quell'uomo, al cui passaggio tutti fanno largo, più felice di te che il
littore scaccia dalla via. Se vuoi esercitare un potere che ti torni utile e
non opprima nessuno, elimina i vizi. 61 Ci sono molti che danno fuoco alle città,
e distruggono costruzioni che avevano resistito attraverso i secoli ed erano
state al sicuro per lungo tempo, molti che erigono terrapieni alti quanto
fortezze, e con arieti e macchine da guerra abbattono mura straordinariamente
elevate. Ci sono molti che mettono in fuga eserciti e incalzano minacciosamente
i nemici e giungono all'oceano bagnati dal sangue delle stragi: anche loro,
però per vincere un nemico sono stati vinti dalle passioni. Nessuno ha
resistito alla loro avanzata, ma neanche essi avevano resistito all'ambizione e
alla crudeltà; e quando sembrava che inseguissero gli altri, erano loro
ad essere inseguiti. 62 Una folle smania di devastare paesi stranieri spingeva
l'infelice Alessandro e lo faceva andare verso l'ignoto. Oppure, secondo te, è
sano di mente uno che incomincia a far strage proprio in Grecia, dove è
stato educato? Che toglie a ognuno quanto ha di meglio e impone a Sparta la
schiavitù e ad Atene il silenzio? Non contento dello scempio di tante
città, che Filippo aveva vinto e comprato, ne abbatte altre qua e
là e porta le armi in tutto il mondo; la sua crudeltà mai esausta
non ha tregua, come quella delle belve feroci che sbranano anche se non hanno
fame. 63 Ormai ha fuso numerosi regni in uno solo, ormai i Greci e i Persiani
temono lo stesso tiranno, ormai anche le popolazioni libere dal giogo di Dario
sono sottomesse; e tuttavia egli supera i confini dell'oceano e del sole, non
si dà pace che le sue vittorie non calchino le orme di Ercole e di
Bacco, e si prepara a lottare anche contro la natura. Non è lui che
vuole andare avanti: non può star fermo, come un peso, gettato nel
vuoto, il cui moto tende come ultima meta a finalmente giacere. 64 Non era il
valore o il raziocinio, ma un insano desiderio di falsa grandezza che spingeva
anche Gneo Pompeo alle guerre e alle lotte civili. Ora andava contro la Spagna
e gli eserciti di Sertorio, ora a tenere a freno i pirati e a pacificare i
mari: solo pretesti per non perdere il potere. 65 Che motivo lo trascinò
in Africa, nel nord, contro Mitridate, in Armenia e nelle terre più
lontane dell'Asia? Certo una brama insaziabile di diventare sempre più
grande, perché solo a lui sembrava di non esserlo abbastanza. Che cosa spinse
Cesare alla rovina sua e dello stato? La gloria, l'ambizione e il desiderio sfrenato
di eccellere sugli altri. Non riuscì a tollerare neanche uno sopra di
sé, quando la repubblica ne tollerava due su di sé. 66 Perché, credi davvero
che C. Mario, quella volta che era stato console (unico consolato regolare, gli
altri li aveva ottenuti con la violenza) abbia massacrato i Cimbri e i Teutoni,
inseguito Giugurta per i deserti d'Africa, affrontando tanti pericoli spinto
dalla virtù? Mario guidava l'esercito, l'ambizione guidava Mario. 67
Loro sconvolgevano tutto e come turbini venivano sconvolti: i turbini si
trascinano dietro ciò che ghermiscono, ma prima vorticano e per questo
si avventano con maggior furia: non hanno controllo di sé; perciò sono
una calamità per molti, ma subiscono anch'essi quella pestilenziale violenza
con la quale danneggiano i più. Non puoi credere che uno diventi felice
se rende infelici gli altri.
68 Bisogna eliminare questo campionario di esempi che ci
trapassano gli occhi e le orecchie, e liberare l'animo ingombro di discorsi
nocivi. In chi ne è preda bisogna far penetrare la virtù, perché
estirpi le menzogne e le convinzioni in contrasto con la verità, perché
ci separi dal volgo cui diamo troppa fiducia e ci riconduca a pensieri
incorrotti. La saggezza consiste in questo: rifarsi alla natura, ritornare
là dove un abbaglio comune ci aveva cacciato. 69 Buon senso significa
soprattutto abbandonare chi ci istiga alla follia e tenersi lontani da un
connubio dannoso alle due parti. Vuoi rendertene conto? Guarda come in pubblico
uno vive diversamente che in privato. La solitudine non è di per sé
maestra di onestà o la campagna di frugalità; però, quando
se ne sono andati testimoni e spettatori, cessano i vizi, che si beano di
essere ostentati e osservati. 70 Chi indossa vesti di porpora per non esibirle?
Chi mette le vivande in stoviglie d'oro solo per se stesso? Davvero uno
dispiega lo sfarzo del suo lusso, sdraiato in solitudine, all'ombra di un
albero nei campi? Nessuno sfoggia per il piacere dei suoi occhi o di poca gente
o degli amici, ma sciorina l'apparato dei suoi vizi secondo la folla che lo
guarda. 71 È proprio così: la spinta verso tutto quello per cui
diamo segni di follia è la presenza di un ammiratore e di un testimone.
Spegni il desiderio, se togli la possibilità di ostentazione. L'ambizione,
lo sfarzo, la sfrenatezza, hanno bisogno della ribalta: se li tieni nascosti,
ne guarirai. 72 E così, se ci troviamo in mezzo allo strepito delle
città, ci stia a fianco uno che ci consigli, e alla lode di ingenti
patrimoni opponga la lode di chi è ricco con poco e misura le ricchezze
dall'uso che se ne fa. Contro coloro che esaltano il favore della massa e il
potere, lui sottolinei con ammirazione l'esistenza ritirata dedita agli studi e
l'anima che si ripiega su se stessa. 73 Dimostri che quegli uomini giudicati
dalla massa felici stanno, invece, tremanti e sbigottiti in quella loro
posizione invidiata e di sé hanno un'opinione ben diversa da quella degli
altri; quelle che per gli altri sono cime elevate, per loro sono precipizi. E
così si scoraggiano e tremano ogni volta che spingono lo sguardo
nell'abisso della loro grandezza: pensano alla possibilità di cadute
tanto più pericolose quanto più uno sta in alto. 74 Allora hanno
paura di quello che desideravano e la prosperità che li rende insopportabili
agli altri, pesa su loro ancora più insopportabile. Allora elogiano la
vita calma e indipendente, detestano il loro splendore e cercano di fuggire
quando la situazione è ancora stabile. Allora li vedi darsi alla
filosofia per paura, ragionare saggiamente spinti dal timore della mala sorte.
Come se la buona fortuna e il ben ragionare fossero agli antipodi, noi abbiamo
più buon senso quando le cose vanno male: quando vanno a gonfie vele, ci
tolgono la capacità d'intendere. Stammi bene.
95
4 Ma lasciamo da parte ogni preambolo ed entriamo in argomento.
"La felicità," sostengono, "si basa sull'agire
onestamente; alle azioni oneste ci portano i precetti; quindi i precetti
bastano per arrivare alla felicità." Non sempre i precetti ci
portano ad agire onestamente, ma solo se trovano un carattere docile; a volte
è inutile impartirli, se l'animo è ingombro di idee distorte. 5
Inoltre, certi individui, anche se agiscono rettamente, non ne sono
consapevoli. Nessuno, a meno che non sia educato dall'inizio e regolato dalla
ragione perfetta, può adempiere a tutte le regole per sapere quando
è opportuno agire, in che limiti, con chi, come e perché. Non può
tendere all'onestà con tutte le sue forze e neppure con costanza o
volentieri, ma si volterà indietro e avrà delle esitazioni.
6 "Se le azioni oneste sono frutto dei precetti,"
dicono, "questi sono più che sufficienti per arrivare alla
felicità: la prima proposizione è vera, quindi, è vera
anche la seconda." A costoro risponderemo che le azioni oneste sono frutto
dei precetti, ma non solo di essi.
7 "Se alle altre arti bastano i precetti, essi basteranno
anche alla saggezza; anche questa è un'arte, l'arte della vita. Ora, il
pilota lo forma chi gli insegna: 'Il timone muovilo così, così
ammaina le vele, in questo modo utilizza il vento favorevole, resisti a quello
contrario, sfrutta quello variabile e incostante.' I precetti formano anche gli
uomini dediti alle altre arti, pertanto avranno lo stesso effetto su chi si
occupa dell'arte del vivere." 8 Tutte queste arti si occupano dei mezzi
per vivere, non della vita nella sua interezza; ci sono, perciò molti
fattori esterni che le impediscono e le ostacolano: la speranza, la cupidigia,
il timore. Ma alla saggezza, che esercita l'arte della vita, niente vieta di
mettere in atto se stessa; essa abbatte ogni impedimento e rimuove tutti gli
ostacoli. Vuoi sapere quanto è diversa la condizione delle altre arti
rispetto alla saggezza? Nelle arti è più giustificabile un errore
volontario che uno casuale; nella saggezza la colpa più grave è
sbagliare volontariamente. 9 Le cose stanno proprio così. Un erudito non
arrossisce di un solecismo se l'ha fatto consapevolmente, ma arrossisce se
è un errore inconsapevole; un medico, se non capisce che l'ammalato sta
morendo, è professionalmente più colpevole che se finge di non
capire; ma in quest'arte della vita, la colpa volontaria è più
spregevole. E poi, anche gran parte delle arti - e in particolare quelle
più liberali, come, ad esempio, la medicina - hanno, oltre alla
precettistica, i loro princìpî teorici; perciò le sette di
Ippocrate, di Asclepiade, di Temisone sono diverse tra loro. 10 Inoltre, non
c'è scienza teoretica che non abbia princìpî propri: i Greci li
chiamano dogmata, noi decreta, scita o placita e li trovi anche in geometria e
in astronomia. La filosofia è teoretica e pratica insieme: osserva e
contemporaneamente agisce. Sbagli se pensi che riguardi solo le attività
terrene: vive in una sfera più alta. "Scruto l'universo
intero," afferma, "e non mi limito alle relazioni umane,
contentandomi di consigliare o dissuadere: mi chiamano problemi grandi, al di
sopra di voi.
11 "Comincerò a trattare della suprema essenza del
cielo e degli dèi e svelerò i primordi dell'universo; da dove la
natura crei tutte le cose, le accresca e le alimenti, e in che cosa,
annientandole, di nuovo le dissolva",
così scrive Lucrezio. Ne consegue che, essendo
un'attività teoretica, la filosofia ha princìpî propri. 12 E poi,
a un lavoro può attendere convenientemente solo chi avrà imparato
il metodo per eseguire tutte le funzioni necessarie in ogni circostanza; ma se
uno ha ricevuto insegnamenti particolari e non generali, non potrà
adempiervi. I precetti particolari sono di per sé inefficaci e, per così
dire, senza radici. A premunirci, a tutelare la nostra quiete e
tranquillità sono i princìpî generali: essi comprendono la vita
intera e l'intera natura delle cose. Tra i princìpî della filosofia e i
precetti intercorre la stessa differenza che tra gli elementi e le parti di un
organismo: queste dipendono dai primi che sono causa di esse e di tutte le
cose.
13 "L'antica saggezza," obiettano, "indicava solo
le azioni da compiere e quelle da evitare e a quel tempo gli uomini erano di
gran lunga migliori: da quando sono comparsi i dotti, i buoni non ci sono
più; quella virtù semplice e chiara si è mutata in una
scienza oscura e scaltra: impariamo a discutere, non a vivere." 14
Quell'antica saggezza, soprattutto ai suoi inizi, fu senza dubbio, come dite
voi, rozza, come le altre scienze, che nel processo di evoluzione si sono poi
affinate. Ma ancòra non c'era il bisogno di studiati rimedi. La
malvagità non era ancòra arrivata a tanto, non si era diffusa
così ampiamente: i vizi erano semplici e si poteva combatterli con
rimedi semplici. Ora le difese devono essere tanto più efficaci quanto
più violento è l'attacco.
15 La medicina un tempo consisteva nel conoscere poche erbe per
far coagulare il sangue e rimarginare le ferite; poi, a poco a poco, è
arrivata all'odierna molteplicità di branche. E non c'è da
meravigliarsi che avesse meno da fare allora, quando l'organismo dell'uomo era
ancora sano e robusto e il vitto semplice e non alterato dagli artifici e dal
piacere: in séguito si cominciò a ricercare il cibo non per soddisfare
la fame, ma per stuzzicarla, e si sono escogitati mille condimenti per eccitare
l'avidità: quelli che erano alimento per un ventre digiuno, sono un peso
per un ventre pieno. 16 Da qui il pallore e il tremito nervoso degli
alcolizzati e la magrezza dovuta alle indigestioni, più miserevole di
quella per fame; da qui l'incedere incerto e malfermo e il barcollare continuo,
come in piena ubriachezza; il sudore a rivoli su tutta la pelle, il ventre
rigonfio per la cattiva abitudine di ingurgitare oltre misura; e poi l'itterizia,
il volto pallido, il decomporsi degli organi [...] che si putrefanno, le dita
rinsecchite per l'irrigidimento delle articolazioni, il torpore dei nervi
divenuti insensibili o il loro tremito continuo. 17 E che dire dei capogiri?
Dei dolori lancinanti agli occhi e alle orecchie, delle fitte del cervello in
fiamme, delle ulcere agli intestini? E ancòra, degli innumerevoli tipi
di febbre, alcune violente, altre insinuanti e subdole, altre che si
manifestano con brividi e forte tremore? 18 Ma perché elencare le numerosissime
malattie, con cui si paga la dissolutezza? Erano immuni da questi mali quegli
uomini che non si erano ancòra snervati nei piaceri, che comandavano e
servivano se stessi. Irrobustivano il fisico con il lavoro e la fatica vera,
stancandosi con la corsa, con la caccia, o arando la terra; e li attendeva un
cibo che poteva piacere solo a degli affamati. Perciò non avevano
bisogno di tanti arnesi medici, di tanti ferri e vasetti. Le malattie erano
semplici e originate da cause semplici: la molteplicità delle portate ha
provocato la molteplicità delle malattie. 19 Vedi come la dissolutezza,
devastando terra e mare, mescoli una quantità di cose che passano
attraverso la gola di uno solo. Perciò sostanze tanto diverse sono
necessariamente in contrasto fra loro e, ingoiate, non vengono digerite bene,
perché hanno effetti opposti. E non c'è da stupirsi che cibi dissimili
causino malattie dal decorso vario e mutevole e che alimenti di natura
contraria, cacciati nello stesso ventre, siano rigettati. Perciò le
nostre malattie sono nuove, come nuovo è il nostro genere di vita.
20 Il più grande medico, il fondatore della medicina,
affermò che le donne non perdono i capelli e non soffrono di gotta: e
invece, i capelli li perdono e hanno la gotta. La loro natura non è
cambiata: è stata vinta; hanno uguagliato gli uomini in dissolutezza, e
li hanno uguagliati pure nelle malattie. 21 Passano le notti vegliando come
loro, bevono come loro, con loro gareggiano nella lotta e nel vino; vomitano anch'esse
i cibi ingurgitati contro voglia e rigettano tutto il vino; anch'esse
rosicchiano pezzi di ghiaccio per dar sollievo allo stomaco in fiamme. Nella
libidine poi non sono da meno dei maschi: destinate per natura a un ruolo
passivo (che gli dèi le fulminino), hanno escogitato un genere
così perverso di impudicizia da montare gli uomini. Non c'è,
dunque, da meravigliarsi se il più grande medico, profondo conoscitore
della natura, è stato smentito e tante donne sono calve e malate di
gotta. Per i vizi hanno perso i vantaggi del loro sesso; si sono spogliate
della natura femminile e così sono state condannate alle malattie
proprie degli uomini.
22 I medici di una volta ignoravano l'uso di somministrare agli
ammalati il cibo con più frequenza e di sostenere col vino una deficienza
circolatoria, non conoscevano il salasso e la possibilità di alleviare
le malattie croniche con bagni e sudorazioni, non sapevano far affiorare un
male nascosto e interno legando braccia e gambe. Non occorreva cercare molte
specie di presidî: i pericoli erano pochissimi. 23 Ma ora, che passi da gigante
hanno fatto le malattie! È questo il prezzo che paghiamo per i piaceri
agognati oltre i giusti limiti. Non stupirti che i malati siano così
numerosi: conta i cuochi. Non si studia più e i professori di discipline
liberali stanno in aule deserte senza anima viva; le scuole dei retori e dei
filosofi sono abbandonate: ma che folla c'è nelle cucine! Quanti giovani
si ammassano intorno al focolare degli scialacquatori! 24 E taccio della massa
di quei poveri ragazzi che dopo il banchetto sono vittime di altri oltraggi
nelle camere; taccio delle schiere di amasi divisi per nazionalità e
colore in modo che abbiano tutti la stessa levigatezza, la stessa prima
lanuggine, lo stesso tipo di capelli: chi li ha lisci non va mescolato a chi li
ha ricci; taccio della torma di fornai e di servi, che, a un ordine, corrono a
mettere in tavola. 25 Buon dio, a quanti uomini dà da fare un solo
ventre! Ma come? Credi che quei funghi, voluttuoso veleno, non abbiano un
effetto nascosto, anche se non istantaneo? Non pensi che quel ghiaccio d'estate
produca un indurimento del fegato? E che le ostriche, carne inerte ingrassata
nella melma, trasmettano la loro limacciosa pesantezza? E quella salsa che
viene dalle province, preziosa poltiglia di pesci guasti, non credi che bruci
le viscere col suo piccante marciume? E quella carne purulenta che passa dal
fuoco alla bocca secondo te si raffredda nello stomaco senza provocare danni?
Eruttano in maniera disgustosa e pestilenziale; che nausea di se stessi provano
a mandar fuori i miasmi della crapula del giorno prima! Il cibo non lo
assimilano: marcisce. 26 Ricordo che mi è stato raccontato di un piatto
famoso in cui il taverniere aveva ammassato, affrettando la sua rovina, tutte quelle
vivande che nelle case dei signori vengono servite nel corso di una giornata:
conchiglie di Venere, spondili e ostriche tagliate fin dove si possono
mangiare, divise e intervallate da ‹tordi›; ricci e triglie fatte a pezzi senza
lische, ricoprivano interamente il piatto. 27 Ormai non piace più
gustare vivande singole: si mescolano sapori diversi. Durante il pranzo avviene
quello che dovrebbe avvenire nello stomaco: ormai mi aspetto che vengano
serviti cibi già masticati. E non ci manca molto: si tolgono gusci e
ossa e il cuoco svolge la funzione dei denti. "È scomodo far
baldoria assaporando le vivande una per una: mettiamo tutto insieme a formare
un sapore unico. Perché mettere mano a un solo piatto? Ne vengano serviti molti
simultaneamente, si uniscano e si mescolino portate diverse e raffinate. 28 Chi
affermava che tutto ciò si fa per ostentazione e desiderio di
notorietà sappia che queste vivande non sono messe in mostra, ma
presentate al giudizio di ognuno. Quei cibi che di solito si servono
separatamente vengano uniti, immersi nello stesso intingolo; non ci siano
distinzioni; ostriche, ricci, spondili, triglie siano messi in tavola cotti
insieme e mescolati." Il cibo che si vomita non potrebbe essere più
mescolato. 29 Le malattie che nascono da piatti così confusi sono
complesse, oscure, diverse, multiformi, e per combatterle la medicina ha
cominciato a munirsi di svariati metodi e ricette.
Lo stesso ti dico della filosofia. Un tempo, quando le colpe erano
meno gravi e vi si poteva porre facilmente rimedio, era più semplice: ma
di fronte a un tale sfacelo morale, bisogna tentare di tutto. E volesse il
cielo che questa peste fosse infine debellata! 30 La nostra follia interessa la
vita privata e anche quella pubblica. Reprimiamo gli omicidi, gli assassini di singoli
individui: ma che dire delle guerre e dello sterminio di intere popolazioni,
delitti di cui ci si vanta? L'avarizia, la crudeltà non conoscono
misura. E finché rimangono nascoste, opera di singole persone, sono meno nocive
e meno abominevoli. Ma le atrocità vengono sancite dai decreti del
senato e del popolo e si comanda in nome dello stato quello che è
proibito in privato. 31 Quei delitti che, compiuti di nascosto, verrebbero
puniti con la pena di morte, noi li approviamo perché li hanno commessi degli
alti ufficiali? Gli uomini, che pure sono una razza mitissima, non si
vergognano di godere delle reciproche stragi, di fare guerre e di lasciarle in
eredità ai figli perché le portino avanti, mentre anche le bestie e le
fiere non combattono tra loro. 32 Contro un furore così potente e
diffuso la filosofia è diventata più attiva e più forte in
proporzione alla forza dei mali che doveva combattere. Era facile, in passato,
rimproverare gli uomini che indulgevano al vino e ricercavano cibi più
raffinati, non serviva una grande forza per riportarli alla frugalità:
non se ne erano allontanati molto.
33 ora ci vuole mano rapida e grande maestria.
Dovunque si cerca il piacere; nessun vizio rimane dentro i suoi
confini: il lusso precipita nell'avidità. L'onestà è
dimenticata; non consideriamo ignobile niente di quello che ci alletta. L'uomo,
creatura sacra all'uomo, viene ormai ucciso per divertimento e per gioco, e
mentre prima era considerato un misfatto insegnare a un individuo a ferire e a
essere ferito, ora lo si spinge fuori nudo e inerme, e la morte di un uomo
è uno spettacolo che soddisfa. 34 Di fronte a una tale depravazione si
sente il bisogno di una forza più vigorosa del comune, che dissipi
questi mali inveterati: bisogna agire in base ai princìpî della
filosofia per sradicare del tutto le nostre false convizioni. E se ai
princìpî uniremo precetti, consolazioni, esortazioni, essi avranno
efficacia: da soli non bastano. 35 Se vogliamo vincolare gli uomini al bene e
strapparli ai vizi che li legano, imparino che cosa è il bene e che cosa
il male, sappiano che ogni cosa, tranne la virtù, cambia nome e diventa
un po' un bene, un po' un male. Come il primo vincolo di un soldato è la
lealtà giurata, l'amore per la bandiera e il considerare la diserzione
un delitto, e quando ha prestato giuramento, gli altri obblighi li si
può esigere e comandarglieli facilmente; così in quegli uomini
che vuoi condurre alla felicità bisogna gettare le prime fondamenta del
bene e insinuare la virtù. Ne abbiano quasi una fanatica venerazione, la
amino; vogliano vivere con lei, e senza di lei morire.
36 "Ma come? Individui sprovvisti di un'educazione accurata
non sono diventati uomini onesti e hanno conseguito dei risultati notevoli
semplicemente adeguandosi a una pura precettistica?" D'accordo, ma avevano
un ingegno fertile e gli insegnamenti utili li hanno carpiti al volo. Gli
dèi immortali non hanno bisogno di imparare le virtù, le
possiedono tutte innate e fa parte della loro natura essere buoni; così
ci sono degli uomini dotati dalla fortuna di qualità straordinarie, che
arrivano senza un lungo apprendistato a quei concetti che di solito vengono
insegnati, e abbracciano i princìpî onesti appena ne sentono parlare; di
qui queste menti così pronte a ghermire la virtù, fertili anche
di per se stesse. Le nature deboli e ottuse, invece, oppure assediate dalle
cattive abitudini, bisogna ripulirle dalla ruggine spirituale. 37 Del resto se
uno insegna i princìpî filosofici, come riesce a condurre più
rapidamente ai vertici del bene chi vi è incline, così
aiuterà anche i più deboli, strappandoli ai pregiudizi sbagliati;
e di come siano necessari questi princìpî te ne puoi rendere conto. Ci
sono forze in noi che ci rendono pigri per certe cose, temerari per altre;
è un'audacia che non può essere contenuta, un'indolenza che non
si può scuotere, se non ne sopprimi le cause, e cioè il terrore o
l'ammirazione infondati. Finché ne siamo preda, puoi ben dire: "Questo lo
devi al padre, questo ai figli, questo agli amici, questo agli ospiti";
anche se uno ci prova, lo bloccherà l'avarizia. Saprà che bisogna
battersi per la patria, ma la paura lo distoglierà; saprà che per
gli amici bisogna sudare fino all'ultima goccia, ma glielo vieteranno i
piaceri; saprà che è un gravissimo affronto per la moglie avere
un amante, ma la lussuria lo spingerà ad agire contro virtù. 38
Indicare delle norme non servirà a niente, se prima non togli di mezzo
gli ostacoli a queste norme, allo stesso modo che aver messo sotto gli occhi e
a disposizione di una persona delle armi non servirà a niente se non gli
sleghi le mani per usarle. Perché l'animo possa indirizzarsi agli insegnamenti
che gli offriamo, bisogna liberarlo. 39 Supponiamo che qualcuno faccia quanto
è necessario: non lo farà in modo né costante, né uniforme; ignora,
difatti, perché lo faccia. O per caso, o a forza di provare, certe cose avranno
buon esito, ma egli non stringerà in pugno lo strumento che gli consente
una verifica, in base a cui possa ritenere giusto quello che ha fatto. Uno
buono per caso non garantisce di conservarsi così eternamente.
40 Inoltre i precetti potranno forse metterlo in grado di compiere
il proprio dovere, ma non gli indicheranno il modo; e se non lo indicano, non
conducono certo alla virtù. Se ammonito, farà il suo dovere, te
lo concedo; ma è poco, perché lodevole non è l'azione, ma il come
si verifica. 41 Che cosa c'è di più scandaloso che mangiarsi un
patrimonio da rango equestre in una cena sontuosa? Che cosa merita maggiore
censura se uno, come blaterano questi dissoluti, fa una tale concessione a sé e
al suo estro? E tuttavia, uomini frugalissimi, all'entrata in carica, hanno
offerto pranzi da un milione di sesterzi. Lo stesso fatto è riprovevole
se è una concessione alla gola; ma non lo si può criticare se
è per una carica; non è lusso, ma una spesa dovuta alle
consuetudini.
47 Tra le norme più diffuse ci sono quelle che riguardano
il culto degli dèi. Ebbene: si proibisca di accendere lumi il sabato:
gli dèi non hanno bisogno di luce e per gli uomini il fumo delle lucerne
non è piacevole. Si vieti l'adempimento dei saluti mattutini e lo stare
seduti alle porte dei templi: solo l'ambizione umana è conquistata da
omaggi come questi; onorare dio è conoscerlo. Si vieti che vengano
portati a Giove drappi di tela e strìgili e che si regga lo specchio a
Giunone: dio non cerca servitori. Perché no? È lui stesso a servire gli
uomini, è a disposizione dovunque e di tutti. 48 Anche se uno apprende
quali norme deve rispettare nei sacrifici, come debba abbandonare le
superstizioni dannose, non avrà mai fatto progressi sufficienti se non
ha una giusta concezione di dio, che tutto possiede, tutto offre, ed è
benefico senza pretendere una contropartita. 49 Che cosa spinge gli dèi
a fare il bene? La loro natura. È un errore credere che non vogliono
fare del male; non possono farlo. E non possono né subire, né arrecare offese;
offendere ed essere offesi sono cose strettamente unite. La loro natura
superiore e più bella di ogni altra li ha sottratti ai pericoli e li ha
resi anche non pericolosi per gli altri. 50 Primo atto di venerazione verso gli
dèi è credere in loro; poi riconoscerne la maestà e
riconoscerne la bontà senza la quale non c'è maestà; sapere
che sono loro a governare il mondo, a regolare tutto con la loro forza, a
esercitare la tutela dell'umanità, trascurando a volte i singoli
individui. Gli dèi non fanno e non subiscono il male; ma riprendono
certi uomini, li tengono a freno, li castigano e talora infliggono una punizione
sotto l'apparenza di un bene. Vuoi propiziarti gli dèi? Sii buono.
Imitarli è un atto di venerazione sufficiente.
51 Ecco un altro problema: come ci si deve comportare con gli
uomini? Che facciamo? Che insegnamenti diamo? Di non versare sangue umano?
È davvero poco non fare del male al prossimo cui si dovrebbe fare del
bene! È proprio un grande merito per un uomo essere mite con un altro
uomo! Insegneremo a porgere la mano al naufrago, a mostrare la strada a chi
l'ha perduta, a dividere il pane con chi ha fame? Perché elencare tutte le
azioni da compiere e da evitare quando posso insegnare questa breve formula che
comprende tutti i doveri dell'uomo: 52 tutto ciò che vedi e che
racchiude l'umano e il divino, è un tutt'unico; noi siamo le membra di
un grande corpo. La natura ci ha generato fratelli, poiché ci ha creato dalla
stessa materia e indirizzati alla stessa meta; ci ha infuso un amore reciproco
e ci ha fatti socievoli. Ha stabilito l'equità e la giustizia; in base
alle sue norme, chi fa del male è più sventurato di chi il male
lo riceve; per suo comando le mani siano sempre pronte ad aiutare. 53 Medita e
ripeti spesso questo verso:
Sono un uomo, e niente di ciò che è umano lo giudico
a me estraneo.
Mettiamo tutto in comune: siamo nati per una vita in comune. La
nostra società è molto simile a una vòlta di pietre:
cadrebbe se esse non si sostenessero a vicenda, ed è proprio questo che
la sorregge.
54 Dopo gli dèi e gli uomini vediamo come dobbiamo valerci
delle cose. Le norme che predichiamo sono inutili, se prima non avremo l'esatta
opinione su tutto, sulla povertà, la ricchezza, la gloria, il disonore,
la patria, l'esilio. Valutiamo queste cose una per una, tralasciando l'opinione
generale, e cerchiamo la loro essenza, non il loro nome.
55 Passiamo ora alle virtù. Qualcuno ci raccomanderà
di stimare molto la prudenza, di abbracciare la fortezza, di stringerci, se
possibile, alla giustizia più che alle altre virtù' ma non
arriverà a nessun risultato se noi ignoriamo cos'è la
virtù, se è una o più di una, se sono separate o
collegate, se chi ne ha una, possiede anche le altre, in che cosa differiscano
tra loro.
60 Inoltre, quei filosofi che eliminano i princìpî, non
capiscono che questi trovano conferma proprio nel motivo per cui vengono
eliminati. Che cosa sostengono costoro? Che per vivere, i precetti sono
sufficienti e che i princìpî della saggezza sono superflui. Ma questa
stessa loro affermazione, perbacco, è un principio, proprio come se ora
io dicessi che bisogna abbandonare i precetti perché inutili e servirsi dei
princìpî e concentrarsi solo su questi; darei dei precetti proprio nel
momento in cui sostenessi che i precetti vanno tralasciati. 61 Certe parti
della filosofia richiedono un ammonimento, certe altre una dimostrazione, e
ampia, perché sono oscure e diventano più chiare solo procedendo con
grande esattezza e penetrazione. Se le dimostrazioni sono necessarie, sono
necessari anche i princìpî che col ragionamento arrivano alla
verità. Certi sono chiari, certi oscuri: chiari quelli che si
comprendono col buon senso e rimangono nella memoria; oscuri quelli che
sfuggono a queste due facoltà. Ma la ragione non si appaga di concetti
evidenti: la sua funzione maggiore e più bella si esplica nelle
questioni che ci sfuggono. Queste richiedono una dimostrazione, e per la
dimostrazione bisogna ricorrere ai princìpî; quindi i princìpî
sono necessari. 62 Il senso comune e anche l'intelligenza perfetta sono il
prodotto di un giudizio esatto sulle cose; se è vero che senza di esso
tutto dentro di noi diventa incerto, i princìpî, che ci forniscono un
giudizio immutabile, sono necessari. 63 Infine, quando esortiamo qualcuno ad
avere per l'amico la stessa considerazione che per se stesso, a pensare che un
nemico può diventare un amico, ad accrescere il suo amore per il primo,
a moderare l'odio verso il secondo, noi aggiungiamo: "È giusto,
onesto." Ma il giusto e l'onesto dei nostri princìpî lo comprende
la ragione; dunque, è necessaria, perché senza di essa non esistono
neppure i princìpî. 64 Ma uniamo precetti e princìpî: senza le
radici i rami sono inservibili, e d'altra parte le radici si valgono dei rami
che hanno generato. Nessuno può ignorare l'utilità delle mani,
l'aiuto che dànno è evidente: ma il cuore, che alle mani
dà vita, slancio, movimento, è nascosto. Dei precetti possiamo
dire lo stesso: sono evidenti, mentre i princìpî della saggezza sono
reconditi. Solo gli iniziati conoscono i più sacri misteri del culto,
così i misteri della filosofia sono svelati agli individui ammessi e
accolti nei suoi penetrali; ma i precetti e gli altri insegnamenti dello stesso
tipo sono noti anche ai profani.
65 Secondo Posidonio sono necessarie non solo la precettistica
(niente ci proibisce di servirci di questa parola), ma anche il consiglio, il
conforto e l'esortazione; aggiunge, inoltre, la ricerca delle cause, o
eziologia, e non vedo perché noi non dovremmo osarne l'adozione e l'uso, quando
i grammatici, custodi della lingua latina, a buon diritto, se ne servono.
Posidonio sostiene anche l'utilità della descrizione di ciascuna
virtù, che egli chiama "etologia", mentre altri la definiscono
"charatterismos"; essa ci dà le note caratteristiche di ogni
virtù e di ogni vizio, grazie alle quali si distinguono cose simili tra
loro.
68 Un puledro di buona razza avanza eretto nei campi, posando con
agilità le zampe; per primo osa muoversi, guadare fiumi minacciosi,
attraversare un ponte mai passato e non lo spaventano vani fragori. Ha il collo
erto, la testa ben delineata, il ventre piccolo, il dorso pingue e il superbo
petto è un rigoglio di muscoli...
...Se sente da lontano risuonare le armi, non sa stare fermo,
drizza le orecchie, gli fremono gli arti e soffia dalle narici, cacciando fuori
l'ardore accumulato.
69 Il nostro Virgilio, senza volerlo, ci ha descritto l'uomo
forte: io, almeno, di un grand'uomo farei lo stesso ritratto. Se dovessi
rappresentare M. Catone impavido fra i clamori delle guerre civili, nell'atto
di attaccare per primo gli eserciti arrivati ormai alle Alpi e di affrontare la
guerra civile, non gli darei un aspetto diverso o un diverso atteggiamento. 70
Nessuno poté certamente avanzare con maggiore dignità dell'uomo che si
levò contemporaneamente contro Cesare e Pompeo e che mentre si
parteggiava per l'una o per l'altra fazione, li sfidò entrambi e
mostrò che si potevano anche tenere le parti dello stato. È poco
dire di Catone "non lo spaventano vani fragori". E perché no? Visto
che non lo spaventano quelli veri e vicini, che alza la sua voce libera contro
dieci legioni, le milizie ausiliarie galliche, le forze barbariche miste a
quelle civili ed esorta lo stato a non capitolare di fronte alla lotta per la
libertà, ma a tentare di tutto, perché cadere in schiavitù
è più onorevole che andarle incontro. 71 Che vigore, che audacia
c'è in lui, che coraggio in mezzo al panico generale! Sa che è il
solo la cui condizione non è in gioco: il problema non è se
Catone è libero, ma se vive tra uomini liberi: da qui il suo disprezzo
dei pericoli e delle spade. Piace ammirare l'invincibile fermezza di un uomo
incrollabile nella rovina generale e dire "e il superbo petto è un
rigoglio di muscoli".
72 Sarà utile non solo descrivere le qualità usuali
degli uomini virtuosi e ritrarre la loro immagine e i loro tratti
caratteristici, ma raccontare e mostrare quali furono; l'estrema e
coraggiosissima ferita di Catone attraverso la quale la libertà
esalò l'ultimo respiro; la saggezza di Lelio e l'armonia con il suo
Scipione; le azioni straordinarie dell'altro Catone, nella sfera privata e in
quella pubblica; i letti conviviali di legno di Tuberone, allestiti per un
pranzo ufficiale, con pelli di capra anziché coperte, e i vasi di argilla per i
banchetti posti proprio davanti alla cella di Giove; che altro significava se
non consacrare la povertà sul Campidoglio? Anche se non conoscessi altri
suoi gesti per metterlo tra i Catoni, questo ti sembrerebbe poco? Non fu un
pranzo, ma una censura. 73 Come ignorano quegli uomini avidi di gloria che cosa
essa sia veramente e come la si debba cercare! Quel giorno il popolo romano
vide le suppellettili di molte persone, ma ammirò quelle di uno solo.
L'oro e l'argento di tutti gli altri è stato spezzato e fuso molte volte:
i vasi d'argilla di Tuberone dureranno attraverso le generazioni. Stammi bene.
96
1 Tu ti sdegni e ti lamenti per qualche contrarietà e non
capisci che in esse non c'è niente di male, se non il tuo sdegno e i tuoi
lamenti? Vuoi il mio parere? Secondo me la sola infelicità per l'uomo
è ritenere che nella natura ci siano elementi d'infelicità. Non
sopporterò più me stesso il giorno in cui non sarò in
grado di sopportare qualche disgrazia. Sto male: fa parte del destino. La
servitù è malata, i debiti mi opprimono, la casa scricchiola,
disgrazie, danni, pene, paure mi sono piombati addosso: sono cose che
càpitano. O meglio: dovevano capitare. Non sono avvenimenti casuali:
sono decretati. 2 Vuoi credermi? Ora ti svelerò i miei intimi
sentimenti: in tutte le situazioni che appaiono avverse e critiche, mi comporto
così: non obbedisco a dio, sono d'accordo con lui: lo seguo
spontaneamente e non perché è necessario. Qualunque cosa accada non
l'accoglierò mostrandomi triste o con volto accigliato: non
pagherò nessun tributo controvoglia. Tutto ciò che ci fa piangere
o ci atterrisce è un tributo che va pagato alla vita: non sperare,
Lucilio mio, l'immunità, non chiederla nemmeno. 3 Soffri di dolori alla
vescica, sono arrivate lettere poco piacevoli, hai subìto danni
continui, - dirò di più - hai temuto per la vita. Come? Non
sapevi che augurandoti la vecchiaia, ti auguravi questo? Sono tutte disgrazie
in cui ci si imbatte in una vita lunga, come in un lungo viaggio ti imbatti
nella polvere, nel fango, nella pioggia. 4 "Ma io volevo vivere, e non
avere, però tutti questi fastidi." Parole così effeminate
sono indegne di un uomo. Vedrai tu come accogliere questo mio augurio; te lo
faccio di cuore e con animo generoso: dèi e dee non ti permettano di
essere nelle grazie della fortuna! 5 Chieditelo: se un dio ti desse
facoltà di scelta, vorresti vivere in un mercato o in un accampamento?
Ma, caro Lucilio, vivere è fare il soldato. Perciò coloro che
sono sbattuti qua e là, e costretti a percorrere per dritto e per
traverso strade faticose e difficili e affrontano spedizioni piene di rischi,
sono uomini valorosi, i primi tra i soldati; quanti, invece, si lasciano
languidamente andare a un ozio nauseante, mentre gli altri si affannano, sono
delle colombelle, e si garantiscono la sicurezza con il disonore. Stammi bene.
97
1 Hai torto, Lucilio mio, se attribuisci solo al nostro secolo la
dissolutezza, l'indifferenza alla moralità, e gli altri vizi che ognuno
rimprovera alla propria epoca: sono colpe degli uomini, non dei tempi. Non
c'è nessuna età innocente e se tu vuoi passare in rassegna secolo
per secolo la sfrenatezza, vedrai - rincresce dirlo - che la depravazione
più spudorata ci fu proprio quando visse Catone. 2 Nessuno potrebbe credere
che il denaro abbia giocato un ruolo determinante nel processo che vedeva
accusato P. Clodio di adulterio; lo aveva commesso in un penetrale con la
moglie di Cesare e aveva violato i riti religiosi di un sacrificio che, dicono,
si celebra a favore del popolo, e nel quale tutti gli uomini vengono
allontanati dallo spazio sacro in maniera così tassativa da arrivare a
velare le pitture raffiguranti animali maschi. Eppure i giudici furono comprati
e, cosa ancor più abbietta di questo patto, fu preteso per giunta lo
stupro di matrone e di nobili giovani. 3 Il delitto fu meno grave
dell'assoluzione: l'accusato di adulterio dispensò adulterî e fu sicuro
della sua salvezza solo dopo aver reso i giudici identici a se stesso. E questo
avvenne nel processo in cui, per non dir altro, uno dei testimoni era Catone.
Riferirò proprio le parole di Cicerone perché la cosa ha
dell'incredibile. 4 "Chiamò a sé i giudici, promise,
supplicò, dette. E poi, buon dio, che infamia! per soprammercato alcuni
giudici ottennero anche i favori di determinate donne e le grazie di nobili
giovani." 5 Perché recriminare per il denaro? Il peggio è stato
nelle aggiunte. "Ti piacerebbe la moglie di quel personaggio così
austero? È tua. O di questo tanto ricco? Anche lei sarà tua, te
lo garantisco. Se non si combina, condannami pure. Desideri quella bella donna?
Verrà. Ti prometto una notte con lei e presto; entro tre giorni
manterrò la mia promessa." Dispensare adulterî è più
grave che commetterli: questa è un'intimazione alle madri di famiglia. 6
I giudici di Clodio avevano chiesto e ottenuto dal senato una scorta,
necessaria solo in caso di condanna; e così, dopo l'assoluzione, Catulo
disse loro spiritosamente: "Perché ci avete chiesto una scorta? Per paura
che portassero via il denaro?" Scherzi divertenti, ma intanto Clodio,
adultero prima del processo, ruffiano durante il processo, la fece franca e
sfuggì alla condanna con atti più esecrabili di quelli per cui
l'aveva meritata. 7 Secondo te, ci fu mai corruzione maggiore di quando la
dissolutezza non la potevano frenare i riti sacri, né i processi, e in
un'inchiesta straordinaria, promossa con delibera del senato, si commisero
azioni peggiori di quelle inquisite? Si indagava se dopo un adulterio non
potesse essere al sicuro: fu chiaro che non si poteva essere al sicuro senza
adulterio.
8 Questo avvenne negli anni di Pompeo e Cesare, di Cicerone e
Catone, proprio quel Catone durante la cui magistratura, secondo quanto
raccontano, il popolo non osò chiedere gli spettacoli della dea Flora
con prostitute nude, se ti pare credibile che allora ci fosse più
rigidità negli spettacoli che nei verdetti. Questi misfatti sono
accaduti e accadranno ancora in futuro: in una città la corruzione
può finire a volte per disciplina e per paura, mai spontaneamente. 9
Pertanto non devi credere che abbiamo concesso moltissimo alla sfrenatezza e
quasi niente alle leggi: i nostri giovani sono molto più moderati di una
volta, quando l'accusato negava davanti ai giudici l'adulterio e i giudici lo
confessavano davanti all'accusato, quando si commetteva uno stupro per
celebrare un processo, quando Clodio, benvisto per gli stessi vizi per i quali
era colpevole, faceva il ruffiano perfino durante la sua difesa. Chi lo
crederebbe? Uno condannato per un solo adulterio fu assolto grazie a molti
adulterî.
10 Ogni epoca avrà i suoi Clodi, non tutte dei Catoni.
Siamo portati al peggio, intanto perché è difficile che ci manchino una
guida o un compagno e poi perché la corruzione procede da sola anche senza
guida o compagni. La strada al vizio non solo è in discesa, precipita;
c'è poi un fatto che rende la gran parte degli uomini incorreggibili: in
altri campi gli errori generano vergogna in chi li commette, mortificano chi ha
sbagliato, ma degli errori di condotta ci si compiace. 11 Il pilota non gioisce
se la barca si rovescia, e nemmeno il medico se il malato finisce nella bara, o
l'avvocato se l'imputato perde la causa per colpa della difesa, invece, tutti
si rallegrano delle proprie malefatte; uno è soddisfatto dell'adulterio,
a cui l'ha spinto proprio la difficoltà di realizzarlo; un altro di una
frode o di un furto, e non prova dispiacere per il suo peccato, ma per
l'insuccesso del medesimo. La causa sta nelle cattive abitudini. 12 Sappi del
resto che il senso del bene, sotto, sotto, si trova anche negli animi
più abietti, e che la disonestà non è ignorata, ma
trascurata; tutti celano le loro colpe e, anche se hanno un felice esito, ne
godono i frutti, ma di nascosto. La buona coscienza, invece, vuole mostrarsi e
farsi notare: la malvagità ha paura anche del buio. 13 Quindi, secondo
me, Epicuro ha detto bene: "Càpita che un delinquente rimanga
nascosto, ma non ne può avere la certezza", oppure, se per te il
significato è più chiaro in questo modo: "Ai colpevoli non
serve stare nascosti, perché, anche se ne hanno la fortuna, non ne hanno la
certezza". È vero, chi commette un delitto può starsene al
sicuro, ma non essere tranquillo. 14 Non credo che questo pensiero, spiegato
così, sia in contrasto con la nostra scuola. Perché? Perché la prima e
più grave punizione dei colpevoli consiste nella colpa commessa, e
nessun delitto, per quanto la fortuna lo colmi di doni, lo protegga e lo
difenda, rimane impunito: il castigo del delitto sta nel delitto stesso. E
tuttavia, a questa punizione se ne aggiungono e incalzano altre: la continua
paura, il terrore e l'eterna insicurezza. Perché liberare la malvagità
da questo tormento? Perché non tenerla sempre nell'incertezza? 15 Noi non siamo
d'accordo con Epicuro quando dice che niente è giusto per natura e che i
delitti si devono evitare perché la paura è inevitabile; condividiamo,
invece, che le cattive azioni sono torturate dalla coscienza: il suo maggior
tormento è l'essere straziata senza tregua da un'ansia continua e il non
poter credere a chi promette tranquillità. È proprio questa la
prova, caro Epicuro, che noi aborriamo la criminalità per disposizione
naturale: tutti i delinquenti hanno paura, anche se sono al sicuro. 16 La sorte
libera molti dalla prigione, nessuno dalla paura. Perché? Perché è
radicata in noi la ripugnanza per un'azione condannata dalla natura. Per questo
anche chi sta nascosto non è mai sicuro di rimanerlo: la coscienza lo
accusa e lo smaschera a se stesso. Vivere in ansia è proprio dei
colpevoli. Molti delitti sfuggono alla legge, ai giudici, alle pene sancite
dalla legge: sarebbe, quindi, grave per gli uomini se i criminali non
scontassero sùbito le dure punizioni della natura e la paura non
prendesse il posto delle pene. Stammi bene.
98
1 Non è felice, credimi, chi dipende dal benessere
materiale. Poggia su fragili basi e gode di beni che vengono dal di fuori: la
gioia, come è venuta, se ne andrà. Quella che scaturisce
dall'intimo, invece, è durevole e stabile, cresce e ci accompagna fino
all'ultimo: gli altri beni, apprezzati dalla massa, durano un giorno. "Ma
come? Non possono essere utili e piacevoli?" Chi dice di no? Ma solo se
dipendono loro da noi, non noi da loro. 2 Tutti i beni soggetti alla fortuna
diventano fruttuosi e gradevoli, se chi li possiede, possiede anche se stesso e
non è in balia delle cose. È un errore, Lucilio mio, pensare che
la fortuna ci concede o il bene o il male: essa ci dà materia di bene e
di male e i fondamenti di quello che si tradurrà per noi in male o in
bene. L'anima è più forte di ogni fortuna, indirizza da sé le
cose in un senso o nell'altro ed è causa della propria felicità o
infelicità. 3 Se è malvagia volge tutto in male, anche quello che
appariva ottimo; se è virtuosa e pura, corregge i mali della fortuna,
addolcisce le difficoltà, gli affanni e sa sopportarli, accoglie la
prosperità con gratitudine e moderazione, l'avversità con
fermezza e coraggio. Ma sebbene sia saggia e agisca sempre ponderatamente,
sebbene non tenti nulla al di sopra delle sue forze, non raggiungerà mai
quel bene incorrotto, che non conosce minacce, se non si erge salda contro i
capricci della fortuna. 4 Se osserverai gli altri - giudichiamo più
serenamente quando non si tratta di noi - o te stesso, cercando di essere
obiettivo, ti accorgerai e dovrai ammettere che delle cose desiderabili e
gradite nessuna è utile se non sarai pronto ad affrontare la
volubilità del caso e dei beni che seguono il caso, se ad ogni male non
ripeterai, spesso, senza lamentarti queste parole:
Gli dèi hanno deciso diversamente.
5 Anzi, per dio, voglio trovare un verso più incisivo e
più giusto per sostenere meglio la tua anima: ogni volta che gli eventi
tradiranno le tue aspettative, di': "Gli dèi hanno deciso
meglio." Se uno si comporta così, niente lo coglierà di
sorpresa. Ma questo atteggiamento lo terrà se avrà preso in
considerazione, prima di sperimentarle, le possibili conseguenze delle vicende
umane e se godrà dei figli, del coniuge, dei beni come se non dovesse
goderne per sempre e non diventasse più infelice perdendoli. 6 È
proprio misera l'anima inquieta per il futuro e infelice prima che
l'infelicità arrivi, angosciata che i beni di cui gode non durino fino
alla morte; non troverà mai pace e nell'attesa del futuro perderà
i beni presenti, di cui avrebbe potuto godere. Il dolore per la perdita di un
bene e il timore di perderlo sono sentimenti sullo stesso piano. 7 Ma non per
questo ti consiglio l'indifferenza. Evita i mali temibili, prevedi quanto si
può saggiamente prevedere, spia e allontana molto prima che si verifichi
tutto quello che ti può danneggiare. A questo scopo ti servirà
molto la fiducia in te stesso e un animo risoluto a sopportare ogni disgrazia.
Può guardarsi dalla sorte chi è in grado di sopportarla; certo
una persona tranquilla non si lascia sconcertare. Non c'è cosa
più misera e sciocca che temere prima del tempo: è da pazzi
prevenire i propri mali. 8 Voglio, infine, esprimerti brevemente quello che
provo e descriverti questi uomini che si affannano e sono gravosi a se stessi:
mancano di misura sia nelle disgrazie che prima. Si duole più del
necessario chi si duole prima del necessario: è debole e non sa valutare
il dolore, come non sa aspettarlo; con la stessa sfrenatezza immagina eterna la
sua felicità, crede che i beni avuti in sorte debbano non solo durare,
ma aumentare e, dimentico dell'instabilità delle vicende umane,
presagisce per lui solo la stabilità dei doni della fortuna. 9 Secondo
me è molto bella l'affermazione di Metrodoro in quella lettera
indirizzata alla sorella che aveva perso un figlio di qualità
eccezionali: "Ogni bene dei mortali è mortale." Parla dei beni
che tutti bramano: il vero bene, saggezza e virtù, non muore, è
sicuro ed eterno; è l'unica cosa immortale che tocca ai mortali. 10 Ma gli
uomini sono tanto insensati e dimentichi della meta a cui li spinge ogni giorno
che passa, che si stupiscono di perdere qualcosa, quando in un solo giorno
perderanno tutto. Tutti i beni di cui pretendi d'essere il padrone, li hai con
te, ma non sono tuoi; non c'è niente di sicuro per chi è insicuro,
niente di eterno e di duraturo per chi è caduco. È inevitabile
tanto perdere la vita, quanto perdere i beni e, se lo comprendiamo, proprio
questo è un conforto. Impara a perdere tutto serenamente: dobbiamo
morire.
11 Per fronteggiare queste perdite che cosa ci può essere
di aiuto? Questo: ricordiamoci dei beni perduti e non lasciamo che con essi
svaniscano i frutti che ce ne sono derivati. Ce ne viene tolto il possesso, non
il fatto di averli posseduti. È davvero un ingrato chi, quando perde
qualcosa, non si sente debitore per averla avuta. Il caso ci sottrae un bene,
ce ne lascia, però l'usufrutto, e noi lo perdiamo con i nostri ingiusti
rimpianti. 12 Di' a te stesso: "Nessuno di questi mali che sembrano
terribili, è invincibile." Tanti uomini in passato ne hanno vinto
ora l'uno, ora l'altro: Muzio il fuoco, Regolo il supplizio, Socrate il veleno,
Catone la morte infertasi con la spada: vinciamone anche noi qualcuno. 13
D'altra parte questi beni che, belli e fecondi in apparenza, attraggono la
massa, molti individui li hanno spesso disprezzati. Fabrizio, quando era
comandante dell'esercito, rifiutò la ricchezza, e da censore la
biasimò; Tuberone giudicò la povertà degna di lui e del
Campidoglio, quando, servendosi di stoviglie di terracotta per un pranzo ufficiale,
dimostrò che l'uomo deve contentarsi di quello che ancòra si usa
nei sacrifici agli dèi. Suo padre, Sestio, che per nascita sarebbe
dovuto entrare nella carriera politica, rifiutò le cariche e non
accettò la dignità senatoria che Giulio Cesare gli offriva:
capiva che quanto può essere dato, si può anche togliere.
Compiamo pure noi qualche azione coraggiosa, diventiamo un esempio per gli
altri. 14 Perché arrenderci? Perché disperare? Tutto quello che è stato
possibile fare in passato, lo si può fare oggi, purché manteniamo pura
l'anima e seguiamo la natura: chi se ne allontana, sarà schiavo della
paura, delle passioni e del caso. Si può tornare sulla retta via, si
può recuperare l'integrità perduta: recuperiamola, potremo
sopportare ogni tipo di dolore fisico e dire alla sorte: "Hai a che fare
con un vero uomo: per vincere cercati un altro".
15 * * * Con questi discorsi e con altri simili si lenisce la
virulenza di quella ferita che io desidero, per dio, si mitighi e guarisca,
oppure non peggiori e invecchi con lui. Ma per lui io sono tranquillo; il danno
è nostro: ci viene strappato un vecchio straordinario. Egli ha vissuto
abbastanza e non vuole vivere ancora per sé, ma per quelli a cui è
utile. 16 Vivere, per lui, è un atto di generosità: un altro l'avrebbe
ormai fatta finita con questi tormenti: fuggire la morte lo considera infame,
quanto rifugiarsi in essa. "Ma come? Se la situazione lo consiglia, non
lascerà la vita?" E perché no, se non servirà più a
nessuno, non gli resterà altro che soffrire? 17 Questo significa,
Lucilio mio, imparare la filosofia attraverso l'azione ed esercitarsi a
contatto con la realtà: vedere che coraggio dimostra il saggio di fronte
alla morte quando si avvicina, di fronte al dolore quando l'opprime; che cosa
si debba fare, impariamolo da chi lo fa. 18 Finora si è cercato di
argomentare se si possa resistere al dolore oppure se la morte, una volta
vicina, possa piegare anche gli animi grandi. Che bisogno c'è di parole?
Veniamo ai fatti: la morte non rende il saggio più coraggioso di fronte
al dolore, né il dolore di fronte alla morte. Contro l'una e l'altro egli fa
affidamento solo su se stesso e soffre con pazienza non perché speri di morire,
e muore volentieri non perché sia stanco del dolore: il dolore lo sopporta, la morte
l'aspetta. Stammi bene.
99
1 Ti mando la lettera che ho scritto a Marullo: ha perso un figlio
ancòra piccolo e, dicono, si comporta da debole: in essa non ho fatto
come si fa di solito e non ho ritenuto di doverlo trattare con dolcezza: merita
rimproveri più che conforto. Per un po' bisogna essere accomodanti con
chi è afflitto e mal sopporta una grave ferita: si sazi o almeno sfoghi
il primo impeto di cordoglio: 2 ma se uno sceglie di piangere deve essere
rimproverato sùbito e imparare che anche le lacrime sono a un certo modo
sconvenienti.
"Aspetti un conforto? Riceverai, invece, dei rimproveri. Ti
comporti così da debole per la morte di un figlio; che faresti se avessi
perso un amico? È morto un figlio di incerte speranze, ancòra
piccolo: il tempo perduto è poco. 3 Noi cerchiamo motivi di dolore e
vogliamo, anche a torto, lamentarci della sorte, come se non ci desse fondate
ragioni di pianto; ma, per dio, mi sembravi abbastanza forte anche di fronte ai
mali concreti, tanto più verso queste parvenze di mali di cui gli uomini
si lagnano per abitudine. Se pure avessi perso un amico, che di tutte è
la perdita più grave, dovresti cercare di gioire per averlo avuto,
più che piangere per averlo perso. 4 Ma la maggior parte della gente non
tiene conto dei beni ricevuti, delle gioie provate. Questo dolore ha un difetto
tra gli altri: oltre che inutile, è ingrato. E dunque, aver avuto un
amico simile è stato infruttuoso? Tanti anni, tanta comunione di vita,
tanti studi fatti amichevolmente in comune, non sono serviti a niente? Insieme
all'amico seppellisci l'amicizia? E perché ti duoli di averlo perso, se averlo
avuto non ti serve a niente? Credimi, gran parte delle persone che abbiamo
amato, anche se la morte li ha rapiti, ci rimane vicina; il passato ci appartiene
e solo quello che è stato si trova al sicuro. 5 Non siamo riconoscenti
per i beni ricevuti, perché speriamo nel futuro, quasi che il futuro, se pure
arriva, non si trasformi velocemente in passato. Chi gioisce solo del presente
limita a poco i vantaggi della vita: futuro e passato sono fonte di piacere,
l'uno con l'attesa, l'altro con il ricordo, ma il primo è incerto e
può anche non realizzarsi, il secondo non può non essere
esistito. È da pazzi perdere il più sicuro dei beni! Sentiamoci
soddisfatti delle gioie già gustate, purché il nostro animo non se le
sia lasciate sfuggire tutte, come un vaso rotto perde il contenuto.
6 Sono innumerevoli gli esempi di uomini che hanno celebrato senza
piangere i funerali di figli adolescenti, che dal rogo sono tornati in senato o
ai pubblici affari e si sono occupati sùbito d'altro. E a ragione: prima
di tutto, è inutile dolersi se il dolore non ti serve a niente; e poi
è ingiusto lagnarsi di quanto ora succede a uno: è una sorte
riservata a tutti; inoltre, querimonie e rimpianti sono da insensati: la
distanza fra la persona perduta e chi la rimpiange è breve. Dobbiamo,
dunque, rassegnarci, perché seguiamo a ruota chi abbiamo perduto. 7 Considera
come il tempo fugga via rapidissimo, pensa alla brevità di questo cammino
che percorriamo precipitosamente, di corsa, osserva come l'umanità tutta
tenda alla medesima meta, a intervalli brevissimi, anche se sembrano molto
lunghi: la persona che secondo te è scomparsa, in realtà ti ha
preceduto. Anche tu devi percorrere quel cammino, e allora non è da
pazzi piangere chi è andato avanti? 8 Forse che uno piange di un fatto
che sapeva sarebbe accaduto? Oppure, se pensava che un uomo potesse essere
immortale, si è voluto ingannare da sé. Piange uno di un fatto che lui
stesso definiva inevitabile? Chi lamenta la morte di qualcuno, lamenta che sia
stato un uomo. Siamo tutti schiavi dello stesso destino; se uno nasce, deve
morire. 9 Sia pure in tempi diversi, la fine è uguale per tutti. Il
tempo che vivi fra il primo e l'ultimo giorno è vario e indefinito:
lungo anche per un bambino, se consideri le pene, breve anche per un vecchio,
se ne consideri la rapidità. Tutto è instabile, fallace e
più mutevole di ogni burrasca: tutto è sconvolto e muta per i
capricci della sorte: fra tanto variare delle vicende umane, la sola cosa certa
è la morte; eppure, tutti si lamentano della sola cosa che non inganna
nessuno.
10 "Ma è morto bambino." Non ho ancora detto che
sia meglio se uno muore presto; passiamo a chi invecchia: come supera di poco
un bambino! Immagina di abbracciare l'immensità del tempo e l'universo,
poi paragona all'infinito quella che chiamiamo vita umana: vedrai come è
poca cosa questa vita che desideriamo e cerchiamo di prolungare. 11 Che parte
ne occupano le lacrime, gli affanni? E la morte desiderata prima dell'ora e le
malattie e la paura? Che parte ne hanno gli anni dell'inesperienza o quelli
inutili della vecchiaia? La metà della vita, poi, la passiamo dormendo.
Aggiungi fatiche, dolori, pericoli e capirai che anche di una vita lunghissima
se ne vive una minima parte. 12 Ma chi ti dice che non stia meglio chi
può tornarsene presto, chi finisce il suo cammino prima di essere
stanco? La vita non è un bene, e neppure un male: comprende bene e male.
Così quel bambino ha perso solo il rischio, forse la certezza di
disgrazie maggiori. Sarebbe potuto diventare un uomo misurato e saggio,
formarsi al meglio, sotto le tue cure. Ma - e sono timori fondati - avrebbe
potuto diventare simile alla massa. 13 Guarda quei giovani di nobilissima famiglia
che la dissolutezza ha gettato nell'arena; guarda quei giovani senza pudore che
soddisfano reciprocamente le proprie e le altrui voglie; non passa giorno senza
che siano ubriachi, senza che si macchino di qualche grave infamia; ti
sarà chiaro che i timori sarebbero stati maggiori delle speranze. Non
procurarti, perciò motivi di dolore e non accrescere col tuo sdegno
contrarietà di poco conto. 14 Non ti esorto a fare ogni sforzo per
sollevarti: non ti giudico così male da pensare che tu debba fare appello
a tutta la tua virtù per fronteggiare questa disgrazia. Non è
dolore questo, è una fitta: sei tu a farne un dolore. Sicuramente la
filosofia ti ha giovato molto, se non ti abbandoni al rimpianto per un bambino
più conosciuto alla nutrice che al padre.
15 E che? Ora ti consiglio forse la durezza e voglio che il tuo
volto rimanga impassibile perfino durante il funerale e non concedo nemmeno che
ti si stringa il cuore? No, niente affatto. È crudeltà, non
virtù, guardare la sepoltura dei propri cari con gli stessi occhi con
cui li vedevi in vita e non commuoversi al momento del distacco dai familiari.
Ma immagina che io te lo vieti: certe reazioni sono incontrollate; le lacrime
cadono anche se uno cerca di trattenerle e sgorgando dànno sollievo
all'anima. 16 E allora? Lasciamole scendere, ma non a comando; scorrano secondo
l'impeto della commozione, non per imitare gli altri. Non accresciamo la nostra
tristezza e non esageriamola sull'esempio altrui. L'ostentazione del dolore
esige più del dolore: quanti sono tristi per se stessi? Se c'è
gente che li ascolta, si lamentano ad alta voce, e mentre da soli se ne stanno
calmi e silenziosi, appena vedono qualcuno riprendono di nuovo a piangere; si
percuotono il capo (cosa che avrebbero potuto fare più liberamente quando
nessuno glielo impediva), si augurano la morte, si rotolano sul letto:
scomparso il pubblico, scompare il dolore. 17 Anche in questa, come in altre
circostanze, facciamo lo sbaglio di uniformarci all'esempio della maggioranza e
badiamo alle consuetudini, non alla convenienza. Ci allontaniamo dalla natura,
ci offriamo al popolo, cattivo consigliere sempre, ed estremamente volubile in
questo frangente come in tutti gli altri. Vede uno che sopporta con coraggio il
proprio dolore? Lo definisce empio e crudele. Vede un altro svenire e gettarsi
sul cadavere del parente, dice che è effeminato e debole. 18 Bisogna,
dunque, ricondurre tutto alla ragione. La cosa più sciocca è
cercare di farsi una nomea di tristezza e considerare giuste le lacrime. Ci
sono lacrime, secondo me, alle quali il saggio si abbandona e altre che non
può trattenere. Ecco la differenza. Appena arriva, la notizia di una
morte prematura ci sconvolge, e quando stringiamo il cadavere che dalle nostre
braccia passerà sul rogo, per una legge di natura ci sgorgano le lacrime
e il respiro sotto la morsa del dolore ci sconvolge tutto il corpo e pure gli
occhi facendone uscire il vicino umore. 19 Queste lacrime ci cadono
involontariamente per compressione interna. Invece quelle cui diamo via libera se
ripensiamo ai nostri cari scomparsi sono diverse e nella nostra tristezza
c'è un che di dolce quando ci tornano alla memoria i loro amabili
discorsi, la loro allegra compagnia, il loro premuroso affetto, e in quel
momento gli occhi si aprono al pianto come nella gioia. A queste lacrime ci
abbandoniamo, dalle prime siamo vinti. 20 Non dobbiamo, perciò
trattenerle o versarle perché c'è qualcuno intorno o vicino a noi:
fingere è vergognoso sia nell'uno che nell'altro caso: le lacrime scorrano
spontanee. Possono, però scorrere in modo pacato e composto; spesso,
senza perdere il proprio prestigio, il saggio le ha versate con tale misura da
mantenere umanità e decoro. 21 Si può secondo me, seguire la
natura salvando la dignità. Al funerale dei propri cari, ho visto
persone degne di rispetto che sul volto portavano scritto l'amore, senza
manifestazioni esteriori di lutto: ogni atteggiamento scaturiva da sentimenti
sinceri. Pure il dolore ha un suo decoro; il saggio lo deve mantenere e, come
in tutto il resto, anche nelle lacrime c'è un limite: gli uomini
dissennati, invece, eccedono e nella gioia e nel dolore.
22 Accogli serenamente l'inevitabile. Che cosa è successo
di straordinario, d'insolito? Per quanti uomini proprio adesso si prendono
accordi per il funerale, per quanti si comprano i paramenti funebri, quanti
piangono dopo di te! Quando penserai che era solo un bambino, pensa anche che
era un uomo, e per l'uomo non ci sono certezze e la fortuna non lo conduce
necessariamente alla vecchiaia: lo congeda a suo piacimento. 23 Per il resto
parla sovente di lui, esalta quando puoi il suo ricordo: ti ritornerà
più spesso alla memoria, se non sarà doloroso: nessuno sta
volentieri con una persona triste, tanto meno con la tristezza. Se avevi ascoltato
con piacere qualche suo discorso, qualche battuta spiritosa anche se di
bambino, ricordali di frequente; afferma senza esitazione che avrebbe potuto
realizzare le speranze che tu come padre avevi concepito. 24 Dimenticarsi dei
propri cari e seppellirne col cadavere il ricordo, piangere a dirotto e poi
ricordarli raramente, è disumano. Gli uccelli, le belve amano
così i loro piccoli: il loro amore è ardente e quasi furioso, ma,
quando li hanno perduti, si estingue interamente. È un comportamento indegno
di un saggio: mantenga il ricordo, ma smetta di piangere.
25 Non sono affatto d'accordo con l'affermazione di Metrodoro:
c'è un piacere affine alla tristezza e lo dobbiamo cogliere in queste
circostanze. Ti trascrivo qui di seguito proprio le sue parole:
$Ìçôñïäþñïõ dðéóôïëí
ðñ'ò ôxí PäåëöÞí. IÅóôéí ãÜñ
ôéò 1/2äïíx$ ‹$ëýðw
óõããåíÞò, |í ÷ñz
èçñåý$›$åéí êáôN ôï(tm)ôïí ô'í
êáéñüí$. 26 Non ho dubbi sul tuo giudizio in proposito; niente
è più infame che dar la caccia al piacere proprio nel dolore,
anzi tramite il dolore, e cercare un godimento anche fra le lacrime. Sono
questi gli individui che ci rinfacciano un'eccessiva severità e accusano
di durezza i nostri insegnamenti, perché diciamo che il dolore non va accolto
nell'anima oppure va scacciato subito. E dunque, è più
incredibile o più disumano non soffrire per la perdita di un amico o
andare in cerca del piacere proprio nel dolore? 27 Il nostro insegnamento
è onesto: quando abbiamo versato qualche lacrima e l'urgenza dei
sentimenti è, come dire, sbollita, non dobbiamo abbandonarci al dolore.
Ma come? Tu vuoi mescolare il piacere al dolore? Così con uno zuccherino
consoliamo i bimbi, così ne plachiamo il pianto dandogli del latte.
Neppure mentre tuo figlio brucia nel rogo e l'amico si spegne, ammetti che il
piacere venga meno, ma vuoi solleticare perfino la tristezza? È
più onesto scacciare dall'animo il dolore o accordare il piacere anche
al dolore? "Accordare" dico? si cerca di averlo e proprio dal dolore!
28 "Esiste un piacere," affermano, "affine alla tristezza."
Questo lo possiamo dire noi, non voi. Voi conoscete un solo bene, il piacere, e
un solo male, il dolore: che affinità ci può essere fra il bene e
il male? Ma immagina che ci sia: la scopriamo proprio adesso? E scrutiamo il
dolore per vedere se porta con sé qualcosa di piacevole e di voluttuoso? 29
Rimedi salutari per certe parti del corpo non si possono usare per altre,
perché sono indecenti e sconvenienti, e quello che altrove gioverebbe senza
ledere il pudore, diventa indecoroso per il punto della ferita: non ti vergogni
di guarire un dolore con il piacere? Questa piaga va curata più
seriamente. Ricordati piuttosto che chi è morto non sente nessun male:
se lo sente, non è morto. 30 Niente fa soffrire chi non c'è
più, ti ripeto: se soffre, è vivo. Pensi che una persona stia
male perché non esiste più o perché esiste ancòra? Eppure non
può soffrire per il fatto di non esistere (ha forse sensibilità
il nulla?) e nemmeno per il fatto di esistere, poiché in questo caso è
sfuggito al danno più grave della morte: il non essere. 31 Se uno
è in lacrime e rimpiange il figlio morto nella prima infanzia,
diciamogli anche questo: noi tutti, giovani e vecchi, per la brevità
della nostra vita, se confrontata con l'universo, siamo nella medesima
condizione. Di tutto il tempo a noi tocca meno di quello che uno potrebbe
definire il minimo, perché il minimo è pur sempre una parte: la nostra
vita è quasi un nulla; e tuttavia, pazzi, facciamo progetti a lungo
termine.
32 Ti scrivo questo non perché tu aspetti da me un rimedio
così tardivo (sono certo che ti sei già detto tutto quanto
leggerai), ma per rimproverarti quel breve momento di esitazione in cui hai
deviato da te stesso, e incitarti per l'avvenire a farti animo contro la
fortuna e a guardare a tutti i suoi colpi non come eventuali, ma come sicuri.
Stammi bene.
100
Inoltre, i pareri sullo stile sono discordi: certi vogliono che la
bellezza derivi dalla semplicità, a certi altri piace la durezza al
punto che, se per caso qualche frase risulta troppo dolce, la guastano di
proposito e spezzano le clausole per renderle inaspettate. 7 Leggi Cicerone: il
suo stile è unitario, segue un ritmo lento, è dolce, ma senza
eccessi. Invece quello di Asinio Pollione è scabro, ineguale e si ferma
quando meno te l'aspetti. Insomma, in Cicerone i periodi terminano, in Pollione
si interrompono, tranne pochissime eccezioni in cui sono legati a un ritmo
determinato e a un unico modello.
8 Affermi, inoltre, che secondo te in Fabiano tutto è terra
terra e poco elevato: a mio parere è un difetto che non ha. Le sue
espressioni non sono terra terra, ma pacate, e nascono da uno stato d'animo
tranquillo e sereno; non sono basse, ma chiare. Mancano di vigore oratorio, di
quella capacità di incitare, che tu chiedi, e di colpire con frasi
inattese; ma l'insieme, ne avrai notata l'eleganza, è bello. La sua
eloquenza è priva di grandiosità, ne dà, tuttavia, il
senso. 9 Citami qualche scrittore da anteporre a Fabiano. Cicerone, i cui libri
di filosofia sono all'incirca numerosi quanto quelli di Fabiano; d'accordo, ma
se uno è inferiore a chi è grandissimo, non per questo è
da poco. Asinio Pollione: va bene; però ti rispondo: occupare il terzo
posto in un campo così importante equivale a distinguersi. Fai
ancòra il nome di Tito Livio; ha scritto anche dei dialoghi che si
possono considerare storici e filosofici, e dei libri specificatamente
filosofici: faccio posto anche a lui. Vedi, tuttavia, quanti autori si lasci
alle spalle uno che è superato solo da tre e per giunta
straordinariamente eloquenti.
10 Fabiano, però non eccelle in tutto: la sua eloquenza non
è vigorosa, anche se elevata; non è impetuosa e irruente, anche
se sciolta; è schietta, ma non limpida. "Le sue parole," dici
"dovrebbero essere più severe contro i vizi, più coraggiose
contro i pericoli, più altere contro la fortuna, più oltraggiose
contro l'ambizione. Vorrei che biasimasse il lusso, schernisse la libidine,
rintuzzasse la prepotenza. Che ci fosse in lui la veemenza dell'oratoria, la
grandezza della tragedia, l'asciuttezza della commedia." Tu vorresti che
Fabiano badasse a una cosa da poco: le parole; lui si è dedicato alla
grandezza dell'argomento, e si è trascinato dietro l'eloquenza come
un'ombra, senza curarsene. 11 I singoli elementi sono senza dubbio poco
meditati e mal collegati tra loro, non tutte le parole sono accese e pungenti,
lo ammetto: molte espressioni passano inosservate, senza colpire, e il discorso
talvolta scorre via senza nerbo; ma in ogni pagina ci sono sprazzi di luce e ne
puoi scorrere lunghi brani senza annoiarti. Infine, ti sarà chiaro che
egli sentiva le cose che ha scritto. Capirai che non ha voluto piacere a te, ma
farti sapere ciò che a lui piaceva. L'intera opera tende a rendere
migliori, a educare lo spirito: non cerca il plauso.
12 Sono certo che i suoi scritti sono di questo tipo, anche se,
più che averli presenti, ne ho un vago ricordo, e le loro
caratteristiche non le ho bene impresse, come avviene dopo una lettura recente,
ma li ricordo in modo sommario: sono frutto di una conoscenza di vecchia data;
quando lo ascoltavo parlare, i suoi discorsi mi sembravano, se non connessi in
maniera organica, consistenti, cioè capaci di elevare un giovane di
indole onesta e di spingerlo all'emulazione con buone speranze di superare il
suo modello: e questo mi pare un incoraggiamento efficacissimo. Distoglie i
giovani, chi suscita in loro il desiderio di imitarlo, ma li priva della
speranza di riuscire. Del resto la sua eloquenza era sovrabbondante e magnifica
nell'insieme, nonostante le singole componenti non avessero pregi particolari.
Stammi bene.
101
1 Ogni giorno, ogni ora ci mostra che siamo un nulla e con qualche
nuovo argomento ricorda a noi dimentichi la nostra caducità, e mentre
concepiamo progetti come se fossimo eterni ci costringe a guardare alla morte.
Chiedi che cosa significhi questa premessa? Tu conosci Cornelio Senecione,
cavaliere romano illustre e cortese: da un'umile origine era arrivato in alto,
destinato a ulteriori e facili successi. L'inizio di una carriera è
più difficile che il suo sviluppo. 2 Anche il denaro tarda molto ad
arrivare, se uno è povero: alla povertà si rimane attaccati,
finché non si riesce a tirarsene fuori. Senecione ormai mirava ad arricchirsi e
a questo lo portavano due qualità validissime: la capacità di
procurarsi il denaro e quella di conservarlo; sarebbe bastata una sola delle
due a renderlo ricco. 3 Quest'uomo molto frugale, che aveva cura tanto del
patrimonio quanto del suo corpo, mi aveva fatto visita al mattino, come
d'abitudine, e aveva poi assistito per l'intera giornata, fino a notte, un
amico gravemente malato che giaceva a letto senza speranza di guarigione; dopo
aver cenato allegramente, colpito da un male fulminante, l'angina, a stento
sopravvisse fino all'alba rantolando con le vie respiratorie bloccate. È
morto, dunque, pochissime ore dopo aver svolto tutte le attività proprie
di un individuo sano e in forze.
4 Quell'uomo, che faceva girare il denaro per terra e per mare,
che aveva partecipato anche a pubblici appalti e non aveva tralasciato nessun
tipo di guadagno, proprio quando le cose si mettevano bene, proprio quando il
denaro arrivava in abbondanza, è scomparso.
Innesta ora i peri, Melibeo, disponi le viti in filari.
Come è insensato disporre della propria vita, se non siamo
padroni neppure del domani! Come sono pazzi quelli che danno il via a progetti
lontani nell'avvenire: comprerò, costruirò, darò denaro in
prestito, ne riscuoterò, ricoprirò cariche, e alla fine
passerò in ozio, stanco e soddisfatto, la vecchiaia. 5 Credimi: tutto
è incerto, anche per gli uomini fortunati; nessuno deve ripromettersi
niente per il futuro; anche quello che abbiamo fra le mani ci sfugge e il caso
tronca l'ora stessa che stringiamo. Il tempo passa secondo una legge
determinata, ma a noi sconosciuta: e che mi importa se per la natura è
certo quello che per me è incerto? 6 Ci proponiamo lunghi viaggi per
mare e un ritorno in patria lontano nel tempo, dopo aver vagato per lidi
stranieri; imprese militari e tardive ricompense di fatiche guerresche,
amministrazioni di province e avanzamenti di carriera, di carica in carica,
mentre la morte ci sta accanto; e poiché non ci pensiamo mai, se non quando
tocca agli altri, di tanto in tanto ci vengono messi davanti esempi della
nostra mortalità, che, però, durano in noi solo quanto il nostro
stupore. 7 Ma niente è più sciocco che stupirsi che accada un
giorno quanto può accadere ogni giorno. Il termine della nostra vita sta
dove l'ha fissato l'inesorabile ineluttabilità del destino; ma nessuno
di noi sa quanto si trovi vicino alla fine; disponiamo, perciò la nostra
anima come se fossimo arrivati al momento estremo. Non rinviamo niente;
chiudiamo ogni giorno il bilancio con la vita. 8 Il difetto maggiore
dell'esistenza è di essere sempre incompiuta e che sempre se ne rimanda
una parte. Chi dà ogni giorno l'ultima mano alla sua vita, non ha
bisogno di tempo; da questo bisogno nascono la paura e la brama del futuro che
rode l'anima. Non c'è niente di più triste che chiedersi quale
esito avranno gli eventi futuri; se uno si preoccupa di quanto gli resta da
vivere o di come, è agitato da una paura inguaribile. 9 Come sfuggire a
questa inquietudine? In un solo modo: la nostra vita non deve protendersi
all'avvenire, deve raccogliersi in se stessa; chi non è in grado di
vivere il presente, è in balia del futuro. Ma quando ho pagato il debito
che avevo con me stesso, quando ho ben chiaro in testa che non c'è
differenza tra un giorno e un secolo, posso guardare con distacco il
susseguirsi dei giorni e degli eventi futuri e pensare sorridendo al succedersi
degli anni. Se uno è saldo di fronte all'incerto, non può
turbarlo la varietà e l'incostanza dei casi della vita. 10 Affrettati,
perciò a vivere, Lucilio mio, e i singoli giorni siano per te una vita.
Chi si forma così e ogni giorno vive compiutamente la sua vita, è
tranquillo: se uno vive nella speranza, si sente sfuggire anche il tempo
più vicino e subentra in lui l'avidità della vita e
l'infelicissima paura della morte che rende altrettanto infelice ogni cosa.
Nasce da qui quel vergognosissimo voto di Mecenate che non rifiuta malattie e
deformità e in ultimo il supplizio del palo, pur di continuare a vivere
anche tra queste sventure:
11 rendimi storpio di una mano, zoppo di una gamba, fammi crescere
la gobba, fammi cadere i denti: purché continui a vivere, va bene; conservami
la vita anche su un palo di tortura.
12 Egli si augura un destino che sarebbe molto infelice, se si
realizzasse, e pur di vivere, chiede un supplizio continuo. Lo considererei
già spregevolissimo se volesse vivere fino al momento di salire al
patibolo: "Storpiami pure," dice, "purché lo spirito vitale
rimanga in questo corpo senza forze e inservibile; sfigurami, purché, mostruoso
e deforme, io possa vivere ancòra un po'; impalami, crocifiggimi":
vale la pena comprimere la propria ferita e penzolare dalla forca con gli arti
slogati, pur di rimandare la cosa più desiderabile quando si soffre: la
fine dei tormenti? Val la pena di avere la vita per esalarla? 13 Che cosa
potresti augurargli se non la benevolenza degli dèi? A che mirano questi
versi turpemente effeminati? A che questo patto nato da una paura
insensatissima? E questo mendicare così sconciamente la vita? Potresti
pensare che Virgilio abbia mai recitato a Mecenate questo verso:
Morire è, dunque, così triste?
Egli si augura i mali più atroci e desidera prolungare e
sopportare le sofferenze più terribili: che ci guadagna? Una vita
più lunga naturalmente. Ma che vita è agonizzare a lungo?
102
1 Quando uno fa un bel sogno, trova fastidiosa la persona che lo
sveglia, poiché gli toglie un piacere falso, sì, ma che ha effetti
realistici. La tua lettera mi ha procurato un dispiacere analogo: mi ha
distolto dalla meditazione conveniente in cui ero concentrato e che, potendo,
non avrei interrotto. 2 Indagavo con piacere sull'immortalità
dell'anima, anzi, perbacco, ci credevo; ero pronto ad accogliere l'opinione di
grandi uomini che promettono, più che dimostrare, una realtà
graditissima. Mi abbandonavo a una così straordinaria speranza, provavo
ormai disgusto di me stesso, disprezzavo i resti di un'esistenza infranta, per
passare all'eternità, nel possesso di ogni tempo, quando l'arrivo della
tua lettera mi ha improvvisamente risvegliato e ho perduto un sogno tanto
bello. Ma, quando ti avrò congedato, voglio riprenderlo e
riconquistarlo.
3 Tu affermi all'inizio della lettera che non ho spiegato
interamente la questione, quando ho tentato di dimostrare la tesi degli Stoici:
la gloria che si ottiene dopo la morte è un bene. Non avrei,
cioè, risposto all'obiezione che ci viene rivolta: "Non c'è
bene dove c'è separazione; e, in questo caso, c'è
separazione." 4 Quello che mi chiedi, Lucilio mio, rientra nella stessa
questione, ma è un altro punto, perciò avevo rimandato questo e
altri problemi riguardanti il medesimo argomento; infatti, come sai, certe
parti della logica sono unite alla morale. E così, prima ho trattato
quella parte che riguarda direttamente la morale: se non sia insensato e
inutile spingere le proprie preoccupazioni oltre l'ultimo giorno, se i nostri
beni finiscano con noi e non resti più niente della persona scomparsa,
se di una cosa che, quando accadrà non la percepiremo, si possa cogliere
qualche frutto o almeno cercare di coglierlo prima che essa si verifichi. 5
Tutti questi problemi riguardano la morale; perciò li ho messi al loro
posto. Ma le argomentazioni dei dialettici contro questa tesi dovevano essere
separate e perciò le ho disgiunte. Ora, poiché esigi una trattazione
completa, esporrò tutte le loro obiezioni, poi le confuterò una
per una.
6 Perché le mie confutazioni siano chiare, devo fare una premessa.
Che premessa? Esistono dei corpi unitari, come l'uomo; altri composti, come una
nave, una casa, insomma tutti quelli formati dall'unione di parti diverse;
altri costituiti da elementi separati, le cui membra sono divise, come un
esercito, un popolo, un'assemblea. Gli individui componenti questi organismi
sono uniti per legge o per funzioni analoghe, ma distinti per natura e a se
stanti. 7 Ancora una premessa: secondo noi non c'è bene formato da
elementi separati tra loro; un bene deve essere racchiuso e retto da un solo
principio, unica deve essere la sua essenza. Questo principio, se un giorno
vorrai, si dimostra da sé; intanto ho dovuto premetterlo perché ci rivolgono
contro le nostre stesse armi.
8 "Voi dite che non c'è bene formato da elementi
separati tra loro; ma," ribattono, "la gloria di un uomo nasce dall'opinione
favorevole di persone virtuose. Come la fama non è data dalle parole di
un unico individuo e l'infamia dalla cattiva opinione di uno solo, così
la gloria non la dà l'approvazione di una sola persona virtuosa, ma ci
vuole il consenso di molti uomini insigni e ragguardevoli perché si formi. La
gloria, però risulta dal parere di più persone, cioè di
elementi distinti; quindi non è un bene.
9 "La gloria," continuano, è la lode tributata da
uomini virtuosi a un uomo virtuoso; la lode è un'espressione, una frase
che indica qualcosa; e una frase, anche se pronunciata da uomini virtuosi, non
è un bene. Non tutto quello che fa un uomo virtuoso è un bene;
egli applaude e fischia, ma, anche se ogni suo gesto è degno di
ammirazione e di lode, un applauso o un fischio, come uno starnuto o un colpo
di tosse, nessuno può definirli un bene. Quindi, la gloria non è
un bene.
10 "Insomma, diteci se la gloria è un bene di chi loda
o di chi è lodato: se dite che è un bene di chi è lodato,
fate un'affermazione ridicola, come se diceste che è un bene mio la
salute di un altro. Ma lodare chi ne è degno è un'azione
virtuosa; perciò è un bene di chi loda, cioè di chi compie
l'azione, non nostro, che siamo lodati: e questo è l'oggetto della
nostra indagine."
11 Risponderò ora rapidamente a ciascun problema. Prima di
tutto ci si chiede se un bene possa derivare da elementi separati e su questo
punto i pareri sono discordi. Inoltre, la gloria ha bisogno del consenso di
molti? È sufficiente anche il giudizio di una sola persona virtuosa: un
uomo virtuoso può giudicare della nostra virtù. 12 "Ma
come?" si ribatte, "la fama deriverà dalla stima e l'infamia
dalla maldicenza di un solo individuo? Anche la gloria noi la intendiamo
ampiamente diffusa," continuano, "poiché richiede il consenso di
molti." Si tratta di due condizioni diverse. Perché? Perché se un uomo
virtuoso mi giudica bene, per me è come se così mi giudicassero
tutti gli uomini virtuosi; tutti, infatti, se mi conoscessero, mi
giudicherebbero allo stesso modo. Il loro giudizio è uguale e identico,
perché ha un'unica impronta: la verità. Non possono discordare; e dunque
è come se tutti fossero del medesimo parere, poiché non possono pensarla
diversamente. 13 Per la gloria, invece, o per la fama, non basta l'opinione di
una sola persona. Nel caso di prima un solo parere vale quanto quello di tutti,
perché, se si domandasse a tutti, uno per uno, unica sarebbe la risposta: nel
secondo caso sono diversi i giudizi, poiché sono diverse le persone. Troverai
difficilmente approvazione e sempre dubbi, leggerezza, sospetti. Credi che
tutti possano esprimere un parere unico? Ma se nemmeno una sola persona ha un
parere unico! Gli uomini virtuosi amano la verità e la verità ha
una sola forza, una sola faccia: gli altri invece dànno il loro assenso
a false opinioni. E il falso è incostante; varia e discorda.
14 "Ma la lode," dicono, "è solo una frase,
e una frase non è un bene." Quando affermano che la gloria è
una lode tributata a uomini virtuosi da uomini virtuosi, non si riferiscono alle
parole, ma al giudizio espresso. Anche se un uomo virtuoso tace, ma giudica uno
degno di lode, quest'uomo viene lodato. 15 Inoltre, una cosa è la lode,
un'altra il lodare: quest'ultimo richiede anche la parola; perciò
nessuno dice lode funebre, ma orazione funebre, poiché è un ufficio che
si basa sulla parola. Quando definiamo qualcuno meritevole di lode, non gli
promettiamo parole benevoli, ma giudizi benevoli. Dunque, è lode anche
quella di chi tace, ma giudica positivamente e loda un uomo virtuoso dentro di
sé. 16 E poi, come ho detto, la lode interessa l'animo, non le parole, che
fanno da tramite e la rendono nota a più persone. Se uno ritiene dovuta
una lode, già loda. Quando quel famoso poeta tragico latino dice che
è splendido "essere lodato da un uomo lodato", intende dire da
un uomo degno di lode. E quando quell'altro poeta altrettanto antico dice che
"la lode alimenta le arti", non intende il lodare, che in
realtà corrompe le arti; niente ha guastato tanto l'eloquenza e ogni
altra arte rivolta alle orecchie quanto il consenso popolare. 17 La fama ha
bisogno in ogni caso della voce; la gloria, invece, può formarsi anche
indipendentemente dalla voce, basta un giudizio positivo; anzi non le tolgono
nulla non solo il silenzio, ma persino le proteste. Ecco la differenza tra
gloria e celebrità: la celebrità si fonda sul giudizio di molti,
la gloria su quello delle persone virtuose.
18 "La gloria," chiedono, "cioè la lode
tributata a un uomo virtuoso da uomini virtuosi, è un bene di chi
è lodato o di chi loda?" Di entrambi. Mio, che vengo lodato; e
poiché la natura mi ha generato incline ad amare tutti, godo di aver fatto del
bene e mi rallegro di aver trovato grati interpreti delle virtù. Questo
essere grati è un bene di molti, ma è anche mio; la mia disposizione
d'animo è tale che giudico mio un bene di altri, soprattutto di coloro a
cui sono causa di bene. 19 La gloria è un bene anche di chi loda:
è un atto della virtù e ogni azione virtuosa è un bene. Ma
questo bene non sarebbe toccato loro, se io non fossi quale sono. Perciò
una lode meritata è un bene di entrambi, come esprimere un giusto
giudizio è un bene di chi giudica e di colui a vantaggio del quale si
è pronunciato il giudizio. Dubiti forse che la giustizia sia un bene e
per chi la esercita e per colui al quale essa paga un debito? Lodare chi lo
merita è una forma di giustizia; dunque, è un bene di entrambi.
sempre le assedia la mente la straordinaria virtù dell'eroe
e la grande nobiltà della sua stirpe.
Pensa quanto ci giovano gli esempi di virtù: saprai che il
ricordo dei grandi uomini ci giova quanto la loro presenza. Stammi bene.
103
1 Perché ti dài pensiero di cose che possono succederti, ma
che possono anche non succederti? Intendo dire un incendio, un crollo e altri
eventi che ci càpitano, ma non stanno lì in agguato: tieni
d'occhio piuttosto, ed evitali, quei mali che ci spiano e cercano di coglierci
di sorpresa. Fare naufragio, finire sotto una vettura sono casi rari, anche se
gravi: mentre dall'uomo viene all'uomo un pericolo costante. Prepàrati
ad affrontarlo, tienilo sempre attentamente d'occhio; non c'è male più
frequente, più tenace, più insinuante. 2 Il cielo è
minaccioso prima che si scateni la tempesta, gli edifici scricchiolano prima di
crollare, un incendio lo preannuncia il fumo: il danno che proviene dall'uomo
è improvviso e si mimetizza con più cura quanto più
è vicino. Sbagli a credere al volto di quelli che ti vengono incontro:
hanno l'aspetto di uomini, l'animo di belve; quelle, però sono
pericolose al primo attacco; se passano oltre, non ti cercano più. Solo
la necessità le spinge a nuocere; assalgono o per fame o per paura:
all'uomo, invece, piace annientare l'uomo. 3 Ma il pensiero del pericolo che
proviene dall'uomo ti faccia pensare al tuo dovere di uomo; da una parte bada a
non subire torti, dall'altra a non farne. Gioisci del bene di tutti, commuoviti
del male, e ricorda quello che devi fare e quello che devi evitare. 4 Vivendo
così quale vantaggio ne avrai? Sfuggirai agli inganni, se non alle
offese. Rifùgiati nella filosofia per quanto ti è possibile: ti
proteggerà con le sue braccia, nel suo santuario sarai sicuro o, almeno,
più sicuro. Cozzano fra loro solo quelli che camminano lungo la stessa
strada. 5 Della filosofia, però, non dovrai vantarti; praticarla con
insolenza e arroganza si è risolto per molti in un pericolo: serva a
emendarti dai vizi, non a rinfacciarli agli altri. Non discordi dalla
moralità comune e non faccia in modo che tu sembri condannare tutto
quello che non fai. Si può essere saggi senza ostentazione, senza
suscitare astio. Stammi bene.
104
1 Nella mia villa di Nomento ho cercato scampo, cosa credi? dalla
città? No, da una febbre, e insidiosa, che si era già impadronita
di me. Il medico, dai battiti del polso alterati e irregolari tanto da turbare
le normali funzioni, diagnosticava l'inizio di una malattia. Ho dato,
perciò ordine di preparare sùbito la carrozza; e, nonostante
l'opposizione di Paolina, mi sono ostinato a partire. Avevo davanti agli occhi
lo spettacolo del mio caro Gallione, che si era preso la febbre in Grecia e
immediatamente si era imbarcato, proclamando che il male non era del suo
fisico, ma di quel posto. 2 Questo l'ho detto alla mia Paolina che mi
raccomanda sempre la salute. Sapendo che il suo spirito fa tutt'uno col mio,
per un riguardo a lei, comincio a riguardarmi io stesso. E mentre la vecchiaia
mi ha reso più forte per tanti versi, perdo questo beneficio
dell'età; penso che in questo vecchio c'è anche una giovane cui
si deve attenzione. E visto che io non ottengo da lei che mi ami con più
forza, lei ottiene da me che io mi ami con più cura. 3 Bisogna
assecondare gli affetti onesti; e qualche volta, anche se ci sono dei gravi
motivi, anche a costo di sofferenze bisogna richiamare lo spirito vitale per
rispetto dei propri cari, bisogna trattenerlo coi denti, visto che un uomo
virtuoso deve vivere non fino a quando gli piace, ma fino a quando è
necessario: chi non stima la moglie o un amico tanto da prolungare la propria
esistenza, chi si ostina a voler morire, è uno smidollato. L'anima deve
imporsi, quando lo esige il vantaggio delle persone care, di rimandare, non
solo se ha deciso di morire, ma anche se ha cominciato a morire, e di
compiacere i suoi. 4 È di un animo nobile tornare alla vita per gli
altri e i grandi uomini l'hanno fatto spesso. Ma io, benché il massimo frutto
di questa età sia una difesa meno preoccupata di se stessi e
un'utilizzazione più coraggiosa della vita, ritengo segno di alta
umanità anche curare con più attenzione la propria vecchiaia, se
sai che ciò è caro, utile e augurabile per qualcuno dei tuoi. 5 E
oltretutto una cosa così è di per sé non poco piacevole e
gratificante: che cosa c'è di più gradito che essere tanto caro
alla moglie da diventare per questo più caro a te stesso? E così
la mia Paolina può imputarmi non solo i suoi timori, ma anche i miei.
6 Ti domandi, dunque, che risultato ha avuto la mia decisione di
partire? Appena mi sono lasciato alle spalle l'aria pesante della città
e quell'odore delle cucine fumanti che, una volta accese, diffondono con la
polvere tutti i vapori pestiferi che hanno assorbito, sùbito mi sono
accorto che il mio stato di salute era cambiato. E non sto a dirti come mi sia
sentito più in forze, una volta giunto ai miei vigneti. Lasciato libero
per il pascolo, mi sono buttato sul cibo. Sùbito mi sono ripreso,
è scomparso quel torpore di un fisico malfermo e inerte.
essere riusciti a scampare a tante città argoliche, essere
riusciti a fuggire in mezzo ai nemici?
La pace stessa scatenerà le tue paure; una volta che la
mente è turbata, non ci si fida più neppure di ciò che
è sicuro, e quando questi timori infondati diventano un'abitudine, non
si è più in grado di tutelare se stessi: i pericoli non li
evitiamo, li fuggiamo, e se uno gira le spalle, è più
vulnerabile. 11 Perdere una persona cara lo giudicherai un male gravissimo, e,
invece, questo atteggiamento è sciocco quanto piangere perché le belle
piante che adornano la tua casa perdono le foglie. Guarda le cose che ti
dànno gioia allo stesso modo in cui guarderesti quelle piante: godine,
finché sono fiorenti. Il caso strappa alla vita un giorno uno, un giorno un
altro; ma come la perdita delle foglie è facile sopportarla perché
rinascono, così è facile sopportare anche la perdita di quelli
che amavi e che consideravi la gioia della tua vita, perché, se pure non
rinascono, puoi sostituirli. 12 "Ma non saranno gli stessi." Neppure
tu sarai lo stesso. Ogni giorno, ogni ora che passa, ti cambia; ma negli altri
questo saccheggio del tempo è più evidente, in noi passa
inosservato, perché non è manifesto. Gli altri ci vengono strappati, ma
noi siamo sottratti a noi stessi furtivamente. A questo non pensi e non cerchi
di curare le ferite, ma ti crei da te motivi di preoccupazione ora con la
speranza, ora con la disperazione? Se sei saggio, tempera l'una con l'altra:
non sperare senza disperarti e non disperare senza qualche speranza.
13 Un viaggio, di per sé, che giovamento ha mai potuto dare? Non
modera i piaceri, non frena le passioni, non reprime l'ira, non fiacca gli
indomabili impulsi dell'amore, insomma non libera l'anima da nessun male. Non
rende assennati, non dissipa l'errore, ma ci attrae temporaneamente con qualche
novità come un bambino che ammiri cose sconosciute. 14 Rende, invece, lo
spirito, già gravemente infermo, ancora più incostante, e questo
agitarsi lo fa diventare più instabile e volubile. E così gli
uomini abbandonano con più smania quei posti che avevano tanto
smaniosamente cercato, li oltrepassano a volo e se ne vanno più
velocemente di quanto erano venuti. 15 Viaggiare ti farà conoscere altre
genti, ti mostrerà monti di forme mai viste, pianure di straordinaria
grandezza e valli irrigate da corsi d'acqua perenni; attirerà la tua
attenzione sulla natura particolare di qualche fiume, come il Nilo che d'estate
è gonfio di acque, o come il Tigri che scompare alla vista e, dopo aver
percorso un tratto sottoterra, ritorna in tutta la sua grandezza, o come il
Meandro, piacevole palestra di tutti i poeti, che si avvolge su se stesso con
un corso sempre tortuoso, e spesso, quando è vicino al suo alveo, devia,
prima di affluire nelle proprie acque: ma non ti renderà migliore né
più assennato. 16 Dobbiamo applicarci allo studio e avere
familiarità coi maestri di saggezza per imparare i frutti delle loro
ricerche e ricercare le verità non ancora scoperte. Così,
sottraendo l'animo alla più misera schiavitù, si rivendica la
propria libertà. Ma fino a quando ignorerai che cosa si deve fuggire,
che cosa ricercare, che cosa è necessario o superfluo, giusto o
ingiusto, questo non sarà viaggiare, ma vagabondare. 17 Correre qua e
là non ti servirà a niente: tu vai in giro con le tue passioni, e
i tuoi mali ti seguono. E almeno ti seguissero! Sarebbero abbastanza lontani: e
invece, non li precedi, li porti con te. Perciò ti assillano dovunque e
ti bruciano con la stessa intensità. 18 Il malato deve cercare la
medicina adatta, non un nuovo paese. Uno si è rotto una gamba o si
è provocato una distorsione: non sale su una carrozza o su una nave, ma
chiama il medico, perché gli riduca la frattura o gli sistemi la lussazione. E
allora? Secondo te, cambiando paese, puoi guarire un'anima che ha subìto
tante fratture e distorsioni? Questo male è troppo grave per curarlo con
una passeggiata in vettura. 19 Viaggiare non rende medici o oratori; non
c'è scienza che si impari da un luogo: e dunque? La saggezza, la
più importante di tutte le scienze, si può forse acquisire in
viaggio? Non c'è via, credimi, che ti porti fuori dalle passioni,
dall'ira, dalla paura; oppure, se ci fosse, l'umanità vi si dirigerebbe
in massa. Questi mali ti incalzeranno e ti tormenteranno nei tuoi vagabondaggi
per terra e per mare finché ne porterai con te le cause. 20 Ti stupisci che
fuggire non ti serva? I mali che fuggi sono in te. Correggiti, dunque,
lìberati dai pesi che porti, e contieni i tuoi desideri entro limiti
convenienti; estirpa dall'anima ogni malvagità. Se vuoi fare dei viaggi
piacevoli, guarisci chi ti accompagna. L'avarizia ti resterà attaccata
addosso, finché vivrai insieme a un avaro taccagno; e così l'orgoglio,
finché frequenterai un superbo; non ti libererai della tua crudeltà, se
stai con un carnefice; l'amicizia degli adùlteri infiammerà la
tua libidine. 21 Se vuoi spogliarti dei vizi, devi stare lontano da esempi di
vizi. L'avaro, il corruttore, il crudele, il truffatore, che già nuocerebbero
molto se fossero vicini a te, tu li hai dentro di te. Passa a compagni
migliori: vivi con Catone, Lelio, Tuberone. E, se ti piace anche stare insieme
ai Greci, intrattieniti con Socrate, Zenone: l'uno ti insegnerà a morire
se sarà necessario, l'altro prima che sia necessario. 22 Vivi con
Crisippo, con Posidonio: essi ti trasmetteranno la conoscenza dell'umano e del
divino, ti inviteranno all'operosità e non solamente a parlare con
eleganza e a ostentare belle parole per il piacere dell'uditorio, ma a
rafforzare l'animo e a ergerlo contro tutte le minacce. In questa vita incerta
e agitata c'è un solo porto: disprezzare il futuro, essere fermi e
risoluti e pronti a ricevere i colpi della fortuna, in pieno petto, senza
nascondersi o temporeggiare. 23 La natura ci ha generati magnanimi, e come a
certi animali ha dato la ferocia, ad altri l'astuzia, ad altri la paura, a noi
ha dato uno spirito desideroso di gloria e di grandezza, che cerca non dove
possa vivere completamente tranquillo, ma dove possa vivere in modo
assolutamente onesto, uno spirito molto simile a quell'universo che egli segue
e imita per quanto è consentito alle forze umane; si fa avanti, crede di
essere lodato e ammirato. 24 È signore di tutto, è superiore a
tutto; non si sottometta, perciò a niente; non giudichi niente gravoso,
niente capace di piegare un uomo.
Fantasmi terribili a vedersi, la Morte, la Sofferenza.
No assolutamente, se si è in grado di guardarle con sguardo
fermo, vincendo le tenebre; molti fantasmi che di notte ci atterriscono, di
giorno ci fanno sorridere.
Fantasmi terribili a vedersi, la Morte, la Sofferenza,
ha detto bene il nostro Virgilio: terribili a vedersi, non nella
sostanza, cioè sembrano, non sono. 25 Che c'è in loro, ti chiedo,
di tanto spaventoso quanto si va dicendo? ma via, per quale ragione, Lucilio
mio, un uomo dovrebbe temere la sofferenza, la morte? Tante volte incontro
persone che giudicano irrealizzabile tutto quello che loro non possono fare, e
sostengono che noi parliamo di cose superiori a quelle che la natura umana può
sostenere. 26 Ma io ho di loro una migliore opinione! Anch'essi sono in grado
di fare queste cose, ma non vogliono. E poi, hanno mai deluso chi ha tentato?
All'atto pratico non sono apparse più facili? Non perché siano difficili
non osiamo: sono difficili perché non osiamo.
27 Se poi volete un esempio, prendete Socrate, vecchio paziente,
travagliato da sventure di ogni tipo; non lo vinse la povertà, resa
più grave dagli oneri familiari, e nemmeno i disagi, che sopportò
anche in guerra. In casa, poi, fu messo a dura prova: ‹pensa› sia alla moglie,
scorbutica di carattere e petulante, sia ai figli, ribelli e più simili
alla madre che al padre. ‹Inoltre› visse o in guerra o sotto la tirannide o in
una libertà più crudele della guerra e della tirannide. 28 La
guerra durò ventisette anni; quando finì, la città si
sottomise al funesto dominio dei trenta tiranni, di cui la maggior parte gli
era ostile. In ultimo, fu condannato con accuse gravissime: lo incolpavano di
vilipendio alla religione, di corruzione dei giovani, che, si disse, aveva
istigato contro gli dèi, gli avi, la città. E poi ci furono il
carcere e il veleno. Ma tutto ciò non turbava l'animo di Socrate e
neppure il suo volto. Che merito straordinario e singolare! Fino al momento
supremo nessuno vide Socrate più allegro o più triste; fu sempre
uguale in mezzo a una fortuna tanto mutevole.
29 Vuoi un altro esempio? Prendi M. Catone, il giovane: contro di
lui la sorte fu ancòra più ostile e accanita. Sebbene lo avesse
sempre avversato, e da ultimo anche in punto di morte, tuttavia egli
dimostrò che un uomo valoroso può vivere e morire a dispetto
della fortuna. Passò tutta la vita o in mezzo alle guerre civili o in
una pace che alimentava nel suo seno la guerra civile e si potrebbe dire che, come
Socrate, si tirò fuori dalla schiavitù, a meno che non si pensi
che Gneo Pompeo, Cesare e Crasso si allearono per la libertà. 30 Lo
stato cambiò mille volte, ma nessuno vide mutamenti in Catone; si
mostrò sempre lo stesso in ogni condizione, nella pretura, nella
sconfitta elettorale, nei momenti dell'accusa, nel governo della provincia, nei
discorsi, nell'esercito, nella morte. Infine, in quel turbamento generale dello
stato, mentre da una parte Cesare era sostenuto da dieci bellicosissime legioni
e da interi presidî di milizie straniere, e dall'altra c'era Gneo Pompeo, che
bastava da solo contro tutti, mentre alcuni parteggiavano per Cesare, altri per
Pompeo, unicamente Catone prese le parti della repubblica. 31 E a voler
esaminare il quadro del tempo, si vedrà da un lato la plebe e tutto il
popolino teso alle novità, dall'altro gli ottimati e i cavalieri, che
rappresentavano la parte migliore e più onesta della città, e in
mezzo, soli, la repubblica e Catone. Ti stupirai di sicuro vedendo:
l'Atride e Priamo e Achille a entrambi ostile;
egli disapprova entrambi e vorrebbe disarmare sia l'uno che
l'altro. 32 Su loro pronuncia questo giudizio: se vincerà Cesare,
morirà; se Pompeo, andrà in esilio. Che aveva da temere se egli
stesso, vincitore o vinto, si era assegnato una pena quale potevano assegnargli
i nemici più acerrimi? Morì, dunque, per sua decisione. 33 Vedi
che gli uomini possono sopportare la fatica: egli condusse a piedi l'esercito
attraverso i deserti dell'Africa. Vedi che è possibile sopportare la
sete: su aride colline, senza salmerie, trascinandosi dietro i resti
dell'esercito sconfitto, sopportò la mancanza d'acqua con la corazza
addosso e, tutte le volte che trovavano da bere, bevve per ultimo. Vedi che si
possono disprezzare onore e infamia: nel giorno stesso della sua sconfitta
elettorale giocò a palla dove si tenevano i comizi. Vedi che si
può non temere la potenza dei più forti: sfidò Pompeo e
Cesare insieme, mentre nessuno osava offendere l'uno se non per accattivarsi la
benevolenza dell'altro. Vedi che si possono disprezzare sia l'esilio che la
morte: egli si impose sia l'esilio che la morte, e nel frattempo la guerra. 34
Possiamo, perciò contro queste sventure dimostrare un uguale coraggio,
purché vogliamo liberare il collo dal giogo. Per prima cosa dobbiamo rifiutare
i piaceri: snervano, rendono languidi, pretendono molto e questo molto va
preteso dalla fortuna. Poi dobbiamo disdegnare le ricchezze: sono il compenso
della schiavitù. Lasciamo da parte l'oro, l'argento e tutto ciò
che riempie le case dei ricchi: la libertà non è gratuita. Se
l'apprezzi molto, devi disprezzare tutto il resto. Stammi bene.
105
1 Ecco che regole devi osservare per vivere più tranquillo.
Ritengo opportuno, però che tu ascolti questi insegnamenti come se io ti
consigliassi la maniera di salvaguardare la tua salute nella zona di Ardea.
Considera i motivi che spingono un uomo a fare del male a un altro uomo;
troverai la speranza, l'invidia, l'antipatia, la paura, il disprezzo. 2 Di
tutti questi il disprezzo è il meno grave, tanto che molti vi si
rifugiano per mettersi al riparo. Se uno disprezza, calpesta, è vero, ma
poi passa oltre; nessuno fa del male con tenacia, con accanimento a una persona
che disprezza; anche in battaglia non si bada al caduto, si combatte contro chi
sta in piedi.
3 La speranza dei malvagi potrai evitarla se non possiedi niente
che susciti la maligna cupidigia degli altri, niente che si distingua; si
desiderano, infatti, anche beni da poco, se sono insoliti o rari. All'invidia
sfuggirai evitando di metterti in mostra, di ostentare i tuoi beni, e se saprai
godere interiormente. L'odio, o nasce da un'offesa, e lo eviterai non
provocando nessuno; o è gratuito, e allora te ne difenderà il
buon senso. Molti, però hanno corso questo pericolo: sono stati odiati
senza avere un nemico. 4 Perché la gente non debba aver paura di te, saranno
sufficienti sia una modesta fortuna, sia un'indole mite: si sappia che ti si
può offendere senza rischio di ritorsioni; sii pronto e risoluto nel
riconciliarti. Essere temuti è dannoso sia in casa che fuori, sia dagli
schiavi che dagli uomini liberi: tutti sono sufficientemente forti per fare del
male. Inoltre, chi è temuto, teme: e se uno terrorizza gli altri, non
può vivere tranquillo. 5 Rimane il disprezzo: se uno se lo impone da sé,
se viene disprezzato per volontà sua e non perché sia giusto
così, può regolarne la misura. Dal fastidio che ci provoca ci
liberano e i sani princìpî e l'amicizia delle persone influenti presso
un potente; con costoro sarà utile essere in relazione, ma non troppo
stretta, perché il rimedio non sia peggiore del pericolo.
6 Non c'è niente, però che giovi quanto starsene
tranquilli e parlare pochissimo con gli altri e il più possibile con se
stessi. Le parole hanno una dolcezza che si insinua carezzevole e, come fanno
l'ubriachezza o l'amore, tira fuori i segreti. Nessuno manterrà il
silenzio su quello che ha udito, nessuno dirà solo quanto ha udito; chi
riferisce un fatto, ne riferirà anche l'autore. Ognuno ha un amico cui
confidare quanto è stato confidato a lui stesso; per quanto tenga a
freno la sua loquacità e si contenti di raccontare la cosa a uno solo, a
poco a poco il numero delle persone che sanno si ingigantirà; e
così il segreto diventa di dominio pubblico.
7 Quanto alla sicurezza, gran parte di essa consiste nel
comportarsi bene con tutti: i prepotenti vivono una vita turbata e inquieta, le
loro paure sono proporzionali al male che fanno, e non stanno mai tranquilli.
Le cattive azioni compiute li rendono trepidanti e incerti; la loro coscienza
non li lascia occuparsi d'altro e li costringe a comparire davanti al suo
tribunale. L'attesa del castigo è già una pena; e chi sa di
meritarlo, lo attende. 8 Se uno ha sulla coscienza un delitto, può a
volte rimanere impunito, ma non sarà mai sereno; anche se non viene
scoperto, pensa di poterlo essere; fa sonni agitati e ogni volta che si parla
del delitto di un altro, pensa al suo; non gli sembra sufficientemente
dimenticato, sufficientemente coperto. Un malfattore può avere la
fortuna di rimanere na-
scosto, ma non ne ha mai la certezza. Stammi bene.
106
1 Rispondo con un certo ritardo alle tue lettere, non perché sia
preso dagli impegni. Guàrdati bene dal credere a una simile scusa: il
tempo ce l'ho e ce l'hanno tutti, basta volerlo. Gli impegni non inseguono nessuno:
sono gli uomini ad abbracciarli e a ritenerli un segno di felicità.
Perché, allora, non ti ho risposto sùbito? L'argomento di cui domandavi
rientrava nel piano della mia opera; 2 tu sai che voglio trattare la filosofia
morale nel suo complesso ed esaminarne tutti i problemi connessi. Perciò
ero in dubbio se rimandare la risposta finché non fossi arrivato al punto,
oppure soddisfare la tua richiesta, senza seguire la successione degli
argomenti: mi è sembrato più cortese non far aspettare chi viene
da tanto lontano. 3 Estrapolerò dunque, questo tema dalla successione di
quelli ad esso concatenati e se ce ne saranno altri simili, te li
riferirò spontaneamente senza che tu lo chieda.
Vuoi sapere di che si tratta? Di problemi la cui conoscenza
è più piacevole che utile, come l'oggetto della tua domanda: il
bene ha un corpo? 4 Il bene agisce, perché è utile; e quello che agisce
è un corpo. Il bene sprona l'anima e in un certo modo la forma e la
disciplina, e queste sono attività di un corpo. I beni del corpo sono
corpi, quindi lo sono anche i beni dell'animo, perché anche l'anima è un
corpo. 5 Il bene dell'uomo è necessariamente un corpo, perché l'uomo
è corporeo. Mentirei se affermassi che anche le sostanze che lo
alimentano e che gli garantiscono la salute o gliela restituiscono non sono
corpi, quindi, anche il suo bene è corpo. Non penso che tu dubiterai che
i sentimenti, come l'ira, l'amore, la tristezza, sono corpi (e questo per
aggiungere anche argomenti di cui non domandi), se non dubiti che ci fanno cambiare
espressione, corrugare la fronte, distendere il volto, arrossire, impallidire.
E allora? Non credi che solo un corpo possa provocare delle reazioni
così chiaramente fisiche? 6 Se sono corpi i sentimenti, lo saranno anche
i mali dell'anima, come l'avarizia, la crudeltà, i vizi incalliti e
ormai incorreggibili; e quindi anche la malvagità e tutte le sue forme,
ossia il malanimo, l'invidia, la superbia; 7 e di conseguenza, anche i beni,
prima di tutto perché sono il loro contrario, poi perché si presentano con i
medesimi segni. O forse non vedi che vigore dia allo sguardo la fortezza? Che
intensità la prudenza? Che aria di modestia e di calma la verecondia?
Che serenità la gioia? Che comportamento austero la gravità? Che
senso di remissività la dolcezza? Quindi, sono corpi quei fattori che
cambiano il colore e lo stato dei corpi e che esercitano su di essi il loro
potere. Ora, tutte le virtù che ho elencato, e tutto quello che ne
deriva, sono beni. 8 Non c'è dubbio poi che, se una cosa ha la
capacità di toccare, sia corpo.
Niente può infatti, toccare o essere toccato, se non il
corpo dice Lucrezio. Ma tutte le cose sopraddette non potrebbero trasformare un
corpo, se non lo toccassero; dunque, sono corpi. 9 Ora, anche quegli elementi
che hanno tanta forza da spingere, costringere, trattenere, inibire sono corpi.
Ebbene? Il timore non ci trattiene? L'audacia non ci spinge? La fortezza non ci
incita e ci dà slancio? La moderazione non ci frena e ci richiama? La
gioia non ci esalta? La tristezza non ci abbatte? 10 Infine, ogni nostra azione
ce la comanda o la malvagità o la virtù: ciò che comanda
il corpo, è corpo, ciò che fa violenza al corpo, è corpo.
Il bene del corpo è corporeo, il bene dell'uomo è anche bene del
corpo, perciò è corporeo.
11 Poiché ho obbedito al tuo desiderio, ora esprimerò io
stesso quel giudizio che, penso, esprimerai tu: facciamo dei giochetti inutili
e ci perdiamo in sottigliezze superflue: questi ragionamenti non ci rendono
virtuosi, ma dotti. 12 Il sapere è una cosa più chiara, anzi più
semplice: basta poco studio per arrivare alla saggezza; noi, invece,
disperdiamo in speculazioni inutili anche la filosofia come tutto il resto.
Pure negli studi soffriamo di intemperanza come in ogni altra attività:
impariamo per la scuola, non per la vita. Stammi bene.
107
1 Dove è finita la tua prudenza? Dove il tuo acuto
discernimento? E la tua grandezza d'animo? Una simile inezia ti turba? Le tue
occupazioni hanno fornito ai tuoi schiavi l'opportunità di fuggire. Se ti
ingannassero degli amici (designiamoli pure col nome che abbiamo dato loro a
torto e chiamiamoli così per non usare termini troppo dispregiativi) * *
* ma a tutto il tuo patrimonio mancano ora delle persone che disprezzavano la
tua attività e ti giudicavano gravoso per il prossimo. 2 Non c'è
niente di insolito, niente di inaspettato; urtarsi per fatti del genere
è ridicolo come lagnarsi di essere spruzzati in un bagno pubblico o
spinti in mezzo alla folla o imbrattati stando nel fango. Nella vita è
lo stesso che al bagno pubblico o tra la folla o durante un viaggio: qualche
torto ti viene fatto di proposito, qualche altro è fortuito. Vivere non
è una delizia. Hai intrapreso un lungo cammino: scivolerai, cozzerai,
cadrai, ti sentirai stanco, invocherai - mentendo - la morte. Qui lascerai un
compagno, là ne seppellirai un altro, più avanti un altro ancora
ti farà paura: devi affrontare simili avversità per percorrere
questo aspro sentiero. 3 Vogliamo morire? Prepariamoci, invece, ad ogni
evenienza, persuasi di essere arrivati dove scoppia il fulmine; dove:
hanno il loro covo il Pianto e gli Affanni vendicatori, dove
abitano le pallide Malattie e la triste Vecchiaia.
Con questi compagni dobbiamo vivere. Non puoi sfuggirli, ma puoi
disprezzarli; e li disprezzerai, se rifletterai spesso e saprai prevedere
quelli che ti colpiranno. 4 Tutti affrontano con maggiore coraggio gli eventi
cui si sono preparati a lungo, e resistono anche alle difficoltà, se le
hanno previste: chi, invece, è impreparato teme anche le piccolezze.
Facciamo in modo che niente ci giunga inaspettato: e poiché l'imprevisto
aggrava ogni disgrazia, una riflessione continua ti porterà a non farti
sorprendere da nessun male.
5 "Gli schiavi mi hanno abbandonato." Qualche altro lo
hanno spogliato, accusato, ucciso, tradito, malmenato, hanno attentato alla sua
vita col veleno e con false imputazioni: qualunque sventura nomini, è
capitata e in sèguito ‹capiterà› a molti. Tanti e tanto vari sono
i colpi diretti contro di noi. Alcuni ci hanno già feriti, altri
balenano e stanno per arrivare, altri, che non erano diretti a noi, ci
sfiorano. 6 Non stupiamoci di cose alle quali siamo destinati dalla nascita;
nessuno se ne deve lagnare: sono uguali per tutti. Lo ripeto, uguali per tutti;
anche se uno sfugge a quei colpi, avrebbe potuto subirli. Una legge è
equa non perché serve a tutti, ma perché è promulgata per tutti.
Imponiamoci pacatezza e paghiamo senza lamentarci il tributo della nostra
mortalità.
11 Conducimi dove vuoi, Padre e Signore dell'alto cielo: non
esiterò a ubbidirti; sono pronto. Se non volessi, dovrei seguirti
piangendo e dovrei subire di malanimo ciò che potevo fare volentieri. Il
fato guida chi è consenziente, trascina chi si oppone.
12 Sia questa la nostra vita, siano queste le nostre parole; il
destino ci trovi pronti e attivi. È grande l'anima che si abbandona al
destino: ma è meschina e vile se lotta contro di esso e disprezza
l'ordine dell'universo e preferisce correggere gli dèi piuttosto che se
stessa. Stammi bene.
108
3 Attalo, ricordo, mi insegnava questo, quando frequentavo la sua
scuola ed ero il primo a entrare e l'ultimo a uscire, e lo invitavo a qualche
discussione anche mentre passeggiava; egli non era solo disponibile, ma veniva
anche incontro ai suoi discepoli. "Maestro e allievo devono avere lo
stesso proposito," diceva, "l'uno far progredire, l'altro voler progredire."
4 Chi frequenta un filosofo, ne tragga ogni giorno un qualche profitto: ritorni
a casa o più sano o più sanabile. E ritornerà così:
l'efficacia della filosofia è tale da giovare non solo a chi vi si
applica con fervore, ma anche a chi si limita a un semplice contatto. Se uno
sta al sole, si abbronza anche se non era questo il suo scopo; se uno si
è fermato in una profumeria e vi si è trattenuto per un po', gli
rimane addosso l'odore; anche chi frequenta un filosofo, sia pure
distrattamente, ne trae per forza un qualche vantaggio. Attento, però
alle mie parole: distrattamente, non opponendo resistenza.
5 "E come? Non conosciamo certe persone che hanno frequentato
per anni un filosofo senza riportarne nemmeno un'infarinatura?" E come non
conoscerli? Tenacissimi e assidui, per me sono inquilini, non allievi dei
filosofi. 6 Certi vengono per ascoltare, non per imparare, come si va a teatro
per il piacere di farsi accarezzare le orecchie da un bel discorso o una bella
voce o un bel lavoro. Per gran parte dei frequentatori, lo vedrai, la scuola di
un filosofo è un luogo dove passare il tempo libero. Non cercano di
liberarsi di qualche vizio, di apprendere una legge di vita per regolare il
proprio comportamento, ma di godere dei piaceri dell'udito. Certi portano anche
un taccuino per segnarvi non concetti, ma parole che ripeteranno senza profitto
per gli altri come le ascoltano senza profitto per sé. 7 Alcuni poi si
infiammano nell'udire splendidi discorsi e con volto e animo commosso si
immedesimano in chi parla e si eccitano come fanno gli eunuchi al suono del
flauto frigio invasati da quel segnale. Li trascina e li stimola la bellezza
dei concetti, non il vano suono delle parole. Se qualcuno parla con coraggio
contro la morte, o con sprezzo contro la fortuna, vogliono sùbito
mettere in pratica le parole ascoltate. Rimangono impressionati da quei
discorsi e si comportano come è stato loro comandato, se rimangono nella
medesima disposizione di spirito, se la folla che scoraggia sempre i sentimenti
onesti, non infrange sùbito il loro nobile slancio: pochi riescono a
ritornare a casa con i primitivi propositi. 8 È facile spingere chi
ascolta a desiderare il bene: in ogni uomo la natura ha gettato le fondamenta e
il seme delle virtù. Siamo nati tutti per compiere il bene: se
c'è uno che ci stimola, quei nobili istinti come sopiti, si risvegliano.
Non senti in teatro l'eco degli applausi quando risuonano quelle frasi che
tutti riconosciamo, che all'unanimità proclamiamo vere?
9 Alla povertà manca molto, all'avarizia tutto.
L'avaro non è buono verso nessuno, pessimo con se stesso.
Anche l'avaraccio applaude questi versi e gode che i suoi vizi
siano scherniti: secondo te questo non accade ancor più quando è
un filosofo a parlare, quando ai precetti salutari si inframmezzano versi, che
li faranno penetrare con più efficacia nell'animo degli ignoranti? 10
Diceva Cleante: "Il nostro fiato produce un suono più squillante
quando passa attraverso lo stretto e lungo canale di una tromba e ne fuoriesce
alla fine da un'apertura più grande, così i ristretti vincoli
della poesia rendono più vivi i nostri pensieri." Gli stessi
concetti si ascoltano più distrattamente e colpiscono meno se detti in
prosa: quando si aggiunge il ritmo e versi ben determinati esprimono in forma
concisa un pensiero significativo, quella stessa massima è come
scagliata da un braccio più vigoroso. 11 Si parla molto del disprezzo
del denaro e con lunghissimi discorsi si insegna agli uomini che la ricchezza
sta nell'anima, non nei beni materiali, che è veramente ricco chi si
adatta alla sua povertà e si fa ricco con poco; gli animi, però
sono più colpiti da versi di questo tipo:
Ha pochissime necessità l'uomo che ha pochissimi desideri.
Se uno vuole quanto basta, ha ciò che vuole.
12 Quando ascoltiamo queste e altre massime del genere, siamo
indotti a riconoscerne la veridicità; anche coloro che non sono mai sazi
mostrano ammirazione, acclamano, dichiarano odio per il denaro. Quando vedrai
questo loro stato d'animo, incalza, premi, coprili di esortazioni, lasciando da
parte le ambiguità, i sillogismi, i cavilli e gli altri giochi di
sottigliezze inutili. Parla contro l'avarizia, parla contro la dissolutezza;
quando ti renderai conto di aver guadagnato terreno e di aver colpito l'animo
degli ascoltatori, incalza con più energia: è straordinaria
l'efficacia di questo tipo di eloquenza tesa a risanare e interamente volta al
bene di chi ascolta. È facilissimo indirizzare all'amore
dell'onestà e della virtù l'animo dei giovani: sono ancora
plasmabili e incorrotti, e la verità, se trova un buon avvocato, se ne
impadronisce facilmente. 13 Io, almeno, quando ascoltavo Attalo fustigare i
vizi, le aberrazioni, i mali della vita, ho spesso provato compassione
dell'umanità e l'ho giudicato un'anima nobile e superiore a ogni grandezza
terrena. Diceva di essere un re, ma a me sembrava superiore, poiché i re li
poteva censurare. 14 Quando poi cominciava a lodare la povertà e a
dimostrare come tutto ciò che eccede il bisogno è un peso
superfluo e pesante a reggersi, tante volte avrei voluto uscire povero dalla
scuola. Quando cominciava a schernire i piaceri, a lodare la castità, la
frugalità, la purezza di un'anima aliena non solo dai piaceri illeciti,
ma anche da quelli superflui, avrei voluto limitare la mia gola e il mio ventre.
15 Di questi insegnamenti qualcosa mi è rimasto, Lucilio mio; avevo
cominciato tutto con grande slancio; poi, ritornato alla vita della
città, ho mantenuto pochi dei miei buoni propositi. Da allora ho
rinunciato per tutta la vita alle ostriche e ai funghi: non sono cibi, ma
leccornie che fanno mangiare anche quando si è sazi (cosa graditissima
agli ingordi e a chi si rimpinza oltre misura), vanno giù con
facilità, con facilità si vomitano. 16 Da allora per tutta la
vita non ho usato profumi, perché il miglior odore sul corpo è non
averne nessuno; da allora non ho più bevuto vino. Da allora ho sempre
evitato i bagni caldi: ritengo inutile e insieme segno di mollezza far cuocere
il corpo ed esaurirlo col sudore. Le altre abitudini che avevo eliminato sono
ritornate; non ho mantenuto l'astinenza totale, ma ho conservato una misura
molto vicina all'astinenza, forse più difficile, poiché certe
consuetudini è più facile troncarle che moderarle.
17 Visto che ho cominciato a raccontarti come da giovane mi sono
accostato alla filosofia con uno slancio maggiore di quello con cui continuo da
vecchio, non mi vergognerò di confessarti il mio amore per la filosofia
pitagorica. Sozione spiegava perché Pitagora si era astenuto, dal mangiar carne
e perché in sèguito se ne era astenuto Sestio. Le loro motivazioni erano
diverse, ma entrambe nobili. 18 Secondo Sestio l'uomo dispone di una
quantità sufficiente di alimenti senza che versi sangue e inoltre,
quando si straziano dei corpi per il proprio piacere, si crea un'abitudine alla
crudeltà. Aggiungeva poi che dobbiamo ridurre i motivi di dissolutezza;
e concludeva che la varietà di alimenti è dannosa alla salute e
nociva al nostro corpo. 19 Pitagora, invece, sosteneva l'esistenza di una
parentela di tutti gli esseri fra loro e la trasmigrazione delle anime da una
forma di vita all'altra. Nessun'anima, secondo lui, muore o rimane inerte, se
non nell'attimo in cui passa in un altro corpo. Vedremo in sèguito
attraverso quali avvicendamenti e quando, dopo aver cambiato più dimore,
l'anima ritorni in un uomo: diciamo intanto che egli ha fatto nascere negli
uomini la paura di un delitto e di un parricidio, data la possibilità
d'imbattersi, senza saperlo, nell'anima di un genitore, e di oltraggiarla
scannando o mangiando un essere in cui alberga lo spirito di qualche congiunto.
20 Sozione mi espose queste teorie e vi aggiunse argomentazioni sue proprie,
poi mi chiese: "Non credi che le anime siano assegnate successivamente a
corpi diversi e che quella che chiamiamo morte sia solo un trapasso? Non credi
che negli animali domestici o feroci o acquatici possa esserci l'anima che un
tempo fu di un uomo? Non credi che nulla finisca in questo mondo, ma muti
unicamente sede? Che non solo i corpi celesti percorrano un cammino prefissato,
ma anche gli esseri animati abbiano i loro cicli e che le anime seguano una
loro orbita? 21 Grandi uomini hanno creduto a queste teorie. Astieniti
perciò da un giudizio e lascia tutto in sospeso. Se queste teorie sono
vere, l'astinenza dalle carni ci rende immuni da colpe; se sono false, ci rende
frugali. Che danno te ne deriva a crederci? Ti impedisco di nutrirti come i
leoni e gli avvoltoi." 22 Stimolato da questi discorsi, cominciai ad
astenermi dalle carni: dopo un anno era diventata per me un'abitudine non solo
facile, ma anche piacevole. Avevo la sensazione che il mio spirito fosse
più vivace, ma oggi non potrei dirti con sicurezza se lo fosse
veramente. Vuoi sapere come ho abbandonato questa pratica? La mia giovinezza
coincise con i primi anni del regno di Tiberio: i culti stranieri erano allora
messi al bando e l'astinenza dalle carni di certi animali era considerata una
prova di pratiche superstiziose. Per le preghiere di mio padre, che non temeva
le false accuse, ma odiava la ffldsofia, ritornai alle vecchie abitudini; egli
mi convinse senza difficoltà a mangiare meglio. 23 Attalo, poi,
raccomandava di dormire su un materasso duro: e io anche ora, da vecchio, ne
uso uno su cui non rimane il segno del corpo.
Ti ho raccontato questo per dimostrarti come siano impetuosi da principio
gli slanci dei novizi verso tutte le virtù, se qualcuno li stimola e li
sprona. Ma qualche errore si commette per colpa dei maestri che ci insegnano a
discutere, non a vivere, qualche altro per colpa dei discepoli che frequentano
le scuole non col proposito di esercitare lo spirito, ma l'ingegno. Così
quella che fu filosofia è diventata filologia. 24 È molto
importante, però, il proposito con cui ci si accosta a una qualunque
materia. Se uno studia Virgilio come grammatico, non legge quello straordinario
verso:
Fugge inesorabile il tempo
con questo spirito: "Bisogna stare all'erta; se non ci
affrettiamo, rimarremo indietro; i giorni ci incalzano e si incalzano veloci;
siamo trascinati via e non ce ne rendiamo conto; rimettiamo tutto al futuro e
indugiamo mentre ogni cosa precipita": nota, invece, come ogni volta che
parla della celerità del tempo, Virgilio usa questo verbo:
"fugge".
I giorni migliori della vita sfuggono per primi ai miseri mortali;
sopraggiungono le malattie la triste vecchiaia la sofferenza, e ci trascina via
la morte spietata e crudele.
25 Chi ha di mira la filosofia, interpreta questi stessi versi
nella maniera dovuta. "Virgilio," osserva, "non dice mai che i
giorni passano, ma che fuggono, verbo che indica il modo più rapido di
correre, e che i giorni migliori ci vengono strappati per primi: perché dunque
non ci incitiamo a uguagliare la rapidità di una cosa tanto veloce? Il
meglio svanisce, subentra il peggio." 26 Come da un'anfora fuoriesce prima
il vino più schietto, mentre il più pesante e torbido sedimenta,
così della nostra esistenza la parte migliore è la prima. E noi
lasciamo che altri l'attingano e ce ne riserviamo la feccia? Imprimiamoci
nell'anima questi versi e consideriamoli quasi il responso di un oracolo:
I giorni migliori della vita sfuggono per primi al miseri mortali.
27 Perché i migliori? Perché quanto rimane è incerto.
Perché i migliori? Perché da giovani possiamo imparare, possiamo indirizzare al
meglio l'anima ancora docile e duttile; perché questo periodo è adatto
alle fatiche, adatto a stimolare la mente con gli studi e a esercitare il corpo
con il lavoro: negli anni che ci rimangono siamo più deboli e fiacchi e
più vicini alla fine. Perseguiamo perciò un unico scopo con tutta
l'anima e, tralasciato ogni motivo di distrazione, diamoci da fare solo a
questo fine: che non ci si debba accorgere, quando ormai siamo rimasti
indietro, di questa rovinosissima e irrefrenabile velocità del tempo.
Apprezziamo i nostri primi giorni come i migliori e traiamone profitto.
Impadroniamoci del tempo che fugge. 28Se uno legge questi versi con gli occhi
dell'erudito non pensa che i primi giorni siano i migliori perché poi
subentrano le malattie, la vecchiaia incalza e sovrasta gli uomini quando
ancòra pensano all'adolescenza, ma nota come Virgilio colleghi sempre
malattie e vecchiaia, e a ragione: la vecchiaia è una malattia
inguaribile. 29"Inoltre" egli aggiunge "Virgilio dà alla
vecchiaia questo attributo, la chiama 'triste':
subentrano le malattie e la triste vecchiaia.
In un altro passo scrive:
vi abitano le pallide Malattie e la triste Vecchiaia."
Non c'è da meravigliarsi che dalla stessa materia ciascuno
ricavi argomenti convenienti ai suoi studi: in uno stesso prato il bue cerca
l'erba, il cane la lepre, la cicogna le lucertole.
30Quando un fdologo, un grammatico e un filosofo prendono in mano
il De re publica di Cicerone, ciascuno rivolge la sua attenzione a elementi
diversi. Il filosofo si meraviglia che si sia potuto parlare tanto contro la
giustizia. Se alla stessa lettura si dedica invece il filologo, nota che ci
sono due re di Roma di cui non si conosce dell'uno a padre, dell'altro la
madre. Infatti non si sa con certezza chi fu la madre di Servio, di Anco non si
menziona il padre: viene indicato come nipote di Numa. 31 Osserva inoltre che
fi magistrato che noi chiamiamo dittatore e che nei libri di storia viene
così nominato, gli antichi lo chiamavano "maestro del popolo".
E oggi questo risulta evidente dal libro degli àuguri, e lo prova il fatto
che la persona nominata dal dittatore è il "maestro della
cavalleria". Analogamente osserva che Romolo morì durante
un'eclissi di sole; che ci si poteva appellare al popolo anche contro le
sentenze dei re; così risulterebbe dai libri dei pontefici secondo
Fenestella e altri studiosi. 32 Se è il grammatico a fare l'esegesi dei
medesimi libri, annota sùbito che Cicerone scrive reapse cioè re
ipsa e sepse cioè se ipse. Poi passa a quelle espressioni che sono
cambiate nel tempo, come in quel passo di Cicerone
poiché la sua interruzione ci ha riportati indietro dalla calce.
La meta nel circo che ora chiamiamo creta, un tempo si chiamava
calx. 33 Quindi raccoglie i versi di Ennio, e soprattutto quelli sull'Africano:
cui nessun concittadino o nemico potrà reddere opis pretium
per le sue imprese.
Egli ne deduce che in passato ops significava non solo 'aiuto', ma
anche 'opera'. Ennio, infatti, vuol dire che nessun concittadino o nemico poté
compensare l'opera di Scipione. 34 Si riterrà poi felice per aver
trovato il modello di Virgilio:
e sopra di lui tuona l'immensa porta del cielo.
Dirà che Ennio l'ha preso da Omero, e Virgilio da Ennio;
poiché in Cicerone, negli stessi libri del De re publica, si trova questo
epigramma di Ennio:
se è lecito a un uomo salire alle regioni celesti, per me solo
si apre l'immensa porta del cielo.
35 Ma per non finire anch'io, che ho ben altri intenti, tra i
filologi e i grammatici, ti ricordo che i filosofi vanno ascoltati o letti
avendo di mira la felicità e non per cogliere gli arcaismi o i
neologismi, le metafore insensate e le figure retoriche, bensì i
precetti utili, le massime nobili e coraggiose da mettere sùbito in
pratica. Assimiliamo questi insegnamenti in modo che le parole si traducano in
opere. 36 Da parte mia non giudico nessuno più dannoso all'umanità
di quegli uomini che hanno imparato la filosofia come un'arte per arricchirsi e
vivono in contrasto con i loro insegnamenti. Diventano loro stessi esempio di
una disciplina inutile, schiavi come sono di tutti i vizi che condannano. 37 Un
simile maestro mi è utile quanto un timoniere che vomita in piena
tempesta. Bisogna tener saldo il timone contro la violenza delle onde, lottare
col mare, sottrarre le vele alla furia del vento: come può essermi di
aiuto un timoniere stordito e in preda al vomito? Non pensi che la nostra vita
sia sconvolta da tempeste più violente che una nave? C'è bisogno
di una guida sicura, non di parole. 38 Tutti i princìpî che espongono,
che vanno ripetendo alla folla in ascolto, sono di altri: di Platone, Zenone,
Crisippo, Posidonio e di un vasto gruppo di tanti insigni filosofi. Ecco come
possono dimostrare che questi princìpî sono i loro: agiscano come
parlano.
39 Ti ho ormai detto quanto volevo; soddisfarò ora il tuo
desiderio e ti scriverò tutte le spiegazioni che hai richiesto, ma in
un'altra lettera: non voglio che affronti stanco una questione spinosa che va
ascoltata con molta attenzione. Stammi bene.
109
1 Tu vuoi sapere se un saggio può essere utile a un altro
saggio. Noi diciamo che il saggio ha in sé ogni bene e ha raggiunto la
perfezione: come può dunque qualcuno essere utile a chi possiede il
sommo bene? Eppure i buoni si giovano vicendevolmente, poiché praticano le
virtù e mantengono costante la loro saggezza; ognuno di loro sente il
bisogno di un altro con cui comunicare, con cui discutere. 2 I lottatori
esperti si tengono in esercizio con combattimenti continui; il musicista viene
stimolato da un collega abile quanto lui. Anche il saggio deve esercitare le
sue virtù; e come è di sprone a se stesso, così è
spronato da un altro saggio. 3 Come potrà un saggio essere utile a un
altro saggio? Gli darà slancio, gli indicherà le occasioni per
agire virtuosamente. Gli manifesterà inoltre certi suoi pensieri; gli
comunicherà le sue scoperte, poiché anche al saggio rimarrà
sempre qualcosa da scoprire e in cui il suo spirito possa spaziare. 4 Il
malvagio nuoce al malvagio, lo rende peggiore eccitandone l'ira, secondandone
la durezza, approvandone i piaceri; i malvagi si trovano a mal partito
soprattutto quando uniscono i loro vizi e la loro cattiveria forma un tutt'uno.
Quindi all'opposto il buono sarà utile al buono. 5 "Come?" tu
chiedi. Gli porterà gioia, consoliderà il suo coraggio. Alla
vista della reciproca serenità, crescerà in entrambi la
contentezza. Gli trasmetterà inoltre la conoscenza di certe nozioni: il
saggio non conosce tutto, e quand'anche conoscesse tutto, qualcun altro
potrebbe escogitare e indicargli vie più brevi per divulgare più
facilmente tutta la sua opera. 6 Il saggio sarà utile al saggio, non
soltanto con le proprie forze, ma anche con quelle di chi viene aiutato.
Certamente anche se è lasciato a se stesso il saggio può svolgere
i propri compiti: lo farà procedendo alla sua velocità; anche un
corridore, però, è aiutato da uno che lo sprona.
"Il saggio non giova al saggio, ma a se stesso. Ne vuoi una
prova? Sottraigli la forza e non potrà fare più nulla." 7
Con questo criterio potresti dire che il miele non è dolce; infatti, se
chi deve mangiarlo non ha lingua e palato conformati in modo da apprezzare un
sapore simile, ne rimarrà nauseato; ci sono certe persone che per una
malattia sentono amaro il miele. I saggi devono essere entrambi in pieno
vigore, cosi che l'uno sia in grado di giovare, e l'altro gli offra materia
adatta.
8 "Ma," si ribatte, "come è inutile
riscaldare un corpo che ha raggiunto il massimo calore, così è
inutile dare aiuto a chi ha raggiunto il sommo bene. L'agricoltore fornito di
tutti gli attrezzi chiede forse di riceverne da un altro? Un soldato armato
sufficientemente per scendere in campo, sente forse il bisogno di altre armi?
Quindi neppure il saggio: ha attrezzi e armi sufficienti per affrontare la
vita." 9 Rispondo: anche un corpo che ha raggiunto il massimo calore ha
bisogno di calore aggiuntivo per mantenere costante la temperatura.
"Ma," si obietta, "il calore si conserva da sé." Prima di
tutto c'è una grande differenza tra gli elementi del confronto: il
calore è unico, l'aiuto vario. E poi, perché il calore sia tale, non
serve un'aggiunta di calore: il saggio invece non può mantenere il suo
stato spirituale se non si crea amici simili a lui da rendere partecipi delle
proprie virtù. 10 Tutte le virtù sono, inoltre, in amicizia tra
loro; perciò giova chi ama le virtù di qualcuno a lui simile e
gli offre a sua volta virtù da amare. Le somiglianze sono gradite,
soprattutto quando si tratta di persone oneste che sanno apprezzare e farsi
apprezzare. 11 E poi nessun altro, se non il saggio, può influire con
perizia sull'animo del saggio, come solo l'uomo può influire razionalmente
sull'uomo. Per influire sulla ragione, occorre dunque la ragione, così
per influire su una ragione perfetta occorre una ragione perfetta. 12
Generalmente si definiscono utili persone che ci elargiscono beni indifferenti:
denaro, favori, incolumità e altri ancòra graditi o necessari ai
bisogni della vita; in questo, si dirà, anche lo stolto può
essere utile al saggio. Ma essere utili, significa indirizzare un'aníma secondo
natura con la propria virtù. Ciò si tradurrà in un bene
sia dell'oggetto che del soggetto di questa azione perché chi esercita la
virtù altrui necessariamente esercita anche la propria. 13 Ma pur
lasciando da parte i beni sommi o le loro cause, i saggi possono lo stesso
giovarsi a vicenda. Per il saggio, infatti, trovare un altro saggio è di
per sé desiderabde, poiché per natura ogni bene è caro a chi è
buono e così ognuno va d'accordo con chi è buono come con se
stesso.
17 Ho pagato il mio debito come chiedevi, sebbene tutto questo si
trovasse tra gli argomenti trattati nei miei libri di filosofia morale.
Rifletti su quello che spesso ti ripeto: con simili questioni noi esercitiamo
solo la nostra intelligenza. Tante volte torno a chiedermi: a che mi serve
questo genere di speculazioni? Rendimi, invece, più forte, più
giusto, più temperante. Non ho tempo per questi esercizi mentali: ho
ancora bisogno del medico. 18 Perché mi è richiesta una conoscenza
inutile? Mi sono state fatte grandi promesse: che vengano mantenute! Mi dicevi
che sarei rimasto imperterrito anche in mezzo al balenare delle spade, anche
col pugnale alla gola; che non avrei avuto paura neanche tra il divampare di un
incendio, neanche se un'improvvisa tempesta avesse trascinato la mia nave per
tutti i mari: aiutami a disprezzare il piacere, a disprezzare la gloria. Mi
insegnerai dopo a sciogliere i nodi, a distinguere le ambiguità, a
capire concetti oscuri: per ora insegnami quello che è necessario.
Stammi bene.
110
1 Ti mando un saluto dalla mia villa di Nomento e ti esorto a
mantenere un'anima onesta, ossia ad avere propizi tutti gli dèi: essi
sono benigni con chi è in pace con se stesso e lo favoriscono. Metti da
parte per ora ciò che credono alcuni: che ciascuno di noi abbia un dio
come guida, non uno dei maggiori; ma una divinità di grado inferiore,
tra quelle che Ovidio definisce "divinità plebee". Metti da
parte queste credenze, ma ricorda che i nostri antenati che le seguivano erano
Stoici; essi attribuivano ad ogni uomo un Genio e una Giunone. 2 Vedremo in
seguito se gli dèi hanno il tempo di occuparsi dei nostri affari
privati; intanto sappi questo: sia che siamo assegnati a una divinità,
sia che siamo abbandonati a noi stessi e dati in balia della sorte, non puoi
mandare a nessuno una maledizione più grave che quella di non essere in
pace con se stesso. Ma, se per te uno merita una punizione, non c'è
motivo di desiderare che abbia nemici gli dèi: li ha nemici, io dico,
anche se apparentemente è accompagnato dal loro favore. 3 Fai attenzione
e guarda alla realtà delle nostre cose, non al loro nome; ti renderai
conto che i mali, in gran parte, arrivano a proposito, e non ci càpitano
per caso. Quante volte quella che consideravamo una disgrazia è stata
causa e principio di prosperità! Quante volte un avvenimento accolto con
grande gioia è stato il primo passo verso la rovina e ha innalzato
ancòra di più uno che già stava in alto, quasi che la sua
posizione gli consentisse ancora di salvarsi da una caduta. 4 Ma anche una
caduta in se stessa non è un male se guardi al termine ultimo oltre il
quale la natura non ha mai abbattuto nessuno. È vicina la fine di tutto;
è vicina, ti dico, sia la fine di quella prosperità da cui viene
cacciato chi è felice, sia di quelle disgrazie da cui è liberato
l'infelice: noi le prolunghiamo entrambe e le protraiamo con la speranza o con
il timore. Ma, se sei saggio, misura tutto in base alla condizione umana;
abbrevia le tue gioie e i tuoi timori. Vale la pena non godere a lungo di
niente per non temere niente a lungo.
5 Ma perché voglio ridurre questo male? Non c'è cosa che tu
debba giudicare terribile: sono vane le paure che ci turbano, che ci lasciano
attoniti. Nessuno di noi ha controllato che cosa ci fosse di vero, ma la paura
l'uno l'ha trasmessa all'altro; nessuno ha osato accostarsi a ciò che lo
turbava per conoscere la natura del suo timore e quel che c'è in esso di
bene. Perciò una visione falsa e vana trova credito perché non ne
è stata dimostrata l'infondatezza. 6 Val la pena aguzzare la vista:
vedremo sùbito come siano brevi, incerte e senza pericolo le cose che
temiamo. La confusione del nostro animo è proprio quale la
giudicò Lucrezio:
Come i fanciulli trepidano e tutto temono nell'oscurità
delle tenebre, così noi temiamo in piena luce.
E allora? Non siamo più insensati di un fanciullo, noi che
abbiamo paura in piena luce? 7 Ma non è così, Lucrezio mio, non
abbiamo paura in piena luce: ci siamo circondati di tenebre. Non vediamo
niente, né utilità, né danno, per tutta la vita urtiamo contro degli
ostacoli, ma non per questo ci fermiamo o avanziamo con più
circospezione. Ti rendi conto che è da pazzi correre nelle tenebre! Ma,
perbacco, in questo modo dobbiamo poi essere richiamati da più lontano
e, pur ignorando dove siamo diretti, continuiamo a tutta velocità nella
direzione intrapresa. 8 Eppure, se volessimo, potrebbe risplendere la luce. E
c'è un'unica maniera: avere conoscenza delle cose umane e divine, ma
deve essere una conoscenza profonda, non superficiale: per quanto si sappiano,
le cose bisogna riesaminarle e riferirle a se stessi di frequente, bisogna
chiedersi che cosa sia il bene, quale cosa sia il male, al di là delle
false definizioni, indagare sull'onestà e l'abiezione, sulla
provvidenza. 9 Ma la penetrante intelligenza umana non si ferma a questi
problemi: vuole guardare anche al di là del mondo, comprendere la sua
meta, la sua origine, e verso quale fine si diriga così velocemente
l'universo. Abbiamo distolto l'animo dalla contemplazione del divino per
trascinarlo a cose meschine e spregevoli al servizio della nostra
avidità, perché, dimentico del mondo, dei suoi confini, dei signori che
regolano ogni cosa, scavi la terra e cerchi di tirarne fuori altri mali, non
contento di quelli che già ha davanti. 10 Tutto quanto poteva esserci
utile, dio, nostro padre, ce lo ha messo vicino; non ha aspettato che noi lo
cercassimo, ce lo ha dato spontaneamente: le cose nocive, invece, le ha
nascoste nelle viscere della terra. Possiamo lagnarci solo di noi stessi:
abbiamo portato alla luce le cause della nostra rovina, facendo violenza alla
natura che ce le nascondeva. Abbiamo assoggettato l'anima al piacere, e
indulgervi è l'inizio di tutti i mali; l'abbiamo consegnata
all'ambizione, alla sete di gloria, e ad altre aspirazioni ugualmente vane e
futili.
11 Che cosa ti consiglio allora? Niente di nuovo, non stiamo
cercando rimedi per mali nuovi. Ma una cosa soprattutto ti consiglio: cerca di
capire cos'è necessario e che cosa è superfluo. Il necessario ti
si offrirà spontaneamente dappertutto, il superfluo dovrai cercarlo
sempre con grandi sforzi. 12 Non devi compiacerti troppo per aver disprezzato
letti d'oro e suppellettili ornate di pietre preziose; che virtù
c'è a disprezzare il superfluo? Potrai avere ammirazione per te stesso
solo quando disprezzerai il necessario. Non fai una gran cosa se puoi vivere
senza una magnificenza regale, se non senti il bisogno di cinghiali enormi o di
lingue di fenicottero e altre straordinarie trovate di un lusso che ha ormai a
nausea gli animali interi e di ognuno sceglie determinate parti: avrai la mia
ammirazione se disprezzerai anche il pane nero, se ti convincerai che l'erba,
in caso di necessità, spunta non solo per le bestie, ma anche per
l'uomo, se capirai che il nostro ventre possono saziarlo i germogli delle
piante, e invece vi ammassiamo cibi pregiati come se potesse conservare quello
che riceve. Va riempito senza fare gli schizzinosi: cosa importa che alimento
riceve, se va tutto perso? 13 Ti piace vedere in tavola animali marini e
terrestri: gli uni sono più graditi se arrivano freschi sulla tavola,
gli altri se, nutriti a lungo e ingrassati a forza, grondano grasso e sembra
quasi che scoppino; ti piace la loro squisitezza ottenuta ad arte. Ma perbacco,
queste pietanze procurate con enorme fatica e preparate in tanti modi diversi,
quando finiranno nello stomaco, diventeranno un unico ammasso ripugnante. Vuoi
disprezzare il piacere del cibo? Guarda che fine fa.
14 Ricordo che Attalo diceva tra l'ammirazione generale: "Le
ricchezze mi hanno ingannato a lungo. Rimanevo colpito quando le vedevo
splendere qua e là: pensavo che la sostanza fosse simile all'apparenza.
Ma in occasione di una solennità vidi tutti i tesori di Roma, oggetti
cesellati in oro e argento e con pietre più preziose dell'oro e
dell'argento, colori raffinati e vesti arrivate da terre al di là non
solo dei nostri confini, ma anche dei confini dei nemici; da una parte uno
stuolo di giovani schiavi di rara bellezza ed eleganza, dall'altra di schiave,
e altri beni, che la fortuna dell'impero più potente del mondo aveva
esposto passando in rassegna le sue ricchezze. 15 Cos'è questo," mi
chiedo, "se non stimolare la cupidigia degli uomini già di per sé
eccitata? Che fine ha questa parata di ricchezza? Siamo venuti qui per imparare
l'avidità?" E invece, perbacco, me ne vado meno avido di quando
sono venuto. Disprezzo la ricchezza non perché è superflua, ma perché
è cosa di poco conto. 16 Hai visto? Quel corteo, sebbene procedesse
lento e ordinato, è sfilato in poche ore. E allora dovrà occupare
tutta la nostra vita una cosa che non ha potuto occupare un giorno intero? E
per giunta queste ricchezze mi sono sembrate superflue per i possessori come lo
sono state per gli spettatori. 17 Perciò ogni volta che qualcosa di
simile mi abbaglia, ogni volta che mi trovo davanti a una casa sontuosa o a un
elegante stuolo di schiavi o a una lettiga sostenuta da servi di bell'aspetto,
dico a me stesso: "Perché guardi ammirato? Perché rimani sbalordito?
È uno sfoggio. Queste ricchezze sono messe in mostra, non sono veramente
possedute; piacciono e già passano." 18 Volgiti piuttosto alla vera
ricchezza; impara ad essere contento di poco e grida con forza ed entusiasmo:
abbiamo acqua, abbiamo polenta; gareggiamo in felicità con Giove stesso.
Ma, ti prego, gareggiamo con lui anche se ci mancano entrambe; è
vergognoso riporre la felicità nell'oro e nell'argento, ma è
ugualmente vergognoso riporla nell'acqua e nella polenta. 19 "Che
farò, dunque, se mi mancheranno anche questi cibi?" Chiedi qual
è il rimedio all'indigenza? La fame mette fine alla fame: altrimenti che
differenza c'è se a ridurti in schiavitù sono beni grandi o piccoli?
Che importa quanto poco sia ciò che la sorte ti può negare? 20
Anche acqua e polenta dipendono dalla volontà altrui: è veramente
libero non l'uomo contro cui la fortuna ha poco potere, bensì quello
contro cui non può nulla. È così: non devi aver bisogno di
niente se vuoi competere con Giove che non ha bisogno di niente."
Questo è quanto ci ha detto Attalo, questo quanto la natura
ha detto a tutti gli uomini; e se vi rifletterai spesso, otterrai di essere
felice, non di sembrarlo, e di sembrarlo a te stesso, non agli altri. Stammi
bene.
111
1 Tu vuoi sapere come si chiamino in latino i sophismata. Si
è spesso tentato di trovare un sostantivo adatto, ma nessuno ha
attecchito; evidentemente, poiché non era da noi recepito il concetto e non era
nell'uso comune, si è respinto anche il termine.
Tuttavia il sostantivo più adatto mi sembra quello usato da
Cicerone: cavillationes. 2 Chi vi si dedica, tesse questioncelle davvero acute,
che non servono, però a vivere: non diventa più forte o
più temperante o più nobile. Se uno, invece, esercita la
filosofia per migliorarsi, diventa magnanimo, pieno di fiducia, e appare
insuperabile e superiore a chi gli si accosta. 3 Capita così con le alte
montagne: a guardarle da lontano sembrano più basse, ma avvicinandosi si
vede quanto siano elevate le loro cime. Così è, Lucilio mio, il
vero filosofo: tale a fatti, non con raggiri. Sta in alto, degno di
ammirazione, fiero, veramente grande; non si alza sulla pianta dei piedi, non
cammina sulle punte come le persone che cercano di aumentare con l'inganno la
loro statura e vogliono sembrare più alte di quanto non siano; è
contento della sua altezza. 4 E perché non dovrebbe essere contento di essere
cresciuto fino al punto in cui la fortuna non può raggiungerlo?
È, dunque, al di sopra delle vicende umane, uguale a se stesso in ogni
situazione, sia che il corso della vita proceda favorevole, sia che ondeggi e
avanzi tra avversità e ostacoli: i cavilli, di cui si parlava poco
prima, non possono darci questa fermezza. Con essi l'anima gioca, non
progredisce, e trascina la filosofia giù dalla sua altezza in basso. 5
Non è che ti proibisca di dedicarti talvolta a questi cavilli, ma solo
quando non vorrai fare nulla. Hanno, però questo di veramente dannoso:
procurano un certo diletto, trattengono e fanno indugiare l'animo con la loro
apparente sottigliezza, mentre lo aspetta una massa di problemi, e la vita
intera non basta a imparare una sola cosa: il disprezzo della vita. "E per
governarla?" chiedi. Questo lo imparerai in un secondo momento; la vita
nessuno può governarla bene, se prima non la disprezza. Stammi bene.
112
1 Per dio, certamente vorrei che il tuo amico si potesse formare
ed educare come vuoi tu, ma l'hai trovato già molto indurito, anzi, ed
è più grave, proprio imbelle e infiacchito da cattive abitudini
di vecchia data. 2 Voglio farti un esempio, preso dalla mia attività
agricola. Non tutte le viti sopportano l'innesto: se la pianta è vecchia
e corrosa, se è malata e fragile, o non riceverà la marza o non
riuscirà a nutrirla, e non si verificherà l'unione e il passaggio
di natura e di qualità. Perciò di solito si taglia la vite al
livello del terreno, così che, se l'innesto non riesce, si possa tentare
la sorte un'altra volta e ripetere l'operazione sotto terra. 3 La persona di
cui scrivi e che raccomandi non ha forza: ha secondato troppo i vizi. È
marcito e si è indurito nello stesso tempo; non può accogliere in
sé la ragione, né può nutrirla. "Ma è lui stesso a
desiderarlo." Non crederci. Non dico che voglia mentirti: è convinto
di volerlo. La sua dissolutezza gli è venuta a nausea: ma presto vi si
riconcilierà. 4 "Ma afferma di essere disgustato dalla sua
vita." Non dico di no; e chi non ne proverebbe disgusto? Gli uomini amano
e insieme odiano i loro vizi. Lo giudicheremo pertanto quando ci
dimostrerà con certezza che detesta quella vita corrotta: al momento
è solo in disaccordo. Stammi bene.
113
1 Vuoi che ti scriva il mio parere sulla questione di cui abbiamo
discusso: se la giustizia, la fortezza, la prudenza e le altre virtù
siano animali. Con queste sottigliezze, carissimo Lucilio, diamo l'impressione
di esercitare la mente in questioni vane e di perdere tempo in discussioni
inutili. Farò tuttavia, come vuoi e ti esporrò il parere dei
filosofi stoici; ma ti confesso di avere un'opinione diversa: secondo me ci
sono problemi più convenienti a chi veste con calzari bianchi e pallio.
Ti esporrò dunque, le questioni che hanno interessato gli antichi
filosofi o meglio, le questioni di cui essi si sono interessati.
2 Si sa che l'anima è animale, poiché ci rende esseri
animati, e gli esseri animati hanno derivato da lei questo nome; la
virtù non è niente altro che un certo stato dell'anima: quindi
è animale. Inoltre, la virtù agisce; ma non si può mai
agire senza slancio: se ha slancio, che è una prerogativa degli animali,
è animale. 3 "Se la virtù è animale," si
ribatte, "ha in sé la virtù." E perché non dovrebbe possedere
se stessa? Il saggio agisce sempre attraverso la virtù, allo stesso modo
la virtù agisce attraverso se stessa. "Quindi," continuano,
"anche tutte le arti sono animali e tutti i nostri pensieri e tutto quello
che abbracciamo con la mente. Ne consegue che nello spazio ristretto del nostro
petto abitano molte migliaia di animali, e ciascuno di noi è formato da
molti animali oppure abbiamo in noi molti animali." Vuoi sapere che cosa
si può controbattere? Ciascuna di queste cose sarà un animale, ma
non ci saranno molti animali. Perché? Te lo dirò se mi dedicherai tutta
la tua attenzione e l'acume della tua intelligenza. 4 I singoli animali devono
avere ciascuno una propria essenza; tutte queste cose, invece, hanno una sola
anima; perciò possono esistere singolarmente, ma non possono essere
molte. Io sono uomo e animale, e tuttavia non potresti dire che siamo in due. Perché?
Perché devono essere due elementi distinti. Per essere due, ti dico, l'uno deve
essere separato dall'altro. Tutto ciò che è molteplice in un
unico essere, fa parte di un'unica natura; perciò è uno. 5 La mia
anima è un animale, io sono un animale e tuttavia non siamo due esseri.
Perché? Perché l'anima è parte di me stesso. Una cosa conta per se
stessa, quando sussiste di per sé; fino a quando sarà parte di un altro
essere, non potrà esserne distinta. Perché? Te lo spiego: perché un
essere distinto deve appartenere totalmente a sé, avere caratteristiche proprie
ed essere completo e compiuto in se stesso.
6 Ho già detto che la penso diversamente; infatti, se si
accetta questa teoria, non saranno animali solo le virtù, ma anche i
vizi a esse contrari, e le passioni, come l'ira, la paura, il cordoglio, il
sospetto. Ma si può andare oltre: saranno animali tutte le idee, tutti i
pensieri. Ma questo è assolutamente inaccettabile: non tutto ciò
che è fatto dall'uomo è uomo. 7 "La giustizia
cos'è?" si chiede. Una condizione dell'anima. "Perciò
se l'anima è un animale, lo è anche la giustizia." Niente
affatto; è un modo di essere dell'anima e una forza. L'anima stessa
assume vari aspetti, ma non diventa un animale diverso tutte le volte che
agisce in modo diverso; e neppure quello che viene fatto dall'anima è
animale. 8 Se la giustizia è un animale, se lo sono la fortezza e le
altre virtù, esse cessano di essere animali di volta in volta e
ricominciano ad esserlo, oppure lo sono sempre? Le virtù non possono
finire. Quindi, nell'anima si trovano molti, anzi innumerevoli animali. 9
"Non sono molti," si ribatte, "poiché sono legati a un unico
essere e ne sono parti e membra." Ci immaginiamo, dunque, l'anima simile
all'Idra dalle molte teste, di cui ognuna combatte e fa del male da sola.
Eppure nessuna di quelle teste è animale, ma una testa di animale:
l'Idra stessa è un solo animale. Nessuno ha mai detto che nella Chimera
il leone o il drago fossero animali: entrambi ne erano parte e le parti non
sono animali. 10 Come arrivi dunque alla conclusione che la giustizia è
un animale? "Agisce," si risponde, "ed è utile;
ciò che agisce ed è utile ha uno slancio; e ciò che ha uno
slancio è un animale." Questo è vero, se ha un proprio
slancio; ma lo slancio non è della giustizia, bensì dell'anima.
11 Ogni animale è lo stesso dalla nascita alla morte: l'uomo è
uomo fino alla morte, il cavallo cavallo, il cane cane; non può
diventare un altro. La giustizia, cioè l'anima che si trova in un determinato
stato, è un animale. Ammettiamolo pure: allora è un animale anche
la fortezza, cioè l'anima che si trova in un determinato stato. E quale
anima? Quella che prima era giustizia? Ma è prigioniera nell'animale
precedente e non può passare in un altro; deve continuare in
quell'animale in cui ha cominciato a esistere. 12 Inoltre, una sola anima non
può essere di due animali, e tanto meno di più animali. Se la
giustizia, la fortezza, la temperanza e le altre virtù sono animali,
come avranno un'unica anima? Ciascuno deve avere la sua, oppure non sono
animali. 13 Un solo corpo non può essere di più animali. Questo
lo ammettono anche loro stessi. Qual è il corpo della giustizia?
"L'anima." E il corpo del coraggio? "La medesima anima." Ma
un solo corpo non può appartenere a due animali. 14 "È la stessa
anima," ribattono, "che prende l'aspetto della giustizia, della
fortezza, della temperanza." Questo potrebbe verificarsi se, nel momento
in cui l'anima è giustizia, non fosse coraggio, e, quando è
fortezza, non fosse temperanza: in realtà tutte le virtù esistono
contemporaneamente. Allora come potranno essere animali le singole
virtù, se l'anima è una sola e non può formare più
di un solo animale? 15 Infine, nessun animale è parte di un altro
animale; la giustizia è parte dell'anima, dunque non è un animale.
Mi sembra di perdere tempo per una questione così evidente;
questo argomento più che discussione merita sdegno. Nessun animale
è uguale a un altro. Osservane i corpi: ciascuno ha un suo colore, un
suo aspetto, una sua statura. 16 Secondo me l'ingegno del divino artefice fra
l'altro va ammirato anche per questo: in tanta varietà di esseri non si
è mai ripetuto. Anche quelli che sembrano simili, messi a confronto,
sono diversi. Ha creato tanti tipi di foglie: ciascuna con caratteristiche
proprie; tanti animali: nessuno è grande quanto un altro; c'è
sempre qualche differenza. Ha preteso da sé che esseri diversi fossero
dissimili e disuguali. Tutte le virtù, come dite, sono uguali; quindi
non sono animali. 17 Ogni animale agisce da sé; la virtù non agisce da
sé, ma con l'uomo. Tutti gli animali o sono razionali, come gli uomini e gli
dèi, o irrazionali, come le fiere e le bestie domestiche; le
virtù sono senz'altro razionali; ma non sono né uomini, né dèi;
quindi non sono animali. 18 Ogni animale razionale non agisce se non sotto lo
stimolo di un'immagine, poi prende lo slancio e quindi l'assenso conferma
questo slancio. Ecco cos'è l'assenso. Devo camminare: camminerò
solo quando lo avrò detto a me stesso e avrò approvato questa mia
idea; devo sedermi: mi siederò solo alla fine di questa trafila. Questo
assenso non c'è nella virtù. 19 Supponiamo che si tratti della
prudenza: come darà il proprio consenso alla necessità di
camminare? La natura non lo ammette. La prudenza guarda alla persona alla quale
appartiene, non a se stessa; non può passeggiare, né sedere. Quindi, non
ha l'assenso e, dal momento che non ha l'assenso, non è animale
razionale. La virtù, se è un animale, è razionale; ma
razionale non è, quindi non è un animale. 20 Se la virtù
è un animale e la virtù è ogni bene, ogni bene è un
animale. Questo è il pensiero dei nostri filosofi. È un bene
salvare il padre, è un bene fare in senato discorsi saggi, è un
bene giudicare con giustizia; quindi, salvare il padre è un animale e
fare un discorso saggio è un animale. La questione arriverà a un
punto in cui non ci si potrà più trattenere dal ridere: tacere al
momento opportuno è un bene, cenare ‹frugalmente› è un bene;
così tacere e cenare sono animali.
21 Perbacco, non smetterò di dilettarmi e di giocare con
queste sciocche sottigliezze. La giustizia e la fortezza, se sono animali, sono
senz'altro terrestri; tutti gli animali terrestri sentono il freddo, la fame,
la sete; quindi la giustizia sente il freddo, la fortezza la fame, la clemenza
la sete. 22 E poi? Non chiederò ai filosofi che aspetto hanno questi
animali? Di uomo, di cavallo o di fiera? Se attribuiranno loro una forma
rotonda come a dio, chiederò se l'avarizia, la dissolutezza, la follia
sono parimenti rotonde; anch'esse, infatti, sono animali. Se anche a queste
attribuiscono una forma rotonda, chiederò ancora se passeggiare
compostamente sia un animale. Dovranno rispondere affermativamente e di
conseguenza dire che passeggiare è un animale e per di più
rotondo.
23 Non pensare ora che io sia il primo degli Stoici a non seguire
le vecchie teorie e a esprimere un'opinione personale; Cleante e il suo
discepolo Crisippo non sono d'accordo su che cosa sia il passeggiare. Cleante
dice che è lo spirito vitale che passa dall'elemento principale ai
piedi, Crisippo invece che è l'elemento principale stesso. Perché,
dunque, ognuno sull'esempio di Crisippo non rivendica la propria libertà
e non se la ride di tutti questi animali che l'universo intero non potrebbe
contenere?
24 "Le virtù," si dice, "non sono molti
animali, e tuttavia sono animali. Come uno può essere poeta e oratore, e
tuttavia è un unico individuo, così queste virtù sono
animali, ma non molti animali. L'anima e l'anima giusta e saggia e forte, che
si trova in una certa disposizione di fronte alle singole virtù,
è la stessa." 25 Eliminata ‹la controversia› siamo d'accordo.
Anch'io ammetto intanto che l'anima è un animale, riservandomi di
esaminare in sèguito il mio parere su questo argomento: nego,
però che le sue azioni siano animali. Altrimenti saranno animali anche
tutte le parole e tutti i versi. Difatti se un discorso saggio è un
bene, e ogni bene è un animale, un discorso sarà un animale. Un
verso saggio è un bene, ogni bene è un animale; dunque, un verso
è un animale. Così
canto le armi e l'uomo
è un animale, ma non possono dire che è rotondo
visto che ha sei piedi. 26 "L'argomento in questione è, per dio,
proprio capzioso," affermi. Scoppio dal ridere quando mi immagino come
animali solecismi, barbarismi, sillogismi e attribuisco loro una figura
appropriata come fossi un pittore. Discutiamo di questo argomento con i
sopraccigli corrugati e la fronte aggrottata? Non posso pronunciare a questo
punto quel famoso verso di Celio: "Che squallide sciocchezze!" Sono
addirittura ridicole.
Perché piuttosto non trattiamo qualche argomento salutare e a noi
utile e non cerchiamo come si possa arrivare alla virtù e quale strada
ci conduca a essa? 27 Insegnami non se la fortezza è un animale, ma che
nessun animale è felice senza la fortezza, se non si è rafforzato
contro i casi fortuiti e non è in grado di dominare ogni evento con la
riflessione prima di essere colto di sorpresa. Cos'è la fortezza? La
difesa inespugnabile della debolezza umana, e chi se ne circonda resiste senza
timore all'assedio della vita; impiega armi e forze sue.
114
4 Il modo di vivere di Mecenate è troppo noto perché sia
ora necessario raccontare come passeggiasse, quanto fosse raffinato, come
desiderasse mettersi in mostra e non volesse nascondere i suoi vizi. E allora?
La sua eloquenza non fu trasandata come lo era lui? Le sue parole non sono
particolari quanto la sua eleganza, il suo sèguito, la sua casa, la sua
consorte? Sarebbe stato un uomo di grande ingegno, se lo avesse indirizzato su una
via più retta, se non avesse ricercato l'oscurità, se non fosse
stato rilassato anche nel linguaggio. Ti troverai di fronte all'eloquenza
propria di un uomo ubriaco, involuta, degenerata, corrotta. 5 "Il fiume e
la riva chiomata di selve." Che c'è di più brutto? Vedi come
"arino con le barche il letto del fiume e, rivoltando le onde, si lascino
dietro i giardini." E che dire? se uno "arriccia il viso ammiccando
alla sua donna e fa il colombo con le labbra e comincia sospirando, come con la
stanca cervice infuriano i tiranni del bosco." "Implacabile fazione,
frugano nei banchetti, tentano le case con la bottiglia e passano la morte
sperando." "Un Genio testimone a stento del suo giorno festivo."
"I fili dell'esile candela e la focaccia crepitante." "La madre
o la sposa adornano il focolare." 6 Appena leggerai queste parole ti
verrà in mente che si tratta di quell'individuo che andava sempre
girando per la città con la tunica sciolta; anche quando in assenza di
Augusto ne faceva le veci, si faceva notare per la veste discinta; che in
tribunale, sulle tribune, in ogni pubblica adunanza appariva col capo coperto
dal mantello, da cui spuntavano solo le orecchie, come fanno nel mimo gli
schiavi fuggitivi di un ricco; che mentre infuriavano con più violenza
le guerre civili e nella città turbata tutti i cittadini erano in armi,
si mostrava in pubblico scortato da due eunuchi, e tuttavia più virili
di lui; che si sposò mille volte, pur avendo una sola moglie. 7 Queste
parole disposte tanto male, gettate là con trascuratezza, collocate in
maniera assolutamente inconsueta, dimostrano che anche le sue abitudini erano
altrettanto insolite, corrotte e singolari. La sua qualità più
lodevole è la mansuetudine: si astenne dall'usare la spada, dal versare
sangue e il suo potere lo mostrò solo con la sua dissolutezza. Ma questo
suo merito lo ha sciupato con le raffinatezze del suo linguaggio assolutamente
fuori dall'ordinario; fu evidentemente un uomo debole, non un mite. 8 Questi
componimenti contorti, queste trasposizioni di parole, questi concetti strani,
spesso grandi, ma espressi senza nerbo, dimostrano chiaramente a tutti una
cosa: l'eccessiva prosperità gli aveva dato alla testa. E questo difetto
può caratterizzare un uomo o un intero periodo. 9 Quando la
prosperità genera una diffusa dissolutezza, si manifesta dapprima una
cura più ricercata del fisico; quindi ci si preoccupa per le
suppellettili; poi si rivolge ogni attenzione alla casa: deve estendersi vasta
come una campagna, le pareti devono risplendere di marmi importati d'oltre
oceano, i soffitti essere screziati d'oro, lo splendore dei pavimenti
corrispondere a quello dei soffitti; poi la sontuosità passa alla tavola
e si cerca di renderla più pregevole con le stranezze e sovvertendo
l'ordine abituale: si presentano come primi piatti quelli che di solito
concludono il pranzo, e agli invitati che se ne vanno si servono quei cibi che
si davano all'arrivo. 10 Quando l'anima arriva ad avere a nausea le
consuetudini e a ritenerle spregevoli, cerca novità anche nel linguaggio;
ora riprende e tira fuori parole vecchie e obsolete, ora ne conia persino di
nuove e distorce i significati, ora, e questa è l'ultima moda, considera
segno di eleganza audaci e frequenti metafore.
Pertanto dovunque vedrai compiacimento per un'eloquenza corrotta,
ci sarà certamente anche una corruzione dei costumi. Banchetti e vestiti
sfarzosi sono indice di una comunità malata, allo stesso modo la licenza
del linguaggio, se è diffusa, mostra che anche gli animi da cui hanno
origine le parole sono in decadenza. 12 Non stupirti che questo tipo di
eloquenza corrotta sia accolta con favore non solo dalla cerchia degli
spettatori più grossolani, ma anche dalla massa di quelli più
colti; essi differiscono tra loro nelle vesti, non nei giudizi. Piuttosto puoi
stupirti che siano lodate non solo le opere piene di difetti, ma i difetti
stessi. È sempre stato così: nessun uomo d'ingegno è stato
apprezzato senza che gli venisse perdonata qualche mancanza. Citami un uomo
famoso, quello che vuoi: ti dirò che cosa i suoi contemporanei gli hanno
perdonato, che cosa hanno consapevolmente finto di non vedere. Ti
indicherò molti che non sono stati danneggiati dai loro difetti, e
alcuni ai quali i difetti hanno addirittura giovato. Ti indicherò,
ripeto, uomini famosissimi, fatti oggetto di ammirazione, che distruggeresti se
volessi correggerli: i vizi sono così uniti alle virtù da
trascinarle via con sé.
13 Il linguaggio, inoltre, non ha regole fisse: lo trasformano le
consuetudini sociali in continua, rapida evoluzione. Molti prendono i termini
da un altro periodo, parlano la lingua delle Dodici Tavole; per loro Gracco,
Crasso, Curione sono troppo raffinati e moderni, tornano indietro fino ad Appio
e Coruncanio. Altri, invece, cercano solo espressioni trite e consuete e cadono
nel triviale. 14 Tutti e due gli stili sono corrotti, sia pure in modo diverso,
come, perbacco, quando si vogliono usare solo vocaboli splendidi, altisonanti e
poetici, ed evitare quelli indispensabili e usuali. A mio parere sbagliano sia
gli uni che gli altri: i primi per troppa cura, i secondi per troppa
trascuratezza, quelli si depilano anche le gambe, questi neppure le ascelle.
15 Passiamo ora alla disposizione delle parole. Quanti tipi di
errori ti posso indicare? Ad alcuni piacciono le frasi spezzate e ineguali; le
scompigliano di proposito se hanno un andamento troppo scorrevole; non vogliono
concatenazioni senza scabrosità: per loro sono virili e forti quelle che
colpiscono l'orecchio con la loro disuguaglianza. Altri più che
costruire le frasi, le modulano; tanto sono carezzevoli e scorrono dolcemente.
16 Che dire poi del periodo in cui le parole sono rinviate, si fanno attendere
a lungo e compaiono a stento alla fine? Che dire del periodo come quello di
Cicerone che si avvia lento scorrevole e che indugia mollemente e segue
l'andamento e il ritmo abituali?
Ma i difetti non si trovano solo * * * nel tipo dei concetti, se
sono gretti e puerili o malvagi e spudorati, se sono fioriti e troppo
sdolcinati, se cadono nel vuoto e non hanno altro effetto che il loro suono.
17 Questi difetti li introduce uno che in quel momento detta legge
nel campo dell'eloquenza; gli altri li imitano e se li trasmettono l'un
l'altro. Così quando era in auge Sallustio venivano considerati eleganti
i pensieri tronchi, le parole che arrivano inaspettate, le locuzioni stringate
e oscure. L. Arrunzio, uomo di eccezionale sobrietà, che scrisse una
storia della guerra punica, fu un sallustiano e si distinse in quel genere di
prosa. Si trova in Sallustio: "Fece l'esercito col denaro",
cioè lo allestì col denaro. Ad Arrunzio piacque questa
espressione e la inserì in ogni pagina. Dice in un passo: "Fecero
la fuga ai nostri", e in un altro: "Gerone, re di Siracusa, fece la
guerra", e ancora: "Questa notizia fece che i Palermitani si
consegnassero ai Romani." 18 Ti ho voluto dare un assaggio: ma tutto il
libro è intessuto di simili espressioni. Rare in Sallustio, in lui sono
frequenti e quasi continue, e c'è un motivo: per Sallustio erano occasionali,
mentre Arrunzio le ricercava di proposito. Vedi, dunque, quali sono le
conseguenze quando un difetto è preso a esempio. 19 Scrive Sallustio:
"acque invernali." Arrunzio, nel primo libro della guerra punica,
dice: "D'improvviso il tempo divenne invernale", e in un altro punto,
volendo dire che quell'anno era stato freddo, scrive: "Tutto l'anno fu
invernale", e in un altro: "Di lì inviò sessanta navi
da carico leggere oltre ai soldati e ai marinai necessari sotto un aquilone
invernale", e questo termine lo ha ficcato continuamente dappertutto.
Sallustio dice in un passo: "Mentre durante le guerre civili aspirava alle
reputazioni di uomo giusto e onesto." Arrunzio non seppe trattenersi dallo
scrivere sùbito nel primo libro che grandi erano "le reputazioni"
di Regolo. 20 Questo e altri difetti simili, che si acquistano per imitazione,
non sono segno di dissolutezza né di un animo corrotto; devono essere personali
e nati da quello stesso individuo per giudicare in base a essi i sentimenti di
un uomo: un linguaggio iracondo è proprio di una persona iraconda, uno
troppo concitato di una persona appassionata, uno voluttuoso e fiacco di un
uomo effeminato. 21 Se fai caso, questo modo di esprimersi lo seguono quelli
che si tagliano la barba o se la sfoltiscono, che si radono accuratamente i
baffi o li tagliano via, ma conservano e fanno crescere i peli nelle altre
parti, che indossano mantelli di colori stravaganti, vesti trasparenti e non
vogliono fare niente che passi inosservato agli occhi degli altri: suscitano il
loro interesse e lo attirano su di sé, accettano persino il biasimo pur di
farsi notare. Tale è l'eloquenza di Mecenate e di tutti gli altri che
non commettono errori di stile per caso, ma consapevolmente e di proposito. 22
All'origine c'è un profondo malessere spirituale: quando uno beve, la
lingua si inceppa solo se la mente soccombe al peso del vino e vacilla o si
abbandona, così questa forma di ubriachezza del linguaggio non è
dannosa finché l'anima rimane salda. Curiamo perciò l'anima: da essa
scaturiscono i pensieri, le parole, da essa deriva il nostro comportamento,
l'espressione del volto, l'incedere. Se l'anima è sana e vigorosa, anche
il linguaggio è energico, forte, virile: se l'anima soccombe, anche il
resto la segue nella caduta.
23 Finché il re è incolume tutti sono concordi: quando
scompare, è violata ogni promessa.
Il nostro re è l'anima; finché è incolume, le altre
parti adempiono al proprio dovere, obbediscono e sono sottomesse; quando essa
vacilla un po', tutto nello stesso momento diventa incerto. Quando cede al
piacere, anche le sue capacità, le sue azioni si indeboliscono e tutti
gli impulsi sono fiacchi e senza nerbo.
24 Poiché ho usato questo esempio continuerò così.
La nostra anima ora è un re, ora un tiranno: re quando guarda alla
virtù, ha cura della salute del corpo affidatole e non gli comanda
niente di abietto o di meschino; ma quando è sfrenata, avida,
voluttuosa, assume un nome detestabile e funesto e si trasforma in un tiranno.
Allora diventa preda e vittima di sfrenate passioni; all'inizio ne gode, come
fa il popolo che quando c'è un'elargizione si riempie inutilmente a suo
danno e arraffa quello che non può trangugiare; 25 quando poi il male ha
consumato via via le forze e la lussuria è penetrata nelle midolla e nei
nervi, l'anima si compiace alla vista di quelle dissolutezze di cui si è
resa incapace per l'eccessiva avidità, e considera come suoi piaceri lo
spettacolo di quelli altrui, complice e testimone di dissolutezze, del cui
godimento si è privata approfittandone. E il piacere di avere in
abbondanza queste delizie non è pari all'angustia di non poter far
passare attraverso la gola e il ventre tutto quello che è stato
imbandito, di non potersi avvoltolare con tutta quella massa di amasi e femmine,
e si affligge perché gran parte della sua felicità è impedita e
viene meno per le sue carenze fisiche. 26 Questa pazzia, caro Lucilio, non
consiste forse nel fatto che nessuno di noi pensa di essere debole e mortale?
Anzi, che nessuno di noi pensa di essere uno solo? Guarda le nostre cucine e i
cuochi che corrono tra tanti fornelli: ti sembra che con un simile trambusto si
prepari cibo per un ventre solo? Guarda le nostre provviste di vino vecchio e
le cantine piene delle vendemmie di molte generazioni: ti sembra che vini di
tanti anni e di tante regioni si conservino per un ventre solo? Guarda in
quanti luoghi si vanga la terra, quante migliaia di contadini arano, zappano:
ti sembra che per un solo ventre si semini in Sicilia e in Africa? 27 Saremo
sani e avremo desideri moderati se ciascuno conterà se stesso, e
contemporaneamente misurerà il proprio corpo e comprenderà che
non può contenere molto, né per lungo tempo. Niente, però ti
servirà tanto per essere temperante in tutto quanto il pensare di
frequente che la vita è breve e incerta: qualunque cosa tu faccia,
guarda alla morte. Stammi bene.
115
1 Non voglio, Lucilio mio, che tu ti dia eccessivo pensiero delle
parole e della loro disposizione: ho questioni più importanti di cui tu
debba curarti. Preòccupati del contenuto, non della forma; e non tanto
di scrivere, ma di sentire ciò che scrivi, in modo da rivolgere a te e
quasi di imprimerti nell'animo ciò che senti. 2 Quando vedi uno
esprimersi con un linguaggio ricercato ed elegante, sappi che anche la sua
anima è ugualmente presa dalle meschinità. Una persona magnanima
parla in maniera più pacata e quieta. Tutte le sue parole rivelano
più sicurezza che cura formale. Conosci certi bellimbusti con la barba e
i capelli tirati a lucido, tutti agghindati: non puoi aspettarti da loro niente
di forte, di solido. Il linguaggio è ornamento dell'anima: se è
ricercato, artificioso ed elaborato, dimostra che anche l'anima non è
sana e ha delle debolezze. La ricercatezza non è ornamento virile. 3 Se
noi potessimo guardare dentro l'anima di un uomo onesto, che straordinaria
bellezza, che sacralità, che fulgore di magnificenza e di
serenità vedremmo; vi splenderebbero la giustizia, la fortezza, la
temperanza e la saggezza! E oltre a queste, la frugalità, la moderazione,
la pazienza, la generosità, l'affabilità e il senso di
umanità, bene raro - chi lo crederebbe? - in un uomo, diffonderebbero su
di essa la loro luce. Poi la prudenza insieme alla correttezza e alla
magnanimità, la più insigne tra queste virtù, quanta
bellezza, buon dio, quanta gravità e peso le aggiungerebbero, quanta
autorità e quanto credito! Tutti la definirebbero meritevole di amore e
insieme di venerazione. 4 Se qualcuno vedesse questa bellezza più vivida
e splendente di quanto si è soliti vedere tra le cose umane, non si
fermerebbe attonito come se si trovasse di fronte a una divinità e
pregherebbe in silenzio: "Sia lecita questa visione"; poi invitato
dall'espressione benevola del volto, non la adorerebbe supplicandola e, dopo
averla a lungo contemplata così eminente e alta più della statura
delle cose che siamo abituati a vedere, con gli occhi pieni di dolcezza e
tuttavia ardenti di un vivido fuoco, preso da sacro rispetto e sbalordito non
pronuncerebbe, infine, quel verso del nostro Virgilio:
5 Come debbo chiamarti, o vergine? Non hai aspetto mortale e la
tua voce non è umana... sii propizia, chiunque tu sia, e allevia i
nostri affanni.
Ci assisterà e ci aiuterà se vorremo venerarla. Ma
non la si venera sacrificando pingui tori, e nemmeno con doni votivi d'oro e
d'argento o con offerte versate al tesoro del tempio, ma con pii e onesti
propositi. 6 Tutti, dico, arderemmo d'amore per lei se ci toccasse di vederla;
per ora molti sono gli ostacoli che accecano i nostri occhi con l'eccessivo
splendore o li impediscono con le tenebre. Ma come con certi medicamenti noi
rendiamo più acute e limpide le nostre capacità visive,
così se vorremo liberare la vista dell'anima da ogni impedimento,
potremo scorgere la virtù anche sotto il peso del corpo, anche se la
povertà le fa da schermo, anche attraverso l'umile condizione e il
disonore; 7 vedremo, insomma, la sua bellezza anche coperta di cenci. E d'altra
parte la malvagità e il torpore di un'anima travagliata li vedremo
ugualmente, anche se il vivo splendore irradiato dalla ricchezza fa da
ostacolo, e la falsa luce degli onori e dei grandi poteri colpisce chi guarda.
8 Ci renderemo conto allora che ammiriamo beni spregevoli, come i bambini che
tengono in gran conto ogni gioco e ai genitori e ai fratelli preferiscono
monili di poco prezzo. L'unica differenza tra noi e loro, come dice Aristone,
è che noi facciamo follie per quadri e statue pagando a più caro
prezzo la nostra scempiaggine. Quelli si divertono con i sassolini variegati e
lisci che trovano sulla spiaggia, noi con grandi colonne variopinte, importate
dalle sabbie dell'Egitto e dai deserti africani, che sostengono un portico o
una sala da pranzo capace di contenere una grande folla. 9 Ammiriamo le pareti
ricoperte da marmi sottili, eppure sappiamo che cosa c'è sotto. Inganniamo
i nostri occhi e quando ricopriamo d'oro i soffitti, ci compiaciamo di un
inganno: sappiamo che quell'oro nasconde delle brutte travi. Ma ricoperti da
sottile ornamento non sono solo le pareti e il soffitto: anche la
felicità di tutti costoro che vedi camminare a testa alta è
unicamente esteriore. Guarda bene e vedrai quanto male si annidi sotto questa
sottile patina di dignità. 10 Da quando si è cominciato a onorare
il denaro, che incatena tanti magistrati e tanti giudici, che crea magistrati e
giudici, le cose hanno perduto il loro vero valore, e noi, diventati ora
mercanti, ora merce in vendita, non consideriamo la qualità, ma il
prezzo; per interesse siamo onesti, per interesse disonesti, e la virtù
la pratichiamo finché c'è una speranza di guadagno, pronti a un
voltafaccia se la scelleratezza promette di più. 11 È colpa dei
nostri genitori se noi ammiriamo l'oro e l'argento, e la cupidigia, che ci
è stata inculcata fin da piccoli, ha messo profonde radici ed è
cresciuta insieme a noi. Il popolo intero, discorde su altre questioni,
è concorde su questo punto: ammirano l'oro, lo desiderano per i loro
cari, lo consacrano agli dèi come il più grande dei beni umani,
quando vogliono dimostrare la loro gratitudine. Infine l'immoralità
è tale che la povertà è maledetta ed è considerata
infamante, disprezzata dai ricchi, invisa ai poveri. 12 Si aggiungono inoltre
le opere dei poeti, che infiammano le nostre passioni e che lodano la ricchezza
come unico lustro e ornamento della vita. Per costoro gli dèi immortali
non possono concedere o possedere niente di meglio.
13 La reggia del sole si ergeva su alte colonne, splendida d'oro
scintillante.
E guarda il carro del sole:
D'oro era l'asse, il timone d'oro, d'oro il cerchio delle ruote,
d'argento la serie dei raggi.
Infine chiamano aurea l'età che vogliono indicare come la
migliore. 14 Neppure nei tragici greci mancano personaggi che barattano per
interesse l'onestà, la salute spirituale, la reputazione.
Mi stimino pure il peggiore degli uomini, purché mi stimino ricco.
Tutti chiediamo se uno è ricco, nessuno chiede se è
onesto.
Vogliono sapere solo che cosa uno possegga, non perché e come lo
possegga.
Dappertutto ogni uomo è stimato tanto quanto possiede.
Chiedi quale possesso è vergognoso per noi? Non averne.
Se ricco, voglio vivere, se povero, morire.
Muore bene chi muore mentre guadagna.
Denaro, grande bene del genere umano, cui non può essere
pari l'amore della madre o dei dolci figli, non il genitore venerando per i
suoi meriti; se qualcosa nel volto di Venere brilla con tanta dolcezza, a
ragione la dea fa innamorare dèi e uomini."
15 Quando furono recitati questi ultimi versi della tragedia
euripidea la folla si alzò d'impeto tutta insieme per cacciare l'autore
e interrompere lo spettacolo, finché Euripide stesso si precipitò fuori
chiedendo che aspettassero di vedere che fine avrebbe fatto quell'ammiratore
dell'oro. In quella tragedia Bellerofonte pagava il fio che ognuno paga nella
propria esistenza.
116
1 Si è spesso discusso se è meglio nutrire passioni
moderate o non averne affatto. Gli Stoici le eliminano, i Peripatetici le
moderano. Io non vedo come una malattia, sia pure leggera, possa essere
salutare o utile. Non temere: non ti tolgo niente di quello che tu non vuoi ti
sia negato. Mi mostrerò benevolo e indulgente verso le cose cui aspiri e
che ritieni necessarie alla vita, oppure utili o piacevoli: ti strapperò
solo il vizio. Ti proibirò infatti, di nutrire desideri sfrenati, ma non
di volere: così farai le stesse cose senza timore e con maggiore
risolutezza e godrai più intensamente anche dei piaceri; perché non
dovresti sentirli maggiormente se sarai tu a dominarli, invece che esserne
schiavo? 2 "Ma è naturale," ribatti, "che io mi tormenti
per la scomparsa di un amico: considera legittime queste lacrime così
giuste. È naturale tener conto del giudizio altrui e rattristarsi se
è sfavorevole: perché non vuoi concedermi questo onesto timore di avere
una cattiva reputazione?" Ogni vizio ha una sua giustificazione; da
principio sono tutti moderati e domabili, poi però si diffondono. Se
permetti che nascano, non riuscirai a stroncarli. 3 All'inizio ogni passione
è debole, poi si infiamma e, strada facendo, acquista forza: tenerle lontane
è più facile che estirparle. Tutte le passioni scaturiscono da
un'origine, per così dire, naturale, chi lo nega? La natura ci ha
affidato la cura di noi stessi, ma quando vi indulgiamo troppo, nasce il vizio.
La natura ha mescolato il piacere alle necessità della vita, non perché
lo ricercassimo, ma perché questo complemento ci rendesse più gradite le
cose indispensabili alla nostra esistenza: se, però, il piacere detta
legge, nasce la dissolutezza. Impediamo, quindi, che le passioni penetrino in
noi, perché, come ho detto, non accoglierle è più facile che
scacciarle. 4 "Concedimi almeno un certo grado di dolore, di paura."
Ma questo "un certo grado" si dilata e non finisce dove vuoi tu. Il
saggio è al sicuro senza doversi sorvegliare attentamente, e le sue
lacrime, i suoi piaceri li arresta quando vuole: per noi, visto che non
è facile tornare indietro, la cosa migliore è non avanzare
affatto. 5 Panezio, secondo me, diede una bella risposta a quell'adolescente
che gli chiedeva se il saggio possa amare. "Del saggio," disse,
"parleremo in sèguito; io e te, che siamo ancora molto lontani
dalla saggezza, non dobbiamo rischiare di cadere in un sentimento impetuoso e
incontrollabile, che ci rende schiavi di altri e spregevoli a noi stessi. Se
chi amiamo ci corrisponde, la sua dolcezza ci infiamma; se invece ci disprezza,
ci eccita la sua superbia. Fortuna e sfortuna in amore sono ugualmente nocive:
dell'una siamo preda, contro l'altra lottiamo. Perciò consci della
nostra debolezza, stiamocene quieti; la nostra anima è debole: non
affidiamola al vino o alla bellezza, all'adulazione o agli allettamenti."
6 La risposta di Panezio al ragazzo che lo interrogava sull'amore, io la
estendo a tutte le passioni: allontaniamoci il più possibile dai terreni
melmosi; anche su quelli asciutti stiamo in piedi a fatica.
117
2 Per gli Stoici il bene è corpo, poiché ciò che
è bene agisce e tutto ciò che agisce è corpo. Ciò
che è bene giova; ma, per giovare, deve agire; e se agisce è
corpo. Dicono che la saggezza è un bene; ne consegue necessariamente che
anch'essa deve essere definita corporea. 3 Secondo loro, però l'essere
saggi non è la stessa cosa. È una cosa incorporea e accessoria
dell'altra, cioè della saggezza; pertanto non agisce e non giova.
"E come?" si ribatte. "Non diciamo: essere saggi è un bene?"
Lo diciamo riferendoci a quello da cui l'essere saggi dipende, cioè alla
saggezza.
4 Senti ora che cosa controbattono gli altri, prima che io
abbandoni questo argomento, per soffermarmi su un altro. "In questo
modo," dicono, "neppure vivere felici è un bene. Volenti o
nolenti bisogna rispondere che una vita felice è un bene, ma non
è un bene vivere felici." 5 E ancòra si obietta: "Voi
volete essere saggi; quindi l'essere saggi è cosa desiderabile; e se
è desiderabile, è buona." Gli Stoici sono costretti a
stravolgere i termini e a inserire in expetere una sillaba, mentre la nostra
lingua non lo permetterebbe. Se permetti, io l'aggiungo. "Expetendum -
dicono - è ciò che è bene, expetibile è ciò
che ci tocca quando abbiamo conseguito un bene. Esso non si ricerca come un
bene, ma si aggiunge al bene che si ricerca."
6 Io non la penso così e ritengo che gli Stoici arrivano a
questa affermazione perché sono vincolati all'esordio e non possono cambiare
formula. Noi di solito attribuiamo una grande importanza alle opinioni generali
e il fatto che un'opinione sia condivisa da tutti è per noi indizio di
verità; l'esistenza degli dèi, ad esempio, l'argomentiamo tra
l'altro anche da questo: in tutti è insito il concetto della
divinità e non c'è popolo così al di fuori delle leggi e
dei costumi civili che non creda in un qualche dio. Quando discutiamo
dell'immortalità dell'anima, ha per noi un peso determinante il fatto
che tutti gli uomini o temono o onorano gli inferi. Mi rifaccio all'opinione
generale: non troverai nessuno che non giudichi un bene sia la saggezza, sia
l'essere saggi.
7 Non farò come fanno di solito i vinti: non mi
appellerò al popolo; comincerò a combattere con le mie armi.
Ciò che accade a una cosa è fuori o dentro alla cosa alla quale
accade? Se è dentro alla cosa alla quale accade, è corpo come la cosa
alla quale accade. Niente, infatti, può accadere senza contatto e quello
che crea contatto è corpo: niente può accadere senza un'azione e
quello che agisce è corpo. Se è al di fuori, se ne stacca, dopo
essere accaduto; ciò che si stacca ha un movimento e ciò che ha
movimento è corpo. 8 Tu ti aspetti che io dica che la corsa e il correre
non sono cose diverse come il calore e l'essere caldo, lo splendore e il
risplendere: ammetto che siano cose diverse, ma non di diversa specie. Se la salute
è indifferente, anche lo star bene è indifferente; se la bellezza
è indifferente, lo è anche l'essere belli. Se la giustizia
è un bene, lo è anche l'essere giusti; se la bruttezza è
un male, anche essere brutti è un male, come, perbacco, se la
cisposità è un male, anche l'essere cisposi è un male.
Sappi, dunque, che l'una cosa non può esistere senza l'altra: chi
possiede la saggezza è saggio; chi è saggio possiede la saggezza.
È talmente impossibile mettere in dubbio che siano cose uguali, che ad
alcuni sembrano addirittura identificarsi.
11 I Peripatetici sostengono che non c'è differenza tra la
saggezza e l'essere saggi, poiché in ognuna delle due cose c'è anche
l'altra. Perché, tu non pensi che sia saggio solo chi ha la saggezza? E che
abbia la saggezza solo chi è saggio? 12 Gli antichi Dialettici fanno una
distinzione che è arrivata fino agli Stoici. Ecco di che cosa si tratta.
Altro è un campo, altro è possedere un campo, e perché no?
Possedere un campo riguarda il possessore, non il campo. Così, altro
è la saggezza, altro è l'essere saggi. Ammetterai, ritengo, che
si tratta di due cose distinte, la cosa posseduta e il possessore; la saggezza
è posseduta, chi è saggio possiede. La saggezza è lo
spirito perfetto o arrivato al culmine di ogni bene; è l'arte della
vita. Cos'è l'essere saggi? Non posso definirlo "spirito
perfetto", ma ciò che tocca a chi ha uno spirito perfetto;
così altro è uno spirito onesto, altro è avere uno spirito
onesto.
13 "C'è," si dice, "diversità nella
natura dei corpi, questo è uomo, quest'altro cavallo; gli impulsi
dell'anima sono enunciativi dei corpi e si uniformano alla loro natura. Gli
impulsi hanno qualcosa di proprio, diverso dal corpo; vedo passeggiare Catone:
è ciò che mi mostrano i sensi, l'animo vi crede. È il
corpo che vedo e ad esso sono rivolti occhi e spirito. Poi dico: Catone
passeggia. Ora non parlo del corpo," si continua, "ma di qualcosa che
è enunciativo del corpo: alcuni lo chiamano 'enunciato', altri
'proposizione', altri 'sentenza'. Così, quando diciamo 'saggezza',
intendiamo qualcosa di corporeo; quando diciamo 'è saggio' parliamo del
corpo. Ma c'è una grande differenza se indichi una cosa o ne
parli."
14 Ammettiamo per il momento che siano due cose distinte (non
esprimo ancora il mio pensiero): che cosa impedisce che siano diverse, ma
entrambe beni? Dicevo poco prima che una cosa è un campo, un'altra
possedere un campo. Perché no? Il possessore ha una natura, la cosa posseduta
ne ha un'altra: questa è terra, quello uomo. Ma nel caso in questione
entrambe hanno la stessa natura, sia la saggezza, sia chi la possiede. 15
Inoltre, nel primo esempio altro è la cosa posseduta, altro il
possessore: in questo la cosa posseduta e il possessore si identificano. Il
campo si possiede per legge, la saggezza per natura; quello può essere
ceduto e trasmesso ad altri, questa non si distacca da chi la possiede. Non si
possono dunque paragonare cose tra loro diverse.
Avevo cominciato col dire che queste possono essere due cose
distinte e tuttavia essere entrambe beni, come la saggezza e l'essere saggio
sono due cose distinte e tuttavia ammetti che entrambe sono beni. Nulla
impedisce, dunque, che sia la saggezza sia chi la possiede siano beni;
così nulla impedisce che tanto la saggezza quanto il possederla,
cioè l'essere saggi, siano beni. 16 Io voglio essere saggio per avere la
saggezza. E allora? Non è questo un bene senza il quale neppure l'altro
è un bene? Voi sostenete che la saggezza, se non si potesse farne uso,
non varrebbe la pena di conquistarla. Ma qual è l'uso della saggezza?
L'essere saggi: è questa la sua caratteristica più preziosa, se
la eliminiamo, la saggezza diventa superflua. Se la tortura è un male,
l'essere torturati è un male, ma non sarebbero mali qualora se ne
potessero eliminare le conseguenze. La saggezza è lo stato dello spirito
perfetto, l'essere saggi è l'uso dello spirito perfetto: e come
può non essere un bene l'uso della saggezza che, se non è usata,
non è un bene? 17 Ti chiedo se bisogna aspirare alla saggezza: rispondi
di sì. Ti chiedo se bisogna aspirare all'uso della saggezza: rispondi
ancora di sì. E dici che non la vorresti, se non potessi usarla. Ma
ciò cui bisogna aspirare è un bene. Essere saggi è l'uso
della saggezza, come parlare è l'uso del linguaggio, come vedere
è l'uso degli occhi. Quindi, essere saggi è l'uso della saggezza
e all'uso della saggezza bisogna aspirare; bisogna, quindi aspirare ad essere
saggi; e se bisogna aspirarvi, è un bene.
18 Già da un pezzo mi condanno da me: imito chi accuso e
spendo parole per una questione evidente. Chi può mettere in dubbio che
se il caldo è un male, anche aver caldo è un male? E se il freddo
è un male, è un male anche aver freddo? E se la vita è un
bene, anche vivere è un bene? Tutto ciò riguarda la saggezza, ma
non la sostanza della saggezza; ed è su di essa che noi dobbiamo
soffermarci. 19 Anche se vogliamo spaziare un po', la saggezza ci offre ampi e
vasti orizzonti: possiamo investigare sulla natura degli dèi, su
ciò che dà vita agli astri, sulle svariate orbite dei corpi
celesti; indagare se l'evoluzione delle vicende umane dipende dal loro
influsso, se il corpo e l'anima di tutti gli uomini ricevano impulso da qui, se
anche gli eventi cosiddetti fortuiti obbediscano a leggi precise e niente in
questo mondo accada inaspettatamente o senza seguire un ordine. Questi temi
esulano dalla questione morale, ma sollevano lo spirito e lo innalzano al
livello degli argomenti trattati; i problemi di cui parlavo poco fa, invece, lo
sminuiscono e lo abbassano e non lo rendono più acuto, come dite voi, ma
più debole. 20 Ma via, dobbiamo proprio dedicare a questioni, non so se
false, ma certo inutili, la nostra attenzione che invece sarebbe necessario
rivolgere a problemi più importanti e profondi? A che mi servirà
sapere se la saggezza e l'essere saggi sono due cose diverse? A che mi
servirà sapere se quella è un bene e questo non lo è?
Voglio essere temerario ed espormi al rischio di questo augurio: tocchi a te la
saggezza, a me l'essere saggio. Saremo pari. 21 Cerca piuttosto di indicarmi la
via che mi porti a questa meta. Dimmi che cosa devo evitare, a che cosa
aspirare, con quali occupazioni possa rafforzare il mio spirito vacillante,
come allontanare da me i mali che all'improvviso mi colpiscono e mi incalzano,
come possa fronteggiare tante sventure, come respingere queste disgrazie che mi
si sono riversate addosso e quelle che mi sono procurate io stesso. Insegnami
come sopportare le tribolazioni senza un lamento, e la felicità senza
provocare i lamenti altrui, come non aspettare quell'ora estrema e inevitabile,
ma rinunciare io stesso alla vita, quando mi sembrerà opportuno. 22 Per
me la cosa più vergognosa è desiderare la morte. Se vuoi vivere,
perché desideri morire? Se non vuoi, perché chiedi agli dèi una cosa che
ti hanno dato al momento della nascita? È stabilito che un giorno o
l'altro tu muoia, anche se non vuoi, e d'altra parte tu hai la facoltà
di morire quando vuoi; la prima è una necessità, la seconda una
possibilità. 23 Ho letto in questi giorni un esordio davvero vergognoso
di uno scrittore che pure è eloquente: "Possa io morire al più
presto." Che insensato, tu desideri una cosa tua. "Possa io morire al
più presto." Forse sei diventato vecchio a furia di dire queste
parole; altrimenti che cosa ti fa indugiare? Nessuno ti trattiene: fuggi per la
strada che credi; scegli un qualunque elemento naturale e fatti offrire una via
di uscita. Gli elementi su cui si regge il mondo sono questi: acqua, terra,
aria e sono tutti sia fondamento di vita, sia mezzi di morte. 24 "Possa io
morire al più presto": questo "al più presto" che
cosa significa per te? Quale giorno gli destini? Può accadere più
presto di quanto tu desideri. Sono le parole di uno spirito debole che con
questa imprecazione vuole suscitare pietà. Chi si augura di morire, non
vuole morire. Chiedi agli dèi vita e salute: se hai deciso di morire, il
primo vantaggio della morte è non avere più desideri.
25 Occupiamoci di questi problemi, Lucilio mio, educhiamo con essi
lo spirito. Questa è la saggezza, questo l'essere saggi, e non
l'esercitare una sterilissima sottigliezza intellettuale con vane
discussioncelle. La sorte ti ha messo di fronte a tanti problemi, non li hai
ancora risolti: e stai lì a cavillare? È da sciocchi, ricevuto il
segnale di combattimento, dare colpi a vuoto. Metti da parte queste
armi-giocattolo: ci vogliono armi vere. Dimmi come posso evitare che la
tristezza e la paura turbino l'anima mia, come scaricare il peso delle mie
segrete passioni. Bisogna fare qualcosa! 26 "La saggezza è un bene,
l'essere saggi non è un bene": si finisce così per affermare
che non siamo saggi e che tutto questo impegno viene deriso poiché è
dedicato ad attività inutili.
E che diresti sapendo che si pone pure la questione se è un
bene la saggezza futura? Ma via, si può forse dubitare che i granai sono
inconsapevoli del grano che conterranno, e che il fanciullo, indipendentemente
dalle sue forze e dalla sua robustezza, non si rende conto di quale sarà
la sua adolescenza? Al malato, finché è tale, non giova affatto la
salute futura, come un riposo che verrà dopo molti mesi non può
al momento ridare forza al corridore o al lottatore. 27 Tutti sanno che non
è un bene ciò che dovrà venire, proprio perché
dovrà venire. Un bene giova senz'altro; e può giovare solo
ciò che è presente. Se non giova, non è un bene; se giova,
lo è già. Diventerò saggio; questo sarà un bene
quando lo diventerò: intanto non è un bene. Prima bisogna che una
cosa esista, poi che abbia una qualità. 28 Su via, come può
essere un bene una cosa ancòra inesistente? E come vuoi che ti provi che
una cosa non esiste, più che dicendoti "sarà"? È
chiaro che ciò che verrà non è ancòra venuto.
Verrà la primavera: so che ora è inverno. Verrà l'estate:
so che non è estate. La prova più evidente che una cosa non
esiste ancòra è che esisterà. 29 Sarò saggio; lo
spero, ma intanto non lo sono; se possedessi quel bene, sarei immune da questo
male. Sarò saggio: da questo puoi arguire che ancòra non lo sono.
Non posso avere al tempo stesso questo bene e questo male; il bene e il male
non coesistono e non possono trovarsi insieme nella medesima persona.
30 Lasciamo da parte queste futili sofisticherie e rivolgiamoci a
quegli argomenti che possono esserci di una qualche utilità. Se uno
pieno d'ansia corre a chiamare l'ostetrica per la figlia che sta per partorire,
non si ferma a leggere l'avviso e l'ordinanza dei giochi; chi si precipita
verso la sua casa in fiamme, non studia sulla scacchiera la mossa per liberare
una pedina chiusa. 31 Ma, per dio, da ogni parte ti vengono annunciate tutte
queste disgrazie: la casa in fiamme, i figli in pericolo, la patria assediata,
i beni saccheggiati; e poi, naufragi, terremoti e tutti gli altri possibili
motivi di apprensione: turbato da tanti pensieri, hai il tempo di dedicarti a
questi passatempi? Cerchi la differenza tra la saggezza e l'essere saggi?
Intrecci e sciogli nodi quando ti sovrasta un simile macigno? 32 La natura non
ci ha concesso con generosità un'abbondanza tale di tempo che ce ne
rimanga un po' da perdere. Vedi quanto ne sciupano anche le persone più
attente: un po' ce lo tolgono le malattie nostre, un po' quelle dei familiari;
una parte gli affari privati, una parte quelli pubblici; il sonno poi ci
sottrae metà della vita. A che serve spendere in sciocchezze la maggior
parte di questo tempo così esiguo e veloce, che trascina via anche noi?
118
1 Tu vuoi che ti scriva più spesso. Facciamo un po' i
conti: sei tu in debito; eravamo d'accordo che scrivessi tu per primo: tu
scrivevi e io rispondevo. Ma non farò il difficile: so che ti si
può fare credito. Pagherò anticipatamente e non farò
quello che l'eloquentissimo Cicerone invitava Attico a fare: "Scrivi
quello che ti viene sulle labbra, anche se non hai niente da dire."
5 Noi possiamo, dunque, scriverci a vicenda su questi argomenti e
trattare una materia sempre nuova, vedendo intorno a noi tante migliaia di
uomini inquieti che, per conseguire una meta rovinosa, attraverso il male
ricercano il male e aspirano a beni da cui devono fuggire o di cui hanno
disgusto. 6 Quando la si desidera, una cosa sembra straordinaria, ma dopo
averla ottenuta nessuno è soddisfatto. La prosperità non è
avida, come comunemente si crede, è cosa di poco conto; perciò
non sazia nessuno. Tu pensi che tali mete siano eccelse perché sono lontane; ma
a chi le raggiunge sembrano poco elevate e cerca ancòra, ne sono sicuro,
di salire: questa che tu ritieni la vetta è solo un gradino. 7 Ignorare
la verità è un male per tutti. Gli uomini, ingannati
dall'opinione generale, si fanno attirare da falsi beni, poi, quando li hanno
conquistati dopo molte vicissitudini, si accorgono che sono mali oppure che
sono vani o inferiori alle loro aspettative; essi, in gran parte, guardano le
cose da lontano e sbagliano; tengono in gran conto quelli che sono beni per la
massa.
8 Ricerchiamo, dunque, che cosa sia il bene perché non càpiti
anche a noi la stessa cosa. Del bene sono state date diverse interpretazioni:
c'è chi l'ha definito in un modo, chi in un altro. Per alcuni "il
bene è ciò che attrae l'anima e la chiama a sé." Ma
sùbito si obietta: e se la attrae verso la rovina? Sai bene quanti mali
sono lusinghieri. Il vero e il verosimile sono diversi tra loro. Così il
bene è strettamente congiunto al vero; non è un bene se non
è vero. Ma ciò che attrae e alletta è verosimile: si
insinua, stimola, trascina a sé. 9 Per altri "il bene è ciò
che induce al desiderio di sé, o meglio, suscita lo slancio dell'anima, che ad
esso tende." Anche in questo caso si può fare la stessa obiezione;
ci sono molte cose che suscitano uno slancio dell'anima e arrecano gravi mali a
chi le ricerca. Quest'altra definizione è migliore: "Il bene
è ciò che suscita verso di sé uno slancio dell'anima secondo
natura e che deve essere ricercato solo quando merita di essere
ricercato." Si identifica così con l'onestà, poiché
l'onestà va senz'altro ricercata. 10 È necessario a questo punto
che io spieghi la differenza tra il bene e l'onesto. Essi hanno tra loro
qualcosa di comune e di inseparabile: non c'è bene che non abbia in sé
qualcosa di onesto e l'onesto coincide senz'altro col bene. Dunque, che
differenza c'è tra i due? L'onesto è il bene nella sua
perfezione, rende la vita compiutamente felice e al suo contatto ogni altra
cosa diventa un bene. 11 Intendo dire: certe cose non sono né beni, né mali,
come la carriera militare o politica o giuridica. Quando queste attività
vengono svolte onestamente, cominciano ad essere beni e da una condizione
indeterminata passano al bene. Il bene è tale se congiunto all'onesto;
l'onesto è di per sé un bene; il bene scaturisce dall'onesto, l'onesto
da se stesso. Quello che è un bene avrebbe potuto essere un male;
ciò che è onesto non avrebbe potuto essere altro che bene.
12 Certi hanno dato quest'altra definizione: "Il bene
è ciò che è secondo natura." Attento alle mie parole:
ciò che è bene è secondo natura, ma ciò che
è secondo natura non è senz'altro anche un bene. Molte cose sono
conformi a natura, ma sono di così poco conto che non si può
definirle beni; sono insignificanti, disprezzabili. Non c'è nessun bene
disprezzabile perché di poco conto. Difatti, finché è una cosa di scarso
valore, non è un bene e quando comincia ad essere un bene, non è
più di scarso valore. Da che cosa si riconosce il bene? Dalla sua
perfetta conformità alla natura. 13 "Sostieni," tu dici,
"che il bene è secondo natura; questa è la sua
caratteristica. Sostieni, inoltre, che anche altre cose sono secondo natura, ma
non sono beni. Come, dunque, quello è un bene, mentre queste non lo
sono? Come arriva ad avere una caratteristica distinta, quando a entrambi
è comune la prerogativa di essere secondo natura?" 14 Naturalmente
per la grandezza di questa prerogativa. E non è strano che certi esseri
crescendo cambino. È stato un bimbo; è diventato un adulto; il
suo carattere distintivo è cambiato; prima era un essere irrazionale,
ora razionale. Certi esseri con la crescita non solo diventano più
grandi, ma mutano condizione. 15 "Se una cosa diventa più
grande," si ribatte, "non per questo cambia. Non importa se di vino
riempi un fiasco o una botte: in entrambi c'è la caratteristica propria
del vino. Così una piccola o una grande quantità di miele non
hanno un sapore diverso." Tu porti esempi non pertinenti; in questi casi,
infatti, la qualità è la stessa e rimane tale anche se la
quantità aumenta. 16 Certe cose, accrescendosi, mantengono la propria
specie e la propria caratteristica; altre, dopo molti incrementi, cambiano con
l'ultima aggiunta che imprime loro una qualità nuova, diversa dalla
precedente. È una sola la pietra che forma la vòlta: quella che
s'incunea tra i due fianchi inclinati e li congiunge. Perché l'ultima aggiunta
è determinante, anche se è piccola? Perché non accresce, ma porta
a compimento. 17 Ci sono, poi, cose che, sviluppandosi, perdono la forma
precedente e ne acquistano una nuova. Quando mentalmente ampliamo una cosa e
non riusciamo più a seguirne la grandezza, essa prende il nome di
infinito: è diventata molto diversa da come era quando sembrava grande,
ma finita. Nello stesso modo pensiamo a una massa difficile a dividersi: in
ultimo, crescendo la difficoltà, si concepisce l'indivisibile.
Così da un corpo che si muove a mala pena arriviamo al concetto di
immobilità. Per lo stesso motivo una cosa è secondo natura:
ingrandendosi, passa ad altre caratteristiche e diventa un bene. Stammi bene.
119
1 Ogni volta che scopro qualcosa di nuovo, non aspetto che tu mi
dica: "Fammela sapere": me lo dico da me. Chiedi che cosa ho trovato?
Apri la borsa: c'è solo da guadagnare. Ti insegnerò come puoi
diventare ricco al più presto. Come ardi dalla voglia di saperlo! E a
ragione: ti condurrò alla più grande ricchezza per una
scorciatoia. Avrai, però bisogno di qualcuno che ti faccia credito: per
darsi al commercio, occorre fare debiti; ma non voglio che tu li contragga
attraverso un intermediario, non voglio che i mediatori mettano in giro il tuo
nome. 2 Ti indicherò uno pronto a farti credito, lo suggerisce Catone:
contrai un mutuo con te stesso. Per quanto piccolo sia, sarà sufficiente
se quello che manca lo chiederemo solo a noi. Non fa differenza, Lucilio mio,
tra non desiderare e avere. Unico è il risultato: non ti tormenti. Il
mio consiglio non è di negare qualcosa alla natura - è ostinata,
invincibile, chiede quello che le spetta - sappi, però che quanto va al
di là della natura è effimero e non è indispensabile. 3 Ho
fame: devo mangiare. Ma se il pane è comune o raffinato, questo non
riguarda la natura: non vuole far godere lo stomaco, vuole riempirlo. Ho sete:
se l'acqua l'ho attinta dalla vicina cisterna oppure l'ho messa sotto la neve
per rinfrescarla artificialmente, non riguarda la natura: chiede solo di
estinguere la sete. E non importa neppure se beviamo da una coppa d'oro o di
cristallo o di murra o in un calice di Tivoli o nel cavo della mano. 4 Di ogni
cosa guarda il fine e tralascerai quelle superflue. La fame si fa sentire:
afferro la prima cosa che mi càpita; sarà proprio la fame a
rendermi gradito qualunque cibo io prenda. Chi ha fame, non rifiuta niente.
5 Vuoi, dunque, sapere che cosa mi è piaciuto? Questa
massima che mi sembra eccellente: "Il saggio è il più
accanito ricercatore delle ricchezze naturali." "Tu mi regali un
piatto vuoto," dici. "Ma che cos'è? Avevo già preparato
le casse e cercavo in quale mare mi sarei dato al commercio, quale appalto
assumere, che merci importare. Questo è un inganno: promettere la
ricchezza e predicare la povertà." E così, secondo te,
è povero l'uomo a cui non manca nulla? "Per merito suo,"
ribatti, "e della sua pazienza, non della sorte." Perciò
dunque, se a uno non può venir meno la ricchezza, non lo giudichi ricco?
6 Preferisci avere molto o quanto basta? Chi possiede molto desidera di
più, e questa è la prova che non possiede ancòra
abbastanza; chi possiede abbastanza ha raggiunto una cosa che mai tocca a un
ricco: la fine dei desideri. Oppure per te non sono ricchezze perché per esse
nessuno è mai stato proscritto? Perché nessuno è mai stato
avvelenato dalla moglie o dal figlio? Perché sono sicure in guerra? E
tranquille in tempo di pace? Perché il loro possesso non è pericoloso e
non è faticoso amministrarle?
7 "Ma non possiede molto chi semplicemente non soffre il
freddo, né ha fame o sete." Giove non possiede di più. Non è
mai poco quello che basta e non è mai molto ciò che non basta.
Dopo aver sconfitto Dario e gli Indiani, Alessandro è sempre povero. Non
è forse vero? Cerca nuove conquiste, esplora mari sconosciuti, invia
nell'oceano nuove flotte e vuole quasi infrangere le barriere che cingono il
mondo. 8 Ciò che basta alla natura non basta all'uomo. C'è chi
desidera ancòra qualcosa dopo aver avuto tutto: tanta è la cecità
mentale e a tal punto ciascuno dimentica i propri primi passi, una volta
raggiunto il successo. L'uomo che poco prima dominava, non senza contrasti, un
oscuro, piccolo territorio, raggiunto l'estremo limite del mondo, si rammarica
di ritornare attraverso la terra ormai sua. 9 Il denaro non ha mai reso ricco
nessuno, anzi ha suscitato in tutti una cupidigia maggiore. Ne chiedi il
motivo? Chi più possiede è in condizione di possedere
ancòra di più. Ebbene, nominami pure chi vuoi tra quanti sono
considerati alla pari di Crasso e Licino; porti il registro dei suoi averi e
faccia pure la somma di quanto possiede e di quanto spera di possedere: costui,
per me, è povero; per te, può esserlo. 10 Chi, invece, si
conforma alle esigenze della natura, la povertà non solo non la sente,
ma nemmeno la teme. Sappi, tuttavia, che è molto difficile ridurre le
proprie ricchezze nei limiti voluti dalla natura: proprio quella persona che
abbiamo limitato, che tu chiami povera, possiede anche qualcosa di superfluo.
11 Eppure le ricchezze accecano la massa e l'attraggono, se da una casa esce
molto denaro contante, se anche il tetto è ricoperto d'oro, se la
servitù è prestante fisicamente ed è ben vestita. La
felicità di costoro è tutta esteriore: l'uomo che abbiamo sottratto
al condizionamento della gente e della fortuna, invece, è felice dentro.
12 Questi individui, chiamati a torto ricchi e in realtà poveri, pieni
di cose da fare, hanno la ricchezza come noi diciamo di avere la febbre: in
realtà è la febbre che ha noi. Spesso diciamo anche all'opposto:
"Lo ha preso la febbre"; analogamente bisognerebbe dire: "Lo ha
preso la ricchezza."
La raccomandazione principale che vorrei farti e che non si fa mai
abbastanza a nessuno, è di prendere sempre come misura i desideri
naturali, soddisfarli ti costerà poco o niente: bada solo a non
confondere i vizi con i desideri. 13 Vuoi sapere su quale tavola, con che
argenteria, da quali servitori tutti uguali e con la pelle liscia debba essere
servito il cibo? La natura richiede solo il cibo.
Forse che, quando la sete ti brucia la gola, domandi coppe d'oro?
E quando hai fame disdegni tutto tranne il pavone o il rombo?
14 La fame non chiede molto, basta saziarla; del come non si cura
troppo. È la malaugurata intemperanza a dare questi tormenti: cerca come
aver fame anche dopo essersi saziata, e non come riempire lo stomaco, ma come
rimpinzarlo, come far ritornare la sete placata con la prima coppa.
Perciò Orazio dice bene che alla sete non importa in quale tazza o con
quanta eleganza venga servita l'acqua. Se pensi che sia importante che ti serva
uno schiavo dai capelli lunghi e che il bicchiere sia splendente, significa che
non hai sete. 15 Il vantaggio maggiore che tra gli altri ci ha dato la natura
è di aver tolto al bisogno ogni schifiltosità. Solo il superfluo
consente di scegliere: questo è poco conveniente, quest'altro poco
sfarzoso, questo offende i miei occhi. Dio, quando ha creato l'universo e ci ha
dato le norme di vita, si è preoccupato della nostra sopravvivenza, e
non della nostra schifiltosità: tutto è pronto e a portata di
mano per vivere; soddisfare i nostri piaceri, invece, ci costa affanni e
sofferenze. 16 Usufruiamo, dunque, di questo grande beneficio della natura e
pensiamo che il suo maggior merito nei nostri confronti consiste nel poter
prendere senza disgusto quello di cui abbiamo necessità. Stammi bene.
120
1 Nella tua lettera tocchi diversi piccoli problemi, ma ti
soffermi su uno in particolare e vuoi che venga risolto: come, cioè,
abbiamo raggiunto la cognizione del bene e dell'onesto. Per altri filosofi
questi sono due concetti diversi, per noi soltanto distinti. Ecco di che si
tratta. 2 Alcuni ritengono che il bene coincida con l'utile. Perciò
dànno questo nome alla ricchezza, al cavallo, al vino, alle scarpe.
Tanto è scarso il valore che attribuiscono al bene e tanto in basso
è sceso! Per loro è onesto ciò che concorda con un giusto
concetto di dovere, come prendersi amorevolmente cura del vecchio padre,
aiutare l'amico povero, comportarsi con valore in una spedizione militare, parlare
con saggezza e moderazione. 3 Per noi sono due cose distinte, ma con un unico
fondamento. È un bene solo ciò che è onesto; e l'onesto
è senz'altro un bene. Ritengo superfluo aggiungere quale differenza ci
sia tra loro, dal momento che l'ho ripetuto spesso. Dirò solo questo:
noi non pensiamo che sia un bene ciò di cui si può fare anche un
cattivo uso; e tu vedi quanti fanno cattivo uso della ricchezza, della
nobiltà, della forza.
Ritorno ora all'argomento di cui vuoi che si parli, ossia come
abbiamo acquistato la prima cognizione del bene e dell'onesto. 4 Non ha potuto
insegnarcela la natura: essa ci ha dato i semi della scienza, non la scienza.
Certi sostengono che questa cognizione l'abbiamo acquisita per caso, ma
è inverosimile che la virtù ci sia arrivata per caso. Secondo
noi, l'ha originata l'osservazione e il confronto di fatti ricorrenti; gli
Stoici ritengono che si sia arrivati a comprendere l'onesto e il bene per
analogia. Poiché i grammatici latini hanno riconosciuto a questa parola il
diritto di cittadinanza, penso che non si debba scartarla, anzi va riportata
alla cittadinanza che le è propria. Me ne servirò, dunque, non
solo come di un termine acquisito, ma ormai di uso comune. Ti spiegherò
ora cos'è l'analogia. 5 Conoscevamo la salute del corpo: in base a essa pensammo
che ve ne fosse anche una dell'anima. Conoscevamo le forze fisiche: partendo da
esse abbiamo concluso che ci fosse anche una forza spirituale. Certe azioni
generose o piene di umanità o di coraggio ci hanno sbalordito: abbiamo
cominciato ad ammirarle come immagini di perfezione. A esse si accompagnavano
molti vizi nascosti dalla bellezza e dallo splendore di un'azione insigne:
questi abbiamo finto di non vederli. La natura ci porta a ingigantire le azioni
degne di lode, tutti esaltano un gesto glorioso al di là della
verità: da qui, dunque, abbiamo derivato l'immagine di un bene
smisurato. 6 Fabrizio rifiutò l'oro di Pirro: per lui poter disprezzare
le ricchezze di un re valeva più di un regno. Lui stesso, quando il medico
di Pirro promise che avrebbe avvelenato il re, avvertì Pirro di
guardarsi dal tradimento. Fu un segno della medesima nobiltà d'animo non
farsi vincere dall'oro e non voler vincere col veleno. Abbiamo ammirato
quell'uomo straordinario, che non si è lasciato piegare dalle promesse
di un re, né da quelle fatte contro un re, tenace esempio di virtù, e
cosa difficilissima, onesto anche in guerra; per lui certe azioni erano
illecite pure contro i nemici, e nella sua estrema povertà, di cui
andava orgoglioso, ricusò sia la ricchezza che il veleno.
"Vivi," disse, "per merito mio, Pirro, e rallégrati per
ciò di cui prima ti dolevi: Fabrizio è incorruttibile." 7
Orazio Coclite da solo sbarrò lo stretto passaggio del ponte e
ordinò che gli fosse tagliata alle spalle la via del ritorno, pur di impedire
l'accesso ai nemici, e resistette al lungo assalto, finché sentì
crollare le travi a pezzi. Guardò indietro e quando si accorse che la
patria era fuori pericolo a prezzo del suo pericolo personale, gridò:
"Venga, chi vuole seguirmi, per questa via", e si gettò a
capofitto nel Tevere; preoccupandosi di salvare dai gorghi del fiume tanto le
armi quanto la vita, riuscì a mantenere l'onore delle armi vittoriose e
ritornò sicuro come se fosse venuto dal ponte. 8 Queste e altre azioni
simili ci hanno dato l'immagine della virtù.
Aggiungerò un'affermazione che può sembrare strana:
a volte i mali si presentano sotto l'apparenza dell'onestà e il bene
supremo emerge dal suo contrario. Ci sono, infatti, come sai, vizi che
confinano con la virtù; e anche azioni disoneste e infami apparentemente
somigliano al bene: così il prodigo si spaccia per liberale, pur
essendoci una grande differenza tra chi sa dare e chi non sa conservare. Ci
sono molte persone, caro Lucilio, che non donano, ma gettano: non posso chiamare
liberale uno che ha in odio il proprio denaro. L'indifferenza somiglia alla
condiscendenza, la temerità al coraggio. 9 Questa somiglianza ci ha
costretto a fare attenzione e a distinguere fatti apparentemente affini, ma
molto diversi tra loro nella sostanza. Osservando quegli uomini resi famosi da
qualche gloriosa impresa, abbiamo cominciato a notare chi aveva agito con
magnanimità e slancio, ma in una sola occasione. Si è visto che
uno era coraggioso in guerra, ma vile nel foro, che sopportava con fermezza la
povertà, ma era debole di fronte al disonore: abbiamo lodato l'impresa,
ma disprezzato l'uomo. 10 Abbiamo notato che un altro era benevolo verso gli
amici, moderato verso i nemici, irreprensibile e virtuoso sia nella vita
pubblica che in quella privata; paziente nel sopportare e saggio nell'agire. Lo
abbiamo visto donare a piene mani quando occorreva essere liberali; tenace,
risoluto e capace di ovviare alla stanchezza fisica con le risorse dello
spirito nella fatica. Inoltre era sempre uguale a se stesso in ogni sua azione,
istintivamente onesto e arrivato con l'abitudine alla virtù al punto non
solo di agire correttamente, ma di non poter agire se non correttamente. 11
Abbiamo compreso che in lui la virtù era perfetta. La virtù poi,
l'abbiamo suddivisa in sezioni: bisognava frenare le passioni, reprimere le
paure, decidere con saggezza il da farsi, dare a ciascuno il suo: abbiamo
capito cos'è la temperanza, la fortezza, la saggezza, la giustizia e
abbiamo attribuito a ciascuna i suoi còmpiti. Da che cosa, dunque, ci
è derivato il concetto di virtù? Ce lo hanno indicato l'ordine,
la bellezza, la fermezza che le sono proprie, l'armonia di tutte le sue azioni
tra loro, e la sua grandezza che si solleva al di sopra di tutto. Da qui
è nata l'idea della vita felice che scorre propizia, interamente padrona
di sé. 12 E come siamo arrivati a questa idea? Ecco: l'uomo perfetto che ha
raggiunto la virtù non si è mai scagliato contro la fortuna, non
si è lasciato affliggere dalle disgrazie: le ha subite come fatiche impostegli,
sentendosi cittadino dell'universo e soldato. Le avversità di ogni tipo
non le ha rifiutate come un male assegnatogli dalla sorte, ma le ha accolte
come un impegno: "Comunque sia la situazione, è affar mio; è
dura, è difficile, devo impegnarmi a fondo." 13 Non poteva,
perciò, non apparire grande l'uomo che non ha mai pianto sui suoi mali e
non si è lamentato mai del suo destino; si è fatto comprendere da
molti, ha brillato come una fiaccola nelle tenebre e si è attirato la
benevolenza generale col suo carattere mite e moderato, ugualmente giusto con
gli uomini e con gli dèi. 14 Aveva un animo perfetto e giunto al massimo
livello, oltre il quale c'è solo lo spirito divino, di cui una parte
è discesa anche nell'anima mortale; e proprio quando medita sulla sua
mortalità e si rende conto che l'uomo è nato per morire, l'anima
rivela di essere divina: questo corpo non è la sua casa, ma solo un
albergo, e per un breve soggiorno, e bisogna lasciarlo quando ci si accorge di
essere sgraditi all'ospite.
15 Per me, caro Lucilio, la prova più lampante della
provenienza dell'anima da una sede più elevata è che ritiene di
trovarsi in una condizione ignobile e misera e non teme di uscire da questa
vita: chi ricorda la propria origine, sa dove andrà a finire. Non vediamo
forse quanti disagi ci tormentano, come a noi mal si adatti questo corpo? 16
Ora lamentiamo mal di testa, ora di pancia, ora di petto e di gola; a volte ci
fanno soffrire i nervi, a volte i piedi, ora la diarrea, ora il catarro; ci
càpita di avere un flusso eccessivo, oppure insufficiente di sangue:
siamo sbattuti e gettati qua e là, come succede a chi non abita in casa
propria. 17 Eppure, benché ci sia toccato in sorte un corpo tanto guasto,
facciamo progetti senza termine e spingiamo le nostre speranze fino all'estremo
limite della vita, e non c'è denaro, né potere che ci contenti. È
un atteggiamento veramente sfacciato e stupido. Non ci basta niente: eppure
siamo destinati a morire, anzi stiamo morendo; ogni giorno ci avviciniamo all'ultimo
giorno e ogni ora ci spinge a quell'istante da cui dovremo precipitare nella
morte. 18 Vedi la nostra cecità mentale! Quello che definisco futuro
accade ora, anzi, in gran parte è già accaduto: il tempo che
abbiamo vissuto è là dove era prima che lo vivessimo. Sbagliamo a
temere l'ultimo giorno: ogni giorno concorre in egual misura alla morte. La
nostra fine non la segna quel gradino su cui cadiamo: la rende solo evidente;
alla morte ci porta l'ultimo giorno, ma tutti ci avvicinano a essa; la morte ci
consuma giorno per giorno, non ci trascina via all'improvviso. Perciò
un'anima grande, conscia della sua natura superiore cerca di comportarsi con
onestà e con impegno in questa dimora in cui è stata posta; e non
ritiene suo niente di quanto la circonda, ma, simile a un viaggiatore
frettoloso, ne fa uso come se lo avesse in prestito.
19 Vedendo un uomo così coerente, era inevitabile che ci
colpisse la vista di un'indole fuori del comune; soprattutto se la sua coerenza
mostrava, come ho detto, che questa era vera grandezza. Il vero è
costante, il falso discontinuo. Certi sono a volte Vatinii, a volte Catoni; e
ora giudicano poco austero Curio, poco povero Fabrizio, poco frugale e parco
Tuberone, ora invece gareggiano con Licino nella ricchezza, con Apicio nei banchetti,
con Mecenate nei piaceri. 20 Che un'anima è corrotta lo prova
inequivocabilmente la sua instabilità, l'ondeggiare continuo tra la
simulazione della virtù e l'amore dei vizi.
Aveva ora duecento, ora dieci servi, ora parlava di grandi cose,
di re e di tetrarchi, ora diceva "mi basta un tavolo a tre piedi e una
conchiglia di sale schietto, una toga anche rozza, che possa difendermi dal
freddo", ma se tu avessi dato un milione di sesterzi a quest'uomo parco e
contento di poco, entro cinque giorni non avrebbe avuto più un soldo.
21 Ci sono molti uomini uguali a questo descritto da Orazio
Flacco, una persona mai uguale e neppur simile a se stessa, tale è la
sua incoerenza. Ho detto molti? In realtà sono così quasi tutti. Ognuno
cambia ogni giorno idee e desideri: ora vuole una moglie, ora un'amante, ora si
atteggia a re, ora non c'è schiavo più servizievole di lui, ora
è tronfio e detestabile, ora si abbassa e si riduce al di sotto degli
umili, ora spreca il denaro, ora lo rapina. 22 Ecco come si rivela un animo
sconsiderato: passa da un atteggiamento all'altro, e, quello che per me
è più vergognoso, non è mai coerente con se stesso. Credi:
è una gran cosa che un uomo sia sempre lo stesso. Ma nessuno, eccetto il
saggio, è così, noi tutti siamo mutevoli. Ora ti sembreremo
frugali e seri, ora prodighi e frivoli; cambiamo spesso maschera e ne
indossiamo una opposta a quella che ci siamo tolti. Imponiti, dunque, di
mantenerti fino alla morte quale hai deciso di essere; fa' in modo di meritare
lodi, o almeno di essere riconosciuto. Di qualcuno che hai visto ieri potresti
giustamente chiederti: "Chi è costui?", tanto è
cambiato. Stammi bene.
121
1 Nascerà una discussione, lo so bene, quando ti
esporrò una questioncella su cui oggi mi sono soffermato a lungo;
griderai ripetutamente: "Che c'entra questo con la morale?" Grida
pure: io prima ti opporrò altri avversari, Posidonio e Archidemo - non
rifiuteranno di essere chiamati in causa - e poi ti dirò: non tutto
ciò che è in rapporto con la morale influisce sulla
moralità. 2 Ci sono questioni che riguardano l'alimentazione dell'uomo,
altre il lavoro, il vestire, l'insegnamento, lo svago; toccano tutte l'uomo,
anche se non tutte lo rendono migliore. Ce ne sono poi altre che riguardano la
moralità, ognuna in maniera diversa: certe la correggono e la regolano,
certe studiano la sua natura e la sua origine. 3 Quando ricerco perché la
natura abbia generato l'uomo, perché lo abbia privilegiato rispetto agli altri
animali, secondo te ho lasciato da parte il problema morale? Certamente no.
Come saprai qual è la condotta da seguire, se non troverai cos'è
il meglio per l'uomo, se non ne studierai la natura? Le cose da fare e quelle
da evitare, le capirai quando avrai imparato quali siano i tuoi naturali
doveri. 4 "Io," dici, "voglio imparare ad avere meno desideri,
meno timori. Liberami dalla superstizione; insegnami che è fugace e vana
la cosiddetta felicità: la si inverte molto facilmente aggiungendo una
sillaba." Soddisferò il tuo desiderio: stimolerò le
virtù e flagellerò i vizi. Mi giudichino pure eccessivo e smodato
su questo argomento, ma io continuerò a perseguitare la depravazione, a
reprimere le passioni più violente, a frenare i piaceri destinati a tramutarsi
in dolore, a dichiarare la mia condanna contro i desideri dell'uomo. E perché
no? Abbiamo desiderato i mali peggiori, ce ne siamo compiaciuti e ne è
nato quello su cui discutiamo.
5 Intanto permettimi di prendere in considerazione dei problemi
che possono sembrare un po' troppo lontani dal nostro argomento. Ci chiedevamo
se tutti gli animali avessero coscienza della loro natura. Che sia così
lo dimostra il fatto che i loro movimenti sono appropriati e spediti come se le
membra fossero esercitate; tutti hanno una grande agilità fisica.
L'artigiano maneggia con facilità i suoi attrezzi, il pilota dirige
abilmente il timone della nave, il pittore distingue sùbito i numerosi e
diversi colori che si è messo davanti per fare un ritratto e passa
facilmente con lo sguardo e con le mani dalla cera al quadro; con la stessa
rapidità gli animali fanno uso dei loro arti. 6 Ammiriamo i mimi perché
sono abili a interpretare con le mani tutte le situazioni e i sentimenti, e i
loro gesti uguagliano la velocità delle parole: questo in loro è
frutto di arte, nell'animale di qualità naturali. Nessuno fatica a
muovere le membra, nessuno è incerto nell'usare le proprie
capacità. Lo fanno sùbito appena nati; vengono al mondo con
queste cognizioni; nascono ammaestrati. 7 Si ribatte: "Gli animali muovono
le loro membra nel modo giusto, perché se le muovessero diversamente
sentirebbero dolore. Come dite voi, sono costretti, ed è la paura, non
la volontà, a determinare i loro corretti movimenti." Non è
vero; i movimenti fatti per necessità sono cauti, quelli spontanei sono
agili. Non è la paura di soffrire che costringe gli animali: essi
tendono ai movimenti naturali, anche se sono impediti dal dolore. 8 Così
il bimbo che tende a star dritto e si abitua a reggersi in piedi, appena
comincia a provare le sue forze, cade e ogni volta si rialza piangendo finché
attraverso la sofferenza arriva a compiere i movimenti naturali. Certi animali
dal dorso rigido, se si rovesciano, si contorcono a lungo, tirano fuori le
zampe e si piegano su un fianco finché non si rimettono a posto. La tartaruga
non soffre se è supina, tuttavia smania e vuole riprendere la sua
posizione naturale, e non smette di tentare e di agitarsi finché non si rimette
dritta. 9 Tutti gli animali hanno, quindi, coscienza della loro natura, perciò
muovono così speditamente le membra: e la prova più evidente che
nascono con questa nozione sta nel fatto che tutti gli animali conoscono l'uso
delle loro capacità.
10 "La costituzione," ribattono, "come dite voi,
è l'elemento fondamentale dell'anima nell'atteggiamento che assume nei
confronti del corpo. Come può un neonato capire un concetto così
complesso e sottile, che voi stessi riuscite a spiegare a stento? Bisognerebbe
che tutti gli animali nascessero maestri di dialettica per comprendere questa definizione
oscura a gran parte delle persone istruite."
14 "Voi sostenete," ribattono, "che ogni animale si
adatta sùbito alla sua costituzione; la costituzione dell'uomo è
razionale e perciò l'uomo si adatta a se stesso non come a un animale,
ma come a un essere razionale: l'uomo è caro a sé per quell'elemento che
lo fa uomo. Come, dunque, il neonato può adattarsi alla sua costituzione
di essere razionale, se non è ancora in grado di ragionare?" 15
Ogni età ha una sua costituzione, quella del neonato, del bambino, del
giovane, del vecchio sono diverse: tutti si adattano alla costituzione in cui
si trovano. Il neonato è senza denti: si adatta a questa sua
costituzione. Gli spuntano i denti: si adatta a questa nuova costituzione.
Anche l'erba che si trasformerà in messe e grano, quando è tenera
e spunta appena dal solco, ha una costituzione; ne assume, poi, un'altra quando
è cresciuta e si erge sullo stelo ancòra cedevole, ma capace di
sopportare il suo peso, e un'altra ancòra, quando, oramai bionda e con
la spiga dura, aspetta di essere portata sull'aia: qualunque costituzione
assuma, la mantiene e vi si adatta.
19 "Come può" ci si domanda, "un animale
appena nato capire se una cosa è salutare o mortifera?" Prima di
tutto bisogna chiedersi se capisce, e non come capisce. Che essi capiscano si
evince dal fatto che si comportano come se capissero. Perché la gallina non
fugge il pavone o l'oca, ma lo sparviero, che nemmeno conosce e che è
tanto più piccolo? Perché i pulcini temono il gatto e non il cane? È
chiaro che hanno innato il senso del pericolo: se ne guardano prima di poterlo
sperimentare. 20 Inoltre, questo comportamento non è casuale; temono
solo quello che devono e non dimenticano mai di difendersi con circospezione:
fuggono costantemente dal pericolo. E poi non diventano più pavidi nel
corso della loro esistenza; è, quindi, evidente che non è
l'esperienza a renderli tali, ma un naturale istinto di conservazione.
L'insegnamento dell'esperienza arriva tardi ed è diverso da essere a
essere: il bagaglio di nozioni naturali è uguale per tutti e immediato.
21 Ma, se proprio vuoi, ti spiegherò come ogni animale sia portato a
riconoscere il pericolo. Sente di essere fatto di carne e percepisce,
perciò che cosa può tagliare o bruciare o schiacciare la carne, e
quali sono gli animali in grado di nuocere: di questi si forma un'immagine
nemica e ostile. Si tratta di due istinti strettamente legati tra loro;
infatti, non appena l'animale si adatta alla sua conservazione, ricerca quello
che può giovargli, teme ciò che può danneggiarlo.
L'impulso verso l'utile è naturale, come naturale è l'avversione
alle cose nocive; i comandi della natura vengono attuati, ma non è la
riflessione a dettarli, non sono frutto di un calcolo. 22 Non vedi con quanta
precisione le api plasmano la loro casa, con quanta generale concordia
attendono alla loro parte di lavoro? Non vedi che nessun uomo può
imitare la tela del ragno, quanto sia laborioso disporne i fili - alcuni
diritti per creare un sostegno, altri sistemati in cerchio da più fitti
a più radi - e come vi rimangano impigliati, quasi in una rete, gli
animali più piccoli, contro cui sono stati tesi? 23 Quest'arte è
innata, non si impara. Perciò non c'è un animale più
esperto di un altro: vedrai che le tele dei ragni sono uguali, e uguali sono
nei favi tutti i fori. L'insegnamento che ci viene da un'arte è incerto
e disuguale: uguale è invece quello che ci dà la natura. Essa
insegna solo un'abile difesa di se stessi, perciò gli animali
incominciano contemporaneamente a imparare e a vivere. 24 Non è strano
che nascano con quelle capacità senza le quali non potrebbero
sopravvivere. E per sopravvivere il primo mezzo che la natura ha dato loro
è proprio la capacità di adattamento e l'amore di sé. Non avrebbero
potuto sopravvivere, se non lo volessero; e la volontà da sola non
servirebbe a niente, ma senza di essa niente sarebbe servito. Non c'è
essere che si disprezzi o si trascuri; anche gli animali muti e privi di
ragione per quanto tardi in tutto il resto, quando è in gioco la vita,
sono scaltri. Vedrai che esseri inutili agli altri non trascurano se stessi.
Stammi bene.
122
1 Le giornate si sono ormai accorciate; sono molto più
brevi, eppure c'è ancora tempo sufficiente se ci si alza, come dire, col
giorno. Più zelante e lodevole è chi lo aspetta in piedi e vede
l'alba: è vergognoso che uno, col sole già alto, se ne stia a
letto dormicchiando e si svegli a mezzogiorno; per molte persone questa
è ancòra un'ora antelucana!
Quando Oriente coi cavalli ansanti ci alita addosso, per loro
Vespero rosseggiante accende tarde luci.
Così nel caso di costoro inversa alla nostra è la
loro vita, non la regione. 3 Ci sono nella medesima città degli uomini
agli antipodi che, come dice Catone, non hanno mai visto il sorgere o il
tramontare del sole. Secondo te sanno come vivere, se non sanno neppure quando?
E costoro temono la morte, quando sono dei sepolti vivi? Portano male come gli
uccelli notturni. Anche se passano le notti tra il vino e i profumi, anche se
trascorrono tutto il tempo della loro veglia a rovescio in pranzi di molte
portate ben cotte, non banchettano, ma celebrano il proprio funerale. Per i
morti almeno i funerali si celebrano di giorno. Però per dio, se uno si
dà da fare, il giorno non è mai lungo. Allunghiamo la vita:
l'agire ne è il dovere e la base. Limitiamo la notte e trasferiamone una
parte nel giorno. 4 I volatili destinati ai banchetti vengono tenuti chiusi al
buio, perché nell'immobilità ingrassino facilmente; così, stando
fermi senza muoversi mai, il loro corpo impigrito si gonfia e un grasso
molliccio cresce sulle loro membra. Il fisico di questi uomini che si sono
votati alle tenebre è ripugnante a vedersi: hanno un colorito più
impressionante del pallore degli ammalati: sono bianchicci, deboli e fiacchi;
sono vivi, ma la loro carne è morta. E tuttavia questo è il male
minore: quanto più fitte sono le tenebre della loro anima! È
istupidita, avvolta nell'oscurità più dei ciechi. Chi mai ha
avuto gli occhi per vivere al buio?
5 Chiedi come si possa diventare così depravati da aborrire
il giorno e trasferire nella notte tutta la propria vita? Tutti i vizi sono
contro natura e vengono meno all'ordine prestabilito; l'uomo dissoluto vuol
godere di gioie perverse e non solo devia dal retto cammino, ma se ne allontana
più che può fino a trovarsi agli antipodi. 6 Secondo te non
vivono contro natura quelle persone che bevono a digiuno, che ricevono il vino
nelle vene vuote e siedono a tavola già ubriachi? Eppure questo è
un vizio frequente nei giovani che vogliono esercitare le forze, e bevono, anzi
tracannano, il vino fin sulla soglia del bagno tra i compagni nudi, e si
detergono ripetutamente il sudore provocato dalle numerose bevande calde. Bere
dopo il pranzo o la cena è da cafoni; lo fanno i villani che non
conoscono il vero piacere: loro, invece, godono del vino puro che non galleggia
sul cibo, che penetra liberamente fino ai nervi, trovano piacere
nell'ubriachezza a digiuno. 7 E quelli che indossano abiti da donna secondo te
non vivono contro natura? E quelli che cercano di apparire come giovinetti in
fiore, quando ormai la loro stagione è passata? Che c'è di
più crudele, di più miserabile? Non diventare mai un uomo per
sottostare a lungo a un uomo? E mentre il sesso avrebbe dovuto sottrarli a quella
violenza, non li sottrarranno nemmeno gli anni? 8 E non vivono contro natura
quelli che vogliono avere le rose d'inverno e con l'impiego di acqua calda e
con opportuni trapianti fanno spuntare i gigli nella stagione fredda? Non
vivono contro natura quelli che piantano frutteti in cima alle torri? E quelli
che sui tetti delle loro case nei punti più alti hanno boschetti
ondeggianti: le radici di questi alberi nascono là dove a stento sarebbe
potuta arrivare la cima. Non vive contro natura chi getta le fondamenta delle
terme nel mare e il nuoto non gli dà piacere se le vasche d'acqua calda
non le colpiscono le onde in tempesta? 9 Stabiliscono di voler tutto contro
natura, e alla fine se ne allontanano completamente. "Si fa giorno:
è ora di dormire. Tutto è tranquillo: facciamo ginnastica ora,
facciamo una passeggiata, pranziamo. Oramai è l'alba: è ora di
cenare. Non bisogna fare quello che fa il popolo; è squallido vivere la
solita vita ordinaria. Abbandoniamo il giorno come lo vivono tutti gli altri:
per noi deve esserci un mattino speciale." 10 Costoro per me sono come
morti; quanto sono vicini alla fine e anche prematura, vivendo alla luce di
fiaccole e ceri!
Ricordo che in uno stesso periodo furono molti a condurre questo
tipo di vita; tra costoro c'era anche un ex pretore, Acilio Buta; dopo aver
dilapidato un ingente patrimonio, quando confidò a Tiberio la sua
povertà, questi gli rispose: "Ti sei svegliato tardi." 11
Giulio Montano, un poeta discreto, noto per l'amicizia e la successiva
inimicizia con Tiberio, era solito leggere le sue poesie. Spessissimo vi
cacciava in mezzo albe e tramonti; una volta un tale, seccato che costui avesse
recitato i suoi versi per un giorno intero, sosteneva che non si dovesse
più andare alle sue letture, e Natta Pinario disse: "Posso forse
comportarmi più gentilmente? Sono pronto ad ascoltarlo dall'alba al
tramonto." 12 Una volta egli aveva letto questi versi:
Febo comincia a emettere fiamme ardenti e la luce rosseggiante a
diffondersi; già la mesta rondine tornando più volte ai nidi
pigolanti comincia a portare il cibo e lo distribuisce delicatamente col becco.
E Varo, cavaliere romano, amico di M. Vinicio, frequentatore
assiduo di cene prelibate che si guadagnava con la sua maldicenza,
esclamò: "E Buta comincia a dormire." 13 Poi, sùbito
dopo, quando ebbe recitato questi altri versi:
Ormai i pastori hanno rinchiuso gli armenti nelle stalle, ormai la
pigra notte comincia a spargere il silenzio sulle terre addormentate.
Varo di nuovo aggiunse: "Come? È già notte?
Andrò a dare il buongiorno a Buta."
Era ben nota la sua vita contraria alla normalità; e, come
ho detto, in quel periodo erano in molti a vivere così. 14 Certi lo
fanno non perché pensino che la notte sia più piacevole, ma perché non
apprezzano ciò che è consueto; e poi, chi ha la coscienza sporca
non gradisce la luce, e chi è abituato a desiderare o a disdegnare le
cose a seconda che il prezzo sia alto o basso, ha ripugnanza per la luce che
non costa niente. Inoltre, questi uomini dissoluti vogliono che della loro vita
si parli mentre sono ancòra in vita; se passano sotto silenzio, pensano
di sciupare il proprio tempo. Perciò a volte agiscono in modo da
suscitare vasta eco. Molti sperperano i loro beni, molti hanno delle amanti:
per farsi un nome tra costoro non basta la dissolutezza, bisogna distinguersi;
in una società così affaccendata una ordinaria perversità
non fa nascere chiacchiere. 15 Pedone Albinovano, elegantissimo narratore, ci
raccontava una volta di aver abitato sopra l'abitazione di Sesto Papinio, uno
di questa compagnia di nottambuli. "Verso le nove di sera," dice,
"sento schioccare la frusta. Chiedo che stia facendo: mi rispondono che si
fa fare i conti. Verso mezzanotte sento delle grida concitate. Chiedo che
accada: mi dicono che esercita la voce. Verso le due chiedo che significhi quel
rumore di ruote: mi riferiscono che va a passeggio. 16 All'alba sento correre,
chiamare gli schiavi, agitarsi i cantinieri e i cuochi. Domando che accada: mi
rispondono che ha chiesto vino mielato e orzata ed è appena uscito dal
bagno. 'Il suo pranzo, allora, durava più di una giornata?' No; viveva
molto frugalmente; non consumava niente altro che la notte." Perciò
Pedone a chi lo definiva gretto e avaro, rispondeva: "Chiamatelo anche
nottambulo."
17 Non devi stupirti di trovare tante varietà di vizi: sono
diversi, hanno innumerevoli forme, non si possono classificare tutti. La
ricerca del bene è semplice, quella del male complessa e assume sempre
nuove deviazioni. Lo stesso accade per i modi di vivere: se conformi a natura
sono semplici, liberi e presentano scarse differenze; se perversi, sono in
contrasto tra loro e con se stessi. 18 Tuttavia, la causa prima di questa
corruzione sta per me nel disgusto per la vita normale. Si distinguono dagli
altri per l'eleganza, per la raffinatezza delle cene, per il lusso delle
carrozze, e allo stesso modo vogliono differenziarsi anche per l'uso del tempo
nelle sue successioni. Per loro una cattiva reputazione è il premio dei
loro vizi, perciò non vogliono commettere i peccati soliti. E tutti
questi che, per così dire, vivono al contrario, cercano appunto una
cattiva reputazione. 19 Perciò Lucilio mio, dobbiamo seguire la vita
segnata dalla natura, senza allontanarcene: se uno la percorre, tutto gli
diventa facile e comodo; se va in senso contrario, vive come se remasse
controcorrente. Stammi bene.
123
1 Sfinito da un viaggio più scomodo che lungo arrivo nella
mia villa di Alba a notte alta: non trovo niente di pronto tranne il mio
stomaco. Perciò stanco mi getto sul divano, senza prendermela per il
ritardo del cuoco e del fornaio. Se una cosa si prende alla leggera, mi dico,
non è grave e niente dovrebbe mandarci in collera, purché non lo
ingrandiamo noi stessi col nostro sdegno. 2 Il mio fornaio non ha pane; ne
hanno, però il fattore, il custode, il colono. "Pane cattivo,"
dirai. Aspetta: diventerà buono; la fame renderà morbido e bianco
anche questo. Perciò non bisogna mangiare finché la fame non lo comanda.
Aspetterò dunque, e non mangerò prima di avere un buon pane oppure
di non provare più disgusto per quello cattivo. 3 Abituarsi al poco
è necessario: anche chi è ricco e ha tutto si troverà in
luoghi e circostanze sfavorevoli che impediranno la soddisfazione dei suoi
piaceri. Nessuno può avere tutto quello che vuole, ma può non
volere quello che non ha e godere delle gioie che gli si offrono. Gran parte
della libertà consiste in un ventre moderato e capace di sopportare gli
stenti. 4 Non si può immaginare quanto piacere mi dia il sentire che la
stanchezza se ne va da sé; non cerco né massaggiatori, né bagni, unico rimedio
è il tempo: il riposo elimina le conseguenze della fatica. Una cena
qualunque sarà più piacevole di un banchetto inaugurale. 5 [...]
Ho messo, dunque, il mio animo alla prova all'improvviso e perciò ne ho
tratto un'esperienza più schietta e vera. Se l'animo si prepara e si
impone di essere paziente, la sua reale fermezza non è chiara. Le prove
più sicure sono quelle improvvise: se di fronte ai dispiaceri non
è solo rassegnato, ma tranquillo; se non dà in escandescenze e
non attacca briga; se supplisce a ciò che avrebbe dovuto ricevere non
desiderandolo, e pensa che manchi qualcosa alle sue abitudini, ma non a lui
stesso.
6 Dell'inutilità di molte cose ci accorgiamo solo quando
cominciano a mancare: le usiamo non per bisogno, ma perché le abbiamo. E quante
cose, poi, ci procuriamo perché le hanno gli altri o perché le posseggono quasi
tutti! Ecco una delle cause dei nostri mali: viviamo imitando il prossimo e non
ci facciamo regolare dalla ragione, ma trascinare dall'abitudine. Una cosa che
se la facessero in pochi, non vorremmo imitare, quando diventa una moda la
seguiamo, quasi fosse più giusta perché è più diffusa;
l'errore, quando diventa comune, occupa in noi il posto del bene. 7 Tutti ormai
viaggiano come se li precedesse la cavalleria numidica e una schiera di
battistrada: sarebbe una vergogna non avere nessuno che faccia scansare i
passanti e mostri, alzando un polverone, che arriva un uomo importante! Tutti
hanno ormai muli carichi di vasellame di cristallo, di murra, cesellato a mano
da grandi artisti: sarebbe una vergogna se sembrasse che nei bagagli porti solo
roba infrangibile! Tutti si trascinano dietro giovani schiavi col viso unto di
crema perché il sole o il freddo non rovinino la loro pelle delicata: sarebbe
una vergogna se nel tuo seguito ci fosse qualche schiavo col viso fresco senza
bisogno di creme.
8 Evitiamo di parlare con tutti questi individui, sono loro a
trasmettere i vizi e a diffonderli da un posto all'altro. Sembrava che i
calunniatori fossero la razza peggiore: e invece ci sono quelli che diffondono
i vizi. I loro discorsi sono veramente dannosi: anche se lì per
lì non hanno nessun effetto, seminano nella nostra anima i germi del
male e ci seguono anche quando ne siamo lontani: il male si svilupperà in
seguito. 9 Quando uno ha ascoltato un concerto nelle orecchie gli risuona il
ritmo e la soavità di quella musica, che gli impedisce di pensare e di
occuparsi di cose serie; così i discorsi degli adulatori e di quanti
lodano le cattive azioni ci rimangono impressi anche quando non li sentiamo
più. E non è facile liberarsi di quella dolce musica: ci
perseguita persistentemente e a intervalli ritorna. Rifiutiamoci, perciò
fin dall'inizio di ascoltare quelle parole disoneste, perché la loro audacia
aumenta quando prendono piede e noi le accogliamo. 10 Allora si arriva a questi
discorsi: "La virtù, la filosofia, la giustizia sono parole vuote e
altisonanti; l'unica felicità è vivere bene, mangiare, bere,
godersi le ricchezze: questa è vita, questo è ricordarsi che
dobbiamo morire. I giorni scorrono via e la vita fugge inesorabile. Abbiamo dei
dubbi? A che serve la saggezza e imporsi di essere frugali alla nostra
età, mentre ora possiamo godere dei piaceri (in futuro non saremo in
grado di farlo), anzi ne sentiamo l'esigenza, e così precedere la morte
e privarsi già adesso di tutto quello che essa ci porterà via?
Non hai un'amante, non hai un ragazzo che susciti la gelosia dell'amante; ogni
giorno ti mostri sobrio; e mangi come se dovessi sottoporre a tuo padre il
libro dei conti: questo non è vivere, ma guardare vivere gli altri. 11
Che pazzia avere cura del patrimonio destinato all'erede e privarsi di tutto
per farsi di un amico un nemico con una cospicua eredità; la sua gioia
per la tua morte sarà proporzionata al lascito. Questi severi e arcigni
censori della vita altrui, nemici della propria, precettori universali, non
tenerli in nessun conto e non esitare a preferire una buona vita a una buona
reputazione." 12 Bisogna fuggire queste voci come quelle davanti a cui
Ulisse non volle passare se non legato. Il loro potere è identico:
allontanano dalla patria, dai genitori, dagli amici, dalle virtù e ci
spingono *** a una vita disonorevole e infelice. Quanto è meglio seguire
la retta via e arrivare a gioire solo dell'onestà. 13 E questo intento
lo realizzeremo rendendoci conto che sono due le categorie di cose ad attrarci
o a respingerci. La ricchezza, i piaceri, la bellezza, l'ambizione e quanto
altro c'è di lusinghiero e suadente ci attraggono; ci respingono la
fatica, la morte, il dolore, il disonore, un tenore di vita troppo austero.
Esercitiamoci, dunque, a non temere le une e a non desiderare le altre.
Combattiamo in due modi diversi: ritiriamoci davanti agli allettamenti,
affrontiamo le difficoltà. 14 Non vedi come è diversa la posizione
di uno che scende e di uno che sale? Chi scende porta il peso del corpo
indietro, chi sale si piega in avanti. Portare in avanti il peso del corpo in
discesa o portarlo indietro in salita significa, caro Lucilio, tenere una
posizione viziata. La strada verso i piaceri è in discesa, quella verso
azioni difficili e impegnative è in salita: in questo caso dobbiamo
spingere il corpo in avanti, nell'altro frenarlo.
15 Pensi che ora io dichiari pericoloso per le nostre orecchie
solo chi loda il piacere e chi ci incute la paura del dolore, cose già
di per sé temibili? Secondo me ci nuocciono anche quelle persone che sotto la
maschera dello stoicismo ci esortano ai vizi. Vanno dicendo che solo l'uomo
saggio e istruito sa amare. "È il solo adatto a quest'arte; ed
è pure il più esperto nel bere e nel mangiare in compagnia.
Vediamo fino a che età si debbano amare i giovani." 16 Queste
abitudini lasciamole ai Greci, noi piuttosto porgiamo le orecchie a queste
massime: "Nessuno è onesto per caso: la virtù va imparata.
Il piacere è una cosa vile e meschina, di nessun valore, comune anche
alle bestie: vi aspirano gli esseri inferiori e più spregevoli. La
gloria è cosa vana ed effimera, più instabile dell'aria. La
povertà è un male solo per chi non l'accetta. La morte non
è un male: chiedi cos'è? La sola legge uguale per tutti gli
uomini. La superstizione è pura follia: teme le divinità che
dovrebbe amare e profana quelle che venera. Che differenza c'è, infatti,
tra il negare gli dèi e il disonorarli?" 17 Queste massime vanno
imparate, anzi imparate a memoria: la filosofia non deve fornire scuse al
vizio. Non ha speranza di guarire un ammalato se il medico lo spinge
all'intemperanza. Stammi bene.
124
1 Posso riferirti molti precetti degli antichi, se non rifiuti e non
ti annoia la conoscenza di cure semplici.
Ma tu non rifiuti e non respingi le minuzie: la tua finezza non si
limita alla ricerca dei grandi problemi; così approvo anche la tua
volontà di trarre profitto da ogni argomento e il fatto che ti urti solo
quando l'eccessiva sottigliezza non porta nessun frutto. Da parte mia
cercherò che questo ora non avvenga.
Si discute se il bene si abbracci coi sensi o con la mente; in
quest'ultimo caso ne sarebbero esclusi gli animali e i neonati. 2 Tutti quei
filosofi che mettono al primo posto il piacere ritengono che il bene sia
percettibile; invece per noi, che il bene lo attribuiamo all'anima, è
intellegibile. Se a giudicare il bene fossero i sensi, non respingeremmo nessun
piacere perché ci allettano e ci attraggono tutti, e d'altra parte non ci
sottoporremmo volontariamente a nessun dolore, perché tutti i dolori colpiscono
i sensi. 3 E poi non meriterebbe biasimo chi ama troppo il piacere e chi il
dolore lo teme moltissimo. Noi disapproviamo i golosi e i lussuriosi e disprezziamo
i vili perché hanno paura del dolore. Ma qual è la loro colpa se
obbediscono ai sensi, giudici del bene e del male? Ad essi hai affidato la
valutazione di quello che va ricercato e di quello che va fuggito. 4 E, invece,
naturalmente, questo è còmpito della ragione: del bene e del male
come della felicità, della virtù, dell'onestà è lei
a decidere. Costoro attribuiscono alla parte più vile dell'uomo la
facoltà di giudicare sulla migliore: del bene deciderebbero i sensi, che
sono ottusi e deboli, meno sviluppati nell'uomo che negli animali. 5 Che
diresti se uno pretendesse di distinguere col tatto e non con gli occhi gli
oggetti minuscoli? A questo scopo non c'è forza più acuta e
intensa di quella visiva, ma potrebbe forse dare la facoltà di distinguere
il bene dal male? Vedi quanto ignori la verità e come svilisca cose
elevate o divine chi giudica con i sensi il sommo bene e il sommo male.
6 "Tutte le scienze," si ribatte, "e tutte le arti
devono avere qualche elemento manifesto e tangibile da cui nascono e si
sviluppano; così la felicità trae le sue fondamenta e il suo
inizio da elementi manifesti e concreti. Siete voi stessi a dire che la
felicità trae la sua origine da fattori manifesti." 7 Noi definiamo
felice quello che è secondo natura; che cosa poi sia secondo natura
appare sùbito evidente, come l'integrità di un oggetto.
Ciò che è secondo natura e riguarda un neonato, non lo definisco
un bene, ma l'inizio di un bene. Tu attribuisci all'infanzia il sommo bene, cioè
il piacere; il neonato comincia, quindi, dal punto a cui arriva l'uomo
perfetto: così metti la cima della pianta al posto delle radici. 8 Se
uno dicesse che il feto nascosto nell'utero materno, di sesso ancora incerto,
delicato, imperfetto e informe ha già un qualche bene, apparirebbe
chiaro che sbaglia. Ebbene, che differenza c'è tra il bimbo appena nato
e il feto che pesa dentro le viscere materne? Entrambi, per ciò che
riguarda la cognizione del bene e del male, sono ugualmente immaturi e il
neonato non è capace di bene più di una pianta o di un animale.
Ma perché in una pianta o in un animale non c'è il bene? Perché sono
privi di ragione. Per questo il bene non c'è nemmeno nel neonato, anche
lui è privo di ragione. Arriverà al bene solo quando arriverà
alla ragione. 9 Ci sono esseri irrazionali, altri non ancora razionali, altri
razionali, ma imperfetti: in nessuno di loro c'è il bene, lo porta con
sé la ragione. Che differenza c'è allora tra i gruppi suddetti?
Nell'essere irrazionale non ci sarà mai il bene; nell'essere non
ancòra razionale non può ancòra esserci il bene;
nell'essere razionale, ma imperfetto, potrebbe esserci il bene, ma non
c'è. 10 Io la penso così, Lucilio: il bene non si trova in
qualunque corpo, a qualunque età, ed è tanto lontano
dall'infanzia quanto dal primo l'ultimo, quanto una cosa compiuta dal suo
inizio. Quindi in un piccolo corpo delicato ancòra in formazione, non
c'è. Perché? È lo stesso che in un seme. 11 Diciamo così:
in un albero o in una pianta riconosciamo un certo bene, ma questo non
c'è in un virgulto appena spunta dalla terra. Un certo bene c'è
nel grano: ma non c'è nell'erbetta ancora bianca e neppure quando la
tenera spiga si libera dalla scorza, ma solo quando l'estate e il naturale
sviluppo hanno maturato il frumento. La natura in ogni suo aspetto non rivela
il proprio bene se non arriva a perfezione, così il bene proprio
dell'uomo non è presente nell'individuo se non quando la ragione
è perfetta. 12 Ma qual è questo bene? Uno spirito libero, fiero,
che tutto assoggetta a sé, ma non si assoggetta a nessuno. L'infanzia non
può possedere questo bene; la fanciullezza non può sperarlo; e
l'adolescenza è difficile che lo realizzi; può considerarsi
fortunato il vecchio che lo raggiunge dopo un lungo e intenso studio. Se questo
è il bene, è pure intellegibile.
13 "Tu hai detto," qualcuno obietta, "che
c'è un bene dell'albero e dell'erba; e allora può esserci anche
un bene del neonato." Il vero bene non si trova negli alberi e nemmeno
nelle bestie: il bene che è in loro è chiamato in maniera
impropria bene. "E qual è allora?" chiedi. Ciò che
è conforme alla natura di ognuno. Il bene non può in nessun modo
andare a finire in una bestia; è proprio di una natura più felice
e migliore. Il bene si trova solo dove c'è la ragione. 14 Ci sono questi
quattro tipi di natura: vegetale, animale, umana, divina: le ultime due che
sono razionali, hanno la stessa natura; sono, però diverse in quanto
l'una è immortale, l'altra mortale. Il bene dell'uno, quello di dio
naturalmente, è insito nella sua natura, il bene dell'altro, ossia
dell'uomo, nasce dal suo impegno. Gli altri esseri sono perfetti solo
nell'ambito della loro natura, ma non sono veramente perfetti, perché non
possiedono la ragione. Perfetto è solo ciò che è tale
secondo la natura universale, e la natura universale è razionale: gli
altri esseri possono essere perfetti solo nel loro genere.
21 Certo ti chiedi a che miri questa discussione e che
utilità abbia per il tuo spirito. Ecco: lo esercita, lo rende più
acuto e impegna la sua attività in una occupazione onesta. E poi giova
perché trattiene chi tende al male. Inoltre, il modo in cui posso esserti
più utile è mostrandoti il tuo bene, facendo una distinzione tra
le bestie e mettendoti affianco a dio. 22 Perché, ti domando, coltivi ed
eserciti le forze fisiche? La natura le ha concesse in misura maggiore agli
animali domestici e feroci. Perché curi la tua bellezza? Per quanto tu faccia,
gli animali ti vinceranno in bellezza. Perché ti acconci i capelli con tanta
cura? Anche se li porterai sciolti come i Parti o legati come i Germani o
scompigliati come gli Sciti, la criniera di un qualsiasi cavallo
ondeggerà più folta, e sul collo del leone se ne drizzerà
una più bella. Per quanto ti eserciterai nella corsa, non eguaglierai
mai un leprotto. 23 Accantona tutto quello in cui è inevitabile che tu
sia vinto, poiché tendi a mete a te estranee, e ritorna al tuo bene. Qual
è? Avere un animo irreprensibile e puro, emulo di dio, e che si erga al
di sopra delle vicende umane, tutto compreso in se stesso. Tu sei un animale
fornito di ragione. Qual è, dunque, il bene in te? La ragione perfetta.
Richiamala alla sua meta, lascia che si sviluppi il più possibile. 24
Stìmati felice solo quando ogni gioia nascerà dal tuo intimo,
quando, alla vista di quei beni che gli uomini cercano di afferrare, desiderano
e custodiscono gelosamente, non troverai nulla che, non dico preferisci, ma
neppure desideri. Ti darò una piccola regola per valutare i tuoi
progressi e per renderti conto di avere ormai raggiunto la perfezione:
possiederai il tuo bene quando capirai che gli uomini considerati felici sono
in realtà i più sfortunati di tutti.
Stammi bene.
(Estratti da Noctis Atticae di Aulo
Gellio)
2 Non è il caso che mi eriga a giudice e censore del
poliedrico ingegno di Seneca e di ogni suo scritto; tuttavia sottoporrò
alla vostra valutazione i giudizi – non interessa la loro natura – che egli
espresse su Cicerone, Ennio e Virgilio.
…….