La Repubblica 31-8-2011
Basta con la scuola del cuore
ricominciamo a far pensare
Ecco il primo intervento di MARCO LODOLI
La proposta:
i sentimenti non sono l'unico campo in cui si realizzano i giovani. Conta
anche la razionalità. Da cosa si può ripartire perché le aule
tornino a essere un luogo centrale per i ragazzi? Idee e proposte di
insegnanti e protagonisti.
IL SOLITO SACROSANTO coro di
lamentele accompagna come tutti gli anni la riapertura delle scuole: manca
questo e manca quello, hanno tagliato di su e di giù, i programmi sono
troppo così e poco cosà, e come se non bastasse molti servizi stanno
diventando a pagamento, tanto da far assomigliare, nei costi, la scuola
pubblica a quella privata.
Certo la Gelmini non ha aiutato granché il pericolante edificio
dell'istruzione statale, anzi quando ha potuto ha mollato qualche bel colpo
di piccone. E se il pesce puzza dalla testa, il resto del corpo è
già abbastanza fradicio: gli insegnanti non riescono a insegnare, i
ragazzi faticano a imparare, le famiglie delegano, ondeggiano, latitano e
tutto l'acquario sembra ormai piuttosto torbido.
Ma vogliamo provare, invece di piagnucolare al vento, a dire come andrebbe
corretta la scuola italiana, quali sono i deficit e quali i possibili rimedi?
In che modo lo spirito del tempo ha inquinato l'idea della conoscenza, e come
si potrebbe rilanciare il sogno di un mondo che studia, apprende, diventa
comunità già nelle aule e nelle palestre e nei cortili della
scuola? Ho una convinzione, forse può apparire un po' antipatica ma
non importa, credo di aver analizzato bene in questi anni i nostri
adolescenti e di aver individuato il punto dolente.
Tutto è cominciato a precipitare nel momento in cui qualcuno ha
stabilito che l'emotività è l'unico campo in cui si realizza il
giovane. Sappiamo bene l'importanza delle ragione del cuore di Pascal, del
pensiero emotivo, della forza creativa che vive nei sentimenti e certo non
vogliamo che i nostri ragazzi a scuola divengano dei robot: però ho
l'impressione che sia stata una debolezza micidiale la rinuncia alla logica,
alla razionalità, all'analisi e alla sintesi, all'intelligenza che sa
muovere i pezzi sulla scacchiera e le parole nel discorso e i numeri nei
quaderni a quadretti.
La cultura è il tentativo di dare una forma e un ordine al caos. Per
questo studiamo le tabelline e la sintassi, Aristotele e il sonetto, Dante e Kant e la storia e la chimica e la biologia. Chiunque ama
l'arte sa che il disordine del dolore può essere la materia bruta
dell'opera: ma perché ci sia un valore e un senso l'artista deve tirare fili
invisibili, cucire, legare e slegare, mettere in prospettiva, unire
ciò che pare crudelmente diviso. E la scuola questo deve riprendere a
fare, contro la cultura del desiderio che vive di smanie istantanee,
puntiformi e distruttive, contro chi agita nei ragazzi solo
l'emotività, come se la vita fosse solo sballo, divertimento, notti da
inghiottire e giorni da dormire e corri dove ti porta il cuore.
Tutta la pubblicità si muove nella direzione dei sentimenti più
fasulli e ridicoli: la scuola deve andare nella direzione opposta, verso la ratio e il logos e l'arte dei nessi e delle consonanze.
Il pensiero piccolo divide, il pensiero grande unisce, dice Lao-Tze. Intendiamoci: dare corso ai desideri fu un
pensiero "rivoluzionario", 40 anni fa. Ma oggi, quando tutto si
è ridotto a slogan suggestivo e vuoto, la vera rivoluzione è
riappropriarsi della sostanza.
E allora, come ridare forza al pensiero, oggi calpestato dall'orda trionfante
e barbara delle sensazioni spicciole, dall'impressionismo e dalla
destrutturazione? La lettura è fondamentale perché tuffa lo studente
nello scorrere progressivo del tempo, nell'evoluzione dei caratteri, nella
riflessione sulle piccole esistenze individuali e sulla vita grande che le
contiene. Il prima e il poi segnano una strada. Ovviamente la matematica
è la base del pensiero logico: i nostri ragazzi faticano moltissimo
anche per risolvere una semplice equazione, spesso respingono l'universo dei
numeri proprio perché li obbliga a pensare, a mettere in fila i passaggi, a
trovare la soluzione esatta. Più letture, più matematica,
dunque, ma anche più filosofia e più traduzioni dalle lingue
straniere. Sarebbe bellissimo, poi, se tutti i ragazzi studiassero la musica
capirebbero come nelle note si sposano la precisione e la sensibilità.
Questa è la prima mossa da fare, la più importante. Poi si
tratta di ricostruire un rapporto tra le generazioni. La maggior parte degli
insegnanti pensa che gli studenti siano dei decerebrati volgari e ignoranti,
e la maggior parte degli studenti pensa che gli insegnanti siano dei vecchi
amareggiati e inutili. Anche qui temo che grandi danni siano venuti dalla
malizia dell'economia, quella del marketing che pensa agli esseri umani in
termini di target, che separa le età per poter vendere meglio i
prodotti più adatti ai ventenni e alle sessantenni, musica e dentiere.
La piazza si è frantumata, la comunità si è sbriciolata
in calcinacci generazionali, ogni gruppo sta per conto suo, sospettoso,
diffidente, scorbutico. Bisognerebbe ritornare all'unica grande divisione,
quella tra i vivi e i morti, e forse nemmeno questa è così inevitabile.
Siamo tutti qui, tutti vivi finché dura, e allora nella scuola gli adulti e i
ragazzi hanno ancora tanto da scambiarsi, da regalarsi, tanto da discutere e
litigare.
Ancora qualche idea per ricominciare in modo positivo: la scuola italiana
deve essere legata al grande patrimonio culturale della nazione e allo stesso
tempo deve mantenersi aperta al futuro. Deve essere il punto di contatto tra
la Storia e il Divenire, tra ieri e domani. Dunque tutti i ragazzi italiani
dovrebbero aver letto i dieci libri fondamentali per la nostra
identità nazionale, e aver visto e studiato i pittori che da tutto il
mondo vengono a vedere, ma la scuola non può vivere col torcicollo,
tutta rivolta al passato: deve attrezzarsi per capire il presente, dunque
abbonarsi a riviste e giornali, aprire alle nuove forme di comunicazione, la
tecnologia è qualcosa che si può usare e studiare insieme,
facendo capire come nasce, perché funziona, tenendo vivo il contatto con
quello che accade oggi.
Se non è così, non ci sarà alcuna speranza di
conquistare i ragazzi. Per questo mi auguravo che ogni professore fosse
fornito di un tesserino per avere veri sconti in libreria e al cinema e a
teatro e nei musei. Mi sembrava che la Gelmini avesse accettato l'idea, poi
non se n'è più parlato. Gli insegnanti devono essere
intellettuali del nostro tempo, non tristi pappagalli spennacchiati che
ripetono la stessa lezione da trent'anni. Insomma, la scuola deve tornare a
essere un luogo dove pulsano l'intelligenza e la curiosità, non può
ridursi a un ospizio di nonni malinconici che provano invano a tenere a bada
torme di nipotini urlanti.
(31 agosto 2011)
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