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Documento inserito il: 9-9-2012

 

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La Repubblica blog 8-9-2012

Io ex-banchiere vi racconto come speculano

Di Riccardo Staglianò  Mail

 

Dal Venerdì in edicola (da quando l’articolo è andato in stampa il tempo finanziario si è messo al meglio. Speriamo che duri).

Dicevano che agosto sarebbe stato il mese campale. Lo dicevano perché così è andata in passato. L’anno scorso, ad esempio. I primi assalti speculativi partirono a metà luglio per dare frutti nelle settimane successive, facendo schizzare i rendimenti dei Buoni del tesoro poliennali, i Btp con cui il governo finanzia il suo debito. Se c’è fiducia tutti ti prestano i soldi a basso costo. Pensate alla Germania. Più si teme invece che tu possa non restituirli, più dovrai pagare interessi per convincere i mercati ad accollarsi il rischio. Pensate alla Grecia, alla Spagna, all’Italia. Da noi il differenziale rispetto ai Bund tedeschi toccò allora quota 350 e poi addirittura 400 (per sfondare di recente quota 540). Il termine «spread», da anglicismo per banchieri, è diventato lessico familiare e titolo fisso da prima pagina. Agosto è il mese dei golpe, dei colpi di mano parlamentari, delle guerre finanziarie. Compresa quella vittoriosa del ‘92 di George Soros contro la sterlina e la lira. I raiders si scatenano quando i banchieri pregustano le vacanze. Agosto è il mese più crudele per gli stati con i conti in disordine. Il fatto che si sia chiuso senza una carneficina ci rallegra, ma non ci tranquillizza. È come se ci trovassimo di fronte a un global warming finanziario che scombussola le nostre poche certezze. Settembre è il nuovo agosto? Sarà peggio a ottobre? Possiamo ancora prevedere alcunché?

Se ci illudevamo di capire qualcosa sul quando, sappiamo ancora meno sul chi, come e perché di questi attacchi. I protagonisti non ne parlano dal momento che, come in ogni guerra, anticipare le strategie equivale a perderla. Per questo ci siamo messi sulle tracce di un ex super-trader che ha guidato il settore derivati di un’importante banca d’affari a Londra. Lui, battezziamolo X, di attacchi («ma li chiamerei semplicemente investimenti: i capitali sono laici e vanno dove vedono opportunità») ne ha sferrati molti. Il più delle volte vincendo. L’ultimo è stato un’operazione da varie decine di miliardi di euro in cui era andato momentaneamente «sotto» di 300 mila, quasi niente considerato il totale. Parliamo dell’autunno 2008: dopo il crollo di Lehman Brothers lo stress è altissimo. La banca ritiene che non sia più affidabile. Lui dice che l’hanno fatto fuori perché non voleva effettuare le operazioni sempre più spregiudicate che gli chiedevano. Raggiungono un accordo burrascoso e, a quarantott’anni, si ritrova a riposo. Lo incontro in una villa di un quartiere di una grande città che sembra la fotocopia in scala ridotta di Bel Air a Los Angeles. Stessi giardini infiniti, stesse piscine, stesso tempo rallentato da oasi attrezzata per miliardari indolenti.

Di agosti torridi ne ha vissuti parecchi. Tra gli aneddoti, ai tempi del raid di Soros, ricorda quello del banchiere centrale francese che nel mezzo dell’attacco aveva perso miliardi di franchi per essersi assentato pochi minuti per andare in bagno. X esemplifica da prof anglosassone: «Chi sono i protagonisti? Ovviamente gli hedge fund, i fondi speculativi, ma anche la ricchezza privata, quella dei grandi patrimoni. I fondi sovrani dei pochi Stati con un eccesso di denaro da investire come Cina, Kuwait e Norvegia, ad esempio. E poi le stesse banche d’affari. I fondi pensione. Le grandi assicurazioni. Ognuno di questi soggetti ha desk specializzati che, nel tentativo di massimizzare i fondi che gestiscono, li sposta dove intravede le migliori occasioni». I Paesi fortemente indebitati sono prede ideali. Per Atene, Madrid e Roma l’unico modo per convincere gli investitori a continuare a prestar loro i soldi per funzionare è pagare tassi sempre più alti. Prima gli investitori lucrano su quegli interessi, indebolendo ulteriormente i governi tenuti a versarli. Poi, quando sembrano adeguatamente dissanguati, cercano di spingerli al default e scommettono sulla disintegrazione della moneta unica che potrebbe derivarne. Vediamo come.

TITOLI DI STATO

«Il concetto chiave è quello del leverage o leva finanziaria. Significa che si possono movimentare quantità ingenti di titoli anche solo partendo da un capitale proprio minimo, prendendo a prestito il restante. Per intenderci, se la leva è di 20 a 1 significa che con un capitale mio di 500 mila euro posso controllare l’equivalente di 10 milioni di Btp, ovvero venti volte tanto». Gli altri sono presi a prestito dal broker che in cambio pretende un «margine», ovvero una garanzia in caso di perdite. Un sistema molto aggressivo che funziona da moltiplicatore e consente enormi guadagni quando va bene (con pochi soldi puoi fare profitti come se ne avessi investiti tanti) ma colossali perdite quando va male. «Con la solita leva di 20 a 1, ovvero 5 euro ogni 100 investiti, basta che l’investimento perda il 5 per cento per azzerare il mio capitale». Insomma, un sistema estremamente volatile e instabile. Che è stato una delle principali cause della crisi, dove non era infrequente incrociare banche d’investimento che operavano con una leva di 1 a 60.

Ma torniamo alle tipologie di attacco. «Il primo tipo è quello che adopera i titoli di Stato. Se il margine è il solito del 5 per cento, con mezzo milione di euro ne puoi controllare 10 di Btp. Con il ricavato della vendita puoi comprare l’equivalente di Bund. Così facendo i Btp varranno sempre meno, lo spread crescerà e i conti italiani si appesantiranno sempre più, costringendo all’emissione di nuovi e più remunerativi buoni del tesoro».

CREDIT DEFAULT SWAPS

Poi ci sono i Credit default swaps, una delle armi preferite dagli speculatori. «Pensate ai Cds come fossero contratti di assicurazione. Si paga un premio e ci proteggono dall’eventualità che un credito non vada a buon fine. Mentre ci si può assicurare solo su qualcosa che ci riguarda, però, qui si può scommettere anche su eventi che riguardano altri» spiega X. Nel caso dell’Italia i Cds quantificano il rischio che il nostro Paese non sia più in grado di ripagare i propri debiti e faccia fallimento. «Pagare un premio del 6 per cento per un Cds equivale a dire che esiste una probabilità su quindici che il Paese vada a gambe all’aria. Una stima che mi sembra addirittura generosa». Più le chance di sopravvivenza diminuscono, più le vendite (e il prezzo) dei Cds aumentano. Il caso dei mutui subprime è stato emblematico, come spiega meglio di tutti Michael Lewis nel suo bestseller The Big Short («shortare» significa vendere un titolo che non si possiede ma che si è preso in prestito da un broker: da qui la definizione di «vendita allo scoperto». Si scommette sul fatto che il prezzo scenda e così, quando si va a ricomprarlo sul mercato per restituirlo al broker che ce l’aveva prestato, si intascherà la differenza). In pochi avevano intuito che il mercato dei mutui era drogato e sarebbe bastato un raffreddamento dei prezzi delle case per mandarlo in tilt. Avevano quindi comprato a buon prezzo Cds sull’ipotesi fallimento intascando poi fortune quando si era realizzata. Stavolta però gente come John Paulson, del fondo omonimo che tra le macerie generalizzate si era portato a casa 15 miliardi di dollari, non è riuscito a bissare. Da mesi scommette sull’uscita dell’euro e per il momento ha collezionato solo perdite. Però continua a essere convinto che la moneta unica non ce la farà, vende titoli di stato spagnoli e accumula sempre più Cds, con la speranza che un giorno gli riserveranno una ricompensa analoga a quella del 2007. La variabile che stavolta rende più difficile il compito degli speculatori è l’intervento dei governi europei. Se, quando le banche spagnole sembrano aver esaurito le munizioni, arrivano 100 miliardi di euro di rinforzi dalla Bce, l’assedio cambia improvvisamente esito.

VALUTE, INDICI E TITOLI DI BORSA

Un terzo modo di attaccare è agire sulle valute. «Molto banalmente» prosegue X «vendo tutti gli euro che ho in portafoglio e quegli stessi soldi li uso per comprare “a margine” valute forti: dollari australiani, rand sudafricani, yen giapponesi. L’euro, per dire, è passato da un minino di 0,80 a un massimo di 1,50 rispetto al dollaro. A forza di vendere, negli ultimi mesi il suo valore si è assestato intorno a 1,20. La prospettiva che vada giù dell’altro, che entusiasma gli speculatori, dispiace però a una quantità di soggetti potenti, dalla Bce alle banche centrali statunitensi, giapponesi e cinesi che temono per le loro esportazioni. Questa convergenza di interessi ha coalizzato gli istituti centrali, fornendo una barriera anti-speculativa molto più solida che in altre occasioni». Dal momento che le valute godono di questa rete di protezione, i raiders si concentrano su bersagli meno presidiati. «Scommettono contro gli indici di Borsa dei paesi traballanti. E lo fanno comprando opzioni su futures su quegli indici, un tipo di derivati che dà loro il diritto di venderli in una data e a un prezzo prefissati. Se, ad esempio, comprano oggi a 8 il diritto di rivendere tra un mese a 10 e allora il loro valore sarà di 6 avranno guadagnato 4, ovvero molto, la metà di quanto hanno pagato». Se gli indici sono panieri che rispecchiano l’andamento generale di un listino, si può scegliere di puntare sui singoli titoli. «Vendo azioni di Banca Intesa, Unicredit, Santander e Bankia e compro invece Deutsche Bank, Commerzbank e altri istituti di paesi virtuosi. Di fatto la logica è la stessa, basta pensare al titolo come a una sineddoche del listino cui appartiene».

Ogni arma di questo arsenale viene usata quotidianamente sui mercati. Agli inizi di luglio gli hedge fund hanno fatto scorte di future (i derivati già citati, passati da 17,9 a 20 miliardi di dollari in una settimana, calcola Hedge Fund Monitor) che scommettevano sul tracollo della moneta unica. Nei mesi scorsi il veterano Soros ha detto che, se non fosse in pensione, «scommetterebbe contro l’euro». Raiders in passato molto sprezzanti del pericolo come Kyle Bass di Hayman Capital che aveva fatto il pieno con i subprime e Robert Koenisberg di Gramercy che aveva incassato milioni durante il default argentino stavolta restano alla finestra. Tutto troppo imprevedibile, dicono. Se la Spagna andasse a testa in giù rischierebbero di sparire le stesse banche che dovrebbero onorare i Cds sul loro fallimento. Quando l’Europa tentenna e parla con più voci gli speculatori si ringalluzziscono. Poi sembra bastare che Mario Draghi pronunci stentoreo il suo «pronti a tutto per l’euro» per riabbassare la cresta dello spread. Chiedo al signor X se è davvero così semplice: «Certo che la politica è importante, però alle dichiarazioni devono seguire le azioni, altrimenti gli speculatori se la bevono la prima volta ma già alla seconda scommetteranno anche sul piccolo rimbalzo successivo all’annuncio, per poi colpire più duramente che mai». Per legar loro le mani già l’estate scorsa vari paesi in difficoltà, tra cui la Spagna e noi, sospesero le vendite allo scoperto di titoli, ovvero lo short selling preferito dagli speculatori. Il 23 luglio è scattato il medesimo divieto. Come se non bastasse il ministero dell’economia, per scoraggiare giochi sporchi sotto la canicola, ha cancellato l’asta di Btp prevista per l’Assunzione. E se gira voce che vari dealer di hedge fund si sono visti rifiutare le ferie per agosto, anche nelle tesorerie di mezza Europa gli specialisti sembrano aver scelto mete vicine, a portata di videoconferenza o di rientro rapido. Sarà un mese caldo, Hollande e Monti si accontenterebbero di un «non incandescente».