PRIVILEGIA NE IRROGANTO           di Mauro Novelli                                      

 


 

 

 

 

Il PuntO ( 78+79+80+81) sulle Pensioni: un problema (quasi)  inventato ?

 

Di Mauro Novelli (16-10-2006)

 

 

INDICE

 

A) TUTTO NASCE DAI BILANCI DELL’INPS  2

 

B) LA PELOSA CONFUSIONE TRA “VITA MEDIA “ E “SPERANZA DI VITA”  5

 

C) LE PRESTAZIONI INPS E LE STATISTICHE UE SULLA SPESA SOCIALE NEI VARI PAESI 7

 

D) UNA DEVIAZIONE OBBLIGATA: IL TFR E IL MECCANISMO DI RIVALUTAZIONE  15

 



A) TUTTO NASCE DAI BILANCI DELL’INPS

 

E’ nostra intenzione analizzare la problematica relativa alle pensioni, argomento sempre chiacchierato, mai approfondito. Cercheremo di comprendere le dinamiche di un fenomeno coinvolgente un numero crescente di cittadini (considerati deboli e, per questo, oggetto delle attenzioni pelose di politici ed entità addirittura internazionali).

Attraverso i bilanci INPS, valuteremo le incombenze crescenti, comunque poco o per nulla collegati alle pensioni, e impropriamente imposte all’Istituto di Previdenza, costretto, negli ultimi 40 anni, a far fronte ad  attività che hanno deciso di affidargli un legislatore furbo ma poco intelligente e forze sociali che si sono accomodate al desco.

 

BILANCIO CONSUNTIVO 2005

 

Il bilancio consuntivo 2005 dell’Istituto (approvato nella riunione del19 luglio 2006) ci fornisce alcuni macrodati  molto interessanti:

 

- USCITE COMPLESSIVE: 176,807 miliardi di euro di prestazioni istituzionali, con un incremento di 5,764 miliardi (+3,4%) rispetto ai 171,042 miliardi del consuntivo 2004.

- ENTRATE CONTRIBUTIVE: 116,764 miliardi di euro, con un incremento di 2,930 miliardi (+2,6%) rispetto a 113,834 miliardi dell’esercizio 2004.

 

Se facessimo l’errore di limitarci a questi dati, la conclusione sarebbe scontata: oltre 60 miliardi di euro (quasi 117 mila miliardi di vecchie lire) di sbilancio sono effettivamente insostenibili.

Scopriamo però che le uscite per il pagamento delle pensioni è di oltre  24,5 miliardi di euro più basso (quasi 48 mila miliardi di lire) rispetto alle uscite definite pudicamente istituzionali. Infatti:

 

- SPESA PER PENSIONI: 152,230 miliardi di euro (147,668 milioni nel 2004), con un incremento di 4,562 miliardi di euro (+3,1%).

L’Inps informa inoltre che sono state eliminate 1.113.314 pensioni di importo medio mensile di 540 euro, mentre sono state liquidate 1.165.264 nuove pensioni di importo medio 635 euro. Così a fronte di un aumento contenuto nel numero delle pensioni vigenti (+51.950 rispetto al 2004 pari a +0,3%) è corrisposto un aumento del 3,4% rispetto al 2004 della spesa per prestazioni istituzionali, dovuto anche, tra l’altro, alla perequazione pari a +1,9%.   (Vedremo di che si tratta).

Insomma, lo sbilancio contributi previdenziali meno pensioni erogate si riduce da oltre 60 miliardi di euro, utilizzati come una clava per dimostrare che occorre intervenire sulle pensioni,  a  meno di 35,5 miliardi.

Chiediamoci: perché le prestazioni istituzionali dell’Inps sono state dilatate fino a gravare sulle sue casse per quasi 25 miliardi di euro (2005) oltre la spesa per pensioni ? Che cosa deve finanziare oltre le pensioni? E perché deve farlo l’Inps?

Ma le sorprese da chiarire non sono finite.

 

Il bilancio Inps ci informa che:

 

DISAVANZO FINANZIARIO DI COMPETENZA:  431 milioni di euro;

APPORTI COMPLESSIVI NETTI DELLO STATO: 71,531 miliardi in termini finanziari di cassa, con un incremento di 8,252 miliardi di euro rispetto al consuntivo 2004 (miliardi 63,279).

Vien da chiedersi: perché, a fronte di uno sbilancio di poco oltre 60 miliardi, lo Stato finanzia le casse dell’Istituto di Previdenza con oltre 71,5 miliardi?

AVANZO ECONOMICO DI ESERCIZIO: 2,033 miliardi di euro.

AVANZO PATRIMONIALE NETTO DELL’INPS: 24,281 miliardi di euro, per effetto del positivo risultato economico di esercizio (commenta l’Inps).

 Ma come? L’Inps non ce la fa più, ma vanta risultati positivi, tanto da portare l’Istituto ad un avanzo economico di esercizio pari a 2 miliardi di euro ed un avanzo patrimoniale di oltre 24 ?

Cercheremo di capirci di più.

 

BILANCIO PREVENTIVO 2006.

 

Intanto, il bilancio preventivo 2006 dell’Inps, rivisto ed aggiornato al 1° giugno 2006,  conferma il trend dell’anno precedente, con alcuni miglioramenti. Ecco i dati previsionali rivisti:

 

USCITE COMPLESSIVE: 180,381 miliardi di euro di prestazioni istituzionali, con un incremento di 191 milioni rispetto alle previsioni iniziali;

ENTRATE CONTRIBUTIVE: 120,976 miliardi di euro di, con un incremento di 754 milioni rispetto alle previsioni originarie;

SPESA PER PENSIONI: 155,653 miliardi, con un incremento di 68 milioni rispetto alle previsioni originarie;

APPORTI COMPLESSIVI DELLO STATO: 74,929 miliardi di euro di, in termini finanziari di cassa, con un incremento di 2,244 miliardi rispetto alle previsioni iniziali.

AVANZO ECONOMICO: 1,394 miliardi di euro di con un miglioramento di 668 milioni di euro rispetto ai 726 milioni delle previsioni iniziali;

Per effetto del previsto risultato economico di esercizio, il patrimonio netto dell’Inps al 31 dicembre 2006 è aggiornato in 25,784 milioni di euro.

 

Se dovessero confermarsi i valori di bilancio preventivati, il disavanzo complessivo, tra prestazioni istituzionali ed entrate contributive, sarebbe pari a 59,405 miliardi di euro, ma se si considera solo l’uscita per il pagamento delle pensioni, il vero disavanzo pensionistico  (contributi previdenziali meno pensioni erogate) da 59,4 miliardi (drammatizzati al solito - per convincere della ineluttabilità di drastici interventi sui meccanismi pensionistici) si riduce a  34,677  miliardi. In calo rispetto ai 35,5 miliardi del 2005.

In conclusione, rispetto al 2005, aumentano le Entrate contributive (+3,61 %) e diminuisce la Spesa per erogazione di pensioni (- 1,06 %).

Da rimarcare, inoltre, l’apporto finanziario dello Stato: in aumento di 3,4 miliardi di euro rispetto al 2005, nonostante il 2006  lasci ipotizzare il miglioramento di fondamentali poste di bilancio rispetto all’anno precedente.

 

RICAPITOLIAMO LE VARIAZIONI 2006/2005

 

Sintetizziamole voci più interessanti dei bilanci INPS con l’andamento 2005/2006, nell’ipotesi che vengano confermati i valori di preventivo rivisti nel giugno 2006:

 

Bilanci INPS con l’andamento 2005/2006

 

1) Le  ENTRATE CONTRIBUTIVE crescono:                 

+ 3,61 %

2) La SPESA PER PENSIONI EROGATE cresce ma, come si vede, meno della crescita dei contributi versati dai lavoratori.:

+ 2,25 %

3) Di conseguenza, diminuisce Il PASSIVO del solo settore

puramente pensionistico (CONTRIBUZIONI meno EROGAZIONI):

-  2,23 %

4) Le USCITE  COMPLESSIVE crescono:

+ 2,02 %

5) Il PASSIVO ISTITUZIONALE comunque diminuisce:

- 1,06 %

 

E’ doveroso oltre che interessante - approfondire la questione.

Cercheremo di valutare le eventuali incombenze improprie accollate all’Inps e di scoprire  perché e da quando i contributi pagati dai lavoratori non sono più stati sufficienti al pagamento delle pensioni.

 

Anticipiamo un solo dato sulla Cassa integrazione guadagni, il cui pagamento è stato assegnato alle casse dell’INPS: dal 1° gennaio 1977 al 28 febbraio 2002, a fronte di 6.372.929.914 ore di Cassa integrazione guadagni straordinaria erogate in Italia, l’Istituto ha sborsato 238mila miliardi di lire, pari a circa 123 miliardi di euro. (Dal libro:Fiat, ma quanto ci costi? di Michele De Lucia.). In media, 8.207 miliardi di lire (4,24 miliardi di euro) l’anno per 29 anni. [Il dato di Michele De Lucia andrebbe aggiornato ad oggi.]

Dice: Ma paga lo Stato.. ripianando i bilanci dell’INPS …”.

Certo, ma poiché compare come deficit del bilancio INPS, è passato il messaggio che bisogna rivedere le pensioni

Diciamola meglio: se il legislatore dovesse assegnare all’INPS il pagamento quotidiano di cornetto, cappuccino e giornale  a tutti i posteggiatori d’Italia, il deficit dell’istituto aumenterebbe: ve la sentite di  suggerire che  bisognerebbe rivedere i parametri delle pensioni ?

 

(Fine prima puntata. Continua)


B) LA PELOSA CONFUSIONE TRA “VITA MEDIA “ E “SPERANZA DI VITA

 

Prima ancora di analizzare la struttura delle uscite e delle entrate dei bilanci INPS, ci corre l’obbligo di confutare una delle argomentazioni principe portata avanti da quanti sostengono che le pensioni devono essere riviste.

 Ormai la vita media si aggira sugli 80 anni. Se tizio va in pensione a 60, vuol dire che ne campa 20 a spese dello Stato (sappiamo tutti quanto sia modesta la percentuale della pensione dovuta ai suoi contributi). Su 35 di lavoro è un po’ tanto!

[ da www.rosanelpugno.it/rosanelpugno/node/10601].

 

In soldoni, il messaggio che si vuol far passare è questo: mezzo secolo fa si campava 60 anni, quindi un pensionato percepiva la pensione per non più di quattro cinque anni. Oggi si campa 80 anni (circa 77 i maschi, circa 83 le femmine), quindi un pensionato verrà pagato per venti anni.

Non sappiamo se tale grossolano inganno sia anche un autoinganno. Sta di fatto che il gioco delle due carte tra vita media e speranza di vita ad una certa etàè fin troppo grossolano. Vediamo perché.

La distinzione tra vita media e speranza di vita è concettualmente fondamentale.

La vita media è il numero di anni di vita che la statistica annette ad una popolazione: se l’universo considerato è di due neonati di cui uno muore alla nascita e l’altro vive 100 anni, la vita media sarà di 50 anni. E’ evidente che ciò non vuol dire che l’eventuale terzo nato debba morire verso i 50 anni.

La speranza di vita è il numero  medio di anni che (sempre statisticamente) restano da vivere ai sopravviventi all’età X. Mentre quindi la speranza di vita alla nascita coincide con la vita media, con l’andare avanti negli anni la speranza di vita  sommata alla età anagrafica va oltre la vita media.  Ad esempio, nel 2002, a 65 anni, superate le occasioni di morte della neonatalità, dell’adolescenza, della maturità, un maschio ha speranza di vita pari a 16,8 anni ed una femmina pari a 20,8 anni, nonostante la vita media sia di 76,8 per il primo e 82,9 per la seconda.

Ma attenzione: nel 1950, con una vita media di 63,7 per gli uomini  e di 67,2 per le donne, un 65enne aveva speranza di vita pari a 12,6 anni se maschio, e di 13,7 anni se femmina,

 Per tornare all’esempio grossolano di Tizio, dobbiamo paragonare la speranza di vita di 50 anni fa al momento del pensionamento, e lo stesso parametro di oggi al momento del pensionamento.

La tabella è illuminante: 

SPERANZA DI VITA (in anni)

-Fonte Istat - (dato 2002: fornito nel giugno 2006)

 

Alla nascita

(corrisponde alla vita media)

A 65 anni

 

M

F

M

F

1950-53

63,7

67,2

12,6

13,7

1960-62

67,2

72,3

13,2

15,2

1970-72

69,0

74,9

13,3

16,2

1979-83

71,0

77,3

13,4

17,2

1989-93

73,9

80,4

15,0

19,0

1999

76,0

82,1

16,2

20,2

2002

76,8

82,9

16,8

20,8

DIFFERENZA 2002/1950

+ 13,1

+ 15,7

+ 4,2

+7,1

 

  Il dato è a 65 anni (ma chi opera nel Palazzo è in grado di perfezionare la rilevazione con età più congruenti col pensionamento): Tizio, pensionato di oggi, non campa 20 anni in più del Tizio pensionato di mezzo secolo fa, ma poco più di 4 anni  e, se compariamo la speranza di vita delle signore Tizie,  Tizia di oggi vive 7 anni in più rispetto alla Tizia degli anni ‘50.

Lasciamo questa argomentazione ai neodem (demagoghi di migliore caratura).

 

 

(Fine seconda puntata. Continua)

 

 

 

 


C) LE PRESTAZIONI INPS E LE STATISTICHE UE SULLA SPESA SOCIALE NEI VARI PAESI

 

E’ opportuno approfondire l’argomento attraverso dati quantitativi che ne definiscano ambiti e dimensioni.

Le pensioni possono essere di tipo previdenziale o assistenziale e sono classificate in quattro tipologie secondo il criterio giuridico-amministrativo:

- pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti (Ivs) del settore privato, erogate dall’Inps;

- pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti (Ivs) del settore pubblico erogate dall’Inpdap e dagli enti di previdenza minori;

- pensioni indennitarie, erogate dall’Inail e da altri enti minori;

- pensioni assistenziali, erogate dall’Inps e dal Ministero dell’economia e delle finanze.

 

Ma quante sono le pensioni erogate in Italia complessivamente?

Nel 2004, questa era la situazione (fonte INPS-ISTAT):

 

 

Nel 2004, quindi, venivano erogate 23.147.978 pensioni di cui:

- 19.571.461 a carico dell’INPS [+enti minori] (15.875.693 del comparto privato, 3.695.768 assistenziali);

2.498.097 a carico dell’INPDAP [+ enti minori] per il comparto pubblico;

- 1.078.420 a carico dell’INAIL per indennizzi sia del comparto pubblico che privato.

 

Va rimarcata la differenza negli importi medi delle pensioni per settori: la pensione media erogata dal settore privato è pari a 8.762 euro l’anno; quella erogata dal settore pubblico è di 17.520 euro: esattamente il doppio.

Tale differenza spiega la premurosa cura che i governanti hanno dimostrato nei confronti dell’INPDAP (pensioni pubbliche) a danno dell’INPS: ogni iniziativa sociale è stata messa a carico di quest’ultimo, anche se poco o nulla aveva a che fare con la previdenza (si pensi alle cosiddette pensioni assistenziali), mentre solo oggi si comincia a parlare di un accorpamento dei due enti.

 

Elenchiamo le incombenze aggiuntive a carico dell’INPS, anche in assenza (allora) di contributi:

 

Coltivatori diretti, coloni e mezzadri

I coltivatori diretti e i coloni e mezzadri con legge 22 novembre 1954 n. 1136 vengono riconosciuti, sul piano giuridico come categoria autonoma e viene estesa ad essi l’assistenza malattia. Successivamente, con la legge 26 ottobre 1957 n. 1047 viene estesa alla categoria l’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia. Il riordino dell’intera normativa in materia di previdenza dei lavoratori autonomi ha rimodulato il sistema impositivo per l’invalidità e la vecchiaia ed ha introdotto quattro fasce di reddito convenzionale individuate in base alla tabella "D" allegata alla legge 233/1990.

 

Artigiani

L’assicurazione, nata nel 1956 contro la malattia, dal 1959 è obbligatoria anche per la pensione. Dalla stessa data è stata quindi istituita, presso l’Inps, la gestione speciale per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti. L’attività artigiana è stata regolamentata, da ultimo, con l’approvazione nel 1985 di una legge quadro sull’artigianato (legge 443 dell’8 agosto 1985).

 

Commercianti

L’assicurazione, nata nel 1960 contro la malattia, dal 1965 è obbligatoria anche per la pensione. Dalla stessa data è stata quindi istituita, presso l’Inps, la gestione speciale per l’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.

 

Nel 1968 (momentacci politici) si decise per la pensione retributiva, cioè funzione delle ultime retribuzioni.

Nel 1969 si affidò all’INPS il pagamento delle pensioni (chiamiamole così) sociali.

Nel 1969 (continuando i momentacci politici) si decise che l’INPS si sarebbe dovuto far carico del pagamento della Cassa Integrazione Guadagni.

Nel 1980 venne istituito il Sistema Sanitario Nazionale. Sono stati affidati all’INPS la riscossione dei contributi di malattia e il pagamento delle relative indennità, compiti assolti in precedenza da altri enti.

 

Certamente fu pianificata una sorta di saccheggio dell’ Istituto: il serbatoio INPS aveva in entrata il flusso dei contributi, ma al rubinetto in uscita delle pensioni (propriamente dette) si affiancarono altre decine di rubinetti indebiti, che lo avrebbero prosciugato. Tranquilli: al deficit avrebbe pensato lo Stato.

Quanto alla vicenda della Cassa integrazione, la ponderata accettazione di Confindustria e la compita soddisfazione dei sindacati avrebbero dovuto far riflettere i più accorti. Sta di fatto che quei radicali cambiamenti fecero comodo a tutti: destra, centro e sinistra, partiti e sindacati, maggioranza e opposizione, intellettuali e braccianti, lavoratori dipendenti e autonomi, datori di lavoro e subordinati.

Ricordiamo che dal 1° gennaio 1977 al 28 febbraio 2002, a fronte di 6.372.929.914 ore di Cassa integrazione guadagni straordinaria erogate in Italia, l’Istituto ha sborsato 238mila miliardi di lire, pari a circa 123 miliardi di euro. (Dal libro:Fiat, ma quanto ci costi? di Michele De Lucia.). In media, 8.207 miliardi di lire (4,24 miliardi di euro) l’anno per 29 anni. [Il dato di Michele De Lucia andrebbe aggiornato ad oggi.]

Come finanziare le uscite causate dall’apertura dei nuovi rubinetti sociali  imposti all’ Istituto e non solo? Semplice: con la gestione del debito pubblico. Fu sufficiente stampare - non carta moneta, trito sistema ottocentesco - ma BTP, CCT ecc., rinnovandoli di continuo alla scadenza, con collocazioni a tassi altamente remunerativi. Il Ministero del Tesoro divenne il più grande banchiere del paese. E gli Italiani tra i più indebitati del pianeta. Ed oggi, col debito pubblico, siamo nei guai. [Per i problemi relativi si veda: Il PuntO n° 75 e Il PuntO n° 77]

 

Dice: E l’Inpdap? . Non scherziamo: l’Inpdap è uno scrigno che deve mantenere il consenso dei pensionati statali fino alla tomba, e non va guastato.

Ricordate? Gli statali andavano in pensione con 15 anni+6 mesi+1 giorno di anzianità.

Ma il limite era nominale: ci fu una dipendente pubblica che con scivoli, vantaggini e aiutini se ne andò in pensione con 7 anni di anzianità. 

Più che uno scandalo, fu oggetto di invidia.

Una appena ventilata proposta di accorpamento con l’INPS ha ricevuto la secca opposizione dei sindacati e non solo.

Dice: Ma se il legislatore (in un momentaccio politico) decide di raddoppiare le pensioni sociali?. Bene! Se ne dovrà far carico l’ INPS, e si dimostrerà una volta di più  che, visto il deficit dell’Istituto, il meccanismo pensionistico così com’è non è proprio più sostenibile.

Dice: Forse occorrerebbe una istituzione specifica per l’assistenza…”.

Bravo! Così poi come faremo a sostenere che i pensionati sono il ventre obeso di questa società, che si sono abituati a vivere anche 20 anni alle spalle dello Stato, e che è doveroso metterli a dieta?

 

Intanto, una curiosità: la tabella che segue riporta le definizioni di spesa pensionistica dei Paesi membri UE.

A differenza delle più o meno ampie articolazioni degli altri membri, noi  mettiamo tutto nel calderone del minestrone della pensione (da: http://www.cermlab.it/):

 

 

Tale definizione di spesa pensionistica dà luogo alle seguenti rilevazioni (Eurostat) circa la spesa sociale nella UE dei 15 (anno 2000, ma il trend è  in peggioramento):

 

Tabella 2.

 

Per l’Italia, tutto va a carico della voce  pensioni: 63,4 per cento della nostra spesa sociale, mentre per nessuno degli altri Paesi supera il 50 per cento. Ma siamo terzultimi per la spesa sanitaria; siamo quartultimi per i supporti all’handicap; siamo penultimi  per il sostegno alle famiglie ed all’infanzia su questo fronte è ultima la Spagna che però risulta prima per i sussidi alla disoccupazione; siamo ultimi  (ultimi)  per i contributi  alla  disoccupazione; siamo ultimi  (ultimi)  per la contribuzione per la casa e per  l’esclusione sociale.

Desolante? Si ma anche molto sottile.

 

Proviamo a scomporre gli ingredienti del minestrone. Forse scopriremo che non è tutta colpa del coriaceo e testardo attaccamento alla vita dei nostri pensionati.

 

Riportiamo l’elenco dei rubinetti in uscita dal serbatoio INPS, (da www.inps.it):

 

1) LE PRESTAZIONI INPS A SOSTEGNO DEL REDDITO

L’assegno per il nucleo familiare

E’ una prestazione che è stata istituita per aiutare le famiglie dei lavoratori dipendenti e dei pensionati da lavoro dipendente, i cui nuclei familiari siano composti da più persone e i cui redditi siano al di sotto delle fasce reddituali stabilite di anno in anno dalla legge. Dal 1° gennaio 1998 spetta anche ai lavoratori parasubordinati (collaboratori coordinati e continuativi e liberi professionisti iscritti alla gestione separata dell’Inps) a particolari condizioni.

L’assegno per il nucleo familiare per i lavoratori parasubordinati

La disciplina dell’assegno per il nucleo familiare prevista per i lavoratori dipendenti è stata estesa agli iscritti alla gestione separata dei lavoratori autonomi (collaboratori coordinati e continuativi, venditori porta a porta, liberi professionisti e coloro che a partire dal 24 ottobre 2003 sono inquadrati in un progetto, programma o fasi di essi).

Gli assegni familiari

Gli assegni familiari spettano ad alcune categorie di lavoratori escluse dalla normativa dell’assegno per il nucleo familiare.

L’indennità di mobilità

E’ una prestazione che spetta ai lavoratori che sono stati collocati in mobilità dalla loro azienda a seguito di: esaurimento della cassa integrazione straordinaria; licenziamento per riduzione di personale o trasformazione di attività o di lavoro; licenziamento per cessazione dell’attività da parte dell’azienda.

La cassa integrazione guadagni ordinaria

La cassa integrazione guadagni ordinaria è un intervento a sostegno delle imprese in difficoltà che garantisce al lavoratore un reddito sostitutivo della retribuzione.

La cassa integrazione guadagni straordinaria

La cassa integrazione guadagni straordinaria è un intervento a sostegno delle imprese in difficoltà che garantisce al lavoratore un reddito sostitutivo della retribuzione.

Le integrazioni salariali in agricoltura

E’ un intervento che vuole sostenere le aziende quando non sia possibile lo svolgimento dell’attività lavorativa; e garantire al lavoratore un reddito sostitutivo della retribuzione.

L’indennità di malattia

E’ un’indennità sostitutiva della retribuzione che è pagata ai lavoratori in caso di malattia, a partire dal 4° giorno. Non sono pagati i primi 3 giorni.

L’indennità di malattia dei lavoratori parasubordinati

La legge ha esteso l’indennità di malattia, in caso di ricovero ospedaliero, ai lavoratori parasubordinati (collaboratori coordinati e continuativi, venditori porta a porta, liberi professionisti ecc.) a decorrere dal 1° gennaio 2000.

L’indennità di maternità

E’ un’indennità sostitutiva della retribuzione che viene pagata alle lavoratrici assenti dal servizio per gravidanza e puerperio.

L’indennità di maternità dei lavoratori parasubordinati

Le lavoratrici iscritte alla gestione separata versano all’Inps, dal 1° gennaio 2006, il contributo del 18,20% comprensivo dello 0,50%, quota utilizzata a finanziare la maternità, gli assegni per il nucleo familiare e la malattia. Tali lavoratrici possono fruire dell’astensione obbligatoria per maternità per la durata di due mesi prima della data presunta del parto e tre mesi dopo la nascita del bambino.

Le indennità antitubercolari

Sono indennità sostitutive o integrative della retribuzione che vengono pagate, a determinate condizioni, al lavoratore dipendente e ai suoi familiari (coniuge, figli, fratelli, sorelle, genitori) malati di tubercolosi. Non è necessario che i familiari siano assicurati. L’Inps paga le indennità economiche, mentre l’assistenza sanitaria è a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

Le cure termali

E’ una prestazione che l’Inps può concedere per evitare, ritardare o rimuovere uno stato di invalidità. Hanno diritto alle cure termali tutti i lavoratori dipendenti e autonomi iscritti all’Inps.

La prestazione non spetta né ai familiari degli assicurati né ai titolari di pensione di qualsiasi tipo, a meno che non siano titolari di assegno di invalidità.

L’indennità di richiamo alle armi

E’ un’indennità sostitutiva della retribuzione che viene pagata ai lavoratori richiamati alle armi, dopo il servizio di leva, per qualunque esigenza delle Forze Armate (per esempio, per corsi di addestramento e aggiornamento).

L’assegno per il congedo matrimoniale

E’ un assegno che viene concesso in occasione del matrimonio.

Il trattamento di fine rapporto

Il trattamento di fine rapporto è una somma che spetta ai lavoratori che si siano dimessi o che siano stati licenziati da un datore di lavoro nei confronti del quale siano state messe in atto le seguenti procedure concorsuali: fallimento, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria e concordato preventivo. Spetta inoltre ai lavoratori ex dipendenti da datori di lavoro (privati, piccole imprese) che non possono essere sottoposti ad una di tali procedure e nei cui confronti sia stata attuata l’esecuzione forzata. Il trattamento di fine rapporto e i crediti di lavoro (ultime tre mensilità) sono somme che vengono pagate dal datore di lavoro. Sono pagate dall’Inps solo quando il datore di lavoro non può adempiere a questo obbligo.

 

2) LE PRESTAZIONI INPS A SOSTEGNO DELLA DISOCCUPAZIONE

L’indennità ordinaria

E’ un’indennità che spetta ai lavoratori assicurati contro la disoccupazione involontaria, che siano stati licenziati. Non è più riconosciuta nei confronti di chi si dimette volontariamente (fanno eccezione le lavoratrici in maternità).L’indennità è riconosciuta quando le dimissioni derivano da giusta causa (mancato pagamento della retribuzione, molestie sessuali, modifica delle mansioni, mobbing). Dal 17 marzo 2005 spetta anche ai lavoratori che sono stati sospesi da aziende colpite da eventi temporanei non causati né dai lavoratori né dal datore di lavoro.

L’indennità ordinaria con i requisiti ridotti

I lavoratori che non possono far valere 52 contributi settimanali negli ultimi due anni e hanno lavorato per almeno 78 giornate nell’anno precedente, hanno diritto all’indennità ordinaria di disoccupazione con i requisiti ridotti. L’indennità non è più riconosciuta nei confronti di chi si dimette volontariamente, ma soltanto in caso di licenziamento (fanno eccezione le lavoratrici in maternità).L’indennità è riconosciuta quando le dimissioni derivano da giusta causa (mancato pagamento della retribuzione, molestie sessuali, modifica delle mansioni, mobbing).

L’indennità ordinaria per gli operai agricoli

Sia gli operai iscritti negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli sia coloro che hanno lavorato come operai agricoli a tempo indeterminato per parte dell’anno, hanno diritto ad una particolare indennità di disoccupazione. Tale indennità non è più riconosciuta nei confronti di chi si dimette volontariamente, ma soltanto in caso di licenziamento (fanno eccezione le lavoratrici in maternità). L’indennità è riconosciuta quando le dimissioni derivano da giusta causa (mancato pagamento della retribuzione, molestie sessuali e modifica delle mansioni).

Trattamenti speciali per gli operai agricoli

E’ uno speciale trattamento che spetta ai lavoratori iscritti negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli. Tale trattamento non è più riconosciuto nei confronti di chi si dimette volontariamente, ma soltanto in caso di licenziamento (fanno eccezione le lavoratrici in maternità).

Trattamento speciale per l’edilizia

Il trattamento speciale di disoccupazione per l’edilizia è una prestazione riservata ai lavoratori del settore dell’edilizia che sono stati licenziati, quando si verificano:

cessazione dell’attività aziendale; ultimazione del cantiere o delle singole fasi lavorative; riduzione di personale.

Tale trattamento non è più riconosciuto nei confronti di chi si dimette volontariamente, ma soltanto in caso di licenziamento (fanno eccezione le lavoratrici in maternità).

 

 

Per concludere, facciamo notare che, vista l’assoluta assenza di italici ammortizzatori sociali come dimostra la precedente tabella la pensione del vecchio è in molte famiglie diventata l’unica fonte certa di  reddito del nucleo familiare il quale, a sua volta e vista la totale assenza di ammortizzatori, è il cardine sociale di sopravvivenza. 

Nel giro di 20 anni, il ruolo del pensionato è stato rivoluzionato: da emarginato a unica stampella finanziaria di molte famiglie.

Attenzione quindi a politiche di revisione settoriale (sempre miopi): potrebbero essere addirittura disarticolanti per una società, come la nostra, dove il cardine di sopravvivenza fa perno esclusivamente sulla famiglia e non sullo stato sociale. E’ il privato che sopperisce all’assenza di accorte politiche di supporto da parte di chi ci amministra e, visto il momentaccio, oggi non consuma (soluzione di breve periodo) e non fa più figli (soluzione di lungo periodo). Ecco le soluzioni del privato, al quale la stitichezza della domanda interna proprio non può interessare.

Da noi, lo stato sociale si confonde con rendite di posizione: è più comodo rivedere le pensioni che smantellare quelle rendite.

 

(Fine terza puntata. Continua)

 

 


 

D) Una deviazione obbligata: il TFR e il meccanismo di rivalutazione

 

 

Questa quarta puntata ha il solo scopo di evidenziare che il gran calderone del minestrone della pensione dell’INPS potrebbe acquisire un nuovo immissario: un pezzo di TFR, circa 5 miliardi di euro. L’iniziativa, in questo momento di conti fuori Europa,  non fa altro che utilizzare l’INPS per poter dimostrare che i debiti dello Stato scendono di quell’importo. Successivamente, ci scommettiamo, servirà per dimostrare che i meccanismi pensionistici si sono ulteriormente aggravati e che l’INPS non ce la fa più.

Abbiamo visto che questa soluzione dell’utilizzo del calderone del minestrone della pensione è stato usato più volte nei decenni passati. Quindi, non può neanche aspirare al blasone di finanza creativa.

Non brilla in originalità; tanto meno in correttezza giuridica: è vero che le somme accantonate sono dei lavoratori dipendenti e non delle aziende (ma neanche dell’INPS), che il monte TFR pregresso rimane in azienda, ma è anche vero che, immettendo parte dei flussi TFR verso l’INPS, i contenuti finanziari di un contratto privato (dipendente/datore di lavoro) vengono promossi a capitolo della contabilità dello Stato. Un mostro giuridico-contabile, disgraziatamente non in via di estinzione.

La levata di scudi delle aziende, ci ha costretto ad approfondire la questione.

Due sono state le scoperte interessanti:

Le aziende hanno prestiti a tassi ridicoli da parte dei dipendenti: curioso, per i fautori del mercato fare affari con rendimenti fuori mercato. Ma forse pretendiamo troppo.

I sindacati non hanno mai premuto sul legislatore perché rivedesse i termini della rivalutazione, quanto meno in periodi di inflazione galoppante. Si poteva approfittare della innovazione del 1982 con la quale si introdusse la possibilità di utilizzare parte del TFR per cure e per l’acquisto della prima casa. Ma anche con l’inflazione quasi al 20 per cento, si preferì non affrontare il problema.

La deviazione è d’obbligo.

 

Coefficienti di rivalutazione per il TFR

I coefficienti riportati nella tavola seguente determinano la rivalutazione del trattamento di fine rapporto maturato nel periodo indicato attraverso l’adeguamento della quota accantonata al 31 dicembre dell’anno precedente.

Il calcolo  sottostante è previsto dall’articolo 2120 del codice civile (comma 4° novellato - 1982): al tasso fisso definito dal codice pari all’1,5% su base annua, si somma  il 75% dell’aumento del costo della vita per gli operai e gli impiegati accertato dall’ISTAT.

Al 31 dicembre di ogni anno, la somma complessiva delle quote accantonate, con esclusione della quota relativa all’anno di calcolo, viene rivalutata mediante tale meccanismo di indicizzazione a base composta (nel senso che non solo le quote, ma anche gli interessi maturati e capitalizzati sono oggetto di rivalutazione).

 Ribadiamo che le somme maturate nell’anno verranno rivalutate solo il 31/12 dell’anno successivo a quello di maturazione.

In conclusione, oltre al regalo di un anno e mezzo di rivalutazione alle aziende (infatti, la quota accantonata a gennaio 2003, verrà remunerata dopo due anni, al dicembre 2004; quella del dicembre 2003 si rivaluterà dopo un anno, sempre a dicembre 2004. In media un anno e mezzo di tasso zero.), i dipendenti prestano soldi al datore di lavoro all’ 1,5 per cento più tre quarti dell’inflazione. Potrebbero più convenientemente essere investiti dal proprietario in titoli di Stato. In periodi di tassi di mercato attorno al 2 o 3 per cento, con inflazione conseguentemente bassa, il prestito del TFR è remunerato ad un tasso che non si discosta molto dai rendimenti dei titoli di Stato. Ma in periodi di alta inflazione quel rendimento risulta ridicolo. Ad esempio, nel 1982 i Bot rendevano il 18 per cento;  l’inflazione era di poco superiore. Col dicembre 1983, il monte TFR (1982 e precedenti) fu rivalutato dell’ 11,064 per cento: semplicemente ridicolo.

Abbiamo calcolato la differenza tra il risultato del meccanismo di remunerazione come definito dall’ art. 2120 del c.c., e quello che sarebbe accaduto se quelle somme fossero state investite dal proprietario in titoli di Stato. Abbiamo preso, anno per anno, il rendimento dei BOT a 12 mesi definito dall’asta di dicembre di ogni anno. La scelta di questo titolo è derivata esclusivamente dalla disponibilità dei rendimenti storici degli ultimi 25 anni. Il calcolo della rivalutazione con tali rendimenti è in realtà nettamente inferiore a quello che si sarebbe ottenuto valutando i rendimenti di titoli più idonei come i BTP, o prendendo come fattore la media dei rendimenti dei titoli di Stato.

Partendo da 1.000 euro maturati a fine 1981, i risultati della rivalutazione con i due parametri, mostrano come il risultato del calcolo ufficiale  (art. 2120 - comma 4° del codice civile) sia di quasi due volte e mezza inferiore a quello ottenuto rivalutando con l’applicazione dei rendimenti lordi dei  BOT a 12 mesi (aste di fine dicembre). Nel caso ufficiale, il risultato dal 1981 al 2005 si attesta a 3.234 euro; nel caso di un investimento in BOT, il risultato giunge a 7.634 euro.

Non inferiamo colla proposta di prendere come parametro di rivalutazione un tasso di mercato, ad esempio il tasso bancario passivo medio applicato agli affidamenti bancari ottenuti dalla aziende. Ci limitiamo ad applicare il Prime rate Abi quale parametro di rivalutazione. Il risultato è pari a 12.139,13 euro, nonostante non sia stato possibile calcolare la rivalutazione del 2005 poiché Abi ha cessato le rilevazioni col dicembre 2005

 


periodo DI validita’

RIVALUTAZIONE UFFICIALE

BOT 12 MESI

Rendimento sempl. lordo

PRIME RATE ABI

 

 

ANNO 1982

12- 1982

8,391704

18,55

20,75

ANNO 1983

12- 1983

11,064776

17,46

18,75

ANNO 1984

12- 1984

8,097866

14,68

18,00

ANNO 1985

12- 1985

7,935643

13,14

15,875

ANNO 1986

12- 1986

4,760869

10,01

13,00

ANNO 1987

12- 1987

5,319445

11,33

13,00

ANNO 1988

12- 1988

5,596916

11,51

13,00

ANNO 1989

12- 1989

6,387218

12,99

14,00

ANNO 1990

12- 1990

6,280234

12,99

13,00

ANNO 1991

12- 1991

6,032967

12,93

13,00

ANNO 1992

12- 1982

5,068057

13,83

14,00

ANNO 1993

12- 1993

4,491335

8,52

9,875

ANNO 1994

12- 1994

4,542454

10,53

9,375

ANNO 1995

12- 1995

5,851768

10,38

11,50

ANNO 1996

12- 1996

3,422172

6,55

9,875

ANNO 1997

12- 1997

2,643947

4,93

8,875

ANNO 1998

12- 1998

2,626760

3,16

6,376

ANNO 1999

12- 1999

3,095745

3,69

6,250

ANNO 2000

12- 2000

3,538043

4,64

8,00

ANNO 2001

12- 2001

3,219577

3,20

7,25

ANNO 2002

12- 2002

3,504310

2,76

7,375

ANNO 2003

12- 2003

3,200252

2,30

7,125

ANNO 2004

12- 2004

2,793103

2,16

7,125

ANNO 2005

12- 2005

2,952785

2,64

(*)

 

 

 

 

 

RIVALUTAZIONE DI  € 1.000 DEL 1981 

€  3.234,369

€  7.634,530

€ 12.139,13 (*)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per concludere. E’ una aberrazione applicare al calderone del minestrone della pensione dell’INPS l’ennesimo immissario e il conseguente emissario, con la riserva mentale di possibili ritocchini futuri “perché il sistema pensionistico non è proprio più sostenibile”. Ma è altrettanto aberrante che a quelle somme, prestate dai dipendenti alle loro aziende, siano applicati meccanismi di rivalutazione a tassi manifestamente fuori mercato.

 

(Fine quarta puntata. Continua)