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Documento
inserito: 9-5-2021 Il PuntO n° 427. Quale soluzione per il debito sovrano. Di Francesco Strocchia (11-2020) à mail Da tempo si dibatte circa i debiti
pubblici degli stati ed il loro rapporto con l'attività e i possibili
interventi delle banche centrali. La BCE è una banca centrale, ma orfana di
uno stato sovrano. Da anni Francesco ha assunto una
posizione possibilista in merito a forme ed entità di
assorbimento da parte della BCE dei debiti sovrani in ambito UE. Attenzione:
neanche la BCE di Draghi avrebbe potuto acquisire quote di debito pubblico
dagli stati (quantitative easing) Ed infatti,
Draghi non li ha presi dagli stati, ma dalle banche. Soluzione italica che ha
salvato l'euro. (Nota di Mauro Novelli) QUALE SOLUZIONE PER IL DEBITO Di Francesco Strocchia Sta nascendo un dibattito
sull’opportunità della cancellazione dei debiti pubblici degli Stati europei,
specialmente per quelli riconducibili, ma non solo, ai riflessi economici
della pandemia in atto; é questo un problema
rilevante per le generazioni future, sebbene paia che la questione debba
affrontarsi in linea generale e sia comunque posta in termini incompleti. Le Banche centrali, acquistando,
nell’ambito del quantitative easing,
mediante moneta da loro emessa a costo nullo, titoli pubblici e classandoli,
in un’ottica duratura, tra le attività del bilancio, vengono di fatto già a
cancellare il debito in essi incorporato. Questi ultimi, infatti, divengono
infruttiferi per gli Stati emittenti e destinati solo al loro rinnovo a
scadenza, senza pertanto generare ulteriori flussi finanziari, a meno che non
vengano ricollocati sul mercato, ipotesi del resto altamente improbabile
proprio in considerazione delle finalità istituzionali dell’acquirente. Tali titoli sono quindi
praticamente congelati; tant’è che taluni Stati (Giappone, Regno Unito)
contabilizzano il debito pubblico già al netto del valore nominale così
detenuto dalla propria Banca centrale; in Europa si segue invece un diverso
principio contabile, considerandoli come ancora esistenti, indubbiamente
anche per evidenziare che il loro corso è pur sempre soggetto agli andamenti
del mercato, rischio del resto pressoché irrilevante, in caso di
diminuzione, per un soggetto in grado
di finanziarsi a costo nullo. Gli istituti di emissione
potrebbero tuttavia spingersi anche oltre, come opportunità appunto offerta dal quantitative easing,
procedendo sino alla loro definitiva eliminazione contabile: basterebbe
destinare ad un primo, ipotetico cestino, la carta moneta già emessa ed
utilizzata per il loro acquisto, ritirandola dalla circolazione, e ad un
secondo i titoli acquistati, per lo stesso importo, secondo il noto principio
partiduplista. Trattandosi di una semplice
permutazione patrimoniale, non vi sarebbero altri effetti sul bilancio, né si
verificherebbe alcuna perdita, posto l’acquisto a costo nullo degli stessi,
mentre il debito relativo sarebbe in tal modo cancellato anche formalmente. Non vi è nulla di
magico in ciò, solo il risultato di due variazioni compensative:
l’annullamento dell’attività rappresentata dai titoli bilancerebbe quello
della passività costituita dai biglietti emessi .
Vi sarebbero, è vero, riflessi
macroeconomici correlati alla diminuzione della moneta circolante – che del
resto verrebbe riportata al livello ex-ante -
ma ciò non dovrebbe rappresentare un ostacolo effettivo, sia
scegliendo le fasi del ciclo economico più opportune sia frazionando
adeguatamente gli importi; il vero problema pare invece legato al ruolo che
le Banche di emissione verrebbero ad assumere compiendo sistematicamente tali
operazioni di pulizia del mercato finanziario e dei limiti che andrebbero
previsti per evitare che ciò possa incentivare politiche economiche lassiste. D’altra parte, occorre osservare
che l’indebitamento, rettamente inteso quale anticipazione di risorse, quindi
imprescindibile in qualsivoglia fenomeno economico, necessita di una
riconsiderazione appropriata al suo ruolo, che ad oggi risente invece di una
diffusa concezione fuorviante. Mentre
è augurabile attendersi, da questo punto di vista, un aggiornamento dei
criteri basilari della sua funzione e della sua gestione, occorre constatare
che, nell’attuale situazione, a fronte
dell’esplosione dei debiti sovrani, la questione viene a porsi con una
pregnanza peculiare, perché le successive generazioni, proprio quelle che si
intenderebbero tutelare, dovrebbero accollarsi totalmente il peso degli
interessi dei titoli emessi, senza alcuna contropartita, anche perché
potrebbero esserne soggetti sottoscrittori solo parziali. La possibilità di
ridurre, con le metodologie contabili viste, tali posizioni debitorie e gli
oneri connessi, pare pertanto costituire un’ipotesi non solo degna di
considerazione, ma anche necessaria. Ma ci si potrebbe anche spingere
oltre, affidando alle stesse Banche centrali, le uniche istituzioni che
possano farlo essendo in grado di finanziarsi a costo nullo, la funzione di provvedere, secondo schemi
organici e predeterminati, ad un vero e proprio ammortamento dei debiti
pubblici, non solo in via temporanea, bensì istituzionale, anche perché
qualsiasi altra modalità di riduzione degli stessi – al di là delle
conversioni forzose, ristrutturazioni e simili - non risulta percorribile per la stagnazione
economica indotta . Sinora, infatti, tali debiti, di
fatto sempre rinnovati a scadenza, sono sempre rimasti tra gli aggregati del
sistema pur a fronte del venir meno, anche fisico, degli investimenti infrastrutturali
con gli stessi realizzati, appesantendo la gestione delle finanze pubbliche:
si è sempre generata, in tal senso, a fronte dell’impossibilità sostanziale
del funzionamento dei Fondi di ammortamento dei titoli pubblici, previsti ma
da sempre inutili, e della palese inesistenza di altre modalità ordinarie,
una forte discrasia tra l’obsolescenza degli investimenti medesimi ed il perpetuarsi, in termini onerosi, dei
correlativi titoli emessi, dando luogo a costi finanziari parassitari che
divengono a loro volta ostativi per lo sviluppo. E’ in quest’ottica che un
coinvolgimento delle Banche centrali di emissione nel contribuire, con le
metodologie viste, all’ammortamento sistematico dei titoli pubblici -
comunque entro limiti temporali e prassi da convenire - potrebbe essere
rivolto non solo ad una cancellazione dei debiti una tantum, ma verrebbe a
rappresentare un’innovazione nei sistemi di gestione dei debiti sovrani,
finora inesistente ed affidata soltanto ad una generica compatibilità col
Prodotto nazionale lordo ed alla sua dinamica, anche solo in termini
inflazionistici, ma che non elimina alla base l’assurda coesistenza tra
investimenti magari non più in essere e impegni finanziari perduranti e non
più correlativi. D’altra parte, le stesse politiche
di emissione dei titoli pubblici, tese ad un allungamento della loro
scadenza, pur se comprensibili da un lato, rischiano dall’altro di esasperare
sempre più questa situazione, nella quale i debiti sovrani, pur se dichiarati
redimibili, divengono, attraverso gli inevitabili rinnovi a scadenza, di
fatto perpetui.
La Spezia, novembre 2020
Francesco Strocchia |
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