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Documento
inserito: 8-5-2021 Il PuntO n° 426 Sistema sanitario e pandemia.
Per grandi linee, i guai
cominciarono così..
Di Mauro Novelli
8-5-2021 Quando,
conclusa la seconda guerra mondiale, si trattò di ricostruire il paese, si
mise mano anche al sistema sanitario. Nello
specifico, due erano i problemi che si cercò di risolvere: l’orografia
tormentata in ampie zone soprattutto appenniniche in grado di ostacolare gli
spostamenti dei cittadini non dotati di auto o moto; le difficoltà di
spostamento della stragrande maggioranza dei cittadini per lo più senza mezzi
di trasporto a disposizione, a parte qualche bicicletta appannaggio delle
famiglie dalle finanze meno disastrate. Nel 1946 il parco autovetture
ammontava a 150mila unità più 140mila veicoli industriali. Il 34 % delle
strade non era asfaltato. Si
decise quindi di dotare il territorio di un buon numero di punti sanitari, per quanto possibile
prossimi ai nuclei abitati di una certa dimensione ma, necessariamente, si
trattava di unità non superattrezzate dal punto di vista clinico e
ospedaliero. Quindi i servizi sanitari offerti non erano di alto livello Con
la crisi finanziaria iniziata nel 2008, le casse dello stato cominciarono a
soffrire fortemente e si decise di porre mano ad una revisione dei punti
ospedalieri meno utilizzati, alla luce di varie considerazioni: 1) i piccoli
ospedali non erano in grado di fornire servizi di buon livello clinico, per gli
alti costi delle attrezzature necessarie ad offrire prestazioni considerate
all’altezza; 2) era sempre più frequente la necessità di spostare pazienti
affetti da patologie di una certa gravità verso ospedali più attrezzati; 3) i
cittadini avevano raggiunto ormai una notevole capacità di spostamento ed era
divenuto sufficientemente agevole raggiungere direttamente unità ospedaliere
anche abbastanza distanti. Nel 2010 il parco auto complessivo superò i 41
milioni di unità. Nell’accordo
Stato-Regioni del 2010 fu deciso di chiudere gli ospedali che effettuavano un
numero di parti inferiore ai 500 l’anno. Si trattava di circa l’8 % delle
unità. Ma le reazioni furono tali che
il governo Monti dovette soprassedere dal “riorganizzare” 149 ospedali con
meno di 80 posti letto. Comunque, già
nel 2011, il Ministro Tremonti decise un taglio di 8 miliardi per il biennio
2013-2014. Di fatto il governo Monti decise integrare il taglio di Tremonti con la riduzione dei fondi della sanità di 1
miliardo di euro per il 2012, di 2 miliardi per il 2013 e di altrettanti per
il 2014.. Restava
comunque in vigore il “Patto per la salute” per il triennio 2010-2012 con
l’obiettivo di per ridurre dal 4 al
3,7 il numero di posti letto per mille
abitanti. Sta
di fatto che, nel 2015 i posti letto per mille abitanti erano scesi a 3,6. Una
rilevazione dell’ISTAT del 2018 informava che: “Un’importante qualificazione dei
servizi offerti ai cittadini in ambito ospedaliero si può ricavare inoltre
dall’analisi della presenza di Dipartimenti di emergenza (Dea). Questi
si suddividono in Dea di I e II livello a seconda della minore o maggiore
capacità di assicurare prestazioni di emergenza ad alta qualificazione. Sul territorio, l’offerta di Dea
di I livello è garantita da oltre l’80% delle Asl (116) e quella di II
da circa il 50 per cento. Ciò comporta che ampie zone del Paese non sono
in grado di fronteggiare emergenze di particolare gravità, se non
attraverso trasporti speciali (ad esempio elisoccorso), e questo avviene in
particolare in alcune zone delle isole maggiori, nel Lazio, in Abruzzo e in
alcune zone del Nord-Est. Quindi,
cancellata la sanità “inutile e troppo costosa”, superata la reazione dei
cittadini contro i tagli, ci possiamo considerare a posto e stare tranquilli? Non
proprio. A
gennaio 2020 abbiamo scoperto di non avere un piano anti-pandemia.
Dimenticanza voluta, o problema sfuggito alle attenzioni di scienziati,
tecnici e burocrati? Abbiamo visto che nella rilevazione del 2018 effettuata
dall’Istat sul sistema sanitario il pericolo era già stato evidenziato: “... ampie zone
del Paese non sono in grado di fronteggiare emergenze di particolare
gravità”. Quindi la “ristrutturazione degli ospedali avvenne senza tener
conto di linee guida imperative qualora fosse stato vigente un piano anti
pandemia efficace ed aggiornato. Mentre
i reparti di terapia intensiva si riempivano di ammalati da intubare, abbiamo
scoperto di avere un piano antipandemia elaborato
nel 2006, riproposto – probabilmente senza modifiche – nel 2016. Nel 2013 l’OMS ricordò che
tutti gli stati europei sono giuridicamente vincolati a mantenere
costantemente aggiornata la pianificazione antipandemica
in aderenza alle linee guida dell'Oms e del Centro europeo per il controllo
delle malattie. Ma l’Italia non aggiornò il suo piano neanche quando l’OMS indicò nuove linee
guida: a maggio 2017, a gennaio 2018,
a marzo 2018, a giugno 2018 e a settembre 2018. Nè
ci furono aggiornamenti secondo le direttive del Centro europeo di
prevenzione delle malattie del novembre 2017. E
oltre ai reparti di terapia intensiva si riempirono anche i depositi nei
cimiteri. Il
generale dell’esercito, Pier Paolo Lunelli, già
comandante della Scuola per la difesa nucleare, batteriologica e chimica, ha
contribuito a scrivere i protocolli contro le pandemie per alcuni Paesi, tra
i quali l'Italia. A suo dire i ritardi “ hanno reso
l'Italia disarmata e indifesa di fronte alla minaccia del Covid che è
dilagata nel nord del paese" e vi sarebbero "gravi responsabilità
del Ministero della salute che smise
di aggiornare il proprio piano pandemico, cosa che non ha consentito
alle regioni italiane e alle aziende sanitarie nazionali di fare altrettanto
al loro livello". "Potevamo ridurre – si chiede – il tasso di
mortalità, in altre parole subire meno vittime? Probabilmente sì, se avessimo
potuto fare conto su un sistema di piani pandemici coordinati a livello
centrale, regionale o locale, e per approntarli sono necessari mesi di
lavoro. Germania e Svizzera ne sono la testimonianza sul campo". E quindi non si sono valutate le
disponibilità di posti in terapia intensiva, non si sono fatte scorte di
materiale protettivo per i sanitari in prima linea, né mascherine di
protezione, in un primo momento almeno per i ricoverati negli ospedali. Nel
frattempo la Procura di Bergamo ha aperto un fascicolo sulle tragedie della
pandemia e ha indagato – aprile 2021 - con l'accusa di false informazioni sul
piano anti-pandemia del governo italiano, Ranieri Guerra, il direttore
aggiunto dell'Oms ed ex esponente del Cts messo in
piedi da Giuseppe Conte, non riconfermato da Mario Draghi, e già sentito
dalla Procura il 5 novembre dello scorso anno come persona informata sui
fatti, Ricordate,
parliamo di febbraio 2020,
le polemiche sulla segretazione di alcuni lavori del CTS? Non
avendo un Piano antipandemia aggiornato si richiese probabilmente
al CTS di predisporre un documento in alternativa. A febbraio 2020, si
cominciò a parlare di "Piano di organizzazione della risposta
dell'Italia in caso di epidemia". Che sia questo il documento segretato
dal governo Conte bis, un Bignamino messo in piedi in sostituzione del
Piano del 2006 non utilizzabile? Il Recovery Plan di Draghi destinerà circa 20 miliardi alla
sanità. Verranno spesi con sapienza e lungimiranza, ci auguriamo, senza
seguire i metodi degli statisti che posero mano al sistema sanitario dieci
anni fa. Certamente verrà stilato un piano anti pandemia: verranno adottati i
meccanismi dei sistemi predittivi che si vengono approntando grazie allo sviluppo dell’
Intelligenza Artificiale? Vedremo. Intanto,
tra qualche anno avremo i risultati del Tribunale di Bergamo. Per non perdere
l’esercizio, ci possiamo interessare degli scandali circa le forniture di
mascherine farlocche, respiratori farlocchi, protezioni
farlocche organizzate da grands
commis ( veri e molto
costosi). Non sappiamo se anche riconoscenti. Ricordate?
Era il periodo delle fake governative sull’Italia
maglia rosa ed esmpio tra i paesi che
contano per il modo di affrontare il flagello del coronavirus e di come si è
saputo controllare. Nella
tabella che segue sono riportati, per i 10 paesi considerati, i decessi per
covid effettivi (3^ colonna) e quelli che quei paesi dovrebbero subire per
raggiungere la drammaticità dei nostri 122.470 decessi (4^ colonna). Il
calcolo passa attraverso il rapporto della
popolazione italiana e quella del paese considerato. Pertanto,
negli Stati Uniti (rapporto della popolazione con l’Italia 5,5) si avrebbe la
stessa penosità dei nostri 122mila decessi se fossero decedute 671mila
persone, mentre ne sono decedute “solo” 586.166. In
questi giorni si parla del dramma dell’India. Il rapporto tra la nostra
popolazione e quella indiana è pari a 23. In India dovrebbero piangere oltre
2,8 milioni di morti per equiparare il dramma dei nostri 122mila decessi, mentre ne
hanno avuti 230.168. In conclusione, tutti i 9 paesi
considerati e messi a confronto col dato italiano, hanno numeri circa i decessi da covid meno drammatici dei
nostri. Anche se il Brasile ha tutte le condizioni per raggiungerci e
superarci. |
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