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Il PuntO n° 214 Eurolandia? Ridotta ad un semplice elenco di nazioni le cui monete sono incatenate da cambi fissi. In assenza della politica, questa è oggi la funzione dell’euro! Una
proposta per finanziare il debito pubblico degli stati di Eurolandia: una sorta di “confidi” per gli stati membri.
Di Mauro Novelli 20-7-2011
L’insulsaggine intellettuale dei
“potenti” che si stanno avvicendando al governo dei 4-5 paresi più
importanti di Eurolandia, sta mettendo nei guai l’intera costruzione europea
e non solo sul versante monetario. Con l’accantonamento della
ipotesi di “Costituzione europea” di Giscard d’Estaing e di Amato da parte di
Francia, Olanda ecc. (soddisfattissimi gli altri cacicchi) si è
rinunciato a costruire un pilastro politico (amministrativo, fiscale,
economico, di politica estera ecc.) in grado di affiancare quello
monetario-finanziario costituito dalla moneta unica governata dalla BCE. Il
risultato è sotto gli occhi di tutti: Eurolandia è diventata un
elenchetto di nazioni soggette alle
negatività dei cambi fissi. Questa è, in ultima analisi, la
funzione dell’Euro. Questi sono gli effetti di una moneta unica non
affiancata da una unitaria politica di governo della cosa pubblica europea. Gli inconvenienti dei cambi
fissi. Un po’ di storia. Cambi, di fatto, fissi;
ancoraggio di alcune valute all’oro; istituzione del FMI (ancora in buona salute
e fornitore di finanziamento attraversi i Diritti speciali di prelievo).
Queste le soluzioni finanziarie imposte dagli Stati Uniti, subito dopo la
Seconda guerra mondiale, a Bretton Woods. L’errore più grave del
1945 fu quello di stabilire la gestione collegiale (solo nominale) dei
rapporti di cambio, senza definire le caratteristiche economiche delle
macroaree coinvolte e la loro commensurabilità, cioè la
possibilità di armonizzarne caratteristiche, trend, dinamiche
di politica economica. Ci si attestò, di fatto,
su un sistema di cambi fissi. Il cambio tra due divise
costituisce il giunto cardanico che permette a due sistemi economici di
entrare in rapporti commerciali e finanziari in modo commensurabile. Bloccare
e rendere fisso quel giunto – che nasce articolato - vuol dire (tra l’altro)
non registrare il differenziale di crescita e di variazione dei prezzi tra i
due sistemi: se il paese A cresce meno in fretta del paese B, se l’inflazione
incide in maniera differenziata e, nonostante ciò, il cambio viene
tenuto fisso, si genereranno tensioni valutarie di senso univoco e definito:
prima o poi, se i due trend continuano ad essere diversificati, il paese A
dovrà svalutare e/o il paese B rivalutare. In tale situazione, la
speculazione ha vita facile: può puntare sulla svalutazione della
divisa A (vendendola e aggravando le tensioni sul cambio con B) e/o sulla
rivalutazione della divisa B (acquistandola e, anche così, aggravare
le tensioni sul cambio con A) nella “quasi certezza” che gli andamenti dei corsi
saranno quelli da essa ipotizzati. Nella peggiore delle ipotesi (ecco la
“quasi” certezza), il cambio tra le due monete potrebbe non essere variato
dalle autorità monetarie. In tal caso, per gli speculatori il bilancio
dell’operazione sarà zero, cioè non ci guadagneranno né ci
rimetteranno nulla. Se invece si procederà a svalutazione e/o
rivalutazione, la speculazione guadagnerà adeguatamente. Ricordiamo le tensioni
periodiche sulla lira con le autorità monetarie costrette a ritoccare
il nostro cambio nei confronti di monete divenute più forti (dollaro,
marco, franco svizzero) perché i sistemi economici sottostanti (il nostro e
il loro) si sviluppavano a ritmo divaricato. Si procedeva, quindi,
a svalutazioni competitive per riparametrare, con le manovre sul
cambio, la maggiore crescita degli altri paesi rispetto al nostro. Ricordiamo ancora le tensioni
sul dollaro (1968-1971), legato al cambio fisso con l’oro di 33 dollari per
oncia, che obbligarono gli USA a dichiarare la non convertibilità
(Nixon, agosto 1971) della loro moneta. Ricordiamo i momenti drammatici
del 1992/1993 quando, pur di tenere la lira nell’ambito dello SME (Serpente
monetario europeo), Bankitalia bruciò la quasi totalità delle
nostre riserve valutarie. Dovette cedere, infine, alle pressioni speculative
- ben superiori alle nostra capacità di tenuta - di Soros & Co. che vendeva lire,
riacquistate da Bankitalia – secondo il trattato - fino ad
esaurimento delle riserve. A proposito di svalutazioni
competitive, non si dimentichi che l’Art. 1 dell'Accordo Istitutivo del Fondo
Monetario Internazionale individua, tra gli altri obbiettivi, quello di
promuovere la stabilità e l'ordine dei rapporti di cambio, evitando
svalutazioni competitive. Non è mai riuscito a raggiungerlo. Con l’aggravante, oggi, della
disponibilità di una tecnologia che permette arbitraggi in tempo reale
e spostamenti di capitali ingenti in frazioni di secondo. In sintesi, i vantaggi di un
regime di cambi fissi si evidenziano solo nel momento in cui si siano ben
individuate macroaree sufficientemente omogenee, disposte a condividere
obbiettivi di politica economica, politiche di
sviluppo, politiche fiscali e dei redditi, livelli di inflazione e di
crescita. Questo era - nelle intenzioni -
il progetto di Eurolandia. In caso contrario, cioè
di sviluppo differenziato, di obbiettivi (sociali, politici ed economici)
disarticolati, di “ricchezze” disomogenee, di
diversa sopportazione dei livelli di inflazione, un regime di cambi fissi
è disarmato nei confronti della speculazione internazionale, certa di
non rimetterci mai. E’ quanto sta accadendo oggi ad
Eurolandia, dotata di una robusta gamba monetaria, ma di una poliomielitica
gamba politica. E’ quanto non sta accadendo ai paesi
della UE al di fuori dell’area euro (a cominciare dalla Gran Bretagna) le cui
monete sono libere di definire il proprio rapporto con quelle dei partners commerciali. In conclusione, la miopia
(l’inclinazione è genetica) delle classi dirigenti nazionali dei paesi
dell’Area Euro ha ridotto Eurolandia in un cul de sac: un elenco di nazioni non in grado di esprimere
politiche armonizzate; strozzate, di fatto, dal cappio dei cambi fissi (a
questo è stato ridotto l’Euro), tanto stretto da metterne in
discussione l’esistenza stessa. Giovedì 21 luglio prossimo,
al Consiglio europeo, valuteremo se la miopia delle classi dirigenti si sta
aggravando o è in via di miglioramento. Proposta: una entità europea col ruolo di “confidi”.
La BCE ha il tasso di riferimento
all’1,50 per cento (ultima modifica del 7 luglio 2011). L’Euribor
è attorno all’1,50
(a 1 mese) e all’1,80 per cento (a 6 mesi). A questi tassi si approvvigionano le entità finanziarie europee
private (banche ecc.). Perché la Grecia dovrebbe
finanziare il suo debito pubblico al 20 per cento, o l’Italia – oggi - al 6
per cento, quando le sue banche possono finanziarsi all’1,5 per cento? Perché
non è possibile prevedere un collocatore europeo in grado di offrire garanzie “autonome” al mercato per il
collocamento presso gli investitori dei titoli del debito pubblico di
Eurolandia? Forse che le banche dell’Area
Euro sono più affidabili dei paesi in cui operano? Si ritiene,
cioè, che sarebbero in grado di sopravvivere al fallimento dei loro
stati[1]? La soluzione è quella
dei Tremonti e-bonds? Più o meno! Comunque, avrebbe un doppio effetto
positivo: sarebbe il primo passo per obbligare i vari paesi ad organizzare
una Europa “politica” in grado di essere all’altezza di gestire anche la
politica monetaria di Eurolandia; si creerebbe così una entità,
un “consorzio fidi” europeo il cui intervento/protezione deve essere meritato
dai vari stati e dal quale questi possono essere
estromessi. Una entità in grado di “suggerire” ai governicoli
dei cacicchi locali dei comportamenti di politica economica in linea con gli
obbiettivi ed i progetti riconosciuti congrui ed utili dalla UE; in grado di
stilare white e black
list, condizionare la possibilità di gestire l’emissione dei titoli
del debito pubblico, ma garantendo complessivamente tutti. Soprattutto,
potrebbe essere in grado di sopperire – nei limiti del possibile - alla
bassa “qualità” della classe dirigente dei singoli paesi. Stiamo parlando di una
limitazione della sovranità nazionale e la creazione di una sorta di “consorzio” europeo. Contrari cacicchi e
profittatori.
[1] Si consideri che il “debito” del sistema bancario italiano (per fare un esempio), costituito dai depositi dei clienti è pari a 915,224 miliardi di euro (12-2010, fonte Bankitalia), poco meno della metà del debito dello stato italiano.
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