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Il PuntO  Documento inserito il 23-2-2009


 

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Da La Repubblica del 23-2-2009 (1 articolo).

Da Il Sole 24 Ore del 23-2-2009 (3 articoli)

 

Il PuntO n° 159

 

Poffarre! C’è la crisi! Ragazzi, fuori i soldi!

Dalla Robin tax alla Lobbying tax ?

 

Di Mauro Novelli 23-2-2009

 

 

Nel  PuntO n° 33 “Stiliamo un elenco di “Stati finanziari canaglia” e combattiamoli” del 29.1.2004, oltre cinque anni fa, scrivevo:

 

“…..Politici, banchieri ed imprenditori si lamentano delle truffe organizzate attraverso il passaggio sbiancante delle operazioni nella contabilità dei paradisi finanziari e fiscali, ma nessuno li combatte concretamente: non i politici, non i banchieri, non gli imprenditori. Perché ? Le dichiarazioni scandalizzate di politici, banchieri ed imprenditori in merito agli strumenti a disposizione degli speculatori non sono più credibili: banche e grandi imprese hanno sedi, rappresentanze, società collegate residenti proprio in quegli stati contro i quali gli stessi lanciano anatemi, ormai dimostratisi solo nominali.

          Cominciamo con l’elenco stilato dall’OCSE: Monaco, Liechtenstein, Guernsey e Jersey (due isole inglesi della Manica formalmente sotto la Corona ma semi indipendenti dal punto amministrativo), Andorra, Gibilterra, Repubblica Domenicana, Belize, Panama, Bahamas, Liberia, Isole Maldive, Isole Marshall, Isola di Nauru, Isole Vanuatu, Isole Tonga, Isola di Niue, Isole Cook, Isole Samoa.

         Da aggiornare con le ultime novità del Delaware e del Lussemburgo, emerse con le vicende Cirio e Parmalat.

         Non sarà il caso di buttar giù un elenco ragionato e più preciso di “stati finanziari canaglia” ed intraprendere una guerra preventiva per ripristinare le regole finanziarie democratiche?“

 

Come per altre proposte, anche questa si beccò gli epiteti di allarmistica, terroristica ecc.

Siamo stati costretti ad attendere i disastri finanziari di oggi perché i governanti occidentali cominciassero a considerare pericolosa la situazione e proporre soluzioni.

Perché questo ritardo? A mio avviso perché, fino all’estate dello scorso anno, i potentati finanziari  occidentali avevano ancora la possibilità di collocare presso i privati risparmiatori l’immondizia mobiliare da loro stessi generata. Solo quando ciò non è stato più possibile (sia perché il numero dei gonzi andava fortemente diminuendo, sia perché le varie Catene di S. Antonio venivano a “maturazione”, sia perché i governanti più responsabili non potevano sopportare una ulteriore lievitazione della spazzatura collocata presso gli investitori privati) tutti i governi occidentali hanno deciso che – data la pericolosità della situazione – occorreva provvedere diversamente: la mondezza finanziaria ancora da collocare l’avrebbero assorbita gli Erari dei vari paesi attraverso una domanda fittizia posta a carico della finanza pubblica. Tutti d’accordo nel “dover” aiutare senza limiti gli istituti di credito attraverso l’offerta governativa di consistenti garanzie a loro favore, per concludere con la progettazione di una bad bank che in grado di creare un “ammasso delle mondezze” restate in mano alle banche da porre a carico, come si diceva, dell’Erario. Non è chiaro a che valore verranno comprati i sacchi  di spazzatura: a 100 su 100 nominali? Forse troppo oneroso. A quasi zero su 100 nominali, com’è in realtà? Le banche non ci guadagnerebbero nulla. A che livello di cambio si collocherà la decisione? Non lo sappiamo. Per il momento è importante che presso l’opinione pubblica occidentale questa provvidenza risulti ineludibile e “naturale”. Poi si vedrà.

Mi chiedo: ma i banchieri artefici del mondezzificio con destrezza, hanno ancora la fiducia di governi, di autorità monetarie di controllo, dei loro clienti, dei loro azionisti, dei loro concittadini?  E i governi che da anni conoscevano la qualità della produzione di quei mondezzifici, ma da  sempre sostenitori della sufficienza dei presidi normativi, sono abilitati, oggi, a proporre soluzioni a carico delle tasche dei loro governati?

I miliardi finora buttati nella spazzatura sono troppi rispetto ai provvedimenti normativi posti in essere. Possiamo, vogliamo, dobbiamo pensar male? E ancora non esplode il problema degli ex paesi dell’Est Europa.

Quanti miliardi di dollari e/o di euro le povere  banche hanno in deposito nel ventre caldo dei entità radicate nei paradisi fiscali?

Non dimentichiamo che nel 2007 l’utile netto delle banche italiane è stato di 23 miliardi di euro.

Insomma, stiamo assistendo al padre di tutti i saccheggi?

 


 

Da La Repubblica del 23-2-2009

Evasione, riciclaggio, corruzione. I centri off-shore gonfiano la crisi

Ocse: nei forzieri dei paradisi circa 7.000 miliardi di dollari
Gli Usa contro le banche che hanno ricevuto aiuti e hanno filiali in questi Paesi

 di LUCA IEZZI


ROMA - "Nel momento in cui i governi stanno cercando di forgiare un sistema finanziario mondiale più stabile, la lotta ai paradisi fiscali è uno dei temi che vanno affrontati con urgenza". Le parole del segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria, dell'ottobre scorso, sono profetiche. L'associazione di paesi sviluppati con sede a Parigi è un po' il braccio internazionale nella lotta l'evasione fiscale: è l'Ocse che tiene la "lista nera" dei paesi che si rifiutano di collaborare e condividere le informazioni sui capitali di cittadini stranieri. Sarà aggiornata a giugno prossimo e al momento contiene tre "recidivi" (Monaco, Andorra e Liechtenstein) gelosi dei propri segreti, più una seconda cerchia di una quarantina che stanno firmando accordi bilaterali con i paesi sviluppati per aumentare la trasparenza su segreto bancario e sistema fiscale.

La posta in palio sono quei 5.000-7.000 miliardi di dollari (sempre stima Ocse) di capitali esteri al sicuro nei paradisi fiscali. Capitali considerati in parte frutto di evasione, riciclaggio e corruzione e che possono aver contribuito a gonfiare la crisi. La cooperazione cresce (dal 2000 ad oggi sono 44 le intese bilatelari firmate), ma si tratta di piccoli passi e più che eliminare il problema si limitano far cambiare destinazione agli evasori. Bermuda ha siglato un protocollo con Washigton e molte società di Wall Street hanno traslocato in Svizzera.

I successi in questa lotta sono stati a dir poco sporadici: Charles De Gaulle nel 1962 schierò agenti della dogana sulle strade che portavano al principato per convincere il principe Ranieri a far pagare le tasse ai cittadini francesi residenti a Montecarlo. L'Italia avviò uno dei primi condoni del settore con lo "scudo fiscale", imitato da altri paesi. Solo un anno fa lo scandalo sui 1.400 nomi di correntisti europei in Liechtenstein sembravano segnare la fine dei paradisi fiscali all'interno della Ue (Lussemburgo, Austria, isole della Manica) o quelli confinanti (Svizzera e Liechtenstein). Invece nemmeno la direttiva europea che dovrebbe parificare i sistemi nell'Unione è stata ancora approvata.


Stesso discorso per la guerra al riciclaggio: secondo la Banca mondiale ogni anno tra i 1.000-1.600 miliardi di dollari frutto di attività criminali (la metà da paesi poveri) arrivano nelle oasi. Le task force internazionali hanno ottenuto pochi successi nel bloccare i flussi e impedire che in queste "terre senza legge" capitali puliti e sporchi si mischino senza essere più distinguibili.

La svolta, se vera svolta sarà, arriva dagli Usa: i salvataggi delle banche hanno di nuovo portato al centro dell'attenzione la quantità di denaro che i grandi gruppi finanziari hanno parcheggiato offshore. Citigroup ha ottenuto dall'amministrazione Bush iniezioni di capitale per 45 miliardi e garanzie su perdite per altri 300 miliardi. Perdite maturate anche nella 427 controllate nei paradisi fiscali nel mondo. Bank of America (20 miliardi di aiuti e garanzie per 118 miliardi) ne ha 115, Jp Morgan 50. I congressisti americani hanno chiarito che i soldi dei contribuenti non possono salvare banche che invece riuscivano a non pagare tasse sui capitali propri e dei clienti. Di qui anche l'offensiva nei confronti della filiale americana della svizzera Ubs. E deve finire anche la giungla priva di regole degli hedge funds. I fondi più rischiosi e speculativi hanno spesso la propria sede legale offshore: prima del crollo amministravano 2.000 miliardi di dollari, spesso sottoscritti dalle stesse banche che puntavano ai loro rendimenti stratosferici ed esentasse per accrescere gli utili.

Invece ora i fallimenti a catena trasformano i loro titoli nei famosi "asset tossici" che gli Stati dovrebbero accollarsi. Nella sua breve esperienza da senatore Barack Obama propose una legge che vietava a società e banche che facevano affari con enti pubblici di tenere controllate nei paradisi fiscali. Ora, da presidente, e con l'appoggio dei big europei, potrà provare a completare la sua battaglia.
(23 febbraio 2009)


Dal Sole 24 Ore 23-2-2009

Credito, l'allarme di Trichet: «Il sistema è in pericolo»

 

Il flusso netto del credito nell'Eurozona «è rimasto di segno positivo per quasi tutto il periodo di turbolenze finanziarie, che ormai va avanti da un anno e mezzo», ma «nelle ultime settimane sono emersi i primi segnali di un calo dell'offerta di credito». Lo ha detto il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, in un discorso al Cesr (Comitato di coordinamento fra le autorità di vigilanza sui mercati finanziari della Ue) a Parigi. Il fenomeno, ha spiegato, «è dovuto in modo sostanziale a fattori legati alla domanda», ma anche a decisioni sul fronte dell'offerta. «Se un tale comportamento dovesse diffondersi al sistema bancario nel suo insieme - ha ammonito - metterebbe in pericolo la stessa ragione d'essere del sistema».

La spirale negativa tra finanza ed economia reale
«Non è una notizia», ha osservato Trichet, che il sistema finanziario dell'area euro, come quelli del resto del mondo, sia sottoposto a «gravi costrizioni». Quello che è diventato sempre più chiaro da metà settembre, quando le tensioni della finanza si sono intensificate, è che queste difficoltà dei mercati hanno contagiato anche l'economia reale. «Questo ha innescato un processo di spirale negativa tra la finanza e l'economia reale. Il sistema finanziario - ha detto il banchiere centrale - sta compromettendo la ripresa dell'economia reale e, allo stesso tempo, la recessione sta aggiungendo pressioni sul sistema finanziario».

«Una parte importante di questo calo è determinata dalla domanda: le imprese hanno rinviato gli investimenti» ha detto il presidente dell'Eurotower che ha ribadito quanto già sostenuto dall'Abi, la scorsa settimana. «Le imprese chiedono soldi soprattutto per ristrutturare il proprio debito e non per fare investimenti» ha scritto l'associazione bancaria nel suo bollettino mensile. Ma le difficoltà, ha detto Trichet, sono anche sul fronte dell'offerta. Stiamo assistendo, secondo il numero uno dell'Eurotower «a un inasprimento delle condizioni associato al fenomeno del deleveraging» (la riduzione del ricorso alla leva finanziaria). «Dobbiamo sorvegliare attentamente gli sviluppi su tutto questo - ha sottolineato - se questi atteggiamenti diventassero estesi nel sistema bancario, comprometterebbero la ragion d'essre del sistema come un insieme».

Vi sono però anche indicazioni posititive, secondo Trichet. In particolare dal settore delle obbligazioni societarie. A gennaio le emissioni di bond di imprese non finanziarie ha toccato un livello da record: «Questo canale resta aperto, e sta funzionando». E nel frattempo le Bce e i governi dell'area euro hanno messo in opera misure ingenti a sostegno del sistema finanziario. In particolare la Banca Centrale garantisce agli istituti i finanziamenti illiminati sui prestiti che vanno da una settimana di scadenza fino a sei mesi. Intanto i governi hanno approntato schemi di intervento e sostegno diretti. Ora banche e istituzioni finanziarie private «hanno un importante responsabilità da assolvere: continuare a prestare all'economia».


 

Northern Rock riparte dai mutui ma con i soldi pubblici

di Nicol Degli Innocenti

LONDRA - Miliardi di sterline per rilanciare il mercato immobiliare britannico in crisi: il cancelliere dello Scacchiere Alistair Darling ha annunciato oggi, lunedi 23 febbraio, che la banca nazionalizzata Northern Rock inizierà di nuovo a concedere mutui per un totale di 14 miliardi di sterline.
Northern Rock riempirà il vuoto lasciato dalle banche straniere che in seguito al credit crunch si sono di fatto ritirate dal mercato, ha detto Darling, e concederà mutui per 5 miliardi di sterline quest'anno e fino a un massimo di 9 miliardi nel 2010, a seconda della domanda. I mutui saranno concessi a tassi commerciali e rappresentano il ritorno della banca nazionalizzata al settore che l'aveva portata a essere la prima "vittima" della crisi nel 2007. Darling ha sottolineato però che Northern Rock non tornerà a concedere mutui pari o superiori al 100% del valore dell'immobile come in passato. "Saranno mutui ragionevoli, - ha detto il cancelliere. – Il massimo concesso sarà 90 per cento."
"Si tratta di una di una serie di misure che stiamo adottando per tentare di costruire il sistema bancario del futuro, - ha detto Darling. –Voglio essere certo che quando partirà la ripresa ci saranno i soldi per le imprese e i soldi per la gente che vuole acquistare casa."
Alcuni economisti sono scettici sull'efficacia delle misure annunciate dal Governo, perchè sostengono che il vero problema del settore immobiliare è la mancanza di fiducia e di domanda, non la disponibilità di credito. I prezzi delle case sono scesi del 20% nel 2008 e si prevede un ulteriore calo a due cifre quest'anno.


 

Grandi banche in manovra per il controllo globale dei derivati

23 febbraio 2009

 

Grandi manovre in corso dei big del credito sul mercato globale dei derivati. Un pool di grandi banche mondiali - che, come ha scritto Bloomberg, comprende J.P.Morgan e Deutsche Bank - si prepara ad affiancare la britannica Icap, primo inter-dealer broker del mondo, nel caso di un'offerta sulla londinese Lch.Clearnet, società che garantisce circa metà degli Interest-rate swap - contratti che hanno per oggetto lo scambio sui flussi dei tassi di interesse - trattati a Wall Street.

Se l'offerta andasse in porto le banche sostenitrici si troverebbero ad ottenere il controllo di un mercato da 458 trilioni di dollari di interest rate swap, ossia il principale mercato over-the-counter (non regolamentato) dei derivati. Tra gli istituti che fanno parte del gruppo Icap ci sono Citigroup (l'ex nuemro uno di Wall Street oggi messa sotto tutela dall'amministrazione Obama e vicina alla nazionalizzazione), l'elvetica Ubs, Bnp Paribas e Société Générale, le britanniche Hsbc e Royal Bank of Scotland.

Le trattative si stanno facendo strada proprio mentre la Federal Reserve, la Banca centrale europea e le autorità di controllo dei mercati finanziari in Europa e negli Stati Uniti stanno operando forti pressioni per una maggiore trasparenza sul mercato dei Credit default swaps (contratti utilizzati per proteggersi dal rischio di perdite o speculare sulla possibilità di un'impresa di ripagare il proprio debito), uno degli acceleratori della crisi che ha portato al collasso Lehman Brothers e il colosso americano delle assicurazioni Aig.

Alcune delle banche coinvolte nell'operazione disporrebbero già di partecipazioni nella società newyorchese Depository Trust & Clearing, che ha offerto 739 milioni di euro per LCH.Clearnet, nel tentativo di diventare una clearing house, ovvero una cassa di compensazione per i Credit default swap, che servono anhe da termometro della fiducia dei mercati. Quando quest'ultima diminuisce, aumenta il premio che il compratore deve pagare per tutelarsi dal rischio di fallimento della società che, ad esempio, ha emesso un obbligazione.

È quanto sta accadendo proprio oggi per il costo di protezione dei bond emessi da 25 banche e compagnie di assicurazione europee (nel Vecchio continente il quadro complessivo appare deteriorato anche dalla forte esposizione sui mercati dell'Est Europa, dove l'economia è in caduta verticale), con i Cds che sull'indice Markit iTraxx sono saliti a livelli record, un picco di 159 mai raggiunto prima. In fase regressiva, invece, gli swap sul debito senior di Citigroup grazie alla manifesta intenzione del Governo Usa di entrare più decisamente nell'azionariato per salvare la banca.