Il PuntO n° 159
Poffarre! C’è la crisi! Ragazzi, fuori i
soldi!
Dalla Robin tax alla Lobbying tax ?
Di Mauro Novelli
23-2-2009
Nel PuntO n° 33
“Stiliamo un elenco di “Stati finanziari canaglia” e combattiamoli” del
29.1.2004, oltre cinque anni fa, scrivevo:
“…..Politici, banchieri ed imprenditori si
lamentano delle truffe organizzate attraverso il passaggio sbiancante delle
operazioni nella contabilità dei paradisi finanziari e fiscali, ma
nessuno li combatte concretamente: non i politici, non i banchieri, non gli
imprenditori. Perché ? Le dichiarazioni scandalizzate di politici, banchieri
ed imprenditori in merito agli strumenti a disposizione degli speculatori non
sono più credibili: banche e grandi imprese hanno sedi,
rappresentanze, società collegate residenti proprio in quegli stati
contro i quali gli stessi lanciano anatemi, ormai dimostratisi solo nominali.
Cominciamo con l’elenco stilato dall’OCSE: Monaco, Liechtenstein,
Guernsey e Jersey (due isole inglesi della Manica formalmente sotto la Corona
ma semi indipendenti dal punto amministrativo), Andorra, Gibilterra,
Repubblica Domenicana, Belize, Panama, Bahamas, Liberia, Isole Maldive, Isole
Marshall, Isola di Nauru, Isole Vanuatu, Isole Tonga, Isola di Niue, Isole
Cook, Isole Samoa.
Da
aggiornare con le ultime novità del Delaware e del Lussemburgo, emerse
con le vicende Cirio e Parmalat.
Non
sarà il caso di buttar giù un elenco ragionato e più
preciso di “stati finanziari canaglia” ed intraprendere una guerra preventiva
per ripristinare le regole finanziarie democratiche?“
Come per altre proposte, anche questa si beccò gli
epiteti di allarmistica, terroristica ecc.
Siamo stati costretti ad attendere i disastri finanziari
di oggi perché i governanti occidentali cominciassero a considerare
pericolosa la situazione e proporre soluzioni.
Perché questo ritardo? A mio avviso perché, fino
all’estate dello scorso anno, i potentati finanziari occidentali avevano ancora la
possibilità di collocare presso i privati risparmiatori l’immondizia
mobiliare da loro stessi generata. Solo quando ciò non è stato
più possibile (sia perché il numero dei gonzi andava fortemente
diminuendo, sia perché le varie Catene di S. Antonio venivano a
“maturazione”, sia perché i governanti più responsabili non potevano
sopportare una ulteriore lievitazione della spazzatura collocata presso gli
investitori privati) tutti i governi occidentali hanno deciso che – data la
pericolosità della situazione – occorreva provvedere diversamente: la
mondezza finanziaria ancora da collocare l’avrebbero assorbita gli Erari dei
vari paesi attraverso una domanda fittizia posta a carico della finanza
pubblica. Tutti d’accordo nel “dover” aiutare senza limiti gli istituti di
credito attraverso l’offerta governativa di consistenti garanzie a loro
favore, per concludere con la progettazione di una bad bank che in grado di
creare un “ammasso delle mondezze” restate in mano alle banche da porre a
carico, come si diceva, dell’Erario. Non è chiaro a che valore
verranno comprati i sacchi di
spazzatura: a 100 su 100 nominali? Forse troppo oneroso. A quasi zero su 100
nominali, com’è in realtà? Le banche non ci guadagnerebbero
nulla. A che livello di cambio si collocherà la decisione? Non lo
sappiamo. Per il momento è importante che presso l’opinione pubblica
occidentale questa provvidenza risulti ineludibile e “naturale”. Poi si
vedrà.
Mi chiedo: ma i banchieri artefici del mondezzificio con
destrezza, hanno ancora la fiducia di governi, di autorità monetarie
di controllo, dei loro clienti, dei loro azionisti, dei loro
concittadini? E i governi che da anni
conoscevano la qualità della produzione di quei mondezzifici, ma
da sempre sostenitori della sufficienza
dei presidi normativi, sono abilitati, oggi, a proporre soluzioni a carico
delle tasche dei loro governati?
I miliardi finora buttati nella spazzatura sono troppi
rispetto ai provvedimenti normativi posti in essere. Possiamo, vogliamo,
dobbiamo pensar male? E ancora non esplode il problema degli ex paesi
dell’Est Europa.
Quanti miliardi di dollari e/o di euro le povere banche hanno in deposito nel ventre caldo
dei entità radicate nei paradisi fiscali?
Non dimentichiamo che nel 2007 l’utile netto delle banche
italiane è stato di 23 miliardi di euro.
Insomma, stiamo assistendo al padre di tutti i saccheggi?
Da La Repubblica del 23-2-2009
Evasione, riciclaggio, corruzione. I centri off-shore
gonfiano la crisi
Ocse: nei forzieri dei paradisi
circa 7.000 miliardi di dollari
Gli Usa contro le banche che hanno ricevuto aiuti e hanno filiali in questi
Paesi
di LUCA IEZZI
ROMA - "Nel momento in cui i governi stanno cercando
di forgiare un sistema finanziario mondiale più stabile, la lotta ai
paradisi fiscali è uno dei temi che vanno affrontati con
urgenza". Le parole del segretario generale dell'Ocse, Angel Gurria,
dell'ottobre scorso, sono profetiche. L'associazione di paesi sviluppati con
sede a Parigi è un po' il braccio internazionale nella lotta
l'evasione fiscale: è l'Ocse che tiene la "lista nera" dei
paesi che si rifiutano di collaborare e condividere le informazioni sui
capitali di cittadini stranieri. Sarà aggiornata a giugno prossimo e
al momento contiene tre "recidivi" (Monaco, Andorra e
Liechtenstein) gelosi dei propri segreti, più una seconda cerchia di
una quarantina che stanno firmando accordi bilaterali con i paesi sviluppati
per aumentare la trasparenza su segreto bancario e sistema fiscale.
La posta in palio sono quei 5.000-7.000 miliardi di dollari (sempre stima
Ocse) di capitali esteri al sicuro nei paradisi fiscali. Capitali considerati
in parte frutto di evasione, riciclaggio e corruzione e che possono aver
contribuito a gonfiare la crisi. La cooperazione cresce (dal 2000 ad oggi
sono 44 le intese bilatelari firmate), ma si tratta di piccoli passi e
più che eliminare il problema si limitano far cambiare destinazione
agli evasori. Bermuda ha siglato un protocollo con Washigton e molte
società di Wall Street hanno traslocato in Svizzera.
I successi in questa lotta sono stati a dir poco sporadici: Charles De Gaulle
nel 1962 schierò agenti della dogana sulle strade che portavano al
principato per convincere il principe Ranieri a far pagare le tasse ai
cittadini francesi residenti a Montecarlo. L'Italia avviò uno dei
primi condoni del settore con lo "scudo fiscale", imitato da altri
paesi. Solo un anno fa lo scandalo sui 1.400 nomi di correntisti europei in
Liechtenstein sembravano segnare la fine dei paradisi fiscali all'interno
della Ue (Lussemburgo, Austria, isole della Manica) o quelli confinanti
(Svizzera e Liechtenstein). Invece nemmeno la direttiva europea che dovrebbe
parificare i sistemi nell'Unione è stata ancora approvata.
Stesso discorso per la guerra al riciclaggio: secondo la Banca mondiale ogni
anno tra i 1.000-1.600 miliardi di dollari frutto di attività
criminali (la metà da paesi poveri) arrivano nelle oasi. Le task force
internazionali hanno ottenuto pochi successi nel bloccare i flussi e impedire
che in queste "terre senza legge" capitali puliti e sporchi si
mischino senza essere più distinguibili.
La svolta, se vera svolta sarà, arriva dagli Usa: i salvataggi delle
banche hanno di nuovo portato al centro dell'attenzione la quantità di
denaro che i grandi gruppi finanziari hanno parcheggiato offshore. Citigroup
ha ottenuto dall'amministrazione Bush iniezioni di capitale per 45 miliardi e
garanzie su perdite per altri 300 miliardi. Perdite maturate anche nella 427
controllate nei paradisi fiscali nel mondo. Bank of America (20 miliardi di
aiuti e garanzie per 118 miliardi) ne ha 115, Jp Morgan 50. I congressisti
americani hanno chiarito che i soldi dei contribuenti non possono salvare
banche che invece riuscivano a non pagare tasse sui capitali propri e dei
clienti. Di qui anche l'offensiva nei confronti della filiale americana della
svizzera Ubs. E deve finire anche la giungla priva di regole degli hedge
funds. I fondi più rischiosi e speculativi hanno spesso la propria
sede legale offshore: prima del crollo amministravano 2.000 miliardi di
dollari, spesso sottoscritti dalle stesse banche che puntavano ai loro
rendimenti stratosferici ed esentasse per accrescere gli utili.
Invece ora i fallimenti a catena trasformano i loro titoli nei famosi
"asset tossici" che gli Stati dovrebbero accollarsi. Nella sua
breve esperienza da senatore Barack Obama propose una legge che vietava a
società e banche che facevano affari con enti pubblici di tenere
controllate nei paradisi fiscali. Ora, da presidente, e con l'appoggio dei
big europei, potrà provare a completare la sua battaglia.
(23 febbraio 2009)
Dal Sole 24 Ore 23-2-2009
Credito, l'allarme
di Trichet: «Il sistema è in pericolo»
|
|
Il flusso netto del credito nell'Eurozona «è rimasto di
segno positivo per quasi tutto il periodo di turbolenze finanziarie, che
ormai va avanti da un anno e mezzo», ma «nelle ultime settimane sono emersi
i primi segnali di un calo dell'offerta di credito». Lo ha detto il
presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, in un discorso al Cesr (Comitato
di coordinamento fra le autorità di vigilanza sui mercati finanziari
della Ue) a Parigi. Il fenomeno, ha spiegato, «è dovuto in modo
sostanziale a fattori legati alla domanda», ma anche a decisioni sul fronte
dell'offerta. «Se un tale comportamento dovesse diffondersi al sistema
bancario nel suo insieme - ha ammonito - metterebbe in pericolo la stessa
ragione d'essere del sistema».
La spirale negativa tra finanza ed economia reale
«Non è una notizia», ha osservato Trichet, che il sistema
finanziario dell'area euro, come quelli del resto del mondo, sia sottoposto
a «gravi costrizioni». Quello che è diventato sempre più
chiaro da metà settembre, quando le tensioni della finanza si sono
intensificate, è che queste difficoltà dei mercati hanno
contagiato anche l'economia reale. «Questo ha innescato un processo di
spirale negativa tra la finanza e l'economia reale. Il sistema finanziario
- ha detto il banchiere centrale - sta compromettendo la ripresa
dell'economia reale e, allo stesso tempo, la recessione sta aggiungendo
pressioni sul sistema finanziario».
«Una parte importante di questo calo è determinata dalla domanda: le
imprese hanno rinviato gli investimenti» ha detto il presidente
dell'Eurotower che ha ribadito quanto già sostenuto dall'Abi, la
scorsa settimana. «Le imprese chiedono soldi soprattutto per ristrutturare
il proprio debito e non per fare investimenti» ha scritto
l'associazione bancaria nel suo bollettino mensile. Ma le
difficoltà, ha detto Trichet, sono anche sul fronte dell'offerta.
Stiamo assistendo, secondo il numero uno dell'Eurotower «a un inasprimento
delle condizioni associato al fenomeno del deleveraging» (la riduzione
del ricorso alla leva finanziaria). «Dobbiamo sorvegliare attentamente gli
sviluppi su tutto questo - ha sottolineato - se questi atteggiamenti
diventassero estesi nel sistema bancario, comprometterebbero la ragion
d'essre del sistema come un insieme».
Vi sono però anche indicazioni posititive, secondo Trichet.
In particolare dal settore delle obbligazioni societarie. A gennaio
le emissioni di bond di imprese non finanziarie ha toccato un livello da
record: «Questo canale resta aperto, e sta funzionando». E nel frattempo le
Bce e i governi dell'area euro hanno messo in opera misure ingenti a
sostegno del sistema finanziario. In particolare la Banca Centrale
garantisce agli istituti i finanziamenti illiminati sui prestiti che vanno
da una settimana di scadenza fino a sei mesi. Intanto i governi hanno
approntato schemi di intervento e sostegno diretti. Ora banche e
istituzioni finanziarie private «hanno un importante responsabilità
da assolvere: continuare a prestare all'economia».
|
Northern Rock riparte
dai mutui ma con i soldi pubblici
di Nicol Degli
Innocenti
LONDRA
- Miliardi di sterline per rilanciare il mercato immobiliare britannico in
crisi: il cancelliere dello Scacchiere Alistair Darling ha annunciato oggi,
lunedi 23 febbraio, che la banca nazionalizzata Northern Rock inizierà
di nuovo a concedere mutui per un totale di 14 miliardi di sterline.
Northern Rock riempirà il vuoto lasciato dalle banche straniere che in
seguito al credit crunch si sono di fatto ritirate dal mercato, ha detto
Darling, e concederà mutui per 5 miliardi di sterline quest'anno e
fino a un massimo di 9 miliardi nel 2010, a seconda della domanda. I mutui
saranno concessi a tassi commerciali e rappresentano il ritorno della banca
nazionalizzata al settore che l'aveva portata a essere la prima
"vittima" della crisi nel 2007. Darling ha sottolineato però
che Northern Rock non tornerà a concedere mutui pari o superiori al
100% del valore dell'immobile come in passato. "Saranno mutui
ragionevoli, - ha detto il cancelliere. – Il massimo concesso sarà 90
per cento."
"Si tratta di una di una serie di misure che stiamo adottando per
tentare di costruire il sistema bancario del futuro, - ha detto Darling.
–Voglio essere certo che quando partirà la ripresa ci saranno i soldi
per le imprese e i soldi per la gente che vuole acquistare casa."
Alcuni economisti sono scettici sull'efficacia delle misure annunciate dal
Governo, perchè sostengono che il vero problema del settore
immobiliare è la mancanza di fiducia e di domanda, non la
disponibilità di credito. I prezzi delle case sono scesi del 20% nel
2008 e si prevede un ulteriore calo a due cifre quest'anno.
Grandi banche in manovra per il controllo globale dei derivati
23 febbraio 2009
Grandi manovre in corso dei big del credito sul
mercato globale dei derivati. Un pool di grandi banche mondiali - che, come
ha scritto Bloomberg, comprende J.P.Morgan e Deutsche Bank - si prepara ad
affiancare la britannica Icap, primo inter-dealer broker del mondo, nel caso
di un'offerta sulla londinese Lch.Clearnet, società che garantisce
circa metà degli Interest-rate swap - contratti che hanno per oggetto
lo scambio sui flussi dei tassi di interesse - trattati a Wall Street.
Se l'offerta andasse in porto le banche sostenitrici si troverebbero ad
ottenere il controllo di un mercato da 458 trilioni di dollari di interest
rate swap, ossia il principale mercato over-the-counter (non
regolamentato) dei derivati. Tra gli istituti che fanno parte del gruppo Icap
ci sono Citigroup (l'ex nuemro uno di Wall Street oggi messa sotto tutela
dall'amministrazione Obama e vicina alla nazionalizzazione), l'elvetica Ubs,
Bnp Paribas e Société Générale, le britanniche Hsbc e Royal Bank of Scotland.
Le trattative si stanno facendo strada proprio mentre la Federal Reserve, la
Banca centrale europea e le autorità di controllo dei mercati
finanziari in Europa e negli Stati Uniti stanno operando forti pressioni per
una maggiore trasparenza sul mercato dei Credit default swaps (contratti
utilizzati per proteggersi dal rischio di perdite o speculare sulla
possibilità di un'impresa di ripagare il proprio debito), uno degli
acceleratori della crisi che ha portato al collasso Lehman Brothers e il
colosso americano delle assicurazioni Aig.
Alcune delle banche coinvolte nell'operazione disporrebbero già di
partecipazioni nella società newyorchese Depository Trust &
Clearing, che ha offerto 739 milioni di euro per LCH.Clearnet, nel tentativo
di diventare una clearing house, ovvero una cassa di compensazione per
i Credit default swap, che servono anhe da termometro della fiducia dei
mercati. Quando quest'ultima diminuisce, aumenta il premio che il compratore
deve pagare per tutelarsi dal rischio di fallimento della società che,
ad esempio, ha emesso un obbligazione.
È quanto sta accadendo proprio oggi per il costo di protezione dei
bond emessi da 25 banche e compagnie di assicurazione europee (nel Vecchio
continente il quadro complessivo appare deteriorato anche dalla forte
esposizione sui mercati dell'Est Europa, dove l'economia è in caduta
verticale), con i Cds che sull'indice Markit iTraxx sono saliti a livelli
record, un picco di 159 mai raggiunto prima. In fase regressiva, invece, gli
swap sul debito senior di Citigroup grazie alla manifesta intenzione del
Governo Usa di entrare più decisamente nell'azionariato per salvare la
banca.
|