HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli (www.mauronovelli.it) Il PuntO Documento inserito il 15-7-2008 |
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Il PuntO n° 142 Ma per procedere a “schedature” non sono necessarie le impronte digitali. Di Mauro Novelli 15-7-2008 C’è confusione concettuale, nella accezione sociale, sui i termini “individuazione” e “schedatura”. Se è esigenza dello Stato definire con certezza l’identità di tutti i cittadini del paese e/o di tutti coloro che nel paese transitano o sono residenti, è opportuno che si mettano in piedi gli strumenti amministrativi, anagrafici, operativi ecc. in grado di fornire ad ogni cittadino la sua identità. Cosa del resto tanto “preziosa” da rendere prospero un mercato illegale alimentato dai furti di identità. Se riconosciamo il diritto di ogni cittadino ad avere una sua identità ed a condannarne ogni violazione, possiamo dire che garantire quel diritto costituisce un valore sociale. Le forme per attrezzare gli strumenti in grado di assicurare quel diritto individuale possono essere le più varie: dalla semplice descrizione dei connotati, alla raccolta delle impronte digitali, al più moderno e pratico inserimento di foto. Di recente si sono messi a punto strumenti più perfezionati, ancora non usati dalla pubblica amministrazione per la generalità dei cittadini: identificazione del Dna, dell’iride, della voce, della dimensione e del posizionamento di vasi sanguigni in un dito ecc., rilevati con attrezzature particolari. Chi è stato sottoposto alla “tre giorni” per valutare la sua capacità di espletare il servizio militare, ha depositato le impronte digitali. Non so se è ancora in auge, vista l’eliminazione della leva obbligatoria, ma a me - diciannovenne - le presero, come a mio figlio di qualche decennio più giovane. Possiamo dire che i maschi italiani sono tutti identificati anche attraverso le loro impronte digitali. Altra cosa è la “schedatura”, e cioè quel processo informativo che annette all’identità personale ulteriori caratteristiche peculiari che possono interessare o l’autorità giudiziaria e di polizia, o estranei alla pubblica amministrazione e non sempre per motivi legittimi. Ma per procedere alla schedatura (nella legge o fuori legge) non serve l’acquisizione delle impronte digitali, basta annotare - oggi in un data base - accanto al nome ed al cognome (ed agli altri elementi di identità), la peculiarità che si vuole far emergere: “va a teatro tutte le settimane”, “frequenta circoli repubblicani, socialisti, nihilisti, fascisti, anarchici”, “non va a messa”, “è appassionato di fotografia”, “ebreo”, “rom”, “ariano” ecc. Se riteniamo che l’identità di un cittadino sia un valore sociale da mantenere e coltivare, dobbiamo trovare gli strumenti per protegger quel valore ed annettere il diritto a chi è sprovvisto di identità. Non si dimentichi che anche la riservatissima Gran Bretagna ha dotato (da qualche anno) i suoi cittadini di documenti di identità. Se i Rom non possono dimostrare la loro, occorre metterli in grado di acquisirla. Se il procedimento più veloce, efficace ed economico è quello delle impronte digitali, si cominci da li. E’ molto più “violento” decidere per altri che l’identità è una schedatura o che mentre per noi è un valore, per loro è un disvalore. Ma non si dimentichi che la schedatura non ha bisogno di impronte digitali. Se poi decidiamo che l’annessione di identità individuale è cosa negativa e da contrastare o da abolire, ci si batta per togliere dalla schiena della generalità dei cittadini quello che si considera un fardello. Quanti maschi italiani si sentono schedati perché le loro impronte sono depositate in qualche archivio e non invece per la presenza dei loro riferimenti personali (pur in assenza di impronte digitali) in qualche data base che ne evidenzi abitudini, inclinazioni, tendenze, orientamenti ecc. per fini (limitiamo il ventaglio) commerciali? |