Il PuntO n° 140
Puzzle sub prime USA.
Mi manca una tessera: ma le garanzie ipotecarie ci sono o
no?
Di Mauro Novelli del 12-7-2008 (rivisto il 13-7-2008)
Possiamo
anche dar credito alla giustificazione secondo la quale a generare il
disastro dei sub prime sia stata l’ingordigia di
manager del settore bancario e finanziario americano (più volume
d’affari, più remunerazione). Possiamo anche credere che per ampliare
gli impieghi abbiano accolto domande di mutuo da gente non finanziabile.
Non possiamo però credere che
la stragrande maggioranza di quei mutui siano stati concessi per valori
superiori al bene dato in garanzia, cioè all’immobile oggetto
dell’acquisto (o dell’ampliamento del mutuo).
In altri termini, possiamo salvare il
sistema bancario americano nel suo complesso, accettando che la vicenda dei sub prime non sia stata ben pianificata, e che sia
semplicemente sfuggita di mano a manager famelici; non possiamo però
credere che la massa di impieghi non abbia avuto a fronte ed a garanzia una
ipoteca sull’immobile a favore della
banca o dell’ente erogante, non dico doppia, come’è abitudine chiedere
– ad esempio - dalle banche italiane, ma almeno capiente.
Dunque, i cattivi manager hanno
obbligato le banche americane a cartolarizzare, bicartolarizzare, tricartolarizzare
e via di seguito, appestando il sistema internazionale degli investimenti
mobiliari con titoli che avevano alla base crediti
inesigibili; Fannie Mae e Freddie Mac hanno avuto manica larga nel garantire persone poco
raccomandabili finanziariamente. Accetto tutto. Tranne che non si siano
accese ipoteche sulle case oggetto delle richieste di mutuo.
Pur striminzite ci dovrebbero essere.
A fronte delle somme date in prestito
dovremmo trovare ipoteche su immobili di valore almeno equivalente,
indipendentemente dal fatto che quelle somme siano state erogate a
richiedenti non finanziabili. Insomma, le garanzie ipotecarie ci dovrebbero
essere e stanno negli USA, in attesa di essere escusse dal titolare del
credito, gabbato da se medesimo. Attenzione! Stanno negli USA. E sono su beni
immobili.
Riteniamo che banche e finanziarie
americane stiano agendo da tempo, se è vero che si è impennato
il numero delle esecuzioni immobiliari; se è vero che la California ha
deciso di tenere aperti i parcheggi pubblici anche di notte per permettere, a
chi abbia perso casa, di parcheggiare e dormire in auto.
Dobbiamo ritenere che, anche negli
USA, se non paghi il mutuo ti portino via la casa. I titolari del credito
impiegheranno qualche tempo per subentrare nella proprietà a chi non
ha onorato il debito ed acquisire gli immobili dati in garanzia. Oltretutto –
pur se fortemente diminuiti – i prezzi degli immobili non si sono certo
azzerati. Dunque, occorrerà
mettere in campo gli strumenti giuridici perché chi ha causato il danno al
pianeta ed ora sta rientrando del credito, sia obbligato a ristorare i
danneggiati.
Se, poi, le garanzie ipotecarie non
ci dovessero essere, perché si sono erogate somme senza provvedere ad
assicurare le “naturali” coperture (naturali per qualsiasi banca normalmente
gestita), l’aver finanziato gente non finanziabile risulterebbe solo una aggravante del problema, non la causa principale. La
vicenda dovrebbe pertanto essere definita diversamente: non qualificando il
prenditore (poco affidabile e non primario, quindi sub prime) con
problematica capacità di rimborso, ma qualificando l’operazione (senza
mortgage lien) che non
permette alla banca di rientrare del credito erogato. Infatti, se ci si
è limitati all’errore di “malpesare” il
merito di credito del richiedente, chi ha prestato soldi si sostituirà
al mutuante nella proprietà di un bene capiente e verrà
soddisfatto; nel secondo, la banca resterà col cerino in mano perché,
oltre ad aver mal qualificato il richiedente, non ha proceduto a “pesare”
l’immobile dato in garanzia. Nel primo caso il problema si risolve con l’esprorio, nel secondo la banca
si avvia al fallimento. Mentre il passo falso sulla capacità di
rimborso del cliente può essere dovuto ad un errore da eccesso di
ottimismo, al comodo adeguarsi alle spinte della Fed verso il credito facile
a sostegno della domanda interna, alla considerazione che – prima o poi –
l’erario (cioè tutti i cittadini) aiuterà il sistema, il sommare a
questo errore la decisione di non proteggere il proprio credito con le
adeguate e garanzie ipotecarie (non diciamo prudenziali, ma almeno alla pari)
è azione pianificata e non imputabile a fatalità, anche alla
luce delle dimensioni del fenomeno. Se a ciò aggiungiamo la decisione
di spalmare tempestivamente e con destrezza questa marmellata putrida sul
sistema finanziario internazionale, parlare di “evento sfuggito di mano”
è del tutto fuori posto.
Ma se così stanno le cose, non
possiamo non orientare i nostri sospetti sull’intero sistema bancario
statunitense e non su qualche cattivo ed affamato manager; sulla comprensione
delle autorità di controllo e non sulla loro distrazione; sulla spinta
delle autorità a non calcare la mano sulle garanzie da richiedere, e
non sulla più innocente spinta a non calcare la mano sulla valutazione
circa la capacità di rimborso dei richiedenti.
Non a caso assistiamo ad un
comprensivo intervento del governo americano certamente orientato ad aiutare
le povere banche americane colpite dalla vicenda sub prime,
cinica e bara. Non a caso in Gran Bretagna questo è già
avvenuto.
Si veda la vicenda di IndyMac
Bank e del suo
fallimento. Questa volta è colpa di un senatore, accusato di aver
denunciato la cattiva gestione della banca. Illuminante: crediti facili (tanto le
istituzioni interverranno), intervento di organismi istituzionali (come
preventivato), polverizzazione su migliaia di cittadini Usa (depositanti,
azionisti, investitori ecc.) del guaio finanziario, valutato in 4 – 8
miliardi di dollari. Colpevole chi ha informato di come stavano le cose.
Inquietante.
Investitori, azionisti, depositanti
del pianeta (anche americani) stanno pagando questa operazione posta in
essere con il concorso del più poderoso sistema finanziario del mondo.
Si parla di 700 miliardi di dollari a
carico dei bilanci delle prime 20 banche. Se rimanesse in capo ad esse,
avrebbe effetti insostenibili. Ben più accettabile se “condiviso” da
milioni di cittadini di qualche decina di nazioni.
E’ situazione accettabile?
Dove sbaglio?
L’FBI
sta indagando sulle truffette di qualche decina di
funzionari scalcagnati. Ma forse dovrebbe battere altre strade ed indagare
altri comportamenti.
Invito commovente.
Da La
Repubblica 12-7-2008
Fannie Mae e Freddie Mac. Si allarga la
crisi dei mutui
Nel grande
"gorgo" rischiano di entrare due onorate istituzioni Usa che da
decenni erogano agli americani i prestiti per la casa.
Due nuove falle si sono aperte all'improvviso nel
sistema creditizio americano, trascinando al ribasso le Borse mondiali e il
dollaro. Se cede la diga, si preannuncia una crisi ancora più grave di
quella esplosa l'estate scorsa, e ancora una volta il contagio è
destinato a estendersi all'Asia e all'Europa. Le due nuove falle si chiamano Fannie Mae e Freddie Mac.
Sono due nomi sconosciuti nel resto del mondo, ma familiari agli americani
per la loro funzione vitale: da loro dipende l'erogazione dei mutui normali,
quelli "sani", considerati sicuri fino a ieri. I loro prestiti
valgono 5.200 miliardi di dollari. Per avere un ordine di grandezza, quel
volume di prestiti è pari al 58% dell'intero debito pubblico
americano. Se crollano queste due istituzioni, la crisi dei mutui
"subprime" sembrerà una modesta avvisaglia in confronto a
questa deflagrazione. Fannie Mae
fu creata nel 1938 dopo il decennio della Grande Depressione: figlia del New
Deal di Franklin Roosevelt, è la prima banca di natura semipubblica
che ha per unico scopo l'erogazione di mutui-casa a "prezzi
politici" controllati dal governo. Il suo successo nel diffondere tra la
middle class americana la proprietà delle abitazioni è il
fondamento del "sogno americano". Insieme con Freddie
Mac, la sua istituzione gemella, queste due
maxi-banche di credito fondiario hanno perso nelle ultime tre sedute di Borsa
il 90% del loro valore azionario. Un ex dirigente della banca centrale Usa le
ha dichiarate "già insolventi a norma di legge".
Ieri sono dovuti intervenire a mercati aperti George Bush e il segretario al
Tesoro Henry Paulson per tentare di calmare il
panico. "Sono due istituzioni molto importanti", ha dichiarato il
presidente. "Oggi la mia preoccupazione primaria è
sostenerle", gli ha fatto eco il suo ministro. Ma neppure questi
interventi hanno frenato il fuggi fuggi degli investitori. Paulson
ha smentito per ora l'ipotesi di una nazionalizzazione, ma più passa
il tempo e più questa appare come una delle opzioni sul tappeto.
Sarebbe il più gigantesco e costoso salvataggio bancario nella storia
mondiale dagli anni Trenta ai nostri giorni.
Il compito istituzionale di "Fannie e Freddie" è vitale per la salute dell'economia
reale. Sono loro a finanziare il 50% di tutti i mutui americani. Ma la loro
quota sale all'80% dei mutui - quelli regolari, non scadenti - fino a un
valore unitario di 417.000 dollari, che è la soglia al di sotto della
quale scatta l'intervento delle due banche semipubbliche. E negli ultimi mesi
a causa della paralisi del business dei mutui la loro quota del credito
immobiliare è salita fino al 98% di tutti i nuovi prestiti. Anche
quando una famiglia ottiene il suo prestito dalla Citibank o dalla Bank of America, oppure da una
piccola banca locale, in realtà il finanziatore di ultima istanza
è uno dei due "gemelli". Sono Fannie
e Freddie che ricomprano i mutui dalle banche
ordinarie; ne garantiscono il finanziamento emettendo dei titoli
obbligazionari che vengono a loro volta comprati e finiscono nei portafogli
delle banche, dei fondi d'investimento, dei risparmiatori. Titoli
ultra-sicuri - sempre fino a ieri - non come quella "spazzatura"
che ha infestato il sistema finanziario mondiale dalla crisi dei mutui
subprime.
La tempesta che si è abbattuta su Fannie e Freddie colpisce quella che doveva essere la zona solida
del sistema. Ora che si è dileguata la fiducia anche in queste
istituzioni onorate, il contagio della crisi può diventare spaventoso.
Finora la caduta dei valori delle case ha colpito duramente le fasce sociali
più deboli.
Le famiglie a rischio, quelle che stentavano ad arrivare a
fine mese, erano strangolate dai mutui subprime. Ma se ora l'intero
credito immobiliare si paralizza, il colpo diventa ben più esteso e più
pesante. Nessuno è al riparo, neanche i cittadini dai redditi medioalti riusciranno a ottenere un prestito per la casa.
Perciò Fannie e Freddie
sono davvero l'ultimo argine prima di un collasso generale.
All'origine di questo disastro c'è, paradossalmente, un eccesso di
fiducia. Proprio perché Fannie e Freddie erano al di sopra di ogni sospetto, facevano un
mestiere che pareva di assoluta tranquillità, le autorità non
hanno mai preteso che questi due istituti avessero una dotazione di capitale
molto solida. I rischi del prestar soldi per la casa a clienti fidati
dovevano essere bassissimi, non c'era bisogno di cautelarsi con
accantonamenti eccessivi. Ma ora che i valori del mattone sono in caduta
libera, nessuno è più al riparo dalla spirale delle perdite.
Anche la clientela più affidabile comincia ad avere difficoltà
a rimborsare le rate dei mutui. Pignoramenti e sequestri giudiziari
colpiscono non più soltanto il popolo "povero" dei subprime
ma anche altre categorie sociali. Di fronte all'aumento delle insolvenze, la
dotazione di capitale di Fannie Freddie
appare del tutto insufficiente.
Nei bilanci di Fannie e Freddie
è apparso un buco di 11 miliardi di dollari in nove mesi, ed è
opinione generale che questo sia solo un assaggio. L'allarme partito un anno
fa dalla crisi dei subprime appare come un segno premonitore della crisi
odierna che arriva ai gangli vitali. Lo ha riconosciuto il banchiere centrale
degli Stati Uniti, il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke.
In una testimonianza al Congresso ha dichiarato che
"l'instabilità finanziaria iniziata nell'estate 2007 ha menomato la
capacità del sistema finanziario di funzionare normalmente, e colpisce
negativamente l'intera economia reale". Bernanke
ha previsto che l'instabilità possa prolungarsi nel 2009. Ad
accentuare la paura dei mercati, travolgendo le Borse e il dollaro, sono
state le voci sempre più insistenti di un piano di salvataggio
pubblico per Fannie e Freddie
riprese sia dal New York Times che dal Wall Street Journal.
Già nei giorni scorsi la Federal Reserve ha compiuto un passo significativo, estendendo il
credito d'emergenza al sistema bancario che era stato varato dopo il crac di
Bear Stearns. Quella banca d'affari fu salvata appena quattro mesi fa:
l'operazione venne presentata come un'acquisizione da parte della JP Morgan, in realtà si fece grazie
all'iniezione di fondi pubblici da parte della Federal
Reserve. Il salvataggio di Bear Stearns è
poca cosa in confronto a quel che sarebbe un'operazione di recupero in
extremis di Fannie e Freddie:
nel caso estremo in cui il volume dell'esposizione di Fannie
e Freddie dovesse finire sotto la
responsabilità del governo federale, secondo alcuni economisti questo
equivarrebbe a un robusto aumento del debito pubblico nazionale, con le inevitabili
ripercussioni negative sull'aumento dei tassi e della pressione fiscale. In
cambio la Federal Reserve
ora chiede - un po' tardi - un potenziamento dei suoi poteri di controllo
sulle banche d'investimento. Che prenda le forme di una nazionalizzazione
oppure no, il salvataggio sarà un salasso per i conti pubblici.
Sotto un'amministrazione repubblicana - come ai tempi di Ronald Reagan per il
crac delle Savings&Loans - avverrebbe un
allargamento dell'intervento dello Stato senza precedenti dal New Deal di
Roosevelt.
(12 luglio
2008)
Il Sole 24 Ore (12-7-2008)
Usa:
fallisce la IndyMac Bank. Si aggrava la crisi finanziaria. di
Marco Valsania
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Le autorità americane sono state costrette a
rilevare la IndyMac Bank, una delle principali casse di risparmio americane
specializzate in mutui.
Il collasso dell'istituto, consumatosi nella notte, e' uno dei piu' grandi fallimenti bancari nella storia degli Stati
Uniti: IndyMac ha asset per 32 miliardi
di dollari. L'istituto riaprira' i
battenti lunedi' mattina sotto la gestione
dell'agenzia federale Federal Deposit
Insurance Corp. (Fdic).
Il fallimento costera' alla Fdic,
e quindi ai contribuenti, tra i 4 e gli otto miliardi di dollari, prelevati
dal suo fondo che assicura i depositi bancari e che oggi dispone di 53
miliardi di dollari. Il collasso piu' grave tra le
banche americane e' stato, nel 1984, quello della Continental Illinois
National Bank & Trust con asset
per 40 miliardi di dollari.
Il fallimento di IndyMac e l'intervento governativo
sono diventati il segno piu' evidente del continuo
aggravarsi della crisi dei mutui e del credito. Le autorita'
temono che il crack nel settore finanziario non sara'
l'ultimo. Negli ultimi giorni anche la crisi dei colossi dei mutui Fannie Mae e Freddie
Mac ha scatenato voci di possibili e
colossali salvataggi pubblici in arrivo.
Nella vicenda di IndyMac una delle agenzie di
regolamentazione bancaria, l'Office of Thrift Supervision, ha accusato l'influente senatore
democratico Charles Schumer di essere responsabile
del fallimento: avrebbe seminato il panico inviando a fine giugno una lettera
alle autorita' che metteva in dubbio la solidita' finanziaria della banca. Negli undici giorni
successivi i risparmiatori hanno ritirato ben 1,3 miliardi in depositi. Ma Schumer ha risposto che la responsabilita'
e' invece tutta dell'inadeguata supervisione: le autorita'
federali avrebbero dovuto svolgere il loro compito di controllo, impedendo
alla banca di utilizzare irresponsabili pratiche nei prestiti immobiliari.
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