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Il PuntO  Documento inserito il 16-3-2008


 

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Il PuntO 127

 

“Novelli – mi disse il professor Moro – non posso darle più di 26”.

 

Di Mauro Novelli  16-3-2008

 

 

Insegnava Diritto e Procedura penale alla facoltà di Scienze politiche della Sapienza.

Il ’68 degli studenti si era trasformato nel ’69 operaio. Si studiava due volte: la prima per superare “borghesemente” l’esame; la seconda per sostenere col professore di turno una posizione critica acquisita attraverso studi e letture considerati non ortodossi. Le commissioni studentesche non permettevano ai docenti di evitare – se lo studente lo avesse richiesto - la prosecuzione della “seduta” in “un’ottica paritetica, non d’esame, finalmente rivoluzionaria”.

Alla Sapienza, la facoltà di Scienze Politiche (di sinistra) confinava con Giurisprudenza (di destra) ed era spesso luogo di spedizioni punitive da parte degli studenti di Legge. In numero nettamente inferiore, noi scienziati politici dovevamo ricorrere spesso all’aiuto dei rivoluzionari di Lettere per contro spedizioni. Avevamo conquistato l’Aula XIII, primo nucleo di una comune culturale di studenti rivoltosi. Nell’Aula  XIII si tenevano le assemblee, si dibatteva, si prendevano le decisioni in nome e per conto del proletariato mondiale.

Il grande corridoio della facoltà, sul quale davano molte delle aule, compresa la XIII, vedeva lo svolgersi della vita di facoltà, una sorta di piazza dove incontrarsi, discutere, questionare con i colleghi un po’ indifferenti (se non ostili), con quelli controrivoluzionari da evangelizzare. Alcuni ci prendevano in giro: “Ma in caso di pioggia, la rivoluzione si terrà al coperto?”. Si rideva seriamente.

Quel grande corridoio era anche il luogo di incontro-scontro culturale con i professori, almeno con quelli che continuavano a svolgere con scrupolo  la loro attività di docenti, pur in momenti di grande tensione.

Non ricordo una sola assenza del professor Moro, se non per motivi istituzionali. Le sue lezioni di Penale si svolgevano implacabilmente nelle ore definite.

Aveva un’abitudine, il professor Moro: entrava in facoltà abbastanza in anticipo. Si presentava nel grande corridoio con la sua scorta. Li ricordo tutti, a cominciare da un giovane  Leonardi…..

Moro veniva subito circondato dai rivoluzionari; coinvolto in discussioni che spaziavano dalla politica contingente, alle meravigliose sorti di un pianeta senza ingiustizie; articolava le sue posizioni, teneva testa, contrastava. Insomma, insegnava anche in corridoio.

Poi entrava in aula per la sua lezione. Al termine, altra mezz’ora di confronto, spesso animoso da parte nostra ma mai oltre misura, in corridoio circondato dai rivoluzionari, comunque suoi studenti.

Con quel professore si cresceva.

Fine novembre 1969. “Novelli – sentenziò il professor Moro al termine dell’esame – non posso darle più di ventisei”.

Accettai, ma decisi di coinvolgerlo (la seduta proseguiva come contro-cultura) su un argomento che mi aveva particolarmente colpito nel corso dei miei studi “alternativi” di Penale: il capovolgimento apportato dai giuristi papalini, rispetto al diritto romano, circa i risvolti giudiziari della contumacia dell’imputato. I magistrati romani sospendevano il giudizio - anche di omicidio - se l’accusato non era presente. Con l’Inquisizione, il diritto curiale  considerò quell’assenza una prova della colpevolezza, anzi, una vera e propria confessione. Al termine del confronto, Moro mi disse: “Novelli, forse le do ventotto…”. Rifiutai, sproloquiando sul fatto che quell’intervento finale, in coda all’esame, non aveva lo scopo di  “dimostrare”, ma quello di “contro-informare”. Prese il libretto, lesse i miei riferimenti anagrafici: “Lei è sabino…”. Annuii: “Una delle zone più povere dell’Italia centrale…., ma innestammo il senso del sacro nel rozzo corpo sociale dei romani…”. Moro mi guardò per un attimo, sereno. Poi, mentre scriveva il voto, mi disse: “Novelli, da laureato cerchi di tornare nella sua terra, altrimenti continuerà ad impoverirsi…”.

Lavoravo in banca quando in via Fani i proletari planetari ammazzarono Leonardi e  gli altri,  e rapirono il professor Moro.

Ripensai a quel ventisei: era diventato un ventisei e lode.