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Il PuntO n°
127 “Novelli – mi disse il professor Moro – non posso darle
più di Di Mauro Novelli 16-3-2008 Insegnava Diritto e Procedura penale
alla facoltà di Scienze politiche della Sapienza. Il ’68 degli studenti si era
trasformato nel ’69 operaio. Si studiava due volte: la prima per superare
“borghesemente” l’esame; la seconda per sostenere col professore di turno una
posizione critica acquisita attraverso studi e letture considerati non
ortodossi. Le commissioni studentesche non permettevano ai docenti di evitare
– se lo studente lo avesse richiesto - la prosecuzione della “seduta” in
“un’ottica paritetica, non d’esame, finalmente rivoluzionaria”. Alla Sapienza, la facoltà di
Scienze Politiche (di sinistra) confinava con Giurisprudenza (di destra) ed
era spesso luogo di spedizioni punitive da parte degli studenti di Legge. In
numero nettamente inferiore, noi scienziati politici dovevamo ricorrere
spesso all’aiuto dei rivoluzionari di Lettere per contro spedizioni. Avevamo
conquistato l’Aula XIII, primo nucleo di una comune culturale di studenti
rivoltosi. Nell’Aula
XIII si tenevano le assemblee, si dibatteva, si prendevano le
decisioni in nome e per conto del proletariato mondiale. Il grande corridoio della
facoltà, sul quale davano molte delle aule, compresa
la XIII, vedeva lo svolgersi della vita di facoltà, una sorta di
piazza dove incontrarsi, discutere, questionare con i colleghi un po’
indifferenti (se non ostili), con quelli controrivoluzionari da
evangelizzare. Alcuni ci prendevano in giro: “Ma in caso di pioggia, la
rivoluzione si terrà al coperto?”. Si rideva seriamente. Quel grande corridoio era anche il
luogo di incontro-scontro culturale con i professori, almeno con quelli che
continuavano a svolgere con scrupolo la loro attività di docenti,
pur in momenti di grande tensione. Non ricordo una sola assenza del
professor Moro, se non per motivi istituzionali. Le sue lezioni di Penale si
svolgevano implacabilmente nelle ore definite. Aveva un’abitudine, il professor
Moro: entrava in facoltà abbastanza in anticipo. Si presentava nel
grande corridoio con la sua scorta. Li ricordo tutti, a cominciare da un
giovane Leonardi….. Moro veniva subito circondato dai
rivoluzionari; coinvolto in discussioni che spaziavano dalla
politica contingente, alle meravigliose sorti di un pianeta senza
ingiustizie; articolava le sue posizioni, teneva testa, contrastava. Insomma,
insegnava anche in corridoio. Poi entrava in aula per la sua
lezione. Al termine, altra mezz’ora di confronto, spesso animoso da parte
nostra ma mai oltre misura, in corridoio circondato dai rivoluzionari,
comunque suoi studenti. Con quel professore si cresceva. Fine novembre 1969. “Novelli –
sentenziò il professor Moro al termine dell’esame – non posso darle
più di ventisei”. Accettai, ma decisi di coinvolgerlo
(la seduta proseguiva come contro-cultura) su un argomento che mi aveva
particolarmente colpito nel corso dei miei studi “alternativi” di Penale: il
capovolgimento apportato dai giuristi papalini, rispetto al diritto romano,
circa i risvolti giudiziari della contumacia dell’imputato. I magistrati
romani sospendevano il giudizio - anche di omicidio - se l’accusato non era
presente. Con l’Inquisizione, il diritto curiale considerò quell’assenza una
prova della colpevolezza, anzi, una vera e propria confessione. Al termine
del confronto, Moro mi disse: “Novelli, forse le do ventotto…”. Rifiutai,
sproloquiando sul fatto che quell’intervento finale, in coda all’esame, non
aveva lo scopo di “dimostrare”,
ma quello di “contro-informare”. Prese il libretto, lesse
i miei riferimenti anagrafici: “Lei è sabino…”. Annuii: “Una delle zone
più povere dell’Italia centrale…., ma
innestammo il senso del sacro nel rozzo corpo sociale dei romani…”. Moro mi
guardò per un attimo, sereno. Poi, mentre scriveva il voto, mi disse:
“Novelli, da laureato cerchi di tornare nella sua terra, altrimenti continuerà
ad impoverirsi…”. Lavoravo in banca quando in via Fani
i proletari planetari ammazzarono Leonardi e
gli altri, e rapirono il
professor Moro. Ripensai a quel ventisei: era
diventato un ventisei e lode. |