PRIVILEGIA
NE IRROGANTO Documento
inserito il: 8-10-2012 |
|
|||
DOCUMENTI CORRELATI |
Il big bank prossimo venturo. |
|
||
|
||||
|
||||
Da Pubblico 8-10-2012
Le banche tedesche? Una bomba a orologeria
Mentre le istituzioni europee e i
governi nazionali sembrano ipnotizzati
dal problema del debito pubblico, è probabile che la prossima
crisi in Europa sarà una crisi bancaria. La cosa, visti i soldi già spesi dai
governi per salvare le banche in Europa (all’incirca 4mila miliardi di euro),
può sembrare parecchio strana. Ma la cosa più strana è un’altra:
probabilmente questa crisi avrà il suo epicentro non nei cosiddetti “paesi
periferici” ma nel centro dell’Europa. Ossia in Francia e – soprattutto – in Germania. In Francia, a dire il vero, una
crisi bancaria è già in corso: una banca specializzata (guarda un
po’) in mutui immobiliari, il Crédit Immobilier de France, è prossima al fallimento. Quasi
certamente non riuscirà a ripagare un’obbligazione da 1,75 miliardi di euro
in scadenza questo mese, e dovrà provvedere lo Stato francese. Ma si stima
che complessivamente le garanzie pubbliche che dovranno essere messe in campo
a sostegno di questa banca saranno dell’ordine di 20 miliardi di euro. Come
dire, due terzi della manovra di Hollande. Non c’è
male. Ma il fronte più caldo, almeno
potenzialmente, è un altro, e riguarda la banche più grandi del paese: il
valore delle attività di trading di BNP, Société Générale, Crédit Agricole e Natixis ammonta attualmente a qualcosa come 2.050
miliardi di euro, una cifra non molto inferiore all’intero prodotto interno
lordo della Francia. Le attività di trading in azioni, obbligazioni e
derivati sono cresciute del 21% in un anno e per quanto riguarda BNP e Société Générale superano ormai
il 30% del totale delle attività di queste banche. Ma se prendiamo il trading
in derivati la crescita è ancora maggiore: +48% per BNP, +38% per Société Générale. Queste cifre significano due cose: che i
rischi di mercato assunti da queste banche crescono, e – viste le cifre in
gioco – che si può parlare di rischio sistemico. Ma in confronto a quello che
accade in Germania i problemi delle maggiori banche francesi impallidiscono.
La Germania ha tuttora uno dei sistemi bancari meno concentrati e meno
efficienti dell’intera Europa (circa 1200 banche). Basti pensare alle numerose Sparkassen (tradizionalmente vicine alla CDU), alle Landesbanken (fu una di esse la prima banca a fallire nel
2007, e molte sono tuttora in cattive acque) e alle Volksbanken.
Ma il governo tedesco, che mesi fa poneva come condizione per ulteriori
interventi europei a sostegno delle banche spagnole la realizzazione di
un’unione bancaria europea, non appena questa unione bancaria ha assunto la
forma di una concreta proposta di accentrare la sorveglianza bancaria in
Europa presso la Bce, ha cominciato a frenare: con il ministro delle finanze
tedesco Schäuble che è subito intervenuto chiedendo che questa
sorveglianza valesse soltanto per pochissime grandi banche. È stato fin troppo facile
rispondergli che non sono soltanto le grandi banche a esprimere rischi
sistemici: basti pensare a quello che è successo dopo il fallimento
(con salvataggio governativo in extremis) di Northern
Rock nel Regno Unito. E del resto è la stessa situazione spagnola a mostrarci
che effetti possono avere i fallimenti di tante banche piccole e medie. È corretto però affermare che oggi i
maggiori rischi del sistema bancario tedesco non vengono dalle banche piccole
e medie, ma da quella più grande: la Deutsche Bank.
Con un bilancio pari all’80% circa dell’intero prodotto interno lordo della
Germania, Deutsche Bank è
una delle maggiori banche mondiali. Ma è anche una delle più
sottocapitalizzate. Secondo i dati forniti da Bloomberg, il 30 giugno scorso
di quest’anno era al quintultimo posto tra le 24 maggiori banche europee
quanto a patrimonio (il cosiddetto “Tier 1 capital
ratio”). In apparenza sembrerebbe non pas- sarsela troppo male, con
un Tier 1 al 10,1% (le banche italiane, ad esempio,
stanno peggio). Il problema però è che questo dato è ottenuto utilizzando “risk-weighted assets”, ossia
una ponderazione di rischio diversa a seconda delle attività. Questo tipo di
misurazione è apparentemente corretta, perché i rischi di perdita sono
effettivamente diversi a seconda delle attività della banca. Ma è anche
alquanto arbitraria: basti pensare che sino a non molto tempo fa i titoli di Stato e
dell’Eurozona erano considerati tutti indistintamente a rischio zero. Il modo più corretto per valutare
l’adeguatezza del capitale di una banca è quindi un altro: misurare la “leva”
(leverage ratio), cioè mettere a confronto il
bilancio complessivo della banca con la sua dotazione di capitale. Bene,
recentemente Simon Johnson, ex capo economista del Fondo Monetario
Internazionale e oggi al Peterson Institute, ha fatto questo esercizio. E il risultato è
questo: le attività di Deutsche Bank
ammontano a 2.241 miliardi di euro, a fronte di un capitale di 55,75 miliardi
di euro. In altre parole, il
capitale di Deutsche Bank
ammonta a poco meno del 2,5% rispetto agli assets
della banca. Che è come dire che perdite del 3% sul totale
del portafoglio della banca sa- rebbero più che
sufficienti ad azzerare il capitale della banca. Ossia a farla fallire.
Né più né meno di quanto è successo a Lehman
Brothers, la banca d’affari
americana fallita nel 2008, la quale del resto aveva una leva di appena 24
volte il capitale, a fronte del 40 medio delle banche tedesche. Ma nonostante questo i nuovi coamministratori delegati della Deutsche
Bank, Anshu Jain e Jürgen Fitschen, così come il loro predecessore Josef Ackermann, continuano a ritenere che la priorità non sia
il rafforzamento del capitale, ma il suo rendimento: e hanno fissato un
obiettivo di rendimento annuo del 12,5% dopo le tasse. Questo significa
necessariamente continuare ad assumere rischi molto rilevanti. Al momento il tutto è reso più
semplice, tanto per Deutsche Bank,
quanto per le altre banche tedesche, dal fatto che il basso rendimento dei
titoli di Stato tedeschi (di fatto negativo, ossia inferiore al tasso di
inflazione) si riflette positivamente anche sul costo di raccolta delle
banche: in con- creto, oggi una banca tedesca ha un
costo del capitale inferiore del 2-3% a quello di una banca italiana. Ma è una situazione che non può
durare all’infinito. Un
peggioramento della situazione economica europea è tutt’altro che una remota
possibilità. È ormai molto probabile che l’approfondirsi
della recessione in Europa coinvolga anche la Germania (già ora le previsioni
di crescita per il 2013 sono prossime allo zero). Ma più in generale
l’economia mondiale è in vistoso rallentamento, e alla luce di quanto sta
accadendo in Medio Oriente anche uno shock sul prezzo delle materie prime
energetiche non può affatto essere escluso. Per evitare che tutto questo si
traduca in una crisi bancaria, bisognerebbe fare anche in Germania (e in
Francia) quello che è stato fatto in Svizzera: dove UBS e Crédit
Suisse sono state costrette a fare ingenti aumenti
di capitale. Anche per questo sarebbe importante
arrivare quanto prima a una
sorveglianza bancaria europea. Ma le mosse più recenti
proprio del governo tedesco, dalle schermaglie sulle banche di minori
dimensioni per le quali dovrebbero restare competenti organi di vigilanza
nazionali, alla richiesta – di pochi giorni fa – di estendere anche ai paesi
europei che non fanno parte dell’euro la possibilità di decidere sulla
configurazione della sorveglianza bancaria europea, sembrano avere un unico
obiettivo: ritardare questo processo per proteggere ancora una volta le
proprie grandi banche. Da Pubblico dell’8 ottobre 2012 |
||||