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Documento inserito il: 22-12-2012

 

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Pubblico giornale 21-12-2012

«Ce lo chiede l’Europa»: le infrazioni e le lettere ignorate

Di Luca Sappino

 

«Ce lo chiede l’Europa»: le infrazioni e le lettere ignorateIeri, su questo giornale, Domenico Moro e Vladimiro Giacchè ci hanno spiega- to che non è mica vero che l’Europa ci chie- deva tutte queste lacrime e tutto questo sangue e che, soprattutto, non è mica vero che ballavamo sul bordo di un precipizio. Aggiungiamo però un altro pezzo: non è mica vero che, in tempi di tecnici, l’Italia fa tutto ciò che l’Europa chiede.

E lo dimostra il destino toccato, in seguito alla crisi del Governo Monti, al provvedimento cosid- detto «Salva infrazioni», che, accorpato al- la legge di stabilità, è stato ieri approvato dal Senato e oggi dovrebbe trovare il sì (insieme al resto) alla Camera, e che ha cam- biato nome più volte. “Schema di decreto legge recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea”, era il primo.

“Disposizioni urgenti per il superamento delle procedure di infrazione e di pre-infrazione in corso in sede comunitaria”, era il secondo. E l’ultimo, molto più brevemente (e praticamente), è “Disposizioni urgenti volte a evitare l’applicazione di sanzioni dell’Unione europea”. Perché di messaggi, consigli e prescrizioni ignorate ne abbiamo per ogni gusto.

Economia e finanza. Affari esteri e interni. Agricoltura, ambiente e appalti, andando in ordine alfabetico. Comunicazione, con-
correnza, energia, fiscalità e dogane. Giu- stizia, lavoro e libera circolazione di capi- tali, merci e persone. Sempre in ordine al- fabetico: pesca, salute e trasporti.

In totale sono 99 – al 21 novembre, segnando, è pur vero, il miglior dato di sempre – le cose che l’Europa ci chiede e che noi, puntualmente, ignoriamo. Sentenze, messe in mora, ricorsi, pareri: ogni settore della vita amministrativa dello Stato ha il suo bel pacchetto di lettere firmate Ue, vuoi per il mancato recepimento delle direttive euro- pee (17 casi), vuoi per una più smaccata violazione del diritto dell’Unione (82 casi). Le risposte però, arrivano raramente.

Se andiamo a ritroso nel tempo, scopriamo che a luglio erano 125, a giugno erano 116, quindi meno, nonostante tre new entry: una procedura sull’impatto ambientale dell’aeroporto di Malpensa, una sulla raccolta dei rifiuti nei comuni di Varese e Casciago, e una sull’attribuzione del servizio di intercettazione telefonica, ovvero «sull’applicazione della direttiva 2004/18/CE», quella sugli appalti. Nel gennaio dello stesso anno erano 138, quindi di più. Un anno prima, nel gennaio 2011, erano 144, ancora di più, ma non il record, che ci spinge oltre le 200. Nel gennaio 2010, invece, si arrivava in scioltezza a 150. Stes- so mese del 2009, 156: un numero che pare quasi ridimensionare quello di oggi.

Cosa ci chiede l’Europa? Ad esempio ci chiede conto del “non corretto recepimento” della direttiva 2007/60 relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi alluvionali. Non proprio una fesseria, se pensate alle sempre più frequenti immagini di città sommerse dal fango. Oppure ci chiede conto della “cattiva applicazione” della direttiva 95/16 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di ascensori.

Minuzie? Mica tanto. La direttiva è di 17 anni fa mette dei paletti sulla costruzione e sulla sicurezza degli impianti. Se è importante o meno, potremmo chiederlo a tutti quelli che, bloccati a metà tra un piano e l’altro, si fanno prendere dalla paura di precipitare.

Abbiamo invece risposto al mancato inserimento da parte del ministero della Salute di alcuni principi attivi: l’Imidacloprid, l’Abamectina, il Fenoxicarb, il Binefrin e il 4,5-dicloro-2-ottil-2H-isotiazol-3-one, che forse era troppo complicato da trascri- vere e per questo è rimasto in sospeso.

I nostri benzinai poi, pare puzzino più di quelli degli altri. C’è infatti – anche questo recuperato – il «mancato recepimento del- la direttiva 2009/126 del Parlamento e del Consiglio relativa al recupero di vapori di benzina durante il rifornimento dei veicoli nelle stazioni di servizio». Date dunque retta ai cartelli: non fumate mentre state facendo il pieno.

Poi ci sono le reti da pesca (la cui infrazione ci siamo trascinati dal lontano 1992, esattamente come si trascinano le reti in questione, incapaci di selezionare il pescato e per questo proibite), gli orari di lavoro, le accise sul tabacco. I livelli di PM10, cioè la qualità dell’aria che ci respiriamo in città, ovvia- mente, ma anche le deroghe alla normativa sulla caccia della Regione Sardegna (archiviata solo a settembre) e del Veneto. Oppure (e queste pende ancora) la limitazione, da parte della Federazione Italiana Nuoto, del numero dei giocatori di pallanuoto cittadini dell’UE.

La commercializzazione dei sacchetti di plastica, la discarica della Regione Lazio – quella di Malagrotta – e l’affidamento del servizio di trasporto turistico del Comune di Roma: per capirci, i pullman a due piani, quelli con il piano alto scoperchiato e i tu- risti con l’insolazione. Poi i botti: «Mancato recepimento della direttiva 2012/4/UE del- la Commissione», relativa all’istituzione di un sistema di identificazione e tracciabilità degli esplosivi per uso civile.

Infine – e sicuramente interessa a Renato Balduzzi, ministro della Salute – l’Europa ci ha lungamente richiamato all’ordine per superare gli «ostacoli all’importazione in Italia di apparecchi d’intrattenimento», i videogiochi. Al ministro che ha condotto (e perso) la battaglia contro le slot machine, interesserà sapere che il loro proliferare, secondo il parere della Commissione europea, è favorito dalle norme troppo restrittive che l’Italia ha scelto per l’altra metà del settore, quella senza vincite in denaro. Vi ricordate quando nei bar passavate ore con i vostri amici anche solo a guardare altri giocare? Se ora, al posto del vostro amichetto, c’è un pensionato che si gioca la pensione, non è un caso.

Ma quanto ci costano le infrazioni? Sicuramente più delle multe di Fioroni, della pasta al caviale di Lusi e delle ostriche di Fiorito, di tutti i casi “scandalo” che hanno riempito pagine e pagine di quotidiani. Sara Ligutti, nel suo Fuori legge (Editori Internazionali Riuniti, 2011) spiega: «l’importo della sanzione viene determinato sulla base di tre criteri fondamentali: la gravità dell’infrazione, la sua durata, la necessità di garantire l’efficacia dissuasiva della sanzione».

Non c’è scopo di lucro, dunque: ci multano, quando ci multano, per farci cambiare abitudine. «L’importo – continua sempre Ligutti – si calcola moltiplicando una cifra forfettaria di base uniforme per un coefficiente di gravità e uno di durata». Il tutto viene poi moltiplicato per un fattore “n”, che tiene conto delle capacità finanziarie dello Stato membro in infrazione. Le multe quindi sono educative, e pure eque. Altro che maestra cattiva, penne rosse e compiti a casa.

I compiti a casa: l’incubo di tutti gli scolari e, da qualche mese, di molti italiani. Perché l’Europa, abbiamo visto, ci chiede con riferimenti precisi, sentenze e giudizi, un sacco di cose. Noi spesso (ma non sempre) prendiamo tempo o facciamo finta di nulla. Eppure «Ce lo chiede l’Europa» è stato per mesi il leitmotiv della politica italiana, anzi della “tecnica”.

«Ce lo chiede l’Europa» e via a riformare pensioni e contratti, tagliare bilanci e investimenti: una lettera firmata da «istituzioni comprensibilmente preoc- cupate» – come ripete sempre il ministro Fornero – ridisegna il destino di tutti. «Ce lo chiede l’Europa» diventa sinonimo di «non possiamo fare altrimenti». Come se, dall’Europa, non arrivassero stimoli diversi, che forse avrebbero fatto versare meno lacrime e meno sangue, e avrebbero restituito il sorriso a molti italiani.

Una lettera, ad esempio, ricorda che l’Italia è, con Grecia e Ungheria (ma guarda un po’), l’unico paese europeo a non avere una qualche forma di reddito minimo di cittadinanza: ci chiedono di adeguarci anche su quello, con ben quattro diverse raccomandazioni (la più vecchia di 20 anni fa), ma non fa niente. «Ce lo chiede l’Europa», della serie: ognuno sente quel che vuol sentire.