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Marco Polo
IL MILIONE
[Nota: il simbolo † indica
lacune nel manoscritto originario]
1
Signori imperadori, re e duci e tutte altre genti
che volete sapere le diverse generazioni delle genti e le diversità
delle regioni del mondo, leggete questo libro dove le troverrete tutte le
grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti d'Erminia, di Persia e di
Tarteria, d'India e di molte altre province. E questo vi conterà il
libro ordinatamente siccome messere Marco Polo, savio e nobile cittadino di
Vinegia, le conta in questo libro e egli medesimo le vide. Ma ancora v'à
di quelle cose le quali elli non vide, ma udille da persone degne di fede, e
però le cose vedute dirà di veduta e l'altre per udita,
acciò che 'l nostro libro sia veritieri e sanza niuna menzogna.
Ma io voglio che voi sappiate che poi che Iddio
fece Adam nostro primo padre insino al dí d'oggi, né cristiano né pagano,
saracino o tartero, né niuno uomo di niuna generazione non vide né cercò
tante maravigliose cose del mondo come fece messer Marco Polo. E però
disse infra se medesimo che troppo sarebbe grande male s'egli non mettesse in
iscritto tutte le maraviglie ch'egli à vedute, perché chi non le sa
l'appari per questo libro.
E sí vi dico ched egli dimorò in que' paesi
bene trentasei anni; lo quale poi, stando nella prigione di Genova, fece
mettere in iscritto tutte queste cose a messere Rustico da Pisa, lo quale era
preso in quelle medesime carcere ne gli anni di Cristo 1289.
2
Lor partita di Gostantinopoli.
Egli è vero che al tempo che Baldovino era
imperadore di Gostantinopoli — ciò fu ne gli anni di Cristo 1250 —,
messere Niccolaio Polo, lo quale fu padre di messere Marco, e messere Matteo
Polo suo fratello, questi due fratelli erano nella città di
Gostantinopoli venuti da Vinegia con mercatantia, li quali erano nobili e savi
sanza fallo. Dissono fra loro e ordinorono di volere passare lo Gran Mare per
guadagnare, e andarono comperando molte gioie per portare, e partironsi in su
una nave di Gostantinopoli e andarono in Soldania.
Quand'e' furono dimorati in Soldania alquanti dí,
pensarono d'andare piú oltre. E missonsi in camino e tanto cavalcarono che
venne loro una ventura che pervennero a Barca, re e signore d'una parte de'
Tarteri, lo quale era a quel punto a Bolgara. E lo re fece grande onore a
messere Niccolaio e a messere Matteo ed ebbe grande allegrezza della loro venuta.
Li due fratelli li donarono delle gioe ch'egli avevano in gran quantità,
e Barca re le prese volentieri e pregiogli molto; e donò loro due
cotanti che le gioie non valevano.
3
Quando furono stati un anno in questa città,
si levò una guerra tra lo re Barca e Alau, re de' Tarteri del Levante. E
l'uno venne contro all'altro, e qui ebbe gran battaglia e morí una moltitudine
di gente, ma nella fine Alau vinse; sicché per le guerre niuno potea andare per
camino che non fosse preso. E questo Alau era da quella parte donde i dui
frategli erano venuti; ma innanzi potevano eglino bene andare, e misorsi con
loro mercatantia a andare verso levante per ritornare da una parte. E partiti
da Bolgara, andarono a un'altra città la quale à nome Ontaca,
ch'era alla fine delle signorie del Ponente. E da quella si partirono e
passarono il fiume del Tigri e andarono per uno diserto lungo diciotto
giornate; e non trovarono n(i)una abitazione, ma Tarteri che stavano sotto loro
tende e viveano di loro bestiame.
4
Come si partiro dal re Barca.
Quando ebbono passato in ponente overo il diserto,
vennero a una città ch'à nome Baccara, la piú grande e la piú
nobile del paese; e eravi per signore uno ch'avea nome Barac. Quando i due
fratelli vennero a questa città, non poterono passare piú oltre e
dimoró[n]vi tre anni.
Adivenne in que' tempi che 'l signore del Levante
mandò imbasciadori al Gran Cane, e quando vidono in questa città
i due frategli, fecionsi grande maraviglia perché mai none aveano veduto niuno
latino; e fecionne gran festa e dissono loro, s'eglino voleano venire con loro
al Grande Signore e Gran Cane, e egli gli porrebbe in grande istato, perché il
Gran Kane none avea mai veduto nessuno latino. Li dui fratelli risposono:
«Volentieri».
5
Or si misero li due fratelli (a) la via con questi
ambasciadori, e andarono uno anno per tramontana e per uno vento ch'à
nome greco. E prima che là giugnessero, (trovarono) grande maraviglia,
le quali si conteranno poscia.
6
Come giunsono al Gran Cane.
Quando li due frategli vennero al Grande Kane, egli
ne fece grande festa e grande gioia, siccome persona che mai non avea veduto
latino niuno. E dimandògli dello imperadore, che signore era, e di sua
vita e di sua iustizia e di molte altre cose di qua; e dimandògli del
papa e de la chiesa di Roma e di tutti i fatti (e stati) de' cristiani. Li due
frategli rispuosero bene (e saviamente), siccome savi uomini ch'egli erano; e
bene sapéno parlare tartaresco.
7
Come il Grande [Kane] mandò gli due
[fratelli] al papa per amb[asciadori].
Quando lo Grande Signore, che Cablai avea nome,
ch'era signore di tutti li Tartari del mondo e di tutte le province e regni di
quelle grandissime parti, ebbe udito de' fatti de' latini dagli due frategli,
molto gli piacque, e disse fra se stesso di volere mandare mesaggi a messer lo
papa. E chiamò gli due frategli, pregandoli che dovessero fornire questa
ambasciata a messer lo papa. Gli due frategli rispuosero: «Volontieri». Alotta
lo Signore fece chiamare uno suo barone ch'avea nome Cogotal, e disseli che
volea ch'andasse co li due frategli al papa. Quegli rispuose: «Volentieri»,
siccome per signore.
Alotta lo Signore fece fare carte bollate come li
due frategli e 'l suo barone potessero venire per questo viaggio, e impuosegli
l'ambasciata che volea che dicessero, tra le quali mandava dicendo al papa che
gli mandasse 100 uomini savi e che sapessero tutte le 7 arti, e che sapessero
bene mostrare a l'idoli e a tutte altre generazione di là che la loro
legge era tutta altramenti e come ella era tutta opera di diavolo, e che
sapessero mostrare per ragione come la cristia[n]a legge era migliore. Ancora
pregò li due frategli che gli dovessero recare de l'olio de la
làmpana ch'arde al sepolcro (di Cristo) in Gerusalem.
8
Come 'l Grande Kane donò a li due fratell[i]
la tavola de l'oro.
Quando lo Grande Kane ebbe imposta l'ambasciata a
li due frategli e al barone suo, sí li diede una tavola d'oro ove si contenea
che gli mesaggi, in tutte parti ove andassero, li fosse fatto ciò che
loro bisognasse. E quando li mesaggi furo aparecchiati di ciò che
bisognava, presero comiato e misersi in via.
Quando furo cavalcati alquanti die, lo barone
ch'era cogli (due) fratelli non potte piú cavalcare, ch'era malato, e rimase in
una città ch'à nome Alau. Li due frategli lo lasciaro e misersi
in via; e in tutte le parti ov'egli giugneano gli era fatto lo magiore onore
del mondo per amore de la tavola, sicché gli due frategli giunsero a Laias. E
sí vi dico ch'egli penaro a cavalcare tre anni; e questo venne ché non poteano
cavalcare per lo male tempo e per li fiumi ch'eran grandi.
9
Come li due fratelli vennero a la città d' A
[cri].
Or si partiro da Laias e vennero ad Acri del mese
d'aprile ne l'anno 1272; e quivi seppero che 'l papa era morto, lo quale avea
nome papa Clement. Li due frategli andaro a uno savio legato, ch'era legato per
la chiesa di Roma ne le terre d'Egitto, e era uomo di grande ottulitade, e avea
nome messer Tedaldo da Piagenza. E quando li due frategli gli dissero la cagione
perché andavano al papa, lo legato se ne diede grande meraviglia; e pensando
che questo era grande bene e grande onore de la cristianitad[e], sí disse che
'l papa era morto e che elli si soferissoro tanto che papa fosse chiamato, che
sarebbe tosto; poscia potrebbero fornire loro ambasciata. Li due frategli,
udendo ciòe, pensaro d'andare in questo mezzo a Vinegia per vedere loro
famiglie; alora si partiro d'Acri e vennero a Negroponte e poscia a Vinegia. E
qui vi trovò messer Niccolao che la sua moglie era morta, e erane rimaso
uno figliulo di 15 anni, ch'avea nome Marco; e questi è quello messer
Marco di cui questo libro parla. Li due frategli istettero a Vinegia 2 anni
aspettando che papa si chiamasse.
10
Come li due fra[telli] si partiro da Vine[gia] per
tornare al Grande [Kane].
Quando li due frategli videro che papa non si
facea, mossersi per andarne al Grande Cane, e menarne co loro questo Marco,
figliuolo di messer Niccolao. Partirsi da Vinegia tutti e tre, e vennero ad
Acri al savio legato che v'aveano lasciato, e disserli, poscia che papa non si
facea, voleano ritornare al Grande Cane, ché troppo erano istati; ma prima
voleano la sua parola d'andare in Gerusale(m) per portare al Grande Kane de
l'olio de la làmpana del Sepolcro: e 'l legato gliele diede loro.
Andaro al Sepolcro e ebbero di quello olio; e
ritornaro a lo legato. Vede(n)do 'l legato che pure voleano andare, fece loro
grande lettere al Grande Cane, come gli due frategli erano istati cotanto per
aspettare che papa si facesse, per loro testimonianza.
11
Come li due fratelli si partiro d'Acri.
Or si partiro gli due frategli da Acri colle
lettere del legato, e giunsero a Laias. E stando a Laias, udirono la novella
come questo legato ch'aveano lasciato in Acri, era chiamato papa: e ebbe nome
papa Gregorio di Piagenzia. In questo istando, questo legato mandò un
messo a Laias dietro a questi due frategli, ché tornassero adrieto. Quelli con
grande alegrezza tornaro adrieto in su una galea armata che li fece aparechiare
lo re d'Erminia. Or se tornan li due frategli al legato.
12
Come li due fratelli vanno al papa.
Quando li due frategli vennero ad Acri, lo papa
chiamato fece loro grande onore e ricevetteli graziosamente, e diedegli due
frati ch'andassero co loro al Grande Kane, li piú savi uomini di quelle parti:
e l'uno avea nome frate Niccolao da Vinegia e l'altro frate Guiglie(l)mo da
Tripoli. E donògli carte e brivilegi, e impuosegli l'ambasciata che
volea che facessero al Grande Kane. Data la sua benedizione a tutti questi 5 —
cioè li due frati e li due fratelli e Marco, figliuolo di messer
Niccolao —, partirsi d'Acri e vennero a Laias. Come quivi furono giunti, uno
ch'avea nome Bondocdaire, soldano di Babilonia, venne con grande oste sopra
quella contrada, faccendo grande guerra. E li due frati ebbero paura d'andare
piú inanzi, e diedero le carte e li brivilegi a li due frategli, e no andaro
piú oltra; e andaronsine a(l) signore del Tempio quelli due frati.
13
Come li due frate[lli] vegnono a la città di
Chemeinfu, ov 'è lo [ Gran ] de Kane.
Messer Nicc[o]lao e messer Matteo e Marco, figliulo
di messer Niccolao, si misero ad andare tanto che egli si erano giunti ove era
lo Grande Cane, ch'era a una città ch'à nome Chemeinfu, cittade
molto ricca e grande. Quello che trovaro nella via no si conta (ora),
perciò che si conterà inanzi. E penaro ad andare tre anni per lo
male tempo e per li fiumi, ch'erano grandi e di verno e di state, sicché non
poteano cavalcare. E quando il Grande Cane seppe che gli due frategli veniano,
egli ne menò grande gioia e ma(n)dògli i messi incontro bene 40
giornate; e molto furo serviti e 'norati.
14
Come i due fratelli vennero al Grande Cane.
Quando li due frategli e Marco giugnéro a la grande
città, andaro al mastro palagio, ov'era il Grande Cane e co molti
baroni, e 'nginocchiarsi dinanzi al Grande Cane e molto s'umiliaro a lui. Egli
gli fece levare e molto mostrò grande alegrezza, e dimandò chi
era quello giovane ch'era con loro. Disse messer Niccolò: «Egli è
vostro uomo e mio figliuolo». Disse il Grande Cane: «Egli sia il benvenuto, e
molto mi piace». Date ch'ebbero le carte e' privilegi che recavano dal papa, lo
Grande Cane ne fece grande alegrezza, e dimandò com'erano istati.
«Messer, bene, dacché v'abiàno trovato sano ed allegro». Quivi fu grande
alegrezza della ro venuta; e de quanto istettero ne la corte ebbero onore piú
di niuno altro barone.
15
Come lo Grande Kane mandò Marco, figliuolo
di messer Nicolao, per suo messaggio.
Or avenne che questo Marco, figliuolo di messer
Nicolao, poco istando nella corte, aparò li costumi de' Tartari e loro
lingue e loro lettere, e diventò uomo savio e di grande valore oltra
misura. E quando lo Grande Cane vide in questo giovane tanta bontà,
mandòllo per suo mesaggio a una terra, ove penò ad andare 6 mesi.
Lo giovane ritornò: bene e saviamente
ridisse l'ambasciata ed altre novelle di ciò ch'elli lo domandò,
perché 'l giovane avea veduto altri ambasciadori tornare d'altre terre, e non
sappiendo dire altre novelle de le contrade fuori che l'ambasciata, egli gli
avea per folli, e dicea che piú amava li diversi costumi de le terre sapere che
sapere quello perch'egli avea mandato. E Marco, sappiendo questo, aparò
bene ogni cosa per ridire al Grande Cane.
16
Come messer Marco tornò al Grande Kane.
Or torna messer Marco al Grande Kane co la sua
ambasciata, e bene seppe ridire quello perch'elli era ito, e ancora tutte le
meraviglie e le nuove cose ch'egli avea trovate, sicché piacque al Grande Cane
e tutti suoi baroni, e tutt[i] lo comendaron di grande senno e di grande
bontà; e dissero, se vivesse, diventerebbe uomo di grandissimo valore.
Venuto di questa ambasciata, sí 'l chiamò il Grande Cane sopra tutte le
sue ambasciate.
E sappiate che stette col Grande Kane bene 27 anni,
e in tutto questo tempo non finò d'andare in ambasciate per lo Grande
Kane, poiché recò cosí bene la prima ambasciata; e faceali (il Gran
Cane) tanto d'onore che gli altri baroni n'aveano grande invidia. E questo
è la ragione perché messer Marco seppe piú di quelle cose che niuno uomo
che nascesse anche.
17
Come messer Niccolao e messer Mafeo e messer Marco
dimandaro comiato dal Grande Kane.
Quando messer Niccolao e messer Mafeo e messer
Marco furono tanto istato col Grande Kane, volloro lo suo comiato per tornare a
le loro fameglie; tanto piacea lo loro fatto al Grande Kane che per nulla
maniera glile volle dare.
Or avenne che la reina Bolgara, ch'era moglie
d'Argon, si morío, e la reina lasciò che Argon non potesse tòrre
moglie se non di suo legnaggio. E ' mandò tre ambasciadori al Grande
Kane — uno de li quali avea nome Oularai, l'altro Pusciai, l'atro Coia — con
grande compagnia, ché gli dovesse mandare moglie del legnaggio della raina
Bolgara, imperciò che la reina era morta e lasciò che non potesse
prendere altra moglie. E ('l) Grande Cane gli mandò una giovane di
quello legnaggio e forní l'ambasciata di coloro con grande festa e alegrezza.
In quella messer Marco tornò
d'un'ambasciaria d'India, dicendo l'ambasciata e le novitade ch'avea trovate.
Questi tre ambasci[a]dori ch'erano venuti per la raina, dimandaro grazia al
Grande Cane che questi 3 latini dolvessero acompagnare loro in quella andata co
la donna che menavano. Lo Grande Cane gli fece la grazia a pena e
malevolentieri, tanto gli amava, e dée parola a li tre latini ch'acompagnassoro
li tre baroni e la donna.
18
Qui divisa come messer Marco e messer Niccolao e
messer Mafeo si partiro dal Grande Cane.
Quando lo Grande Cane vide che messer Niccolao e
messer Mafeo e messer Marco si doveano partire, egli li fece chiamare a sé, e
sí li fece dare due tavole d'oro, e comandò che fossero franchi per
tutte sue terre e fosseli fatte tutte le spese a loro e a tutta loro famiglia
in tutte parti. E fece aparecchiare 14 nave, de le quali ciascuna avea quattro
alberi e molto andavano a 12 vele.
Quando le navi furo aparechiate, li baroni e la
donna e questi tre latini ebbero preso commiato dal Grande Kane, si misero
nelle navi co molta gente; e 'l Grande Kane diede loro le spese per due anni. E
vennero navicando bene tre mesi, tanto che giunsero a l'isola Iava, nella quale
à molte cose meravigliose che noi conteremo in questo libro.
E quando elli furono venuti, que' trovaro che Argon
era morto (colui a cui andava questa donna). E dicovi sanza fallo
ch'entrò nel[e n]avi bene 700 persone senza li marinari; di tutti questi
non campò se no 18. E' trovaro che la segnoria d'Argon tenea Acatu.
Quando ebbero raccomandata la donna e fatta l'ambasciata che gli era imposta
dal Grande Kane, presero comiato e misersi a la via. E sappiate che Acatu
donò a li tre latini, mesaggi del Grande Kane, 4 tavole d'oro [...] e
l'altra era piana, ove era iscritto che questi tre latini fossero serviti e
'norati e dato loro ciò che bisognava per tutta sua terra. E cosíe fue
fatto: ché molte volte erano acompagnati da 400 cavalieri e piú e men[o],
quando bisognava.
Ancora vi dico per riverenza di questi tre mesaggi,
che 'l Grande Cane sí fidava di loro che egli gli afidò la reina Cacesi
e la figliuola del re de' Mangi, che le dorvesser menare ad Argon, al signore
di tuttutto il Levante; e cosí fu fatto. E queste reine li tenevano per loro
padri, e cosí gli ubidiano; e quando questi si partiro per tornare in loro
paese, queste reine pia(n)sero di grande dolore. Sapiate che, poscia che due sí
grandi reine furono fidate a costoro di menare a loro segnori sÍ a lunga parte,
ch'egli erano bene amati e tenuti in grande capitale.
Partiti li tre mesaggi d'Acatu, sí se ne vennero a
Trapisonde, e poscia a Costantinopoli, e poscia a Negropont 'e poscia a
Vinegia; e questo fue de l'anni 1295.
Or v'ò conta[to] lo prolago del libro di
messer Marco Polo, che comincia qui.
19
Qui divisa de la [provincia] d'Erminia.
Egli è vero che sono due Armin(i)e, la
Picciola e la Grande. Nella Picciola è signore uno che mantiene
giustizia buona e è sotto lo Grande Cane. Quine àe molte ville e
molte castella, e abondanza d'ogni cosa; e àvi ucellagioni e cacciagioni
assai. Quivi solea già essere di valentri uomini; or sono tutti cattivi,
solo gli è rimasa una bontà, che sono grandissimi bevitori.
Ancora sappiate che sopra il mare è una villa ch'à nome Laias, la
quale è di grande mercatantia; e quivi si sposa tutte le spezierie che
vengono di là entro, e li mercatanti di Vinegia e di Genova e d'ogni
parti quindi le levano, e li drappi di làe e tutte altre care cose. E
tutti li mercatanti che voglio andare infra terra, prende via da questa villa.
Or conteremo di Turcomania.
20
Qui divisa de la provincia di Turcomannia.
In Turcomannia è tre generazione di genti.
L'una gente sono turcomanni e adorano Malcometto; e sono semplice genti e
ànno sozzo linguaggio. E' stanno in montagne e 'n valle e vivono di
bestiame; e ànno cavagli e muli grandi e di grande valore. E gli altri
sono armini e greci che dimorano in ville e in castella, e viveno di mercatantia
e d'arti. E quivi si fanno li sovrani tappeti del mondo ed i piú begli;
fannovisi lavori di seta e di tutti colori. Altre cose v'a che non vi conto.
Elli sono al Tartero del Levante.
Or ci partiremo di qui e anderemo a la Grande
Arminia.
21
De la Grande Erminia.
La Grande Erminia è una grande provincia; e
nel cominciamento è una città ch'à nome Arzinga, ove si fa
lo migliore bucherame del mondo, ov'è la piú bella bambagia del mondo e
la migliore. Quivi à molte cittadi e castella, e la piú nobile è
Arzinga, e àe arcivescovo; l'altr[e] sono Arziron ed Arzici.
Ell'è molto grande provinci[a]: quivi dimorano la state tutto il
bestiame de' Tartari del Levante per lo buono pasco che v'è; di verno
non vi stanno per lo grande freddo, ché non camperebbono le loro bestie.
Ancor vi dico che in questa Grande Erminia è
l'arca d[i] Noè in su una grande montagna, ne le confine di mezzodie in
verso il levante, presso al reame che si chiama Mosul, che sono cristiani, che
sono iacopini e nestarini, delli quali diremo inanzi. Di verso tramontana
confina con Giorgens, e in queste confine è una fontana, ove surge tanto
olio e in tanta abondanza che 100 navi se ne caricherebboro a la volta. Ma egli
non è buono a mangiare, ma sí da ardere, e buono da rogna e d'altre
cose; e vegnoro gli uomini molto da la lunga per quest'olio; e per tutta quella
contrada non s'arde altr'olio.
Or lasciamo de la Grande E(r)minia, e vi conteremo
de la provincia di Giorgens.
22
Del re di Giorgens.
In Giorgens à uno re lo quale si chiama
sempre David Melic, ciò è a dire in fra(n)cesco David re; e
è soposto al Tartaro. E anticamente a tutti li re, che nascono in quella
provincia, nasce uno [segno] d'aquila sotto la spalla diritta. Egli sono bella
gente, prodi di battaglie e buoni ar[c]ieri. Egli sono cristiani e tengono
legge di greci; li cavalli ànno piccoli [a] guisa di chereci.
E questa è la provincia che Alessandro non
potte passare, perché dall'uno lato è 'l mare e (da)ll'atro le montagne:
† da l'altro lato è la via sí stretta che non si può cavalcare; e
dura questa istretta via piú (di) 4 leghe, sicché pochi uomini terebbero lo
passo a tutto il mondo: perciò non vi passò Alesandro. E quivi
fece fare Alesandro una torre con grande fortezza, perché coloro non potessero
pasare per venire sopra lui; e chiamasi la Porta del Ferro. E questo è
lo luogo che dice lo libro d'Alesandro, che dice che rinchiuse li Tartari
dentro da le montagne; ma egli non furono Tartari, ma furo una gente
ch'ànno nome Cuma[n]i e altri generazioni asai, ché Tartari non erano a
quello tempo. Egli ànno cittadi e castella assai, e ànno seta
assai e fanno drappi di seta e d'oro assai, li piú belli del mondo. Egli
ànno astori gli migliori del mondo, e ànno abondanza d'ogni cosa
da vivere. La provincia è tutta piena di grande montagne, sí vi dico che
li Tartari non pòttero avere interamente la segnoria ancora di tutta.
E quivi si è lo monistero di santo Leonardo,
ove è tale meraviglia, che d'una montagna viene uno lago dinanzi a
questo munistero e no mena niuno pesce di niuno tempo, se no di quaresima; e
comincia lo primo die di quaresima e dura infino a sabato santo, e e' viene in
grande abondanza. Dal dí inanzi uno no vi si ne truova, per maraviglia, infino
a l'altra quaresima.
E sappiate che 'l mare ch'i' v'ò contato si
chiama lo mare di Geluchelan, e gira
Abiàno contado de le confini che sono d'Arminia
di verso [tramontana]; or diremo de li confini che sono di verso mezzodie e
levante.
23
Del reame di Mosul.
Mosul è uno grande reame, ove è molte
generazioni di genti, le quali vi conterò incontenente. E v'à una
gente che si chiamano arabi, ch'adorano Malcometto; un'altra gente v'à
che tengono la legge cristiana, ma no come comanda la chiesa di Roma, ma
fallano in piú cose. Egli sono chiamati nestorini e iacopi, egli ànno
uno patriarca che si chiama Iacolic, e questo patriarca fa vescovi e arcivescovi
e abati; e fagli per tutta India e per Baudac e per Acata, come fa lo papa di
Roma; e tutti questi cristiani sono nestorini e iacopit.
E tutti li panni di seta e d'oro che si chiamano
mosolin si fanno quivi, e li grandi mercatanti che si chiamano mosolin sono di
quello reame di sopra. E ne le montagne di questo regno sono genti che si
chiamano † di cristiani nestorini e iacopit; l'altre parti sono saracini
ch'adorano Malcometto, e sono mala gente, e rubano volontieri li mercatanti.
Ora diremo de la grande città di Baudac.
24
Di Baudac, come fu presa.
Baudac è una grande cittade, ov'è lo
califfo di tutti li Saracini del mondo, cosí come a Roma il papa di tutti li
cristiani. Per mezzo la città passa uno fiume molto grande, per lo quale
si puote andare infino nel mare d'India, e quindi vanno e vegnono me(r)catanti
e loro mercatantie. E sappiate che da Baudac al mare giú per lo fiume àe
bene 18 giornate. Li mercatanti che vanno in India vanno per quello fiume
infino a una città ch'à nome Chisi, e quivi entrano nel mare
d'India. E su per lo fiume tra Baudac e Chisi (è) una cittade
ch'à nome Bascra, e per quella cittade e per li borghi nasce gli
migliori dattari del mondo. In Baudac si lavora diversi lavorii di seta e d'oro
in drappi a bestie e a uccelli. Ell'è la piú nobile città e la
m[a]giore di quella provincia.
E sappiate ch'a(l) califfo si trovò lo
maggiore tesoro d'oro e d'ariento e di priete preziose che mai si trovasse
alcuno uomo. Egli è vero che in anni Domini 1255 lo grande Tartero
ch'ave' nome Alau, fratello del signore che oggi regna, ragunò grande
oste, e venne sopra Baudac e la prese per forza. E questo fue grande fatto,
imperciò che 'n Baudac avea piú de 100.000 di cavalieri, senza li
pedoni. E quando Alau l'ebbe presa, trovò al calif piena una torre d'oro
e d'ariento e d'altro tesoro, sí che giamai non si ne trovò tanto
insieme. Quando Alau vide tanto tesoro, molto si ne maravigliò, e
mandò per lo califfo ch'era preso, e sí li disse: «Califfo, perché
raunasti tanto tesoro? Che ne volevi tue fare? Quando tu sapei ch'io venía
sopra te, ché none soldavi tu cavalieri e genti per difendere te e la terra tua
e (la tua) gente?». Lo calif non li seppe rispondere. Alotta disse Alau:
«Calif, da che tue ami tanto l'avere, io te ne voglio dare a mangiare». E fecel
mettere in questa torre, e comandò che no li fosse dato né mangiare né
bere; e disse: «Ora ti satolla del tuo tesoro». Quattro die vivette e poscia si
trovò morto. E perciò me' fosse che l'avesse donato a gente per
difendere sua terra; né mai poscia in quella città no ebbe califo
alcuno.
Non diremo piú di Baudaca, però che sarebbe
lunga matera; e diremo della nobile città di Toris.
25
Della nobile città di Toris.
Toris è una grande cittade ch'è in
una provincia ch'è chiamata Irac, nella quale è ancora piú
cittadi e piú castella. Ma contarò di Toris, perch'è la migliore
città de la provincia.
Gli uomini di Tor(i)s vivoro di mercatantia e
d'arti, cioè di lavorare drappi a seta e a oro. E è in luogo sí
buono, che d'India, di Baudac e di Mosul e di Cremo vi vengono li mercatanti, e
di molti altri luoghi. Li mercatanti latini vanno quivi per le mercatantie
strane che vegnono da lunga parte e molto vi guadagnano; quivi si truova molte
priete preziose. Gli uomini sono di piccolo afare, e àvi di molte fatte
genti. E quivi àe armini, nestarini, iacopetti, giorgiani, i persiani, e
di quelli v'à ch'aorano Malcometto, cioè lo popolo de la terra,
che si chiamano taurizins. Atorno a la città è belli giardini e
dilettevoli di tutte f(r)utte. Li saracini di Toris sono molti malvagi e
disleali.
26
De la maravigli(a) di Baudac, de la montagna.
Or vi conterò una maraviglia ch'avenne a
Baudac e Mosul. Nell'anno del 1275 era uno calif in Baudac che molto odiava li
cristiani (e ciò è naturale a li saracini). E' pensò via
di fare tornare li cristiani saracini [o] d'uccidelli tutti; e (a) questo avea
suoi consiglieri saracini. Ora mandò lo califo per li cristiani ch'erano
di là, e miseli dinanzi questo punto: che elli trovava in uno Va[ngelo]
che se alcuno cristiano avesse tanta fede quant'è uno grano di senape,
per suo priego che facesse a Dio, farebbe giugnere due montagne insieme; e
mostrògli lo Va[ngelo]. I cristiani dissero che be(n) era vero.
«Dunque,» disse lo califo, «tra voi tutti dé essere tanta fede quant'è
uno grano di senape; ordunque fate rimuovere quella montagna o io
v'ucciderò tutt[i], o voi vi farete saracin[i], ché chi non à
fede d(é) essere morto». E di questo fare li diede termine 10 die.
27
Quando li cristiani udirono ciò che 'l calif
disse, ebbero grandissima paura e non sapeano che si fare. Raunarosi tutti,
piccioli e grandi, maschi e femine, l'arcivescovo e 'l vescovo e' pre(ti),
ch'aveano assai; aste[t]taro 8 die e tutti in orazione ché Dio gli aiutasse e
guardasseli di sí crudele morte. La nona notte aparve l'angelo al vescovo,
ch'era molto santo uomo, e disseli ch'andasse la mattina a cotali ciabattieri,
e che li dicesse che la montagna si muterebbe.
Quello ciabattie(r) era buono uomo e di sí buona
vita, che uno die una femmina venne a sua bottega, molto bella, ne la quale
p[e]ccò cogli occhi, e elli co la lesina vi si percosse, sí che mai non
ne vide; sicché egli era santo e buono.
28
Quando la visione venne al vescovo che per lo
priego del ciabattiere si mutarebbe la montagna.
Quando questa visione venne al vescovo, fece
ragunare tutti li cristiani e disse la visione. Lo vescovo pregò lo
ciabattiere che pregasse Idio che mutasse la montagna; egli disse che non era
uomo soficiente a ciò. Tanto fue pregato per li cristiani che 'l
ciabattiere si mise in orazione.
29
Quando lo termine fue compiuto, la mattina tutti li
cristiani andarono a la chiesa e fecero cantare la messa, pregando Idio che gli
'iutasse. Poscia tolsero la croce e andaro nel piano dinanzi a questa montagna;
e quivi erano, tra maschi e femine e piccioli e grandi, bene 100.000. E 'l
califa vi venne co molti saracini armati per uccidire tutti li cristiani,
credendo che la montagna non si mutasse. Istando li cristiani dinanzi a la
croce in ginocchioni pregando Idio di questo fatto, la montagna cominciò
a ruvinare e mutarsi. Li saracini, vedendo ciòe, si maravigliaro molto,
e 'l califfo si convertío e molti saracini. E quando lo califa morío, si
trovò una croce a collo; e li saracini, vedendo questo, nol sotteraro
nel munimento cogli altri califfi passati, anzi lo misero in un altro luogo.
Or lasciamo de Toris e diciamo di Persia.
30
De la grande provincia di Persia: de' 3 Magi.
Persia si è una provincia grande e nobole
certamente, ma 'l presente l'ànno guasta li Tartari. In Persia è
l[a] città ch'è chiamata Saba, da la quale si partiro li tre re
ch'andaro adorare Dio quando nacque. In quella città son soppeliti gli
tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co'
capegli: l'uno ebbe nome Beltasar, l'altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer
Marco dimandò piú volte in quella cittade di quegli 3 re: niuno gliene
seppe dire nulla, se non che erano 3 re soppelliti anticamente.
Andando 3 giornate, trovaro uno castello chiamato
Calasata, ciò è a dire in francesco 'castello de li oratori del
fuoco'; e è ben vero che quelli del castello adoran lo fuoco, e io vi
dirò perché. Gli uomini di quello castello dicono che anticamente tre
lo' re di quella contrada andarono ad adorare un profeta, lo quale era nato, e
portarono 3 oferte: oro per sapere s'era signore terreno, incenso per sapere
s'era idio, mirra per sapere se era eternale. E quando furo ove Dio era nato,
lo menore andò prima a vederlo, e parveli di sua forma e di suo tempo; e
poscia 'l mezzano e poscia il magiore: e a ciascheuno p[er] sé parve di sua
forma e di suo tempo. E raportando ciascuno quello ch'avea veduto, molto si
maravigliaro, e pensaro d'andare tutti insieme; e andando insieme, a tutti
parve quello ch'era, cioè fanciullo di 13 die.
Allora ofersero l'oro, lo 'ncenso e la mirra, e lo
fanciullo prese tutto; e lo fanciullo donò a li tre re uno bossolo
chiuso. E li re si misoro per tornare in loro contrada.
31
De li tre Magi.
Quando li tre Magi ebbero cavalcato alquante
giornate, volloro vedere quello che 'l fanciullo avea donato loro. Aperso[r]o
lo bossolo e quivi trovaro una pietra, la quale gli avea dato Idio in
significanza che stessoro fermi ne la fede ch'aveano cominciato, come pietra.
Quando videro la pietra, molto si maravigliaro, e gittaro questa pietra entro
uno pozzo; gittata la pietra nel pozzo, uno fuoco discese da cielo ardendo, e
gittòssi in quello pozzo. Quando li re videro questa meraviglia,
pentérsi di ciò ch'aveano fatto; e presero di quello fuoco e portarone
in loro contrada e puoserlo in una loro chiesa. E tutte volte lo fanno ardere e
orano quello fuoco come dio; e tutti li sacrifici che fanno condisco di quello
fuoco, e quando si spegne, vanno a l'orig[i]nale, che sempre sta aceso, né mai
non l'accenderebboro se non di quello. Perciò adorano lo fuoco quegli di
quella contrada; e tutto questo dissero a messer Marco Polo, e è
veritade. L'uno delli re fu di Saba, l'altro de Iava, lo terzo del Castello.
Or vi diremo de' molti fatti di Persia e de' loro
costumi.
32
De li 8 reami di Persia.
Sappiate che in Persia àe 8 reami: l'ono
à nome Causom, lo secondo Distan, lo terzo Lor, lo quarto Cielstan, lo
quinto Istain, lo 6° Zerazi, lo 7° Soncara, lo 8° Tunocain, che è presso
a l'Albaro Solo.
In questo reame à molti begli distrieri e di
grande valuta, e molti ne vegnono a vendere in India: la magiore parte sono di
valuta di libbre 200 di tornesi. Ancora v'à le piú belle asine del
mondo, che vale l'una ben 30 marchi d'argento, che bene corrono e ambiano. Gli
uomini di questa contrada menano questi cavagli fino a due cittade che sono
sopra la ripa del mare: l'una à nome Achisi e l'altra Acummasa; quivi
sono i mercatanti che li menano in India.
Questi sono mala gente: tutti s'uccid[o]no tra
loro, e se non fosse per paura del signore, cioè del Tartaro del
Levante, tutti li mercatanti ucciderebboro.
Quivi si fa drappi d'oro e di seta; e quivi
àe molta bambagia, e quivi àe abondanza d'orzo, di miglio e di
pan(i)co e di tutte biade, di vino e di frutti.
Or lasciamo qui, e conteròvi de la grande
città d'Iadis tutto suo afare e suoi costumi.
33
Della città di Iadis.
Iadis è una cittade di Persia molto bella,
grande, e di grandi mercatantie. Quivi si lavora drappi d'oro e di seta, che si
(chi)ama ias[d]i, e che si portano per molte contrade. Egli adorano Malcometto.
Quando l'uomo si parte di questa terra per andare
inanzi, cavalca 7 giornate tutto piano; e non v'à abita[zione] se no in
tre luoghi, ove si possa albergare. Quivi àe begli boschi e piani per
cavalcare; quivi àe pernice e cuntornici asai. Quindi si cavalca a
grande solazzo, quivi àe asine salvatiche molto belle.
Di capo di queste 7 giornate àe uno reame
ch'à nome Creman.
34
Del reame di Creman.
Creman è uno regno di Persia che solea avere
signore per eredità, ma poscia che li Tartari lo presero, vi
màndaro signore cui loro piace. E quivi nasce le prietre che si chiamano
turchies[ch]e in grande quantità, che si cavano de le montagne; e
ànno [vene] d'acciaio e d'andan(i)co assai. Lavorano bene tutte cose da
cavalieri, freni, selle e tutte arme e arnesi. Le loro donne lavorano tutte
cose a seta e ad oro, a ucelli e a bestie nobilemente, e lavorano di cortine e
d'altre cose molto riccamente, e coltre e guanciali e tutte cose. Ne le
montagne di questa contrada nasce li migliori falconi e li piú volanti del
mondo, e sono meno che falconi pelegrini: niuno uccello no li campa dinanzi.
Quando l'uomo si parte di Creman, cavalca 7
giornate tuttavia per castela e per cittade con grande solazzo; e quivi
àe uccellagioni di tutti uccelli. Di capo de le 7 giornate truova una
montagna, ove si scende, ché bene si cavalc[a] due giornate pure a china,
tuttavia trovando molti frutti e buoni. Non si truova abitazioni, ma gente co
loro bestie assai. [E] da Cre(man) infino a questa iscesa è bene tale
freddo di verno, che no vi si può passare se non co molti panni.
35
Di Camandi.
A la discesa de la montagna àe uno bello
piano, e nel cominciamento àe una città ch'à nome Camandi.
Questa solea essere magiore terra che no è, ch'e Tartari d' altra parte
gli ànno fatto danno piú volte. Questo piano è molto cavo.
E questo reame à nome Reobales, suoi frutti
sono dattari, pistacchi, frutti di paradiso e altri frutti che non son di qua.
Ànno buoi grandi e bianchi come nieve, col pelo piano per lo caldo
luogo, le corne cort'e grosse e non agute; tra le spalle ànno uno gobbo
alto due palmi, e sono la piú bella cosa del mondo a vedere. Quando si vogliono
caricare, si conciano come camegli, e caricati cosí, si levano, ché sono forti
oltra misura. E v'à montoni come asini, che li pesa la coda bene
In questo piano à castella e città e
ville murate di terra per difender(si) da scherani che vanno ro(b)ando. E
questa gente che corre lo paese, per incantamento fanno parere notte 7 giornate
a la lunga, perché altri non si possa guardare; quando ànno fatto
questo, vanno per lo paese, ché bene lo sanno. E' son bene 10.000, talvolta piú
e meno, sicché per quello piano no li scampa né uomo né bestia: li vecchi
ucidono, gli giovani ménagli a vendere per ischiavi. Lo loro re à nome
Nogodar, e sono gente rea e malvage e crudele. E sí vi dico che messer Marco vi
fu tal qual preso in quella iscuritade, ma scampò a uno castello
ch'à nome Canosalmi, e de' suo compagni furo presi asai e venduti e
morti.
36
De la grande china.
Questo piano dura verso mezzodie 5 giornate. Da
capo de le cinque giornate è un'altra china che dura
Di capo della china à uno piano molto bello,
che si chiama lo piano di Formosa, e dura due giornate di bella riviera; e
quivi àe francolini, papagalli e altri uccelli divisati da li nosti.
Passate due giornate, è lo mare Oziano e 'n
su la ripa è una città con porto, ch'à nome Cormos, e
quivi vegnono d'India per navi tutte ispezzerie, drappi d'oro e (denti di)
leofanti (e) altre mercatantie assai; e quindi le portano li mercatanti per
tutto lo mondo. Questa è terra di grande mercatantia; sotto di sé
àe castella e cittadi assai, perch'ella è capo de l(a) provincia;
lo re à nome Ruccomod Iacomat. Quivi è grande caldo; inferma
è la terra molto, e se alcuno mercatante d'altra terra vi muore, lo re
piglia tutto suo avere.
Quivi si fa lo vino di dattari e d'altre ispezie
asai, e chi 'l bee e non è uso, sé 'l fa andare a sella e purgalo; m[a]
chi n'è uso fa carne assai. Non usano nostre vivande, ché se manicassero
grano e carne, infermarebbero incontanente; anzi usano per loro santà
pesci salati e dattari e cotali cose grosse, e con queste dimorano sani.
Le loro navi sono cattive e molte ne pericala,
perché non sono confitte con aguti di ferro, ma con filo che si fa della buccia
delle noci d'India, che si mette in molle ne l'(a)cqua e fassi filo come
setole; e con quello le cuciono, e no si guasta per l'acqua salata. Le navi
ànno una vela, un timo[n]e, uno àbore, una coverta, ma quando
sono caricate, le cruopono di cuoie, e sopra questa coverta pongono i cavalli
che menano in India. No ànno ferro per fare aguti e è grande
pericolo a navicare con quelle navi.
Questi adorano Malcometto. E èvi sí grande
caldo, che se no fosse li giardini co molta acqua di fuori da la città,
ch'egli ànno, non camperebboro. Egli è vero che vi viene uno
vento la state talvolta di verso lo sabione con tanto caldo che, se gli uomini
non fugissoro a l'acqua, non camperebboro del caldo. Elli seminano loro biade
di novembre e ricogliele di marzo, e cosí fanno di tutti loro frutti; a da
marzo inanzi non si truova niuna cosa viva, cioè verde, sopra terra, se
non lo dattaro, che dura infino a mezzo maggio; e questo è per lo grande
caldo. Le navi non sono impeciate, ma sono unte d'uno olio di pesce. E quando
alcuno vi muore, sí fanno grande duolo; e le donne si pia(n)gono li loro mariti
bene quattro anni, ogne die almeno una volta, con vi(ci)ni e co' parenti.
Or tornaremo per tramontana per contare di quelle
province, e ritornaremo per un'altra via a la città di Creman, la quale
v'ò contato, perciò che [a] quelle contrade ch'io vi voglio
contare, no vi si può andare se non da Creman. E vi dico che questo re
Ruccomod Iacamat, do[nde] noi ci partiamo aguale, è re di Creman. E in
ritornare da Cormos a Creman à molto bello piano e abondanza di vivande,
e èvi molti bagni caldi; e àvi ucelli assai e frutti. Lo pane del
grano è molto amaro a chi non è costumato, e questo è per
lo mare che vi viene.
Or lasciàno queste parti, e andiamo verso
tramontana; e diremo come.
37
Come si cavalca per lo diserto.
Quando l'uono si pa(r)te da Crema(n), cavalca sette
giornate di molta diversa via; e diròvi come. L'uomo va 3 giornate che
l'uono non truova acqua, se non verde come erba, salsa e amara; e chi ne
bevesse pure una gocciola, lo farebbe andare bene 10 volte a sella; e chi
mangiasse uno granello di quello sale che se ne fa, farebbe lo somigliante; e
perciò si porta bevanda per tutta quella via. Le bestie ne beono per
grande forza e per grande sete, e falle molto scorrere. In queste 3 giornate no
à abitazione, ma tutto diserto e grande secchitade, bestie non
v'à, ché no v'averebboro che mangiare.
Di capo di queste 3 giornate si truova un altro
luogo che dura 4 giornate, né più né meno fatto, salvo che vi si
truovano asine salvatiche.
Di capo di queste 4 giornate finisce lo regno di
Creman e truovasi la città di Gobiam.
38
De Gobiam.
Cobia(m) è una grande cittade. E' adorano
Macomet. Egli ànno ferro e acciaio e andanico assai. Quivi si fa la
tuzia e lo spodio, e diròvi come. Egli ànno una vena di terra la
quale è buona a ciò, e pongolla nella fornace ardente, e 'n su la
fornace pongono graticole di ferro, e 'l fumo di quella terra va suso a le
graticole: e quello che quivi rimane apiccato è tuzia, e quello che
rimane nel fuoco è spodio.
Ora andiàno oltre.
39
D'uno diserto.
Quando l'uomo si parte de Gobia[m], l'uomo va bene
per uno diserto 8 giornate, nel quale à grande sechitadi, e non
v'à frutti né acqua, se non amara, come in quello di sopra. E quelli che
vi passano portano da bere e da mangiare, se non che gli cavagli beono di
quella acqua malvolontieri.
E di capo delle 8 giornate è una provincia
chiamata Tonocan; e àvi castella e cittadi asai, e confina con Persia
verso tramontana. E quivi è una grandissima provincia piana, ov'è
l'Albero Solo, che li cristiani lo chiamano l'Albero Secco; e diròvi
com'egli è fatto. Egli è grande e grosso; sue foglie sono da
l'una parte verdi e da l'altr[a] bianche, e fa cardi come di castagne, ma non
v'à entro nulla; egli è forte legno e giallo come busso. E non
v'à albero presso a
Di qui ci partiamo e direnvi d'una contrada che si
chiama Milice, ove il Veglio della Montagna solea dimorare.
40
Del Veglio de la Montagna e come fece il paradiso,
e li assessini.
Milice è una contrada ove 'l Veglio de la
Montagna solea dimorare anticamente. Or vi conterò l'afare, secondo che
messer Marco intese da più uomini.
Lo Veglio è chiamato in loro lingua Aloodin.
Egli avea fatto fare tra due montagne in una valle lo piú bello giardino e 'l
piú grande del mondo. Quivi avea tutti frutti (e) li piú begli palagi del
mondo, tutti dipinti ad oro, a bestie, a uccelli; quivi era condotti: per tale
venía acqua a per tale mèle e per tale vino; quivi era donzelli e
donzelle, li piú begli del mondo, che meglio sapeano cantare e sonare e
ballare. E facea lo Veglio credere a costoro che quello era lo paradiso. E
perciò 'l fece, perché Malcometto disse che chi andasse in paradiso,
avrebbe di belle femine tante quanto volesse, e quivi troverebbe fiumi di
latte, di vino e di mèle. E perciò 'l fece simile a quello
ch'avea detto Malcometto; e li saracini di quella contrada credeano veramente
che quello fosse lo paradiso.
E in questo giardino non intrava se none colui cu'
e' volea fare assesin[o]. A la 'ntrata del giardino ave' uno castello sí forte,
che non temea niuno uomo del mondo. Lo Veglio tenea in sua corte tutti giovani
di 12 anni, li quali li paressero da diventare prodi uomini. Quando lo Veglio
ne facea mettere nel giardino a
41
Quando li giovani si svegliavano e si trovavano
là entro e vedeano tutte queste cose, veramente credeano essere in
paradiso. E queste donzelle sempre stavano co loro in canti e in grandi
solazzi; e aveano sí quello che voleano, che mai per loro volere non sarebboro
partiti da quello giardino. E 'l Veglio tiene bella corte e ricca e fa credere
a quegli di quella montagna che cosí sia com'è detto.
E quando elli ne vuole mandare niuno di quegli
giovani ine uno luogo, li fa dare beveraggio che dormono, e fagli recare fuori
del giardino in su lo suo palagio. Quando coloro si svegliono (e) truovansi
quivi, molto si meravigliano, e sono molto tristi, ché si truovano fuori del
paradiso. Egli se ne vanno incontanente dinanzi al Veglio, credendo che sia uno
grande profeta, inginocchiandosi; e egli dimand[a] onde vegnono. Rispondono:
«Del paradiso»; e contagli tutto quello che vi truovano entro e ànno
grande voglia di tornarvi. E quando lo Veglio vuole fare uccidere alcuna
persona, fa tòrre quello che sia lo piú vigoroso, e fagli uccidire cui
egli vuole. E coloro lo fanno volontieri, per ritornare al paradiso; se
scampano, ritornano a loro signore; se è preso, vuole morire, credendo
ritornare al paradiso.
E quando lo Veglio vuole fare uccidere neuno uomo,
egli lo prende e dice: «Va' fà cotale cosa; e questo ti fo perché ti
voglio fare tornare al paradiso». E li assesini vanno e fannolo molto
volontieri. E in questa maniera non campa niuno uomo dinanzi al Veglio de la
Montagna a cu'elli lo vuole fare; e sí vi dico che piú re li fanno trebuto per
quella paura.
42
Come Alau, signore de' Tarteri del Levante il
distrusse.
Egli è vero che 'n anni 1277 Alau, signore
delli Tartari del Levante, che sa tutte queste malvagità, egli
pensò fra se medesimo di volerlo distruggere, e mandò de' suoi
baroni a questo giardino. E' stettero 3 anni attorno a lo castello prima che
l'avessero, né mai non l'avrebboro avuto se no per fame. Alotta per fame fu
preso, e fue morto lo Veglio e sua gente tutta. E d'alora in qua non vi fue piú
Veglio niuno: in lui s'è finita tutta la segnoria.
Or lasciamo qui, e andiamo inanzi.
43
De la città Supunga.
Quando l'uomo si parte di questo castello, l'uomo
cavalca per bel piano (e) per belle coste, ov'è buon pasco e frutti
assai e buoni; e dura 7 giornate. E àvi ville e castella asai, e adorano
Macomet. E alcuna volta truova l'uomo diserti di
Quando àe passato 7 giornate, truova una
città ch'à nome Supunga. Ella è terra di molti alberi.
Quivi àe li migliori poponi del mondo e ('n) grandissima
quantità, e fannogli seccare in tale maniera: egli gli tagliano atorno
come coreggie, e fannogli seccare, e diventano piú dolci che mèle. E di
questo fanno grande mercatantia per la contrada. E v'è cacciagioni e
uccellagioni assai.
Or lasciamo di questa, e diremo di Balac.
44
Di Balac.
Balac fue già una grande città e
nobile piú che non è oggi, ché li Tartari l'ànno guasta e fatto
grande danno. E in questa cittade prese Alesandro per moglie la figliuola di
Dario, siccome dicono quegli di quella terra. E' addorano Maccometto. E
sappiate che fino a questa terra dura la terra del signore delli Tartari del
Levante, e a questa cittade sono li confini di Persia entr[o] creco e levante.
Quando si passa per questa terra, l'uomo cavalca
bene 12 giornate tra levante e greco, che no si truova nulla abitazioni, perché
gli uomini, per paura de la mala gente e degli osti, sono tutti iti a le
fortezze de le montagne. In questa via àe acqua asai e cacciagioni e
leoni. In tutte queste 12 giornate non truovi vivande da mangiare, anzi
conviene che si porti.
45
De la montagna del sale.
Quando l'uomo à cavalcato queste 12
giornate, trova uno castello ch'à nome Tahican, ov'è grande
mercato di biada; e è bella contrada. E le montagne di verso mezzodie
sono molto grandi, e sono tutte sale. E vengono da la lunga 30 giornate per questo
sale, perch'è lo migliore del mondo; e è sí duro che no se ne
può rompere se non con grandi picconi di ferro; e è tanto che
tutto il mondo n'avrebbe assai i(n)fino a la fine del secolo.
Partendosi di qui, l'uomo cavalca 3 giornate tra
greco e levante, sempre trovando belle terre e belle abitazioni e frutti e
biade e vigne. E' adorano Maccomet. E' sono mala gente e micidiale: sempre
stanno col bicchiere a bocca, ché molto beono volontieri, ché egli ànno
buono vino cotto. In capo non portano nulla, se no una corda lunga 10 palmi si
volgono atorno lo capo. E' sono molto begli cacciatori e prendono bestie molte,
e de le pelle si vestono e calzano; e ogni uomo sa conciare le pegli de le
[bestie] che pigliano.
Di làe tre giornate àe cittade e
castella asai, e èvi una città ch'à nome Scasem, e per lo
mezzo passa uno grande fiume. Quivi àe porci ispinosi assai.
Poscia si cavalca tre giornate che no si truova
abitazione, né bere né mangiare. Di capo de le 3 giornate si truova la
provincia de Balascam. e io vi conterò com'ell'è fatta.
46
Di Balascam.
Balasciam è una provincia che la gente
adorano Malcometo, e ànno lingua per loro. Egli è grande reame e
discende lo re per reditade; e scese del legnaggio d'Allesandro e de la figlia
di Dario, lo grande signore di Persia. E tutti quegli re si chiamano Zulcarnei
in saracino, ciò è a dire Ales[a]ndro, per amore del grande
Allexandro.
E quivi nasce le priete preziose che si chiamano
balas[c]i, che sono molto care, e cavansi ne le montagne come l'altre vene. E
è pena la testa chi cavasse di quelle pietre fuori del reame,
perciò che ve n'à tante che diventerebboro vile. E quivi, in
un'altra montagna, † ove si cava l'azurro, e è 'l migliore e 'l piú fine
del mondo; e le pietre onde si fa l'azurro, è vena di terra. E àvi
montagne ove si cava l'argento.
E la provincia è molto fredda. E quivi nasce
cavagli assai e buoni coritori, e non portano ferri, sempre andando per le
montagne. E nascevi falconi molto volanti e li falconi laineri: cacciare e
uccellare v'è lo migliore del mondo. Olio non ànno, ma fannone di
noci. Lo luogo è molto forte da guerra; e' sono buoni arcieri e vestonsi
di pelle di bestie, perciò ch'ànno caro di panni. E le grandi
donne e le gentili portano brache, che v'è ben 100 braccia di panno
bambagino, e tal 40 e tal 80; e questo fanno per parere ch'abbiano grosse le
natiche, perché li loro uomini si dilettano in femine grosse.
Or lasciamo questo reame, e conteremo d'una diversa
gente, ch'è lungi da questa provincia 10 giornate.
47
De la gente di Bastian.
Egli è vero che di lungi a Balascia(m) 10
giornate àe una provincia ch'à nome Bastian; e ànno lingua
per loro. Egli adorano gl'idoli e suno bruni; e sanno molto d'arti de diavoli e
sono malvagia gente. E' portan agli orecchi cerchiegli d'oro e d'ariento e di
perle e di pietre preziose.
Quivi àe molto grande caldo. Loro vivande
è carne e riso.
Or lasciamo
questa, e anderemo a un'altra ch'è di lungi di questa 7 giornate verso
isciro[cc]o, ch'à no[me Che]simu[n].
48
Di Chesimun.
Chesimun è una provincia che adorano idoli e
àe lingua per sé. Questi sanno tanto d'incantamento di diavolo che fanno
parlare gl'idoli; e fanno cambiare lo tempo e fanno grandi iscuritadi e fanno
tali cose che non si potrebbe credere. E sono capo di tutti gl'idoli, e de lor
descese gl'idoli. E di questo luogo si puote andare al mare d'India.
Gli uomini e le femine sono bruni e magri; lor
vivande è riso e carne. E è luogo temperato, tra caldo e freddo.
E là à castella assai e diserti; e è luogo molto forte, e
tiensi per sé medesimo; e èvi re che mantiene giustizia. E quivi
àe molti romitaggi e fanno grande astinenzia, né non fanno cosa di
peccato né che sia contra loro fede per amore di loro idoli; e ànno
badie e monisteri di loro legge.
Or ci partiamo di qui e anderemo inanzi,
perciò che ci converrebbe intrare in India; e noi non vogliamo entrare,
perché al ritornare de la nostra via conteremo tutte le cose d'India per
ordine. E perciò retornaremo a nostre province verso Baudascian,
perciò che d'altra parte non potremo passare.
49
De(l) grande fiume di Baudascian.
E quando l'uomo si parte da Baudascian, sí si va 12
giornate tra levante e crego su per uno fiume, che è del fratello del
segnore di Baudascian, ov'è castella e abitazioni assai. La gente
è prode e adorano Macometto. Di capo di 12 giornate si truova una
provincia piccola che dura 3 giornate da ogne parte, e à nome Vocan. E'
adorano Macometto e ànno lingua per loro e sono prodi uomini; e sono
sottoposti al signore di Baudascian. Egli ànno bestie salvatiche assai,
cacciagioni e uccellagioni d'ogne fatt[a].
E quando l'uomo va tre giornate piú inanzi, va pure
per montagne; e questa si dice la piú alta montagna del mondo. E quando l'uomo
è 'n su quell'alta montagna, truova uno piano tra due montagne,
ov'è molto bello pasco, e quivi è uno fiume molto bello e grande;
e è sí buono pasco una bestia magra vi doventa grassa in 10 dí. Quivi
àe tutte salvagine e assai; e èvi montoni salvatich[i] asai e
grandi, e ànno lunghe le corne 6 spanne, e almeno 4 o 3; e in queste
corni mangiano li pastori, che ne fanno grande scodelle. E per questo piano si
va bene 12 giornate senza abitazione, né non si truova che mangiare, s'altri
nol vi porta. Niuno uccello non vi vola, per l'alto luogo e freddo, e 'l fuoco
non v'à lo colore ch'egli àe in altre parte, né non è sí
cocente colà suso.
Or lasciamo qui e conteròvi altre cose per
greco e per levante. E quando l'uomo va oltra 3 giornate, e' conviene che
l'uomo cavalca bene 40 giornate per montagne e per coste, tra creco e levante,
e per valle, passando molti fiumi e molti luoghi diserti. E per tutto questo
luogo non si truova abitazione né albergagione, ma conviene che si porti la
vivanda. Questa contrada si chiama Belor. La gente dimora ne le montagne molto
alte: adorano idoli e sono salvatica gente, e vivono de le bestie che pigliano.
Loro vestire è di pelli di bestie, e sono uomini malvagi.
Or lasciamo questa contrada, e diremo de la
provincia di Casciar.
50
Del reame di Casciar.
Casciar fue anticamente reame; aguale è al
Grande Kane; e adorano Malcometto. Ell'à molte città e castella,
e la magiore è Casciar; e sono tra greco e levante. E' vivono di
mercatantia e d'arti. Egli ànno begli giardini e vigne e possessioni e
bambagie assai; e sonvi molti mercanti che cercano tutto il mondo. E' sono
gente scarsa e misera, ché male mangiano e mal beono. Quivi dimorano alquanti
cristiani nestorini, che ànno loro legge e loro chiese; e ànno
lingua per loro. E dura questa provincia 5 giornate.
Ora lasciamo di questa, e andremo a Samarcan.
51
Di Samarcan.
Samarcan è una nobile cittade, e sonvi
cristiani e saracini. E' sono al Grande Cane, e sono verso maestro. E
diròvi una maraviglia ch'avenne in questa terra.
E' fu vero, né no è grande tempo, che
Gigata, fratello del Grande Cane, si fece cristiano, e era signore di questa
contrada. Quando li cristiani della cittade videro che lo signore era fatto
cristiano, ebbero grande alegrezza; e allora fecero in quella cittade una
grande chiesa a l'onore di san Giovanni Batista, e cosí si chiama. E' tolsero
una molto bella pietra ch'era dei saracini e poserla in quella chiesa e miserla
sotto una colonna in mezzo la chiesa, che sostenea tutta la chiesa. Or venne
che Gigatai fu morto e gli saracini, vedendo morto 'l segnore, abiendo ira di
quella pietra, la volloro tòrre per forza; e poteallo fare, ch'erano 10
cotanti che gli cristiani. E mossorsi alquanti saracini e andarono a li
cristiani, e dissero che voleano questa pietra. Li cristiani la voleano
comperare ciò che ne voleano; li saracini dissero che no voleano se non
la pietra. E alott[a] l[i] signoregiava lo Grande Cane, e comandò a li
cristiani che 'nfra 2 die Ii rendessero la loro pietra. Li cristiani, udendo lo
comandamento, funno molto tristi e non sapeano che si fare. La mattina che la
pietra si dovea cavare di sotto dalla colonna, la colonna si trovò alta
di sopra a la pietra bene 4 palmi; e non toccava la pietra per lo volere del
Nostro Signore. E questa fue tenuta grande meraviglia e è ancora; e
tuttavia v(i) stette poscia la prieta.
Or lasciamo qui, e diròvi di un'altra
provincia ch'à nome Carcam.
52
De Carcam.
Carcam è una provincia che dura 5 giornate.
E' adorano Macometto; e sonvi cristiani e nestorini. E' sono al Grande
abondanza † d'ogni cose. Quivi non à altro da ricordare.
Or lasciamo qui, e diremo di Cotam.
53
Di Cotam.
Cotam è una provincia tra levante e greco, e
dura 8 giornate. E' sono al Grande Kane, e adorano Malcometo tutti. E
v'à castella e città assai e son nobile gente; e la migliore
città è Cotam, onde si chiama tutta la provincia. Quivi àe
bambagia assai, vino, giardini, tutte cose. Vivono di mercatantia e d'arti; non
sono da arme.
Or ci partiamo di qui, e andiamo a un'altra
provincia ch'à nome Pein.
54
Di Pein.
[P]ein è una piccola provincia ch'è
lunga 5 giornate tra levante e greco. E' sono al Grande Kane e adorano
Maccomet. E v'à castella e città assai, e la piú nobile è
Pein. Egli ànno abondanza di tutte cose e vivoro di mercatantie e
d'arti. E ànno cotal costume, che quando alcuono uomo ch'à moglie
si parte di sua terra per stare 20 die, com'egli è partito, la moglie
puote prendere altro marito, per l'usanza che v'è; e l'uomo, ove vae,
puote prendere altra moglie. Altresí sappiate che tutte queste province che io
v'ò contate, da Cascar infin'a qui, sono de la Grande Turchia.
Or lasciamo qui, e conteròvi d'una provincia
chiamata Ciarcian.
55
Di Ciarcian.
Ciarcian è una provincia de la Grande
Turchia tra greco e levante. E adorano Macomet; e àvi castella e
città assai, e l[a] mastra città è Ciarcian. E v'à
fiume che mena diaspido e calciadonio, e pòrtalle a vendere au Ca[t]a, e
ànnone asai e buoni. E tutta questa provincia è sabione, e de
Cotam [a] Pein altressí sabione. E èvi molte acque amare e ree, e ancora
v'à de le dolci e buone.
E quando l'uomo si parte di Ciarcan, va bene 5
giornate per sabione, e àvi di male acque e amare, e àvi de le
buone. E a capo de le 5 giornate si truova una città ch'è a capo
del grande diserto, ove gli uomini prendono vivanda per passare lo diserto.
Or vi diremo di piú inanzi.
56
Di Lop.
Lop è una grande città ch'è a
l'intrata del grande diserto, ch'è chiamo lo diserto de Lop, e è
tra levante e greco. E' sono al Grande Cane e adorano Macomet. E quelli che
vogliono passare lo diserto si riposano in Lop per una settimana, per rinfrescare
loro e loro bestie; poscia prende vivande per uno mese per loro e per loro
bestie.
E partendosi di questa città, entra nel
diserto, e è tamanto che si penerebbe a passare bene uno anno; ma per lo
minore luogo si pena lo meno a trapassare uno mese. Egli è tutto
montagne e sabione e valle, e non vi si truova nulla a mangiare; ma quando
s'è ito uno die e una notte, si truova acqua, ma non tanta che n'avesse
oltra 50 o 100 uomini co loro bestie. E per tutto 'l diserto conviene che si vada
uno die e una notte prima che acqua si truovi: e in tre luoghi o in quattro
truova l'uomo l'acqua amara e salsa, e tutte l'altre sono buone, che sono nel
torno da 28 acque. Non v'à né uccelli né bestie, perché non
v'ànno da mangiare. E sí vi dico che quivi si truova tal maraviglia.
Egli è vero che, quando l'uomo cavalca di
notte per quel diserto, egli aviene questo: che se alcuno remane adrieto da li
compagni, per dormire o per altro, quando vuole pui andare per giugnere li
compagni, ode parlare spiriti in aire che somigliano che siano suoi compagnoni.
E piú volte è chiamato per lo suo nome propio, ed è fatto
disviare talvolta in tal modo che mai non si ritruova; e molti ne sono
già perduti. E molte volte ode l'uomo molti istormenti in aria e propiamente
tamburi. E cosí si passa questo grande diserto.
Or lasciamo del diserto, e diremo dell[e]
provinc[e] che sono all'uscita del diserto.
57
De la grande provincia di Ta(n)gut.
A l'uscita de(l) diserto si truova una città
ch'à nome Sachion, che è a lo Grande Cane. La provincia si chiama
Tangut; e adorano l'idoli (ben è vero ch'egli v'à alquanti
nestorini, e àvi saracini). La terra è tra levante e greco.
Quegli dagl'idoli ànno per loro speziale favella; no sono mercatanti, ma
vivono di terra. Egli ànno molte badie e monisteri, tutti piene d'idole
di diverse fatte, a li quali si fa sagrifici grandi e grandi onori. E sapiate
che ogni uomo che à fanciulli fae notricare uno montone a onore
degl'idoli. A capo dell'anno, ov'è la festa del suo idolo, lo padre col
figliuolo menano questo montone dinanzi a lo suo idolo, e fannogli grande
riverenza con tutti li figliuoli. Poscia fanno correre questo montone; fatto
questo, rimenall[o] davanti a l'idolo, e tanto vi stanno ch'è detto loro
uficio e loro prieghi, ch'elli salvi li loro figliuoli. Fatto questo, danno la
loro parte della carne a l'idolo; l'altra tagliano e portano a loro casa o a
altro luogo ch'egli vogliono, e mandano per loro parenti, e mangiano questa
carne con grande festa e reverenza; poi ricolgono l'ossa e ripongolle in
sopidiani o in casse molto bene. E sappiate che tutti gl'idolatori, quando
alcuno ne muore, gli altri pigliano lo corpo morto e fannolo ardere. E quando
si cavano di loro casa e sono portati al luogo dove debbono essere arsi, nella
via li suoi parenti in piú luoghi ànno fatte certe case di pertiche o di
canne copert[e] di drappi di seta e d'oro. E quando sono col morto dinanzi da
questa casa, sí posano lo morto dinanzi a questa casa, e quivi ànno vino
e vivande assai; e questo fanno perché sia ricevuto a cotale onore nell'altro
mondo. E quando lo corpo è menato al luogo ove dé essere arso, quivi
ànno uomini di carte intagliati e cavagli e camegli e monete grosse come
bisanti, e fanno ardere lo corpo con tutte queste cose, e dicono che quello
morto avrà tanti cavagli e montoni e danari e ogn'altra cosa nell'altro
mondo quant'egli fanno ardere per amore di colui in quello luogo dinanzi dal
corpo. E quando lo corpo si va ad ardere, tutti li stormenti de la terra vanno
sonando dinanzi a questo corpo.
Ancora vi dico che quando lo corpo è morto
sí manda gli parenti per astronomi e indivini, e dicogli lo die che nacque
questo morto; e coloro, per loro incantesimi de diavoli, sanno dire a costoro
l'ora che questo corpo si dee ardere. E tengollo talvolta li parenti in casa,
quel morto, 8 die e 15 e uno mese, aspettando l'ora che è buona da
ardere, secondo quelli indovini, né mai no gli arderebboro altrimenti.
(T)engono questo corpo in una cassa grossa bene uno palmo bene serata e
confitta e coperta di panno co molto zafferano e spezie, sí che no puta a
quelli della casa. E sappiate che quegli della casa fanno mettere tavola
dinanzi dalla cassa ov'è 'l morto, con vino e con pane e con vivande
come s'egli fosse vivo, e questo fanno ogne die fino che si dee ardere. Ancora
quegli indovini dicono a li parenti del morto che no è buono trare lo
morto per l'uscio, e mettono cagioni di qualche stella ch'è incontra a
l'uscio, onde li parenti lo mettono per altro luogo, e tale volta rompono lo
muro della casa da l'altro lato. E tutti gl'idoli del mondo vanno per questa
maniera.
Or lasciamo di questa e direnvi d'altre terre che
sono verso lo maestro, presso al capo di questo diserto.
58
De Camul.
Camul è una provincia, e già
anticamente fue reame. E àvi ville e castella assai; la mastra
città à nome Camul. La provincia è in mezzo di due
diserti: da l'una parte è 'l grande diserto, da l'altra è uno
piccolo diserto di tre giornate. Sono tutti idoli; lingua ànno per sé.
Vivono de' frutti de la terra e ànno assai da mangiare e da bere, e
vendonne asai. E' sono uomini di grande solazzo, che non attendono se no a
sonare in istormenti e 'n cantare e ballare. E se alcuno forestiere vi va ad
albergare, egli sono troppi alegri e comandano alle loro mogli che li servano
in tutto loro bisogno. E 'l marito si parte di casa e va a stare altrove 2 dí o
3; e 'l forestieri rimane colla moglie e fa con lei quello che vuole, come
fosse sua moglie, e stanno in grandi solazzi. E tutti quegli di questa
provincia sono bozzi delle loro femine, ma nol si tengono a vergogna; e le loro
femine sono belle e gioiose e molto alegre di quella usanza.
Or avenne che al tempo di Mogu Kane, segnore de'
Tartari, sappiendo che tutti gli uomini di questa provincia faceano avolterare
loro femine a' forestieri, incontanente comandò che niuno dovesse
albergare niuno forestiere e che no dovessero avolterare loro femine. E quando
quelli di Camul ebbero questo comandamento, furono molto tristi, e fecero
colsiglio e mandaro al signore uno grande presente; e mandarollo pregando che
gli lasciasse fare la loro usanza e degli loro antichi, però che gli
loro idoli l'aveano molto per bene, e per quello lo loro bene de la terra
è molto moltiplica[t]o. E quando Mogu Kane intese queste parole,
rispuose: «Quando volete vostra onta, e voi l'abiate». E tuttavia mantengon
quella usanza.
Or lasciamo di Camul e diremo d'altre province tra
maestro e tramontana.
59
Chingitalas.
Chingitalas è una provincia che ancora
è presso al diserto, entro tramontana e maestro. E è grande 6
giornate e è del Grande Kane. Quivi àe città e castella
assai; quivi à 3 generazioni di genti, cioè idoli, e quegli
ch'adorano Maccomet, e cristiani nestorini.
Quivi àe montagne ove à buone vene
d'acciaio e d'andanico; e in queste montagne è un'altra vena, onde si fa
la salamandra. La salamandra non è bestia, come si dice, che vive nel
fuoco, ché neuno animale puote vivere nel fuoco; ma diròvi come si fa la
salamandra. Uno mio compagno ch'à nome Zuficar — èe un Turchio —
istede in quella contrada per lo Grande Kane signore 3 anni e facea fare queste
salamandre; e disselo a me, e era persona che le vide assai volte, e io ne vidi
de le fatte. Egli è vero che quella vena si cava e stringesi insie[me] e
fa fila come di lana; e poscia la fa seccare e pestare in grandi mortai di covro,
poscia la fanno lavare e la terra sí cade, quella che v'è apiccata, e
rimane le file come di lana; e questa si fila e fassine panno da tovaglie.
Fatte le tovaglie, elle sono brune, mettendole nel fuoco diventano bianche come
nieve; e tutte le volte che sono sucide, si pognono nel fuoco e diventano
bianche come neve. E queste sono le salamandre, e l'altre sono favole. Anco vi
dico che a Roma à una di queste tovaglie che 'l Grande Kane mandò
per grande presenti, perché 'l sudario del Nostro Signore vi fosse messo entro.
Or lasciamo di questa provincia e anderemo a altre
province tra greco e levante.
60
De Succiur.
Quando l'uomo si parte di questa provincia, l'uomo
va 10 giornate tra greco e levante. E in tutto questo no si truova se no poca
abitazione, né non v'è nulla da ricordare.
Di capo di queste 10 giornate è una
provincia ch'è chiamata Succiur, nella quale àe castella e
cittadi asai. Quivi àe cristiani e idoli, e sono al Grande Kane. E la
grande provincia jeneraus ov'è questa provincia, e queste due ch'io
v'ò contato in arieto, è chiamata Cangut. E per tutte sue
montagne si truova lo reubarbaro in grande abondanza, e quivi lo comperano li
mercatanti e portalo per tutto il mondo. Vivon del frutto della terra, non si travagliano
di mercata(n)tie.
Or ci partiremo di qui, e diremo di Canpicion.
61
Di Ca(n)picion.
Canpicion è una cittade ch'è in
Ta(n)gut, e è molto nobile e grande; e è capo della provincia di
Tangut. La ge(n)te sono idoli, e àvi di quelli ch'adorano Malcomet, e
èvi cristiani; e èvi in quella città 3 chiese grandi e
belle. Gl'idoli ànno badie e monisteri secondo loro usanza; egli
ànno molti idoli, e ànnone di quegli che sono grandi 10 passi,
tale di legno, tale di terra e tali di pietra; e sono tutti coperti d'oro,
molto begli.
Or sappiate che gli aregolati degl'idoli vivono piú
onestamente che gli altri. Egli si guarda de lusuria, ma no l'ànno per
grande peccato; ma se truovano alcuno uomo che sia giaciuto con femina contra
natura, egli lo condanna a morte. E sí vi dico ch'egli ànno lunare come
noi abiamo lo mese. E è alcuno lunare che niuno idolo ucciderebbe alcuna
bestia per niuna cosa; e dura per 5 giorni, né non manicherebboro carne uccisa
in quegli 5 die. E' vivono piú onesti questi 5 die che gli altri. Egli prendono
fino in 30 femine e piú e meno, secondo chi è ricco, ma sapiate che la
prima tiene per la migliore; e se alcuna non li piace, egli la puote bene
cacciare. Egli prendo per moglie la cugina e la zia, e nol tengono peccato.
Egli vivono come bestie.
Or ci partiamo di qui, e conteremovi d'altre verso
tramontana. E sí vi dico che messer Niccolò e messer Mafeo e messer
Marco dimorarono uno anno per loro fatti in questa terra. Ora anderemo 60
giornate verso tramontana.
62
De Ezima.
Or truova Ezima dopo 12 giornate, che è al
capo del diserto del sabion, e è de la provincia di Ta(n)gut. E' sono
idoli. Egli ànno camegli e bestie assai; e quivi nasce falconi lanieri
assai e buoni. Elli vivono di terra e no sono mercatanti.
E in questa città si piglia vivanda per 40
giorni per uno diserto, onde si conviene andare, ché non v'è abitagione
né erbe né frutto, se none la state vi sta certa gente. Quivi à valle e
montagne, e ben vi si truova bestie salvatiche assai, come asine salvatiche.
Quivi àe boschi di pini. E quando l'uomo à cavalcato 40 giornate
per questo diserto, truova una provincia verso tramontana: udirete quale.
63
Di Carocaron.
Carocaron è una città che gira tre
miglia, nella quale fue lo primo signore ch'ebbero i Tartari, quando egli si
partiro di loro contrada. E io vi conterò di tutti li fatti delli
Tartari, e com'egli ebbero segnoria e com'egli si sparsero per lo mondo.
E' fu vero che gli Tartari dimoravano in
tramontana, entro Ciorcia; e in quelle contrade àe grandi piagge, ove
non è abitagione, cioè di castelle e di cittadi, ma èvi
buon[e] past[ure] e acque assai. Egli è vero ch'egli none aveano
signore, ma faceano reddita a uno signore, che vale a dire in francesco Preste
Gianni; e di sua grandezza favellava tutto 'l mondo. Li Tartari li davano
d'ogni 10 bestie l'una.
Or avenne che li Tartari moltiplicaro molto. Quando
Preste Gianni vide ch'egli moltipricavano cosí, pensò ch'egli li
puotessero nuocere, e pensò di partigli per piú terre. Adonqua
mandò de' suo baroni per fare ciò; e quando li Tartari udiro quello
che 'l signore volea fare, egli ne furo molto dolenti. Alora si partiro tutti
insieme e andarono per luoghi diserti verso tramontana, tanto che 'l Preste
Giovanni non potea loro nuocere; e ribellàrsi da lui e no gli facean
nulla rendita. E cosí dimorarono uno grande tempo.
64
Come Cinghis fue il primaio Kane.
Or avenne
che nel 1187 anni li Tartari fecero uno loro re ch'ebbe nome Cinghis Kane.
Costui fu uomo di grande valenza e di senno e di prodezza; e sí vi dico, quando
costui fue chiamato re, tutti li Tartari, quanti n'era al mondo che per quelle
contrade erano, s[i] vennero a lui e tennello per signore; e questo Cinghis
Kane tenea la segnoria bene e francamente. E quivi venne tanta moltitudine di
Tartari che no si potrebbe credere; quando Cinghi si vide tanta gente,
s'aparechiò con sua gente per andare a conquistare altre terre. E sí vi
dico ch'egli conquistò bene otto province in poco tempo, né no li face'
male a cui egli pigliava né no rubavano, ma menavaglisi drieto per conquistare
l'altre contrade, e cosí conquistò molta gente. E tutta gente andavano
volontieri dietro a questo signore, veggendo la sua bontà; quando Cinghi
si vide tanta gente, disse che volea conquistare tutto 'l mondo.
Alotta mandò suo messaggi al Preste Gianni —
e ciò fue nel 1200 anni —, e mandògli a dire che volea pigliare
sua [figliuola] per moglie. Quando 'l Preste Gianni intese che Cinghi avea
dimandata la figliuola, tenneselo a grande dispetto, e disse: «Non à
Cinghi grande vergogna a dimandare mia figlia per moglie? Non sa egli ch'egli
è mio uomo? Or tornate, e ditegli ch'io l'arderei inanzi ch'io gliele
dessi per moglie; e ditegli che conviene ch'io l'uccida siccome traditore di
suo signore». E disse a li messi: «Partitevi incontanente e mai non ci
tornate». Li messaggi si partiro e vennersine al Grande Kane, e ridissorli
quello che 'l Preste Gianni avea detto tutto per ordine.
65
Come Cinghi Kane fece suo sforzo contra Preste
Gianni.
E quando Cinghi Kane udío la grande villania ch 'l
Preste Gianni gli avea mandata, enfiò sí forte che per poco non li
crepò lo cuore entro 'l corpo, perciò ch'egli e(ra) uomo molto
segnorevole. E' disse che conviene che cara gli costi la villania che gli
mandò a dire, e che egli gli farebbe sapere s'egli è suo servo.
Alotta Cinghi fece lo magiore isforzo che mai si facesse, e mandò a dire
al Preste Gianni che si difendesse. Lo Preste Gianni fue molto lieto, e fece
suo isforzo, e disse di pigliare Cinghi e ucciderlo; e fecisene quasi beffe, non
credendo che fosse tanto ardito. Or quando Cinghi Kane ebbe fatto suo isforzo,
venne a uno bello piano ch'à nome Tanduc, ch'è presso al Preste
Gianni, e quivi mise lo campo. Udendo ciòe, lo Preste Gianni si mosse co
sua gente per venire contra Cinghi; quando Cinghi l'udío, fu molto lieto.
Or lasciamo de Cinghi Kane, e diciamo del Preste
Gianne e di sua gente.
66
Come 'l Preste G(i)anni venne contra Cinghi.
E quando lo Preste Gianni seppe che Cinghi era
venuto sopra lui, mossesi con sua gente, e venne al piano ov'era Cinghi, presso
al campo di Cinghi a
67
De la battaglia.
[A]presso quello die s'aparecchiaro l'una parte e
l'altra, e combattérsi insieme duramente, e fue la magior battaglia che mai
fosse veduta. E fue lo magiore male e da una parte e da l'altra, ma Cinghi Kane
vinse la battaglia; e fuvi morto lo Preste Giane, e da quello die inanzi perdéo
sua terra tutta. E andolla conquistando, e regnò 6 anni su questa
vittoria, pig[li]ando molte province. Di capo di 6 anni, istando a uno castello
ch'à nome Caagu, fu fedito nel ginocchio d'uno quadrello, ond'egli si ne
morío; di che fue grande danno, perciò ch'egli era prode uomo e savio.
Ora abiamo contato come gli Tartari ebboro in prima
segnore — ciò fue Cinghi Kane, — com'egli vinse lo Preste Giani. Or vi
diremo di loro costumi e di loro usanza.
68
Del novero degli Grandi Cani, quanti furo.
Sappiate veramente ch'apresso Cinghin Cane fue Cin
Kane, lo terzo Bacchia Kane, lo quarto Alcon, lo quinto Mogui, lo sesto Cublam
Kane. E questi àe piú podere, ché se tutti gli altri fossero insieme,
non poterebboro avere tanto podere com'àe questo Kane dirieto
ch'à oggi, e à nome Cablam Kane. E dicovi piú, ché se tutti li
signori del mondo, e saracini e cristiani, (fossero insieme), non potrebboro
fare tanto tra tutti come farebbe Coblam Kane.
E dovete sapere che tutti li Grandi Kani disces[i]
da Cinghi Kane sono sotterati a una montagna grande, la quale si chiama Alcai;
e ove li grandi signori de' Tartari muoiono, se morissoro 100 giornate di lungi
a quella montagna, sí conviene ch'egli vi siano portati. E sí vi dico un'altra
cosa, che quando l[i] corp[i] de li Grandi Kani sono portati a sotterare a
questa montagna, e egli sono lungi 40 giornate e piú e meno, tutte le gente che
sono incontrate per quello viaggio dove si porta lo morto, tutti sono messi a
le spade e morti. E dicogli, quando gli uccidono: «Andate a servire lo vostro
signore ne l'altro mondo», ché credono che tutti quegli che sono morti, per
ciò lo debbiano servire ne l'altro mondo. E cosí uccidono gli cavagli, e
pure gli migliori, perché 'l signore gli abbia ne l'altro mondo. E sappiate,
quando Mo[gui] Kane morío, furo morti piú di 20.000 uomini che 'ncontravano lo
corpo che s'anda(va) a sotterare.
Da che ò cominciato de' Tartari, sí ve ne
dirò molte cose. Li Tartari dimorano lo verno in piani luoghi ove
ànno erba e buoni paschi per loro bestie; di state in luoghi freddi, in
montagne e in valle, ov'è acqua e (a)sai buoni paschi. Le case loro sono
di legname, coperte di feltro, e sono tonde, e pòrtallesi dietro in ogni
luogo ov'egli vanno, però ch'egli ànno ordinate sí bene le loro
pertiche, ond'egli le fanno, che troppo bene le possono portare leggeremente.
In tutte le parti ov'egli vogliono queste loro case, sempre fanno l'uscio verso
mezzodie. Egli ànno carette coperte di feltro nero che, per che vi piova
suso, non si bagna nulla che entro vi sia. Egli le fanno menare a buoi e a
camegli, e'n su le carette pongono loro femmine e loro fanciugli. E sí vi dico
che le loro femmine comperano e vendono e fanno tutto quello che agli loro mariti
bisogna, però che gli uomini non sanno fare altro che cacciare e
ucellare e fatti d'oste. Egli vivono di carne e di latte e di cacci(a)gioni;
egli mangiano di pomi de faraon, che vi n'à grande abondanza da tutte
parti; egli mangiano carne di cavallo e di carne e di giument'e di buoi e di
tutte carni, e beono latte di giumente. E per niuna cosa l'uomo non toccarebbe
la moglie de l'altro, però che l'ànno per malvagia cosa e per
grande villania. Le donne sono buone e guarda bene l'onore de' l[oro] signori,
e governano bene tutta la famiglia. Ciascheuno puote pigliare tante mogli
quant'egli vuole infino in 100, se egli àe da poterle mantenere; e
l'uomo dàe a la mad(r)e della femina, e la femina non dà nulla a
l'uomo, ma ànno per migliore e per piú veritier[a] la prima moglie che
l'altre. Egli ànno piú figliuoli che l'altra gente per le molte femmine.
Egli prende per moglie le cugine e ogni altra femina, salvo la madre; e
prendono la moglie del fratello, s'egli muore. Quando piglia moglie, fanno grandi
nozze.
69
Del dio de' Tartari.
Sappiate che loro legge è cotale, ch'egli
ànno un loro idio ch'à nome Natigai, e dicono che quello è
dio terreno, che guarda loro figliuoli e loro bestiame e loro biade. E'
fannogli grande onore e grande riv(er)enza, ché ciascheuno lo tiene in sua
casa. E' fannogli di feltro e di panno, e 'l tengono in loro casa; e ancora
fanno la moglie di questo loro idio, e fannogli filiuoli ancora di panno. La
moglie pongono dal lato manco e li figliuoli dinanzi: molto gli fanno onore.
Quando vengono a mangiare, egli tolgono de la carne grassa e ungogli la bocca a
quello dio e sua moglie e a quegli figliuoli. Poscia pigliano del brodo e
gittanne giú da l'usciuolo ove stae quello idio. Quando ànno fatto cosí,
dicono che lor dio e sua famiglia àe la sua parte. Apresso questo,
mangiano e beono; e sappi(a)te ch'egli beono latte di giumente, e cónciallo in
tal modo che pare vino bianco: è buono a bere, e chiàmallo
chemmisi.
Loro vestimenta sono cotali: gli ricchi uomini
vestono di drappi d'oro e di seta, e ricche pelli cebeline e ermine e de vai e
de volpi molto riccamente; e li loro arnesi sono molto di grande valuta. Loro
arme sono archi, spade e mazze, ma d'archi s'aiutano piú che d'altro, ché egli
sono troppi buoni archieri; in loro dosso portano armadura di cuio di bufalo e
d'altre cuoia forti.
Egli sono uomini in battaglie vale(n)tri duramente.
E diròvi come eglino si possono travagliare piú che l'altri uomini, ché,
quando bisognerà, egli andrà e starà un mese senza niuna
vivanda, salvo che viverà di latte di giumente e di carne di loro
cacciagioni che prendono. Il suo cavallo viverà d'erba ch'andrà
pascendo, che no gli bisogna portare né orzo né paglia. Egli sono molto
ubidienti a loro signore; e sappiate che, quando bisogna, egli andrà e
starà tutta notte a cavallo, e 'l cavallo sempre andarà pascendo.
Egli sono quella gente che piú sostengono travaglio e [male], e meno vogliono
di spesa, e che piú vivono, e sono per conquistare terre e regnami.
Egli sono cosí ordinati che, quando uno signore
mena in oste 100.000 cavalieri, a ogne mille fa uno capo, e a (o)gne 10.000,
sicché non àe a parlare se non con 10 uomini lo signore de li 10.000, e
quello de' 100.000 non à a pa(r)lare se no co 10; e cosí ogni uomo
risponde al suo capo. E quando l'oste vae per monti e per valle, sempre vae
inanzi 200 uomini per sguardare, e altrettanti dirietro e da lato,
perchè l'oste non possa essere asalito che nol sentissoro. E quando egli
vanno in oste da la lunga, egli portano bottacci di cuoio ov'egli portano loro
latte, e una pentolella u' egli cuocono loro carne. Egli portano una piccola
tenda ov'egli fuggono da l'acqua. E sí vi dico che quando egli ha bisogno,
eglino cavalcano bene 10 giornate senza vivanda di fuoco, ma vivono del sangue
delli loro cavalli, ché ciascheuno pone la bocca a la vena del suo cavallo e
bee. Egli ànno ancora loro latte secco come pasta, e mettono di quello
latte nell'acqua e disfannolovi entro e poscia 'l beono.
Egli vincono le battaglie altresí fuggendo come
cacciando, ché fuggendo saettano tuttavia, e gli loro cavagli si volgoro come
fossero cani; e quando gli loro nemici gli credono avere isconfitti
cacciandogli, e e' sono sconfitti eglino, perciò che tutti li loro
cavagli sono morti per le loro saette. E quando li Tartari veggono gli cavagli
di quegli che gli cacciano morti, egli si rivolgono a loro e sconfiggoli per la
loro prodezza; e in questo modo ànno già vinte molte battaglie.
Tutto questo ch'io v'ò contato e li costumi,
è vero de li diritti Tartari; e or vi dico che sono molto i bastardi,
ché quegli che usano au Ca[t]a se mantengono li costumi degl'idoli, e
ànno lasciata loro legge; e quegli che usano in levante tegnono la
maniera degli saracini.
La giustizia vi si fa com'io v(i) diròe.
Egli è vero, se alcuno àe imbolato una picciola cosa, ch'egli
(non) ne debbia perdere persona, e gli è dato 7 bastonate o 12 o 24, e
vanno infino a le 107, secondo ch'à fatta l'ofesa; e tuttavia ingrossano
giugne(ndo)ne 10. E se alcuno à tolto tanto che debbia perdere persona o
cavallo o altra grande cosa, si è taglia[t]o per mezzo con una ispada; e
se egli vuole pagare 9 cotanto che non vale la cosa ch'egli à tolta,
campa la persona.
Lo bestiame grosso non si guarda, ma è tutto
segnato, ché colui che 'l trovasse, conosce la 'nsegna del signore e
rimandal[o]; peccore e bestie minute bene si guardano. Loro bestiame è
molto bello e grosso.
Ancora vi dico un'altra loro usanza, ciò che
fanno ma[trimoni] tra loro di fanciulli morti, ciò è a dire: uno uomo
à uno suo fanciullo morto; quando viene nel tempo che gli darebbe moglie
se fosse vivo, alotta fa trovare uno ch'abbia una fanciulla morta che si faccia
a lui, e fanno parentado insieme e danno la femina morta a l'uomo morto. E di
questo fanno fare carte; poscia l'ardono, e quando veggono lo fumo in aria,
alotta dicono che la carta vae nell'altro mondo ove sono li loro figliuoli, e
queglino si tengono per moglie e per marito nell'altro mondo. Egli ne fanno
grandi nozze e versane assai, ché dicono che vae a li figliuoli ne l'altro
mondo. Ancora fanno dipignere in carte uccegli, cavagli, arnesi, bisanti e
altre cose assai, e poscia le fanno ardere, e dicono che questo sarà
presentato da divero ne l'altro mondo a li loro figliuoli. E quando questo
è fatto, egli si tengono per parenti e per amici, come se gli loro
figliuoli fossero vivi.
Or v'abiamo contato l'usanze e gli costumi de'
Tartari; ma io non v'ò contato degli grandi fatti de li Grandi Cani e di
sua corte; ma io ve ne conterò in questo libro, ove si converàe.
Or torneremo al grande piano che noi lasciammo quando cominciammo a ragionare
de li Tartari.
70
Del piano di Bangu.
Quando l'uomo si parte de Caracoron e de Alcai,
ov'è lo luogo ove si sotterrano li corpi de li Tartari, sí come
v'ò contato di sopra, l'uomo vae piú inanzi per una contrada verso
tramontana, l[a] quale si chiama lo piano di Bangu, e dura bene 40 giornate. La
gente sono chiamate Mecricci, e sono salvatica gente; egli vivono di bestie e
'l piú di cerbi. E' sono al Grande Kane. Egli non ànno biade né vino; la
state ànno cacci(a)gioni e uccellagioni assai, di verno non vi stae né
bestie né uccelli per lo grande freddo. E quando l'uomo è di capo dalle
40 giornate, l'uomo truova lo mare Azziano. E quivi àe montagne ove li
falconi pelegrini fanno loro nidio, né no v'à se no una generazione
d'uccegli, de che si pascono quegli falconi, e son grandi come pernice, e
chiamansi bugherlac; egli ànno fatto li piedi come papagallo, la coda
come rondene, e molto sono volanti. E quando 'r Grande Kane vuole di quegli
falconi, manda a quella montagna. E nell'isol[e] di quello mare nasce gli
gerfalchi. E sí vi dico che questo luogo è tanto verso la tramontana,
che la tramontana rimane adrieto verso mezzodie. E di quegli gerfalchi
v'à tanti che 'l Grande Kane n'à tanti com'egli vuole; e † quegli
che porta questi girfalchi a li Tartari li portino al Grande Kane e a li
segnori del Levante, cioè ad Argo ed agli altri.
Or v'abiàno contato tutti li fatti delle
province de la tramontana fino al mare Ozeano. Oggiomai vi conteremo d'altre
province, e ritorneremo al Grande Kane; e ritorneremo a una provincia che noi
abiamo iscritta in nostro libro, ch'à nome Canpitui.
71
Del reame d 'Erguil.
E quando l'uomo si parte di questo Canpitui che io
v'ò contato, l'uomo vae 5 giornate per luogo ove è molti spiriti,
li quali l'uomo gli ode parlare per l'aria la notte piú volte. A capo di queste
5 giornate, l'uomo truova uno reame ch'à nome Erguil, e è al
Grande Kane; e è de la grande provinc[ia] di Tengut, che àe piú
reami. Le genti sono idoli, e cristiani nestorini, e quegli che adorano
Malcomet. E v'àe cittadi asai, e la mastra cittade à nome
Ergigul.
E uscendo di questa città, andando verso
Catai, si truova una città ch'a no(m)e Singui. E àvi ville e
castelle assai, e sono di Tangut medesimo, e è al Grande Kane. Le genti
sono idoli, e che adorano Malcomet, e cristiani. E v'à buoi salvatichi
che sono grandi come leofanti, e sono molto begli a vedere, ché egli sono tutti
pilosi, fuor lo dosso, e sono bianchi e neri, lo pelo lungo 3 palmi: e' sono sí
begli ch'è una meraviglia. E de questi buoi medesimi ànno de'
dimestichi, perch'ànno presi de' salvatichi e ànnogli
fatt'alignare dimestichi; egli gli caricano e lavorano con essi, e ànno
forza due cotanto che gli altri.
E in questa contrada nasce lo migliore moscado che
sia al mondo. Sapiate che 'l moscado si truova in questa maniera,
ch'ell'è una picciola bestia come una gatta, ma è cosí fatta:
ella àe pelo de cerbio, cosí grosso lo piede come gatta, e àe 4
denti, due di sotto e due di sopra, che sono lunghi tre dita e sono sotile, li
due vanno in giuso e le due in suso. Ell'è bella bestia.
Lo moscado si truova in questa maniera, che quando
l'uomo l'àe presa, l'uomo truova tra la pelle e la carne, dal bellíco,
una postema, e quella si taglia con tutto 'l cuoio, e quello è lo
moscado, di che viene grande olore. E in questa contrada n'àe grande
abonda(n)za, cosí buono com'i' v'ò detto.
Egli vivono di mercatantia e d'arti, e ànno
biade. La provincia è grande 15 giornate. E v'à fagiani due
cotanto grandi ch'e' nostri: egli sono grandi come paoni, un poco meno; egli
ànno la coda lunga 10 palmi e 9 e 8 e 7 almeno. Ancora v'à
fagiani fatti come quegli di questo paese.
Le gente sono idole, e grasse, e ànno piccolo
naso, li capelli neri; non ànno barb[a] se no al mento. Le donne non
ànno pelo adosso in niuno luogo, salvo che nel capo; elle ànno
molto bella carne e bianca, e sono bene fatte di loro fattezze, e molto si
dilettano con uomini. E puossi pigliare tante femine come altri vuole, abiento
il podere; e se la femina è bella e è di piccolo legnaggio, uno
grande uomo la toglie e dàe a la mad(r)e molto avere e di ciò
ch'egli s'accordano.
Or ci partiamo di qui, e anderemo a un'altra
provincia verso levante.
72
De l'Egrig(a)ia.
E quando l'uomo si parte d'Erguil e vassi per
levante 8 giornate, egli truova una provincia chiamata Egrigaia. E èvi
cittadi e castella assai, e è di Tengut, la mastra città è
chiamata Calatian. La gente adorano idoli: e àvi tre chiese de cristiani
nestorini. E sono al Grande Kane. In questa città si fa giambellotti di
pelo di camello, li piú belli del mondo; e de lana bianca fanno giambellotti
bianchi molto begli, e fannone in grande quantitade e portansi in molte parti.
Ora usciamo di questa provincia, e 'nteremo in
un'altra provincia chiamata Tenduc; e enteremo in nelle terre del Preste
Giovanni.
73
De la provincia di Tenduc.
Tenduc è una provincia verso levante,
ov'à castella e cittadi assai. E' sono al Grande Kane, e sono
discendenti dal Preste Giovanni. La mastra cittade è Tenduc. E de questa
provincia è re uno discendente de legnaggio del Preste Giovanni, e
ancora si è Preste Gianni, e suo nome si è Giorgio. Egli tiene la
terra per lo Grande Kane, ma non tutta quella che tenea lo Preste Gianni, ma
alcuna parte di quelle medesime. E sí vi dico che tuttavia lo Grande Kane
à date di sue figliuole e de sue parenti a quello re discendente del
Preste Gianni.
In questa provincia si truova le pietre onde si fa
l'azurro molto buono; e v'à giambellotti di pelo di gamello. Egli vivono
di frutti della terra; quivi si à mercatantie ed arti.
La terra tengono li cristiani, ma e' v'à
degl'idoli e di quelli ch'adorano Maccometo. Egli sono li piú bianchi uomini
del paese e i piú begli e i piú savi e i piú uomini mercatanti.
E sappiate che questa provincia era la mastra sedia
del Preste Gianni, quando egli signoregiava li Tartari e tutta quella contrada;
e ancora vi stae li suoi descendenti; el re che la segnoreggia è de suo
legnaggio. E questo è lo luogo che noi chiamiamo Gorgo e Magogo, ma egli
lo chiamano Nug e Mungoli; e in ciascheuna di queste province àe
generazione di gente [...] e in Mugul dimorano li Tartari.
E quando l'uomo cavalca per questa provincia 7
giornate per levante verso li Tartari, l'uomo truova molte cittadi e castelle,
ov'è gente ch'adorano Malcomet, e idoli, e cristiani nestorini. Egli
vivono d'arti e di mercatantie. Egli sanno fare drappi dorati che si chiama
nasicci, e drappi di seta di molte maniere. Egli sono al Grande Kane.
E v'è una città ch'à nome
Sindatui, ove si fa molte arti, e favisi tutti fornimenti da oste. E àe
una montagna ov'è una molto buona argentiera. Egli ànno
cacciagioni di bestie e d'uccegli.
Noi ci partiremo di qui e anderemo 3 giornate e
troveremo una città che si chiama Ciagannuor, nella quale àe uno
grande palagio che è del Grande Kane. E sappiate che 'l Grande Kane
dimora volontieri i(n) questa città e in questo palagio, perciò
ch'egli v'àe lago e riviera assai, ove dimora molte grue; e àvi
uno molto bello piano, ove dimora grue assai, fagiani e pernici e di molte
fatte d'uccelli. E per questo vi prende il Grande Kane molto solazzo,
perch'egli fa uccellare a gerfalchi e a falconi, e prendono molti uccelli. E'
v'à 5 maniere di grue: l'una sono tutti neri come carboni, e sono molto
grandi; l'altra sono tutti bianchi e ànno l'alie molto belle, fatte come
quelle del paone, lo capo ànno vermiglio e nero e molto bene fatto, lo
collo nero e bianco, e sono magiori de l'altre assai; la terza maniera sono fatti
come li nostri la quarta maniera sono piccoli e ànno agli orecchi penne
nere e bianche; la quinta sono tutti grigi, grandissimi, e ànno lo capo
bianco e nero.
E apresso a questa città à una valle
ove 'l Grande Kane à fatte fare molte casette, ov'egli fa fare molte cators,
cioè contornici, e a la guardia di questi uccegli fa stare piú
òmini. E àvine tanta abondanza che ciò è
meraviglia; e qua(n)do lo Grande Kane viene in quella contrada àe di
questi uccegli grande abondanza.
Di qui ci partiremo, e andaremo tre giornate tra
tramontana e greco.
74
De la città di Giandu.
Quando
l'uomo è partito di questa cittade e cavalca 3 giornate, sí si truova
una cittade ch'è chiamata Giandu, la quale fee fare lo Grande Kane che
regna, Coblai Kane. E àe fatto fare in questa città uno palagio
di marmo e d'altre ricche pietre; le sale e le camere sono tutte dorate e
è molto bellissimo marivigliosamente. E atorno a questo palagio è
uno muro ch'è grande
Sappiate che 'l Grande Kane àe fatto fare in
mezzo di questo prato uno palagio di canne, ma è tutto dentro innorato,
e è lavorato molto sottilemente a besti' e a uccegli innorat[i]. La
copertura è di canne, vernicata e comessa sí bene che acqua non vi puote
intrare. Sappiate che quelle canne sono grosse piú di 3 palmi o 4, e sono
lunghe (da) 10 passi infino in 15; e tagliansi al nodo e per lungo, e sono
fatte come tegoli, sicché se può bene coprire la casa. E àl fatto
fare sí ordinatamente ch'egli lo fa disfare quando egli vuole, e fallo
sostenere a piú di 200 corde di seta.
E sappiate che tre mesi dell'anno vi stae in questo
palagio lo Grande Kane, cioè giugno, luglio, agosto, e questo fae perché
v'è caldo. E questi tre mesi questo palagio sta fatto, gli altri mesi
dell'anno istà disfatto e riposo; e puollo fare e disfare a suo volere.
E quando egli viene a' 28 die d'agosto, lo Grande Kane si parte di questo
palagio; e diròvi la cagione.
Egli è vero ch'egli àe una
generazione di cavagli bianchi e di giumente bianche come neve, senza niuno
altro colore — e sono in quantità bene di 10.000 giumente —, e lo latte
di queste giumente bianche no può bere niuno se non di schiatta
emperiale. Ben è un'altra generazioni di gente chiamata Oriat, che ne
possono bere, ché Cinghi Kane gli diede quella grazia per una battaglia che
vinsero co lui jadis. E quando queste bestie vanno pascendo, gli è fatto
tanto onore, che no è sí grande barone che passasse per queste bestie,
per no scioperalle del pascere. E gli stronomi e gl'idoli ànno detto al
Grande Kane che di questo latte si dee versare ogn'anno a' 28 die d'agosto per
l'aria e per la terra, acciò che gli spiriti e gl'idoli n'abbiano a bere
la loro parte, acciò che gli salvino loro famiglie, uccegli e ogne loro
cosa.
E quando si parte lo Grande Kane e va a un altro
luogo. E sí vi dirò una maraviglia ch'io avea dimenticata, che quando 'l
Grande Kane è in questo palagio e egli viene uno male tempo, egli
àe astronomi e incantatori, e fa[nno] che 'l male tempo non viene in sul
suo palagio. E questi savi uomini son chiamati Tebot, e sanno piú d'arti di
diavoli che tutta l'altra gente, e fanno credere a le genti che questo aviene
per santità. E questa gente medesima ch'io v'ò detto ànno
una tale usanza, che quando alcuno uomo è morto per la segnoria, eglino
lo fanno cuocere e màngiallo, m[a] non se morisse di sua morte.
E' sono sí grandi incantatori che, quando 'l Grande
Kane mangia in su la maestra sala, e gli coppi pieni di vino o di latte o
d'altre loro bevande, che sono dall'altro capo della sala, sí gli fanno venire
sanza ch'altri gli tocchi, e vegnono dinanzi al Grande Kane; e questo vede bene
10.000 persone, e questo è vero senza menzogna, e questo ben si puote
fare per nigromanzia.
† E quando viene niuna festa di niuno idolo, egli
vanno al Grande Kane, e fannosi dare cotanti montoni e legno aloe e altre cose
per fare onore a quello idolo, perciò che si salvi lo suo corpo e le sue
cose. E quando questi incantatori ànno fatto questo, fanno grande afummata
dinanzi agl'idoli di buone ispezie, con grandi canti. Poscia ànno questa
carne cotta di questi montoni, e' póngolla dinanzi all'idolo e versano lo brodo
quae e làe, e dicono che gl'idoli ne piglino quello che egli vogliono. E
in cotale maniera fanno onore agl'idoli lo dí della loro festa, ché ciascuno
idolo à propia festa, come ànno gli nostri santi.
Egli ànno badie e monisteri, e sí vi dico
che v'à una piccola città ch'àe uno monistero che
v'àe entro piú di 2.000 monaci, e vestonsi piú onestamente che tutta
l'altra gente. Egli fanno le magiori feste agli idoli del mondo, co li magiori
canti e cogli magiori luminari.
Ancora v'àe un'altra maniera di rilegiosi,
che fanno cosí aspra vita com'io vi conterò. Egli mai no mangiano altro
che crusca di grano, e fannola istare in molle nell'acqua calda uno poco, e
poscia la menano e màngialla. Quasi tutto l'anno digiunano; e molti
idoli ànno e molto stanno in orazione, e tale volta adorano lo fuoco. E
quelle altre regole dicono di costoro che digiunano che sono paterini. Altra
maniera v'à di monaci che pigliano moglie e ànno figliuoli asai;
e questi vestono di (altre) vestimenta dagli altri, sicché vi dico insomma
grande differenza à da l'una a l'altra e in vita e in vestiri.
E di questi v'àe che tutti loro idoli
ànno nome di femine.
Or ci partiremo di qui, e conteròvi del
grandissimo segnore di tutti li Tartari, cioè lo nobile Grande Kane, che
Coblain è chiamato.
75
Di tutti li fatti de(l) Grande Kane che regna
aguale.
Vo'vi cominciare a parlare di tutti gli grandissimi
† meraviglie del Grande Kane che aguale regna, che Coblain Kane si chiama, che
vale a dire in nostra lingua 'lo signore degli signori'. E certo questo nome
è bene diritto, perciò che questo Grande Kane è 'l piú
possente signore di genti, di terr'e di tesoro che sia, né che mai fue, da Adam
infino al die d'oggi. E questo mosterò ch'è vero in questo nostro
libro, sicché ogni uomo ne serà contento. E di questo moster[ò]
ragione.
76
De la grande battaglia che 'l Grande Kane fece con
Naian.
Or sappiate veramente che chi è della
diritta schiatta di Cinghi Kane, dirittamente d(é) essere signore di tutti li
Tartari. E questo Coblaino è lo 6° Kane, ciò è a dire
ch'egli è di capo del 6 Grandi Kani che sono fatti infino a qui. E
sappiate che questo Coblain cominciò a regnare nel 1256 anni; e sappiate
ch'egli ebbe la segnoria per suo grande valore e per sua prodezza e senno, ché
gli suoi frategli gliele voleano tòrre e gli suoi parenti; e sappiate
che di ragione la segnoria cadea a costui. Egli è, ch'egli
cominciòe a regnare, 42 anni fino a questo punto, che corre 1298 anni;
egli puote bene avere da 85 anni. E 'n prima ch'egli fosse signore, andò
in piú osti e portossi gagliardamente, sicché era tenuto prode uomo de l'arme e
buono cavaliere; ma poscia ch'egli fue signore, no andò in oste ma' in
una volta; e que' fue nell'anno 1286, e io vi dirò perché fue.
† (Egli è) vero che uno che ebbe nome Naian,
lo quale era uomo del Grande Kane e molte terre tenea da lui e province, sicché
potea bene fare 400.000 d'uomini a cavallo; e suoi anticessori anticamente
soleano essere sotto il Grande Kane, e era giovane di 20 anni. Or disse questo
Naian che non volea essere piú sotto 'l Grande Kane, ma gli torrebbe tutta la
terra. Alotta mandò Naian a Caidu, ch'era uno grande signore e era
nepote del Grande Cane, che venisse dall'una part'e egli andarebbe dall'altra
per tògli la terra e la segnoria. E questo Caidu disse che bene gli
piace, e disse ch'egli saràe bene aparecchiato a quello tempo ch'aveano
ordinato. E sappiate che questi avea da mettere in campo bene 100.000 uomini a
cavallo. E sí vi dico che questi due baroni fecero grande raunata di cavalieri
e di pedoni per venire adosso al Grande Kane.
77
E quando 'l Grande Kane seppe queste cose, egli non
si spaventòe né mica, ma sí come savio uomo disse che mai no volea
portare corona né tenere terra, se questi due traditori no mettesse a morte. E
sappiate che questo Grande Kane fece tutto suo aparecchiamen(to) in 22 die
celatamente, sicché non si seppe fuori del suo consiglio. Egli ebbe bene
360.000 d'uomini a cavallo e bene 100.000 uomini a piede. E sappiate che tutta
questa gente fuoro di sua casa, e perciò fec'egli cosí poca gente; e
s'egli avesse richiesto tutta sua gente, egli n'avrebbe avuta tanta che non si
potrebbé credere, ma avrebbe troppo posto e non sarebbe fatta segreta. E questi
360.000 di cavalieri che egli fece, fuoro pur falconieri e gente che andava
drieto a lui. E quando 'l Grande Kane ebbe fatto questo aparecchiamento, egli
ebbe suoi istàrlogi, e dimandògli se egli dovea vincere la
battaglia, e egli rispuosero di sí e ch'egli metterebbe a morte suoi nemici. Lo
Grande Kane si mise in via con sua gente, e venne in 20 giornate a uno piano
grande, ove Naiano era con tutta sua gente, che bene erano 300.000 di
cavalieri. E' giunsero uno die la mattina per tempo, sicché Naian non ne seppe
nulla, perciò che ('l) Grande Kane avea sí fatte pigliare le vie, che
niuna ispia gliele potea raportare che non fosse presa. E quando 'l Grande Kane
giunse al campo con sua gente, Naiano stava sul letto co la moglie in grandi
solazzi, ché molto le volea grande bene.
78
Comincia la bataglia.
Quando l'alba del die fue venuta, e 'l Grande Kane
aparve sopra 'l piano ove Naiano dimorava molto segretamente, perché non credea
che 'l Grande Kane ardisse per niuna cosa di venirvi, e perciò non facea
guardare lo campo né dinanzi né dirieto. Lo Grande Kane giunse sopra questo
luogo, e avea una bertesca sopra quattro leofanti, ove avea suso insegne,
sicché bene si vedeano da la lunga. Sua gente era ischierata a
E quando Naiano vide lo Grande Kane con sua gente,
egli furono tutti ismariti e ricorsero a l'arme, e schieraronsi bene e
ordinatamente, e aconciarsi, sí che non era se non a fedire.
Alotta cominciò a sonare molti istormenti ed
a cantare ad alta boce; però che l'usanza de' Tartari è cotale,
che 'nfino che 'l naccaro non suona, ch'è uno istormento del capitano,
mai non combatterebboro, e infino che suona, gli altri suonano molti stormenti
e cantano. Or è lo cantare e lo sonare sí grande da ogne parte, che
ciò era maraviglia.
Quando furo aparecchiati trambo le parti, e li
grandi naccari cominciaro a sonare, e l'uno venne contra l'altro, e
cominciaronsi a fedire di lance e di spade. E fue la battaglia molto crudele e
fellonesca, e le saette andavano tanto per aria che non si potea vedere l'aria
se non come fosse piova; e li cavalieri cadeano a terra dell'una parte e
dell'altra, e eravi tale romore, che gli truoni non sarebboro uditi. E sappiate
che Naiano era cristiano battezato, e in questa battaglia avea egli la croce di
Cristo sulla sua insegna.
E sappiate che quella fue la piú crudele battaglia
e la piú paurosa che fosse mai al nostro tempo, né ove tanta gente morisse: e
vi morío tanta gente tra da l'una parte e dell'altra, che ciò sarebbe
maraviglia a credere. Ella duròe da la mattina infino al mezzodie
passato, ma da sezzo lo campo rimase al Grande Kane. Quando Naian e sua gente
vide ch'egli non potea sofferire piú, si misoro a fugire, ma non valse nulla,
ché pure Naian fu preso, e tutti suoi baroni e la sua gente si rendéo al Grande
Kane.
79
Come Naian fu morto.
E quando 'l Grande Kane seppe che Naian era preso,
egli comandò che (fo)sse ucciso in tale maniera, ch'egli fue messo su
uno tappeto e tanto pallato e menato quae e là che morío. E ciò
fece, ché non volea che 'l sangue del lignaggio de lo imperadore facesse
lamento a l'aria; e questo Naiano era di suo legnaggio.
Quando questa battaglia fue vinta, tutta la gente
di Naian fecero rendita al Grande Kane (e) la fedeltate. Le province sono
queste: la prima è Ciorcia, la seconda Cauli, la terza Barscol, (la
quarta) Singhitingni.
Quando 'l Grande Kane ebbe vinta la battaglia, gli
saracini e gli altri che v'erano de diversa gente si diedero maraviglia della
croce che Naian avea recato nella 'nsegna, e diceano verso li cristiani:
«Vedete come la croce del vostro idio à 'iutato Naian e sua gente?». E
tanto diceano che 'l Grande Kane lo seppe e crucciossi contra coloro che dicean
villania a li cristiani. E fece chiamare li cristiani che quivi erano, e disse:
«Se 'l vostro idio non à 'iutato Naian, egli à fatto gran(n)de
ragione, perciò che Dio è buono e non volle fare se non ragione.
Naian era disleale e traditore, ché venía contra suo signore e perciò
fece bene Dio, che non l'aiutòe». Li cristiani dissero ch'egli avea
detto 'l vero, che la croce non volea fare altro che diritto, e egli à
bene quello di che egli era degno. E queste parole della croce furo tra lo
Grande Kane e li cristiani.
80
Come 'l Grande Kane tornò ne la città
di Coblau.
Quando lo Grande Kane ebbe vinta la battaglia, come
voi avete udito, egli si tornò a l(a) grande città di Coblau co
grande festa e co grande solazzo. E quando l'altro re — Caidu avea nome — udío
che Naian era sconfitto, non fece oste contra 'l Grande Kane, ma ebbe grande
paura del Grande Kane.
Or avete udito come 'l Grande Kane andòe in
oste, ché tutte l'altre volte pur mandòe suo figliuoli e suoi baroni, e
questa volta vi volle andare pur egli, perciò che 'l fatto gli parea
troppo grande. Or lasciamo questa matera, e ritorneremo a contare de li grandi
fatti del Grande Kane.
Noi abiamo contato di quale legnaggio egli fue e
sua nazione. Or vi dirò degli doni ch'egli fece a li baroni che si
portaro bene nella battaglia, e quello ch'egli fee a quelli che furo vili e
codardi. Io vi dico che alli prodi diede che, se egli era signore di 100 uomini,
egli lo face di 1.000, e facegli grandi doni di vasellamenti d'ariento e di
tavole di signore; quegli ch'àe segnoria di 100 à tavola
d'ariento, e quello che l'à di
Lo peso di queste tavole si è cotale che
quel ch'à segnoria di 100 o di 1.000, la sua tavola pesa libbre 120, e
quella ch'à testa di lione pesa altrettanto; l'altre sono d'argento. E
in tutte queste tavole è scritto uno comandamento, e dice cosí: «Per la
forza del grande dio e de la grande grazia ch'à donata al nostro
imperadore, lo nome del Grande Kane sia benedetto, e tutti quegli che no
ubideranno siano morti e distrutti». E ancora questi ch'ànno queste
tavole, ànno brivilegi, ov'è scritto tutto ciò che debbono
fare ne la loro segnoria.
Ancor vi dico che colui ch'àe signoria di
100.000, o è signore d'una grande oste generale, e questi ànno
tavola che pesa
Or lasciamo di questa matera, e conteròvi de
le fattezze del Grande Kane e di sua contenenza.
81
De la fattezza del Grande Kane.
Lo Grande Signore de' signori, che Cob(l)ai Kane
è chiamato, è di bella grandezza, né piccolo né grande, ma
è di mezzana fatta. Egli è ca(r)nuto di bella maniera; egli
è troppo bene tagliato di tutte le membre; egli à lo suo viso
bianco e vermiglio come rosa, gli occhi neri e begli, lo naso bene fatto e ben
li siede.
Egli àe tuttavia 4 femine, le quali tiene
per sue dirette moglie. E 'l magiore figliuolo ch'egli àe di queste 4
moglie dé essere per ragione signore de lo 'mperio dopo la morte di suo padre.
Elle sono chiamate imperadrici, e ciascuna è
chiama[t]a per su' nome, e ciascuna di queste donne tiene corte per sé, e non
vi n'à niuna che non abbia 300 donzelle, e ànno molti valetti e
scudieri e molti altri uomini e femine, sicché ciascuna di queste donne
à bene in sua corte 10.000 persone. E quando vuole giacere con niuna di
queste donne, egli la fa venire in sua camera e talvolta vae alla sua.
Egli tiene ancora molte amiche; e diròvi
come: (e)gli è vero ch'egli è una generazione di Tartari, che
sono chiamati Ungrac, che sono molto bella gente e avenante, e di queste sono
scelte 100 le piú belle donzelle che vi sono, e sono menate al Grande Kane.
Egli le fa guardare a donne nel palagio e falle giacere apresso lui in uno letto
per sapere se ell'àe buono fiato, e per sapere s'ella è pulcella
e ben sa(na) d'ogni cosa. E quelle che sono buone e belle di tutte cose so'
messe a servire lo signore in tal maniera com'io vi dirò. Egli è
vero che ogne 3 die e 3 notti, 6 di queste donzelle servono lo signore in
camera e a letto e a ciò che bisogna, e 'l signore fa di loro quello
ch'egli vuole. E di capo di 3 dí e di 3 notti vegnono l'altre 6 donzelle, e
cosí va tutto l'anno di
82
De' figliuoli del Grande Kane.
Ancora sappiate che 'l Grande Kane à di sue
4 moglie 22 figliuoli maschi; lo maggiore avea nome Cinghi Kane, e questi dovea
essere Grande Kane e segnore di tutto lo 'mperio. Or avenne ch'egli morío, e
rimase uno figliulo ch'a nome Temur, e questo Temur dé essere (Grande) Kane e
signore, (e) è ragione, perché fu figliuo(lo) del magiore figliuolo. E
sí vi dico che questi è savio uomo e prode, e bene à provato in
piú battaglie.
Sappiate che 'l Grande Kane à 25 figliuoli
di sue amiche, e ciascuno è grande barone. E ancora dico che degli 22
figliuoli ch'egli à de le 4 mogli, gli 7 ne sono re di grandissimi
reami, e tutti mantegno bene loro regni, come savi e prodi uomini. E ben
è ragione, ché risomiglino dal padre: di prodezza e di senno è 'l
migliore rettore di gente e d'osti di niuno signore che mai-fosse tra' Tartari.
Or v'ò divisato del Grande Kane e di sue
femini (e) di suoi figliuoli; or vi diviserò com'egli tiene sua corte e
sua maniera.
83
Del palagio del Grande Kane.
Sappiate veramente che 'l Grande Kane dimora ne la
mastra città — e è chiamata Canbalu —, 3 mesi dell'anno,
cioè dicembre, gennaio e febraio; e in questa città à suo
grande palagio, e io vi diviserò com'egli è fatto.
Lo palagio è d'un muro quadro, per ogne
verso uno miglio, e su ciascheuno canto di questo palagio è uno molto
bel palagio; e quivi si tiene tutti gli arnesi del Grande Kane, cioè
archi, turcassi, selle, freni, corde, tende e tutto ciò che bisogna ad
oste e a guerra. E ancora tra questi palagi à 4 palagi in questo
circuito, sicché in questo muro atorno atorno sono 8 palagi, e tutti sono pieni
d'arnesi, e in ciascuno non à se non d'una cosa.
E in questo muro verso la faccia di mezzodie,
à 5 porte, e nel mezzo è una grandissima porta che non s'apre mai
né chiude, se non qua(n)do 'l Grande Kane vi passa, cioè entra e esce. E
dal lato a questa porta ne sono due piccole, da ogne lato una, onde entra tutta
l'altra gente; dall'altro canto n'àe un'altra grande, per la quale entra
comunemente ogni uomo.
E dentro a questo muro è un altro muro, e
atorno àe 8 palagi come nel primaio, e cosí sono fatti; ancora vi stae
gli arnesi del Grande Kane. Nella faccia verso mezzodie àe 5 porte,
nell'altre pure una.
E in mezzo di questo muro è 'l palagio del
Grande Kane, ch'è fatto com'io vi conterò. Egli è il magiore
che giamai fu veduto: egli non v'à palco, ma lo spazzo è alto piú
che l'altra terra bene 10 palmi; la copertura è molto altissim[a]. Le
mura delle sale e de le camere sono tutte coperte d'oro e d'ariento,
ov'è scolpito belle istorie di cavalieri e di donne e d'uccegli e di
bestie e d'altre belle cose; e la copertura è altresí fatta che non si
potrebbe vedere altro che oro e ariento. La sala è sí lunga e sí larga
che bene vi mangia 6.000 persone, e v'à tante camere ch'è una
maraviglia a credere. La copertura di sopra, cioè di fuori, è
vermiglia, bioia, verde e di tutti altri colori, e è sí bene invernicata
che luce come cristallo, sicché molto da la lunga si vede lucire lo palagio; la
covertura è molto ferma.
Tra l'uno muro e l'altro dentro a questo ch'io
v'ò contato di sopra, àe begli prati e àlbori, e
àvi molte maniere di bestie salvatiche, cioè cervi bianchi,
cavriuoli, dani, le bestie che fanno lo moscado, vai e ermellini, e altre belle
bestie. La terra dentro di questo giardino è tutto pieno dentro di
queste bestie, salvo la via onde gli uomini entrano.
E da la parte ve(r)so 'l maestro àe uno lago
molto grande, ov'à molte generazione di pesci. E sí vi dico che un
grande fiume v'entra e esce, e è sí ordinato che niuno pesce ne puote
uscire; e àvi fatto mettere molte generazione di pesci in questo lago, e
questo è co reti di ferro. E anco vi dico che verso tramontana, di lungi
dal palagio da una arcata, àe fatto fare uno monte ch'è bene alto
100 passi e gira bene uno miglio; lo quale monte è pieno tutto d'àlbori
che per niuno tempo non perdono foglie, ma sempre sono verdi. E sappiate,
quando è detto al Grande Kane d'uno bello àlbore, egli lo fa
pigliare con tutte le barbe e co molta terra e fallo piantare in quello monte;
e sia grande quanto vuole, ch'egli lo fa portare à lieofanti. E sí vi
dico ch'egli à fatto coprire totto 'l monte della terra dell'azurro, che
è tutta verde, sicché nel monte non à cosa se non verde,
perciò si chiama lo Monte Verde.
E sul colmo del monte à uno palagio tutto
verde, e è molto grande, sicché a guardallo è una grande
meraviglia, e non è uomo che 'l guardi che non ne prenda alegrezza. E
per avere quella bella vista l'à fatto fare lo Grande Signore per suo
conforto e sollazzo.
84
Ancora d'uno palagio del nipote.
Ancora vi dico ch'apresso a questo palagio
n'à un altro né piú né meno fatto, ove istàe lo nipote del Grande
Kane che dé regnare dopo lui; e questo è Temur, figliuolo di Cinghi,
ch'era lo magiore figliuolo del Grande Kane. E questo Temur che dé regnare, tiene
tutta quella maniera che fae lo suo avolo, e àe già bolla d'oro e
sugello d'imperio, ma non fa l'uficio infino che l'avolo è vivo.
Dacché v'ò contato de' palagi, sí vi
conterò de la grande città de Canblau, ove sono questi palagi e
perché fu fatta, e come egli è vero che apresso a questa città
n'avea un'altra grande e bella, e avea nome Garibalu, che vale a dire in nostra
lingua 'la città del signore'. E 'l Grande Kane, trovando per astorlomia
che questa città si dovea ribellare [e] dare grande briga a lo 'mperio,
e però lo Grande Kane fece fare questa città presso a quella, che
non v'è in mezzo se non uno fiume. E fece cavare la gente di quella
città e mettere in quest'altra, la quale è chiamata Canblau.
Questa città è grande in giro da 24
miglie, cioè
E sappiate che l(e) rughe della terra sono sí ritte
che l'una porta vede l'altra; di tutte quante encontra cosí. Nella terra
àe molt[i] palagi; e nel mezzo n'àe uno ov'è suso una
campana molto grande che suona la sera 3 volte, che niuno non puote andare
poscia per la terra sanza grande bisogna, de femmina che partorisse o per
alcuno malato. Sappiate ch'a ciascheuna porta guarda 1.000 uomini; e non che
crediate che vi si guardi per paura d'altra gente, ma fassi per reverenzia del
signore che là entro dimora, e perché li ladroni non facciano male per
la città.
Or v'ò conta[to] de la città; or vi
dico com'egli tiene corte e de' suoi grandi fatti, cioè del Grande
Signore.
85
Delle guardie.
Or sappiate che 'l Grande Kane si fa guardare per
sua grandezza a 12.000 uomini a cavallo e chiamansi Quesitan, ciò
è a dire 'cavalieri fedeli del signore'; e questo non fae per pagura. E
tra questi 12.000 cavalieri sono 4 capitani, sicché ciascuno n'àe 3.000
sotto di sé, degli quali sempre ne stae nel palagio l'una capitaneria, che sono
3.000; e guardano 3 dí e 3 notti, e màngiarvi e dormonvi. Di capo degli
tre die questi se ne vanno e gli altri vi vengono, e cosí fanno tutto l'anno.
E quando il Grande Kane vuole fare una grande
corte, le tavole istanno in questo modo. La tavola del Grande Kane è
alta piú dell'altre; egli siede verso tramontana e tiene lo volto verso
mezzodie. La sua prima moglie siede lungo lui dal lato manco, e dal lato ritto,
piú basso un poco, li figliuoli e gli nipoti e i suoi parenti che sono de lo
'mperiale legnaggio, sicché lo loro capo viene agli piedi del Grande Signore. E
poscia sedono gli altri baroni piú a basso, e cosí va de le femmine, ché le
figliuole del Grande Signore e (le nipote e) le sue parenti istanno piú basse
da la sinistra parte; e ancora piú basso di loro tutte l'altre mogli degli
altri baroni; e ciascheuno sae lo suo luogo ov'egli dee sedere per
l'ordinamento del Grande Kane. Le tavole sono poste per cotale modo che 'l
Grande Kane puote vedere ogni uomo, e questi sono grandissima quantitade. E di
fuoro da questa sala mangiano piú di 40.000, perché vi viene molti uomini co
molti presenti, che vegnono di strane contrade co strani presenti, e di ta' ve
n'àe ch'ànno segnoria. E questa cotale gente viene in questo cotal
die che 'l signore fae nozze e tiene corte.
E in mezzo di questa sala ove 'l Grande Signore
tiene corte e tavola è uno grandissimo vaso d'oro fino, che tiene di
vino come una (gran) botte, e da ogni lato di questo vaso ne sono due piccoli:
di quella grande si cava vino, e de le due piccole beveraggi. [Àvi]
vasegli vernicati d'oro che tiene (l'uno) tanto vino che n'avrebbe assai bene
otto uomini, e ànne per le tavole tra
E tutto questo fornimento è di grande
valuta, e sappiate che 'l Grande Signore àe tanti vasellamenti d'oro e
d'ariento che nol potrebbe credere chi nol vedesse. E sappiate che quegli che
fanno la credenza al Grande Signore sono grandi baroni, e tengono fasciata la
bocca e 'l naso con begli drappi di seta e d'oro, acciò che loro fiato
non andasse nelle vivande del signore.
E quando 'l Grande Signore dé bere, tutti gli
stormenti suonano, che ve n'à grande quantità; e questo fanno
quando àe in mano la coppa: e alotta ogni uomo s'inginocchi(a), e i
baroni e tutta gente, e fanno segno di grande umi(l)tade; e cosí si fa tuttavia
ch'e' bee. Che vivande non vi dico, però che ogni uomo dé credere
ch'egli n'àe en grande abondanza, né no v'à niuno baro(ne) né cavaliere
che non vi meni sua moglie [a] che mangi coll'altre donne. Quando 'l Grande
Signore à mangiato e le tavole sono levate, molti giucolari vi fanno
grandi sollazzi di tragettare e d'altre cose; poscia se ne va ogni uomo a suo
albergo.
86
De la festa come nasce.
Sappiate che tutti li Tartari fanno festa di loro
nativitade. E 'l Grande Kane nacque a dí 28 di settembre in lunedí, e ogni uomo
in quel die fae la magiore festa ch'egli faccia per niuna altra cosa, salvo
quella ch'egli fae per lo capo dell'anno, com'i' vi conterò.
Lo Grande Kane lo giorno della sua nativitade si
veste di drappi d'oro battuto, e co lui si veste 12.000 baroni e cavalieri d'un
colore e d'una foggia, ma non sono sí cari. E ànno grandi cinture d'oro,
e questo li dona lo Grande Kane. E sí vi dico che v'à tale di queste
vestimenti, che vale le priete preziose e le perle che sono sopra queste
vestimenta, piú (di) 10.000 bisanti d'oro, e di questi v'à molti. E
sappiate che 'l Grande Kane dona l'anno 13 volte ricche vestimente a quelli
12.000 baroni e vestegli tutti d'u(n) colore co lui. E queste cose non potrebbe
fare neuno altro signore ch'egli, né mantenerlo.
87
Qui divis(a) de la festa.
Sappiate che 'l dí della sua nativitade tutti li
Tartari del mondo e tutte le province che tengono le terre da lui, lo dí fanno
grande festa, e tutti 'l presentano secondo che si conviene a chi 'l presenta e
com'è ordinato; anco lo presenta chi da lui vuole alcuna signoria. E 'l
Grande Sire à 12 baroni che donano queste segnorie a questi cotali,
secondo che si conviene. E questo die ogni generazione de genti fanno prieghi
agli loro dii, che gli salvino lo loro signore e che gli doni lu[n]ga vita e
gioia e santà. E cosí fanno quello die grande festa.
Or lasciamo questa maniera, e diròvi
d'un'altra festa ch'egli fanno a capo dell'anno, e chiamasi la bianca festa.
88
De la bianca festa.
Egli è vero ch'egli fanno loro fest'a capo
d'anno del mese di febraio; e 'l Grande Kane e sua gente ne fanno cotal festa.
Egli è usanza che 'l Grande Kane e sua gente
si vestono di vestimenta bianche, e maschi e femmine, pur ch'e' le possa avere;
e questo fanno però ch'e i vestiri bianchi somigliro a loro buoni e
aventurosi, e però lo fanno di capo dell'anno, perché a loro prenda
tutto l'anno bene e allegrezza. E questo die chi tiene terra da lui, lo
presenta (di) grandi presenti, secondo ch'egli possono, d'oro, d'ariento e di
perle e d'altro; e è ordinato l'uno presente [a] l'altro cose bianche,
le piú; e questo fanno perché tutto l'anno abbiano tesoro assai e gioia e
allegrezza.
E ancora in questo die è presentato al
Grande Kane piú di 100.000 cavagli bianchi, begli e ricchi, e ancora piú di
5.000 leofanti tutti coverti di panno ad oro e a seta; e ciascuno àe
adosso uno scrigno pieno di vasellamenti d'oro e d'argento e d'altre cose che
bisogna a quella festa. E tutti passano dinanzi dal signore; e questa è
la piú bella cosa che giamai fu veduta.
E ancora vi dico che la mattina di quella festa,
prima che le tavole siano messe tutt[i] li re, duchi, marchesi, conti e baroni
e cavalieri, astronomi, falconieri e molti altri oficiali e rettore di terre,
di gente e d'oste, vegnon a la sala dinanzi al Grande Kane. E quegli che qui
non cappiono, dimorano di fuori del palagio, in luogo che 'l signore gli vede
bene tutti. E' sono cosí ordinati: prima sono li figliuoli e i nepoti e quegli
dell'imperiale lignaggio; apresso li re; apresso li duchi; poscia per ordine,
com'è convenevole. Quando sono tutti asettati ciascuno nel suo luogo,
allotta si leva uno grande parlato, e dice ad alta boce: «Inchinate e adorate».
Cosí tosto com'egli à detto, questi tutti ànno la fronte in terra
e dicono loro orazioni verso 'l signore: allora (l')adorano come dio, e questo
fanno 4 volte. Poscia si vanno a uno altare ov'è suso una tavola
vermiglia, nella quale è scritto lo nome del Grande Kane, e ancora
v'àe uno bello incensiere e terribole, e incensano quella tavola e
l'alt(a)re a grande riverenza; poscia si tòrnaro a loro luogo. Quando
ànno cosí fatto, alotta si fanno li presenti ch'i' v'ò contato,
che sono di grande valuta; quando questo è fatto, sí che 'l Grande Kane
l'à veduto tutte queste cose, si mette le tavole, e pongonsi a mangiare
cosí ordinatamente com'i' v'ò contato di sopra.
Or v'ò contato de la bianca festa del capo
dell'anno. Or vi conterò d'una nobilissima cosa ch'à fatta lo
Grande Kane: egli àe ordinate certe vestimente a certi baroni che
vegnono a questa festa.
89
De' 12.000 baroni che vegnono a la festa, come sono
vestiti dal Grande Kane.
Or sapiate veramente che 'l Grande Kane à
12.000 baroni, che sono chiamati Que(s)itan, ciò è a dire 'li piú
presimani figliuoli del signore'. Egli dona a ciascuno 13 robe, ciascuna
divisata l'una dall'altra di colori, e sono adornate di pietre e di perle e
d'altre ricche cose che sono di grande valuta. Ancora dona a ciascuno uno ricco
scaggiale d'oro molto bello, e dona a ciascuno calzame(n)ta di camuto lavorato
con fila d'ariento sottilmente, che sono molto begli e ricchi. Egli sono sí
adornati che ciascuno pare uno re; e a ciascuna di queste feste è
ordinata qual vestimento si debbia mettere. E cosí lo Grande Sire àe 13
robe simele a quelle di quegli baroni, cioè di colore, ma elle sono piú
nobili e di piú valuta.
Or v'ò contato de le vestimenta che dona 'l
Signore a li suoi baroni, che sono di tanta valuta che non si potrebbe contare;
e tutto ciò fae lo Grande Kane per fare la sua festa piú orevole e piú
bella.
Ancora vi dico una grande meraviglia: che uno
grande lione è menato dinanzi dal Grande Sire, e quando egli vede lo
Grande Sire, sí si pone a giacere dinanzi da lui e fagli segno di grande
umiltade, e fa sembianza ch'egli lo conosce per signore; e è senza
catene e sanza legatura alcuna, e questo è bene grande meraviglia.
Or lasciamo stare queste cose, e conteròvi
de la grande caccia che fa fare lo Grande Sire, come voi udirete.
90
Della grande caccia che fa il Gran Cane.
Sapiate di vero sanza mentire che 'l Grande Sire
dimora ne la città del Catai 3 mesi de l'anno, cioè dicembre,
gennaio, febraio. Egli à ordinato che 40 giornate d'atorno a lui tutte
genti debbano cacciare e uccellare; e àe ordinato che tutti signori di
genti e di terre, tutte grandi bestie salvatiche — come cinghiari, cervi,
cavriuoli, dani e altre bestie — gli siano recate, cioè la magiore
partita di quelle grandi bestie. E in questa maniera cacciano tutte le genti
che io v'ò contato. E quelli de le 30 giornate li mandano le bestie, e
sono in grande quantità, e càvagli tutto l'interame dentro. E
l'altri de le 40 giornate no mandano le carni, ma manda le cuoie conce,
però che 'l signore ne fae tutto fornimento da arme e d'osti.
Or v'ò divisato de la caccia;
divisaròvi de le bestie fere che tien lo Grande Kane.
91
De' leoni e de l'altre bestie da cacciare.
Ancora sappiate che 'l Grande Sire à bene
leopardi assai, e che tutti sono buoni da cacciare e da prendere bestie. Egli
àe ancora grande quantità di leoni, che tutti sono afatati a
prendere bestie e molti sono buoni a cacciare. Egli àe piú leoni
grandissimi, magiore assai che quegli di Babilonia: egli sono di molto bel pelo
e di bello colore, ch'egli sono tutti vergati per lungo, neri e vermigli e
bianchi, e sono affatati a prendere porci salvatichi e buoi salvatichi e cerbi
e cavriuoli, orsi e asini salvatichi e altre bestie. E sí vi dico ch'ell'è
molto bella cosa a vedere le bestie salvatiche quando 'l lione le prende; ché,
quando (vanno) a la caccia eglino li portano in su le carrette in una cabbia, e
à seco uno piccolo cane. Egli àe ancora grande abondanza
d'aguglie, colle quali si pigliano volpi e lievri e dani e cavriuoli e lupi, ma
quelle che sono affatate agli lupi sono molto grandi e di grande podere,
ch'egli no è sí grande lupo che gli scampi dinanzi a quelle aguglie, che
non sia preso.
Or vi conterò de la grande abondanza de
buoni cani ch'àe lo Grande Sire.
92
Di due baroni che governano la caccia.
Egli è vero che 'l Grande Kane àe due
baroni che sono frategli carnali, che l'uno à nome Baian e l'altro
Migan: egli sono chiamati tinuci, ciò è a dire 'quegli che
tengono gli cani mastini. Ciascuno di questi frategli àe 10.000 uomini
sotto di sé, e tutti gli 10.000 sono vestiti d'un colore, e gli altri (l0.000)
sono vestiti d'un altro colore, cioè vermiglio e bioio; e tutte le volte
ch'egli vanno col Grande Sire a cacciare, si portano quelle vestimenta ch'io
v'ò contato. E in questi 10.000 n'àe bene 2.000 che ciascuno
àe uno grande mastino o due o piú, sí che sono una grande moltitudine. E
quando 'l Grande Sire va a la caccia, mena seco l'uno di questi due frategli co
10.000 uomini e con bene 5.000 cani da l'una parte, e l'altro fratello
dall'altra coll'altra sua gente e' cani. E' vanno sí lungi l'uno da l'altro che
tengono bene una giornata e piú. Eglino non truovano niuna bestia salvatica che
non sia presa. Egli è troppo bella cosa a vedere questa caccia e la
maniera di questi cani e di questi cacciatori: che io vi dico che, quando 'l
Grande Signore va con i suoi baroni uccellando, vedesi venire atorno di questi
cani cacciando orsi e porci e cerbi e altre bestie e d'una parte e dall'altra, sicch'è
bella cosa a vedere.
Or v'ò contato de la caccia de' cani; or vi
conterò come 'l Grande Sire va gli altri 3 mesi.
93
Come 'l Grande Sire va in caccia.
E quando il Grande Sire à dimorato 3 mesi
nella città che v'ò contato di sopra, cioè dicembre, gennaio,
febraio, dunque si parte di quivi del mese di marzo e va verso mezzodie infino
al mare Aziano, che v'à 2 giornate. E mena co lui almeno 10.000
falconieri, e porta bene 500 gerfalchi, e falconi pellegrini e falconi sagri in
grande abondanza; ancora porta grande quantità d'astori per uccellare in
riviere. E non crediate che tutti li tenga insieme, ma l'uno istà quae e
l'altro làe, a 100 e a 200 e a piú e a meno; e questi uccellano, e la
magiore parte (ch'egli prendono) danno al signore. E sí vi dico, quando lo
Grande Sire vae a uccellare con suoi falconi e gli altri ucegli, egli à
bene 10.000 uomini, che sono ordinati a
E tutti gli uccegli del Grande Sire e degli altri
baroni ànno una piccola tavola d'ariento al piede, ov'è scritto
lo nome di colui de cui egli è l'uccello. E per questo è
conosciuto di cui egli è, com'è preso, e è renduto a cui
egli è, s'egli non sa di cui e' si sia, sí 'l porta ad un barone
ch'à nome bulargugi, ciò è a dire 'guardiano delle cose
che si truovano'. E quegli che 'l piglia, se tosto nol porta a questo barone,
è tenuto ladrone, e cosí si fa di cavagli o d'ogne cosa che si truova. E
quello barone sí le fa guardare tanto che si truova di cui egli èe; e
ogni uomo ch'à perduto alcuna cosa, incontanente ricorre a questo
barone. E questo barone stae tuttavia nel piú alto luogo de l'oste con suo
gonfolone perché ogni uomo lo veggia, sí che chi à perduto, sí se ne
ramenta allotta quando 'l vede; e cosí no vi si perde quasi nulla.
E quando 'l Grande Sire vae per questa via verso il
mare Aziano, che io v'ò contato, egli puote vedere molte belle viste di
vedere prendere bestie e uccegli; e non à solazzo al mondo che questo
vaglia. E 'l Grande Sire va tuttavia su 4 leofanti ov'egli àe una molta
bella camera di legno, la quale è dentro coverta di drappi ad oro
battuto, e di fuori è coperta di cuoia di leoni. Lo Grande Sire tiene
quiv'entro tuttavia 12 gerfalchi de' migliori ch'egli abbia; e quivi dimora piú
baroni a suo solazzo e compagnia. E quando 'l Grande Sire vae in questa gabbia,
e gli cavalieri che cavalcano presso a questa camera dicono al signore: «Sire,
grue passano», e egli fa scoprire la camera, e prende di quegli gerfalchi e
lasciagli andare a quelle grue; e poche gliene campa che non siano prese. E
tuttavia dimorando 'l Grande Sire in sul letto, e ciò gli è bene
grande sollazzo e diletto; e tutti gli altri cavalieri cavalcano atorno al
signore. E sappiate che non è niuno signore nel mondo che tanto solazzo
potesse avere in questo mondo, né che avesse il podere d'averlo, né fue né mai
sarà, per quel ch i credo.
E quando egli è tanto andato ch'egli
è venuto a un luogo ch'è chiamato Tarcar Mondun, quivi fae
tendere suoi padiglioni e tende — e de suoi figliuoli e de suoi baroni e de sue
amiche ch[e] sono piú di 10.000 — molto begli e ricchi. E divisaròvi
com'è fatto il suo padiglione. La sua tenda ov'egli tiene sua corte
è sí grande, che bene vi stae sotto mille cavalieri; e questa tenda
àe la porta di verso mezzodie, e in questa sala dimorano li baroni e
altra gente. Un'altra tenda è che si tiene con questa, e è verso
ponente, e in questa dimora lo signore; e quando egli vuole parlare ad alcuno,
egli lo fae andare là entro. E dirietro da l(a) grande sala è una
camera ove dorme 'l signore; ancora v'àe altre tende, ma elle non si
tengono co la grande tenda. Ché vo' che voi sapiate che le 2 sale ch'io
v'ò contato e la camera, sono fatte com'io vi conterò. Ciascuna
sala àe 4 colonne di legno di spezie molto belle: di fuori sono coperte
di cuoia di leoni, sicché acqua non vi passa né altra cosa dallato; dentro sono
tutte di [p]elle d'armine e di gerbellini, e sono quelle pegli che sono piú
belle e piú ricche e di magiore valuta che pelle che sia.
Ma bene è vero che la pelle del gerbellino,
tanta quanta sarebbe una pelle d'uomo, fina, varebbe bene 2.000 bisanti d'oro,
se fosse comunale, varebbe bene 1.000; e chiàmalle li Tartari le roi de
pelame, e sono de la grandezza d'una faina. E di queste 2 pegli sono lavor(a)te
ad intagli la sala grande del signore, e sono intagliate sottilemente,
ch'è una maraviglia a vedere; e la camera ove 'l signore dorme,
ch'è allato a queste sale, è né piú né meno fatta. Elle costano
tanto, queste 3 tende, che uno piccol[o] re non le potrebbe pagare.
E allato queste sono altre tende molto bene
ordinate; e l'amiche del signore ànno altressí molto ricche tende e
padiglioni. E gli uccegli tutti ànno molte tende, e' falconi; e le piú
belle ànno gli gerfalchi; e anco le bestie ànno tende ('n) grande
quantità. E sappiate che quivi àe in questo campo tanta gente
ch'è maraviglia a credere, che pare la magiore città ch'egli
abbia, però che da la lunga v'è venuta molta gente; e tienvi sua
famiglia tutta cosí ordinata di falconieri e d'altri uficiali, come se fosse
nella sua mastra villa. E sappiate ch'egli dimora in questo luogo infino a la
Pasqua di Risoresso. E in tutto questo tempo non fa altro che uccellare a la
riviera a grue e a césini e a altri ucelli; e ancora tutti gli altri che stanno
apresso a lui gli recano dalla lunga uccellagioni e cacciagioni assai. Egli
dimora in questo tempo a tanto sollazzo che non è uomo che 'l potesse
credere, perciò ch'egli è piú suo affare e suo diletto ch'io non
v'ò contato.
E sí vi dico che niuno mercatante né niuno artefice
né villano non può tenere né falcone né cane da cacciare presso ove 'l
signore dimora a 30 giornate presso lí, da questo infuori, ogni uomo di questo
puote fare a suo senno. Ancora sappiate che in tutte le parti ove 'l Grande
Sire à segnoria, niuno re né barone né alcuno altro uomo non può
prendere né cacciare né lievre né dani né cavriuoli né cervi né de niuna bestia
che multiplichi, dal mese di marzo infino a l'ottobre; e chi contra facesse, ne
sarebbe bene pulito. E sí vi dico ch'egli è sí ubidito, che le lievri e i
dani e' cavriuoli e l'altre bestie ch'io v'ò contato, vegnono piú volte
fino all'uomo, e non le tocca né non le fa male.
In cotal modo dimora lo Grande Sire in questo luogo
infino a la Pasqua di Risoresso; poscia si parte di questo luogo e tornasine
per questa medesima via a la città di Coblau, tuttavia cacciando e
ucellando a grande solazzo e a grande gioia.
94
Come 'l Grande Kane tiene sua corte e festa.
E quando egli è venuto a la sua mastra villa
di Canbalu, egli dimora nello suo mastro palagio 3 die e non piú. Egli tiene
grande corte e grandi tavole e grande festa, e mena grande allegrezza con
queste sue femine. E è grande meraviglia a vedere la grande
solenità che fa il Grande Sire in questi tre die.
E sí vi dico che in questa città àe
tanta abondanza di masnade e di genti, tra dentro e di fuori della villa, ché
sapiate ch'egli àe tanti borghi come sono le porti, cioè 12 molto
grandi. E no è uomo che potesse contare lo novero della gente, ch'assai
à piú gente negli borghi che ne la città. E in questi borghi albergano
i mercatanti e ogni altra gente che vegnono per loro bisogno a la terra; e nel
borgo àe altressí begli palagi come ne la città. E sappiate che
ne la città non si sotterra neuno uomo che muoia, anzi si vanno a
soterare fuori degli borghi; e s'egli adora gl'idoli, si va fuori degli borghi
ad ardersi. E ancora vi dico che dentro a la terra non osa istare niuna mala
femina di suo corpo che fa male per danari, ma stanno tutte negli borghi. E sí
vi dico che femine che fallano per danari ve n'à ben 20.000, e sí vi
dico che tutte vi bisognano per la grande abondanza de' mercatanti e de'
forestieri che vi capitano tutto die. [A]dunque potete vedere se in Canbalu
à grande abondanza di genti, da che male femine v'(à) cotante
com'io v'ò contato.
E sappiate per vero che in Canbalu viene le piú
care cose e di magiore valuta che 'n terra del mondo, e ciò sono tutte
le care cose che vegnon d'India — come sono pietre preziose e perle e tutte
altre care cose — (che) sono recate a questa villa; (e) ancora tutte le care cose
e le belle che sono recate del Catai e di tutte altre province. E questo
è per lo signore che vi dimora e per le donne e per gli baroni e per la
molta gente che vi dimora, per la corte che vi tiene lo signore. E piú
mercatantie vi si vendono e vi si comperano; ché voglio che sappiate che ogni
die vi viene in quella terra piú di 1.000 carette caricate di seta, perché vi
si lavora molti drappi e ad oro ed a seta. E anche a questa città
d'intorno intorno bene 200 miglie vegnono per comperare a questa terra quello
che bisogna, sicché non è maraviglia se tanta mercatantia vi viene.
Or vi diviserò del fatto della seque e della
moneta che si fa in questa città di Canbalu; e io vi mostrerò
come lo Grande Kane puote piú spendere e piú fare ch'io non v'ò contato.
E diròvi in questo libro come.
95
De la moneta del Grande Ka [ ne].
Egli è vero che in questa città di
Canbalu è la tavola del Grande Sire; e è ordinato in tal maniera
che l'uomo puote ben dire che 'l Grande Sire àe l'archimia
perfettamente; e mosteròvilo incontanente.
Or sappiate ch'egli fa fare una cotal moneta com'io
vi dirò. Egli fa prendere scorza d'un àlbore ch'à nome
gelso — èe l'àlbore le cui foglie mangiano li vermi che fanno la
seta —, e cogliono la buccia sottile che è tra la buccia grossa e 'l legno
dentro, e di quella buccia fa fare carte come di bambagia; e sono tutte nere.
Quando queste carte sono fatte cosí, egli ne fa de le piccole, che vagliono una
medaglia di tornesegli picculi, e l'altra vale uno tornesello, e l'altra vale
un grosso d'argento da Vinegia, e l'altra un mezzo, e l'altra 2 grossi, e
l'altra 5, e l'altra 10, e l'altra un bisante d'oro, e l'altra 2, e l'altra 3;
e cosí va infino 10 bisanti. E tutte queste carte sono sugellate del sugello
del Grande Sire, e ànne fatte fare tante che tutto 'l tesoro (del mondo)
n'appagherebbe. E quando queste carte sono fatte, egli ne fa fare tutti li
pagamenti e spendere per tutte le province e regni e terre ov'egli à
segnoria; e nesuno gli osa refiutare, a pena della vita.
E sí vi dico che tutte le genti e regioni che sono
sotto sua segnoria si pagano di questa moneta d'ogne mercatantia di perle,
d'oro, d'ariento, di pietre preziose e generalemente d'ogni altra cosa. E sí vi
dico che la carta che si mette (per) diece bisanti, no ne pesa uno; e sí vi
dico che piú volte li mercatanti la cambiano questa moneta a perle e ad oro e a
altre cose care. E molte volte è regato al Grande Sire, per li
mercatanti che vale 400.000 bisanti e 'l Grande Sire fa tutto pagare di quelle
carte, e li mercatanti le pigliano volentieri, perché le spe(n)dono per tutto
il paese.
E molte volte fa bandire lo Gra(nde) Kane che ogni
uomo ch'àe oro o ariento o perle o priete preziose o alcuna altra cara
cosa, incontanente l'abbi a porta[r]e a la tavala del Grande Sire, e egli le fa
pagare di queste carte; e tanta gliene viene di questa mercatantia che è
uno miracolo.
E quando ad alcuno si rompe e guastasi alcuna di
queste carte e egli vae a la tavola del Grande Sire, incontanente gliele cambia
e (ègli) data bella e nuova, ma sí gliene lascia 3 per 100. Ancora
sappiate che se alcuno vuole fare vasellamento d'ariento o cinture, e egli vae
a la tavola del Grande Sire, dell'ariento del Grande Sire gliene dà
tanto quanto vuole per queste carte, secondo che si spendono. E questo è
la ragione perché 'l Grande Sire dé avere piú oro e piú ariento che niuno
signore del mondo; e sí vi dico che tra tutti li signori del mondo non
ànno tanta ricchezza com'à 'l Grande Kane solo.
Or ò contato della moneta de le carte; or vi
conterò de la segnoria de la città di Canbalu.
96
De li 12 baroni che sono sopra tutte le cose del
Grande Kane.
Or sapiate veramente che 'l Grande Sire à 12
baroni grandissimi con lui, e quegli sono sopra tutte quelle cose ch'abisognano
a 34 province; e diròvi loro maniere e loro ordinamenti. E prima vi dico che questi 12 baroni istanno
in uno palagio dentro a Canbalu; e è molto bello e grande, e àe
molte sale e molte magioni e camere. E ciascuna provincia àe uno proccuratore
e molti iscrittori in quello palagio, e ciascuno in suo palagio per sé. E
questi pruccuratori e questi iscrivani fanno tutte quelle cose che bisognano a
quella provincia a cui elli sono diputati; e questo fanno per lo comandamento
de' 12 baroni.
E sí vi dico che questi 12 baroni ànno
cotale segnoria com'io vi dirò, ch'egli aleggano tutti li signori di
quelle province ch'io v'ò detto di sopra. E quando egli ànno
chiamato quegli che gli paiono gli migliori, egli lo dicono al Grande Sire, e
egli gli conferma e falli (dare) cotale tavola d'oro, come a sua segnoria si
conviene. Ancora questi 12 baroni fanno andar[e] l'oste ove si conviene, e
come, e de la quantità, e d'ogni cosa, secondo la volontà del
signore. E come io vi dico di queste due cose, cosí vi dico di tutte quelle che
bisognano a queste province.
E questa si chiama la corte magiore che sia ne la
corte del Grande Sire, però ch'egli ànno grande podere di fare
bene a cui egli vogliono.
Le province non vi conto per nome, però
ch'io le vi conterò per ordine di questo libro; e conteròvi come
il Grande Sire manda messaggi, e come ànno li cavagli apparecchiati.
97
Come di Canbalu si part[e] molti mesaggi per andare
in molte parti.
Or sapiate per veritade che di questa cittade si
parte molti messaggi, li quali vanno per molte province: l'uno vae ad una, l'altro
vae a un'altra, e cosí di tutti, ché a tutti è divisato ov'egli debbia
andare. E sappiate che quando si parte di Canbalu questi messaggi, per tutte le
vie ov'egli vanno, di capo de le 25 miglie egli truovano una posta, ove in
ciascuna àe uno grandissimo palagio e bello, ove albergano li messaggi
del Grande Sire. E v'è uno letto coperto di drappo di seta, e àe
tutto quello ch'a messaggio si conviene; e s'uno re vi capitasse, sarebbe bene
albergato. E sappiate che a queste poste truovano li messaggi del Grande Sire
bene 400 cavagli, che 'l Grande Sire àe ordinato che tuttavia dimorino
quie e siano aparecchiato per li messaggi, quando egli vanno in alcuna parte.
E sappiate che ogne capo di 25 miglie sono queste
poste ch'io v'ò contato; e questo è ne le vie mastre che vanno e
le province ch'io v'ò contato di sopra. E ciascuna di queste poste
àe apparecchiato bene da
E in questa maniera vanno li mesaggi del Grande
Sire per tutte le province, e ànno albergarie e cavagli aparecchiati,
come voi avete udito, a ogne giornata. E questa è la magiore grandezza
ch'avesse mai niuno imperadore, né avere potesse niuno altro uomo terreno; ché
sappiate veramente che piú (di) 200.000 di cavagli stanno a queste poste pur
per questi messaggi. Ancora li palagi sono piú di diecemilia, che sono cosí
forniti di ricchi arnesi com'io v'ò contato; e questo è cosa sí
maravigliosa e di sí grande valore che non si potrebbe iscrivere né contare.
Ancora vi dirò un'altra bella cosa: egli
è vero che tra l'una posta e l'altra sono ordinate ogne
E sí vi dico che, quando gli bisogna che messaggio
di cavallo vada tostamente per contare al Grande Sire novelle d'alcuna terra
ribellata, [o] d'alcuno barone o d'alcuna cosa che sia bisognevole al Grande
Sire, egli cavalca bene 200 miglie in uno die, overo 250; e mosteròvi ragione
come. Quando li messi vogliono andare cosí tosto e tante miglie, egli à
la tavola del gerfalco, in significanza ch'egli vuole andare tosto. Se egli
sono 2, egli si muovono del luogo ov'egli sono su due buoni cavagli, freschi e
correnti; egli s'imbendano la testa e 'l c[or]po, e sí si mettono a la grande
corsa, tanto ch'egli sono venuti a l'altra posta di 25 miglie; quivi prende due
cavagli buoni e freschi e montanvi su, e no ristanno fino all'altra posta, e
cosí vanno tutto die. E cosí vanno in un die bene 250 miglie per recare novelle
al Grande Sire, e, quando bisognano, bene 300.
Or lasciamo di questi messaggi, e conteròvi
d'una grande bontà che fa il Grande Sire a sua gente due volte l'anno.
98
Come 'l Grande Kane [aiuta] sua gente quando
(è) pistolenza di biade.
Or sappiate ancora per verità che 'l Grande
Sire manda messaggi per tutte sue province per sapere di suoi uomini, s'egli
ànno danno di loro biade, o per difalta di tempo o di grilli, o per
altra pistolenza. E s'egli truova che alcuna sua gente abbia questo danaggio,
egli no gli fa tòrre trebuto ch'egli debbono dare, ma falli donare di
sua biada, acciò ch'abbiano che seminare e che mangiare. E questo
è grande fatto d'un signore a farlo.
E questo fa la state. Lo verno fa cercare se ad
alcuna gente muore sue besti', e fae lo somigliante. Cosí sostiene lo Grande
Sire sua gente.
Lasciaremo questa maniera, e diròvi
d'un'altra.
99
Degli àlbori.
Or sappiate per vero che 'l Grande Sire à
ordinato per tutte le mastre vie che sono nelli suoi regni, che vi siano
piantati gli àlbori lungi l'uno dall'altro, su per la ripa della via,
due passi. E questo [a]cciò che li mercatanti e' messaggi o altra gente
no possa fallare la via, quando vanno per cammino o per luoghi diserti; e
questi àlbori sono tamanti che bene si possono vedere da la lunga.
Or v'ò contato delle vie; or vi
conterò d'altro.
100
Del vino.
Ancora sappiate che la magiore parte del Catai
beono uno cotale vino com'io vi conterò. Egli fanno una pogione di riso
e co molte altre buone spezie, e cóncialla in tale maniera ch'egli è
meglio da bere che nullo altro vino. Egli è chiaro e bello, e inebria
piú tosto ch'altro vino, perciò ch'è molto caldo.
Or lasciamo di questo, e conteròvi de le
priete ch'ardono come bucce.
101
De le pietre ch'ardono.
Egli è vero che per tutta la provincia del
Catai àe una maniera di pietre nere, che si cavano de le montagne come
vena, che ardono come bucce, e tegnono piú lo fuoco che no fanno le legna. E
mettendole la sera nel fuoco, se elle s'aprendono bene, tutta notte mantengono
lo fuoco. E per tutta la contrada del Catai no ardono altro; bene ànno
legne, ma queste pietre costan meno, e sono grande risparmio di legna.
Or vi
dirò come il Grande Sire fa, acciò che le biade non siano troppe
care.
102
Come 'l Grande Kane fa ri[porre] la biada (per)
soccorere sua gente.
Sappiate che 'l Grande Kane, quando è grande
abondanza di biada, egli ne fa fare molte canove d'ogne biade, come di grano,
miglio, panico, orzo e riso, e falle sí governare che non si guastano; poscia,
quando è il grande caro, sí 'l fa trarre fuori. E tiello talvolta 3 o 4
anni, e fa 'l dare per lo terzo o per lo quarto di quello che si vende
comunemente. E in questa maniera non vi può essere grande caro; e questo
fa fare per ogni terra ov'egli àe signoria.
Or lasciamo di questa matera; e diròvi della
carità che fa 'l Grande Kane.
103
De la carità del Signore.
Or vi conterò come 'l Grande Signore fa
carità a li poveri che stanno in Canbalu. A tutte le famiglie povere de
la città, che sono in famiglia 6 o 8, o piú o meno, che no ànno
che mangiare, egli li fa dare grano e altra biada; e questo fa fare a
grandissima quantità di famiglie. Ancor non è vietato lo pane del
Signore a niuno che voglia andare per esso; e sappiate che ve ne va ogne die
piú di 30.000; e questo fa fare tutto l'anno. E questo è grande
bontà di signori, e per questo è adorato come idio dal popolo.
Or lasciamo de la città di Canbalu, e
enterremo nel Catai per contare di grandi cose che vi sono.
104
De la provincia del Catai.
Or sappiate che 'l Grande Kane mandò per
ambasciadore messer Marco verso ponente. E' part[i]ssi di Canbalu e
andòe bene 4 mesi verso ponente; però vi conterò tutto
quello ch'egli vide in quella via andando e tornando.
Qua(ndo) l'uomo si parte di Canbalu, presso lí a 10
miglie, si truova un fiume, il quale si chiama Pulinzaghiz, lo quale fiume va
infino al mare Ozeano; e quinci passa molti mercata(n)ti co molta mercatantia.
E su questo fiume àe uno molto bello ponte di pietre. E sí vi dico che
al mondo non à un cosí fatto, perch'egli è lungo bene 300 passi e
largo otto, che vi puote bene andare 10 cavalieri l'uno allato all'altro; e
v'à 34 archi e 34 morelle nell'acqua; e è tutto di m[a]rmore e di
colonne, cosí fatte com'io vi dirò. Egli è fitto dal capo del
ponte una colonna di marmore, e sotto la colonna àe uno leone di
marmore, e di sopra un altro, molto belli e grandi e ben fatti. E lungi a
questa colonna un passo, n'à un'altra né piú né meno fatta, con due
leoni; e dall'una colonna a l'altra è chiuso di tavole di marmore,
perciò che neuno potesse cadere nell'acqua. E cosí va di lungo in lungo
per tutto il ponte, sicch'è la piú bella cosa a vedere del mondo.
Detto del ponte, sí vi conteremo di nuove cose.
105
De la grande città del Giogui.
E quando l'uomo si parte da questo ponte, l'uomo
vae 30 miglie per ponente, tuttavia trovando belle case, begli alberghi,
àlbori, vigne. E quivi truova una città ch'à nome Giogui,
grande e bella; quivi àe molte badie d'idoli. Egli vivono di mercatantia
e d'arti; quivi si lavora drappi di seta e d'oro e bello zendado. Quivi
àe begli alberghi. Quando l'uomo
à passato questa villa uno miglio, l'uomo truova due vie, l'una vae
verso ponente e l'altra verso sirocco. Quella di verso ponente è del
Catai, e l'altra dallo sirocco vae verso 'l mare a la grande provincia deu
Mangi. E sappiate veramente che l'uomo cavalca per ponente per la provincia del
Catai bene 10 giornate, tuttavia trovando belle cittadi e belle castella di
mercatantie e d'arti, e belle vigne e àlbori assai, e gente dimestica.
Quivi non à altro a ricordare; però
ci partiremo di quie, ed anderemo ad uno reame chiamato Taiamfu.
106
Del reame di Taiamfu.
E quando l'uomo si parte di questa città di
Giogui, cavalcando 10 giornate truova uno reame ch'è chiamat[o] Taiamfu.
E di capo di questa provincia, ove noi siamo venuti, è una città
ch'à nome Tinanfu, ove si fa mercatantia ed arti assai; e quivi si fae
molti fornimenti che bisogna agli osti del Grande Sire. Quivi àe molto
vino, e per tutta la provincia del Catai non à vino se no in questa
città; e questa ne fornisce tutte le province d'atorno. Quivi si fae
molta seta, però ch'ànno molti gelsi e molti vermi che la fanno.
E quando l'uomo si parte di Tinanfu, l'uomo cavalca
per ponente bene 7 giornate per molte belle contrade, ov'egli truova ville e
castella asai di molta mercatantia e d'arti. Di capo de le 7 giornate si truova
una città che si chiama Pianfu, ov'à molti mercatanti, ove si fa
molta seta e piú altre arti.
Or lasciaremo di questa, e direnvi d'un'altra †
d'un castello chiamato Caitui.
107
Del castello del Caitui.
E quando l'uomo si parte di Pianfu e va per ponente
2 giornate, truova uno bello castello ch'à nome Caitui, lo quale fece
fare jadis uno re, lo quale fu chiamato lo Re d'Or. In questo castello à
uno molto bello palagio, ove àe una bella sala molto bene dipinta di
tutti li re che anticamente sono stati in quello reame; e è molto bello
a vedere. E di questo Re d'Or sí vi conterò una bella novella, d'un
fatto che fue tra lui e 'l Preste Gianni.
E questo è in sí forte luogo che 'l Prestre
Giovanni no gli potea venire adosso; e aveano guerra insieme, secondo che
diceano quegli di quella contrada. E 'l Preste Gianni n'avea grande ira; e 7
valletti del Preste Giani sí gli dissero ch'eglino gli recherebbero inanzi lo
Re dell'Oro tutto vivo, s'egli volesse; e 'l Preste gli disse che ciò
volea volontiere. Quando questi valletti ebbero udito questo, egli si partiro,
e andaro a la corte del Re de l'Oro, e dissero al re ch'erano di st(r)ana parte,
e dissero ch'erano venuti per servirlo. Egli rispuose loro che fossero li
benvenuti, e che farebbe loro piacere e servigio.
E cosí cominciaro li 7 valletti del Preste Gianni a
servire lo Re dell'Oro. E quando egli furo istati bene 2 anni, eglino erano
molto amato dal re per lo bello servigio ch'egli gli avean fatto, e 'l re facea
di loro come se tutti e 7 fossero istati suoi figliuoli. Or udite quello che
questi malvagi fecero, perché neuno si può guardare di traditore. Or
avenne che questo re s'andava solazando con poca gente, tra li quali erano
questi 7. E quando ellino ebbero passato un fiume di lungi dal palagio detto di
sopra, quando questi 7, vedendolo ch'egli non avea compagnia che ('l) potessero
difende(r), misero mano a le spade, e dissero d'ucciderlo o egli n'andasse con
loro. Quando lo re si vide a questo, si diede grande maraviglia, e disse:
«Com'è questo, figliuoli miei, ché mi fate voi questo? Ove volete voi
ch'io vegna?». «Noi vogliamo che voi vegnate al Preste Gianni, ch'è
nostro signore».
108
Come 'l Preste fece prendere lo Re dell'Oro.
E quando lo re intese ciò che costoro li
dissero, buonamente che no morío di dolore, e disse: «Deh, figliuoli, non
v'ò io onorati assai? Perché mi volete voi mettere nelle mani del mio
nemico?». Quegli rispuosero che convenía che cosí fosse. Alora lo menaro al
Preste Gianni. Quando lo Preste Gianni lo vide, n'ebbe grande allegrezza, e
disseli ch'egli fosse lo malevenuto, quelli non seppe che si dire. Alotta
comandò ch'egli fosse messo a guardare bestie, e cosí fue. E questo li
fece fare per dispetto, tuttavia bene guardandolo.
E quando egli ebbe guardate le bestie due anni,
egli sel fece venire dinanzi, e fecegli donare ricche vestimenta, e fecegli
onore assai. Poscia li disse: «Signore re, aguale puo' tu bene vedere che tu
non se' da guerregiare meco». Rispuose lo re: «Messer, sempre conobbi ch'io non
era poderoso da ciò fare». Alotta disse il Preste: «Io non ti voglio piú
fare noia, se no che io ti farei piacere e onore». Allotta fagli donare molti
begli arnesi, e cavagli, e compagnia assai, e lasciòllo andare. E questi
si tornò al suo reame, e da quella ora inanzi fue suo amico e servidore.
Or vi conterò d'un'altra matera.
109
Del grande fiume di Carameran.
E quando l'uomo si parte di questo castello e va
verso ponente 20 miglie, truova un fiume ch'è chiamato Carameran,
ch'è sí grande che non si può passare per ponte, e va infino al
mare Ozeano. E su per questo fiume à molte città e castella, ove
sono molti mercatanti e artefici. Attorno questo fiume per la contrada nasce
molto zinzibero, e àcci tanti uccegli ch'è una maraviglia, che
v'è per uno aspre — ch'è com'uno viniziano — 3 fagiani.
Quando l'uomo à passato questo fiume e
l'uomo è ito 2 giornate, sí si truova una nobile città,
ch'è chiamata Cacianfu. Le genti sono tutti idoli — e tutti quegli de la
provincia del Catai sono tutti idoli —. E è terra di grande mercatantia
e d'arti, e àvi molta seta; quivi si fanno molti drappi di seta e d'oro.
Qui non à cosa da ricordare; però ci
partiremo, e diròvi d'una nobile città, ch'è in capo del
reame di Quegianfu.
110
De la città di Quegianfu.
Quando l'uomo si parte de la città di
[Cac]ianfu, ch'è detto di sopra, l'uomo cavalca 8 giornate per ponente,
tuttavia trovando castelle e cittadi di grandi mercatantie e d'arti, e begli
giardini e case. A(n)cor vi dico che tutta la contrada è piena di gelsi.
La ge(n)te sono idoli. Quiv'àe cacciagioni e uccellagioni assai.
Quando l'uomo à cavalcato queste 8 giornate,
l'uono truova la nobile città di Quegianfu, la quale è nobile e
grande, e è capo del reame di Quegianfu, che anticamente fue buono reame
e potente. Aguale n'è signore il figliuolo del Grande Sire, che Mangala
è chiamato, e àe corona.
Questa terra è di grandi mercatantie, e
èvi molte gioe; quivi si lavora drappi d'oro e di seta di molte maniere,
e di tutti fornimenti da oste.
Egli ànno di tutte cose che a uomo bisogna
per vivere in grande abondanza, e per grande mercato. La villa è a
ponente, e sono tutti idoli. E di fuori de la terra è 'l palagio di
Mangala re, ch'è cosí bello com'io vi dirò. Egli è in uno
grande piano, ov'è fium'e lago e padule e fontane assai. Egli à
d'atorno un muro che gira bene 5 miglie, e è tutto merlato e bene fatto;
e in mezzo di questo muro è il palagio, sí bello e sí grande che non si
potrebbe meglio divisare; egli à molte belle sale e belle camere tutte
dipinte ad oro battuto. Questo Mangala mantiene bene suo reame in grande
giustia e ragione, e è molto amato. Quivi è grandi solazzi di
cacciare.
Or ci partiremo di qui, e conteròvi d'una
provincia ch'è molto nelle montagne, e à nome Cuncum.
111
De Cuncum.
Quando l'uomo si parte da questo palagio d[i]
Mangala, l'uomo vae 3 giornate per ponente di molto bello piano, tuttavia
trovando ville e castella assai. E' vivono di mercatantia e d'arti, e
ànno molta seta. Di capo de le 3 giornate sí si truova montagne e valle,
che sono de la provincia di Cuncum. Egli àe per monti e per valle
città e castella assai. E' sono idoli, e vivono di lavorio di terra e di
boscagli. E sappiate ch'egli ànno molti boschi, ove sono molte bestie
salvatiche, come sono lioni e orsi e cavriuoli, lupi cervieri, dani e cervi e
altre bestie assai, sicché troppo n'ànno grande uttulitade. E per questo
paese cavalca l'uomo 20 giornate per montagne e valle e boschi, tuttavia
trovando città e castella assai e buoni alberghi.
Or ci partiremo di qui, e conteròvi
d'un'altra provincia, com'io vi conterò.
112
De la provincia A(n)balet Mangi.
Quando l'uomo si parte e à cavalcato queste
20 giornate di montagne di Cuncum, sí si truova una provincia ch'à nome
Anbalet Mangi, ch'è tutta piana; e v'à castella e città
assai. E' sono al ponente, e sono idoli. Egli vivono di mercatantia e d'arti. E
per questa provincia àe tant[o] zinzibere, che per tutto il Catai si
sparge, e àssine grande guadagno. Egli ànno r[i]so, grano e altre
biade assai, e grande mercato; è doviziosa d'ogni bene. La mastra terra
è chiamata Amechelet Mangi, che vale a dire 'l'una de le confine de'
Ma(n)gi'.
Questa contrada dura 2 giornate; a capo di queste 2
giornate si truova le grandi valle e li grandi monti, e boschi assai. E vassi
bene 20 giornate per ponente, trovando ville e castelle assai. La gente sono
idoli; viveno di frutti de la terra, e d'ucelli e di bestie. Quiv'àe
leoni, orsi, lupi, cervi, dani, cavriuoli assai; quivi àe grande
quantità di quelle bestiuole che fanno lo moscato.
Or ci partiremo di qui, e diròvi d'altre
contrade bene e ordinatamente, come voi udirete.
113
De Sardanfu.
E quando l'uomo è ito 20 giornate per
ponente, com'io ò detto, l'uomo truova una provincia ch'è ancora
de le confine de' Mangi, e à nome Sindafa. E la maestra città
à nome Sardanfu, la quale fue anticamente grande città e nobile, e
fuvi entro molto grande e ricco re; ella giròe intorno bene 20 miglie.
Ora fue cosí ordinata, che 'l re che morío lasciò 3 figliuoli, sí che
partiro la città per terzo, e ciascuno rinchiuse lo suo terzo di mure
dentro da questo circuito. E tutti questi figliuoli [furono] re, e aveano
grande podere di terre e d'avere, perché lo loro padre fu molto poderoso. E 'l
Grande Kane disertò questi 3 re, e tiene la terra per sé.
E sappiate che per mezzo questa villa passa un
grande fiume d'acqua dolce, ed è largo bene mezzo miglio, ove à
molti pesci, e va fino al mare Aziano, e àvi bene da
E dentro da la città su questo fiume
è uno ponte tutto di pietre, e è lungo bene uno mezzo miglio e
largo 8 passi. Su per lo ponte àe colonne di marmore che sostegnono la
copritura del ponte; ché sappiate ch'egli è coperto di bella copritura,
e tutto dipinto di belle storie. E àvi suso piú magioni, ove si tiene
molta mercatantia ed arti; ma sí vi dico che quelle case sono di legno, che la
sera si disfanno e la mattina si rifanno. E quiv'è lo camarlingo del
Grande Sire, che riceve lo diritto de la mercatantia che si vende su quel
ponte; e sí vi dico che 'l diritto di quello ponte vale l'anno bene 1.000
bisanti d'oro.
La gente è tutta ad idoli.
Di questa città si parte l'uomo, e cavalca
bene per piano e per valli 5 giornate, tuttavia trovando città e
castella assai. Li uomini vivono della terra, e v'à bestie salvatiche
assai, come lioni e orsi e altre bestie. Quivi si fae bel zendado e drappi
dorati assai. Egli sono de Sindu.
Quando l'uomo è ito queste 5 giornate ch'io
v'ò contate, l'uomo truova una provincia molto guasta, ch'à nome
Tebet; e noi ne diremo di sotto.
114
De la provincia di Tebet.
Apresso le 5 giornate che v'ò dette, truova
l'uomo una provincia che guastòe Mongut Kane per guerra; e v'à
molte ville e castella tutti guasti. Quivi àe canne grosse bene 4
spanne, lunghe bene 15 passi, e àe dall'uno nodo a l'altro bene 3 palmi.
E sí vi dico che gli mercatanti e' viandanti prendono di quelle canne la notte,
e fanno ardere nel fuoco, perché fanno sí grande scoppiata che tutti li leoni e
orsi e altre bestie fiere ànno paura e fuggono, e non s'acostarebbero al
fuoco per cosa del mondo. E questo si fa per paura di quelle bestie, che ve
n'à assai.
Le canne scoppiano perché si mettono verdi nel
fuoco, e quelle si torcono e fendono per mezzo; e per questo fendere fanno
tanto romore che s'odono da la lunga bene presso a 5 miglie, di notte, e piú; e
sí è terribile cosa a udire che chi non fosse d'udirlo usato, ogni uomo n'avrebbe
grande paura. E li cavagli che no ne sono usi si spaventano sí forte che
rompono capestri e ogne cosa e fuggono; e quest[o] aviene spesse volte. E agli
cavagli che non ne sono usi, egli li fanno incapestrare tutti e quattro li
piedi e fasciare gli occhi e turare gli orecchi, sí che non può fugire
quando ode questo scoppio. E cosí campano gli uomini la notte, loro e le loro
bestie.
E quando l'uomo vae per queste contrade bene 20
giornate, non truova né alberghi né vivande, ma conviene che porti vivande per
sé e per sue bestie tutte queste 20 giornate, tuttavia trovando fere pessime e
bestie salvatiche, che sono molte pericolose. Poscia truova castelle e case
assai, ove à uno cotale costume di maritare com'io vi dirò.
Egli è vero che niuno uomo piglierebbe neuna
pulcella per moglie per tutto 'l mondo, e dicono che non vagliono nulla s'ella
no è costumata co molti uomini. E quando li mercatanti passano per le
contrade, le vecchie tengono loro figliuole sulle strade e per li alberghi e
per loro tende, e stanno a
La gente è idola e malvage, ché non
ànno per niuno pecato di far male e di rubare; e sono li migliori
scherani del mondo. Egli vivono di frutti della terra e di bestie e d'uccegli.
E dicovi che in quella contrada àe molte bestie che fanno il moscado, e
questa mala gente àe molti buoni cani, e prendonne assai. Egli non
ànno né carte né monete di quelle del Grande Kane, ma fannole da loro.
Egli si vestono poveramente, ché 'l loro vestire si è di canavacci e di
pelle di bestie e di bucerain, e ànno loro linguaggio e chiamansi Tebet.
E questa Tebet è una grandissima provincia; e conteròvene
brevemente, come voi potrete udire.
115
Ancora de la provincia di Tebet.
Tebet è una grandissima provincia, e
ànno loro linguaggio; e sono idoli e confinano co li Mangi e co molte
altre province. Egli sono molti grandi ladroni. E è sí grande, che
v'à bene 8 reami grandi, e grandissima quantità di città e
di castella. E v'à in molti luoghi fiumi e laghi e montagne ove si
truova l'oro di paglieola in grande quantità. E in questa provincia
s'espande lo coraglio, e èvi molto caro, però ch'egli lo pongono
al collo di loro femine e de' loro idoli, e ànnolo per grande gioia. E
'n questa provincia à giambellotti assai e drappi d'oro e di seta; e
quivi nasce molte spezie che mai non furo vedute in queste contrade. E
ànno li piú savi incantatori e astorlogi che siano in quello paese,
ch'egli fanno tali cose per opere di diavoli che non si vuole contare in questo
libro, però che troppo se ne maraviglierebbero le persone. E sono male
costumati. Egli ànno grandissimi cani e mastini grandi com'asini, che
sono buoni da pigliare bestie salvatiche; egli ànno ancora di piú
maniere di cani da cacc[ia]. E vi nasce ancora molti buoni falconi pellegrini e
bene volanti.
Or lasciamo di questa provincia di Tebet, e
diròvi d'un'altra provincia e regione, la quale è scritta di
sotto. E' sono al Grande Kane; e tutte province e regioni che sono scritte in
questo libro sono al Grande Kane, salvo quelle dal princípo di questo libro che
sono au fi Angom, com'io v'ò scritto. E perciò, da quella
infuori, quanto n'è scritto su questo libro, tutte sono al Grande Kane;
e perché voi nol trovaste scritto, sí lo 'ntendete in tale maniera com'io
v'ò detto.
Or lasciamo qui, e conteròvi de la provincia
del Gaindu.
116
De la provincia di Gaindu.
Gaindu è una provincia verso ponente, né non
à se no uno re. E' sono idoli, e sono al Grande Kane; e v'à
città e castella asai. E v'à uno lago ove si truova molte perle,
ma 'l Grande Kane non vuole che se ne cavino, ché se ne cavassero quante se ne
troverebboro, diventerebbero sí vili che serebber per nulla; ma 'l Grande Sire
ne fa tòrre solamente quante ne bisognano a lui; e chi altri ne cavasse,
perderebbe la persona. Ancora v'à una montagna ove si truovano pietre in
grande quantità, che si chiamano turchie, e sono molto belle; e 'l
Grande Sire non le lascia trare se non per suo comandamento.
E sí vi dico che in questa terra à un bello
costume, che nol si tengono a vergogna se uno forestiere o altra persona giace
co la moglie o co la figliuola od alcuna femmina ch'egli abbiano in sua casa;
anzi lo tengono a bene, e dicono che li loro idoli gline danno molti beni
temporali; e perciò fanno sí grande larghità di loro femmine a'
forestieri, com'io vi dirò. Che sappiate che quando uno uomo di questa
contrada vede che gli vegna uno forestiere a casa, incontanente esce di casa, e
comanda a la moglie e all'altra famiglia ch'al forestiere sia fatto ciò ch'e'
vuole come a la sua persona; e esce fuori, e sta a sua villa o altrove tanto
che 'l forestiere vi dimora 3 die. E 'l forestiere fa appiccare suo cappello o
altra cosa a la finestra a significare ch'egli è ancora là entro,
perché 'l marito o altro forestiere no v'andasse; e fin quello segnale stae
alla casa, mai non vi torna. E questo si fa per tutta questa provincia.
Egli ànno muneta com'io vi dirò. Egli
prendono la sel e fannola cuocere e gíttalla in forma, e pesa questa forma da
una mezza libbra; e le quattro venti di questi tali sel ch'io v'ò detto,
vagliono uno saggio d'oro fino, e questa è la picciola moneta ch'egli
spendo.
Egli ànno bestie che fanno il moscado in
grande quantità; egli ànno pesci assai e càvagli del lago
ch'io v'ò detto, ove si truova le perle. Leoni, lupi cervieri, orsi,
dani, cavriuoli, cervi ànno assai; e tutti uccegli ànno assai.
Vino di vigne non ànno, ma fanno vino di grano e di riso co molte
spezie, e è buono bevigione. In questa provincia nasce garofani assai:
egli è un àlbore piccolo che fa le foglie grandi quasi come
corbezze, alcuna cosa piú lunghe e piú strette; lo fiore fa bianco, piccolo
come il garofano. Egli ànno zinzibero in grande abondanza, e canella e
altre spezie assai, che nonne vegnono in nostra contrada.
Or lasciamo di questa città, e
conteròvi di questa contrada medesima piú inanzi.
Quando l'uomo si parte di questa Gaindu, l'uomo
cavalca bene 10 giornate per castella e per cittadi; e la gente è tutta
di questa maniera, e di costumi e d'ogne maniera (di quelli ch'io v'ò
detto). Passate queste 10 giornate, sí si truova un fiume chiamato Brunis, e
quivi si finisce la provincia di Gaindu. E in questo fiume si truova grande
quantità d'oro di pagliuola. Quivi àe canella assai. E entra nel
mare Oceano.
Or lasciamo di questo fiume, ché non v'à
cosa da contare; e di[r]emo d'una provincia chiamata Caragia(n), come voi
udirete.
117
De la provincia di Caragian.
Quando l'uomo à passato questo fiume, sí
s'entra ne la provincia di Caragian, ch'è sí grande che ben v'à 7
reami. È verso ponente; e sono idoli e sono al Grande Kane. El re
è figliuolo del Grande Kane, ed è ricco e poderoso, e mantiene
bene sua terra e ('n) giustizia, ed è prod'uomo. Quando l'uomo à
passato il fiume ch'i' v'ò detto di sopra, ed è ito 5 giornate,
sí si truova città e castella assai. Quivi nasce troppo buoni cavalli; e
costoro vivono di bestiame e di terra. Egli ànno loro linguaggio, molto
grave da intendere.
Di capo di queste 5 giornate, si truova la mastra
città — ed è capo del regno — ch'è chiamata Iaci, molto
grande e nobile. Quin'àe mercatanti e artefici. La legge v'è di
piú maniere: chi adora Maomett[o] e chi l'idoli, e chi è cristiano
nestorino. E v'à grano e riso assai; ed è contrada molto inferma,
perciò mangiano riso. Vino fanno di riso e di spezie, ed è molto
chiaro e buono, ed inebria tosto come 'l vino. Egli spendono per moneta
porcellane bianche che si truovano nel mare e che si ne fanno le scodelle, e
vagliono le 80 porcelane un saggio d'argento, che sono due viniziani grossi, e
gli otto saggi d'argento fino vagliono un saggio d'oro fino. Egli ànno
molte saliere, onde si cava e faie molto sale, onde si ne fornisce tutta la
contrada; di questo sale lo re n'à grande guadagno. E' non curano se
l'uno tocca la femina dell'altro, pure che sia sua volontà de la femina.
Quiv'è un lago che gira bene
Ancora vi conteremo di questa provincia di Caragian
medesima.
118
Ancora divisa de la provincia di Caragian.
Quando l'uon si parte de la città di Iacci e
va 10 giornate per ponente, truova la provincia di Caragian; e la mastra
città del regno è chiamata Caragian. E' sono idoli e sono al Gran
Kane; el re si è figliuolo del Gran Kane. E in questa provincia si
truova l'oro di pagliuola, cioè nel fiume, e ancora si truova in laghi e
montagne oro piú grosso che di pagliuola; e danno un saggio d'oro per sei d'ariento.
Ancora qui si spende le porcelane ch'io vi contai; e in questa provincia non si
truova queste porcelane, ma vi vegnono d'India.
E in questa provincia nasce lo grande colubre, el
grande serpente, che sono sí dismisurati che ogn'uomo ne dovrebbe pigliare
maraviglia; e sono molto oribile cosa a vedere. Sapiate per vero che lí vi
n'à di lunghi 10 passi, e sono grossi 10 palmi: e questi sono li
magiori. Elli ànno due gambe dinanzi, presso al capo, e non ànno
piede, salvo un'unghia fatta come di leone; lo ceffo à molto grande, lo
naso magior ch'un gran pane, la bocca tale che bene inghiottirebbe un uomo al
tratto, li denti grandissimi; ed è sí ismisuratamente grande e fiera,
che no è uomo né bestia che no la dotti e non n'abbia paura. E ancora vi
n'à de' minore, cioè d'otto passi e di 6.
La maniera come si prendono si è questa.
Elle dimorano lo die sotterra per lo grande caldo; la notte escon fuori a
pascere, e prende tutte quelle bestie che possono avere. Elle vanno a bere al
fiume e al lago e a le fontane. Elle sono sí grande e sí grosse che, quando
vanno a bere o a mangiare di notte, fae nel sabione, onde vae, tal fossa, che
pare ch'una botte vi sia voltata. E' cacciatori che la vogliono pigliare,
veggono la via ond'è ito il serpente, e ànno un palo di legno
grosso e forte, e in quel palo à fitto un ferro d'aciaio fatto com'uno
rasoio, e cuoprelo col sabione; e di questi ingegni fanno i cacciatori assai. E
quando lo colubre viene per questo luogo, percuote in questo ferro sí forte,
che si fende dal capo a piede anfino al bellíco, sí che muore incontanente; e
cosí la prendono i [cacciatori].
E incontanente ch'è morto, sí li cavano lo
fiele del corpo e vendollo molto caro, perciò ch'è la migliore
medicina al morso del cane rabioso, dandoglile a bere d'un peso d'un picciolo
danaio. E quando una donna non può partorire, dandole a bere un poco di
quel fiele, incontanente parturisce. La terza si è buona a nascenzia:
ponendovi su un poco di quel fiele, in poco tempo è guarito. E per
queste cagioni lo fiele è molto caro in quella contrada. Ancora la carne
si vende perch'è molto buona a mangiare.
E dicovi che questo serpente vae a le tane de li
leoni e degli orsi, e mangia loro e loro figliuoli, se li puote avere, e tutte
altre bestie.
In questa contrada è grandissimi cavalli, e
molti ne vanno in India; e càvali due o tre nodi de la coda,
acciò che no meni la coda quand'altre cavalca, [per]ciò
ch'à loro pare cosa molta lada. Elli cavalcano lungo come franceschi.
E' fanno arme turchiesche di cuoio di bufale, e
ànno balestra, e atoscano tutte le quadrelle. E ancora aveano cotale
usanza prima che 'l Grande Kane l[i] conquistasse, che, se aenisse ch'alcuno
albergasse a lor casa che fosse grazioso e bello e savio, sí l'ucideano o con
veleno o con altro; né questo non faceano per moneta, ma diceano che tutto il
senno di colui e la grazia e la ventura rimanea in lor casa. Poscia che 'l
Grande Kane la conquistò, ch'è da 35 anni, nol fanno piú, per la
paura del Grande Kane.
Or lasciamo di questa provincia, e diròvi
d'un'altra.
119
De la provincia d'Ardandan.
Quando l'uomo si parte di Caragian e va per ponente
5 giornate, truova una provincia che si chiama Ardandan. E ' sono idoli e al
Grande Kane; la mastra città si chiama Vacian. Questa gente ànno
una forma d'oro a tutti i denti, ed a quelli di sopra ed a quelli di sotto, sí
che tutti i denti paiono d'oro; e questo fanno gli uomini, ma non le donne. Gli
uomini son tutti cavalieri, secondo loro usanza, e non fanno nulla, salvo
ch'andare in oste; le donne fanno tutte loro bisogne co li schiavi insieme
ch'egli ànno.
E quando alcuna donna à fatto il fanciullo,
lo marito stae nel letto 40 die, e lava 'l fanciullo e governalo. E ciò
fanno perché dicono che la donna à durato molto afanno del fanciullo a
portallo, e cosí vogliono che si riposi. E tutti gli amici vegnono a costui al
letto, e fanno grande festa insieme. E la moglie si leva del letto, e fa le
bisogne di casa e serve il marito nel letto.
E' manucano tutte carne, e crude e cotte, e riso
cotto con carne; lo vino fanno di riso con ispezie molto buono. La moneta
ànno d'oro e di porcellane, e danno un saggio d'oro per 5 d'ariento,
perché no ànno argentiera presso a 5 mesi di giornate; e di questo fanno
i mercatanti grande guadagno, quando vi ne recano.
Questa gente no ànno idoli né chiese, ma
'dorano lo magior de la casa, e dicono: «Di costui siamo». Egli no ànno
lettere né scritture, e ciò no è maraviglia, però che
stanno in un luogo molto divisato, che no vi si puote andare di state per cosa
del mondo, per l'aria che v'è cosí corotta, che neuno forestiere vi
può vivere per neuna cosa. Quand'ànno a fare l'uno coll'altro,
fanno tacche di legno, e l'uno tiene l'una metà e l'altro l'altra
metà: quando colui dé pagare la moneta, e' la paga, e fassi dare l'altra
metà de la tacca.
In tutte queste province non à medici —
cioè Caragian e Vorcian e (I)acin —, e quando eli ànno alcuno
malato, mandano per loro magi e incantatori di diavoli. E quando sono venuti al
malato, ed egli gli à contato lo male, eglino suonano loro stormenti, e cantano
e ballano; quando ànno ballato un poco, e l'uno di questi magi cade in
terra co la schiuma a la bocca e tramortisce, e 'l diavolo gli è
ricoverato in corpo. E cosí sta che pare morto grande pezza, e gli altri magi
dimandano questo tramortito de la 'nfermità del malato e perch'egli
à ciòe. Quelli risponde ch'egli à questo però che
fece spiacere 'alcuno (spirito). E li magi dicono:«Noi ti preghiamo che tue li
perdoni e prendi del suo sangue, sí che tue ti ristori di quello che ti piace».
Se 'l malato dé morire, lo tramortito dice:«Elli à fatto tanto
dispiacere a cotale spirito, ch'elli no li vuole perdonare per cosa del mondo».
Se 'l malato dé guarire, dice lo spirito ch'è nel corpo del
mago:«Togliete cotanti montoni dal capo nero, e cotali beveraggi molto cari, e
fate sagrificio a cotale ispirito». Quando li parenti del malato ànno
udito questo, fanno tutto ciòe che dice lo spirito, ché ucide gli
montoni e versa lo sangue ove gli è detto, per sagrificio. Poscia fanno
cuocere li montoni, o uno o piúe, ne la casa del malato; e quine sono molti di
questi magi e donne tante quanto gli è detto per quello spirito. Quando
lo montone è cotto e 'l beveraggio è aparechiato e la gente
v'è raunata, alora coninciano a cantare e a ballare e a sonare; e
gittano del brodo per la casa qua e là, e anno mcenso e mirra, e
sofumicano e alluminano tutta la casa. Quand'ànno cosí fatto una pezza,
alotta inchina l'uno, e l'altro domanda lo spirito se à 'ncora perdonato
al malato. Quelli risponde:«No gli è ancora perdonato; fate anche cotale
cosa, e saralli perdonato». Fatto quello ch'à comandato, ed elli
dice:«Egli sarà guerito incontanente». Allotta dicono:«Lo spirito
è bene di nostra parte». E fanno grande allegrezza, e mangiano quel
montone e beono; e ogn'uomo torna a sua casa, e il malato guerisce
incontanente.
Or lasciamo questa contrada, e diròvi
d'altre contrade, come voi udirete.
120
De la grande china.
Quando l'uomo si parte di questa provincia ch'i'
v'ò contato, l'uomo discende per una grande china, ch'è bene due
giornate e mezzo pur a china. E in quelle 2 giornate (e mezzo) no àe
cosa da contare, salvo che v'à una grande piazza, ove si fa certa fiera
certi dí de l'anno. E quine vegnono molti mercatanti, che recano oro e ariento
e altre mercatantie assai, ed è grandissima fiera. E quelli che recano
l'oro quie, neuno puote andare in loro contrada, salvo eglino, tanta è
contrada rea e divisata da l'altre; né neuno può sapere ov'elli istanno,
perché neuno vi puote andare.
Quando l'uomo à passate queste 2 giornate,
l'uomo truova una provincia verso mezzodie, ed è a le confini de
l'India, ch'è chiamata Amien. Poscia va l'uomo 15 giornate per luogo
disabitato (e) sozzo, ov'à molte selve e boschi, ov'à leofanti e
lunicorni assai e altre diverse bestie assai; uomini né abitagioni non
v'à.
Perciò vi lascerò di questa contrada,
e diròvi d'una istoria, come potrete udire.
121
De la provincia de
Mien.
Sappiate che, quando l'uomo à cavalcate 15
giornate per questo cosí diverso luogo, l'uomo truova una città
ch'à nome Mien, molto grande e nobile. La gente è idola. E' son
al Grande Kane e ànno lingua per loro.
E in questa città à una molto ricca
c[o]sa, ché anticamente fue in questa città un molto ricco re; e quando
venne a morte, lasciò che da ogne capo de la sua sopultura si dovesse
fare una torre, l'una d'oro e l'altra d'ariento. E queste torri sono fatte
com'io vi dirò, ch'elle sono alte bene 10 passi e grosse come si
conviene a quella altezza. La torre si è di pietre, tutta coperta d'oro
di fuori, ed èvi grosso bene un dito, sí che vedendola par pure d'oro;
di sopra è tonda, e quel tondo è tutto pieno di campanelle
endorate, che suonano tutte le volte che 'l vento vi percuote. L'altra è
d'ariento, ed è fatta né piú né meno. E questo re le fece fare per sua
grandezza e per sua anima; e dicovi ch'ell'è la piú bella cosa del mondo
a vedere e di magiore valuta.
E 'l Grande Kane conquistò questa provincia
com'io vi dirò. Il Grande Kane disse a tutt'i giullari ch'avea in sua
corte, che volea ch'andassero a conquistare la provincia de Mien, e darebbe in
lor compagnia quelli di Caveitan e quelli d'Aide. Li giullari dissero che
volontieri. Vennero quie con questa gente i giullari, e presero questa
provincia. Quando fuoro a questa città, videro cosí bella cosa di queste
torri; mandaro a dire al Grande Kane, ov'elli era, la bellezza di queste torri
e la ricchezza e 'l modo come fuoro fatte, e se volea che le disfacessono e
mandasselli l'oro e l'ariento. Lo Grande Kane, odendo che quello re l'avea
fatte fare per su'anima e per ricordanza di lui, mandò comandando che
non fossono guaste, anzi vi stessono per quello per che l'avea fatte fare il re
di quella terra. E di ciò non fue maraviglia, ché neuno Tartaro non
tocca cosa di neuno uomo morto.
Egli ànno leofanti assai e buoi salvatichi
grandi e belli, e di tutte bestie in grande abondanza. Ò dett[o] di
questa provincia; diròvi d'un'altra ch'à nome Gangala.
122
De la provincia di Gangala.
Gangala è una provincia verso mezzodie, che
negli anni Domini 1290 che io Marco era ne la corte del Grande Kane, ancora no
l'avea conquistata, ma tuttavia v'era l'oste e sua gente per conquistalla. In
questa provincia à re, e ànno loro linguaggio. E' sono pessimi
idoli; e sono a li confini de l'India. Quin'àe molti erniosi. Li baroni
di quella contrada ànno li buoi grandi come leofanti, ma no sí grossi.
Ellino vivono di carne e di riso, e fanno grande mercatantia, ch'egli
ànno spigo e galinga e zizibe e zucchero e di molt'altre care spezie.
Qui vegnono i mercatanti e qui acattano de le spezie che io v'ò detto. E
quini truovano † assai, ché sapiate che li mercatanti acattano in questa
provincia †assai, e poscia li portano a vendere per molte altre parti.
Qui no à 'ltro ch'i' voglia contare, e
però ci partiremo e diremo d'un'altra provincia verso levante
ch'à nome Caugigu.
123
De la provincia di Caugigu.
Caugigu è una provincia del levante che
à re. E' sono idoli, e ànno lingua per loro. Elli s'attendono al
Grande Kane, e ogn'anno li fanno trebuto. E dicovi che questo re è sí
lusurioso, ch'egli à bene 300 moglie, e com'egli à una bella
femina ne la contrada, incontanente la piglia per moglie. Qui si truova
molt'oro e care spezie, ma è molto di lungi dal mare, però non
vagliono guari loro mercatantie. Egli ànno molti leofanti e altre bestie
assai, e vivono di carne e di riso; e 'l vino fanno di riso. I maschi e le
femine si dipingono tutti a ucelli, a besti' e ad aguglie ed altri divisamenti;
e dipingosi il volto e le mani e 'l corpo e ogne cosa. E questo fanno per
gentilezza, e chi piú n'à di queste dipinture, piú si tiene gentile e
piú bello.
Or lasciamo di questo, e diròvi d'un'altra
provinci(a) ch'è chiamata Aniu, ch'è ve(r)so levante.
124
D'Aniu.
Aniu è una provincia verso levante, che sono
al Grande Kane. E' sono idoli. Elli vivono di bestie e di terra, e ànno
lingua per loro. Le donne portano a le bracce e a le gambe bracciali d'oro e
d'ariento di grande valuta, e gli uomini l[i] portano migliori e piú cari. Egli
ànno buoni cavalli ed assai, e quelli d'India ne fanno grande mercatantia;
egli ànno grande abondanza di buoi, di bufale e di vacche,
perch'ànno molto buon luogo da ciò per fare buone pastur'e per
erbe; da vivere di tutte cose. E sappiate che d'Aniu infino a Cagigu,
ch'è di dietro, si à 15 giornate; e di quie a Ba(n)gala,
ch'è la terza provincia arieto, si à 20 giornate.
Or ci partiremo d'Aniu, e andremo a un'altra
provincia ch'à nome Toloman, ch'è di lungi da questa 8 giornate
verso levante.
125
Di Toloman.
Toloma(n) è una provincia verso levante, e
ànno lingua per loro e sono a(l) Grande Kane. La gente è idola.
E' sono bella gente, no bene bianchi ma bruni, e sono buoni uomini d'arme. E
ànno assai città e castella, e ànno grandissima
quantità di montagne e forti. E quando muoiono, fanno ardere i loro
corpi, e l'ossa che non possono ardere, sí le mettono in piccole cassette e
pòrtalle a le montagne, e fannole stare apiccate ne le caverne, sí che
né uomo né altra bestia no le può toccare.
Qui si truova oro asai; la moneta minuta è
di porcellane, e cosí tutte queste province, come Bangala e Cagigu ed Aniu,
espendono oro e porcellane. Quini à pochi mercatanti, ma sono ricchi.
Elli vivono di carne e di lardo e di riso e di molte buone spezie.
Or lasciamo di questa provincia, e diròvi
d'un'altra ch'è chiamata Cugiu, verso levante.
126
Di Cugiu.
Cugiu è una provincia verso levante che,
quando l'uomo si parte di Toloman, e' va 12 giornate su per uno fiume,
ov'à ville e castella assai. Non v'à cose da ricordare. E di capo
de le 12 giornate si truova la città di Cugiu, la qual è molto
nobile e molto grande. E' sono idoli ed al Grande Kane. E' vivono di
mercatantia e d'arti, e fanno panno di scorze d'àlbori e sono be' vestir
di state. E' sono uomini d'arme; non ànno moneta se non le carte del
Grande Kane.
E' v'à tanti leoni che, se neuno dormisse la
notte fuori di casa, sarebbe incontanente manicato. E chi di notte va per
questo fiume, se la barca no sta bene di lungi da la terra, qu(a)ndo si riposa
la barca, andrebbe alcuno leone e piglierebbe uno di questi uomini e
mangiarebbelo, ma gli uomini si ne sanno bene guardare. Li leoni ci sono
grandissimi e pericolosi. E sí vi dico una grande maraviglia, che due cani
vanno a un grande leone - questi cani di questa contrada - e ucidollo, tanto
sono arditi, e diròvi come. Quando un uomo è a cavallo con due di
questi buoni cani, come i cani veggono il leone, sí tosto corrono a lui, l'uno
dinanzi e l'altro di dietro, ma sono sí mastri e leggeri che 'l leone non li
tocca, perché 'l leone guarda molto all'uomo. E 'l leone si mette a partire per
trovare àlbore ove ponga le reni per mostrare il viso a li cani, e' cani
tuttavia (lo mordono) a le cosce, e fannolo rivolgere or qua or là; e
l'uomo ch'è a cavallo sí lo seguita percotendolo di sue saette molte
volte, tanto che il leone cade morto, sí che non si può difendere da un
uomo a cavallo co due buoni cani.
Egli ànno seta assai, e su per questo fiume
va mercatantia assai da ogne parte per li rami di questo fiume.
E ancora andando su per questo fiume 12 giornate,
si truova città e castella assai.
Le gente sono idole e sono al Grande Kane; e
spendono monete di carte. Alcuna gente v'à d'arme, alcuna v'à
(di) mercatanti e artefici. Di capo de le 12 giornate si truova Sindifu, di che
questo libro parlò adietro. Di capo di queste 12 giornate, l'uomo
cavalca bene 70 giornate per terre e per province, di che parlò questo
libro adietro. Di capo de le 70 giornate l'uomo truova Cugiu, ove noi fummo. Da
Cugiu si parte e va 4 giornate, trovando castella e città assai. E' sono
artefici e mercatanti, e sono al Grande Kane; ànno moneta di carta. Di
capo de le 4 giornate si truova Cacafu, ch'è de la provincia del Catai.
E diròvi sua usanza e suoi covenentri, come
potrete udire.
127
De la città di Cacafu.
Cancafu è una città grande e nobile
ver' mezzodie. La gente è idol[a]; e' sono al Grande Kane, e fanno
ardere loro corpo, quand'è morto. E' sono mercatanti e artefici,
perch'egli ànno seta assai e zendadi; fanno drappi di seta indorati
assai. E à città e castella sotto sé.
Or ci partiamo di qui e anderemo 3 giornate verso
mezzodie, e dirén d'un'altra città ch'à nome Ciaglu.
128
Della città di Ciaglu.
Ciaglu è una molto grande città de la
provincia del Catai, ed è al Grande Kane; e' sono idoli. La moneta
ànno di carte, e fan ardere lor corpi morti. E i(n) questa città
si fa 'l sale in grandissima quantità, e diròvi come. Qui
à una terra molto salata, e fannone grandi monti, e 'n su questi monti
gittano molt'acqua, tanto che l'acqua vae di sotto. Poscia quest'acqua fanno
bollire in grandi caldaie di ferro assai, e quest'acqua è fatta sale,
bianca e minuta. E di questo sale si porta per molte contrade.
Qui no à 'ltro da ricordare. Or vi
conterò d'un'altra città ch'à nome Ciangli, ch'è
verso mezzodie.
129
Di Cia(n)gli.
Ciangli è una città del Catai. E'
sono idoli e al Grande Kane; e ànno moneta di carte. È di lungi
da Ciaglu 5 giornate, sempre trovando città e castella. Questa contrada
è di grande [prode] al Grande Kane, ché per mezzo la terra vae un grande
fiume, ove sempre va molta mercatantia di seta e di molta spezzeria ed altre
cose.
Or ci partiamo, e diròvi d'un'altra
città ch'à nome Codifu, di lungi da questa 6 giornate verso
mezzodie.
130
Della città ch'à nome Codifu.
Quando l'uomo si parte di Ciangli, e' va 6 giornate
verso mezzodie, tuttavia trovando castella e città di grande
nobiltà. E' sono idoli ed ardono lo corpo morto. E' sono al Grande Kane,
e ànno moneta di carte. E' vivono di mercatantie e d'arti, e ànno
grand'abondanza d'ogne cosa da vivere. Ma non v'à cosa da ricordare, e
però diremo di Condifu.
Sapiate che Condifu fue già molto
grandissimo reame, ma 'l Grande Kane lo conquistò per forza d'arme; ma
'ncora ell'è la piú nobile cittade di quel paese. Quiv'àe
grandissimi mercatanti; quiv'àe tanta seta ch'è maraviglia, e
belli giardini e molti frutti e buoni. E sapiate che questa città
à sotto sé 15 città di grande podere, che sono tutte di grandi
mercatantie e di grande prode.
E dicovi che ne l'anni Domini 1273, il Grande Kane
avea dato a un suo barone bene 80.000 cavalieri, ch'andasse a questa
città per guardalla e per salvalla. Quand'elli fue istato in questa
contrada un tempo, ordinò con certi uomini di quel paese di fare
tradimento al signore e ribellare tutte queste terre dal Grande Kane. Quando il
Grande Kane seppe questo, vi mandò 2 suoi baroni con 100.000 cavalieri.
Quando questi due baroni furo làe presso, il traditore uscío fuori co
questa gente ch'avea, ch'era bene 100.000 cavalieri e molti pedoni. Qui fu la
battaglia grandissima: il traditore fue morto e molti altri; e tutti coloro de
la terra ch'erano colpevoli, il Grande Kane li fece uccidere, e a tutti gli
altri perdonò.
Or ci partiamo, e diròvi d'un'altra contrada
ch'è verso mezzodí, ch'à nome Signi.
131
Di Signi.
Quando l'uomo si parte da Condifu, l'uomo va 3
giornate ver' mezzodie, tuttavia trovando città e castella assai,
cacciagioni e ucelli asai, e d'ogne cosa grand'abondanza. A capo de le tre
giornate si truova la città di Signi ch'è molto grande e bella e
di grande mercatantia e d'arti assai. E' sono idoli ed al Grande Kane; la loro
moneta è di carte. E sí vi dico ch'egli ànno un fiume, ond'egli
ànno grande prode; e diròvi come gli uomini de la contrada questo
fiume, che viene di verso mezzodie, l'ànno partito in due parti, l'una
parte verso levante e va au Mangi, e l'altr[a] verso ponente, cioè verso
lo Catai. E dicovi che questa terra à sí grande novero di navi, che
quest'è maraviglia, né no sono grandi navi; e con queste navi a queste
province portano e recano grandi mercatantie, tant[o] ch'è maraviglia a
credere.
Or ci partiremo di qui, e direnvi d'un'altra verso
mezzodie, ch'à nome Lign(i).
132
Di Ligni.
Quando l'uomo si parte di Signi, e' va per mezzodie
8 giornate, tuttavia trovando castella e città assai, ricche e grandi.
E' sono idoli e fan ardere lor corpo morto. E' sono al Grande Kane; la moneta
son carte. A capo de l'otto giornate truova una città ch'à nome
Ligni, ch'è capo del regno: la città è molto nobile. E'
sono uomini d'arme. Vero è ch'è terra d'arti e di mercatantie; (e
àvi) di bestie e d'ucelli grand'abondanza, (e) da mangiare e da bere
asai. Ed è sul fiume che io vi ricordai di sopra; ed à maggior
navi che l'altre di sopra.
Or lasciamo qui, e diròvi d'un'altra
città ch'à nome Pigni, ch'è molto grande e ricca.
133
Di Pigni.
Quando l'uomo si parte di Ligni, e' va tre giornate
per mezzodie, trovando castella e città assai. E' sono del Catai, e sono
idoli e fanno ardere i loro corpi morti; e sono al Grande Kane. (E àvi)
ucelli e bestie assai, i miglior del mondo; di tutto da vivere ànno
grande abondanza. Di capo de le tre giornate si truova una città
ch'à nome Pigni, molto grande e nobile, di grandi mercatantie e d'arti.
Questa città è a l'entrata de la grande provincia deu Mangi.
Questa città rende grande prode al Grande Kane.
Or ci partiamo, e diròvi d'un'altra
città ch'à nome Cigni, ch'è ancora al mezzodie.
134
Di Cigni.
Quando l'uomo si parte de la città di Pigni,
e' va due giornate ver' mezzodie per belle contrade e diviziose d'ogne cosa. E
a capo de le due giornate trova la città di Cigni, ch'è molto
grande e ricca di mercatantia e d'arti. La gente è idola e fanno ardere
lo' corpo. Lor monete son carte, e sono al Grande Kane; e ànno molto
grano e biada. Qui no à 'ltro; però ci partiremo e andremo piú
inanzi.
Quando l'uomo è ito 3 giornate ver' mezzodie,
l'uomo truova belle città e castella, belle cacciagioni e ucellagioni e
buoni cani, (e) biada asai. E' sono come que' di sopra.
Di capo de le 3 giornate si truova il grande fiume
di Carameran che vien de la terra del Preste Gianni. Sapiate ch'è la(r)go
[un] miglio e molto profondo, sí che bene vi puote andare grande nave. Egli
à in questo fiume bene 15.000 navi, che tutte sono del Grande Kane per
portare sue cose, quando fa oste a l'isole del mare, ché 'l mare v'è
presso una giornata. E ciascuna di queste navi vuole bene 15 marinai, e portano
intorno di 15 cavalli, cogli uomini con loro arnesi e vidande.
Quando l'uomo ha passato questo fiume, entra ne la
grande provincia deu Mangi; e diròvi come la conquistò il Grande
Kane.
135
Come il Grande Kane conquistò lo reame de li
Mangi.
Egli è vero che ne la grande provincia deu
Mangi era signore Fafur, ed era, dal Grande Kane in fuori, il maggior signore
del mondo e 'l piú possente d'avere e di gente. Ma no sono genti d'arme; ché se
fossono stati buoni d'arme, a la forza de la contrada, mai no l'avrebbe
perduta, ché le terre sono tutte atorneate d'acqua molto fonda e non vi si va
[se no] per ponte. Sí che 'l Grande Kane gli mandò un barone ch'avea
nome Baian Anasan, ciò è a dire 'Baian Cento Occhi', e questo fue
negli anni Domini 1273.
E 'l re del Mangi trovò per sua isteromia
che la sua terra mai no si perderebbe se non per un uomo ch'avesse 100 occhi. E
andò Baian con grandissima gente e co molte navi che li portaro (uomeni)
a piè ed a cavallo. E' venne a la prima città de li Mangi, e no
si volle rendere a lui; poscia andò a l'altre infino a le 6
città, e queste lasciava, però che 'l Grande Kane li mandava
molta gente dietro — ed è questo Grande Kane che oggi regna. (Or avenne
che costui) la 6 città prese per forza, e poscia ne pigliòe tante
che n'ebbe 12; poscia se n'andò a la mastra città de li Mangi,
ch'à nome Quisai, ov'era il re e la reina. Quando il re vide tanta
gente, ebbe tal paura che si partí de la terra co molta gente e bene co 1.000
navi, e andò al mare Oceano e fuggí ne l'isole; la reina rimase, che si
defendea al me' che potea. E la reina dimandò chi era il segnore de
l'oste; fulle detto: 'Baian Cento Occhi'. E la reina si ricordò de la
profezia ch'ò detto di sopra: incontanente rendéo la terra, e
incontanente tutte le città de li Mangi si rendero a Baian. E in tutto
'l mondo non era sí grande reame come questo; e diròvi alcuna de le sue
grandezze.
Sapiate che questo re face' ogn'anno nutricare
20.000 fanciulli piccioli; e diròvi come. In quella provincia si gittano
i fanciulli come sono nati — cioè le povere persone che no li possono
notricare —; e quando un ricco uomo non à figliuoli, e' va al re e
fassine dare quanti vuole. E quando egli àe fanciulli e fanciulle da
maritare, sí gli amoglia insieme, e dàlli onde possano vivere; e in
questo modo n'aleva ogn'anno bene 20.000 tra maschi e femine. Ancora fae
un'altra cosa, che quando lo re vae per alcuno luogo ed e' vede due belle case
e dal lato una piccola, ed elli domanda perché quelle sono magior di quella; e
s'egli è perché sia d'alcuno povero che no la possa fare magiore,
incontanente comanda che de' suoi danari sia fatta. Ancora questo re si fa
servire a piú di m[i]lle tra donzelli e donzelle. Elli mantiene suo regno in
tanta iustizia, che non vi si fa null[o] male, che tutte le mercatantie stanno
fuori.
Contato v'òe del regno; or vi conterò
de la reina. La reina fue menata al Grande Kane, e 'l Grande Kane le fece
grande onore, come a grande reina. E il re, marito di questa reina, mai non
uscí de l'isole del mare Oceano, e quivi morío.
Or lasceremo di questa matera, e torneròvi a
dire de la provincia deu Mangi e di lor maniere e di lor costumi ordinatamente.
E prima coninceremo de la città di Caygiagui.
136
Di Caygiagui.
Caygiagui è una grande città e
nobile, ed è a l'intrata de la provincia deu Mangi inver' isciloc. La
gente è idola, e ardono lo' corpo morto; e sono al Grande Kane. È
'n sul grande fiume di Caramoran, e àvi molte navi. Questa terra
è di grande mercatantia, perch'è capo de la provincia, ed in
luogo da ciò. Qui si fa molto sale, sí che ne dà bene a 40
città; il Grande Kane n'à grande rendita di questa città,
tra del sale e de la mercatantia.
Or ci partiamo di qui, e diròvi d'un'altra
città ch'à nome Pauchin.
137
Di Pauchin.
Quando l'uomo si parte di qui, l'uomo va bene una
giornata per isciloc per una strada lastricata tutta di belle pietre; e da ogne
lato de la strada si è l'acqua grande, e non si puote intrare in questa
provincia se non per questa strada. Di capo di questa giornata si truova una
città ch'à nome Pauchin, molto grande e bella. La gente è
idola, e fanno ardere lo' corpo; e sono al Grande Kane. E' sono artefici e
mercatanti: molta seta ànno e fanno molti drappi di seta e d'oro; e da
vivere ànno assai.
Qui non à 'ltro; però ci partiamo e
diremo d'un'altra ch'à nome Cayn.
138
Di Cayn.
Quando l'uomo si parte di Pauchin, l'uomo va una
giornata per isciloc, e truova una città ch'à nome Cayn, molto
grande. E' sono come que' di sopra, salvo che v'è piú bella ucellagione;
ed èvi per uno viniziano ariento tre fagiani.
Or diremo d' un' altra ch' à nome Tingni.
139
Tingni.
Tingni è una città molto bella e
piacevole, no molto grande, ch'è di lungi da quella di sopra una
giornata. La gente si è idola, e sono al Grande Kane; moneta ànno
di carte. Qui si fa molte mercatantie ed arti; e àvi molti navi, ed
è verso sciloc. Qui àe ucellagioni e cacciagioni assai.
Ed è presso a tre giornate al mare Ozeano.
Qui si fa molto sale, e 'l Grande Kane n'à tanta rèdita ch'a pena
si crederebbe.
Or ci partiamo (di qui), e andiamo a un'altra
ch'è presso ad una gio(r)nata a questa.
140
D'un'altra città.
Quando l'uomo si parte di Tingni, l'uomo va verso
sciloc una giornata, trovando castella asai e case. Di capo truova una
città grande e bella, ch'à sotto di sé 27 città tutte
buone e di grandi mercatantie. E in questa città à uno de' 12
baroni del Signore; e messer Marco Polo signoregiò questa città 3
anni. Qui si fa molti arnesi d'arme e da cavalieri.
Di qui ci partiamo, e diròvi di due grandi
province de li Mangi, che sono verso levante; e prima de l'una, ch'à
nome Nangi.
141
Di Nangi.
[Nan]gi è una provincia molto grande e
ricca. La gente è idola; la moneta è di carte, e sono al Grande
Kane. E' vivono di mercatantia e d'arti. Ànno seta assai, uccellagioni e
cacciagioni e ogne cosa da vivere; e ànno leoni asai.
Di qui ci partiamo, e conteròvi de le 3
nobili città de Sagianfu, però che troppo sono di grande affare.
142
Della città di Sagianfu.
Saianfu è una grande città e nobile,
ch'à sotto sé 12 città grandi e ricche. Qui si fa grandi arti e
mercatantie, e son idoli. La moneta è di carte, e fanno ardere lor corpo
morto. E' sono al Grande Kane; e ànno molta seta. Ell'à tutte
nobile cose ch'a nobile città conviene.
E sapiate che questa città si tenne 3 anni
poscia che tutto il Mangi fue renduto, tuttavia standovi l'oste; ma non vi
potea stare se no da un lato verso tramontana, ché (da) l'altro si è il
lago molto profondo. Vivanda aveano assai per questo lago, sí che la terra per
questo asedio mai no sarebbe perduta. Volendosi l'oste partire co grande ira,
messer Nicolao e 'l suo fratello e messer Marco Polo dissero al Grande Kane
ch'aveano con loro uno ingegnere che farebbe ta' mangani che la terra si
vincerebbe per forza. Il Grande Kane fue molto lieto, e disse che tantosto
fosse fatto. Comandaro costoro a questo loro famigliare, ch'era cristiano
nestorino, che questi mangani fossoro fatti. Fuoro fatti e rizzati dinanzi a
Sai(a)nfu; fuoro tre, (e) cominciaro a gittare pietre di 300 libbr' e tutte le
case guastavano. Questi de la terra, vedendo questo pericolo, ché mai non
av(e)ano veduto neuno mangano — e quel fue il primo mangano che mai fosse
veduto per neuno Tartaro —, que' de la terra fuoro a consiglio, e rendero la
terra al Grande Kane, com'eran rendute tutte l'altre. E questo adivenne per la
bontà di messer Nicolò e di messer Mafeo e di messer Marco; e no
fue piccola cosa, ch'ell'è bene una de le miglior province ch'abbia il
Grande Kane.
Or lasciamo di questa matera, e diròvi d'una
provincia ch'à nome Sigui.
143
Di Sigui e 'l fiume d[i] Quian.
Quando l'uomo si parte di qui e l'uomo va per siloc
E per le molte città che sono su per quel
fiume, per quel fiume va piú mercatantia che per tutti gli altri fiumi de'
cristiani e piú cara mercatantia, né 'ncora per tutto loro mare; ché io vidi a
questa città per una volta 15.000 navi aportate. Sapiate da che questa
città, che no è molto grande, à tante navi, quante so'
l'altre, ch'àe in su questo fiume bene 16 province e àvi su bene
200 buone città, che tutte ànno piú navilio che questa.
Le navi son coverte e ànno un àlbore,
ma sono di grande portare, che ben portano da 4.000 cantari insino in 12.000
cantari. Tutte le navi ànno sarta di canave, cioè legami per
legare le navi e (per) tiralle su per questo fiume. Le piccole sono di canne
grosse e grandi, com'io v'ò detto di sopra; elli legano l'una all'altra,
e fannole lunghe bene 300 passi e fendole; e sono piú forti che di canave.
Or lasciamo qui, e torneremo a Caigui.
144
De la città di Caigui.
Caigui è una piccola città ver'
siloc. E' son idoli e al Grande Kane; ànno moneta di carte. E' sono in
su questo fiume. Qui si ricoglie molto grano e riso, e va fino a la grande
città di Cabalu, a la corte del Grande Kane, per acque, non per mare ma
per fiumi e per laghi. De la biada di questa città ne logora grande
parte de la corte del Grande Kane. E 'l Grande Kane à fatta ordinare la
via da questa città insino a Cabalu, ch'egli à fatte fare fosse
larghe e profonde da l'un fiume a l'altro e da l'un lago a l'altro, sí che vi
va bene grandi navi. E cosí si può andare per terra, ché lungo la via de
l'acqua si è quella de la terra.
E nel mezzo di questo fiume à un'isola
guasta, ov'àe un munistero d'idoli, che v'à 200 freri; e quie
à molti idoli, e quest'è capo di molt' altri monisteri d' idoli.
Or ci partiremo di qui e paseremo lo fiume; e
diròvi di Ci(n)ghiafu.
145
Della città chiamata Cinghiafu.
Cinghiafu è una città deu Mangi, che
si sono come gli altri. Sono artefici e mercatanti; cacciagioni e ucellagioni
àn asai, e molta biada e seta, e drappi di seta e d'oro. Quiv'è
due chiese di cristiani nestorini, e questo fue dagli anni Domini
Or ci partiremo di qui, e diròvi d'un'altra
città grande ch'è chiamata Cighingiu.
146
Della città chiamata Cighingiu.
Quando l'uomo si parte de Cinghianfu, e' va 3
giornate ver' sciloc, tuttavia trovando città e castella asai di grande
mercatantia e d'arti. E' sono idoli e sono al Grande Kane; la moneta
(ànno) di carte. Di capo di queste tre giornate si truova la
città di Cighingiu, ch'[è] molto grande e nobile. E' sono come gli
altri d'ogne cosa, e ànno da vivere d'ogne cosa assai.
Una cosa ci avenne ch'io vi conterò. Quando
Baian, barone del Grande Kane, prese tutta quest[a] provincia, po' ch'ebbe
presa la città mastra, mandò sua gente a prendere questa
città, e questi s'arendero. Come fuoro ne la terra, trovaro sí buon
vino, che s'inebriaro tutti; e stavano come morti, sí dormíeno. Costoro,
vedendo ciòe, uciselli tutti, sí che neuno ne scampò, in quella
notte; e no dissono né bene né male, sí come uomini morti. E quando Baian,
signore de l'oste, seppe questo, mandòvi molta gente e fecela prendere
per forza; presa la terra, tutti gli ucisero e misegli a le spade.
Or ci partiremo di qui, e diròvi d'un'altra
città ch'à nome Sugni.
147
Della città chiamata Sugni.
Sugni è una molto nobile città. E'
sono idoli e al Grande Kane; moneta ànno di carte. Elli ànno
molta seta e vivono di mercatantia e d'arti; molti drappi di seta fanno, e sono
ricchi mercatanti. Ell'è sí grande, ch'ella gira
Or ci partimo di Suigni, e diròvi d'un'altra
ch'à nome Ingiu. E questa è lungi da Sugni una giornata:
ell'è molto grande e nobile, ma perché non v'à nulla da
ricordare, diròvi d'un'altra ch'à nome Unghin. Questa è
grande e ricca. E' sono idoli e al Grande Kane; e la moneta è di carta.
Quin'àe abondanza d'ogni cosa; e sono mercatanti e molto savi e buoni
artefici.
Or ci partiamo di qui, e diremo di Cianga,
ch'è molto grande e bella, e àe ogne cosa come l'altre; e favisi
molto zendado. Qui no à 'ltro da ricordare: partimoci ed andamo a la
nobile città di Quisai, ch'è la mastra città del reame deu
Mangi.
148
Di Quinsai.
Quando l'uomo si parte de la città de
Cianga, e' va 3 giornate per molte castelle e città ricche e nobili, di
grandi mercatantie e arti. E' sono idoli e al Grande Kane; e ànno moneta
di carta. Egli ànno da vivere ciò che bisogna al corpo de l'uomo.
Di capo di queste tre giornate, si truova la sopranobile città di Quinsai,
che vale a dire in francesco 'la città del cielo'. E conteròvi di
sua nobiltà, però ch'è la piú nobile città del
mondo e la migliore; e dirovi di sua nobiltà secondo che 'l re di questa
provincia scrisse a Baian, che conquistò questa provincia de li Mangi; e
questi la mandò al Grande Kane, perché, sappiendo tanta nobiltà,
no la farebbe guastare. Ed i' vi conterò per ordine ciò che la
scrittura contenea; e tutto è vero però ch'io Marco lo vidi
poscia co mi' occhi.
La città di Quinsai dura in giro
Questa città à 12 arti, cioè
di ciascuno mistieri una; e ciascun'arte à 12.000 stazioni, cioè
12.000 case; e 'n ciascuna bottega àe 'lmeno 10 uomini e in tal 15, e in
tal 20 e in tal 30 e in tal 40, non tutti maestri ma discepoli. Questa
città fornisce molte contrade; quiv'à tanti mercatanti e sí
ricchi e in tanto novero, che non si potrebbe contare che si credesse. Anco vi
dico che tutti li buoni uomini e le donne e li capi maestri no fanno nulla di lor
mano, ma stanno cosí dilicatamente come fossono re e le donne come fossono cose
angeliche. Ed èvi uno ordinamento che neuno può fare altr'arte
che quella che fece suo padre: se 'l suo valesse 100.000 bisanti d'oro, no
oserebbe fare altro mistiere.
Anche vi dico che verso mezzodie àe un lago
che gira ben
Ne la città à molte belle case e
torri di pietre e spesse, ove le persone portano le cose quando s'aprende fuoco
ne la città, ché molto spesso vi s'acende, perché v'à molte case
di legname.
E' manucano tutte carne, cosí di cane e d'altre
brutte bestie come di buon[e], che per cosa del mondo niun cristiano manicrebbe
di quelle bestie ch'elli mangiano.
Anco vi dico che ciascuno dei 12.000 ponti guarda
10 uomini di die e di notte, perché neuno fosse ardito di ribelare la
città. Nel mezzo de la terra à un monte, ov'à suso una
torre, ove sta sempre suso uno uomo con una tavoletta in mano, e dàvi
suso d'un bastone che ben s'ode da lunga. E questo fae quando fuoco s'acende ne
la terra, o altra battaglia e mischia (vi si facesse). Molto la fa ben guardare
il Grande Kane, però ch'è capo di tutta la provinci(a) deu Mangi,
e perché n'à di questa città grande rédita, sí grande ch'a pena
si potrebbe credere.
E tutte le vie de la città so' lastricate di
pietre e di mattoni, e cosí tutte le mastre vie de li Mangi, sí che tutte si
posson cavalcare nettamente, ed a piede altressíe. E ancora vi dico che questa
città à bene 3.000 stufe, ove si prende grande diletto gli uomini
e le femine; e vannovi molto spesso, però che vivono molto nettamente di
lor corpo. E sono i piú be' bagni del mondo e' magiori, ché bene vi si bagna
insieme 100 persone.
Presso a questa villa a
Questa provincia de li Mangi lo Grande Kane
l'à partita in otto parti e ànne fatte 8 reami grandi e ricchi, e
tutti rendono ogn'anno trebuto al Grande Kane. E in questa città dimora
l'uno di questi re, e à ben sotto sé 140 cittadi grandi e ricche.
E sapiate che la provincia de li Mangi à
bene 1.200 cittadi, e ciascuna à guardie per lo Grande Kane, com'io vi
dirò. Sapiate che in ciascuna quella che meno n'àe, si à
1.000 guardie; e di ta' n'à 10.000 e di tali 20.000 e 30.000, sí che 'l
novero sarebbe sí grande, che non si potrebbe contare né credere di leggeri. Né
none intendiate che quelli uomini sieno tutti Tarteri, ma vi n'àe del
Catai, e no son tutti a cavallo quelle guardie, ma grande partita a piede.
La rédita ch'à 'l Grande Kane di questa
provincia de li Mangi no si potrebbe credere né a pena scrivere, e ancora la
sua nobilità.
L'usanza de li Mangi sono com'io vi dirò.
Egli è vero, quando alcuno fanciullo nasce, o maschio o femina, il padre
fa scrivere i(l) die e 'l punto e l'ora, il segno e la pianeta sotto ch'egli
è nato, sicché ognuno lo sa di sé queste cose. E quando alcuno vuole
fare alcun viaggio o alcuna cosa, vanno a loro stérlogi, in cu' ànno
grande fede, e fannosi dire lo lor migliore.
Ancora vi dico, quando lo corpo morto si porta ad
ardere, tutti i parenti si vestono di canivaccio, cioè vilmente, per
dolore, e vanno cosí presso al morto, e vanno sonando stormenti e cantando loro
orazioni d'idoli. Quando (sono) làe ove 'l corpo si dé ardere, e' fanno
di carte uomini, femini, camelli, danari e molte cose. Quando il fuoco è
bene aceso, fanno ardere lo corpo con tutte queste cose, e credono che quel
morto avràe ne l'altro mondo tutte quelle cose da divero al suo
servigio; e tutto l'onore che gli è fatto in questo mondo quando s'arde,
gli sarà fatto quando andrà ne l'altro per gl'idoli.
E in questa terra è 'l palagio del re che si
fugío, ch'era signor de li Mangi, ch'è il piú nobile e 'l piú ricco del
mondo; ed io vi ne dirò alcuna cosa. Egli gira
Anche sapiate che 'n questa città à
bene 160.000 di tomain di fumanti, cioè di case, e ciascuno tomain
è 10 case e fumanti: la somma si è 1.600.000 di magioni
d'abitanti, ne le quali à grandi palagi. E àvi una chiesa di
cristiani nestorini solamente.
Sapiate che ciascuno umo de la villa e de' borghi
à scritto in su l'uscio lo nome suo e di sua moglie e de' figliuoli e
fanti e schiavi, e quanti cavalli tiene. E s'alcuno ne mure, fa guastare lo suo
nome, e s'alcuno ne nasce, sí 'l vi fa scrivere, sí che 'l segnore de la villa
sa tutta la gente per novero ch'à ne la villa, e cosí si fa in tutta la
provincia de li Mangi e del Catai. Ancora v'àe un altro costume che gli
albergatori scriveno in su la porta de la casa tutti gli uomini degli osti
suoi, e 'l die che vi vegnono; e quando se ne vanno sí lo spegnono, sí che 'l
Grande Kane può sapere chi va e chi viene. E questa è bella cosa
e savia.
Or v'ò detto di questo una parte. Or vi
vò' contare de la rendita ch'àe il Grande Kane di questa terra e
suo distretto, ch'è de le nove parti l'una de li Mangi.
149
La rédita del sale.
Or ve conterò de la rédita ch'àe il
Grande Kane di Quisai e delle terre che sono sotto di lei; e prima vi
conterò del sale. Lo sale di questa contrada rende l'anno al Grande Kane
80 tomain d'oro: ciascuno tomain è 80.000 saggi d'oro, che monta per
tutto 6.400 di saggi d'oro — e ciascuno saggio d'oro vale piúe d'un fiorino
d'oro —, e questo è maravigliosa cosa.
Or vi dirò de l'altre cose. In questa
contrada nasce e favisi piú zucchero che in tutto l'altro mondo; e questo
è 'ncora grandissima rendita; ma io vi dirò di tutte spezie
insieme. Sapiate che tutte spezierie e tutte mercatantie rendono tre e terzo
per 100; e del vino che fanno di riso ànne ancora grandissima rendita, e
de' carboni e di tutte 12 arti, che sono 12.000 stazzoni, n'à 'ncora
grandissima rendita, ché di tutte cose si paga gabella — de la seta si
dà 10 per 100. Sí che io Marco Polo, ch'ò veduto e sono stato a
far la ragione, † la rendita sanza il sale vale ciascun anno 210.000 tomain
d'oro; e quest'è il piú smisurato novero del mondo di moneta, che monta
15.700.000. E questo è de le nove parti l'una de la provincia.
Or lasciamo stare di questa matera, e diròvi
d'una città ch'à nome Tapigni.
150
Della città che si chiama Tapigni.
Quando l'uomo si parte de Quisai, e' va una
giornata per isiloc, tuttavia trovando palagi e giardini molto belli, ove si
truova tutte cose da vivere e asai. Di capo di questa giornata si truova questa
città ch'à nome Tapigni, molto bella e grande; ed è sotto
Quisai. E' sono idoli, e fanno ardere loro corpo; lor moneta è di carte
e sono al Grande Kane. Qui non à 'ltro da dire.
Or diremo d'un'altra ch'à nome Nuigiu,
ch'è di lungi da quella 3 giornate per siloc; e sono come que' di sopra.
Di qui si va 2 giornate ver' siloc, tuttavia trovando castella asai e ville, che
pare l'uomo vada per una città; e truovane un'altra, ch'à nome
Chegiu, e tutti sono come di sopra.
Di qui si va 4 giornate per isiloc, come di sopra.
Qui àe ucelli e bestie asai, come leoni grandissimi e fieri. Qui no
à montoni né berbíci per tutti li Mangi, ma egli ànno buoi,
becchi e capr'e porci assai. Di qui ci partiremo, perché non ci à altro,
e andremo 4 giornate e troveremo la città di Ciasia; ed è su uno
monte che parte lo fiume, che l'una metà va in su e l'altra in giuso.
Tutte queste città sono de la signoria di Quisai: tutti sono come que'
di sopra.
Di capo de le 3 giornate si truova la città
di Cangu — e' sono come quell[i] di sopra — ed è la sezzaia città
di Quisai. Or conincia l'altro reame de' Mangi, ch'è chiamato Fughiu.
151
Del reame di Fugiu.
Quando l'uomo si parte di questa sezzaia
città de Quisai, l'uomo entra nel reame di Fughiu. (E) vassi 6
giorna(te) per isiloc, (e) trova città e castella e case assai. E' sono
idoli ed al Grande Kane; e sono sotto la signoria di Fughiu. Vivono di
mercatantia e d'arti; d'ogne cosa ànno grande abondanza: ànno
zizibe e galanga oltre misura, ché per 'l viniziano grosso se n'avrebbe ben
Nel mezzo di queste 6 giornate à una
città ch'à nome Quenlafu, ch'è molto grande e nobile. E'
sono al Grande Kane. E à tre ponti — li piú belli del mondo — di pietra,
lunghi un miglio e larghi bene 8 passi, e sono tutti in colonne di marmo, e
sono sí belli che molto tesoro vorebbe a farne uno. Elli vivono di mercatantia
e d'arti; egli ànno seta asai e zizibe e galanga. E v'à belle
donne. E ànno galline che no ànno penne, ma peli come gatte, e
tutte nere; e fanno uova come le nostre, e sono molto buone da mangiare. Qui
non à altro.
E in queste 6 giornate ch'è detto di sopra
so' molte castella e città, e sono come quelle di sopra. E fra
Quando l'uomo si parte di qui
152
Della città chiamata Fugiu.
[O]r sapiate che questa città di Fugiu
è capo del regno di Conca, ch'è de le 9 parti l'una de li Mangi.
In questa città si fa grande mercatantia ed arti. E' sono idoli (e al
Grande Kane). E 'l Grande Kane vi tiene grande oste per le città e
castella che spesso vi si rubellano, sí che incontanente vi corrono e
ripíglialle e guàstalle. E per lo mezzo di questa città vae un
fiume largo bene un miglio. Qui si fa molte navi che vanno su per quel fiume.
Qui si fa molto zucchero; qui si fa mercatantia grandi di pietre preziose e di
perle, e portal[e] i mercatanti che vi vengono d'India. E questa terra è
presso al porto di Catun, nel mare Ozeano: molte care cose vi sono recate
d'India. Egli ànno bene da vivere di tutte cose, ed ànno be'
giardini co molti frutti, ed è sí bene ordinata ch'è maraviglia.
Perciò no vi ne dirò piú, ma
cont[e]ròvi d'altre cose.
153
Di Zart[om].
Or sapiate che, quando l'uomo si parte di Fugiu e
passa il fiume, e' va 5 giornate per siloc, tuttavia trovando città e
castella assai, dov'à ogne cosa a dovizia grande. E v'à monti e
valli e piani, ov'à molti boschi e molti àlbori che fanno la
[c]anfora; e v'à ucelli e bestie assai. E' vivono di mercatantie e
d'arti; e sono idoli come que' di sopra. Di capo di queste 5 giornate si truova
una città ch'à nome Zartom, ch'è molto grande e nobile, ed
è porto ove tutte le navi d'India fanno capo, co molta mercatantia di
pietre preziose e d'altre cose, come di perle grosse e buone. E quest'è
'l porto de li mercatanti de li Mangi, e atorno questo porto à tanti
navi di mercatantie ch'è meraviglia; e di questa città vanno
poscia per tutta la provincia de li Mangi. E per una nave di pepe che viene in
Alesandra per venire in cristentà, sí ne va a questa città 100,
ché questo è l'uno de li due p[o]rti del mondo ove viene piúe
mercatantia.
E sapiate che 'l Grande Kane di questo porto trae
grande prode, perché d'ogne cose che vi viene, conviene ch'abbia 10 per 100,
cioè de le diece parti l'una d'ogne cosa. Le navi si togliono per lo'
salaro di mercatantie sottile 30 per 100, e del pepe 44 per 100, e del legno
aloe e de' sandali e d'altre mercatantie grosse 40 per 100; sí che li mercatanti
danno, tra le navi e al Grande Kane, ben lo mezzo di tutto. E perciò lo
Grande Kane guadagna grande quantità di tesoro di questa villa.
E' sono idoli. La terra à grande abondanza
d'ogne cose che a corpo d'uomo bisogna. E in questa provincia à una
città ch'à nome Tinuguise, che vi si fa le piú belle scodelle di
porcelane del mondo; e no se ne fa in altro luogo del mondo, e quindi si
portano da ogne parte. E per uno viniziano se n'arrebbe tre, le piú belle del
mondo e le piú divisate. Ora avemo contato de li 9 reami (de li Mangi) li tre,
cioè Cangui e Quisai e Fugiu; degli altri reami non conto, ché sarebbe
lunga mena. Ma diròvi de l'India, ov'à cose bellissime da
ricordare, ed io Marco Polo tanto vi stetti, che bene le saprò contare per
ordine.
154
Qui conincia tutte le maravigliose cose de l'India.
[P]oscia ch'abiamo contato di tante province
terrene, com'avete udito, noi conteremo de le meravigliose cose che sono ne
l'India. E coninceròvi a le navi, ove i mercatanti vanno e vegnono.
Sapiate
ch'elle sono d'un legno chiamato abeta e di zapino, ell'ànno una
coverta, e 'n su questa coperta, ne le piúe, à ben 40 camere, ove in
ciascuna può stare un mercatante agiatamente. E ànno uno timone e
4 àlbori, e molte volte vi giungono due àlbori che si levano e
pognono; le tavole so' tutte chiavate doppie l'una sull'altra co buoni aguti. E
non sono impeciate, però che no n'ànno, ma sono unte com'io vi
dirò, però ch'egli ànno cosa che la (tengono) per migliore
che pece. E' tolgono caneva trita e calcina e un olio d'àlbori, e
mischiano insieme, e fassi come vesco; e questo vale bene altrettanto come
pece.
Queste navi voglion bene 200 marinai, ma elle sono
tali che portano bene 5.000 sporte di pepe, e di tali 6.000. E' vogano co remi;
a ciascun remo si vuole 4 marinai, e ànno queste navi ta' barche, che
porta l'una ben 1.000 sporte di pepe. E sí vi dico che questa barca mena ben 40
marinai, e vanno a remi, e molte volte aiuta a tirare la grande nave. Ancora
mena la nave ben 10 battelli per prendere de' pesci; ancora vi dico che le
grandi barche menano battelli. E quando la nave àe navicato un anno, sí
giungono un'altra tavola su quelle due, e cosí vann' insin'a le 6 tavole.
Or v'ò contato de le navi che vanno per
l'India. E prima ch'io vi conti de l'India, sí vi conteròe di molte
isole che sono nel mare Ozeano, ove noi siamo, e sono a levante. E prima diremo
d'una ch'à nome Zipangu.
155
Dell'isola di Zipangu.
Zipangu è una isola in levante, ch'è
ne l'alto mare
L'isola è molto grande. Le gente sono
bianche, di bella maniera e elli. La gent'è idola, e no ricevono
signoria da niuno se no da lor medesimi.
Qui si truova l'oro, però n'ànno
assai; neuno uomo no vi va, però neuno mercatante non ne leva:
però n'ànno cotanto. Lo palagio del signore de l'isola è
molto grande, ed è coperto d'oro come si cuoprono di quae di piombo le
chiese. E tutto lo spazzo de le camere è coperto d'oro grosso ben due
dita, e tutte le finestre e mura e ogne cosa e anche le sale: no si potrebbe
dire la sua valuta.
Egli ànno perle assai, e son rosse e tonde e
grosse, e so' piú care che le bianche. Ancora v'àe molte pietre
preziose; no si potrebbe contare la ricchezza di questa isola. E 'l Grande Kane
che oggi regna, per questa grande ricchezza ch'è in quest'isola, la
volle fare pigliare, e mandòvi due baroni co molte navi e gente assai a
piede ed a cavallo. L'uno di questi baroni avea nome Abatan e l'altro
[Von]sanicin, ed erano molti savi e valentri. E' misersi in mare e [furono] in
quest'isola, e pigliaro del piano e delle casi assai, ma non aveano ancora
preso né castel né città; ora li venne una mala sciagura, com'io vi
dirò.
Sapiate che tra questi due baroni avea grande
invidia, e l'uno no facea per l'altro. Or avenne un die che 'l vento a
tramontana venne sí forte, ch'elli dissero che, s'elli non si partissono, tutte
le loro navi si romperebbono. Montoro ne le navi e misersi nel mare, e andaro
di lungi di qui
Or lasciamo di que' ch'andaro in lor contrada, e
diciamo di quelli che rimasono in questa isola per morti.
156
Sapiate che, quando que' 30.000 uomini che camparo
in su l'isola si teneano morti, perciòe che non vedeano via da poter
campare, e' stavano in su questa isola molto isconsolati.
Quando gli uomini de la grande isola videro l'oste
cosí barattata e rotta, e videro costoro ch'erano arivati in su questa isola,
n'ebbero grande allegrezza. Quando il mar fue abonacciato, e' presono molte
navi ch'aveano per l'isola, e andaro all'isoletta ove costoro erano, e smontaro
in terra per pigliare costoro ch'erano in su l'isoletta. Quando questi 30.000
vidono i lor nemici iscesi in terra e vidono che su le navi non era rimaso
gente veruna per guardare, elli, sí come savi, quando li nemici, andaro per
piglialli, egli diero una giravolta tuttavia fuggendo, e vennero verso le navi
e quini montaro tutti incontanente; e qui no fue chi glile contendesse.
Quando costoro fuoro su le navi, levaro i gonfaloni
ch'elli vi trovaro suso e andaro verso l'isola ov'era la mastra villa di
quell'isola, perch'egli erano andati; e que' ch'erano rimasi ne la
città, vedendo questi gonfaloni, credieno che fosse la gente ch'er'ita a
pigliare quelli 30.000 ne l'altra isola. Quando costoro fuoro a la porta de la
terra, erano sí forti che cacciaro quelli che vi trovaro di fuori de la terra,
e solo vi tennono le belle femine che v'erano per loro servire. E in tal modo
presero la città la gente del Grande Kane.
Quando que' de la città videno ch'erano cosí
beffati, voleano morire di dolore, e vennono con altre navi a la terra, e
cercondalla d'intorno sí che neuno ne potea uscire né 'ntrare. E cosíe tennoro
la terra 6 mesi, e molto s'ingegnaro di mandare novelle di loro al Grande Kane,
ma nol potero fare. Di capo di se' mesi rendero la terra per patti, salvo le
persone e 'l fornimento di potere tornare al Grande Kane; e questo fue negli
anni Domini 1269.
Al primo barone che n'andò prima, lo Grande
Sire li fece tagliare lo capo, e l'altro fece morire in carcere.
Una cosa avea dimenticata che, quando questi due
baroni andavano a quest'isola, perché uno castello no li si volle arendere — ed
elli lo presono poscia — a tutti li feceno tagliare lo capo, salvo ch'a otto
che, per vertú di pietre ch'aveano ne le braccia dentro da la carne, per modo
del mondo no si potéo tagliare. E li baroni, vedendo ciòe, li feciono
amazare co mazze, e poscia li feceno cavare queste pietre de le braccia.
Or lasciamo di questa matera, e andremo inanzi.
157
Come sono gl'idoli di questa isola.
Or sapiate che gl'idoli di queste isole e quelle
del Catai sono tutte d'una maniera. E questi di queste isole, e ancora de
l'altre ch'ànno idoli, ta' sono ch'ànno capo di bue, e tal di
porco, e cosí di molte fazioni di bestie, di porci, di montoni e altri; e tali
ànno un capo e 4 visi e tali ànno 4 capi e tali 10; e quanti piú
n'ànno, magiore speranza e fede ànno in loro. Gli fatti di
quest'idoli son sí diversi e di tante diversità di diavoli, che qui non
si vuole contare.
Or vi dirò d'una usanza ch'è in
questa isola. Quando alcun di quest'isola prende alcuno uomo che non si possa
ricomperare, convita suoi parenti e compagni, e fanno 'l cuocere e dàllo
a mangiare a costoro; e dicono ch'è la migliore carne che si mangi.
Or lasciamo andare questa matera e torniamo a la
nostra. Or sapiate che questo mare, ov'è quest'isola, si chiama lo mare
de Cin, che vale a dire lo 'mare ch'è contra lo Mangi'; e in questo mare
de Cin, secondo che dicono savi marinari che ben lo sanno, à bene 7448 isole,
de le quali le piú s'abitano. E sí vi dico che in tutte queste isole no nasce
niuno àlbore che no ne vegna olore, come di legno aloe e magiore. E
ànno ancora molte care spezie di piú maniere; e in quest'isole nasce il
pepe bianco come neve, e del nero in grande abondanza. Troppo è di
grande valuta ill'oro, e l'altre care cose che vi sono, ma sono sí di lungi
ch'a pena vi si può andare. E le navi di Quinsai e del Zaiton, quando vi
vanno, ne recano grande guadagno, e penanvi ad andare un anno, ché vanno il verno
e tornano la state. Quini non à se non due venti, l'uno che mena in
là e l'altro in qua; e questi due venti l'uno è di verno e
l'altro è di state. Ed è questa contrada molto di lungi d'India,
e questo mare è bene del mare Ozeano, ma chiamasi de Cin, sí come si
dice lo mare d'Inghilterra o quel de Rocella; e 'l mare d'India ancora è
del mare Ozeano.
Di queste isole non vi conteròe piú,
però che non vi sono stato, e 'l Grande Kane non v'à che fare. Or
torneremo al Zaiton, e quine riconinceremo nostro libro.
158
Della provincia di Ciamba.
Sapiate che, quando l'uomo si parte dal porto di
Zaiton e navica ver' ponente e alcuna (cosa) ver' garbino
E questo fece conquistare il Grande Kane negli anni
Domini 1278; or vi dirò de l'afare del re e del regno. Sapiate che 'n
quel regno non si può maritare neuna bella donzella che no convegna
(prima) che 'l re la pruovi, e se li piace, sí la tiene, se no, sí la marita a
qualche barone. E sí vi dico che negli anni Domini 1285, secondo ch'io Marco
Polo vidi, quel re avea 326 figliuoli, tra maschi e femine, ché ben n'a(vea)
150 da arme.
In quel regno à molti elefanti, e legno aloe
assai; e ànno molto del legno (ebano) onde si fanno li calamari.
Qui non à altro da ricordare; or ci partimo
e 'ndamo ad un'isola ch'à nome Iava.
159
Dell'isola di Iava.
Quando l'uomo si parte di Cianba e va tra mezzodie
e siloc ben
Or andiamo piú 'nanzi.
160
Dell'isole di Sodur e di Codur.
Quando l'uomo si parte de l'isola d'Iava e va tra
mezzodie e garbino
E di qui si parte l'uomo e va per siloc da
Altro non v'à ch'i' sappia, perch'è
sí mal luogo che poca gente vi va; e 'l re medesimo n'è lieto, perché
non vuole ch'altre sappia lo tesoro ch'egli àe.
Or andremo piú oltra, e conterenvi altre cose.
161
Dell'isola di Petam.
Or sapiate che quando l'uomo si parte di Locac e va
Or paseremo queste due isole intorno
Non v'à altro da ricordare; però ci
partiremo, e conteròvi de la piccola Iava.
162
Della piccola isola di Iava.
Quando l'uomo si parte de l'isola di Pentain e
l'uomo va per siloc da
Sapiate che su quest'isola à 8 re coronati.
E' sono tutti idoli; e ciascun di questi reami à lingua per sé. Qui
à grande abondanza di tesoro e di tutte care spezie. Or vi
conterò la maniera di tutti questi reami, ciascun per sé, e
diròvi una cosa che parrà meraviglia a ogn'uomo: che quest'isola
è tanto verso mezzodie che la tramontana non si vede, né poco né assai.
Or torneremo a la maniera degli uomini, e diròvi del reame di Ferlet.
Sapiate che, perché mercatanti saracini usano in
questo reame co lor navi, ànno convertita questa gente a la legge di
Maomet. E questi sono soli quelli de la città; quelli de le montagne
sono come bestie, ch'elli mangiano carne d'uomo e d'ogn'altra bestia e buona e
rea. Elli adorano molte cose, ché la prima cosa ch'elli veggono la mattina, sí
l'adorano. Contato di Fe(r)let, conteròvi del reame de Basma.
Lo reame de Basman, ch'è a l'uscita del
Ferlet, è reame per sé e (ànno) loro linguaggio; ma elli no
ànno neuna legge, se non come bestie. Elli si richiamano per lo Grande
Kane, ma no li fanno neun trebuto, perché son sí a la lunga che la gente del
Grande Kane non vi potrebbe andare, ma 'lcuna volta lo presentano d'alcuna strana
cosa. Elli ànno leofanti assai salvatichi e unicorni, che no son guari
minori d'elefanti; e' son di pelo bufali, i piedi come di lefanti; nel mezzo de
la fronte ànno un corno grosso e nero. E dicovi che no fanno male co
quel corno, ma co la lingua, che l'ànno spinosa tutta quanta di spine
molto grandi; lo capo ànno come di cinghiaro, la testa porta tuttavia
inchinata ve(r)so la terra: sta molto volentieri tra li buoi. Ell'è
molto laida bestia, né non è, come si dice di qua, ch'ella si lasci
prendere a la pulcella, ma è 'l contradio. Egli ànno scimie assai
e di diverse fatte; egli ànno falconi neri buoni da ucellare.
E vo'vi fare asapere che quelli che recano li
piccoli uomini d'India, si è menzogna, ché quelli che dicono che sono
uomini, e' li fanno in questa isola, e diròvi come. In quest'isola
àe scimmie molto piccole, e ànno viso molto simile a uomo; gli
uomini pelano quelle scimmie, salvo la barba e 'l pettignone, poi l[e] lasciano
secare e pongolle in forma e concialle con zaferano e con altre cose, che pare
che sieno uomini. E questo è una grande buffa, ché mai no fue veduti
cosí piccoli uomini.
Or lasciamo questo reame, ché non ci à altro
da ricordare; e diròvi de l'altro ch'à nome Samarra.
163
Del reame di Samarra.
Or sapiate che, quando l'uomo si parte di Basma,
elli truova lo reame di Samarra, ch'è in questa isola medesima. Ed io
Marco Polo vi dimórai 5 mesi per lo mal tempo che mi vi tenea, e ancora la
tramontana no si vedea, né le stelle del maestro. E' sono idoli salvatichi; e
ànno re ricco e grande; anche s'apellano per lo Grande Kane. Noi vi
stemmo 5 mesi; noi uscimmo di nave e facemmo in terra castella di legname, e in
quelle castelle stavavamo per paura di quella mala gente e de le bestie che
mangiano gli uomini. Egli ànno il migliore pesce del mondo, e non
ànno grano ma riso; e non ànno vino, se non com'io vi
dirò. Egli ànno àlbori che tagliano li rami, gocciolano, e
quell'acqua che ne cade è vino; ed empiesine tra dí e notte un grande
coppo che sta apiccato al troncone, ed è molto buono. L'àlbore
è fatto come piccoli datteri, e ànno quattro rami; e quando lo
troncone non gitta piúe di questo vino, elli gittano de l'acqua al piede di
questo àlbore e, stando un poco, el troncone gitta; ed àvine del
bianco e del vermiglio. Di noci d'India à grande abondanza; elli
mangiano tutti carne e buone e reie.
Or lasceremo qui, e conteròvi de Dragroian.
164
Del reame di Dragouain.
Dragroian è un reame per sé, e ànno
lor linguaggio. E' son di quest'isola; la gente è molto salvatica e sono
idoli.
Ma io vi conterò un male costume ch'egli
ànno, che quando alcuno à male, elli mandano per loro indevini e
incantatori che 'l fanno per arti di diavoli, e domandano se 'l malato dé
guerire o morire. E se 'l malato dé morire, egli mandano per certi ordinati a
ciò, e dicono: «Questo malato è giudicato a morte, fa' quello che
de' fare». Questi li mette alcuna cosa su la bocca ed afogalo; poscia lo
cuocono; quand'egli è cotto, vegnono tutti i parenti del morto e
màngiallo. Ancora vi dico ch'elli mangiano tutte le mirolla dell'osso; e
questo fanno perché dicono che no vogliono che ne rimanga niuna sustanza,
perché se ne rimanesse alcuna sustanza, farebbe vèrmini, e questi vermi
morebbono per difalta di mangiare; e de la morte di questi vermi l'anima del morto
n'avrebbe grande peccato, e perciò mangiano tutto. Poscia piglian l'ossa
e pongolle in una archetta, e apíccalle in caverne sotterra ne le montagne, in
luogo ch'altre no le possa tocare, né uomo né bestia. E se possono pigliare
alcuno uomo d' altra contrada che non si possa rimedire, sí 'l mangiano.
Or lasciamo di questo reame, e conteròvi de
La(n)bri.
165
Del reame di Lambri.
Lanbri è reame per sé e richiamasi per lo
Grande Kane. E' sono idoli. Elli ànno molto berci e canfora e altre care
spezie — del seme del berci regai io a Venigia, e non vi nacque per lo freddo
luogo.
In questo reame sono uomini ch'ànno coda
grande piú d'un palmo, e sono la maggior parte, e dimorano ne le montagne di
lungi da la città; le code son grosse come di cane. Egli ànno
unicorni assai, cacciagioni e ucellagioni assai.
Contato di Lanbri, conteròvi de Fansur.
166
Del reame di Fansur.
Fansur è reame per sé. E' sono idoli e si
richiamano per lo Grande Kane; e sono di questa isola medesima. E qui nasce la
miglior canfora del mondo, che vi si vende a peso con oro. No ànno
grano, ma manucano riso; vino ànno degli àlbori ch'abiamo detto
di sopra. Qui à una grande maraviglia, che ci àn farina
d'àlbori, che sono àlbori grossi e ànno la buccia sottile,
e sono tutti pieni dentro di farina; e di quella farin[a] si fa molti mangiar
di pasta e buoni, ed io piú volte ne mangiai.
Or abiamo contato di questi reami; degli altri di
quest'isola non contiamo, però che noi non vi fummo, e però vi
conterò d'un'altra isola molto piccola, che si chiama Nenispela.
167
Dell'isola di Neguveran.
Quando l'uomo si parte di Iava e del reame di
La(n)bri e va per tramontana
Altro non v'à da ricordare; però ci
partiremo, e diròvi de l'altra isola ch'à nome A(n)gaman.
168
Dell'isola d'Angaman.
Angaman è un'isola, e no ànno re. E'
sono idoli, e sono come bestie salvatiche. E tutti quelli di quest'isola
ànno lo capo come di cane e denti e naso come di grandi mastini. Egli
ànno molte spezie. E' sono mala gente e mangiano tutti gli uomini che
posson pigliare, fuori quelli di quella contrada. Lor vivande son latte, riso e
carne d'ogne fatta; e ànno frutti diversi da' nostri.
Or ci partiremo di qui, e dirén d'un'altr'isola
chiamata Seillan.
169
Dell'isola di Seilla.
Quando l'uomo si parte de l'isola de Angaman e va
Quest'isola sí à re che si chiama Sedemain.
E' sono idoli e no fanno trebuto a neuno. E' vanno tutti ignudi, salvo lor
natura. No ànno biade, ma riso, e ànno sosimain, onde fanno
l'olio, e vivono di riso, di latt'e di carne; vino fanno degli àlbori
ch'ò detto (di sopra). Or lasciamo andare questo, e conteròvi de
le piú preziose cose del mondo.
Sapiate che ('n) quest'isola nasce li nobili e li
buoni rubini, e non nasciono in niuno lugo del mondo piúe; e qui nasce zafini e
topazi e amatisti, e alcune altre buone pietre preziose. E sí vi dico che 'l re
di questa isola àe il piú bello rubino del mondo, né che mai fue veduto;
e diròvi com'è fatto. Egli è lungo presso a un palmo ed
è grosso ben tanto come un braccio d'uomo; egli è la piú
sprendiente cosa del mondo; egli non à neuna tecca, egli è
vermiglio come fuoco; egli è di sí grande valuta che non si potrebbe
comperare. E 'l Grande Kane mandò per questo rubino, e volea dare presso
lo valer d'una città, ed elli disse che nol darebbe per cosa del mondo,
però che fue de li suoi antichi. La gente è vile e cattiva, e se
li bisogna gente d'arme, ànno gente d'altra contrada, spezialemente
saracini.
Qui non à 'ltro da ricordare; però ci
partiremo e conteremo di Maabar.
170
Della provincia di Maabar.
Quando l'uomo si parte de l'isola di Silla e va
ver' ponente da
Sapiate ch'egli àe in questo mare un golfo
ch'è tra l'isole e la terra ferma, e non v'à d'acqua piú di 10
passi o 12, e in tal luogo non piú di due; e in questo golfo si pigliano le
perle, e diròvi come. Gli uomini pigliano le navi grandi e piccole e
vanno in questo golfo, del mese d'aprile insino in mezzo maggio, in un luogo
che si chiama Baccalar. E' vanno nel mare
E sapiate che le perle che si truovano in questo
mare si spandono per tutto il mondo, e questo re n'à grande tesoro. Or
v'ò detto come si truovano le perle; e da mezzo maggio inanzi no vi si
ne truova piúe. Ben è vero che, di lungi di qui
E sí vi dico che tutta questa provincia di Maabar
non li fa bisogno sarto, però che vanno tutti ignudi d'ogne tempo,
però ch'egli ànno d'ogne tempo temperato, cioè né freddo
né caldo; però vanno ignudi, salvo che cuoprono lor natura con un poco
di panno. E cosí vae il re come gli altri, salvo che porta altre cose, com'io
vi dirò.
E' porta a la natura piú bel panno che gli altri, e
a collo un collaretto tutto pieno di pietre preziose, sí che quella gorgiera
vale bene 2 grandissimi tesori. Ancor li pende da collo una corda di seta
sottile che li va giú dinanzi un passo, e in questa corda àe da 104 tra
perle grosse e rubini, lo quale cordone è di grande valuta. E
diròvi perch'elli porta questo cordone, perché conviene ch'egli dica
ogne die 104 orazioni a' suoi idoli; e cosí vuole lor legge, e cosí fecero gli
altri re antichi, e cosí fanno questi. Ancora porta a le braccia bracciali
tutti pieni di queste pietre carissime e di perle, e ancora tra le gambe in tre
luoghi porta di questi bracciali cosí forniti. Anche vi dico che questo re
porta tante pietre adosso che vagliono una buona città: e questo non
è maraviglia, se n'à cotante com'io v'ò contato.
E sí vi dico che neuno può trare neuna
pietra né perla fuori di suo reame, che pesi da un mezzo saggio in su; e 'l re
ancora fa bandire per tutto suo reame che chi à grosse pietre e buone o
perle grosse, che le porti a lui, ed elli ne farà dare due cotanti che
no li costano. E quest'è usanza del regno, di donare lo doppio; e'
mercatanti e ogn'uomo, quando n'ànno, volentieri le portano al segnore,
perché sono ben pagati.
Or sappiate che questo re à bene 500 femine,
cioè moglie, ché, come vede una bella femina o donzella, incontanente la
vòle per sé, e sí ne fa quello ch'io vi dirò. Incontanente che
elli vide una bella moglie al fratello, sí lile tolse e tennela per sua, e 'l
fratello, perch'era savio, lo soferse e no volle briga co lui.
Ancora sappiate che questo re àe molti
figliuoli che sono grandi baroni, che li vanno atorno sempre quando cavalca. E
quando lo re è morto, lo corpo suo s'arde, e tutti questi suoi figliuoli
s'ardono, salvo il maggiore che dé retare; e questo fanno per servirlo ne
l'altro mondo.
Ancora v'è una cotale usanza, che del tesoro
che lascia il re al figliuolo, mai non ne tocca, ché dice ch[e] no vòle
mancare quello che li lasciò il suo padre, anzi il vòle
acrescere; e catuno sí l'acresce, e l'uno il lascia a l'attro, e perciò
è questo re cosí ricco.
Ancora vi dico che in questo reame no vi nasce
cavalli, e perciò tutta la rendita loro o la maggiore parte, ogn'anno si
cunsuma in cavalli. E diròvi come: i mercatanti di Quisai e de Dufar e
d'Eser e de Adan — queste province ànno molti cavalli — e questi
mercatanti empiono le navi di questi cavalli, e pòrtali a questi 5 re
che sono fratelli, e vendeno l'uno bene 500 saggi d'oro, che vagliono bene piú
di 100 marchi d'ariento. E questo re n'accatta bene ogn'anno 2.000 o piú, e li
fratelli altretanti: di capo de l'anno tutti sono morti, perché non v'à
marescalco veruno, perch'elli no li sanno governare. E questi mercatanti no vi
ne menano veruno, perciò che vogliono che tutti questi cavalli muoiano,
per guadagnare.
Ancora v'à cotale usanza: quando alcuno omo
à fatto malificio veruno che debbia perdere persona, e quello cotale
uomo dice che si vòle uccidere elli istesso per amor e per onore di
cotale idolo, e 'l re li dice che bene li piace. Alotta li parenti e li amici
di questo cotale malefattore lo pígliaro e pongolo in su una caretta, e dannoli
bene 12 coltella e portal[o] per tutta la terra, e vanno dicendo: «.Questo
cotale prod'uomo si va ad uccidere elli medesimo per amore di cotale idolo». E
quando sono al luogo ove si dé fare la giustizia, colui che dé morire piglia
uno coltello e grida ad alta boce: «Io muoio per amore di cotale idolo».
Com'à detto questo, elli si fiede del coltello per mezzo il braccio, e
piglia un altro e dassi ne l'altro (braccio), e poscia de l'altro per lo corpo;
e tanto si dà ch'elli s'ucide. Quand'è morto, li parenti l'ardono
con grande alegrezza.
Ancora v'à un altro costume, che quando
neiuno uomo morto s'arde, la moglie si gitta nel fuoco e arde co lui; e queste
femine che fanno questo sono molto lodate da le genti, e molte donne il fanno.
Questa gente adorano l'idole, e la magiore parte il
bue, ché dicono ch'è buona cosa; e veruno v'à che mangiasse di
carne di bue, né nullo l'ucciderebbe per nulla. Ma e' v'à una
generazione d'uomini, ch'ànno nome gavi, che mangiano i buoi, ma non li
usarebbero uccidere; ma se alcuno ne muore di sua morte, sí 'l mangiano bene. E
sí vi dico ch'elli ungono tutta la casa del grasso del bue.
Ancora ci à un altro costume, che li re e
baronia e tutta altra gente non siede mai se no in terra; e dicono che questo
fanno perché sono di terra e a la terra debbono tornare, sí che non la possono
troppo inorare.
E questi gavi che mangiano la carne del buoi, sono
quelli i cui antichi ucisero santo Tommaso apostolo anticamente; e veruno di
questa generazione no potrebbe intrare colà ov'è il corpo di
santo Tomaso. Ancora vi dico che 20 uomini no vi ne potrebbero mettere uno, di
questa cotale generazione de' gavi, per la virtú del santo corpo. Qui non
à da mangiare altro che riso. Ancora vi dico che se un grande destriere
amontass[e] una cavalla, non ne nascerebbe se no uno piccolo ronzino co le
gambe torte, che no vale nulla e non si può cavalcare. E questi uomini
vanno in bataglie co scudi e co lance, e vanno ignudi, e non sono prod'uomini,
anzi sono vili e cattivi. Eglino non uciderebbero alcuna bestia, ma quando
vogliono mangiare alcuna carne, sí la fanno ucidere a' saracini ed ad altra
gente che no siano di loro legge. Ancora ànno un'altra usanza, che
maschi e femine ogne dí si lavano due volte tutto il corpo, la mattina e la
sera; né mai no mangerebbero se questo non avessero fatto, né no berebbero; e
chi questo no facesse, è tenuto come sono tra noi i paterini.
Ed in questa provincia sí si fa molto grande
giustizia di quelli che fanno mecidio o che imbolino, e d'ogne maleficio. E chi
è bevitore di vino non è ricevuto a testimonianza per
l'ebrietà; ed ancora chi va per mare dicono ch'è disperato. E
sapiate ch'elli no tengono a pecato nulla lussuria.
E v'à sí grande caldo ch'è
maraviglia. E' vanno ignudi; e no vi piuove se no tre mesi dell'anno, giugno e
luglio e agosto; e se no fosse questa acqua che renfresca l'aire, e' vi sarebbe
tanto caldo che veruno vi potrebbe campare.
Quivi àe molti savi uomini di fi[sonomia],
cioè di conoscere li costumi de li uomini a la vista. Elli guatano ad
agure piú che uomini del mondo e piú ne sanno, ché molte volte tornano adietro
di loro viaggio per uno istarnuto [o] per la vista d'uno uccello. A tutti loro
fanciulli, quando nascono, sí scrivono lo punto e la pianeta che regna allotta,
perciò che v'à molti astrolagi e indivini.
E sappiate che per tutta l'India li uccelli loro
sono divisati da' nostri, salvo la quaglia; li pipistrelli vi sono grandi come
astori, e tutti neri come carbone. Elli danno a li cavalli carne cotta co riso
e molte altre cose c[otte].
Qui àe molti monasteri d' idole, ed
àvi molte donzelle e fanciulli oferti da li ro padri e madri per alcuna
cagione. E 'l segnore del monistero, quando vòle fare alcuno solazzo a
li idoli, sí richieggiono questi oferti; ed elli sono tenuti d'andarvi e quivi
ballano e trescano e fanno grande festa. Queste sono molte donzelle; e piú
volte queste donzelle portano da mangiare a questi idoli, ove sono oferte; e
pongono la tavola dina(n)zi a l'idolo e pongovi suso vivande, e lasciavile
istare suso una grande pezza, e tuttavia le donzelle cantando e ballando per la
casa. Quando ànno fatto questo, dicono che lo spirito de l'idolo
à mangiato tutto il sottile de la vivanda, e ripongolo e
vànnosine. E questo fanno le pulcelle tanto che si maritano.
Or ci partimo di questo regno, e diròvi d'un
altro ch'à nome Multifili.
171
Del regno di Multifili.
Multifili è un reame che l'uomo truova
quando si parte da Maabar e va per tramontana bene
In questo reame si truovano i diamanti, e
diròvi come. Questo reame àe grandi montagne, e quando piove,
l'acqua viene ruvinando giú per queste montagne, e li uomini vanno cercando per
la via dove l'acqua è ita, e truovane assai. La state, che no vi piuove,
sí si ne truovano su per queste montagne; ma e' v'à sí grande caldo ch'a
pena vi si può soferire. E su per quelle montagne à tanti
serpenti e sí grandi, che li uomini vi vanno a grande dotta(n)za — e' sono
molto velenosi — e non sono arditi d'andare presso a le caverne di quelli
serpenti. Ancora li òmini ànno li diamanti per un altro modo:
ch'elli v'ànno sí grandi fossati e sí perfondi che veruno vi puote
andare; ed elli sí vi gíttaro entro cotali pezzi di carne, e gittala in questi
fossati. La carne cade in su questi diamanti; e' ficcansi ne la carne. E su
queste montagne istanno aguglie bianche, che stanno per questi serpenti; quando
l'aguglie sentono questa carne in questi fossati, si vanno colà giú e
recala in su la ripa di questo fossato. E questi vanno a l'aguglie, e l'aguglie
fuggono, e li uomini truovano in questa carne questi diamanti. Ed ancora ne
truovano: ché l'aguglie sí ne beccano di questi diamanti co la carne, e li
uomini vanno la matina al nido de l'aguglie e truovane co l'uscita loro di
questi diamanti.
Cosí si truovano i diamanti in questi tre modi, né
in luogo del mondo non si ne truova se non in questo reame. E no crediate che i
buoni diamanti si rechino qua tra li cristiani, ma portansi al Grande Kane ed
agli altri re e baroni di quelle contrade ch'ànno lo grande tesoro.
E sappiate che in questa contrada si fa il migliore
bucherame e 'l piú sottile del mondo e 'l piú caro. Egli ànno bestie
assai, ed ànno i magiori montoni del mondo; ed ànno grande
abondanza d'ogni cosa da vivere.
Or udirete del corpo di messer santo Tomaso
apostolo e dov'egli è.
172
Di santo Tomaso l'apostolo.
Lo corpo di santo Tomaso apostolo è nella
provincia di Mabar in una picciola terra che non v'à molti uomini, né
mercatanti non vi vengono, perché non v'à mercatantia e perché 'l luogo
è molto divisato. Ma vèngovi molti cristiani e molti saracini in
pellegrinaggio, ché li saracini di quelle contrade ànno grande fede in
lui, e dicono ch'elli fue saracino, e dicono ch'è grande profeta, e
chiàmallo varria, cio(è) «santo uomo».
Or sapiate che v'à costale maraviglia, che
li cristiani che vi vegnono in pellegrinaggio tolgono della terra del luogo ove
fue morto san Tomaso e dannone un poco a bere a quelli ch'ànno la febra
quartana o terzana: incontanente sono guariti. E quella terra si è
rossa.
Ancora vi dirò una maraviglia che venne ne
li anni Domini 1288. Uno barone era in quella terra, ch'avea fatto empiere
tutte le case della chiesa di riso, sicché veruno pellegrino vi potea
albergare. I cristiani che guardavano la chiesa, sí n'avevano grande ira; e non
giovava di pregare, tanto che questo barone le facesse isgombrare. Sicché una
notte aparve a questo barone santo Tomaso con una forca in mano, e misegliele
in bocca e disseli: «Se tosto non fai isgombrare la mia casa, io ti farò
morire di mala morte». E con questa forca si gli strinse sí la gola,
ch'à colui fue grande pena; e 'l santo corpo si partío. La mattina
vegnente il barone fece insgombrare (le case de) la chiesa e disse ciò
che gli era intervenuto, e' cristiani n'ebbero grande allegrezza, e grande
reverenza ne rendero a santo Tomaso.
E sapiate ch'egli guarisce tutti i cristiani che
sono lebrosi.
Or vi conterò come fu morto, secondo ch'io
intesi. Messer santo Tomaso si stava in uno romitoro in uno bosco e dicea sue
orazioni, e d'intorno a lui si avea molti paoni, ché in quella contrada
n'à piú che in lugo del mondo. E quando san Tomaso orava, e uno
idolatore della schiatta dei gavi andava ucellaldo a' paoni, e saettando a uno
paone, sí diede a santo Tomaso per le costi, ché nol vedea; ed issendo cosí
fedito, sí orò dolcemente e cosí orando morío. E inanzi che venisse in
questo romitoro, molta gente convertío alla fede per l'India.
Or lasciamo di san Tomaso e diròvi delle
cose del paese. Sapiate che fanciugli e fanciulle nascono neri, ma non cosí
neri com'eglino sono poscia, ché continuamente ogni settimana s'ungono con olio
di sosima, acciò che diventino bene neri, ché in quella contrada quello
ch'è più nero è più pregiato.
Ancora vi dico che questa gente fanno dipigne(r)
tutti i loro idoli neri, e i dimoni bianchi come neve, ché dicono che il loro
idio e i loro santi sono neri.
E sí vi dico che tanta è la speranza e la
fede ch'egli ànno nel bue, che quando vanno in oste, il cavaliere porta
del pelo del bue al freno del cavallo, e 'l pedone ne porta a lo scudo; e tali
se ne fanno legare a' capegli. E questo fanno per campare d'ogni pericolo che
puòne incontrare nell'oste. Per questa cagione il pelo de(l) bue
v'è molto caro, ché veruno si tiene sicuro se non n'à adosso.
Partiamoci quinci ed andamone in una provincia che
si chiamano i bregomanni.
173
Della provincia di Lar.
Lar è una provincia verso ponente, quando
l'uomo si parte dal luogo ov'è il corpo di san Tomaso. E di questa
provincia sono nati tutti li bregomanni e di là vennero primamente. E sí
vi dico che questi bregomanni sono i migliori mercatanti e' piú leali del
mondo, ché giamai non direbbero bugia per veruna cosa (del mondo), né non
mangiano carne né non beono vino. E' stanno in molta grande onestade, e non
tocherebboro altra femina che loro moglie, né none ucciderebboro veruno
animale, né non farebboro cosa onde credessoro avere peccato.
Tutti li bregomanni sono conosciuti per uno filo di
bambagia ch'egli portano sotto la spalla manca, e sí 'l si legano sopra la
spalla ritta, sicché li viene il filo atraverso il petto e le spalle. E sí vi
dico ch'egli ànno re ricco e potente, e compera volontieri perle e
priete preziose, e conviene ch'abbia tutte le perle che recano li mercatanti
delli bregomanni da Mabar, ch'è la migliore provincia ch'abbia l'India.
Questi sono idolatri e vivono ad agura d'uccelli e
di bestie piú ch'altra gente. Ed àvi uno cotale costume: quando alcuno
mercatante fa alcuna mercatantia, elli si pone mente a l'ombra sua; e se
l'ombra è tamanta come dee essere, sí compie la mercatantia, e s'ella
non fosse tale come dé essere in quello die, non la compie per cosa del mondo;
e questo fanno se(m)pre. Ancora fanno un'alt(r)a cosa: che quando elli sono in
alcuna bottega per comperare alcuna mercatantia, e se vi viene alcuna tarantola
— che ve n'à molte —, sí guata da quale parte ella viene; e puote venire
da tale parte ch'e' compie il mercato, e da tale che che per cosa del mondo nol
compierebbe. Ancora, quando escono di casa, ed egli oda alcuno starnuto che no
gli piaccia, imantenente ritorna in casa e none anderebbe piú inanzi.
Questi bregomanni vivono piú che gente che sia al
mondo, perché mangiano poco e fanno magiore astine(n)za; li denti ànno
bonissimi per una erba ch'egli usano a mangiare. E v'à uomini regolati
che vivono piú ch'altra gente, e vivono bene 150 anni o 'nfino 200 anni, e
tutti sono prosperosi a servire loro idoli; e tutto questo è per la
grande astinenza ch'e' fanno. E questi regalati si chiamano congi(u)gati. E'
mangiano sempre buone vivande, cioè, lo piú, riso e latte; e questi
congiugati pigliano ogne mese uno cotale beveraggio: che tòlgoro
arien(t)o vivo e solfo, e míschiallo insieme coll'acqua e béollo; e dicono che
questo tiene sano e 'lunga gioventudine, e tutti quelli che l'usano vivono piú
delli altri.
Elli sono idoli, ed ànno tanta isperanza nel
bue, che l'adorano; e li piú di loro pòrtaro uno bue di cuoio [o]
d'ottone inorato nella fronte. E' vanno tutti ignudi sanza coprire loro natura
alcuno di questi regolati; e questo fanno per grande penitenzia. Ancora vi dico
ch'elli ardono l'ossa del bue e fannone polvere, e di quella polvere s'ungono
in molte parti del loro corpo con grande reverenzia, altressí come fanno i
cristiani dell'acqua santa. E' non mangiano né in taglieri né in iscodelle, ma
in su foglie di certi àlbori, larghe, secche e non verdi, ché dicono che
le verdi ànno anima, sicché sarebbe peccato. Ed elli si guardano di non
fare cosa ond'ellino credesser avere peccato, enanzi si lascerebboro morire. E
quando sono domandati: «Perché andate voi ignudi?», e quelli dicono, perché in
questo mondo non ne r[e]caro nulla e nulla vogliono di questo mondo: «Noi non
abiamo nulla vergogna di mostare nostre nature, perciò che noi non
facciàno con esse veruno peccato, e per(ciò) noi non abiamo
vergogna piú d'un vembro che d'altro. Ma voi, che li po(r)tate coperti, e
perciò che voi li aoperate in peccati, e perciò avete voi
vergogna». Ed ancora vi dico che questi none ucciderebbero niuno animale di
mondo, né pulci né pidocchi né mosca né veruno altro, perché dicono ch'elli
ànno anima, onde sarebbe peccato. Ancora no mangiano niuna cosa verde,
né erba né frutti infino tanto che non sono secchi, perché dicono anche
ch'ànno anima. Elli dormono ignudi in sulla terra né non tengono nulla
né sotto né adosso; e tutto l'anno digiunano e no mangiano altro che pane ed
acqua.
Ancora vi dico ch'elli ànno loro aregolati,
che guardano l'idoli. Ora li vogliono provare s'egli sono bene onesti, e
mandano per le pulcelle che sono oferte all'idoli, e fannoli toccare a loro in
piú parte del corpo ed istare con loro in sollazzi; e se 'l loro vembro si
rizza o si muta, sí 'l mandano via e dicono che non è onesto, e non vogliono
tenere uomo lusorioso; e se 'l vembro non si muta, sí 'l tengono a servire
l'idoli nel munistero.
Questi ardono li corpi morti, perché dicono che se
e' non s'ardessero, e' se ne farebbe vèrmini, e quelli vèrmini si
morrebbero quando non avessero piú che mangiare, sicch'egli sarebbero cagioni
della morte di quelli vermi; [perciò] che dicono che li vermi
ànno anima, onde l'anima di quello cotale corpo n'averebbe pena
nell'altro mondo. E perciò ardono i corpi, perch'e' no meni vèrmini.
Avemovi contato de' costumi di questi idolatri;
diròvi una novella ch'avavamo dimenticato de l'isola di Seila.
174
Dell'isola di Seila.
Seila è una grande isola: è grande
com'io v'ò contato in adrieto. Or è vero che in questa isola
àe una grande montagna, ed è sí diruvinata che persona non vi
puote suso andare se no per uno modo: che a questa montagna pendono catene di
ferro sí ordinate che li uomini vi possono montare suso. E dicono che in quella
montagna si è il monumento d'Adam nostro padre; e questo dicono li saracini,
ma l'idolatori dicono che v'è il munimento di Sergamon Borgani. E questo
Sergamon fue il primo uomo a cui nome fue fatto idole, ché, secondo loro
usansa, questi fue il migliore uomo che fosse mai tra loro, e 'l primo
ch'eglino avessero per santo. Questo Sergamon fue figliuolo d'uno grande re
ricco e possente, e fue sí buono che mai non volle atendere a veruna cosa
mondana. Quando il re vide che 'l figliuolo tenea questa via e che non volea
succedere al reame, ébbene grande ira, e mandò per lui, e promiseli
molte cose, e disseli che lo volea fare re e sé volea disporre; né 'l figliuolo
non ne volle intendere nulla. Quando il re vide questo, sí n'ebbe sí grande ira
ch'a pena che no morío, perché non avea piú figliuoli che costui, né a cui egli
lasciasse il reame.
Anco il padre si puose in cuore pure di fare
tornare questo suo figliuolo a cose mondane. Ora lo fece mettere in uno bello
palagio, e misevi co lui 300 pulcelle molto belle che lo servissero; e queste
donzelle il servivano a tavola ed in camera, sempre ballando e cantando in
grandi zolazzi, sí come il re avea loro comandato. Costui istava fermo, né per
questo non si mutava a veruna cosa di peccato, e molto face' buona vita secondo
loro usansa. Ora era tanto tempo istato in casa ch'egli non avea mai veduto
veruno morto né alcuno malato; il padre si vollé uno dí cavalcare per la terra
con questo suo figliuolo. E cavalcando loro, il figliuolo si ebbe veduto uno
uomo morto che si portava a sotterare ed avea molta gente dietro. E 'l giovane
disse al padre: «Che fatto è questo?». E 'l re disse: «Figliuolo,
è uno uomo morto». E quegli isbigotío tutto, e disse al padre: «Or
muoiono tutti li uomini?». E 'l padre disse: «Figliuolo, sí». E 'l giovane non
disse piú nulla, ma rimase molto pensoso. Andando uno poco piú ina(n)zi, e que'
trovarono uno vecchio che non potea andare, ed era sí vecchio ch'avea perduti i
denti.
E questo donzello si ritornò al palagio, e
disse che non volea piú istare in questo malvagio mondo, da che li convenía
morire o divenire sí vecchio che li bisognasse l'aiuto altrui; ma disse che
volea cercare Quello che mai no moría né invecchiava, e Colui che l'avea criato
e fatto, ed a lui servire. Ed incontanente si partío da questo palagio, e
andossine in su questa alta montagna, ch'è molto divisata dall'altre, e
quivi dimorò poscia tutta la vita sua molto onestamente; che per certo,
s'egli fosse istato cristiano battezzato, egli sarebbe istato un grande santo
appo Dio.
A poco tempo costui si morío, e fue recato dinanzi
al padre. Lo re, quando il vide, fue lo piú tristo uomo del mondo; e
imantanente sí fece fare una statua tutta d'oro a sua similitudine, ornata di
pietre preziose, e mandò per tutte le genti del paes' e del suo reame, e
fecelo adorare come fosse idio. E disse che questo suo figliuolo era morto 84
volte, e disse che quando moríe la prima volta diventò bue, e poscia
morío e diventò cane. E cosí dicono che morío 84 volt'e tuttavia
diventava qualche animale, o cavallo od uccello od altra bestia; ma in capo
dell'ottantaquattro volte dicono che morío e diventò idio. E costui
ànno l'idolatri per lo migliore idio che egli abbiano. E sappiate che
questi fue il primo idolo che (fosse) fatto, e da costui sono discesi tutti
l'idoli. E questo fue nell'isola di Seila in India.
E sí vi dico che gl'idolatori dalle piú lontane
parte vi vengono in pelligrinaggio, siccome vanno i cristiani a San Iacopo in
Galizia. Ma i saracini che vi vengo in peligrinaggio, dicono ch'è pure
il munimento d'Adamo; ma, secondo che dice la Santa Iscrittura, il munimento d'Adamo
si è in altra parte.
Ora fu detto al Grande Kane che in su questa
montagna era lo corpo d'Adamo, e li denti suoi e la scodella dov'elli mangiava.
Pensò d'avere li denti e la scodella: fece ambasciadori e
mandògli al re dell'isola di Seila a dimandare queste cose. E il re di
Seila le donò loro: la scodella era d'un proferito bianco e vermiglio.
Gli a(m)basciadori tornarono e recarono al Grande Kane la scodella e due denti
mascellari, i quali erano molti grandi. Quando il Grande Kane seppe che questi
ambasciadori erano presso a la terra ov'egli dimorava e che veníano con queste
cose, fece mettere bando che ogni uomo e tutti gli aregolati andassero incontro
a quelle reliquie, ché credea che veracemente fossero d'Adamo; e questo fue nel
1284. E fue ricevuta questa cosa in Ganbalu con grande reverenzia; e trov[o]ssi
iscritto che quella iscodella avea cotale vertú, che mettendovi entro vivanda
per uno uomo solo, n'aveano assai cinque uomini; e 'l Grande Kane il
provò, e trovò ch'era vero.
Ora udirete della città di Caver.
175
Della città di Caver.
Caver è una città nobile e grande; ed
è d'Asciar, del primo fratello de li 5 re. E s[a]piate che a questa
città fanno porto tutte le navi che vegnono verso ponente, cioè di
Curimasa e di Quisai e d'Arden e di tutta l'Arabia, cariche di mercatantia e di
cavalli; e fanno qui capo perch'è buono porto. E questo re è
molto ricco di tesoro, e suo tesoro si è molte ricche pietre preziose.
Suo regno tiene bene, e spezialment' e' mercatanti che vengono d'altra parte; e
perciò vi vanno piú volontieri.
E quando questi 5 fratelli re pigliano briga
insieme e vogliono combattere, la madre, ch'è ancora viva, sí si mette
in mezzo e pacíficagli; quando ella non puote, sí piglia uno coltello e dice
che s'ucciderà, e taglierassi le poppe del petto «dond'i' vi diedi lo
mio latte». Alora i figliuoli, per la pietà che fa la madre loro, e'
proveggono ch'è il meglio: sí fanno pace. E questo è divenuto per
piú volte; ma, morta la madre, non fallirà che non àbiaro briga
insieme.
Partimoci di qui, ed andamo nel reame di Coilun.
176
Del reame di Coilun.
Coilun si è uno grande reame verso garbino,
quando l'uomo si parte di Mabar e va 500 miglie. E tutti sono idolatri, e sí
v'à di cristiani e giudei; e ànno loro linguaggio.
Qui nasce i merobolani embraci e pepe in grande
abondanza, che tutte le campagne e i boschi ne sono pieni; e tagliansi di
maggio e di giugno e di luglio. E gli àl[bori] che fanno il pepe sono
dimestichi, e piantansi ed inàcquarsi. Qui à sí grande caldo ch'a
pena vi si puote soferire, che se toglieste uno uovo e metesselo in alcuno
fiume, non andresti quasi niente che sarebbe cotto. Molti mercatanti ci vengono
di Ma(n)gi e d'Arabia e di levante, e recano e portano mercatantia co loro navi.
Qui si à bestie divisate dall'altre, ch'egli
ànno lioni tutti neri e papagalli di piú fatte, che vi n'à di
bianchi, ed ànno i piedi e 'l becco rosso, e sono molto begli a vedere;
e sí v'à paoni e galline piú belli e piú grandi de' nostri. E tutte cose
ànno divisate dalle nostre, e non ànno niuno frutto che
s'assomigli a' nostri. Egli fanno vino di zucchero molto buono. Egli
ànno grande mercato d'ogni cosa, salvo che non ànno grano né
biada, ma ànno molto riso. E sí v'à molti savi astrolagi. Questa
gente sono tutti neri, maschi e femmine, e vanno tutti ignudi, se no se tanto
che si ricuopre loro natura con uno bianco panno. Costoro non ànno per
peccato veruna lussuria, e tolgono per moglie la gugina e la matrigna, quando
il loro padre si muore, e la moglie del fratello: cotale è il loro
costume, come avete inteso.
Partimoci quinci, ed andamo nelle parti d'India, in
una contrada che si chiama Comacci.
177
Della contrada di Comacci.
Comacci si è in India, da la quale contrada
si può vedere alcuna cosa della tramontana. Questo luogo non è
molto dimestico, ma sente del salvatico. Qui si à molte bestie
salvatiche di diverse fatte (e fiere).
Partimoci di qui, ed entramo nel reame d'Eli.
178
Del reame di Eli.
Eli si è uno reame verso ponente, ed
è di lungi da Comacci 300 miglie. Qui si à re e sono gente
idolatri; e' non fanno trebuto a veruna altra persona. Questo reame non
à porto, salvo ch'àe uno grande fiume, il quale àe buone
foci. Qui si nasce pepe e ge(n)giove e molti ispezierie. Lo re si è
ricco di tesoro, ma no di genti. L'entrata del reame è sí forte ch'a
pena vi si puote intrare per fare male.
E se alcuna nave capitasse a queste foci, s'ella
non venisse prima a la terra, sí la pigliano e tolgogli ogni cosa e dicono:
«Dio ti ci mand[ò] perché tu fossi nostra»; né non ne credono avere
peccato. E cosí aviene per tutte le province de l'India. E se alcuna nave vi
capita per fortuna, sí è presa e tolto ogne cosa, salvo a quelle che
capitano ad alcuna terra primamente.
E sappiate che le navi di Mangi vi vengoro la
state, e quelle d'altra parte, e si caricano (in) 3 o 4 dí o infino i(n) 8 dí,
e vannosene il piú tosto che possono, perciò che non à buono
porto, ed èvi molto pauroso l[o] sta[re] per le piagge che vi sono e per
lo sabione. Vero è che le navi di Ma(n)gi non temono tanto per le buone
ancore de legno, ch'a tutte le fortune tengono bene loro navi.
Egli ànno leoni ed altre bestie assai,
cacciagioni e uccellagioni assai.
Partimoci di qui, e diròvi di Melibar.
179
Del reame di Melibar.
Melibar è uno grandissimo reame, ed
ànno re e loro ling[u]aggio. No rendono trebuto a niuna persona, e sono
idolatri. Di questo paese si vede piú la tramontana. † E d'un alt(r)o paese che
v'è allato, ch'à nome Gofurat, ed esce bene ogni die ben 100 navi
di corsali, che vanno rubando tutto il mare; e menano co loro le mogli e i
fanciulli, e tutta la state vi stanno in corso e fanno grande danno a'
mercatanti. E' partonsi, e sono tanti che pigliano ben 100 miglie e piú del
mare, e fannosi insegne di fuoco, sicché veruna nave non può passare per
quello mare che non sia presa. Li mercatanti, che 'l sanno, vanno molti insieme
e bene armati, sí che non ànno paura di lor[o], e danno loro malaventura
piú volte, ma no per tanto che pure si ne pígliaro. Ma non fanno altrui male,
se non ch'elli rubano e tolgono altrui tutto l'avere, e dicono: «Andate a
procacciare dell'altro».
Qui si à pepe e gengiove e canella e
turbitti e noci d'Ind[ia] e molte ispezie, e bucherame del piú bello del mondo.
Li mercatanti recano qui rame, drappi di seta e d'oro e d'ariento, garofani e
spigo, perch'elli non n'ànno; qui si vengono i mercatanti di Mangi e
p[o]rt[a]nsi queste mercatantie per molti parti.
A dirvi di tutte le contrade del paese sarebbe
troppo lunga mena; diròvi del reame di Gufurat, e di loro maniera e
costumi.
180
Del reame di Gufurat.
Gufurat è uno grande reame, ed ànno
re e linguaggio per loro. E' sono gente idolatri, e non fanno trebuto a veruno
segnore di mondo. E sono li peggiori corsari che vadano per mare e' i piú
maliziosi, ché quando e' pigliaro alcuno mercatante, sí li danno a bere i
tamerindi co l'acqua salsa per farli andare a sella, e poscia sí cercano
l'uscita, se lo mercatante avesse mangiato perle od altre care cose, per
ritrovarle. Ora vedete se questa è bene grande malizia: ché dicono che
li mercatanti sí le trangugiano quando sono presi, perché no siano trovate da'
corsari.
In questo paese si à pepe e gengiove asai e
bambagia, ch'egli ànno àlbori che fanno la bambagia molto grandi,
che sono alti bene 6 passi ed ànno bene 20 anni. Ma quando sono cosí
vecchi, non fanno buona bambagia da filare, ma fassine altre cose; da 12 anni
infino in 20 si chiamano vecchi.
Qui si conciano molte cuoia di becco e di bue e
d'unicorni e d'altre bestie, e fassine grandi mercatantie e forniscosene molte
contrade.
Partimoci di qui, andamone in una contrada che si
chiama Tana.
181
Del reame della Tana.
Tana è anche uno grande reame, e sono
simiglianti a questi di sopra, ed ànno anche loro re. Qui non à
spezie, àcci incenso, ma non è bianco, anzi è bruno, e
fassine grande mercatantia. Qui si à bucherame e bambagia assai. Li
mercatanti recano qui oro e ariento, rame e di quelle cose di che vi bisogna, e
portane delle loro.
Ancora escono di qui molti corsari per mare, e
fanno grande danno a' mercatanti; e questo è per la volontà del
loro segnore. E fa il re questo patto con loro, che li corsari li danno tutti
li cavalli che pigliano, ché molti vi ne passano, perciò che in India si
ne fa grande mercatantia, sicché poche navi vanno per l'India che no menino
cavagli; e tutte l'altre cose sono de li corsali.
Or ci partiamo di qui, ed andiamo in una contra(da)
che si chiama Canbaet.
182
Del reame di Canbaet.
Canbaet si è ancora un altro grande reame,
ed è simile a questo di sopra, salvo che non ci à corsali né male
genti. Vivono di mercatantia e d'arti, e sono buona gente. Ed è verso il
ponente, e vedesi meglio la tramontana.
Altro non ci è che ci sia da ricordare.
Diròvi d'un [reame] ch'à nome Chesmancora.
183
Dello reame di Chesmancora.
C(h)esmancora è uno reame ch'ànno
loro re e divisato linguaggio; ed anche sono idolatri; ed è reame di
molte mercatantie. E' vivono di riso e di carne e di latte.
Questo reame è d'India. E sapiate che da
Mabar infino a qui è de la magiore India e de la migliore; e le terre e'
reami che noi v'abiamo contato sono pure quelle di lungo il mare, (ché) a
contare quelle della terra ferma sarebbe troppo lunga mena.
Vo'vi dire d'alquante isole che sono per l'India.
184
D'alquante isole che sono per l'India.
L' isola che si chiama Malle è nell'alto
mare bene
In questa isola nasce l'ambra molta fina e bella.
Questi vivono di riso e di carne e di latte. E' sono buoni pescatori, e seccano
molti pesci, sicché tutto l'anno n'ànno assai. Qui non à signore,
salvo ch'ànno uno vescovo ch'è sotto l'arcivescovo di Scara. E
perciò no stanno tutto l'anno colle loro donne, perché non avrebbero da
vivere. Li loro figliuoli istanno co le madri 14 anni, e poscia il maschio si
ne va co(l) padr'e la femina sta colla madre.
Qui non trovamo altro da ricordare; partimoci ed
a[n]damone a l'isola di Scara.
185
Dell'isola di Scara.
Quando l'uomo si parte da queste due isole, [sí va]
per mezzodí
Questo arcivescovo non à che fare col papa
di Roma, ma è sottoposto a l'arcivescovo che sta a Baldac. Questo
arcivescovo che sta a Baldac manda piú vescovi ed arcivescovi per molte
contrade, come fa il papa di qua; e tutti questi cherici e parlati ubidiscono
questo arcivescovo come papa. Qui vengono molti corsari a vendere loro prede, e
vendolle bene; costoro le comperano anche bene, perciò che sanno che
questi corsari no rúbaro se non saracini e idolatri, e non cristiani. E quando
questo arcivescovo di Scara muore, conviene che ci vegna di Baldac.
Que[sti] sono buoni incantatori, ma l'arcivescovo
molto li contrada, ché dice ch'è peccato, ma costoro dicono che li loro
antichi l'ànno fatto, e perciò lo vogliono eglino anche fare.
Diròvi di loro incantesimi. Se una nave andasse a vela, forte, eglino
farebbero venire vento in contradio, e farebberla tornare adrietro; e sí fanno
venire tempesta nel mare quand'e' vogliono, e fanno venire quale vento
vogliono; e sí fanno altre cose maravigliose che non è buono a
ricordare.
Altro non ci à ch'io voglia ricordare;
partimoci quinci ed andamo nell'isola di Madegascar.
186
Dell'isola di Madegascar.
Mandegascar si è una isola verso mezzodí, di
lungi da Scara intorno da
Qui si à grandissimi àlbori di
sandali rossi, ed ànnone grandi boschi. Qui si à ambra assai,
perciò che in quello mare àe assai balene e capodoglie; e perché
pigliano assai di queste balene e di queste capodoglie si ànno ambre
assai. Elli ànno leoni e tutte bestie da prendere in caccia, e uccelli
molti divisati da' nostri. Qui vengono molti navi, e recano e portano molta
mercatantia.
E sí vi dico che le navi non possono andare piú
verso mezzodie che infino a questa isola ed a Zanghibar, perciò che 'l
mare corre sí forte verso il mezzodí, ch'a pena si ne potrebbe tornare. E sí vi
dico che le navi che vengono da Mabar a questa isola, vengono in 20 dí, e quando
elle retornano a Mabar, penano a ritornare 3 mesi; e questo è per lo
mare che corre cosí forte verso il mezzodí.
Ancora sappiate che quelle isole che sono cotanto
verso il mezzodí, le navi non vi vanno voluntieri per l'acqua che corre cosí
forte. Dicomi certi mercatanti che vi sono iti, che v'à uccelli grifoni,
e questi uccelli apaiono certa parte dell'anno, ma non sono cosí fatti come si
dice di qua, cioè mezzo uccello e mezzo lione, ma sono fatti come
aguglie, e sono grandi com'io vi dirò. Egli pigliano l'alifante e
pòrtallo su in aire, e poscia il lasciano cadere, e quelli si disfa
tutto, poscia si pasce sopra lui. Ancora dicono quelli che l'ànno
veduti, che l'alie sue sono sí grandi che cuoprono 20 passi, e le penne sono
lunghe 12 passi, e sono grosse come si conviene a quella lunghezza. Quello
ch'io n'ò veduto di questi uccelli, io il vi dirò in altro luogo.
Lo Grande Kane vi mandò messaggi per sapere
di que]le cose di quell'isola, e preserne uno, sicché vi rimandò ancora
messaggi per fare lasciare quello. Questi messaggi recarono al Grande Kane uno
dente di porco salvatico che pesòe
Elli ànno sí divisate bestie e uccelli
ch'è una maraviglia. Quelli di quella isola sí chiamano quello uccello ruc,
ma per la grandezza sua noi crediamo che sia grifone.
Or ci partiamo di questa isola, ed andamo i(n)
Zaghimbar.
187
Dell'isola di Zachibar.
Zaghibar è una isola grande e bella, e gira
bene
Elli ànno molti leofánti e fanno grande
mercatantia di loro denti; elli ànno leoni assai d'altra fatta che li
altri, e sí v'à lonze e leopardi assai. Or vi dico ch'elli ànno
tutte bestie divisate da tutte quelle del mondo; ed ànno montoni e
berbíce d'una fatta [e] d'uno colore, che sono tutti bianchi e la testa
è nera; ed in tutta questa isola non si troverebbero d'altro colore. E
sí ànno giraffe molte belle, e sono fatte com'io vi dirò. Elle
ànno corta coda, e son alquante basse dirieto, ché le gambe di drieto sono
piccole, e le gambe dina(n)zi e ('l) collo si è molto alto e grande:
alt'è da terra bene 3 passi. E la testa è piccola, e non fanno
niuno male; ell'è di colore rosso e bianco a cerchi, ed è molta
bella a vedere. Lo leofante giace colla leofantessa siccome fa l'uomo [co] 'la
femina, cioè che stae rovescio, perché àe la natura nel corpo.
Qui si à le piú sozze femine del mondo, ch'elle ànno la bocca
grande e 'l naso grosso e [corto], le mani grosse 4 cotante che l'altre.
Vivono di riso e di carne e di latte e di datteri;
non ànno vino di vigne, ma fannolo di riso e di zucchero e di spezie.
Qui si fa molte mercatantie, e molti mercatanti vi recano e portan[e]. Ancora
ànno ambra assai, perché pigliano molte balene.
Li uomini di questa isola sono buoni combattitori e
forti, e non temono la morte. E' non ànno cavagli, ma combattono in su i
camelli e in su' leofanti; e fanno le castella in su' leofanti, e istannovi su
da 12 uomini a 20, e combattono co lance e con ispade e con pietre, e sono
molto crudele battaglie le loro. E quando vogliono menare i leofanti a
battaglie, sí danno loro a bere molto vino, e vannovi piú voluntieri, e sono
piú orgogliosi e piú fieri.
Qui sí no v'à altro da dire. Diròvi
ancora alcuna cosa de l'India, ché sappiate ch'io non v'ò detto de
l'India se non l'isole maggiori e le piú nobile e le migliori, ché a contarle
tutte non si potrebbe fare, ché troppo sarebbe grande mena. Ché, secondo che
dicon li savi marinari che vanno per l'India e secondo che si truova iscritto,
l'isole de l'India, tra l'abitate e le no abitate, sono 12.700. Ora lasciamo de
l'India maggiore, ch'è da Mabar infino a Chesmancora, che sono 13 reami
grandissimi, dei quali v'abiamo contati di 9. E sappiate che l'India minore si
è da Cianba infino a Montifi, che v'à 8 grandi reami. E sappiate
ch'io non v'ò ditto di quelli de l'isole, che sono ancora grandi
quantità di reami. Udirete de la mezzana India, la quale è
chiamata Anabascie.
188
Della mezzana India chiamata Nabasce.
Nabascie si è una grandissima provincia, e
questa si è la mezzana India. E sappiate che 'l maggiore re di questa
provincia si è cristiano, e tutti li altri re de la provincia si sono
sottoposti a lui i quali sono 6 re: 3 cristiani e 3 saracini. Li cristiani di
questa provincia si ànno tre segnali nel volto: l'uno si è da la
fronte infino a mezzo il naso, e uno da catuna gota. E questi segni si fanno
con ferro caldo: che, poscia che sono battezzati ne l'acqua, sí fanno questi
cotali segni; e fannolo per grande gentilezza, e dicono ch'è compimento
di batesimo. I saracini si ànno pure uno segnale, il quale si è
da la fronte infino a mezzo il naso. Il re maggiore si dimora nel mezzo de la
provincia; i saracini si dimorano verso Aden, ne la quale contrad[a] messer
santo Tommaso convertío molta gente; poscia si ne partío ed andonne a Mabar,
colà ove fue morto. E sappiate che in questa provincia d'Abascie si
à molti cavalieri e molta gente da arme; e di ciò fa bene
bisogno, imperciò ch'egli si ànno grande guerra col soldano
d'Aden e con quelli di Nubia e co molta altra gente.
Or io sí vi voglio contare una novella ch'avenne al
re d'Abascie quando egli volle andare in pellegrinaggio.
189
D'una novella del re d'Abasce.
Lo re d'Abascie si ebbe voglia d'andare in
pellegrinaggio al santo sepolcro di Cristo. Ora li convenía passare per la provincia
d'Aden, che sono suoi nemici, sí che fue consigliato che vi mandasse uno
vescovo in suo luogo, sí ch'egli si vi mandò uno santo vescovo e di
buona vita.
Ora venne quest[o] vescovo al Santo Sipolcro come
pellegrino, molto orevolemente co molta bella compagnia. Fatta la reverenza al
Santo Sipolcro che si convenía e fatta l'oferta, sí si misero a ritornare a
loro paese. E quando furo giu(n)ti a' Aden e 'l soldano l'ebbe saputo chi
questo vescovo era, e per dispetto del suo segnore sí l'ebbe fatto pigliare, e
disseli che volea ch'egli divenisse saracino. Questo vescovo, sí come santo
uomo, disse che no ne farebbe nulla. Alora il soldano sí comandò che per
forza si li fosse fatto uno segnale nel volto come si fanno a' saracini, e
fatto che fue, lasciollo andare.
Quando questo vescovo fue guarito sí ch'elli potéo
cavalcare, sí si mosse a venire e tornò al suo re. Quando lo re lo vide
tornato, sí ne fue molto alegro e domandò del Santo Sipolcro e di tutte
le cose; e quando egli seppe come per suo dispetto il soldano l'avea cosí
concio, si volle morire di dolore, e disse che questa onta vendicherebbe egli
bene.
Alora si fece il re bandire grandissima oste sopra
la provincia d'Aden. Fatto l'aparecchiamento, sí si mosse il re co tutta la
gente, e sí fece grandissimo danno al soldano e ucisero molti saracini. Quando
lo re ebbe fatto tutto il danno che fare potea e che piú no potea fare loro
danno, né andare no si potea piú ina(n)zi per le troppe male vie che v'erano,
sí si misero a ritornare in loro paese. E sappiate che li cristiani sono asai
megliore gente per arme che no sono i saracini; e questo si fue ne li anni
Domini 1288.
Da che v'abiamo detta questa novella,
diròvvi de la vita di quegli d'Abascie. La vita loro si è di riso
e di latte e di carne; e sí ànno leofanti: non ch'egli vi nascaro, ma
vengonvi d'altre paesi. Nasconvi molte giraffe e molte altre bestie, e sí
ànno molte bellissime galline, e sí ànno istruzzoli grandi quasi
come asini; e sí ànno molte altre cose, ch'a volerle tutte contare
sarebbe troppo lunga mena. Ca(ccia)gione e uccellagioni si ànno assai, e
sí ànno pappagalli bellissimi e di piú fatte, e sí ànno gatti
mamoni e iscimmie asai.
Avete inteso d'Abascie; vo'vi dire de la parte
d'Aden.
190
Della provincia d'Aden.
La provincia d'Aden si à uno signore
ch'è chiamato soldano. E' sono tutti saracini, i quali adorano
Malcometto, e sono grandi nemici de' cristiani. In questa provincia si à
molte cittadi e molte castella, ed è porto ove tutte le navi d'India
capitano co loro mercatantie, che sono molte.
Ed in questo porto caricano li mercatanti loro
mercatantie e mettole in barche piccole, e passano giú per uno fiume 7
giornate; e poscia le traggoro de le barche e càricalle in su camelli, e
vanno 30 giornate per terra. E poscia truovano lo mare d'Alexandra, e per
quello mare ne vanno le genti infino in Allexandra, e per questo modo e via si
ànno li saracini d'Allesandra lo pepe ed altre ispezierie di verso Aden;
e dal porto d'Aden si partono le navi, e ritornasi cariche d'altre mercatantie
e riportale per l'isole d'India. E sí recano li mercatanti da questo porto
medesimo molti belli destrieri e menali per l'isole d'India; e sappiate che uno
buono e u(n) bello cavallo si vende bene in India 100 marchi d'ariento. E
sappiate che lo soldano d'Aden si à una grandissima rendita de le
gabelle ch'elli si à di queste navi e de le mercatantie; e per questa
rendita ch'elli si à cosí grande, si è egli uno ricchissimo
segnore dei grandi del mondo.
E sappiate che, quando il soldano di Babilona venne
sopra ad Acri ad oste, lo soldano d'Aden li fece aiuto 30.000 cavalieri e
40.000 camegli. E sappiate che questo aiuto no fece egli per bene ch'egli li
volesse, ma solo per lo grande male che egli vòle a' cristiani, ché al
soldano di Babilonia no volle egli anche bene.
Ora vi lascerò a dire d'Aden, e
diròvvi d'una grandissima cità, la quale si è chiamata
Escier, ne la quale si à uno picciolo re.
191
Della città d'Escier.
Escier si è una grande città, ed
è di lungi dal porto d'Aden
Ancora vi dico ch'egli si ànno di molti
buoni pesci, e fannone biscotto; ch'elli tolgono questi pesci e tagliali a
pezzuoli quasi d'una libbra il pezzo, e poscia sí li apiccano e fannoli seccare
al sole; e quando sono secchi sí li ripongono, e cosí li si mangiano tutto
l'anno come biscotto. Qui si nasce lo 'ncenso in grande quantità e
fassine molto grande mercatantia.
Altro non ci à da ricordare; partimoci di
questa cità ed andamo verso la cità Dufar.
192
Della città Dufar.
Dufar si è una grande e bella città,
ed è di lu(n)gi da Escer
Ed ànno anche porto, e sono quasi al modo di
questa di sopra di mercatantie. Diròvvi in che modo si fa lo 'nce(n)so.
Sappiate che sono certi àlbori, ne' quali àlbori sí si fa certe
intaccature, e per quelle tacche si esce gocciole, le quali s'asodano; e questo
si è lo 'ncenso. Ancora per lo molto grande caldo che v'è, si
nasce in questi cotali àlbori certe galle di gomme, lo quale si è
anche incenso. Di questo incenso e di cavagli che vengono d'Arabbia e vanno in
India, sí si fa grandissima mercatantia.
Ora vi voglio contare del golfo di Calatu, e come
istà e che cittade ella si è.
193
Della città di Calatu.
Calatu si è una grande cità, ed
è dentro dal golfo che si chiama Calatu, ed è di lungi da Dufar
La cità si è posta in su la bocca del
golfo di Calatu, sí che vi dico che veruna nave non vi puote né passare né
uscire sansa la volontà di questa città.
Partimoci di qui ed andamo ad una città la
quale si chiama Curmos, di lungi da Calatu
Udirete de la cità di Curmos, ove noi
arivamo.
194
Della città di Curmos.
Qurmos si è una grande città, la
quale si è posta in sul mare, ed è fatta quasi come quella di
sopra. In questa città si à grandissimo caldo, ch'a pena vi si
puote campare, se non ch'egli si ànno ordinate ventiere, le quali recano
lo vento a le loro case, né altrimente no vi camperebbono. No vi voglio dire di
questa cità piú nulla, però che ci converà tornare qui, ed
a la ritornata vi diremo tutti i fatti che noi lasciam[o]. Diròvi de la
Grande Turchia, ove noi intramo.
195
De la Grande Turchia.
Turchia si à uno re ch'à nome Caidu,
lo quale si è nepote del Grande Kane, ché fue figliuolo d'uno suo
fratello cugino. Questi sono Tarteri, uomini valentri d'arme, perché sempre mai
istanno in guerra ed in brighe. Questa Grande Turchia si è verso
maestro, quando l'uomo si parte da Qurmos e passa per lo fiume di Gion, (e)
dura di verso tramontano infino a le terre del Grande Kane.
Sapiate che tra Caidu e lo Grande Kane si à
grandissima guerra, perché Caidu si vorebbe conquistare parte de le terre del
Catai e de' Mangi, ma lo Grande Kane si vuole che lo seguiti, sí come fanno li
altri che tengono terra da lui; questi sí nol vuole fare, perché non si fida, e
perciò sono istate tra loro molte battaglie. E sí fa questo re Caidu
bene 100.000 cavalieri, e piú volte àe isconfitto li cavalieri e li
baroni del Grande Kane, perciò che questo re Caidu si è molto
prode de l'arme, egli e sua gente.
Ora sappiate che questo re Caidu si avea una sua
figliuola, la quale si era chiamata in tarteresco Aigiarne, cioè viene a
dire in latino 'lucente luna'. Questa donzella si era sí forte che non si
trova(va) persona che vincere la potesse di veruna pruova. Lo re suo padre sí
la volle maritare; quella disse che mai non si mariterebbe s'ella non trovasse
alcuno gentile uomo che la vincesse di forza [o] d'altra pruova. Lo re sí
l'avea brivelleggiata che ella si potesse maritare a la sua voluntade.
Quando la donzella ebbe questo dal re, sí ne fue
molto alegra; ed allora si mandò dicendo per tutte le contrade che, se
alcuno gentile uomo fosse che si volesse provare co la figliuola de lo re
Caidu, si andasse là a sua corte, sappiendo che, quale fosse quegli che
la vincesse, la donzella si lo torrebbe per suo marito. Quando la novella fue
saputa per ogne parte, ed èccoti venire molti gentili uomini a la corte
del re.
Ora fue ordinata la pruova in questo modo. Ne la
mastra sala del palagio si era lo re e la reina co molti cavalieri e co molte
donne e co molte donzelle, ed ecco venire la donzella tutta sola, vestita d'una
cotta di zendado molto acconcia: la donzella si era molto bella e bene fatta di
tutte le bellezze. Ora convenía che si levasse il donzello, lo quale si volesse
provare co lei a questi patti com'io vi dirò: che se 'l donzello la
vincesse, la donzell[a] lo dovea prendere e tòrrelo per suo marito, ed
egli dovea avere lei per sua moglie; e se cosa fosse che la donzella vincesse
l'uomo, si convenía che l'uomo desse a lei 100 cavagli. Ed in questo modo si
avea la donna già guadagnati ben 10.000 cavagli. E sappiate che questo
non era maraviglia, ché questa donzella era sí bene fatta e sí informata
ch'ella parea pure una giogantessa.
Ora v'era venuto uno donzello, lo quale era
figliuolo del re di Pumar, per provarsi con questa donzella; e menò seco
molto bella e nobole compagnia e sí menò 1.000 cavagli, per mettere a la
pruova; ma il cuore li stava molto franco di vincere, e di ciò li parea
essere troppo bene sicuro. E questo fue nel tempo del 1280.
Quando lo re Caidu vide questo donzello, sí ne fue
molto allegro, e molto disiderava in suo cuore che questo donzello la vincesse,
perciò ch'egli si era u(n) bello giovane e figliuolo d'uno grande re. Ed
allora sí fece pregare la figliuola ch'ella si dovesse lasciare vincere a
costui. Ed ella sí rispuose e disse: «Sappiate, padre, che per veruna cosa di
mondo no[n] farei altro che diritto e ragione». Or èccoti la donzella
intrata ne la sala a la pruova: tutta la gente che istava a vedere pregavano
che desse a perdere a la donzella, acciò che cosí bella coppia fossero
acompagnati insieme. E sappiate che questo donzello si era forte e prode, e non
trovava uomo che lo vincesse, né che si potesse co lui ch'egli no l[o] vincesse
d'ogne pruova.
Ora si vennero la donzella e 'l donzello a le
prese, e furonsi presi insieme a le braccia e fecero una molto bella
incominciata; ma poco durò, che 'l donzello si co(n)venne pure che
perdesse la pruova. Alora si levò in su la sala lo maggiore duolo del
mondo perché questo donzello avea cosí perduto, ch'era uno dei piú belli uomini
che vi fosse anche venuto o che mai fosse veduto. Ed alotta si ebbe la donzella
questi 1.000 cavagli; questo donzello si partío ed andossine molto vergognoso
in sua contrada.
E vo' che sappiate che lo re Caidu si menò
questa sua figliuola in piú battaglie. E quando ella era a le battaglie, ella
si gittava tra li nimici sí fieramente che non era cavaliere sí ardito né sí
forte ch'ella nol pigliasse per forsa; e menavalo via, e facea molte prodesse
d'arme.
Or lasciamo [di] questa matera, e udirete d'una
battaglia, la quale si fue fra lo re Caidu ed Argo, figliuolo de lo re Abaga,
segnore del Levante.
196
D'una battaglia.
Sappiate che lo re Abaga, segnore del Levante, si
tiene molte terre e molte province, e confina le terre sue con quelle de lo re
Caidu: cioè da la parte dell'Albero Solo, lo quale noi chiamamo l'Albero
Secco. Lo re Abaga, per cagioni che lo re Caidu non facesse danno a le terre
sue, si mandò lo suo figliuolo Argo con grande gente a cavallo ed a
piede ne le contrade dell'Albero Solo infino al fiume de Ion, perch'egli
guardasse quelle terre che sono a le confini.
Ora avenne che lo re Caidu si mandò uno suo
fratello, molto valentre cavaliere, lo quale aveva nome Barac, co molta gente,
per fare danno a le terre ov'era questo Argo. Quando Argo seppe che costoro
viniero, sí fece asembiare sua gente e venne incontro a' nemici; e quando furo
asembiati l'una parte e l'altra, li naccari cominciarono a sonare da l'una
parte e da l'altra. Alora si fue cominciata la piú crudele battaglia che mai
fosse veduta al mondo. Ma pure a la fine Barac e sua gente si non potéo durare,
sicché Argo l'isconfisse a cacciògli di là dal fiume.
Da che v'abbiamo cominciato a dire d'Argo,
diròvvi com'egli si fue preso e com'egli segnoreggiò poscia, dopo
la morte del suo padre.
197
Quando Argo ebbe vinta questa battaglia, una
novella sí li venne, sí come lo padre era passato di questa vita. Quando intese
questa novella, si ne fue molto cruccioso, e mossesi per venirsene per pigliare
la segnoria; ma egli si era di lungi bene 40 giornate.
[O]r avenne che lo fratello che fue d'Abaga, lo
quale si era soldano ed era fatto saracino, sí vi giunse prima che giugnesse
Argo, ed incontanente si intrò in su la segnoria e riformò la
terra per sé. E sí vi trovò sí grandissimo tesoro ch'a pena si poterebbe
credere; e sí ne donò sí largamente a li baroni ed a' cavalieri de la
terra, che costoro dissero che non voleano mai altro segnore. Questo soldano si
facea a tutta gente apiacere.
Quando lo soldano seppe che Argo venía co molta
gente, sí si aparecchiò co la sua gente e fece tutto suo isforzo in una
settimana. E questa gente per amore del soldano andavano molto voluntieri
incontro ad Argo per pigliarlo e per uciderlo a tutto loro podere.
198
Quando lo soldano ebbe fatto tutto suo isforzo, sí
si mossero ed andaro incontro ad Argo. E quando fue presso a lui, sí si
atendò in uno molto bello piano, e disse a la sua gente: «Segnori, e' ci
conviene essere prodi uomini, perciò che noi sí difendiamo la ragione,
ché questo regno si fue del mio padre. Il mio fratello Abaga si l'à
tenuto tutto quanto a tutta sua vita, ed io sí dovea avere lo mezzo, ma per
cortezia sí lile lasciai. Ora, da ch'è morto, si è ragione ch'io
l'abbia tutto; ma io sí vi dico ch'io no voglio altro che l'onore de la
segnoria, e vostro sia tutto il frutto».
Questo soldano avea bene 40.000 di cavalieri e
grande quantità di pedoni. La gente rispuose e dissero tutti
ch'anderebbero co lui infin' a la morte.
199
Argo, quando seppe che lo soldano era atendato
presso di lui, si ebbe sua gente, e disse cosí: «Segnori e frategli ed amici
miei, voi sapete bene che 'l mio padre, infino che e' visse, vi tenne tutti per
fratelli e per figliuoli; e sí sapete bene come voi e i vostri padri siete
istati co lui in molte battaglie e (a) conquista[r]e molte terre; e sí sapete
bene com'io sono suo figliuolo, e com'egli v'amò assai, ed io ancora sí
v'amo tanto quanto il mio cuore. Dunque ben è ragione che voi sí
m'aiutiate riconquistare quello che fue del mio padre e vostro, ch'è
contra colui che viene contra ragione, e voleci diretare de le nostre terre e
cacciare via tutte le nostre famiglie. Ed anche sapete bene ch'egli sí non
è di nostra legge, ma è saracino e adora Malcometto; ancora
vedete come sarebbe degna cosa che li saracini avessero segnoria sopra li
cristiani! Da che voi vedete bene ch'è cosí, ben dovete essere prodi e
valentri, sí come buoni fratelli, in aiutare e in difendere lo nostro, ed io
abbo isperanza in Dio che noi lo metteremo a la morte, sí com'egli è
degno. Perciò sí priego catuno che faccia piú che suo potere non porta,
sí che noi vinciamo la battaglia».
200
Li baroni e' cavalieri d'Argo, quando ebbero inteso
e udito lo parlamento ch'avea fatto Argo, tutti rispuosero, e dissero ch'avea
ditto bene e saviamente, e fermaro tutti comunemente che voleano a(n)zi morire
co lui che vi(vere) sansa lui o che neiuno li venisse meno. Alora si
levò un barone e disse ad Argo: «Messer, ciò che voi avete ditto,
tutto si è verità, ma sí voglio dire questo: ch'a me sí parebbe
che si mandasse ambasciadori al soldano per sapere la cagione di quello che fae
e per sapere quello che vòle». E sí fue fermo di fare. Quando ebbero
cosí fermato, ed eglino sí fecero due ambasciadori ch'andassero al soldano ad
isporregli queste cose, come tra loro non dovea essere battaglia, perciò
ch'erano una cosa, e che 'l soldano si dovesse lasciare la terra e renderla ad
Argo.
Lo soldano rispuose a li ambasciadori, e disse:
«Andate ad Argo, e sí li dite ch'io lo voglio tenere per nepote e per
figliuolo, sí com'io debbo», e che li volea dare segnoria che si convenisse, e
che stesse sotto lui; ma non volea ch'egli fosse segnore: «e se cosí non
vòle fare, sí li dite che s'aparecchi de la battaglia».
201
Argo, quando ebbe intesa questa novella, si ebbe
grande ira, e disse: «Non ci è da dire piú nulla». Allora si mosse con
sua gente, e fue giu(n)to al campo dove la battaglia dovea essere. E quando
furono aparecchiati l'una parte e l'altra, e li naccari cominciaro a sonare da catuna
parte, alora si cominciò la battaglia molto forte e molto crudele da
catuna parte. Argo fece lo dí grandissima prodezza, egli e sua gente, ma no gli
valse; tanto fue la disaventura che Argo si fue preso e perdéo alora la
battaglia.
Lo soldano si era uomo molto lusorioso, sí che si
pensò di ritornare a la terra e di pigliare molte belle donne che
v'erano. Alora si partío, e lasciò uno suo vicaro ne l'oste, ch'avea
nome Melichi, che dovesse guardare bene Argo; e cosí se n'andò a la
terra, e Milichi rimase.
202
[O]ra avenne che uno barone tartaro, lo quale era
aguale sotto il soldano, vide lo suo segnore Argo, lo quale dovea essere (di
ragione). Venneli un grande pensiero al cuore, e l'animo li cominciò
molto a enfiare, e dicea fra se istesso che male li parea che suo segnore fosse
preso; e pensò di fare suo podere sí ch'egli fosse lasciato. Ed alora
cominciò a parlare con altri baroni de l'oste; e catuno parea che fosse
in buono animo di volersi pentere di ciò ch'aveano fatto. E quando
furono bene acordati, uno barone ch'avea nome Boga si fue cominciatore; e
levaronsi suso tutti a romore, ed andarono a la pregione dove Argo era preso, e
dissergli come s'erano riconosciuti, e ch'aveano fatto male, e che voleano
ritornare a la misericordia e fare e dire bene, e lui tenere per segnore.
E cosí s'acordaro, ed Argo perdonò loro
tutto ciò ch'eglino aveano fatto contra di lui. Ed incontane(n)te si
mossero tutti questi baroni, ed andarono al padiglione dov'era Milichi, lo
vicaro del soldano, ed ebborlo morto. Ed alora tutti quelli de l'oste sí
confermaro Argo per loro diritto segnore.
203
Di presente giunse la novella al soldano come lo
fatto era istato e come Milichi suo vicaro era morto. Alora, com'ebbe inteso
questo, si ebbe grande paura, e pensossi di fuggire in Babbilona, e misesi a
partire con quella gente ch'avea.
Uno barone, lo quale era grande amico d'Argo, si
istava ad uno passo, e quando lo soldano passava, e questo barone sí l'ebbe
conosciuto, ed imantenente li fue dina(n)zi in sul passo ed ebbelo preso per
forza; e menollo dina(n)zi ad Argo a la cità, che v'era giunto
già di tre giorni. Argo, quando lo vide, sí ne fue molto alegro, ed
imantenente si comandò che gli fosse data la morte sí come traditore.
Quando fue cosí fatto, e Argo si mandò uno suo figliuolo a guardare le
terre da l'Albero Solo, e mandò co lui 30.000 di cavalieri.
A questo tempo che Argo intrò ne la
segnoria, corea anni Domini 1285, e regnò segnore 6 anni; ed in capo di
questi 6 anni si fue avelenato, e cosí morío. Morto che egli si fue Argo, uno
suo zio si entrò su la segnoria, per cagione che lo figliuolo d'Argo si
era molto da la lunga. E' tenne la segnoria 2 anni, ed in capo de li due anni
si fue anche morto di beveraggio.
Ora vi lascio qui, ché non ci à altro da
dire, e diròvvi uno poco de le parti di verso tramontana.
204
Delle parti di verso tramontana.
In tramontana si à uno re ch'è
chiamato lo re Conci. E' sono Tartari; questi sono genti molto bestiali.
Costoro si ànno uno loro dominedio, ed
è fatto di feltro, e chiamalo Nattigai, e fannogli anche la moglie, e
dicono che sono i dominedii terreni che guardano tutti i loro beni terreni. E
cosí li danno da mangiare, e fanno a questo cotale iddio secondo che fanno li
altri Tarteri, li quali v'abbiamo contato adietro. Questo re Conci è de
la schiatta di Ci(n)ghi Kane ed è parente del Grande Kane. Questa gente
non ànno né cità né castella, ma sempre istanno in piani od in
montagne. E' sono grande gente de le persone, e vivono di latt'e di bestie e di
carne; biada non ànno. E non sono gente che mai facciano guerra ad
altrui, anzi istanno tutti in grande pace. Eglino si ànno molte bestie,
ed ànno orsi che sono tutti bianchi e sono lunghi 20 palmi, ed
ànno volpi che sono tutte nere, e sí ànno asini salvatichi assai.
Ancora si ànno giambelline, cioè quelle donde si fanno le care
pegli, che una pelle da uomo vale bene 1.000 bisanti; vai ànno assai.
Questo re si è di quella contrada ove i
cavagli non possoro andare, perciò che v'à grandi laghi e molte fontane,
e sonvi ghiacci sí grandi che non vi si puote menare cavallo. E dura questa
mala contrada 13 giornate; ed in capo di catuna giornata si à una posta,
dove albergano li messi che passano e che vengono; ed a catuna di queste poste
si istanno 40 cani, li quali istanno per portare li messaggi da l'una posta a
l'altra, sí come io vi dirò. Sappiate che queste 13 giornate si sono
(tra) due montagne, e tra queste due montagne si à una valle, ed in
questa valle à sí grande lo fango e lo ghiaccio che cavallo non vi
potrebbe andare. Eglino sí ànno ordinate tregge sanza ruote, ché le
ruote non vi potrebbero andare, perciò ch'elle si ficherebbero tutte nel
fango, e per lo ghiaccio corerebbero troppo. In su questa treggia si pongono
uno cuoio d'orsa, e vannovi suso questi cotali messaggi; e questa treggia si
menano 6 di questi cani, e questi cani sí sanno bene la via, e vanno infino a
l'altra posta. E cosí vanno di posta in posta tutte queste 13 giornate di
questa mala via; e quelli che guarda la posta sí monta su un'altra treggia e
ménali per la migliore via.
E sí vi dico che gli uomini che stanno su per
queste montagne sono buoni cacciatori e pigliano di molte buone bestiuole, e si
ne fanno molto grande guadagno, sí come sono giambellini e vai ed ermellini e
coccolini e volpi nere ed altre bestie assai, donde si fanno le care pegli. E
pigliale in questo modo, che fanno loro reti che no vi ne puote campare veruna.
Qui si à grandissima freddura.
Andamo piú ina(n)zi, e udirete quello che noi sí
trovamo, ciò fue la valle iscura.
205
La valle iscura.
Andando piú ina(n)zi per tramontana, sí trovamo una
contrada ch'è chiamata Iscurità. E certo ella sí à lo nome
bene a ragione, ch'ella si è sempre mai iscura: qui si non apare mai
sole né luna né stella; sempre mai v'è notte. La gente che v'è vi
vive come bestie. E' non ànno segnore, se non che li Tartari sí vi
mandano talvolta com'io vi dirò: che li uomini che vi vanno si tolgono
giomente ch'abbiano poledri dietro, e lasciano li poledri di fuori da la
scurità, e poscia si vanno rubando ciò ch'e' possono trovare; e
poscia le giomente si ritornano a' loro poledri di fuori da la scurità.
Ed in questo modo riede la gente che vi si mette ad andare.
Questa gente si ànno molte pelli di quelle
care ed altre cose assai, perciò ch'egli sono maravigliosi cacciatore,
ed amassano molte di quelle care pegli ch'avemo contato di sopra. La gente che
vi dimora ad abitare sono gente pallida e di male colore.
Partimoci di qui, ed andamo a la [provincia] di
Rossia.
206
Della provincia di Rossia.
Rossia si è una grandissima provincia verso
tramontana. E' sono cristiani e tengono maniera di greci; ed àvvi molti
re, ed ànno loro linguaggio. E no rendono trebuto se non ad uno re dei
Tarteri e quello è poco. La contrada si à fortissimi passi a entrarvi.
Costoro non sono mercatanti, ma sí ànno asai de le pelli ch'avemo ditto
di sopra. La gente si è molto bella, i maschi e le femine, e sono
bianchi e biondi, e sono semprice gente. In questa contrada si à molte
argentiere, e càvane molto argento.
In questo paese non à altro da dire.
Diròvvi de la provincia la quale à nome Lacca, perché confina co
la provincia di Rossia.
207
Della provincia di Lacca.
Quando noi ci partimo da Rossia, sí 'ntramo ne la
provincia di Lacca. Quivi si trovano gente che sono cristiani e gente che sono
saracini. Non ci à quasi altra novità che abbia. † da quelle di
sopra, ma vogliovi dire d'una cosa che m'era dimenticata de la provincia di
Rossia.
In quella provincia si à grandissimo freddo,
ch'à pena vi si puote iscampare; e dura infino al mare Oziano. Ancora vi
dico che v'à isole ove nascono molti girfalchi e molti falconi
pellegrini, i quali si pòrtaro per piú parti del mondo. E sappiate che
da Rossia ad Orbeche si no v'à grande via ma, per lo grande freddo che
v'è, sí non si puote bene andare.
Or vi lascio a dire di questa provincia, ché non ci
à altro da dire; e vògliovi dire un poco dei Tarteri di Ponente e
di loro signore e quanti signori ànno avuti.
208
De' signori de' Tarteri del Ponente.
Lo primo signore ch'ebbono gli Tarteri del Ponente
si fu uno ch'ebbe nome Frai. Questo Frai fu uomo molto possente e
conquistò molte province e molte terre, ch'egli conquistò Rossia
e Comania e Alanai e Lacca e Megia e Ziziri e Scozia e Gazarie. Queste furono
tutte prese per cagione che non si tenevano insieme, ché s'elle fossero istate
tutte bene insieme, non sarebbono istate prese.
Ora, dopo la morte di Frai fu signore Patu, dopo
Patu si fu Bergo; dopo Bergo Mogletenr; poscia fu Catomacu; dopo costui fu il
re ch'è oggi, lo quale à nome lo re Toccai.
Ora avete inteso dei signori che sono istati delli
Tarteri del Ponente. Vogliovi dire d'una battaglia che fu molto grande tra lo
re Alau, signore del Levante, e lo re Bergo, signore del Ponente.
209
D'una gran battaglia.
Al tempo degli anni Domini 1261 sí si
cominciò una grande discordia tra gli Tarteri del Ponente e quegli del
Levante. E questo si fu per una provincia, ché l'uno signore e l'altro la
voleva, sicché ciascuno fece suo isforzo e suo apparecchiamento in sei mesi.
Quando venne in capo degli sei mesi, e ciascuno síe
uscíe fuori a campo; e ciascuno avea bene in sul campo bene 300.000 cavalieri
bene apparecchiati d'o[gn]i cosa da battaglia, secondo loro usanza. Sappiate
che lo re Barga avea bene 350.000 di cavalieri. Or si puose a campo a
Quando venne la sera che la battaglia dovea essere
la mattina vegnente, ciascuno confortò bene sua gente ed amonío siccome
si conveniva. Quando venne la mattina, e ciascuno signore fu in sul campo, e'
feciono loro ischiere bene e ordinatamente. Lo re Barga fece 35 ischiere, lo re
Alau ne fece pure 30, perché avea meno di gente; e ogni ischiera era da 10.000
uomeni a cavallo. Lo campo era molto bello e grande, e bene faceva bisogno ché
giammai non si ricorda che tanta gente s'asembiasse in sun un campo; e sappiate
che ciascuna gente erano prodi ed arditi. Questi due signori furono amendue
discesi della ischiatta di Cinghy Kane, ma poi sono divisi, ché l'uno è
signore del Levante e l'altro del Ponente.
Quando furono aconci l'una parte e l'altra e gli naccheri
incominciarono a sonare da ciascuna parte, allora fu cominciata la battaglia
colle saette. Le saette cominciarono ad andare per l'aria tante che tutta
l'aria era piena di saette, e tante ne saettarono che piú non n'avevano: tutto
il campo era pieno d'uomeni morti e di fediti. Poi missoro mano alle ispade:
quella era tale tagliata di teste e di braccia e di mani di cavalieri, che
giammai tale non fu veduta né udita, e tanti cavalieri a terra ch'era una
maraviglia a vedere da ciascuna parte, né giammai non morí tanta gente in un
campo, che niuno non potea andare per terra, se no su per gli uomeni morti e
fediti. Tutto il mondo pareva sangue, ché gli cavagli andavano nel sangue
insino a mezza gamba; lo romore e 'l pianto era sí grande dei fediti ch'erano
in terra, ch'era una maraviglia a udire lo dolore che facevano.
E lo re Alau fece sí grande maraviglia di sua
persona che non pareva uomo, anzi pareva una tempesta, sicché il re Barga non
poté durare, anzi gli co(n)venne alla perfine lasciare il campo; e missesi a
fuggire, e lo re Alau gli seguí dietro con sua gente, tuttavia uccidendo
quantunque ne giugnevano.
Quando lo re Barga fu isconfitto con tutta sua
gente, e il re Alau si ritornò in sul campo, e comandò che tutti
gli morti fossono arsi, cosí gli nemici come gli amici, però ch'era loro
usanza d'ardere i morti. E fatto ch'ebbono questo, sí si partirono e
ritornarono in loro terre.
Avete inteso tutti i fatti dei Tarteri e dei
saracini, quanto se ne può dire, e di loro costumi, e degli altri paesi
che sono per lo mondo, quanto se ne puote cercare e sapere, salvo che del Mar
Maggiore non vi abiamo parlato né detto nulla, né delle province che gli sono
d'intorno, avegna che noi il cercamo ben tutto. Perciò il lascio a dire,
ché mi pare che sia fatica a dire quello che non sia bisogno né utile, né
quello ch'altri fa tutto dí, ché tanti sono coloro che 'l cercano e 'l navicano
ogni dí che bene si sa, siccome sono Viniziani e Genovesi e Pisani e molta
altra gente che fanno quel viaggio ispesso, che catuno sa ciò che
v'è; e perciò mi taccio e non ve ne parlo nulla di ciò.
Della nostra partita, come noi ci partimmo dal
Grande Kane, avete inteso nel cominciamento del libro, in uno capitolo ove
parla della briga e fatica ch'ebbe messer Matteo e messer Niccolò e
messer Marco in domandare commiato dal Gran Kane; e in quello capitolo conta
l'aventura ch'avemmo nella nostra partita. E sappiate, se quella aventura non
fosse istata, a gran fatica e con molta pena saremmo mai partiti, sicché a pena
saremmo mai tornati in nostro paese.
Ma credo che fosse piacere di Dio nostra tornata,
acciò che si potessoro sapere le cose che sono per lo mondo, ché,
secondo ch'avemo contato in capo del libro nel titolo primaio, e' non fu mai
uomo, né cristiano né saracino né tartero né pagano, che mai cercasse tanto nel
mondo quanto fece messer Marco, figliuolo di messer Niccolò Polo, nobile
e grande cittadino della città di Vinegia.