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PRIVILEGIA NE IRROGANTO DOCUMENTO INSERITO IL: 10-6-2012 |
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La PignattA n° 71 Grave
errore la privatizzazione delle banche. Aziende perfettamente allineate con la
moda del tempo: gli utili sono loro e delle fondazioni; le perdite, le preoccupazioni
e le tasse per sostenerle sono invece addossate a governi e cittadini
dell’Occidente. Sardex e
JaK Italia: esperienze interessanti. Di Mauro
Novelli 10-6-2012 La corsa dei paesi occidentali a salvare le banche dimostrano
che il settore non è un settore “normale”, ma un settore strategico, tanto
importante da indurmi a considerarlo oggetto necessario di una sovranità
popolare, alla stregua delle istituzioni che si esprimono nei poteri
indipendenti: legislativo esecutivo e giudiziario. Quando i nostri costituenti decisero, con l’articolo
47 della Carta, di elevare risparmio e
credito a settori costituzionalmente rilevanti, imponendo alle istituzioni la tutela del risparmio ed il coordinamento
ed il controllo del credito, le nostre grandi banche erano tutte praticamente
dello Stato. Faceva eccezione, confermando la regola, la Banca Nazionale
dell’Agricoltura, costituita nel 1921 ed autorizzata nel 1938 ad operare nel
campo del credito agrario sia di esercizio sia di miglioramento. E’ interessante tracciare velocemente la storia dei
rapporti stato-banche in Italia nell’ultimo secolo: Da “Cenni sul
sistema bancario italiano” (M. Novelli – Il PuntO n° 3 - 1998) […] Il 1893
vide il fa llimento di grandi istituti
di credito, dalle due maggiori banche italiane del periodo: la Banca
Generale e il Credito Mobiliare, alla Banca Romana. Queste avevano
privilegiato pesantemente l'attività finanziaria rispetto all'esercizio
ordinario del credito. Le pesanti interessenze acquisite nel settore
produttivo (la Banca Generale in quello siderurgico, il Credito
Mobiliare in quello immobiliare) avevano portato ad un quasi totale
accentramento del rischio con una conseguente politica protezionistica delle
banche nei rispettivi settori d'intervento e l' inevitabile emarginazione
mercantile delle aziende protette. Il crollo fu
ineluttabile, ma l'avvenimento fu considerato un incidente di percorso:
l'Italia si avviava ad impostare seriamente il processo di
industrializzazione e il sistema bancario , pur con qualche passo falso,
non poteva che accompagnare in parallelo la crescita economica della
nazione. Il crollo di
quegli istituti non dette luogo a provvedimenti legislativi di
"risanamento" del settore. In altri termini, non si volle
comprendere la pericolosa inconciliabilità finanziaria tra operazioni passive
di breve termine e previsione di attività nel lungo periodo. Ed infatti,
puntualmente, il problema si ripropose causando il fallimento della Banca di Sconto nel 1921. Questa,
fortemente impegnata nell'industria pesante, fu travolta dal fallimento dell' Ansaldo che non seppe
prontamente riconvertirsi al termine della prima guerra mondiale. D'iniziativa
le banche limitarono drasticamente la loro espansione territoriale ma
non seppero affrontare il problema delle loro partecipazioni
industriali. Nel 1926, per la
prima volta, lo stato intervenne per disciplinare l'attività del sistema
creditizio: attribuì alla Banca d'Italia il controllo del mercato monetario e
finanziario e sottopose alla sua vigilanza l'attività di tutte le banche.
Queste però rimasero legate, pur se in misura meno evidente, alla grande
industria e furono tanto pesantemente coinvolte dalla crisi mondiale del
‘29, da sollecitare l'aiuto dello stato. L'intervento
costò all'erario oltre 16 miliardi di lire dell'epoca (circa
20.000 miliardi di oggi); esso fu progettato organicamente ma gli
obiettivi di medio periodo non furono centrati: le partecipazioni azionarie
furono rilevate e successivamente affidate all'I.M.I. (Istituto Mobiliare
Italiano -1931) per la sistemazione e all'I.R.I. (Istituto per la
Ricostruzione Industriale -1933) per il finanziamento e lo smobilizzo; alle
banche di credito ordinario fu tassativamente proibito di compiere finanziamenti
a medio e lungo termine. Gli scopi
per i quali i due istituti erano stati creati non furono raggiunti per vari motivi (scoppio della guerra
di Etiopia, guerra di Spagna, situazione economica, ecc.); anzi, l' IRI si
trovò a detenere anche la proprietà di tre importanti banche di
interesse nazionale: Banco di Roma, Credito Italiano, Banca Commerciale
Italiana. Nel 1936 si
decise, pertanto, di rivedere
sistematicamente la normativa riguardante l'attività creditizia e finanziaria
del sistema bancario nel suo complesso. Strumento
giuridico dell'intervento fu il Regio Decreto legge n° 375 del 1936 ( convertito faticosamente
in legge nel 1938 col n° 141), alla base del sistema bancario italiano
fino alla legge Amato - Carli del 1990, alla legge sulla trasparenza (n°
154/92) al Testo Unico delle Leggi in materia creditizia in vigore dal 1°
gennaio 1994. Riportiamo
brevemente le innovazioni più incisive della legge del 1936: -
Il risparmio e la relativa raccolta sono attività di interesse
nazionale e possono essere effettuate solo su autorizzazione del
governo. -
Il credito a breve è rigorosamente diviso da quello a medio e
lungo termine, (fine della banca mista di tipo tedesco e passaggio alla banca
pura). Conseguente tassativo divieto alle banche di credito ordinario di
compiere operazioni di credito industriale e mobiliare. -
Creazione di organi statali con funzioni di regolazione e di controllo dell'attività
bancaria. La Banca d'Italia è dichiarata Istituto di Diritto pubblico. -
Disciplina per la distribuzione, la specializzazione e la
concentrazione territoriale delle banche. -
Obblighi per tutte le aziende di credito per un più efficace controllo
della loro attività (Iscrizione all'albo, autorizzazione
all'esercizio, alla costituzione di nuove banche, alla apertura di nuove filiali, capitale minimo versato, fondo di
riserva, rapporto tra patrimonio netto e passività ecc.). E'
interessante seguire il processo di concentrazione, spesso forzata ed
imposta dal regime fascista, che il sistema bancario ha subito fino al
termine della seconda guerra mondiale. Riportiamo, allo
scopo, l'andamento del numero degli sportelli che il sistema creditizio
metteva a disposizione del mercato italiano:
Ma il
drastico ridimensionamento del sistema non fu dovuto esclusivamente a motivi
di mercato. Il regime fascista ridusse seccamente il numero di quegli enti bancari
di cui non poteva controllare efficacemente l'operato. Ad esempio le
Casse Rurali, nate spesso come impegno para-politico e sociale del movimento
cattolico, erano oltre 3.000
nel 1922; nel 1945 si erano
ridotte a 882. Contavano 1937 sportelli nel '32 e solo 916 al termine
della seconda guerra mondiale. E ancora, alle Casse di Risparmio e alle
Banche del Monte non operanti in capoluoghi di provincia furono imposte
fusioni ed incorporazioni. Parallelamente,
per favorirne l'uscita " spontanea" dal mercato, furono innalzati
marcatamente i tassi di interesse praticati dallo Stato sui risparmi
postali. L'andamento
dimensionale del sistema, nel periodo che stiamo considerando, è
chiaramente sintetizzato da uno studio di C. Conigliani e G. Lanciotti
che, concludendo una ricerca per l'Ente Einaudi, individuavano: " Un primo periodo,
precedente al 1926, che abbiamo fatto arbitrariamente partire dal 1912,
caratterizzato da una forte espansione numerica delle banche in
esercizio, conseguita in modo prevalente con accesso all'attività bancaria di
una miriade di aziende unicellulari di dimensioni presumibilmente
modeste". " Un secondo periodo, che va
dal 1927 al 1942, di drammatica razionalizzazione del sistema esistente,
attraverso la quale si opera un drastico ridimensionamento della
consistenza numerica sia delle aziende in esercizio, sia degli
sportelli bancari, che però non comporta un abbassamento del livello di
intermediazione. Questo processo avviene in modo prevalente
attraverso l'espulsione dal mercato di un considerevole numero di
banche di piccole dimensioni". " Un terzo periodo, che
parte dal 1943 e arriva ai giorni nostri, nel quale lo sviluppo del
sistema bancario italiano è caratterizzato da una ulteriore seppur
lenta diminuzione del numero delle banche in esercizio e, nel contempo, da
una forte espansione dei loro sportelli bancari." Riportiamo, per
numero, la consistenza aziendale del sistema e il numero degli sportelli
bancari:
Concordiamo
con le conclusioni di Conigliani e Lanciotti circa il non abbassamento del
livello complessivo di intermediazione del sistema pur alla
presenza del ridimensionamento evidenziato dalle tabelle. Ci corre l'obbligo
però di considerare che il sistema stesso perdeva seccamente la capacità di
servire capillarmente, anche se con aziende unicellulari, quelle
"piazze" che i grandi istituti non avrebbero mai considerato
interessanti e alle quali, pertanto, sarebbe per sempre venuta meno la
possibilità di utilizzare i servizi strutturati dal sistema creditizio.
A ragione
il 1990 può considerarsi anno di snodo per il sistema creditizio italiano,
come il 1936. Con esso,
infatti, si conclude l'opera di predisposizione del mutamento strutturale
iniziato negli anni precedenti e si realizza l'impostazione operativa di
tutto il sistema bancario italiano
nell'ottica di una ristrutturazione in senso europeo e comunitario. Infatti, nella
prima metà dell'anno, si concretizzano due importanti liberalizzazioni:
quella circa l'apertura di nuovi sportelli bancari, in precedenza
vincolata nel merito e nel metodo alla preventiva autorizzazione della Banca
d'Italia, e quella valutaria, che elimina ogni divieto per i cittadini
italiani di detenere somme o aprire conti in valuta estera, anche oltre
frontiera. [ Si rifletta sul
fatto che l'eliminazione dei vincoli valutari sia stata realizzata per
decreto legge: in materia finanziaria il potere legislativo ha quasi sempre
preferito delegare quello esecutivo ]. Successivamente
entra in vigore la legge n° 218
del 30 luglio 1990, detta Amato-Carli. Con essa e con il decreto n° 356 del
20 novembre dello stesso anno, si
dispone l'intelaiatura legislativa per la ristrutturazione degli
istituti di credito di diritto pubblico, si fondano le regole per la trasformazione delle
aziende bancarie e si disegna la struttura del gruppo polifunzionale.
Attraverso fusioni e incorporazioni di istituti anche di diversa
natura, con queste operazioni, che daranno luogo a società per azioni, si
cerca di raggiungere l'obbiettivo di eliminare per tempo quei
vincoli che possono creare disarmonie, impedimenti e contrasti tra il
sistema italiano e quello comunitario. E' facile intuire
la profonda trasformazione a cui il nuovo schema legislativo ha sottoposto le
istituzioni creditizie. Circa 150 banche, riconducibili ad aziende di natura
pubblica, saranno, nei primi anni ’90, trasformate in SPA. Dalla
conclusione delle operazioni di privatizzazione delle banche (1995) abbiamo
assistito: -
Al saccheggio del risparmio
delle famiglie di questo paese (Tango bond, Parmalat, Cirio, Giacomelli,
Finmatica, Finmek), con meccanismi premiali per i dipendenti bancari al
raggiungimento del budget assegnato su operazioni in titoli (più o meno
confessabili). -
Alla sostituzione dei titoli di stato con le obbligazioni bancarie (più
o meno strutturate) nel portafoglio delle famiglie risparmiatrici. -
All’irrobustimento dell’attività lobbistica al fine di stringere
ulteriormente sui parlamentari di riferimento, istruiti adeguatamente nelle
azioni di inserimento con destrezza di avvilenti ma lucrose norme e normette
filo banche nell’ambito di progetti di legge, anche in materie completamente
estranee e al settore creditizio. -
Alla esplosione delle retribuzioni degli alti dirigenti bancari, rese
ormai variabili indipendenti dall’andamento dell’attività della banca
guidata. -
All’accentrarsi del potere economico-finanziario in strutture opache
come le fondazioni bancarie, soggetti non profit (per questo non pagano
l’IMU), privati e autonomi, dotati di piena autonomia statutaria e
gestionale, che dichiarano di
perseguire esclusivamente scopi di utilità sociale e di promozione
dello sviluppo economico del territorio. Oggi
sono 88, quasi tutte al nord, e
rivestono ciascuna un ruolo di rilievo nel panorama economico e sociale del
territorio di appartenenza. Di fatto posseggono le banche di riferimento e
dagli utili derivanti dalla gestione del loro patrimonio, le Fondazioni
traggono le risorse per sostenere attività (dicono) di interesse collettivo. -
Fino ad arrivare alla gestione non propriamente “sociale” di vicende
drammatiche. In occasione di disastri naturali (alluvioni, terremoti
ecc.) la gestione del credito o,
semplicemente, della di sottoscrizioni per le popolazioni colpite sono spesso
state oggetto di critiche e di indagini della magistratura: richiesta
immediata di rientro dai fidi, alti costi di gestione delle raccolte. -
Non è il caso di richiamare le vicende dei titolari di mutuo fondiario
dopo il terremoto dell’Aquila o quello degli affidamenti tempestivamente
revocati in Emilia, tra una scossa e l’altra. Più recente l’emersione della
“cattiva gestione” degli aiuti via sms ai terremotati dell’Aquila.[Sisma L'Aquila, 5 milioni di aiuti via sms
finiscono alle banche, non ai terremotati],
con l’effetto
collaterale di creare diffidenza anche per questa forma di donazione. -
Urge la costituzione di un istituto bancario di stato! Non ci sono
altre vie d’uscita. -
Interessanti due iniziative: la prima, il Sardex,
con caratteristiche collaterali ai servizi bancari. La seconda JaK Italia,
ancora in fase di realizzazione, come vera e propria banca con particolari
condizioni circa depositi e impieghi. |
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