CONGRESSO PD - LE MOZIONI
Mozione
congressuale a sostegno della candidatura di Pier Luigi Bersani alla
segreteria del Partito Democratico
Per
il PD e per l'Italia
Questo testo
costituisce una traccia di discussione da sviluppare nel Congresso; essa
sarà accompagnata da documenti di approfondimento sui problemi qui
esposti allo scopo di sollecitare osservazioni e proposte. Da questi
arricchimenti verranno contributi utili per il programma che il candidato
segretario proporrà alla Convenzione secondo quanto previsto dallo
statuto.
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Il Partito Democratico è la
più grande intuizione degli ultimi venti anni. Noi crediamo nel
progetto cresciuto sulle radici dell'Ulivo. Desideriamo alimentarlo con le
passioni e le intelligenze di donne e uomini pronti a rinnovare la politica
italiana.
Ciò che abbiamo realizzato nei primi venti mesi è al di sotto del progetto che intendevamo perseguire.
Ciò che il Pd aveva di meglio da dire agli italiani non lo ha ancora detto.
Il non ancora del Pd indica ciò che possiamo diventare: il grande
partito riformista che milioni di italiani non hanno
avuto, la forza capace di unire Sud e Nord e di portare l’Italia nel XXI
secolo, l'energia civile per arricchire la nostra democrazia, il fermento di
una nuova cittadinanza italiana ed europea. Davanti a noi sono anche
stringenti compiti politici: il Pd è nato per rendere possibile il
cambiamento nell’Italia di oggi, per rendere convincente la proposta di
governo.
Vogliamo rivolgerci ai nostri aderenti e agli elettori, a coloro
che abbiamo smarrito per strada e a coloro che sono impegnati ad
attuare il progetto. Vogliamo che il PD sappia convincere e vincere.
Tutto ciò è nelle nostre possibilità, è a carico
della nostra responsabilità ed è l’obiettivo di questa mozione.
Come realizzarlo è sintetizzato nelle seguenti proposte politiche,
culturali e organizzative che chiediamo a tutti gli iscritti di sostenere e
di proporre agli elettori.
Siamo tutti fondatori. Nessuno può dire io sono il Pd e gli altri non ne sono parte. Ecco
l'essenza del Pd: amalgamare e unire persone diverse, incrociare percorsi che
vengono da lontano con la freschezza di chi si è appena messo in
cammino, intendersi parlando anche lingue differenti.
E per prima cosa dobbiamo porci una domanda: perché il Pd ha deluso le aspettative che aveva suscitato, perdendo voti, invece di
allargare i consensi in tutte le direzioni?
E’ successo perché la vocazione maggioritaria si è ridotta alla
scorciatoia del nuovismo politico, mentre avrebbe
richiesto un paziente lavoro di radicamento rivolgendosi con concretezza ai
ceti popolari, alle categorie produttive e ai veri innovatori.
E’ successo perché invece di fondare un partito mai visto nella storia
italiana, si è preferita spesso la suggestione mediatica alla
definizione di una riconoscibile identità politica.
E’ successo soprattutto perché, dopo aver invocato la partecipazione popolare
alle Primarie ed aver ottenuto la risposta
formidabile di quasi quattro milioni di cittadini, non si è riusciti a
costruire una organizzazione plurale e aperta in grado di coinvolgerli .
Non si dica che i nostri problemi sono venuti dal presunto tradimento di
un’ispirazione originaria. Sono venuti dal non aver collocato il progetto su
basi solide. Questo è il nodo che il Congresso deve sciogliere. Un
Congresso, quindi, fondativo del nostro partito.
IL NUOVO MONDO
Si chiude un ciclo della storia mondiale. Le ideologie, le relazioni
internazionali, i poteri reali e gli stili di vita che hanno dominato
l’ultimo trentennio sono in affanno. Il vecchio mondo non c’è
più e il nuovo non ha ancora un volto.
Chi avrebbe mai potuto immaginare soltanto qualche anno fa che un presidente
degli Stati Uniti di origini africane avrebbe richiamato i doveri
dell’Occidente e delle responsabilità dell’Africa proprio nel luogo da
cui partivano le navi cariche di schiavi?
Nessuno ragionevolmente pensa più che si possa dislocare un esercito
in ogni parte del mondo, che la grande finanza possa decidere la ricchezza
delle nazioni, che la Terra
possa sopportare un modello di sviluppo fondato sulla distruzione delle
risorse. Il senso del limite sta diventando senso
comune. Un atteggiamento più riflessivo verso i grandi squilibri del
mondo va diffondendosi in aree culturali diverse, in soggetti politici e
nelle chiese, come dimostra anche l’ultima enciclica papale.
E' il momento di rimettere mano ad accordi globali sulla regolazione della
finanza chiamando al tavolo i paesi emergenti, di porre sotto controllo la
speculazione sulle materie prime, in particolare quelle alimentari, di
tendere una mano alle nazioni più povere.
Quanta diseguaglianza può reggere la società? Fino a quando le
oligarchie economiche potranno tenere in scacco le istituzioni della
democrazia? Come si può dare vita ad un
modello di sviluppo che rispetti l’ambiente e non distrugga il pianeta? Sono
interrogativi che chiamano in campo la grande politica: la politica che sa
indicare un orizzonte, che riorganizza le forze, che muove
interessi e gruppi sociali, che induce un nuovo modo di pensare. Solo su
questo si può fondare un nuovo partito, sulla ricerca di una base
comune per condividere i pensieri e le azioni con i quali vivere il mondo
nuovo, altrimenti si scivola nelle dispute della
gestione dell'esistente.
Democratici del XXI secolo
L’impeto della trasformazione ha sopravanzato il potere di regolazione e di
controllo; la crisi tuttavia dimostra che senza regole né controlli non
esiste vero sviluppo. Si è dimostrata impraticabile la via di una
crescita economica che non tenga conto dei limiti dell'ecosistema,
costringendoci ora ad una impegnativa corsa alla
riduzione delle emissioni per affrontare la crisi climatica.
La causa fondamentale della crisi viene da lontano: da oltre un quarto di
secolo, infatti, i redditi da lavoro perdono potere d’acquisto ed esplodono
le disuguaglianze. Col prevalere di una finanza sempre più
spregiudicata, la ricerca del profitto si è separata dalla creazione
di valore economico e sociale. La speculazione ha vinto sulla produzione e
l’appropriazione sregolata in economia è divenuta oligarchia in
politica, spesso in versione tecnocratica. Si è incrinato il grande patto
nazionale tra capitalismo e democrazia che aveva segnato il Novecento e si
è imposto quel “pensiero unico” neoliberista che ha influenzato anche
tanti riformisti.
La globalizzazione ha inciso sulla vita di ciascuno di noi, offrendo
straordinarie opportunità e aprendo nuovi orizzonti alla conoscenza.
Il ruolo della donna nella società misura ormai il livello della
democrazia in tante parti del mondo, come si è visto anche nella
recente rivolta democratica in Iran. Ma la globalizzazione ci ha portato anche
le paure sotto casa e ci ha spinto ad una
competizione senza limiti e a volte senza diritti. In ogni campo, ci mette di
fronte a nuove impegnative questioni che impongono un ritorno alle radici
dell'umanesimo.
Perché dunque abbiamo chiamato “democratico” il nostro partito? Solo per
evitare di pronunciare parole più impegnative o per segnare il campo
post-ideologico? No, il partito si chiama “democratico” perché si misura con
i problemi fondamentali della democrazia del nostro tempo.
L'Europa e i riformisti
La crisi restituisce attualità alle idee di fondo
del riformismo: non c’è crescita senza qualità sociale e giusta
redistribuzione delle risorse; ci vuole cura dei beni collettivi e
dell’ambiente; le politiche pubbliche devono regolare lo sviluppo e
assicurarne la sostenibilità; la cooperazione internazionale è
la via maestra per promuovere la pace. Nessun cittadino, nessun
ceto sociale, nessun Paese può progredire davvero bene se anche gli
altri non trovano la strada per stare un po’ meglio. Tutto ciò fa
appello ai riformisti, ma, al contempo, rivela l’esaurimento delle risposte
che essi hanno dato nel corso del Novecento. Ritrovare l’orgoglio della
tradizione e affrontare con coraggio la strada dell’innovazione è il doppio imperativo che ci sta di fronte. Non
aver perseguito né l’uno né l’altro ha lasciato campo libero alle destre in
Europa.
Gli Stati Uniti hanno saputo reagire al pericolo di una crisi di egemonia dando vita ad una leadership democratica capace di
imprimere un nuovo senso alle relazioni internazionali. Lo stesso avviene in
tanti altri paesi, dal Brasile all’India. Perché l’Europa va in senso
contrario? C'è una causa materiale, perché il grande compromesso
sociale realizzato dal riformismo europeo è stato scosso dalla
competizione globale che ha aggredito i diritti del lavoro. Ma c'è anche una responsabilità delle forze
progressiste che hanno governato quasi tutti i paesi europei negli anni
Novanta. Anziché procedere con un balzo in avanti dalla moneta unica
all’unità politica dell’Europa, quasi tutte le sinistre, anche le
più coraggiose nella revisione ideologica,
sono rimaste prigioniere del limite più grave dell’esperienza
socialdemocratica: la dimensione nazionale. Le forze progressiste del
continente devono compiere oggi il passo che mancò allora: iscrivere
all’ordine del giorno il rilancio dell’unità politica europea e il
rafforzamento della sua legittimità democratica e istituzionale
L’Alleanza dei democratici e dei socialisti nel Parlamento europeo non
è solo un felice approdo, ma un punto di partenza e un orizzonte per
una ricerca comune, oltre i confini delle culture politiche del Novecento. I
progressisti in Europa hanno bisogno di innovazione.
Noi, il Pd, siamo nati da una grande innovazione politica e possiamo quindi
dare un contributo originale. Qui abbiamo un merito e una
responsabilità.
In Europa per l’Italia
L’orizzonte europeo è la certezza dei riformisti italiani. Il nostro
europeismo nasce dalla necessità di contribuire al governo democratico
mondiale e, insieme, di promuovere la modernizzazione dell’Italia.
Non aver dato attuazione al piano Delors e al trattato di Lisbona rischia di
causare una disaffezione e un ripiegamento del progetto europeo, che mantiene
invece intatte le sue potenzialità.
L’Unione Europea è la forma più avanzata di governo
multilaterale e democratico della globalizzazione; il suo modello sociale
è visto in tante parti del mondo come la migliore risposta alla crisi.
Per non smarrire le opportunità serve una ripresa coraggiosa della
politica comune: una cooperazione per il governo dei flussi immigratori,
specie nel Mediterraneo; un'azione diplomatica congiunta, innanzitutto per la
soluzione dei conflitti mediorientali; una rigorosa applicazione degli
obiettivi di riduzione dell'inquinamento; il
finanziamento di progetti europei per la ricerca e le tecnologie.
Ma la vera novità deve essere un Piano
Europeo per il lavoro, per rilanciare la crescita economica e lo sviluppo
sostenibile, cioè un patto politico tra governi, forze sindacali e
produttive per finanziare ristrutturazioni nel settore bancario e
manifatturiero; promuovere una politica industriale condivisa; realizzare
infrastrutture europee; sostenere la nuova occupazione e le piccole e medie
imprese; attuare un programma di sostegno al reddito e di formazione per i
lavoratori coinvolti nei processi di ristrutturazione industriale.
L’Italia a sua volta ha bisogno dell’Europa, perché in questa dimensione le
sue virtù vengono esaltate e i difetti
avviati a soluzione. Non a caso l’adesione all'Euro, voluta da Prodi e
Ciampi, è stata la più grande riforma italiana dell’ultimo
quindicennio. L’Europa può oggi aiutarci a valorizzare merito e
responsabilità, accelerare il ricambio generazionale, modernizzare le
reti tecnologiche, promuovere la parità fra i sessi, migliorare le
politiche ambientali e ampliare la sfera dei diritti.
UN PAESE CHE MERITA DI PIU'
I tessuti connettivi del Paese sono sempre stati deboli. In assenza di
profonde riforme rischiano ora di sfilacciarsi sotto la pressione della
globalizzazione. E' a rischio la coesione del Paese, non solo nell'antico
squilibrio tra Sud e Nord, ma nell’intera organizzazione sociale: tra
un’aristocrazia economica da una parte e classi medie impaurite dall'altra,
tra chi si arricchisce con le rendite e chi si impoverisce
lavorando, tra chi sa e chi non saprà mai, tra chi scommette sul
futuro e chi recinta l’esistente.
Lavoro e cittadinanza
La prima, fondamentale frattura nasce
dall'indebolimento del lavoro, in netto contrasto con la sua rilevanza
nell'economia della conoscenza. Le conseguenze si sono sentite sui redditi
dei lavoratori dipendenti, rimasti bloccati in termini reali, sulle donne
trattate spesso come anello debole, e sui giovani che hanno subito una
precarizzazione senza diritti. Troppe volte, in primis con le inaccettabili
morti bianche, è venuta meno quella dignità del lavoro che la Costituzione pone a
fondamento della cittadinanza. Se il lavoro perde dignità, anche la
democrazia si indebolisce. E per dare forza al
lavoro è decisivo il rinnovamento delle forze sindacali,
insostituibili fattori di arricchimento della democrazia.
Nella cittadinanza il lavoro si esprime come attività umana che
contribuisce a regolare le relazioni sociali, oltre la contrapposizione tra
lavoratore e impresa.
Noi italiani conosciamo meglio di altri il nesso profondo fra lavoro e
cittadinanza, perché è alla base di quelle strutture economiche che il
mondo ci invidia, i distretti e le filiere produttive dove la cultura del
lavoro è radicata nelle reti sociali, nei rapporti tra imprenditori e
dipendenti, nelle identità del territorio e nella cooperazione dei
saperi.
Ci sono natura, storia e conoscenza
nella crescita italiana.
Curare l'ambiente in cui viviamo richiede un
cambiamento di comportamenti, di priorità e di convenienze. Tutto
ciò è anche occasione per nuovi investimenti e crescita
economica. Una vera green economy è anche una green society,
cioè in definitiva società della conoscenza: nuove produzioni e
nuovi consumi, saperi e diffusione di tecnologie, formazione e buone
pratiche. Per questo bisogna curare i preziosi giacimenti di ricerca
scientifica e di produzioni culturali che contengono la principale ricchezza
del Paese. E’ una sfida impegnativa, resa ancora più urgente dalla
crisi climatica e che vede in prima fila nel mondo le forze democratiche.
Non partiamo da zero. Grazie ai governi di centrosinistra milioni di italiani hanno scoperto i vantaggi dei pannelli solari,
del recupero edilizio e del risparmio energetico, mentre migliaia di piccole
imprese si sono giovate con il programma Industria 2015 di filiere produttive
per le energie rinnovabili, per la mobilità sostenibile, per i beni
culturali e il “Made in Italy”. Ora è maturo
un salto di qualità: l'Italia può
diventare un Paese all'avanguardia nell'utilizzo delle fonti rinnovabili e
per il risparmio energetico e su queste basi si può assegnare al
Mezzogiorno una missione di crescita tecnologica e di sviluppo economico.
Tutto ciò implica il ritorno di efficienti politiche pubbliche per
l'innovazione e lo sviluppo sostenibile. Sono indispensabili per sostenere la
domanda interna di consumi collettivi e beni comuni, aumentare la richiesta
di nuove tecnologie che non viene sufficientemente dal tessuto produttivo,
migliorare la qualità dell'organizzazione sociale, ridurre la
dipendenza energetica e in alcuni casi anche per riqualificare la spesa
pubblica.
Campo di applicazione ideale di tali politiche sono le città, i borghi
e i territori italiani. La bellezza italiana si sposa con le produzioni
immateriali dell’economia della conoscenza. E’ indispensabile una politica
nazionale del territorio in grado di cogliere l'occasione: la cura del ferro
nelle città, l’innovazione dell’industria edilizia verso bassi
consumi, l'abbattimento delle emissioni di carbonio, politiche per la casa in
affitto, le reti per le città digitali, la prevenzione dei rischi
nell’assetto idrogeologico, politiche per l'agricoltura di qualità e
la sicurezza degli alimenti, promozione del consumo
responsabile. Sapendo che ci sono natura, storia e
conoscenza nella crescita civile ed economica dell' Italia.
Fare le riforme
Una parte significativa del Paese prova a reagire
alla crisi con i propri mezzi. Non è aiutata dalle riforme, e anzi ha
perso la speranza che si possano attuare davvero. Su
questa delusione profonda prospera la destra, proteggendo le rendite,
perpetuando l’assistenzialismo, facendo finta di riformare e offrendo solo
scorciatoie di breve respiro alle legittime istanze
dei settori produttivi
Su questa contraddizione il Pd e tutto il centrosinistra devono lavorare con
serietà e impegno, consapevoli che tanti elettori votano a destra
perché ancora non percepiscono un'alternativa. Sono
lavoratori e professionisti, giovani e donne, innovatori e produttori che al
Pd non chiedono urla e proteste, ma una proposta praticabile per il governo
del Paese. Sono imprese che hanno bisogno di essere aiutate a superare la
crisi e possono diventare protagoniste del nostro progetto. Sono ceti
popolari che soffrono a causa di bisogni primari insoddisfatti e classi medie
che avvertono il rischio di impoverimento. Bisogna
affiancare coloro che fanno i conti con la crisi.
Bisogna esserci. Per suscitare un progetto, un orizzonte di cambiamento. Come
hanno saputo fare i democratici americani.
Abbiamo fiducia nel nostro Paese
Il nostro è un Paese che fa fatica a cambiare. Noi ne siamo parte, sia
nei pregi sia nei difetti, e abbiamo la responsabilità di aiutarlo a
migliorare. Per questo abbiamo fiducia nell'Italia. Solo chi stima un Paese
è davvero in grado di riformarlo, perché conosce i punti di forza su
cui agire. Le virtù dell'Italia sono tante, il difetto uno solo, da
tanto tempo: non vince ancora la voglia di futuro.
Girare il Paese verso il futuro vuol dire puntare sulla nuova generazione che
è in movimento ma non trova ancora
rappresentanza: si fa avanti nel lavoro, nell’impresa e nelle professioni,
nella cultura e nell’innovazione, nell’impegno sociale politico, fra le donne
e fra gli uomini. E oggi chiede di voltare pagina: chiede
un’Italia più giusta, più efficiente, più moderna,
più libera. È al servizio della nuova generazione che è
nato il Pd. Ai giovani è chiesto di raccogliere il testimone delle
radici del movimento democratico: prendere le parti ed
il punto di vista di chi lavora e produce, di chi è più debole
e subordinato per costruire una società migliore per tutti.
DA DOVE RIPARTIRE
In passato sono mancati i punti riconoscibili della nostra proposta al Paese,
ora dobbiamo concentrarci sulle questioni più gravi: la cattiva
distribuzione della ricchezza e il blocco della mobilità sociale.
Per diventare un Paese meno diseguale l'Italia deve dotarsi di una moderna
rete di sicurezza sociale: riqualificare l’intervento pubblico e promuovere
una nuova alleanza tra Stato, terzo settore e privati ispirata al principio
di sussidiarietà, nella chiarezza delle responsabilità.
Riformare il welfare vuol dire superare il dualismo del mercato del lavoro,
che colpisce soprattutto i giovani, aprendo dei processi univoci di inserimento e di stabilità del lavoro; sostenere
le famiglie e i loro redditi; introdurre un reddito minimo di inserimento;
estendere la qualità del sistema sanitario e renderlo sostenibile;
aiutare i non autosufficienti. Ma l'obiettivo
principale della riforma del welfare consiste nell'innalzare la
qualità dei servizi in modo da offrire alle donne una base sicura per
affrontare i diversi momenti della vita, dal lavoro, alla maternità,
all'istruzione alla cura delle relazioni. Da questa base è possibile
promuovere la piena e buona occupazione femminile, superando il pesante
divario dell’Italia rispetto agli altri paesi europei e realizzando,
così, una condizione essenziale per la crescita e la
competitività.
Chi non trova lavoro o ha perso il lavoro,
dipendente o autonomo, deve poter contare su un sostegno universale al
reddito e su efficaci servizi pubblici di formazione e reinserimento. Bisogna
occuparsi di salario minimo, anche per vie contrattuali, sollecitare una
contrattazione che assicuri il potere d’acquisto e distribuisca meglio i
guadagni di produttività. Va garantita nei fatti, e non a parole, la
sicurezza nei luoghi di lavoro.
L’innalzamento flessibile e volontario dell’età pensionistica
va favorito, ma al contempo è necessario estendere la contribuzione
figurativa per i periodi di disoccupazione, di formazione o di esercizio di
responsabilità famigliari per innalzare gli importi delle future
pensioni.
Queste politiche sono sostenibili con un nuovo patto di fedeltà
fiscale, anche per eliminare distorsioni della concorrenza, basato su una
più equa distribuzione del carico tra i contribuenti e su meccanismi
che inducano l'emersione, la trasparenza, la tracciabilità nella
formazione dei redditi e delle basi imponibili.
Per affermare una reale eguaglianza delle opportunità occorre una
rivoluzione copernicana che ponga al centro il merito e la
responsabilità. L'Italia ha bisogno di una nuova stagione di
liberalizzazioni: meno barriere di accesso alle professioni, più
concorrenza nei servizi, imprese maggiormente contendibili, autorità
realmente indipendenti, class-action a difesa dei
consumatori. Agli imprenditori che scommettono sull'Italia
il Pd deve proporre le riforme necessarie per competere: incentivi per la
capitalizzazione, gli investimenti produttivi e la ricerca e sviluppo; un
rapporto proficuo con le banche e con la pubblica amministrazione, meno tasse
e meno burocrazia; infrastrutture materiali e immateriali degne di un Paese
europeo.
Il Paese chiede molto alla scuola italiana. È chiamata ad aiutare la
mobilità sociale, a mantenere unito il Sud e il Nord, a coltivare e
praticare l’accoglienza degli immigrati, a rilanciare l’educazione
permanente, a ripensare l’insegnamento tecnico per adeguarlo ai modi di
produzione contemporanei. Per questo bisogna anche aiutare
la scuola a cambiare: lontana dalle burocrazie ministeriali e ricca di
autonomie, pronta a riconoscere i meriti, capace di valutare i
progressi raggiunti rispetto ai livelli di partenza, generosa nel restituire
motivazione civile e professionale ai docenti. Scuola, università e
ricerca sono la prima fonte di energia per il Paese. Le università e
gli enti di ricerca devono diventare le migliori istituzioni italiane. Ci
vorrà molto impegno. Si può cominciare con nuove regole di
finanziamento per aumentare i fondi a enti e atenei che raggiungono i
migliori risultati scientifici, che sono inseriti nelle reti internazionali e
che riconoscono i talenti dei giovani. Anche così si riporta il merito
dal cielo alla terra.
Riformare lo Stato per mantenere unita l'Italia
Il principale problema italiano è se in futuro si potrà ancora
parlare di Repubblica una e indivisibile. Molti, dapprima soltanto al Nord e
ora anche al Sud, dichiarano apertamente che è meglio fare da soli.
Questo spirito di separazione non riguarda soltanto lo squilibrio
territoriale, ma pervade il corpo sociale e lo spirito pubblico. Rinnovare il
patto di unità nazionale è il compito storico-politico del
Partito democratico, è l’anima del nostro progetto.
La modernizzazione del Paese è il linguaggio comune di una nuova
reciprocità tra Nord e Sud: le riforme che si muovono in questa
direzione rispondono alle domande del Nord ma, al contempo, mettono anche in
movimento il Sud. Al Sud, la nostra ambizione è quella
di pronunciare la parola “Mezzogiorno” in una prospettiva rinnovata.
Gli investimenti devono essere garantiti, non rubati, né rapinati né
dispersi. Sono necessari meccanismi automatici, non intermediati, per
sostenere gli investimenti di impresa e premiare chi
raggiunge determinati standard di servizi. C'è bisogno di perequazione
delle infrastrutture e dei beni collettivi. Il Sud potrà svilupparsi
davvero soltanto se messo in condizione di farlo con le proprie forze.
La divisione nasce dalla crisi dello Stato, ormai causa del rancore del Nord
e strumento di dipendenza al Sud. Riformare lo Stato quindi, è l'unica
via per mantenere unita l'Italia. Il federalismo responsabile e solidale
è la rotta da seguire per avvicinare le istituzioni ai cittadini. Esso
affonda le radici nel patrimonio delle culture autonomistiche e popolari di
cui siamo eredi. Le sfide per l'immediato futuro si chiamano attuazione del
federalismo fiscale, razionalizzazione e riforma delle autonomie locali,
trasformazione del Senato in Camera delle Regioni e delle Autonomie. Ma lo Stato va anche riorganizzato secondo il principio
della sussidiarietà orizzontale, valorizzando le energie di civismo
democratico, del terzo settore e del volontariato.
Un’Italia unita da Nord a Sud fa bene prima di tutto agli italiani: accresce
la nostra ricchezza e la nostra creatività, ci rafforza a livello
internazionale.
Legalità è democrazia
C’è in Italia una crisi di legalità che erode le basi
dell’organizzazione civile. Parte del territorio è presidiato
dalle mafie, settori dell’economia sono intrecciati con la
criminalità; l’abusivismo continua a sfigurare il Bel Paese, i diritti
spesso diventano favori; continua l’odiosa violenza contro le donne, il
lavoro nero cancella l’uguaglianza e, troppe volte, la vita; imprese e cittadini
spesso non possono contare in tribunale sul giusto risarcimento di un danno
subito.
Se a tutto ciò aggiungiamo le attività criminali legate
all’immigrazione irregolare, è facile
comprendere perché esploda l’insicurezza dei cittadini, e soprattutto dei ceti
più disagiati, costretti a pagare il prezzo dei nuovi venuti, oltre a
quello più pesante della crisi, senza vederne alcun vantaggio. La
legalità deve garantire la sicurezza, la prevenzione e il contrasto di
fenomeni criminali che ostacolano la convivenza civile e alimentano le paure.
Su questi temi possiamo passare all’attacco. Il centrodestra, infatti, agita
il problema della sicurezza, ma aggrava ogni giorno la crisi di
legalità con i condoni. Per proteggere il suo leader non esita a
indebolire gli strumenti di controllo dei corpi dello
Stato. La legalità non ha a che fare con il colore della pelle, e
neppure con il taglio dell’abito. O è per tutti, oppure non è
legalità. Noi crediamo che la legge debba essere uguale per tutti: per
i ricchi e per i poveri, per gli italiani e per gli stranieri, per i giudici
e per i politici, per chi è famoso e per chi non lo è. La
domanda di sicurezza va presa sul serio, con una strategia coerente attenta a
favorire la libertà invece di soffocarla, a creare un sistema moderno
di certezze e di garanzie giuridiche, ad accrescere la convivenza civile.
Vogliamo progettare la sicurezza mettendo a fattor comune le diverse risorse
istituzionali e sociali, forze di polizia, magistratura, enti territoriali, polizie locali, associazionismo civile e servizi alla
persona, assicurando la qualità del lavoro svolto dagli operatori
pubblici che hanno il dovere di tutelare la comunità.
Per realizzare le riforme abbiamo bisogno non soltanto dell’efficienza, ma
anche del buon nome della pubblica amministrazione. Che si ottiene, come per
le politiche industriali, attraverso meccanismi permanenti di riforma nelle
molte e diverse strutture pubbliche, con strumenti efficaci di valutazione
dei risultati e coraggiosi ripensamenti dell'organizzazione del lavoro, anche
utilizzando l'occasione delle nuove tecnologie.
La destra preferisce insultare la pubblica amministrazione, senza riformarla.
E quale credibilità può avere il
governo delle leggi ad personam per chiedere ai
dipendenti pubblici di essere irreprensibili? Una riforma sana e virtuosa
dell’amministrazione comincia dall’alto, con il buon esempio della politica.
È una sfida anche per noi. A cominciare dai costi della politica che
devono essere equiparati ai costi medi nei principali Paesi europei. Il Pd ha
il compito di dare al Paese una classe politica di alto profilo morale,
sobria nei comportamenti, animata dallo spirito di servizio e di rispetto per
le istituzioni e la comunità. Ci sono nel territorio molti nostri
giovani amministratori, cresciuti con questo impegno, da promuovere e da
valorizzare.
Laicità e valori condivisi per
un’Italia più civile
Molti si sono chiesti se l’Italia stia perdendo le antiche virtù
democratiche. Non è così. Di certo, però, è
mancato un contrappeso culturale ai rischi di regressione civile. È
venuta l’ora di richiamare ad alta voce altri valori e altri principi: che il
momento più alto di una democrazia si rivela quando il potente china
il capo di fronte alla legge; che il mio benessere aumenta se anche l’altro
migliora le sue condizioni; che le classi dirigenti devono educare i giovani
con il buon esempio nello studio e nel lavoro.
Bisogna puntare sulle energie civili del Paese che si esprimono ogni giorno
nell'impegno sociale, nella partecipazione politica, nel volontariato, nei
piccoli gesti di amicizia della vita quotidiana ed emergono con forza nei
grandi momenti della vita nazionale, da ultimo nella solidarietà con
il popolo abruzzese colpito dal terremoto.
Negli ultimi decenni il rapido sviluppo delle scienze, il movimento e
l'incontro di persone, culture e stili di vita su scala planetaria, hanno investito l’umanità con nuovi interrogativi
etici. Dove la crescita dell'informazione, della cultura e della
responsabilità personale e istituzionale non sono altrettanto veloci,
queste straordinarie opportunità di progresso suscitano rapidamente un
regresso civile e morale: demonizzazione dello straniero e del diverso, nuove
forme di sfruttamento, oscurantismo, umiliazioni della dignità della
donna, paura del progresso, nuovi fondamentalismi, chiusure identitarie. Questi rischi sono ben presenti nel nostro
Paese. Su questo terreno culturale e morale il Partito Democratico intende
impegnarsi, contribuendo giorno per giorno, casa per
casa, alla crescita e al rilancio di un maturo spirito pubblico italiano ed
europeo.
Il principio di laicità è la nostra bussola, la via maestra di
una convivenza plurale. La laicità si nutre di rispetto reciproco e di
neutralità – che non significa indifferenza - della Repubblica di
fronte alle diverse culture, convinzioni ideali, filosofiche, morali e
religiose. È anche impegno per la loro salvaguardia,
promozione del dialogo interculturale e interreligioso, mutuo apprendimento:
purché, naturalmente, tutti accettino un comune spazio pubblico di confronto
e incontro nel quale gli unici principi non negoziabili siano quelli della
Costituzione italiana e della Carta dei diritti dell'Uomo.
In questo spirito i democratici hanno formulato proposte di legge largamente
condivise sulle convivenze civili, sul testamento biologico e sulla
libertà religiosa, che vanno rilanciate senza tentennamenti in
Parlamento e nel Paese.
Dialogo e accoglienza sono anche i principi che si devono seguire per
l’integrazione degli immigrati. E’ una buona legge sull’immigrazione quella
che produce più legalità e più inclusione, non quella
che preclude agli stranieri i percorsi regolari o li
lascia ai margini della società.
La stragrande maggioranza degli stranieri è in regola, vive in Italia
da anni, spesso svolge un lavoro che noi non vogliamo più fare. A
queste persone vanno riconosciuti i diritti civili e politici. Abbiamo
bisogno degli stranieri quanto loro hanno bisogno di noi; senza dimenticare
che, fino a qualche decennio fa, eravamo noi italiani ad
emigrare, a milioni.
Sull’immigrazione, abbiamo bisogno di regole chiare che dicano come si fa ad entrare in Italia e a stare in regola, come si
incontrano domanda e offerta di lavoro, come si può avere in tempi
certi il permesso di soggiorno. I flussi di ingresso
devono corrispondere al fabbisogno occupazionale e rendere sostenibile
l’inclusione dei nuovi cittadini.
Da soli si può fare poco
Il progetto che ci ispira non è compiuto: non è esaurita la
questione dell’incontro tra culture ed esperienze politiche progressiste
ancora oggi divise. Vogliamo essere chiari su questo punto: non c’è un
Pd in cui confluire. C’è invece un vasto campo di forze di sinistra,
riformiste, laiche e ambientaliste che ha cominciato ad
unificarsi e alle quali è giusto guardare con attenzione, così
come a tutte quelle forze di opposizione che incarnano valori importanti. Per
loro, per noi, il Pd è la casa comune dei riformisti da costruire
insieme.
La vocazione maggioritaria non significa rifiutare le alleanze, ma, al
contrario, renderle possibili, perché costruite nella chiarezza, sulla base di vincoli programmatici. Non consiste
nell’autosufficienza, ma nella capacità di ritrovare una funzione di
rappresentanza popolare, e nell’impegno ad elaborare
un progetto di governo che convinca il Paese. Non possiamo più
confondere il bipolarismo, che è una conquista della nostra
democrazia, con il bipartitismo, che non ha fondamento nella realtà
storica, sociale e politica del Paese.
Il primo banco di prova verrà dalle elezioni regionali del 2010.
Sarà necessario sperimentare su basi programmatiche larghi
schieramenti di centrosinistra, alleanze democratiche di progresso
alternative alla destra. Il nostro impegno comincia ora. I tanti italiani
delusi da Berlusconi devono trovarci pronti, quando si volteranno dalla
nostra parte.
Sul piano istituzionale noi scegliamo un modello parlamentare rafforzato in
alternativa a formule più o meno mascherate
di presidenzialismo, una legge elettorale chiara e non stravolgente
l’architrave costituzionale, da elaborare in collaborazione con chi crede ad
un bipolarismo maturo che renda l’elettore determinante nella scelta degli
eletti e del governo. Poiché noi crediamo nella struttura portante della
nostra Costituzione intendiamo limitare le modifiche
agli interventi essenziali per realizzare gli obiettivi indicati. E
intendiamo anche risolvere il problema del conflitto di interessi
che in tutti questi anni è andato aggravandosi, mettendo in pericolo
la libertà di informazione, il rango civile del Paese e perfino
l’immagine internazionale.
NOI, I DEMOCRATICI
L'identità plurale dei democratici nasce dalla sintesi delle culture fondative dell'Ulivo. Nell'avvio del Pd si è
pensato che l'eclettismo potesse allargare gli orizzonti e accrescere i
consensi. Non è stato così. In futuro, a
partire dall'azione politica concreta, dovremo porre molta cura nella
ricerca e nell'elaborazione della nostra identità culturale di fronte
ai grandi temi del mondo contemporaneo.
Noi siamo un partito popolare perché ci rivolgiamo ad
un vasto arco sociale, dai ceti meno abbienti, ai ceti produttivi, alle nuove
generazioni, e perché decidiamo di essere presenti in ogni luogo con
esperienze e linguaggi legati alla vita reale delle persone. Non siamo
classisti, non siamo elitari, non siamo populisti
perché pensiamo che tutti possano, anzi, debbano ragionare con la propria
testa.
Noi siamo un partito riformista perché crediamo che l’uomo possa cambiare le
cose e che le cose possano essere migliorate. Per
questo abitiamo dove abitano le forze progressiste
ovunque nel mondo e per questo partecipiamo da protagonisti all’Alleanza fra
socialisti e democratici nel Parlamento europeo.
Noi siamo un partito dell’uguaglianza secondo l’ispirazione del cattolicesimo
democratico e della sinistra democratica e liberale
perché crediamo in un mercato aperto e regolato, ma non intendiamo affidare
al mercato il controllo di beni essenziali come la salute, l’istruzione e la
sicurezza.
Noi siamo il partito delle donne e degli uomini perché crediamo che la
differenza di genere sia una risorsa per la democrazia e per promuovere lo
sviluppo umano. Nel secolo passato è stata una grande forza del
cambiamento della società, dal suffragio universale, alle lotte di
emancipazione, all'obiettivo delle pari opportunità,
dell’autodeterminazione e della libertà di scelta. Con la sua concreta
azione riformatrice il Pd invera questi principi nell’Italia di oggi e di
domani.
Noi siamo un partito laico perché rispettiamo le fedi e le convinzioni morali
di ciascuno. Siamo convinti che lo Stato sia la casa di tutti e che si debba
garantire a tutti libertà di coscienza e di culto
e che si debbano tener distinte le convinzioni religiose, filosofiche e
morali - nutrimento del cammino esistenziale di molti - dalle leggi che regolano
i comportamenti di tutti.
Noi siamo il partito dei lavori e dei ceti produttivi. Vogliamo tornare nei
luoghi in cui si fatica e si produce, ascoltare chi intraprende e chi rischia
in proprio. Vogliamo promuovere una nuova dignità del lavoro contro la
rendita e il profitto sganciato dal merito. Vogliamo parlare a chi il lavoro
non ce l'ha o convive con insopportabili forme di
precariato. Vogliamo contrastare ogni forma di sfruttamento e insicurezza,
così come la conservazione corporativa di privilegi e monopoli.
Noi siamo il partito dei diritti civili perché crediamo nella dignità,
nell’autonomia, nella libertà, nell'uguaglianza di tutte le persone;
siamo contrari ad ogni forma di discriminazione e
contrari ad uno Stato che tenda a sostituirsi alla libertà e alla
responsabilità dell'individuo.
Noi siamo un partito ambientalista perché siamo consapevoli che la Terra è una sola.
Il rispetto per l’ambiente è il rispetto che
dobbiamo alla nostra stessa casa. Non crediamo che sviluppo
e ambiente siano fra loro alternativi: al contrario, l’ambiente è una
risorsa essenziale per la crescita sostenibile, per l’innovazione e il
ripensamento dei modelli di consumo.
Noi siamo il partito dei territori e della sussidiarietà. Per noi non
c'è un centro che decide e una periferia che obbedisce, ma un
equilibrio virtuoso tra i diversi livelli decisionali, sia per quanto attiene
alle istituzioni che per il Partito.
Noi siamo il partito dei giovani perché scommettiamo sul futuro del nostro
Paese stando dalla parte di chi bussa alla porta e non di chi la tiene
chiusa. Per restituire ai giovani il desiderio di cambiare
il mondo.
Noi siamo il partito della conoscenza e dei saperi perché abbiamo fiducia
nell’ingegno umano, crediamo che senza sapere non ci sia libertà, consideriamo
prezioso il riconoscimento dei meriti dei giovani ricercatori. Ci impegniamo
a difendere la libertà della ricerca scientifica e intellettuale, a
promuovere l’accesso universale alla conoscenza, a garantire la libera
circolazione dei saperi.
Noi siamo il partito dei cittadini e del nuovo civismo perché crediamo nella
libertà dell’individuo e nelle risorse di una comunità
solidale. Ciò trae forza e senso da antiche radici, che oltrepassano
largamente le vicende degli ultimi decenni. Radici di emancipazione e di
riscatto, di autorganizzazione, di solidarietà, di autonomia che furono premessa vivente delle grandi formazioni politiche
popolari all’affacciarsi del secolo scorso. Si formò allora l’idea che
prendendo le parti di chi lavora e produce e di chi è più
debole e subordinato, sia possibile costruire una società migliore per
tutti. Noi quella società vogliamo costruire, non solo immaginare.
NOI, IL PARTITO DEMOCRATICO
La questione che ci siamo posti nei mesi scorsi non è se essere un
partito “vecchio” o un partito “nuovo”, ma se essere davvero un partito:
cioè una libera associazione di cittadini dotata di identità
riconoscibile, organizzazione interna, radicamento sociale, luoghi di
discussione e partecipazione, nonché di regole liberamente accettate e
condivise. Non aver chiarito questi punti fondamentali ha indebolito il
cammino iniziale del Pd. All’indomani delle primarie abbiamo deluso sia chi
era legato a forme di militanza più tradizionali, sia chi si aspettava
nuove forme di partecipazione politica e di coinvolgimento sociale. Abbiamo
disperso un tesoro immenso, coltivando un’insensata contrapposizione tra
elettori e iscritti, quando proprio gli elettori ci
chiedono più presenza organizzata nei territori e nella
società. Abbiamo un elettorato esigente e intelligente, una forza
civile disposta a sostenerci nel voto e non solo. Il Pd deve rappresentarla
compiutamente in ogni momento e in ogni sede.
Che cos’è un partito?
1. L’idea di partito ha a che fare con l’idea di democrazia. Rifiutiamo i
modelli plebiscitari e riaffermiamo il valore dell’art. 49
della Costituzione. I partiti sono strumenti di partecipazione, di formazione
civile, di impegno individuale e collettivo, di
mediazione virtuosa tra società e istituzioni, di proposta e di indirizzo,
di selezione democratica della classe dirigente.
2. Un partito è una comunità di donne e di uomini che vive di
rispetto, amicizia, pari dignità e lealtà reciproci. Le
iniziative popolari e le feste sono parte essenziale dell’attività di
partito, così come la promozione di strumenti
nuovi di comunicazione e socializzazione. La Rete non sostituisce, ma amplia le
possibilità di comunicazione e di interazione
ad ogni livello.
3. Un partito si organizza in circoli presenti in ogni comune o quartiere,
nei luoghi di lavoro e di studio, nelle comunità all’estero, ma
può aprirsi davvero agli elettori solo se è radicato e
riconosciuto nel Paese. Si apre alle energie più fresche della
società tramite una forte organizzazione giovanile. E' riconosciuto da
quelli che rappresenta e allo stesso tempo è capace di riconoscere
altre forze sociali con cui fare un percorso comune e preparare il progetto
di governo, per non ricadere nel riformismo dall'alto. Per questo, nel
rispetto della reciproca autonomia, vanno coltivati rapporti con tutte le
organizzazioni sociali, del lavoro, dell’impresa, dei consumatori, del
volontariato.
Cosa significa democratico?
1. Il Partito democratico è un partito di iscritti
e di elettori che persegue la parità di genere nelle responsabilità
politiche. La sovranità appartiene agli iscritti, che la condividono
con gli elettori nelle occasioni regolate dallo statuto. Agli iscritti sono
riconosciuti diritti fondamentali come la partecipazione alle decisioni ai
vari livelli (anche attraverso referendum) e l’elezione degli organismi
dirigenti. Il Pd coinvolge gli elettori, attraverso le primarie, per
selezionare le candidature alle cariche elettive con particolare riferimento
alle elezioni in cui non sia presente il voto di preferenza. Partecipa alle
primarie di coalizione con un proprio rappresentante
scelto da iscritti e organismi dirigenti. Le primarie per l’elezione del
segretario nazionale richiedono nuove regole ispirate a due criteri: non
devono trasformarsi in un plebiscito e non possono essere distorte da altre
forze politiche. Le primarie vanno rese più efficaci, rendendo
più chiaro il meccanismo di partecipazione. L'albo degli elettori deve
essere effettivamente pubblico e certificato.
2. Il Partito democratico è un partito nazionale organizzato su base
federale. I rimborsi per le elezioni regionali, le entrate del tesseramento e
delle feste, i contributi degli amministratori, sono destinati ai circoli e alle organizzazioni provinciali e regionali.
Parte del finanziamento elettorale nazionale ed europeo va destinata a
progetti di radicamento del partito nella società. Gli organismi
dirigenti nazionali saranno formati per la metà da rappresentanti
designati dai livelli regionali.
3. Gli organismi dirigenti ad ogni livello saranno composti
in un numero ragionevole per consentire una discussione politica efficace e
scelte consapevoli. Lo statuto garantisce i diritti dei singoli iscritti e
delle minoranze. Gli organismi dirigenti hanno il dovere di ricercare
attraverso l'aperto confronto delle opinioni la
posizione comune da assumere nelle sedi politiche e istituzionali. Le deroghe
rispetto alle posizioni comuni dovranno esprimersi sulla
base di criteri valutati da un organo statutario. In ogni caso il Pd
considera il pluralismo interno una ricchezza
irrinunciabile e un motivo di orgoglio.
Per tutte queste ragioni, con tutti questi impegni vogliamo costruire insieme
un Paese da amare, un’Italia dove sia bello vivere,
lavorare, crescere i propri figli. Con il Partito democratico.
Mozione congressuale in
sostegno della candidatura di Dario Franceschini a segretario
del Partito Democratico
Fiducia, Regole,
Uguaglianza, Merito, Qualità Le cinque parole chiave del nostro PD
Attorno a noi sta cambiando tutto.
Quando ho pensato al mondo in cui si muove il Partito Democratico, la mia
mente è stata assalita da una quantità di immagini,
di scatti, di oggetti, di istanti, che segnano la spaventosa velocità
del cambiamento in cui ha agito politicamente l’ultima generazione e che ci
obbligano a pensare in termini nuovi.
E’ un mondo che ha impiegato 10.000 anni per raggiungere nel 1900 un miliardo
di abitanti e che ne ha messi solo altri 110 per moltiplicarsi per 7 (e due
su cinque di quegli abitanti sono o indiani o cinesi).
Un mondo che corre così veloce che i padri spesso non sanno usare i
giochi dei loro figli, in cui i computer costano 1000 volte meno di 30 anni fa; un mondo che riscopre una identità
nomade dove il recapito telefonico e l’indirizzo postale non sono più
associate al territorio ma viaggiano con te. Tutto corre nell'economia,
nell'informazione, nelle nostre vite. E questa velocità sempre
più folle sembra travolgere le nostre certezze, come se ci togliesse
ogni appiglio, come se ci togliesse fiato, spingendo
anche noi a correre. A correre senza una meta, a correre
perché tutto si consuma in fretta attorno a noi e quindi bisogna vivere in
fretta. Sembriamo condannati a vivere nel presente, incapaci di guardare
lontano, nelle nostre vite individuali come nelle scelte collettive e nella
politica. Incapaci di programmare, di fare oggi una scelta che non
darà frutti domani ma fra qualche anno, per noi o per chi verrà
dopo di noi. E' come camminare guardando la terra
che si calpesta anziché tenendo lo sguardo sull'orizzonte che si vuole
raggiungere. E' stato il modello di globalizzazione che è apparso trionfalmente vincente e indistruttibile sino alla
crisi di settembre, a trascinarci in questo incapacità di cercare il
futuro.
I miti della crescita inarrestabile, della competizione e del mercato senza
regole, hanno spinto a costruire sulla sabbia, a volere tutto e subito,
perché tutto è sembrato possibile e facile. In effetti, il mondo
emerso dal crollo del Muro di Berlino, il mondo del terzo millennio, è
un mondo che si è messo a correre, come mai
era successo prima. In meno di un quarto di secolo, il prodotto globale
è raddoppiato due volte. In questo stesso
periodo, in Asia, 400 milioni di persone sono uscite
dalla povertà. Tra il 2003 e il 2007, il reddito medio mondiale
è cresciuto ad un ritmo superiore al 3 per
cento annuo, il tasso più alto dell'intera storia umana. La crescita
dell'economia mondiale, sino alla crisi, è stata impetuosa, come mai
era stata prima. Ma è stata anche il frutto
di una contraddizione profonda. E' stata alimentata da tre grandi, crescenti
debiti americani: l'indebitamento delle famiglie, il deficit commerciale, il
debito pubblico, cui va aggiunto un quarto debito: quello energetico ed ambientale con i suoi enormi costi, in termini
ecologici e climatici. La crescita costruita scaricando il
benessere raggiunto nel presente sulle prossime generazioni, sul futuro dei
nostri figli e dei nostri nipoti. Dunque la crisi nella quale
l'economia globale è entrata nell'ultimo anno, al di
là dei fattori contingenti che l'hanno provocata, è la
crisi di un modello di capitalismo, miope e profondamente egoista. Il modello
che, esplodendo, ha consegnato al mondo il gigantesco problema di
riorganizzare il sistema economico mondiale su basi meno squilibrate,
cioè senza accumulare debito, senza penalizzare chi verrà dopo di noi, con meno diseguaglianze fra le persone e fra i
paesi. E' stato detto che il populista pensa alle prossime elezioni, il
riformista alle prossime generazioni. Ecco. La
destra italiana pensa sempre e solo alle prossime elezioni. Noi democratici
pensiamo prima di tutto alle prossime generazioni. Qui si apre lo spazio per
un nuovo riformismo. Un riformismo che abbia il coraggio di sfidare le destre
non rincorrendole, non limitandosi a proporre correttivi ai modelli economici
e sociali che ha imposto, ma mettendo in campo una
gerarchia di valori alternativa e proiettata sul futuro.
Questa deve essere la nostra sfida e la sfida dei
riformisti europei.
Il nostro principale campo di gioco, infatti, si chiama Europa.
Non è un’idea fuori moda.
Occorre tornare al coraggio e alla visione dei padri fondatori per capire la
grandezza del disegno.
L’obiettivo di una piena integrazione politica, di un’Europa che decide a
maggioranza anche su politica estera e difesa, che interviene nel momento
della crisi sui settori più deboli, che decide di più dove
serve e un po’ meno dove non serve più, quello è il nostro
obiettivo.
E ovunque sia stato nel mondo, fuori dall’Europa, dove lo Stato confinante
è ancora percepito come una minaccia potenziale, dove in una capitale
vicina si può ancora andare a combattere invece che come in Europa a
visitare un museo, studiare per un programma Erasmus,
fidanzarsi, là ho capito la grandezza del progetto europeo. E far
ripartire la crescita su binari nuovi dovrebbe essere anche il compito di
un'Europa che vuole tornare ad essere protagonista
nella ridefinizione del modello di crescita globale. E invece l'Europa
rischia di restare confinata in un ruolo secondario, non solo perché è
politicamente debole ma perché le manca una missione collettiva. E, non a
caso, le elezioni europee hanno messo in evidenza,
nel Vecchio Continente, una tendenza politica assai diversa rispetto a quella
che tante speranze ha suscitato nel mondo. Le due più grandi
democrazie del pianeta, di fronte alla crisi economica, si sono affidate ai
riformisti: ai democratici americani di Obama o ai
progressisti indiani di Sonia Gandhi. In Europa hanno invece vinto i partiti
di centrodestra e le elezioni hanno anche fatto registrare un inquietante
rafforzamento delle formazioni populiste o xenofobe. Dinanzi alla crisi,
insomma, Stati Uniti e India si aprono, l'Europa si difende e si arrocca. E'
la paura che vince. Paura della crisi, paura dell'immigrazione
e delle società multietniche, paura del futuro che spinge una
società che invecchia a cercare chi offre più conservazione,
chi punta tutto sulla protezione individuale, esaltando e rendendo assoluto
il valore della libertà, a scapito della coesione sociale.
E noi riformisti abbiamo sottovalutato per molto
tempo la suggestione che questa cultura ha esercitato sulle nostre
società e la profondità delle sue radici. La crisi mette ora in
discussione le forme economiche del pensiero politico della destra, ma ancora
non sembra scalfire le premesse su cui si regge quella cultura. In un tempo
che resta segnato dal conflitto e dominato da insicurezza e paura del futuro,
la destra cerca una sua nuova versione rassicurante e difensiva. Dalla
stagione dell'ultraliberismo, del consumismo individualista, dell'esaltazione
del privato contro ogni idea di pubblico, si passa al ritorno alla
tradizione, all'ordine naturale, all'uso della religione come strumento di
governo e come baluardo della civiltà occidentale, alla piccola
comunità chiusa come antidoto alla globalizzazione. Insomma una
versione corretta di Dio, patria e famiglia. Il voto italiano va collocato
dentro questo vento di destra che ha attraversato l'Europa. Berlusconi stesso
nel 1994 rappresentava una proposta di cambiamento. Illusoria, ma era una
proposta di cambiamento. Oggi anche la sua proposta è solo di protezione e conservazione. Per questo non
farà, non potrà fare nessuna riforma vera per tutta la
legislatura ma produrrà solo provvedimenti tampone che trasmettano il messaggio di stare tranquilli, che dopo la
crisi tutto tornerà come prima. Noi riteniamo invece che la
profondità della crisi richiede non solo
risposte specifiche alle paure e ai bisogni dei cittadini ma una visione
nuova, che adegui le strutture portanti del nostro sistema economico sociale
e istituzionale. Siamo consapevoli della necessità di misure di emergenza per evitare l’aggravarsi della crisi in
autunno. Per questo abbiamo proposto provvedimenti immediati cogliendo istanze avanzate anche dalle forze sociali: misure a
favore delle imprese (vera accessibilità al credito specie per le
piccole e medie imprese, accelerazione dei pagamenti della pubblica
amministrazione, incentivi per rilanciare gli investimenti), dei lavoratori
(ammortizzatori per tutelare il reddito e favorire il reimpiego, sostegno ai
redditi da lavoro e da pensioni che soffrono per la crisi) e degli enti
locali per garantire le risorse necessarie agli investimenti e ai servizi che
solo loro possono fare. Se il governo avesse attuato per tempo una
contromanovra di un punto di Pil, come richiesto da noi, non saremmo al
crollo attuale del 5% e si sarebbe almeno dato un senso
all’aumento del deficit e del debito. E gli italiani avrebbero visto che
qualcuno si occupava di loro. Ma, oltre che
all’emergenza, occorre pensare subito a interventi strutturali, a quelle
riforme lungimiranti che sono necessarie per prepararci a uscire dalla crisi;
perché servono a combatterne le radici, che non sono solo finanziarie, ma
affondano negli squilibri economici e nelle disuguaglianze sociali. Abbiamo
bisogno di riforme che correggano le gravi distorsioni nella distribuzione
del reddito e del mercato del lavoro, che rilancino la mobilità
sociale; riforme per valorizzare un capitale umano e sociale che si sta impoverendo; scelte di politica industriale che
sostengano l’innovazione e la ricerca, che sono beni pubblici e non solo
requisiti di mercato. Serve una innovazione a 360°
che diffonda l’uso intelligente delle tecnologie, e promuova forme di
organizzazione produttiva adattabile e intelligente, oltre i modelli fordisti del secolo scorso; che superi la visione corta e
speculativa all’origine della crisi, che rilanci i progetti di lungo periodo
e dia valore ai contenuti immateriali e qualitativi tipici della conoscenza.
Un’area di intervento particolarmente importante
riguarda la modernizzazione dei vari settori dei servizi, che nella presente
società sono sempre più decisivi per la vita delle persone e
delle imprese. La responsabilità dell’attore pubblico e della politica
è diretta nel caso dei servizi pubblici, centrali e locali. Non per
perpetuare indebite ingerenze nella loro gestione, ma per dare un quadro
stabile di regole e di indirizzi; per definire
standard comuni di qualità a livello nazionale, da controllarsi con
autorità indipendenti, per favorire la formazione di soggetti
erogatori forti, capaci di operare in campo aperto, anche incentivando
l’aggregazione di servizi e aziende, promuovendo le condizioni di concorrenzialità,
o comunque l’adozione del sistema delle gare per la gestione dei servizi.
Vogliamo innovare il ruolo dello Stato nell’economia, non per richiedere
salvataggi di attività finanziarie e imprenditoriali insostenibili, ma
perché sappia regolare in modo autorevole il mercato, ridisegnando le regole
del gioco e rafforzando i controlli, adottando politiche
di liberalizzazione, utili a migliorare la competitività dei servizi
per i cittadini.
Un intervento pubblico che sappia creare condizioni favorevoli di contesto, e che preveda un fisco più giusto per i
cittadini e per le imprese necessari a uno sviluppo equilibrato e
sostenibile: in primo luogo infrastrutture materiali e immateriali.
L’innovazione economica si deve accompagnare con il cambiamento sociale, a
cominciare dal welfare, che sappia rassicurare i cittadini, ridare
prospettive e opportunità a persone e comunità, sostenere la
coesione sociale che è una risorsa fondamentale anche per rilanciare
il paese. Queste sono le sfide che noi vogliamo raccogliere. Ecco il punto
per noi, per il Partito Democratico: a differenza della destra, vogliamo dire
con forza che noi crediamo che dalla crisi possa uscire un'Italia migliore,
non quella di prima. Un'Italia che proprio attraversando le difficoltà
riscopre i valori fondanti della solidarietà, delle comunità
locali, dell'essere una nazione. Che recupera il senso di una grande missione
collettiva in cui i talenti di ognuno sono a disposizione non solo di se
stessi ma del proprio Paese. Il Partito democratico allora come forza che
crede nel futuro. Che crede nelle riforme come chiave per il cambiamento di
cui l'Italia ha bisogno da anni per uscire dalla stagnazione e
dall'immobilismo. Che tutela gli interessi ma solo se rispettano i valori.
Perché rispettare un valore è spesso il modo
migliore per difendere un interesse. Combattere la povertà,
contrastare il degrado sociale non significa, forse, estirpare una delle
radici più profonde dell'insicurezza? Come dicevano i laburisti
inglesi all'inizio del loro ciclo vincente: "Combattere il crimine e le
cause del crimine". O come ci ricordano le
parole di Victor Hugo che stanno incise nel marmo di uno degli ingressi della Sorbona: "Aprire una scuola è chiudere
una prigione".
Questo è quello che dobbiamo fare: ricostruire una identità
del nostro campo. La destra italiana in questi 15
anni ha avuto stabilità negli assetti e un leader unificante.
Così ha potuto costruire una identità,
percepita da tutti, attorno ad alcuni messaggi chiari: sicurezza,
libertà di fare ogni cosa, meno Stato. Il nostro campo nello stesso
periodo ha avuto instabilità totale nei leader, nei partiti, che si
sono sciolti, ricostituiti, sostituiti, nei governi fragili. E così
non siamo riusciti a trasmettere che sensazioni indistinte, non messaggi
chiari e univoci. Se voti destra sai cosa voti. Se
voti di qua non sai cosa voti. E’ questo, più
di ogni altra cosa, che spiega la sconfitta dello scorso anno e i risultati
negativi delle amministrative e delle europee. Ricostruire una
identità. Sarà un lavoro lungo e difficile ma il
risultato delle europee ci mette in condizione di ripartire. Dobbiamo fare
arrivare agli italiani messaggi comprensibili che facciano capire a tutti non
solo la nostra proposta per il problema del giorno dopo
ma quale è il modello di società che abbiamo in mente, qual
è la diversità dei nostri valori di riferimento. Poche parole
chiare, che caratterizzino il partito e che indichino la via lungo la quale
costruire un programma di governo. Le parole di un riformismo moderno, che
usa le radici e la memoria delle culture politiche del 900
italiano non per tornare nostalgicamente indietro, o per restare
immobile, ma per immergersi in un cammino nuovo ed emozionante. La prima
parola è FIDUCIA. Fiducia è la risposta alla paura che la
destra alimenta e cavalca parlando di sicurezza.
Paura della crisi, paura di perdere il lavoro,
dell'immigrato, della criminalità, della povertà, della
solitudine. Paura per il futuro del mondo e per i nostri figli che
dovranno viverci. Quella paura che spinge alle ronde, a difendersi da soli,
che spinge a rinchiudersi in casa, impauriti dagli altri che ti vivono
vicini, e da come te li rappresenta la televisione. Servono allora misure e
comportamenti che alimentino la fiducia personale e collettiva. Quella
fiducia che tiene insieme la vita, le comunità, il mercato. Tutte le
nostre politiche, tutte le nostre proposte concrete devono essere costruite
attorno a questo messaggio positivo. Dalle misure per
proteggere i lavoratori e i cittadini dalla crisi, alle riforme economiche
necessarie a dare prospettive a famiglie e imprese. Fino alle riforme
istituzionali che ridiano fiducia ai cittadini in uno Stato e in una politica
che debbono essere basati sulla trasparenza e
sull'efficienza.
Fiducia e coesione vanno sostenute nel mondo del lavoro, evitando di mettere,
nella crisi, le difficoltà le une contro le altre, secondo antiche
divisioni sociali.
Di fiducia e di sostegno hanno bisogno anche le imprese che sono investite da
una competizione globale dura e spesso senza regole.
Noi dobbiamo dare risposte ai loro bisogni, che abbiamo trascurato, perdendo
così la fiducia di questo mondo.
Non possiamo essere indifferenti di fronte a 1.600.000 lavoratori che, come
ricorda il governatore della Banca d’Italia Draghi, non hanno alcun sostegno
economico nella crisi e a oltre 500.000 che hanno solo pochi euro: una folla
di poveri che è destinata purtroppo a crescere in autunno, se si
continua a non fare niente, che avvilisce le persone e priva le imprese di
risorse umane preziose.
Così rischiamo di lasciare un paesaggio produttivo e umano
desertificato. Per noi il mondo del lavoro di oggi è fatto insieme da
lavoratori e imprenditori. E gli imprenditori non hanno smesso, come è stato detto, di essere nostri nemici per
diventare nostri amici se rispettano le regole.
Gli imprenditori sono una parte del mondo del lavoro e una parte di noi
democratici. In campagna elettorale sono stato a Prato, in una piccola
impresa del tessile. Il proprietario mi ha parlato dei
problemi gravi della sua azienda poi, indicando i suoi dipendenti, mi ha
detto: "Io non licenzio nessuno. O ci salviamo
tutti o chiudo". Questa è l'Italia che sconfiggerà
la crisi. Combattere la precarietà, migliorare le condizioni dei
lavoratori e dare alle imprese protezione dalla crisi e sostegno per
innovare, sono due pezzi della stessa politica, la nostra politica.
Le proposte che abbiamo avanzato in questi mesi per fronteggiare l'emergenza,
dall'assegno di disoccupazione al credito per le piccole e medie imprese,
sono due piccole prove di come si possa spingere all'unità del mondo
del lavoro e non alle divisioni e alla disgregazione sociale, come se la
società fosse divisa tra le vecchie classi di un tempo finito. Anche
per questo è giunto il tempo di ragionare su forme moderne di partecipazione
dei lavoratori alle scelte delle imprese, come ci
indica da decenni la nostra Costituzione. Dobbiamo ridare fiducia a milioni
di persone impaurite. Per questo vogliamo cambiare il nostro welfare e
renderlo uno strumento universale che accompagni tutte le persone e le
famiglie nel corso della vita, proteggendole dai rischi della povertà
e dell' emarginazione. Un welfare che cominci dalla
cura e dall'educazione dei bambini, e che dia un ruolo centrale alla
formazione permanente, come leva fondamentale per valorizzare le
capacità personali.
E vogliamo che riguardi non solo i lavoratori subordinati, come nel welfare
storico, ma anche i lavoratori autonomi e gli imprenditori, specie quelli
piccoli che oggi sono privi di difese sociali.
Per i lavoratori autonomi vanno ricercate, e discusse con loro, forme di
protezione adatte ai loro bisogni. Vogliamo che gli ammortizzatori siano un
diritto per tutti, non una concessione discrezionale del governo.
Solo diritti certi, non deroghe caso per caso e
concessioni del governo, possono ridare prospettive e fiducia.
Per ridare fiducia non basta offrire protezione.
Dobbiamo offrire prospettive di futuro e opportunità.
Questa è una lezione che ci viene dall'esperienza, dalle reazioni che
registriamo di fronte alla crisi.
Non riusciremo a convincere neppure le persone più bisognose di aiuto
e di sicurezza se ci limitiamo a promesse di assistenza.
Così non siamo competitivi con le proposte della destra che indicano,
anche se in modo illusorio, prospettive di arricchimento, di affermazione e
di autonomia personale.
Dobbiamo indicare una via più ambiziosa e più equa: quella di
un welfare rassicurante, attivo e insieme solidale; politiche economiche e
sociali che valorizzino non gli interessi egoistici di singoli o di territori,
ma uno sviluppo equilibrato e sostenibile per tutta l'Italia. La fiducia va
alimentata con un nuovo patto fra generazioni e generi in sostituzione di
quello del secolo scorso che non è più sufficiente per le
trasformazioni demografiche, dei cicli di vita e dei rapporti familiari. Un
nuovo patto generazionale deve ridare fiducia alle famiglie. Dobbiamo
prendere atto del ritardo con cui il nostro paese ha affrontato i cambiamenti
intervenuti nella famiglia e dobbiamo raccogliere le sfide che da essi derivano.
Ogni aspetto della famiglia è cambiato: composizione, vita media,
tipologia, rapporti tra uomini e donne e tra generazioni. Per non parlare
delle famiglie immigrate.
E’ arrivato il momento di riaprire un grande confronto sulla legislazione per
la famiglia, compresi la mediazione familiare, il tribunale per la famiglia e
la persona.
Non dobbiamo aver paura di sviluppare un dibattito su temi rilevanti per la
vita di ogni persona.
Partiamo da principi condivisi, e in particolare dalla consapevolezza che ogni
persona va rispettata nel suo orientamento sessuale
e nelle sue scelte di vita. Grazie al PD oggi è possibile creare una
convergenza fra le diverse concezioni, culturali etiche e religiose per dare
una risposta condivisa a tali sfide. Le nostre politiche partono dalla
convinzione che la famiglia è un’opportunità per le persone e
una risorsa fondamentale per la società.
Ma essa non può essere lasciata sola, oggi meno che mai, di fronte a
una crisi che aggrava le difficoltà di tutte le sue componenti,
dai bambini, alle donne che trovano sempre più pesante conciliare i
tempi di lavoro e della vita familiare, alle giovani coppie la cui
precarietà blocca il desiderio di avere figli. A differenza della
destra, che ha disinvestito sulla famiglia, noi vogliamo sostenere la famiglia che investe su se stessa, sul benessere dei
figli, sul lavoro dei giovani, delle donne e degli uomini, che valorizza ogni
stagione di vita degli anziani, che rispetta i diritti dei disabili e degli
immigrati. Per ridare fiducia alle famiglie e sostenerle nel loro compito
occorre riconsiderare a fondo le politiche familiari e incentrare sulla
famiglia molti istituti del welfare. Bisogna regolare i diversi aspetti della
convivenza civile attorno al dato delle esigenze della famiglia nelle sue
varie forme, tradizionali e nuove, specie per quanto riguarda i figli. In
tale direzione devono orientarsi misure diverse: quelle di welfare, servizi
di cura, fondo per la non autosufficienza, asili nido. Ma
anche il sistema tributario: non tanto il quoziente familiare, quanto un
sistema di assegni organico e più sostanzioso di quelli attuali.
La politica delle città: edilizia popolare, politica degli affitti,
spazi comuni. Il sistema pensionistico che consideri
ai fini contributivi i periodi di maternità e di cura. La politica della mobilità, con agevolazioni per il
trasporto pubblico ai nuclei familiari molto numerosi. La fiducia va
restituita anche dando risposte alle paure dei cittadini, alimentate dalla
criminalità e dall'immigrazione clandestina. Le risposte sono
credibili se sanno coniugare fermezza nel contrasto all'illegalità, da
chiunque provenga, con politiche di integrazione
sociale e di accoglienza. Su questi terreni la nostra politica tradizionale
è stata perdente, e va corretta. Perché ha sottovalutato i problemi e
le paure dei cittadini, non si è messa dalla loro parte, non si
è disposta a capirli.
La maggioranza degli italiani, e dei ceti popolari, se non riceve risposte,
perde la fiducia nella buona politica e accetta le risposte della destra che
assimila immigrazione a crimine, e ora indica l'immigrato anche come quello
che ti toglie un posto di lavoro. Non si tratta di inseguire le ricette e i
proclami repressivi della destra, inefficaci ma che intanto colpiscono
l'immaginazione e il vissuto delle persone, anche dei nostri militanti.
Bisogna recuperare fiducia dimostrando con i fatti che siamo in grado di
difenderli, facendo rispettare l'ordine pubblico, se necessario con durezza
come hanno fatto alcuni nostri sindaci, contrastando ogni forma di illegalità per evitare che l'impunità di
pochi comporti la criminalizzazione di tutti.
Solo facendo così potremo spiegare le buone ragioni dell'integrazione
e dell'accoglienza. E quelle della solidarietà umana con chi
attraversa il mare umiliato dallo sfruttamento dei racket.
L’organizzazione criminale si deve contrastare con un impegno congiunto della
società civile, delle istituzioni dello stato e delle autonomie
locali: perché solo con questo sforzo comune se ne colpiscono le radici che
sono profonde e si manifestano in forme diverse nei vari territori.
Non si tratta solo di prevenire e reprimere singoli comportamenti illeciti,
ma di garantire il controllo del territorio, in modo capillare, visibile e
stabile.
Tagliare le risorse essenziali e inventarsi le ronde è
una grande contraddizione del governo, che indebolisce la lotta alla
criminalità.
Occorrono misure concrete per rafforzare l’opera delle forze dell’ordine
recuperandole da impieghi non essenziali (scorte, compiti d’ufficio, ad
esempio per il rinnovo dei permessi di soggiorno delegandoli ai comuni),
operando per il coordinamento reale delle forze di polizia, con una centrale
operativa unica.
Nell’immediato la nostra priorità sul fronte sicurezza deve essere la
lotta al ddl intercettazioni, che indebolirebbe in modo grave tutta
l’attività investigativa.
Mostriamo con questo che a noi la sicurezza dei cittadini sta a cuore
seriamente, mentre la destra la mette a rischio.
Occorre rigore e coerenza nell’aggredire i patrimoni
della malavita organizzata, colpendo chi li protegge o è connivente.
Occorre recidere con decisione i rapporti, ancora esistenti, fra mafia e
politica.
Una misura parallela è la velocizzazione dei processi per una effettività delle pene, con un miglior utilizzo
delle risorse umane e delle nuove tecnologie.
Bisogna difendere l’efficienza e l’autonomia non la politicizzazione della
magistratura.
Serve costruire più carceri civili e dignitosi, quelli attuali sono di
nuovo al limite della capienza, se vogliamo scongiurare
il ritorno all’epoca della rivolta delle carceri.
Nel caso degli immigrati il rispetto della legge va imposto senza
discriminazioni ma senza pietismi.
Cominciando con il contrasto degli ingressi clandestini.
Con un dimensionamento più realistico dei flussi.
Con strumenti adeguati per facilitare le presenze e il
lavoro regolari, ripristinando la figura dello sponsor accreditato e
responsabile, garantendo permessi per ricerca di lavoro di durata
ragionevole.
E rafforzando gli accordi bilaterali con i paesi di
più forte immigrazione, e con un’azione congiunta dell’intera Unione
europea.
La fiducia è un bene durevole, da costruire nel tempo.
Per questo richiama la politica a comportamenti
responsabili, che affrontino senza improvvisazioni i problemi delle
persone e che ricerchino con coerenza soluzioni stabili.
Per questo vogliamo la stabilità politica e dei governi.
Per gli stessi motivi è necessario rigore nel controllo della spesa
pubblica, che anche quest’anno è fuori controllo, nonostante i tagli
del governo.
Non tagli indiscriminati ma lotta agli sprechi che sono ancora tanti e
all’evasione fiscale, vero cancro della nostra vita economica e civile che
corrode la fiducia fra cittadini e stato.
La lotta all’evasione va fatta senza pregiudizi “classisti”, per chiunque
evada, sia l’imprenditore sia il dipendente che ha
un altro lavoro in nero.
E’ necessaria una nuova cultura fiscale, per arrivare a un sistema più
equo e meno oppressivo, che passi ad esempio dalle detrazioni, oggi prevalenti, ai bonus, ai servizi detassati, al
contrasto di interessi.
Controllare la spesa per ridurre il macigno del debito pubblico non è
una mania di ragionieri, è necessario per rendere possibile la
riduzione delle tasse; ed è un impegno decisivo per garantire il
futuro delle nuove generazioni, per non spostare su di loro il peso di
decisioni che spettano a noi.
La seconda parola del nuovo riformismo è REGOLE. Da anni la destra
italiana predica la sregolatezza, che tollera o incentiva
le irregolarità, che esalta l'individualismo, la furbizia
"dell'ognuno per sé" in ogni campo. Ha fatto dimenticare che buone
regole non sono ostacoli all'iniziativa e alla libertà di persone e
imprese ma sono invece strumenti di tutela dalle ingiustizie e dalle
disuguaglianze. Noi vogliamo buone regole che oltre a sancire diritti,
stabiliscano doveri e responsabilità, garantiscano la sicurezza
collettiva. Se ci fosse stato più rispetto delle regole non avremmo avuti i disastri di Viareggio e le conseguenze del
terremoto che ha colpito l'Aquila e l'Abruzzo. Non avremmo 1300 morti sul
lavoro sul lavoro ogni anno e oltre 6000 sulle strade; non avremmo i livelli
spaventosi di evasione fiscale e di lavoro nero, che frodano il presente e
sottraggono risorse al futuro. L'applicazione rigorosa delle regole è
il presidio della legalità e del contrasto alla criminalità
organizzata che uccide le potenzialità straordinarie di interi pezzi del Paese. Di regole ha bisogno l'economia
perché la loro assenza è la causa principale della destabilizzazione
dei mercati finanziari e degli squilibri nell'economia reale. E proprio
all'economia e alle imprese servono regole semplici e stabili che
garantiscano il corretto svolgersi della concorrenza, che rompano i conflitti
di interessi che in Italia sono diventati
silenziosamente accettati, come fossero normali, avendo davanti l'esempio
della massima autorità di governo.
Dobbiamo dirlo. Il centrosinistra ha colpe precise non aver approvato una
normativa sul conflitto d'interessi quando era maggioranza dal 1996 al 2001,
ma quella responsabilità non ci può spingere adesso a restare
ancora fermi e silenti.
Abbiamo bisogno di nuove regole nello Stato e nella Pubblica Amministrazione,
che funzionano male e peggio che negli altri grandi paesi europei.
Un partito come il nostro ha un interesse vitale a far funzionare meglio lo
stato e le Pubbliche amministrazioni.
Perché un sistema pubblico funzionante è necessario per attuare le
riforme, e per garantire la effettiva fruizione dei
diritti dei cittadini, dalla giustizia all’istruzione, ai servizi pubblici.
Per regolare il mercato e integrarlo quando non funziona.
Un efficiente sistema pubblico è condizione anche per praticare senza
squilibri la collaborazione con il settore privato, profit e non profit.
La gravissima crisi di affidabilità del sistema politico-istituzionale
è squadernata ogni giorno sotto i nostri occhi dalle immagini
televisive: le inchieste e gli scandali, la guerra tra le procure, i rifiuti
campani, la lentezza della giustizia e della burocrazia che ostacola e
sperpera. E potrei continuare. Lo stesso patto di lealtà fiscale ha
come necessario presupposto che il cittadino sappia che i suoi soldi non
vadano a finanziare spreco e inefficienza. E sappia che chi viola le leggi,
esportando illegalmente capitali, non venga premiato
anziché essere punito dalla legge. Per questo il PD deve impegnarsi per
modernizzare lo Stato, anche stando all'opposizione.
Noi non ci sottrarremo alla possibilità di condividere, anche da
subito, con i nostri avversari una riforma che renda più efficace
l'azione di governo e il ruolo del parlamento, cominciando dal passaggio ad una sola camera legislativa, con un senato federale ed
un conseguente dimezzamento dei parlamentari eletti.
L’elezione diretta dei sindaci, dei presidenti di provincia e di regione, e
delle stesse cariche monocratiche del nostro partito è diventata ormai
parte del nostro sistema.
Ma occorre ricostruire il sistema di checks and balances fra i
poteri dello Stato.
Riformare il bicameralismo, rafforzare il diritto dei cittadini di decidere
sulle loro rappresentanze parlamentari e politiche, con un sistema elettorale
che lo valorizzi, dare attuazione coerente alla scelta federalista,
valorizzare l’autonomia della giustizia, ma pretendendone la
efficacia e la distanza dalla politica.
Allo stesso fine è urgente il rinnovamento dei partiti, per
valorizzarne la funzione di rappresentatività nei rapporti con i
cittadini, anche sulla base di una riforma che dia
finalmente attuazione all’articolo 49 della nostra Costituzione.
La riforma delle istituzioni da sola non basta: deve appoggiarsi sull’empowerment dei cittadini, cioè sulla loro
possibilità di influire individualmente e collettivamente sulle
decisioni.
La riforma federalista non deve essere un mero trasferimento di funzioni da
Stato a regioni, ma deve valorizzare le autonomie di tutti i governi locali e
costituire l’occasione per ripensare il rapporto cittadino – autorità
nel nostro sistema.
Questo è il senso della regola di sussidiarietà cui ispiriamo
la nostra azione politica: allargare gli spazi di partecipazione, non solo
istituzionale ma sociale.
Sviluppare istituti di welfare non solo statali, ma
territoriali e sociali.
Il mondo del non profit in molte realtà, soprattutto al Nord, sta
rispondendo alla crisi economica puntando sul network, sperimentando welfare
di comunità e consorzi il cui capitale è la solidarietà
operativa e finanziaria.
Uscendo ormai anche dal più tradizionale e forte
impegno nei servizi in campo sociale e sanitario.
Il non profit è diventato una sorta di spina dorsale invisibile del
nostro paese e sta garantendo la coesione sociale anche nelle situazioni che
la crisi economica ha messo in maggiore difficoltà divenendo esso
stesso una risposta alla crisi.
Per questo è necessario partire anche da quell’innovazione dal basso
sperimentata da questo mondo che significa partecipazione attiva,
centralità delle persone, valori come risposta culturale e concreta
alle difficoltà politiche e sociali che abbiamo davanti.
La centralità del cittadino, il nesso libertà–responsabilità
vale anche per la giustizia.
Il funzionamento della giustizia è una questione essenziale per la
vita dei cittadini e per la stessa economia del paese.
Gli attuali tempi, lunghi e incerti, dei processi angosciano le persone, e
opprimono le imprese.
Sono fra le ragioni che ostacolano gli investimenti esteri in Italia.
Non è quindi un tema che si possa lasciare agli addetti ai lavori,
giudici e avvocati, come è stato fatto
finora.
E’ prioritario garantire una ragionevole durata del processo.
Per questo servono modifiche alle procedure per renderle più semplici
e più veloci, scoraggiando tutti i comportamenti dilatori, anche
quelli concordati fra avvocati.
Occorre favorire mezzi alternativi di soluzione delle controversie
(conciliazione e arbitrato), garantire costi ragionevoli per l’accesso a
tutti i procedimenti e il gratuito patrocinio a chi ha bisogno, specie per le
cause di lavoro, di previdenza e simili.
Occorre inoltre migliorare il funzionamento della “macchina” della giustizia,
prevedendo gli strumenti tecnici e organizzativi necessari, distribuendo
meglio gli organici e i carichi di lavoro, chiedendo anche ai magistrati un
impegno maggiore e verificabile.
Noi vogliamo difendere l’autonomia della magistratura, e pretenderne
l’efficienza per un migliore servizio ai cittadini. La terza parola è
UGUAGLIANZA. Uguaglianza è stata la parola forte
dei grandi movimenti riformisti del secolo scorso. Qualcuno pensa che sia
caduta in "disuso" e superata. Ma non
è così.
E' una parola moderna, centrale nel mondo
globalizzato. Un mondo in cui senza gli anticorpi della politica le
disuguaglianze sono destinate ad aumentare drammaticamente, dentro i paesi e
tra i paesi del mondo. Uguaglianza
non come appiattimento delle differenze ma come valorizzazione delle diverse
capacità delle persone, come uguaglianza delle opportunità,
da sostenere non solo nelle condizioni di partenza ma nel corso della vita di
ciascuno. L'Italia ha purtroppo un primato negativo: ha visto crescere le
diseguaglianze tra i redditi, ha visto aumentare le distanze tra pezzi del
suo territorio. Ha permesso il persistere di vaste sacche di povertà,
specie nel mezzogiorno. Ha registrato un blocco dell'ascensore sociale che
ostacola la possibilità delle persone di sviluppare le proprie capacità.
Sono queste le diseguaglianze che sottraggono ai nostri giovani le aspettative dei coetanei di altri paesi europei, che
impediscono al figlio dell'operaio di avere le stesse opportunità
nella sua vita del figlio del notaio. Noi vogliamo cambiare questo destino
che la destra ritiene inevitabile. Vogliamo invertire la tendenza partendo da
proposte immediate. Vogliamo correggere un assetto produttivo e distributivo
che ha penalizzato i redditi da lavoro, soprattutto subordinato, rispetto
alle rendite e ai redditi da capitale e che ha svalutato in particolare il
lavoro operaio e manuale. Per questo serve una politica che da una parte
riprenda la lotta all’evasione e all’elusione, dall’altra alleggerisca la
pressione fiscale sui redditi da lavoro e sulle pensioni e prosegua la incentivazione del salario di produttività
contrattato in azienda e sul territorio. Ma la
tendenza alla disuguaglianza va invertita anche e soprattutto con proposte
attive, che creino aperture sociali e ridiano dignità al lavoro in
tutte le sue forme. Pensiamo allo sviluppo della rete, della banda larga,
come all'investimento infrastrutturale più importante di questo decennio. Come vettore di crescita e di
riduzione delle disuguaglianze territoriali.
Pensiamo per i giovani studenti a un anno di presenza
all'estero finanziata, un Erasmus
obbligatorio nel proprio percorso formativo, ma anche a incentivi a studenti
stranieri per studiare in Italia, per attrarre cervelli. E all'interno del
paese pensiamo ad uno scambio fra studenti del Nord
e del Sud per rafforzare esperienze e culture comuni, per aprire le
comunità del mezzogiorno. Noi pensiamo al Mezzogiorno come la
possibile risorsa dell'economia italiana. E' la politica nazionale, siamo
noi, non un partito del Sud, a dover credere che questo è possibile.
Il Mezzogiorno è stato per decenni alla periferia del sistema
economico. Oggi il cambiamento geopolitico del mondo, la centralità
del Mediterraneo possono trasformarlo da periferia
dell'Europa nella sua principale porta d'accesso.
Per riuscirci non ha bisogno di assistenza o di aiuti generici ma richiede
risorse per ridurre il divario infrastrutturale, per sostenere le imprese che
investono, per colmare i ritardi del sistema formativo e, soprattutto, per
vincere la battaglia nazionale per la legalità e contro le mafie.
E’ necessario concentrare gli interventi su pochi obiettivi prioritari, per
evitare l’attuale “polverizzazione” della politica di coesione nazionale e
comunitaria, che ha finora ridotto fortemente l’efficacia degli interventi.
A tale scopo, deve prevedersi all’interno della Conferenza Stato – Regioni,
un Comitato operativo delle Regioni meridionali che svolga funzioni di indirizzo e proposta al fine di definire interventi
coerenti con strategie di sviluppo della macro-area meridionale.
“Terapia d’urto”: un primo pacchetto di misure immediate si basa su alcuni
assi portanti.
Nell’immediato, occorre focalizzare le risorse (ordinarie e straordinarie) su
un numero limitato di interventi, con l’obiettivo di
dimezzare entro il 2013 l’inaccettabile divario esistente tra Nord e Sud
nelle infrastrutture e nei servizi resi dall’amministrazione pubblica ai
cittadini.
L’azione pubblica di sviluppo nel Mezzogiorno deve porre al centro l’impresa.
Gli interventi devono incentivare la nascita di
nuove imprese, lo sviluppo e il consolidamento di quelle esistenti.
In tale ottica, va reintrodotta da subito la automaticità
nella fruizione del credito d’imposta per nuovi investimenti nel Mezzogiorno,
cancellando la norma inserita dal Ministro Tremonti che, condizionandone la fruizione
ad un complesso sistema burocratico di prenotazione e verifica ne ha di fatto
compromesso l’operatività.
C’è una generazione di giovani meridionali che sta realizzando
importanti progressi nei livelli di scolarizzazione, a cui
dobbiamo dare risposte in termini di opportunità di impiego e di
realizzazione individuale.
Tale esigenza diviene ancora più forte in un
momento di crisi quale quello che stiamo vivendo che rischia di tenere molti
giovani scolarizzati fuori dal mercato del lavoro. Dobbiamo impedire che
continui l’esodo verso il Nord dei giovani laureati del Mezzogiorno.
Noi proponiamo un piano di 100 mila stage presso imprese private destinati a
giovani diplomati e laureati del Mezzogiorno, al fine di favorire il loro
inserimento lavorativo.
Un intervento volto a favorire l’accesso al lavoro e la formazione in aziende
localizzate nel Mezzogiorno attraverso l’offerta di un periodo di esperienza
a carico dello Stato presso imprese private che al termine di tale periodo vengano significativamente incentivate ad assumerli.
Uguaglianza significa poi valorizzare la libertà di scelta e di lavoro
delle donne. Perché la libertà delle donne è la condizione
essenziale per avere una società più dinamica e moderna, in cui
la parità tra generi sia semplicemente garantita da una vera selezione
sui talenti e le qualità personali.
Nel mondo la battaglia per i diritti umani delle donne come diritti
universali attraversa continenti, etnie, culture.
L’emancipazione di interi popoli, pensiamo
all’Africa, da povertà, malattie, sopraffazioni sta avvenendo grazie
alla capacità di governo delle donne.
L’ONU ha indicato fra gli obiettivi del millennio la libertà delle
donne in ogni ambito della vita pubblica e ha individuato nella
collaborazione fra uomini e donne la strada per ridefinire il valore della
famiglia, i ruoli nella società, le responsabilità nella
politica e nelle istituzioni.
Possiamo partire da queste indicazioni e iniziare un cammino inedito per
risolvere i tanti problemi e rispondere alle attese delle donne del nostro
paese.
L’Italia non è in Europa, se guardiamo al tema della rappresentanza.
Le donne elette in tutte le istituzioni sono ancora pochissime, manca una
legge sul riequilibrio della rappresentanza fra uomini e donne ad ogni livello nella vita pubblica.
L’articolo 51 della Costituzione parla chiaro, ma ha
bisogno di strumenti applicativi.
Siamo lontanissimi da una democrazia paritaria, ma anche quella delle pari
opportunità non è vicina.
Questo tema interpella direttamente un partito che ha l’ambizione
di essere nuovo per davvero.
Per le donne serve una parola in più: il coraggio.
Il coraggio di investire sulle donne come forza di cambiamento della
società.
Il coraggio di riconoscere la donna come essenziale per una cultura laica,
aperta alla convivenza, che riconosce, accoglie, e valorizza le differenze.
La responsabilità politica delle donne sta nella capacità di
essere squadra, nell’incontro e non nello scontro fra le generazioni, nella
trasmissione dell’esperienza e nell’ascolto delle novità.
Sta nella capacità di mettere in discussione certezze per comprendere
il punto di vista altro, nella caparbietà di far divenire le debolezze
punti di forza, nel conflitto positivo che genera qualità della
rappresentanza.
Le donne hanno cambiato il volto della politica, hanno criticato il potere
fine a se stesso, hanno cercato di finalizzarlo alle conquiste civili e alla
crescita di valori condivisi.
La politica italiana ha bisogno di più donne.
Pensiamo a come ricostruire luoghi plurali delle donne nel PD, inventando
forme e modi, affinché sia possibile far vivere una nuova autonomia femminile
che ha nell’incontro con la parte maschile del partito il compimento di un
disegno, di una visione credibile da proporre al paese.
Allora il rinnovamento che auspichiamo sarà davvero il frutto di una
storia in cammino, in cui tutti, uomini e donne insieme, saranno protagonisti
nella solidarietà, nella distinzione non gerarchica dei ruoli, nella
comune passione di una nuova politica per il nostro paese.
Ma la libertà delle donne si misura anche e
soprattutto in politiche attive. Per questo proponiamo misure di sostegno
all'occupazione femminile, dirette alla condivisione dei ruoli nella famiglia
e alla conciliazione fra lavoro e vita personale, e proponiamo un credito
fiscale ai genitori che lavorano per le spese relative alla
crescita e al mantenimento dei figli. E sono queste le basi su cui vogliamo
costruire un nuovo patto fra generazioni e generi. Un patto che riguardi
anche il sistema previdenziale. Oggi è possibile e giusto chiedere la
disponibilità ai genitori di lavorare qualche anno di più, se viene data a loro la certezza che questo serve non per
finanziare sprechi, ma per dare ai propri figli più ammortizzatori
sociali e più certezze sul loro futuro previdenziale. La nostra
proposta è di recuperare il principio della flessibilità del
pensionamento proprio della legge Dini del 1995: in particolare fissando una
fascia di età comune per uomini e donne, all'interno della quale ciascuno possa scegliere il pensionamento sulla
base delle proprie condizioni di lavoro e di vita familiare e personale.
L'equiparazione del sistema nel caso delle donne deve essere accompagnata da
misure che considerino i periodi di maternità e il lavoro di cura
ancora prevalentemente svolto dalle donne, ad esempio riconoscendo, come
avviene in altri paesi europei, un certo ammontare di contributi figurativi
in corrispondenza di tali periodi.
Serve un patto che allarghi le opportunità per tutti i cittadini nelle
diverse fasi della vita, rispettandone e valorizzandone le diversità.
La promozione dell’eguaglianza implica valorizzare
il lavoro come manifestazione essenziale della creatività e della
dignità dell’autonomia delle persone.
Vogliamo valorizzare il lavoro in tutte le sue forme come richiede la Costituzione, anche
quello autonomo e imprenditoriale.
Questo non significa ignorare le diversità di posizioni fra lavoro
subordinato e impresa, né la possibilità di conflitto.
Ma occorre riconoscere che oggi impresa e lavoratori
sono esposti a sfide competitive comuni senza precedenti, che sono simili
più di un tempo i bisogni di protezione dai rischi del futuro.
Queste sfide non si vincono senza un impegno congiunto: il che implica non
solo di mettere da parte le ideologie della lotta di classe ma anche superare
condizioni riduttive dei patti fra produttori, cioè fra soggetti che
restano fondamentalmente divisi anche se occasionalmente disposti al
compromesso.
Si tratta di ricercare forme di partecipazione sia su obiettivi specifici sia
istituzionali, con la presenza dei lavoratori nei consigli di sorveglianza.
Il test di questa partecipazione deve essere la capacità di servire
alla crescita comune, non solo dei prodotti, ma della loro qualità, di
promuovere una competitività basata non sulla precarietà del
breve periodo, ma sulla valorizzazione delle risorse personali di tutti,
dipendenti, manager, professionisti, sull’uso intelligente delle innovazioni
tecnologiche e produttive.
La partecipazione diventa così uno strumento della eguaglianza
delle opportunità economiche e sociali. Uguaglianza significa infatti tener conto delle diversità, anche di
quelle interne al mondo del lavoro dipendente. Non vogliamo appiattirle ma
vogliamo garantire a tutti i lavoratori una base
comune di tutele e opportunità. Vogliamo contrastare la
precarietà, non occuparcene soltanto per l'assenza di ammortizzatori
sociali quando il lavoro è ormai perduto. Vogliamo contrastare l'abuso
dei contratti a termine, rendere conveniente le assunzioni a tempo
indeterminato con misure di incentivo/disincentivo,
facilitare i percorsi di passaggio dal lavoro precario a quello stabile,
anche sperimentando forme di contratti a tutele crescenti nel tempo, che
riducano la pletora degli attuali strumenti di accesso, estendendo i diritti
e facilitando l'entrata al lavoro stabile soprattutto dei soggetti più
deboli. Le nostre proposte indicano chiaramente diverse misure: dal
superamento delle forme di collaborazione professionale che coprono rapporti
di lavoro subordinato alla estensione modulata dei fondamentali
diritti e tutele alle collaborazioni genuine, con la progressiva
parificazione degli oneri sociali rispetto al lavoro standard, agli
ammortizzatori sociali universali per tutte le imprese e i lavoratori,
compresa una tutela per chi non ha i requisiti assicurativi o ha esaurito gli
ammortizzatori. Sino alla previsione di una soglia minima
di salario, comune a tutti i tipi di contratto di lavoro.
Questo zoccolo sociale comune costituisce la base per una buona occupazione e
per una flessibilità sostenibile.
In coerenza con la nostra idea occorrono servizi efficienti per il sostegno
dei lavoratori; e nello stesso tempo bisogna rendere effettiva la perdita di
tutela per chi non accetta congrue offerte di lavoro e formazione.
L’eguaglianza in tema di lavoro richiede politiche per ampliare le
opportunità di occupazione; necessarie anche oggi nella crisi, perché
l’ampliamento del mondo del lavoro è altrettanto importante della sua
riunificazione e la precarietà va combattuta anzitutto promuovendo la
buona occupazione.
Per questo vogliamo sostenere con politiche attive l’innalzamento del tasso
di occupazione ai livelli europei, a cominciare da sostegni specifici per i
gruppi che sono più lontani dagli obiettivi comunitari.
Per le donne servono, come abbiamo detto, misure organiche che incidano
nell’organizzazione dei servizi di cura e nella distribuzione dei ruoli.
Per questo sono destinate non solo alle donne ma anzitutto alla
equilibrata ripartizione delle responsabilità. Politiche
specifiche sono necessarie per sostenere l’occupazione e l’autonomia dei
giovani: potenziamento degli obblighi/diritti di formazione, da quella di
base a quella professionale e continua, rafforzamento dei contenuti formativi
dell’apprendistato, che deve diventare lo strumento essenziale per la
transizione tra scuola e lavoro; fondo per la dotazione di capitale per i
giovani.
Un’analoga politica promozionale è necessaria per alzare il tasso di
occupazione dei lavoratori over 55,
anch’esso troppo basso.
Questi interventi sono particolarmente urgenti nel nostro paese che presenta
un rapido invecchiamento della popolazione e un basso tasso di
natalità e sono necessari per allargare la nostra base occupazionale
anche ai fini pensionistici.
La promozione del lavoro, come di uno sviluppo più
equo, richiede l’impegno comune delle forze sociali e politiche pur in una
rigorosa autonomia reciproca.
Richiede la finalizzazione della concertazione sociale a migliorare la
qualità e la produttività del nostro sistema produttivo, e alla
valorizzazione professionale e retributiva del lavoro.
Deve basarsi su una autoriforma delle relazioni
industriali, nel segno di un fecondo pluralismo sindacale, che dia seguito a
un modello contrattuale condiviso articolato su due livelli, nazionale e
decentrato, capace di tutelare il potere d’acquisto delle retribuzioni
attraverso un’effettiva redistribuzione della produttività e di
promuovere l’innovazione organizzativa, la qualità dei rapporti e la
partecipazione dei lavoratori in azienda. L'uguaglianza infine deve essere la
parola chiave anche nei rapporti internazionali, con
nuove forme di governance multilaterali, che
contrastino l'azione di un mercato e di un commercio senza regole e che diano
voce a tutti i paesi, compresi quelli più svantaggiati.
Per questo vigileremo che vengano mantenuti gli
impegni presi dal nostro governo al G8 in materia di cooperazione allo
sviluppo, la grande tradita di questo anno di governo. La quarta parola
è MERITO. Una parola profondamente legata a quella precedente, a
uguaglianza Per sottrarsi alla retorica della meritocrazia occorre che il
merito divenga la chiave della vita sociale e sia concepito come la leva
fondamentale per superare molte delle ingiustizie sociali che opprimono la
nostra società, per rimettere in moto la mobilità sociale.
Merito per noi significa riconoscere e valorizzare le capacità delle
persone, significa avere la speranza di migliorare
la propria vita e quella dei propri figli. Merito non vuol dire competizione
sfrenata ma riconoscimento dei talenti, dell'impegno, del valore del lavoro.
Non si contrappone ai bisogni. L'egualitarismo indifferenziato ha prodotto
nel corso dei decenni più recenti, gravi e profonde ingiustizie
sociali. Per questo l'affermazione del merito può tradursi, se
declinato con rigore, in un fattore di forte discontinuità culturale,
in una battaglia profondamente democratica. Per questo le nostre proposte si
rivolgono a tutti, alle componenti più
dinamiche della società, che non devono temere di essere penalizzate e
a quelle più esposte ai rischi di emarginazione, che vanno sostenute
nella loro crescita. Oggi la società italiana è prevalentemente
organizzata su sistemi di cooptazione basati su relazioni familiari,
professionali, politiche, sindacali, associative o di altro genere. Relazioni che condizionano l'accesso a carriere pubbliche
e private, alle professioni come allo svolgimento di attività di
impresa in una serie di settori protetti da potenti barriere.
La nostra battaglia deve rompere questo immobilismo, settore per settore. Deve innestare radicali cambiamenti per aprire
tutti i campi e per investire sulla intelligenza e
la creatività dei ragazzi italiani. La creatività e i talenti
si sviluppano a cominciare dalla scuola. Per questo occorre investire di
più in educazione, a cominciare dalla prima infanzia e poi ai vari
livelli della scuola, fino alla formazione permanente. Servono più
risorse, non tagli. Risorse che tengano conto dei bisogni, ma anche della
qualità dell’insegnamento per stimolare tutti, insegnanti e studenti a
migliorare, per responsabilizzare ciascuno a mettere
a frutto il tempo preziosissimo della scuola. La scuola è un luogo di
servizio, di apprendimento e di responsabilità, non un parcheggio.
Vogliamo una scuola autonoma, responsabile e valutabile nei risultati. Una
scuola aperta al mondo esterno, non chiusa su se stessa, che favorisce la
crescita sia delle conoscenze sia delle esperienze. Una scuola aperta e
moderna deve investire nelle nuove tecnologie, insegnare la confidenza con i
nuovi mezzi tecnologici pc, programmi, internet, da
cui nascono nuove professioni. Occorre anche rilanciare le scuole dell’arte e
le facoltà connesse alla cultura, all’arte, alla sua conservazione e
recupero ed insieme ad esse anche le facoltà
scientifiche. Il criterio del merito, associato a quello del dovere, deve
riguardare in primo luogo la scuola e le università, gli studenti e le
loro famiglie. Ma deve poi riguardare anche la progressione di carriera dei
docenti e deve diventare il criterio per il trasferimento di risorse da parte
dello Stato alle singole università, con certificazione di
qualità in base a parametri europei. Solo
praticando i principi del merito, dell'innovazione, della
responsabilità, siamo credibili nel pretendere più autonomia
alla nostra scuola e alla ricerca, nel chiedere maggiori investimenti in
questi settori per portarli ai livelli di qualità necessari a
competere nel mondo, a ridare prospettive ai giovani e a formare la futura
classe dirigente del paese. L’università deve essere all’avanguardia
nella valorizzazione dei talenti dei giovani. Quindi
occorre combattere chiusure corporative e clientelari, introdurre criteri di
merito nella selezione per gli accessi, per i ricercatori, nella valutazione
dei docenti, delle università e dei loro dipartimenti. Ai giovani
meritevoli vanno offerte, sulla base di valutazioni
severe, borse di studio e poi contratti di ricerca di ammontare e durata
adeguati, come in altri paesi. A chi mostra di avere capacità
scientifica vanno offerte prospettive controllabili di carriera, cominciando
da subito con il reclutamento “in campo aperto” di giovani ricercatori.
Così si offrono vere opportunità e autonomia ai giovani che
vogliono investire nell’educazione e nella ricerca di cui il nostro paese ha
estremo bisogno. E per questo si possono anche far pagare più tasse
universitarie a chi se lo può permettere. Questa impostazione mirata
alla valorizzazione del merito va adottata in tutto il settore pubblico dove
l'ottica attuale deve essere corretta: mettersi non soltanto dalla parte dei
dipendenti o degli amministratori pubblici ma dalla parte dei cittadini. Non
si può più attribuire le inefficienze solo e sempre alla
mancanza di risorse. Non è vero che più soldi generano sempre
più qualità. Molto dipende da una migliore organizzazione, da
procedure semplificate, dall'impegno di chi vi opera. E chi opera bene va riconosciuto e premiato. Per migliorare il lavoro
dei pubblici dipendenti non bastano i proclami e neppure le minacce. E’
importante motivare il personale con politiche incentivanti le buone
pratiche, gestire con imparzialità i rapporti sindacali e di lavoro,
assegnare alle unità amministrative obiettivi di qualità
fornendo strumenti necessari. Per andare in queste direzioni non basta la
legge, tanto meno leggine invasive della contrattazione dei vari contenuti del rapporto di lavoro. Le esperienze passate mostrano
come questo uso legislativo sia stato distorsivo della buona amministrazione.
Occorre invece responsabilizzare la dirigenza
valorizzandone i poteri organizzativi, le responsabilità nella
gestione dei rapporti di lavoro, e l’autonomia nell’interlocuzione con il
sindacato, ma anche difendendoli dall’invadenza della politica che con questo
governo è molto cresciuta. Sono le debolezze e la scarsa autorevolezza
dell’interlocutore pubblico che hanno ridotto
l’efficienza della Pubblica amministrazione, frustrato molti tentativi di
riforma, e alterato il valore della contrattazione collettiva come strumento
di regolazione e di riforma del lavoro pubblico. Noi siamo interessati a rafforzare
la contrattazione, mantendone il compito essenziale di regolazione
consensuale dei rapporti di lavoro, senza
sconfinamenti nella responsabilità della dirigenza, ma difendendolo
dalle incursioni legislative. Vogliamo migliorare i processi negoziali
secondo le proposte da noi avanzate in parlamento. Il merito deve affermarsi
anche nello spazio dell'attività economica privata. Un'idea
meritocratica del mercato non vuol dire affatto
liberismo. Vuol dire affermare, anche nei rapporti economici una nuova etica
della responsabilità, regole dei mercati e trasparenza a tutela delle
imprese e dei cittadini. Valorizzare il merito nelle imprese vuol dire anche
superare le prassi scandalose che vedono stipendi d’oro per molti dirigenti e
speculatori convivere con stipendi ingiustamente bassi di tanti
collaboratori, giovani e meno giovani. Sta alle
forze progressiste mostrare che la risposta conservatrice, apparentemente
protettiva e tranquillizzante, in realtà non crea un nuovo ordine ma
cerca solo di rinviare il problema e di tenere tutto drammaticamente
immobile. La quinta e ultima parola è QUALITA' Nel mondo globalizzato
ogni paese, ogni economia nazionale dovrà rinunciare ad essere competitiva su tutto e dovrà puntare sui
terreni su cui è più forte e vincente.
Alcune nazioni punteranno sul basso costo della mano d'opera, altre sulle
grandi estensioni territoriali, altre sulle materie prime. L'Italia
dovrà puntare sulla qualità. L'economia di qualità
basata sulla conoscenza è la strada indicata dall'Europa e adottata
ormai anche dai paesi emergenti. L’Italia deve imboccare questa strada, e
anzi primeggiare. L'economia di qualità fa leva sulle risorse delle
persone contro l'egemonia del consumismo di massa, sull'utilità di uso
dei prodotti piuttosto che sul loro valore di mercato e sulla loro
ostentazione, che tiene conto della sostenibilità ambientale e di
tutte le scelte e utilizza le conoscenze scientifiche per migliorare gli
equilibri ecologici. Puntare sulla qualità indica una nuova direzione
dello sviluppo, che supera l'idea della crescita quantitativa fine se stessa,
dimostratasi spesso distorsiva
e illusoria. Comporta un diverso modo di concepire il successo economico.
Questo non può consistere solo nella crescita del Pil ma deve risultare da indicatori più complessi che misurino
lo "sviluppo umano": la qualità delle relazioni personali e
dell'ambiente, la distribuzione delle ricchezze e delle opportunità,
l'accesso ai saperi e alla mobilità sociale, le aspettative di vita,
le possibilità effettive delle persone di realizzare le proprie
aspirazioni. Nella nostra concezione la qualità economica si congiunge
e si rafforza con la qualità sociale. La crescita si deve basare non
sullo sfruttamento indiscriminato dei fattori produttivi, ma su una elevata qualificazione professionale del lavoro, su
condizioni produttive e normative rispettose delle persone e delle
comunità. Questi sono gli orizzonti con cui vogliamo che il nostro
paese si misuri. Puntare sulla qualità significa puntare
sull'eccellenza, sulla parte alta della filiera produttiva, dove contano di
più la creatività e il capitale umano. Significa investire in
conoscenza. Scuola, scuola, scuola e poi
università, ricerca, innovazione, cultura. Significa valorizzare la
capacità di produrre o di inventare cose che piacciono a un mondo
voglioso di qualità.
Alle Olimpiadi di Pechino erano piemontesi le pavimentazioni degli impianti
sportivi, bresciani i fucili che hanno vinto medaglie, marchigiane le
macchine elettriche, lombarde le piscine, toscani gli scafi del canottaggio,
del CNR la centrale di monitoraggio ambientale più grande al mondo.
Qualità significa valorizzare la bellezza del proprio territorio,
delle coste, delle nostre montagne, delle città e dei borghi italiani,
della loro storia e del loro patrimonio culturale. Valorizzare un tessuto di
piccole e medie imprese legate al territorio e attente alla qualità. Valorizzare le radici e le nostre tradizioni, un intreccio unico
di storia e cultura, di agricoltura e prodotti tipici, di buona cucina, di coesione
sociale e qualità della vita. Tornare a investire in beni culturali
invece di tagliare le risorse come fa il governo. E promuovere una politica
moderna del turismo, che valorizzi le sue grandi potenzialità per il
Paese. L'Italia è la risorsa dell'economia italiana. Difenderla dalla
devastazione e dal saccheggio è come per l'economia di un paese arabo
tutelare le proprie risorse petrolifere. Anche per questo valorizzare e
investire sull'ambiente e l'economia verde deve essere la nostra priorità.
La green economy sarà nel prossimo decennio ciò che è
stata la rivoluzione informatica negli anni 80, il nuovo motore dell'economia
mondiale. Chi raccoglierà questa sfida sarà protagonista, chi
si attarderà è destinato a rimanere ai margini. I risultati del
recente G8 hanno segnato una timida inversione di tendenza nell'impegno per
le energie rinnovabili e contro il riscaldamento globale. Occorre fare di
più. Noi vogliamo che l'Italia faccia proprio il programma della
presidenza Svedese dell'Unione europea e per questo proponiamo che si
alleggeriscano le tasse sulle imprese che mettono in atto comportamenti meno
inquinanti. Noi vogliamo che l'Italia guidi una rivoluzione verde, vogliamo
estenderne le grandi opportunità a tutti i territori, a cominciare da
quelli del Sud, che su questi temi potrebbe riscoprire una vocazione che
traini il suo sviluppo.
La ricerca della qualità nella sua dimensione più ampia deve
riguardare tutte le condizioni materiali e ambientali che determinano la vita
delle persone e la convivenza civile: dagli assetti del territorio e delle
città, alla fruizione dei beni e delle
occasioni culturali, all'accesso ai servizi personali e collettivi
(mobilità, assistenza, abitazione). Politica e amministrazione sono
chiamate in causa per creare le condizioni di contesto
necessarie a sostenere queste scelte di qualità. Lo insegnano le
esperienze di altri paesi e di grandi città i cui amministratori sono
intervenuti attivamente su questi terreni, fino ai dettagli del vivere
quotidiano, dalla qualità dei trasporti pubblici, agli asili per
bambini, al recupero dei centri storici, alla cura delle aree verdi e dei
luoghi del vivere comune. Per centrare questo obiettivo serve un Partito
Democratico più coraggioso e più netto nei suoi sì e nei
suoi no. Sì a una radicale riconversione del nostro sistema energetico
verso l'efficienza, il risparmio, le fonti rinnovabili. No al nucleare del
passato, pericoloso e costosissimo. Sì a una rivoluzione fiscale che
alleggerisca il prelievo su lavoro e imprese che inquinano e consumano meno.
No all'abusivismo e al consumo spregiudicato di territorio. Sì all'edilizia di qualità, alla sicurezza
antisismica e al recupero e alla riqualificazione del patrimonio edilizio
esistente. No a tutte le forme di illegalità
ambientale, cominciando da una lotta senza quartiere alle ecomafie e
dall'inserimento dei reati ambientali nel codice penale. Sì a uno
sviluppo locale e urbano che scelga una mobilità più
sostenibile e meno soffocata dal trasporto su strada, che opti
per sistemi moderni di smaltimento dei rifiuti. E' su questa rotta che
oggi deve muoversi l'Italia. Dobbiamo avere fiducia nei nostri talenti.
Abbiamo territori ricchi di saperi, di creatività, di comunità
che conservano qualità della vita e forte coesione sociale. Dobbiamo
valorizzare questi talenti con l'innovazione, sfruttando le grandissime
opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Ma
dobbiamo farlo. Ricostruire un'identità del nostro
campo e farci capire dagli italiani con parole chiare Sarà un lavoro
lungo e difficile. Serviranno passione e tempo. Un lavoro importante
anche perché su questa base poi costruiremo la nuova alleanza con cui
candidarci alla guida del Paese e vincere. Vogliamo tornare a vincere e
quindi sceglieremo la strada delle alleanze anche per il governo nazionale,
come abbiamo fatto nei comuni e nelle province e come faremo il prossimo anno
nelle regioni. Ma dobbiamo dire con chiarezza che non torneremo a quella
stagione delle coalizioni frammentate e litigiose,
costruite con l'unico collante del nemico. Quel tipo di coalizione
che ha sempre colpevolmente coperto la qualità dell'azione dei governi
di centrosinistra. Formeremo una alleanza che dia
agli italiani la garanzia di un programma condiviso e realizzabile. Credibile non solo per vincere ma anche per poi riuscire a
governare. E difenderemo i principi del bipolarismo e dell'alternanza
tanto faticosamente conquistati. Non torneremo indietro, ad
un centro-sinistra col trattino, basato su una divisione di compiti nel
raccogliere consenso o nel rappresentare pezzi di società e che
circoscriva la nostra capacità espansiva. Solo ipotizzarlo significa
dichiarare fallita l'esperienza del Pd, che è nato proprio sul
superamento di quella divisione di compiti e significa non avere capito che
quello schema si trascina forse in pezzi di classe dirigente ma non esiste
più da tempo nel nostro popolo. Un unico
popolo fin da prima che nascesse il Partito democratico.
Non torneremo nemmeno indietro a scelte politiche né accetteremo leggi
elettorali che spostino a dopo il voto la scelta
delle alleanze, sottraendo ai cittadini il diritto di conoscerle e sceglierle
prima. Dopo che gli è stato già tolto il diritto di scegliere
le persone da eleggere. Diritto che noi vogliamo venga
restituito a loro, con il ritorno ai collegi uninominali, compatibili con
diversi modelli di legge elettorale, ma sempre in grado di mantenere il
migliore rapporto tra un eletto e il suo territorio. Per preparare una nuova
alleanza servono pazienza e lavoro. Oggi caratterizzarsi e scontrarsi nel
dibattito congressuale soltanto sulla scelta dei possibili alleati di domani sarebbe prova di una sconcertante povertà di idee.
Fare l'opposizione insieme con altri partiti, individuare battaglie comuni,
in Parlamento e nel Paese, sui contenuti dell'azione di governo, sarà
il terreno migliore per sperimentare la possibilità di formare una alleanza coesa e credibile. Fare l'opposizione.
Parliamo troppo poco di questo. Eppure questo oggi è il nostro compito
principale. Il compito che dobbiamo svolgere anche in questi mesi di
congresso, tenendo distinto il piano del dibattito interno dall'esigenza di
rappresentare le posizioni del partito all'esterno in modo unitario e
condiviso. Dobbiamo continuare a mettere in campo proposte per risolvere i
problemi del Paese ma questo non è in alcun modo in contrasto con
quello che fanno le opposizioni in tutte le democrazie del mondo: si
oppongono. Criticano l'azione del governo, ne denunciano le omissioni e le
colpe. Noi dobbiamo riuscire a farlo con più determinazione. Non
dobbiamo farci condizionare dalle parole dei nostri avversari o di quei
politologi interessati che ci accusano di antiberlusconismo
ad ogni critica che facciamo. Contrastare il governo
non è antiberlusconismo. Essere riformisti
non significa restare zitti. Un riformista alza la voce, batte i pugni sul
tavolo quando vede violentati lo stato di diritto e le istituzioni
democratiche, quando vede un governo che nega la crisi e le difficoltà
di milioni di italiani, che non approva né riforme
strutturali né misure per fronteggiare l'emergenza.
Un riformista alza la voce e batte i pugni sul tavolo quando un capo del
governo attacca la stampa libera e il diritto di cronaca, quando intimidisce
imprenditori e editori, quando offende le istituzioni internazionali,
colpevoli solo di dire la verità. La
verità. Questa cosa per lui così strana e pericolosa. Fare l'opposizione con fermezza e contemporaneamente mettere in
campo proposte per fronteggiare la crisi. E poi fare
il partito. Perché il partito lo stiamo ancora costruendo. E il congresso
sarà l'occasione per fargli fare un grande
passo in avanti. Per questo non dobbiamo temerlo o viverlo come una
lacerazione, o addirittura come l'anticamera di una scissione. Qualsiasi cosa
accada noi resteremo insieme. Ma abbiamo bisogno di un
confronto vero e onesto tra visioni differenti sul futuro e su quello che
abbiamo fatto da quando il PD è nato. Ci sono certamente stati limiti
e abbiamo fatto errori, abbiamo già attraversato sconfitte e risultati
positivi, come sempre è stato e sempre sarà. Ma
per una volta vorrei che tutti noi rivendicassimo il lavoro che insieme
abbiamo fatto. Rivendicassimo con orgoglio il lavoro straordinario che
insieme abbiamo fatto. In venti mesi abbiamo dovuto sciogliere i partiti
precedenti, darci regole e statuti, radicare i circoli. Abbiamo fatto le
primarie, gestito due campagne elettorali. In venti mesi abbiamo costruito
uno dei più grandi partiti del campo progressista. Alle elezioni
europee di quel campo siamo diventati il primo partito, il partito
che ha preso più voti. Abbiamo cambiato la politica italiana,
chiudendo la stagione della frammentazione politica e delle coalizioni contro.
Abbiamo fatto nascere oltre 6000 circoli, abbiamo ormai incrociato e
mescolato le nostre provenienze, come questo congresso sta dimostrando,
abbiamo oltre mezzo milione di iscritti e migliaia
di quadri e amministratori. Su questo lavoro oggi possiamo investire. Da
questo lavoro, anche dai nostri errori, possiamo ripartire per costruire il
partito. Un partito che coltiva le diversità culturali al suo interno
come una ricchezza, ma che cerca e trova la sintesi. Diversità non
significa galleggiare e non scegliere. Significa dialogare, accettarsi e poi
decidere. Nel modo più semplice e antico, quello che per noi sembrava
un tabù: votando. In questi quasi cinque mesi da Segretario ho cercato
di fare così: su temi che sui giornali sembravano destinati a
spaccarci drammaticamente, abbiamo discusso e votato. Dalla
scelta sul referendum, alla convocazione del congresso sino alla nascita del
nuovo gruppo parlamentare al parlamento europeo, l'Alleanza
progressista. E fatemi dire che questa è la nostra vittoria politica
più bella. Sul terreno che a tutti sembrava il più insidioso e
insormontabile, abbiamo fatto fare un passo enorme a
tutte le forze democratiche e socialiste europee verso una nuova casa comune.
E così continueremo a fare: discutere e decidere, anche sui temi
più difficili, a cominciare da quelli eticamente sensibili. Diremo no
a chi pensa che su un terreno così nuovo e delicato, che interroga e
riempie di paure e di speranze le coscienze di laici e cattolici allo stesso
modo, il confronto voglia dire soltanto sbattersi reciprocamente in faccia la
propria verità. Ci aspetta alla Camera il lavoro sul testamento
biologico. Ci ascolteremo, dialogando. Ma alla fine
decideremo la posizione del partito. Rispetteremo fino in fondo chi non si
sentirà di condividerla, ma decideremo. Sarà il modo più
onesto di interpretare la laicità del nostro partito e di rispettare
il principio intoccabile della laicità dello stato. Quello che sta
scritto nella nostra Costituzione e che appartiene a tutti noi, laici e
cattolici del PD.
Lo hanno detto molto chiaramente i 60 parlamentari
cattolico- democratici nella lettera con cui due anni fa hanno spiegato il
rapporto tra la loro scelta di fede e la laicità nelle scelte
politiche e parlamentari. E non dobbiamo cadere nella tentazione di far
diventare questo tema il terreno dello scontro e delle divisioni
congressuali. Deve essere invece la base condivisa del nostro percorso
comune. La laicità oggi non è più soltanto il principio
che regola il rapporto tra Chiesa cattolica e Stato. Nella società
aperta, nel mondo globale e plurale, il tema della laicità va
declinato in modo più ampio. Non si può parlare al singolare:
esistono fedi e culture diverse che sono chiamate a convivere. E questo
pluralismo è caratterizzato da valori e tradizioni a loro volta
diversi, che talvolta possono essere in conflitto. Essere
laici nelle società contemporanee significa accettare che
nessuna scelta politica sia sottratta alla faticosa strada delle necessarie
sintesi. Sapendo con certezza che nessuna legge potrà mai essere
l'automatica traduzione di un valore religioso. La laicità, dunque,
oggi è la garanzia della libertà di tutti, credenti in una fede
o non credenti, nello spazio pubblico, nei loro
diritti civili. E non si può pensare ad un
baluardo più solido, a difesa dello Stato laico, di un grande partito
come il PD. Un partito forte perché radicato nella complessità del popolo
italiano, e quindi capace di resistere ad ogni
tentativo di condizionarne le scelte. E un partito plurale. Un partito che fa
della contaminazione tra le visioni del mondo e le culture politiche al
proprio interno, un argine efficace contro tutti gli integralismi e i
fondamentalismi, religiosi come ideologici. Poi vogliamo un partito aperto.
Che spalanca i propri gruppi dirigenti a quelle persone, soprattutto a quei giovani e quelle donne, che non hanno appartenenze
precedenti e che hanno scelto di cominciare il loro impegno politico con il
Pd. Quelli che vorrebbero entrare e impegnarsi ma spesso non sanno nemmeno a
che porta bussare e invece abbiamo un bisogno enorme della loro freschezza e
delle loro energie.
Un partito che investe e spende nella formazione politica. Questa cosa
preziosa e dimenticata. Indispensabile per spazzare l'idea superficiale che
si possano avere responsabilità politiche
senza un percorso di preparazione e di studio che comincia dal basso, dalla
gavetta. Un partito in cui il rinnovamento necessario dei gruppi dirigenti
non ha nulla a che vedere col "nuovismo"
scelto dall'alto, ma significa valorizzare e investire sull'esperienza e sul
radicamento territoriale di sindaci, di amministratori, di segretari
provinciali e coordinatori di circolo, di parlamentari e quadri del partito.
Appena eletto segretario ho pensato di dover fare così, ho sciolto i
vecchi organi collegiali e ho formato una segreteria
costituita da un Sindaco, un Presidente di Provincia e uno di Regione, un
segretario regionale e uno provinciale, una parlamentare e un consigliere
regionale. Per questo non devo fare promesse, ma soltanto dire che con questi
stessi criteri comporrò la mia futura squadra. Un partito che difende
come oro la forza dei propri militanti. Tutte quelle persone che hanno
scelto, iscrivendosi al partito, di dedicare una parte della propria vita a
un ideale, tenendo aperti i circoli, distribuendo volantini e giornali,
animando le feste di partito, appassionandosi per la politica. Ma un partito che sa anche che nella società di
questo secolo esistono altre forme di partecipazione a un progetto politico,
meno stabili ma non per questo meno vere e appassionate. Cambiamo lo statuto dove non funziona. Rivediamo le regole del
tesseramento per avere più apertura e più trasparenza insieme.
Mettiamo un po' d'ordine nelle regole ma non rinunciamo alla scelta che
abbiamo fatto alla nascita del Pd, di affidare agli iscritti le scelte del
partito e l'elezione degli organi territoriali, affiancando a loro gli elettori,
da chiamare nei momenti delle grandi scelte, com'è certamente
l'elezione di un segretario nazionale. Non alziamo barriere. Gli elettori del
Pd non sono estranei, sono parte di noi. Sono quelli che arrivano nelle
grandi mobilitazioni civili, che ci sostengono nelle campagne elettorali, che
riempiono le piazze e i comitati. Ecco perché difendo questo equilibrio e
perché penso che le primarie del 25 ottobre saranno un'altra
momento importante per noi e per la democrazia italiana.
Io voglio un partito solido. Ma fare un partito
solido nel 2009 non significa rispolverare i modelli di cinquant'anni fa. Poi
un partito nazionale e federale insieme che, dentro una missione unitaria,
lasci ai partiti regionali autonomia politica e statutaria nella scelta del
modello organizzativo, delle alleanze, dei candidati, delle priorità
programmatiche. Partiti regionali che, come prevede il nostro statuto, possano decidere di aggregarsi per aree geografiche
omogenee, nel nord o nel sud del paese, per dare più forza, organizzativa
e politica alla nostra azione, tenendo conto delle specificità dei
territori e degli attori istituzionali e politici che vi operano.
Un partito che valorizzi i suoi legami con le comunità italiane nel
mondo e che metta in campo strumenti nuovi per potenziare il collegamento e
il coinvolgimento strategico di quelle realtà. Un partito infine
radicato sul territorio, che vuole avere un circolo in ogni paese, in ogni
quartiere con una sede aperta. Circoli che non siano solo luoghi per misurare
i rapporti di forza nei congressi o per comporre organi e giunte, ma che si
occupino del territorio e dei problemi delle comunità locali in cui
sono. Questo è il radicamento. Circoli come antenne per ascoltare e
capire l'Italia. Ce ne sono migliaia che sono nati così e che vogliono
restare così. Li ho incontrati dappertutto girando città e
comuni, prima e durante la campagna elettorale. Circoli e iscritti che
rifiutano di appartenere a tizio o a caio, a un
capo o all'altro. Che sono nati liberi e vogliono restare liberi.
Che al congresso voteranno il Segretario nazionale non in base
all'indicazione ricevuta da qualcuno che conta ma secondo
coscienza, scegliendo il candidato per pensano farà meglio per
il loro partito. Guardando non da dove viene ma dove
vuole andare. Un Patto con i Circoli. Questa è la mia proposta per il
congresso.
Un Patto che rispetti la pluralità di culture che arricchiscono il
partito. Che non le teme. Che non cerca di fare prevalere una
identità sulle altre. Avere scelto di fare
un grande partito significa necessariamente imparare ad accettare le
diversità che ci sono ancora tra noi. Sentirsi come un fiume, come un
grande fiume che raccoglie e mescola le acque di
tanti affluenti e le porta verso il mare lontano. L'arcipelago di storie e
provenienze che sostengono la mia candidatura non è un limite è
una ricchezza. Sarà mia la responsabilità di fare sintesi, e di
trasformare in un messaggio condiviso e unico questa varietà di
posizioni. Che sono però, voglio dirlo con chiarezza, la migliore
garanzia che il Partito Democratico resterà fedele all'idea che l'ha
fatto nascere. Che non torneremo indietro. Che non torneremo a riconoscerci
nelle provenienze che abbiamo scelto liberamente e consapevolmente di
lasciare alle nostre spalle. Ci vuole sempre più coraggio quando si
sceglie di andare avanti. Fermarsi o tornare indietro può
essere più tranquillo e rassicurante, soprattutto in un tempo di paure
e incertezze. Ma noi vogliamo un partito che ha il
coraggio di rischiare. Un partito che ha coraggio nel costruire se stesso e
il proprio radicamento con pulizia e con rigore, che ha coraggio sia
nell'ammettere i propri errori che nel rivendicare con orgoglio i risultati
della sua giovane storia. Un partito che ha coraggio nel fare l'opposizione,
sfidando la prepotenza e il potere di questa destra con la forza delle ideali, della voce, delle mani e delle braccia di
migliaia di donne e di uomini. Un partito che ha coraggio nello svegliare la
coscienza civile di un paese che sotto la crosta è pieno
di forza e di energia positiva, di talenti e di voglia di futuro. Un partito
che propone all'Italia il cambiamento contro la conservazione. Oggi, davanti
a voi, assumo l'impegno di mettercela tutta.
Ho cominciato ad amare la politica a 16 anni, in una
assemblea studentesca che non potrò mai dimenticare, piena di giovani
che si infuocavano di amore per le loro idee, così lontane,
così diverse, così assolute. Credevamo tutti che la politica
fosse la chiave per cambiare il mondo. Da allora ho incrociato speranze e
amarezze, ho iniziato a 20 anni in consiglio
comunale e mi sono trovato segretario del partito che ho sempre sognato, ho
fatto errori, ho conosciuto l'entusiasmo e la disillusione. Ma sono ancora convinto che la politica sia quella chiave
per cambiare il mondo, sia la chiave per costruire il giorno che viene.
"Ogni mattina -ha scritto David Maria Turoldo-
quando si leva il sole, inizia un giorno che non ha mai vissuto
nessuno". Abbiamo davanti a noi un tempo che vale la pena vivere.
Sarà un tempo di sfide dure e bellissime. Sarà il nostro nuovo
giorno. E noi lo vivremo.
Mozione a sostegno della
candidatura di Ignazio R. Marino
a segretario del Partito Democratico
Vivi
il PD, cambia l'Italia
Noi
italiani abbiamo il diritto di tornare a essere orgogliosi del nostro paese. Perché
l’Italia è migliore di quanto vorrebbe la
retorica del cinismo e del disincanto.
Siamo una grande nazione di cittadini che vivono ogni giorno milioni di
storie, fatte di lavoro, passione e creatività. Donne e uomini che si impegnano a migliorare il proprio avvenire e che oggi
alla politica chiedono soprattutto una prospettiva di speranza, insieme alla
capacità di restituire visione e senso del futuro.
Per questo all’Italia serve un Partito Democratico vivo e vitale.
È l’idea stessa di democrazia a dover essere il filo conduttore delle
scelte politiche e programmatiche del nostro partito.
Una democrazia più forte, che parta dai bisogni e dalle speranze di
ogni singola persona e che punti ad includere un
numero sempre maggiore di cittadini nella vita pubblica, sociale ed
economica.
Una democrazia che non è data una volte per tutte, ma che va nutrita,
curata e rafforzata attraverso scelte politiche mirate: dalla singola
comunità cittadina alle istituzioni pubbliche, fino alle
comunità internazionali di cui l’Italia è parte. Per noi la
democrazia non può definirsi tale se continua a escludere le donne
dalla vita pubblica e dai luoghi decisionali, che si priva del loro sguardo
sul mondo, uno sguardo che tiene insieme e
arricchisce tutta la società.
Come recentemente ci hanno insegnato le donne e gli uomini dell’Iran, la
democrazia è strettamente legata all’insopprimibile, umana, ricerca
della libertà. Una tensione universale che, a cavallo del ventunesimo
secolo, ha condotto decine di nuovi Stati ad adottare governi
rappresentativi, a rafforzare la comunità internazionale degli Stati
democratici.
Il rafforzamento della democrazia nel nostro paese, che ha il suo fondamento
nella resistenza al nazi-fascismo e nell’Assemblea Costituente, si è
dovuto scontrare con i problemi dell’arretratezza economica e culturale, con
la criminalità organizzata, con il terrorismo politico. Superate prove
durissime, l’Italia ha iniziato a conoscere, nel tempo della globalizzazione,
un indebolimento della sua democrazia.
La crisi delle nostre istituzioni politiche e delle classi dirigenti diffuse
ha generato un significativo distacco di ampi strati
di popolazione dal discorso pubblico, al quale si è sostituita una
spettacolarizzazione continua vissuta come fine a se stessa da masse crescenti
di persone, che non vedono altro mezzo per vivere un ruolo attivo nel corpo
della società.
L’Italia è fatta di comunità locali coese, di coraggio
quotidiano e di capacità solidale, offuscati da una narrazione in cui
prevale un modello caratterizzato dall’individualismo clientelare, dalla
furbizia cinica, che finisce per svuotare sistematicamente il senso civico
nazionale.
Il Partito Democratico deve curare, a partire dallo
sviluppo di una sana vita democratica al suo interno e nelle politiche che promuove,
la crescita di un forte senso civico, imparando a riscoprire tradizioni
millenarie che, in passato, sono state capaci di contaminare l’Europa intera.
L’Italia ha bisogno di tornare ad avere a cuore la propria democrazia. Avere
a cuore la democrazia significa poter declinare in positivo e con un
orizzonte largo ogni politica e ogni decisione. Avere a cuore la democrazia
significa combattere le disuguaglianze economiche e sociali, lottare contro
le discriminazioni e per i diritti di tutti, mirare all’integrazione di tutti
i cittadini. Avere a cuore la democrazia significa progettare uno sviluppo
economico dinamico e inclusivo, senza lasciare sacche di povertà e di
marginalità.
Avere a cuore la democrazia significa affrontare le urgenze del mondo del lavoro,
far cessare le forme intollerabili di precarietà – la “via italiana”
alla flessibilità e alla competizione, che ha
avuto risultati disastrosi per il futuro delle nuove generazioni.
Avere a cuore la democrazia significa investire oggi in maniera strategica
sulla scuola e sulla ricerca scientifica.
Avere a cuore la democrazia significa far tornare la questione meridionale al
centro di un grande progetto di governo nazionale. Una più efficace
presenza dello Stato deve andare di pari passo con un profondo senso di
uguaglianza territoriale per il quale nulla di ciò che è
normale e scontato a Milano non possa che essere normale e scontato anche a
Palermo, e viceversa.
Avere a cuore la democrazia significa riformare il campo dei media attraverso
una nuova e severa legislazione antitrust, necessaria per allargare non solo
l’accesso a un’informazione politica pluralista, ma un mercato della
pubblicità meno concentrato, che consenta il libero dispiegarsi della
creatività nazionale nell’impresa economica, che oggi trova una
strozzatura chiave nei regimi di quasi-monopolio
dell’informazione.
Avere a cuore la democrazia futura significa dimostrare una naturale
attenzione verso il presente, attraverso dispositivi che mirino a risolvere
la crisi economica, sociale e culturale che stiamo attraversando.
Il concetto inclusivo della democrazia, intesa come un processo continuo e
una chiara direzione di marcia, è quindi nome, simbolo e sostanza del
Partito Democratico. Un partito che mette al cuore della propria ragion d’essere
la stessa ricerca individuale della libertà da cui si origina lo spirito e la sostanza della democrazia stessa.
Uno Stato democratico non impone alcuna scelta individuale, ma difende ogni
religione, ogni credo, ogni opinione politica, ideologica o la loro assenza,
nei limiti in cui esse non contrastino con i principi di uguaglianza
sostanziale e inclusiva della democrazia.
Da questa premessa discendono naturalmente le opzioni
politiche e programmatiche contenute in questa mozione, senza alcuna differenza:
si riferiscano esse alla vita interna del Partito Democratico, oppure
tratteggino priorità politiche e programmatiche da mettere a
disposizione del Paese.
L’Italia ha bisogno di più democrazia, l’Italia ha diritto di
riscoprire l’orgoglio di sé, della sua dignità, della sua storia, del
suo lavoro, delle sue comunità. Ha bisogno di guardare al futuro con
speranza e con fiducia.
Per questa ragione ci presentiamo così: italiani e democratici.
PARTITO E DEMOCRATICO
L’Italia ha bisogno di un Partito Democratico.
Un partito che riparta dalle persone. Dalla qualità
e dai bisogni delle loro vite, e anche dalle loro attese e speranze.
Un partito che abbia una direzione politica chiara, frutto della
partecipazione dei suoi aderenti e dei suoi sostenitori.
Un partito che abbia una linea verticale a doppio senso, dalla base dei suoi
iscritti alle figure di riferimento politico nazionale, e conosca anche una
dimensione orizzontale, di scambio e collaborazione tra i territori, i
circoli, le amministrazioni locali, condividendo le buone pratiche. Non
gerarchie, insomma, ma rapporti e relazioni.
Un partito libero dalle correnti, che abbia un assetto federale, riconosca
l’autonomia dei territori e dei circoli e la sostenga con risorse adeguate.
Un partito che sappia coniugare strumenti moderni e antiche modalità di relazione, che sappia rinnovare un
messaggio di coinvolgimento, di partecipazione, di apertura alla
società.
Un partito che non sia centralista né autoreferenziale.
Un partito che non sia di nessuno, perché è di tutti coloro che ritengono di poter partecipare alla sua vita
democratica.
Un partito esemplare che pratichi le cose che dice,
che si assuma la responsabilità di quello che propone, che sia
riformista prima di tutto di se stesso.
Un partito aperto, trasparente e credibile come vorremmo che fosse l’Italia.
Un partito che si qualifichi non solo per la coerenza con alcuni principi
fondamentali, ma per le risposte che sa offrire ai cittadini, rispetto alla
loro vita quotidiana e alle esigenze che più sentono.
Un partito che sappia indicare la via, senza avere la presunzione di imporla,
ma confrontandola con i desideri e le speranze di chi vuole raccoglierne il
messaggio.
Un partito aperto sul Paese e naturalmente aperto sul
centrosinistra.
Un partito che guardi all’esterno, che si prenda cura degli elettori di tutto
lo schieramento progressista, che apra con loro un confronto, che miri a
rappresentarli il più possibile.
Un partito che abbia un forte respiro maggioritario, che costruisca le
proprie alleanze a partire dal proprio profilo e da
quello che vuole per il Paese, non in base alla convenienza elettorale o al
mero esercizio politicista di cui abbiamo avuto fin
troppi esempi in questi anni.
Un partito che non vuole ridurre le proprie ambizioni e la portata del
proprio progetto.
Un partito che sia ancora convinto che è necessario
aprire un lungo ciclo riformista in Italia, e che intenda stabilizzare il
bipolarismo.
Un partito che voglia restituire dignità alla politica.
Un partito che sappia valutare il proprio lavoro, che si ponga il tema del
rapporto costante con il proprio elettorato e una valutazione trasparente del
proprio percorso e del lavoro svolto da chi lo rappresenta ad
ogni livello.
Un partito che sappia qualificarsi attraverso le proprie campagne, che sia
riconoscibile e credibile.
Un partito che sappia distinguere da territorio a territorio
proprio perché vuole tenere unito il Paese.
Un partito che guardi avanti e fuori, verso la società e verso il
futuro.
Un partito primario e dopario, capace di aprire
alla società la scelta delle persone e delle idee che promuove.
Un partito che si dia delle regole comprensibili e semplici, che siano
rispettate.
Un partito che abbia a cuore i diritti di tutti.
Un partito che sappia denunciare le cose che non vanno, le ingiustizie, i
soprusi.
Un partito che rispetti le minoranze e le diverse sensibilità che ne
fanno parte, avviando un dibattito aperto, non pregiudiziale, inclusivo e responsabile.
Un partito che superi la questione delle quote con una norma antidiscriminatoria
per cui donne e uomini non possano essere rappresentati in una misura minore
del 40% e comunque non maggiore del 60%, avendo a cuore l’obiettivo e la
maturità necessaria per affrontarlo e per raggiungerlo e per
consentire così la piena assunzione di responsabilità delle
donne a tutti i livelli.
Un partito laico.
Un partito che sia centro di elaborazione, aperto e contendibile, sulle
questioni di maggiore attualità e di più forte impatto sulla
vita delle persone.
Un partito che sia strutturato perché partecipato.
Un partito che faccia rete, in tutti i sensi: un partito che tenga collegate
e che miri ad integrare le esperienze dei circoli
con quelle del web.
Un partito abbia senso dello Stato, in tutte le sue articolazioni.
Un partito che parli la lingua delle persone e che si faccia capire, che
bandisca le formule astruse e il gergo della politica.
Un partito che non viva di contraddizioni (la più classica: apparati
versus società civile), ma che sappia rappresentare nel migliore dei
modi un dialogo costante con la società.
Un partito che sia esigente soprattutto con se stesso.
Un partito che sia partito e democratico.
IL NOSTRO FUTURO
Le sfide del PD per costruire il futuro partono da cinque parole.
Apertura. Vogliamo aprire l’Italia. Oggi siamo un paese chiuso, in cui
è difficile spostarsi sia fisicamente che in
termini di crescita economica e sociale. Siamo un paese in cui sono chiuse le
reti, i mercati, i sistemi di trasporto. Siamo un paese che ha bisogno di maggiore trasparenza, di modernità,
che ha sete di innovazione. Vogliamo dare dignità ai cittadini quando
sono utenti e consumatori; vogliamo fare della pubblica amministrazione una
controparte amica, efficiente e responsabile e mettere i cittadini e le
imprese nella condizione di adempiere più semplicemente ai propri
doveri. Vogliamo combattere i monopoli, le corporazioni, le oligarchie per
dare ai cittadini e alle imprese la libertà di scegliere e di crescere
in un ambiente economico sano e favorevole.
Vogliamo riformare profondamente gli ordini professionali e consentire un
accesso più facile e trasparente alle informazioni, alle professioni,
alla ricerca, al credito, ai fondi strutturali europei. Vogliamo diffondere
la banda larga in tutto il Paese per superare il “digital
divide” e diffondere informazioni libere e facilmente accessibili a tutti i
cittadini. Siamo anche un paese chiuso sul piano sociale. Vogliamo un paese
che punti all’inclusione di tutti i suoi cittadini e nel quale nessuno si
senta economicamente o socialmente discriminato. Vogliamo un paese che dia
alle donne più peso e dignità, insieme allo spazio e alla
possibilità di assumere pari responsabilità e contribuire come
gli uomini alla crescita economica e sociale del Paese. Vogliamo un paese in
cui i carichi di famiglia siano equamente distribuiti tra uomini e donne.
Vogliamo un paese che rispetti le proporzioni nella presenza delle donne nei
Consigli di Amministrazione e in tutti i luoghi in cui si prendono le
decisioni fondamentali per la vita e l’economia del Paese.
Coraggio. Vogliamo che l’Italia sappia interpretare e vincere le sfide del
nostro tempo.
Un Paese che dia risposte ai cambiamenti in atto nella società. Un
Paese che non discrimini nessuno dei suoi cittadini e che sia aperto a coloro
che da tutto il mondo portano qui le proprie speranze per il futuro, le
proprie capacità, il proprio contributo alla crescita e alla
prosperità delle nostre comunità. Un Paese laico, che pur
riconoscendo e rispettando la propria tradizione cristiana, accolga e faccia
sentire liberi e rispettati sia i credenti che i non
credenti; dove si possa continuare a scegliere e determinare i trattamenti
sanitari a cui essere sottoposti; in cui tutte le famiglie siano ugualmente
riconosciute e valorizzate; che sia amico dei bambini; in cui si lavori
attivamente per riconoscere pari opportunità a tutti i cittadini. Un
Paese dove al cittadino sia riconosciuta in via di principio la
responsabilità di autodeterminarsi e dove si lavori attivamente per
fare in modo che ciascuno abbia la possibilità di realizzare il
proprio progetto di vita. Un Paese che affronti il problema della casa mettendo in atto politiche straordinarie per
l’edilizia residenziale pubblica, il social housing
e una politica attiva per gli affitti. Un Paese che attui politiche per
l’ambiente e la sostenibilità, che pensi a uno sviluppo integrato con
uno sguardo etico e globale.
Merito. Vogliamo un’Italia che utilizzi al massimo l’eccellenza delle proprie
imprese e la capacità dei propri cittadini, dando loro la
possibilità di esprimere appieno le proprie potenzialità. Vogliamo
un Paese che valorizzi le capacità di produrre ricerca e innovazione,
dando la possibilità ai nostri ricercatori di lavorare e studiare in
università che siano organizzate, valutate e finanziate alla stregua
dei migliori atenei del mondo.
Un Paese in cui le classi dirigenti siano selezionate sulla sola base delle
proprie capacità, dove il merito sia premiato attraverso meccanismi
che sanciscono una responsabilità diretta in capo a chi è
chiamato a scegliere. Un Paese in cui ai giovani siano concessi mezzi e
possibilità di crescere professionalmente in ambienti lavorativi che
incoraggino l’investimento sulle proprie capacità e fondi per
sostenere idee imprenditoriali. Un Paese che non abbia timore di veder partire
i propri talenti ma che sia in grado di attrarre talenti dall’estero in
maggior misura di quelli che partono.
Protezione. Vogliamo essere una comunità
coesa e forte, che persegue il bene comune.
Vogliamo un Paese con un forte senso di legalità, rispettoso delle
regole, consapevole dell’importanza dei doveri di
ciascuno. Vogliamo un Paese sicuro in ogni senso: sicuro
sul lavoro, sicuro per le strade, sicuro nelle città, che garantisca
la sicurezza dei propri cittadini attraverso una protezione civile che lavori
per prevenire e minimizzare le conseguenze delle calamità naturali e
non solo per gestirne le conseguenze. Un Paese dove la giustizia sia
efficiente, rapida e uguale per tutti. Un Paese in cui viga la certezza della
pena e che rispetti la dignità dei detenuti. Un
Paese libero dal cancro della criminalità organizzata, dal fardello
dell’evasione fiscale, dalla corruzione, dall’inquinamento e dai rifiuti.
Che tuteli con determinazione il paesaggio e il territorio, le sue bellezze
artistiche e naturali e la sua eredità culturale, unica in tutto il
mondo.
Vogliamo un Paese che si prenda cura dei più deboli, che sostenga chi
è in difficoltà.
Un Paese in cui ci si prenda cura di coloro che hanno
meno, dove il benessere della comunità sia misurato sul benessere
degli ultimi.
Libertà. Vogliamo un’Italia della democrazia e della partecipazione.
Vogliamo un Paese dove i poteri dello Stato agiscano
nel rispetto reciproco, formale e sostanziale, preservando il prestigio e la
credibilità delle istituzioni. Un Paese in cui esista una rigorosa
responsabilità politica: dove la maggioranza abbia efficaci strumenti
di governo, e l’opposizione efficaci strumenti di
controllo ed entrambe siano sottoposte al vaglio critico del corpo
elettorale. Un Paese dove i partiti non occupino le istituzioni.
Dove al cittadino sia data la possibilità di formare, prima che di
esprimere, liberamente la propria opinione. Un Paese nel quale l’informazione
sia libera e che risponda sempre all’opinione pubblica e mai al potere. Un
Paese nel quale la compagine parlamentare sia scelta dai cittadini e non
dalle oligarchie, dove il potere sia effettivamente contendibile e le
differenze di posizioni emergano alla luce del sole per essere liberamente
valutate dalla pubblica opinione.
UN NUOVO PENSIERO
1. La crisi che attraversiamo è destinata a mettere il mondo e
l'Europa di fronte alle conseguenze di una globalizzazione che ha impoverito
i cittadini, fatto scivolare verso il basso i ceti medi nei paesi
industrializzati, aumentato le disuguaglianze sociali. La ricchezza si
è progressivamente distaccata dal lavoro delle donne e degli uomini, e
troppo spesso sono andate sprecate intelligenze e risorse naturali che
rendono vivibile il pianeta.
Anche in tempi di crisi, però, la politica deve darsi l’obiettivo
strategico di migliorare la vita delle persone, riducendo gli effetti
negativi del ciclo economico: occorre una nuova visione dell’economia nella
quale lo Stato provvede in modo non invadente ma forte dove il mercato non
basta (welfare, istruzione, salute, innovazione, nuove tecnologie) e in cui
la politica crea le condizioni per la crescita economica e occupazionale.
In questi mesi il dibattito e l’iniziativa politica italiana, e per molti versi anche europea, sono rimasti ben al di sotto
della gravità della crisi. Gli unici ad aver delineato
una strategia attiva capace di responsabilizzare le imprese e le persone sono
stati gli Stati Uniti di Barack Obama,
il quale ha fatto propria l’idea che il modo più rapido per uscire
dalla crisi sia investire sui tempi lunghi: scuola, università,
ricerca, green economy, grandi investimenti, insieme all’estensione
universale della copertura sanitaria.
Quell’Europa che si proponeva di diventare l’economia basata sulla conoscenza
più competitiva e dinamica del mondo, di tenere insieme mercato e
coesione sociale, sviluppo e sostenibilità, sembra definitivamente
emigrata oltre Atlantico.
2. Il Partito Democratico deve darsi una missione che vada oltre i confini
del nostro Paese, tornando ad essere protagonista a livello
europeo e internazionale.
All’interno della casa europea la dimensione dello Stato-nazione si sta
rivelando insieme troppo piccola e troppo grande per affrontare i nodi che la
crisi ci pone: la politica nazionale può tornare decisiva se
sarà capace di delegare verso un livello sovranazionale poteri che
solo a quel livello possono essere credibilmente esercitati, e verso i
territori l’elaborazione ed attuazione concreta
delle politiche di sviluppo.
Il PD deve collocarsi tra le idee e i luoghi, comprendere intimamente le
dinamiche economiche sia a livello globale che nei
contesti a noi più prossimi, proponendosi come punto di riferimento
per un nuovo e più coraggioso europeismo democratico e valorizzando al
massimo l’autonomia e la capacità progettuale dei territori.
3. Il Partito Democratico deve darsi una cultura economica autonoma, indicare
un credibile modello economico-sociale capace di sconfiggere l’egoismo che
investe la vita civile e di entrare in sintonia con l’enorme vitalità
presente nella società italiana.
Si deve operare con decisione per la costruzione di un'idea di mercato che si
diriga risolutamente nella direzione di uno sviluppo etico, sostenibile da un
punto di vista ambientale, sociale e occupazionale.
C’è la necessità di uno shock di innovazione
e di liberalizzazione, con regole chiare ed efficaci, per eliminare cause e
perpetuarsi di rendite di posizione di qualsiasi tipo e sbloccare risorse
inutilizzate e capacità creativa e imprenditoriale.
Liberalizzazioni e concorrenza sono decisive, ma devono accompagnarsi a
politiche industriali e devono facilitare
l’obiettivo di agganciare le nostre imprese ai nuovi driver dello sviluppo
mondiale: le energie rinnovabili e le scienze della vita e della salute.
Occorre inoltre rendere principi fondanti di ogni politica la
responsabilità individuale e il merito, naturali interfacce di un’idea
democratica dell’uguaglianza delle opportunità che si traduce nel
mettere a disposizione di tutti sempre maggiori
risorse, strumenti e diritti e nel rafforzare i legami di solidarietà
all’interno della comunità.
Solo così il riconoscimento anche economico dei meriti e delle
capacità individuali non indebolisce il senso di appartenenza a una
comune società, ma al contrario diventa nel sentire di tutti il mezzo collettivo
per conseguire un maggiore benessere.
Occorre prendere sul serio, al Nord come al Sud, la società a
imprenditoria diffusa: una società a
imprenditorialità diffusa è un valore perché porta le persone
ad autoorganizzarsi responsabilmente nel lavoro
come nella vita sociale, nella famiglia e nell’associazionismo. Ma una società a imprenditoria diffusa ha bisogno
di buona politica, una politica capace di fornire quei beni pubblici che il
mercato non è in grado di produrre e di assicurare un’equa redistribuzione
della ricchezza.
Diversamente dalla destra, che tende a interpretare la società a
imprenditoria diffusa come manifestazione dell’anti-politica e come
liberazione dai vincoli di solidarietà, il Partito Democratico deve
raccogliere la domanda di buona politica che la società a
imprenditoria diffusa esprime, superando quell’atteggiamento di distacco,
spesso pregiudiziale, nei confronti dell’economia di impresa
che ha caratterizzato la nostra azione politica in passato.
Per poter parlare davvero di sviluppo e di futuro
serve poi una vera e propria liberazione dalla criminalità
organizzata, vincolo insostenibile per l’economia e l’attività di
impresa, ostacolo per competitività, investimenti, per una
società più giusta e prospera.
4. Per valorizzare meriti e talenti bisogna ridare dignità al lavoro e
al suo valore esistenziale e sociale. L'Italia deve tornare a perseguire
politiche orientate alla piena e buona occupazione, erodendo le differenze
enormi tra Nord e Sud in termini di occupazione, in particolare di quella
femminile.
Per dare maggiori garanzie ai lavoratori, abbassare i costi contrattuali
delle imprese e favorire la massima occupazione si deve
fare ricorso alla flessibilità intesa non come precarietà, ma
come possibilità di arricchimento personale e professionale, in un
percorso di vita che consenta tanto l’investimento sulla propria
professionalità che la garanzia di una protezione nei momenti di
debolezza e di rischio.
La flessibilità, caratteristica inevitabile del lavoro nella nostra
modernità, non va considerata come una disgrazia. Quello che i giovani
temono sono disoccupazione e precariato privo di regole, percepiscono
l’iniquità di un mercato del lavoro che vede gomito
a gomito lavoratori protetti e lavoratori talvolta privi anche di diritti
elementari quali la malattia, la maternità, le ferie.
Una flessibilità bilanciata, quindi, è il nostro valore per
regolare il mercato del lavoro: contratti a tempo indeterminato che
consentano un rapporto continuativo e
tendenzialmente stabile con il datore di lavoro; salario minimo e garanzie di
reddito come protezione per chi perde il lavoro; formazione continua per
aumentare il proprio bagaglio e il proprio valore professionale.
5. Finanziare le politiche necessarie a far fronte alla crisi: ecco uno dei
nodi del nostro tempo e della nostra politica. Bisogna razionalizzare e
rendere più efficiente la spesa pubblica, riducendo gli sprechi in
modo netto e senza timore di attaccare anacronistici privilegi e rendite di
posizione: tagliare i costi della politica, sradicare la corruzione e tutti
quei fattori di un sistema pigro e incapace di emendarsi.
Anche la leva fiscale è importante per reperire
gli strumenti necessari, certo, e la riduzione radicale dell’evasione fiscale
è per noi un obiettivo strategico. Ma dobbiamo fare in modo che il
fisco che non sia vissuto come punitivo dai cittadini
e che sia più efficiente e rapido, iniziando da una grande opera di
riorganizzazione che migliori efficienza e pro attività: un fisco che
solleciti gli operatori economici ad adottare comportamenti virtuosi,
corretti ed etici introducendo agevolazioni e premialità
nei confronti di chi, ad esempio, adotta comportamenti ecologicamente
corretti.
Il credito e la finanza sono fondamentali per la crescita, ma devono essere
regolati, per evitare sia comportamenti eccessivamente rischiosi, sia
l’allocazione di risorse a vantaggio di pochi, spesso portatori di conflitti di interesse e rendite di posizione.
Occorre, invece, riequilibrare l’asimmetria delle informazioni e del potere
tra istituzioni finanziarie e cittadini e aprire
anche la finanza ad una maggiore e trasparente concorrenza, spezzando il
legame tra credito e politica e creando maggiore imprenditorialità.
6. Un uso intelligente ed efficace delle leve del bilancio e una politica che
metta al centro le regole, gli interessi democratici e il bene della
comunità, per noi, in questa fase significa concentrarsi su tre
obiettivi.
Sostenere i redditi delle famiglie per far ripartire i
consumi.
Riparare alla drammatica e scandalosa situazione per la quale chi non ha
lavoro o lo perde, in Italia, grande potenza industriale del mondo, si trova
sul baratro della disperazione. Fornendo ammortizzatori sociali universali
che siano una rete di protezione nelle fasi lavorative difficili della vita
dei cittadini.
Sostenere i talenti italiani, il Made in Italy, il
tessuto delle piccole e medie imprese, il turismo, la cultura, l’arte, lo
spettacolo, la ricerca, la qualità straordinaria della nostra
agricoltura e lo sviluppo delle innovazioni nel settore dell’ambiente e della
salute, potenziale fonte di nuove imprese, di nuova
ricchezza, di nuovi mercati. Investire sui campi sui quali le grandi
democrazie occidentali poggiano il loro futuro.
7. La crisi globale mette fine anche ad un’idea solo
quantitativa dello sviluppo: per quella via il pianeta non regge, esplode dal
punto di vista economico e ambientale. Gli individui soffrono, si distaccano
dai loro più profondi desideri e bisogni, non si realizzano in tutte
le loro potenzialità umane. È dunque l’ora di un riformismo
democratico e coraggioso, in grado di innalzare il livello di civiltà del mondo contemporaneo.
Non solo questo è giusto e moralmente auspicabile, ma è
indispensabile per competere e dialogare con le immense popolazioni dei nuovi
protagonisti della storia: l’India, la Cina, i paesi emergenti di nuovo sviluppo.
Nessuna barriera li potrà fermare, nessun
protezionismo potrà dissuaderli nel giocare fino in fondo le loro
carte. E come abbiamo visto, le bombe e la guerra portano solo tragedia e
moltiplicano i problemi.
Occorre misurarsi con questa realtà in modo aperto, democratico e
consapevole.
Occorre lottare per un mondo multipolare, per reti di dialogo e
collaborazione.
In quest’ottica l’Italia ha molte chance: la qualità italiana
può conquistare mercati. La civiltà del suo assetto sociale, se
innalzata e valorizzata, può essere ponte concreto con i Paesi che si
affacciano sul Mediterraneo e con i commerci che affluiscono dall’Oriente.
L’Italia può attrarre nuovi studenti, turisti, imprenditori,
scienziati. Può essere protagonista di relazioni e autorevole
interlocutore internazionale.
8. La qualità, l’innalzamento dei servizi e il miglioramento della
vita sono anche la vera risorsa per fronteggiare,
con sicurezza e serenità, i grandi flussi migratori. Serve massima
durezza contro illegalità e crimine e al tempo stesso occorre
facilitare il processo per regolarizzare le tante
migliaia di brave persone che sono indispensabili all’Italia e che cercano
solo serenità, lavoro, futuro.
La discriminazione contro gli stranieri finisce sempre con il produrre
effetti sull’intera comunità nazionale. Quando, ad esempio, si nega
soccorso sanitario allo straniero, regolare o irregolare che sia, non solo si
nega a lui il diritto alla salute, ma si nega (anche) al cittadino italiano
il diritto alla prevenzione; quando si cancella dall’anagrafe lo straniero
privo di abitazione “idonea”, si compromette il controllo della sua presenza
sul territorio, a scapito dell’esercizio sicuro dei diritti dei cittadini;
quando, ancora, si prevede l’espulsione di un lavoratore straniero
dall’Italia, in ragione dell’irregolarità del rapporto di lavoro, lo si priva di garanzie eguali a quelle del lavoratore
italiano, ma se ne rende anche allettante l’assunzione irregolare, sfavorendo
l’accesso al mercato del lavoratore italiano.
Ogni diritto negato agli immigrati è dunque un diritto negato ai
cittadini italiani. La disperazione dei primi ricade come un problema
amplificato e non risolto sui secondi, mentre l’apertura all’altro, a quello considerato diverso, nasce da una buona
qualità della vita di una comunità.
9. La salute è il bene più prezioso e va tutelato e protetto
per tutti, attraverso l’accesso universale a tutte le prestazioni fornite dal
Servizio Sanitario Nazionale, senza alcuna discriminazione. Al centro del
sistema va riportata la persona, che deve poter influire sulle decisioni
prese a tutti i livelli e a cui rivolgere politiche
di prevenzione e promozione di stili di vita. La rete ospedaliera deve essere
riqualificata, promuovendo i poli di alta specializzazione, individuando i
centri di eccellenza e chiudendo o riconvertendo gli ospedali minori,
organizzando forme di assistenza fornite da strutture territoriali.
Un partito che sia davvero democratico deve fare attenzione alle fasce deboli
della popolazione, riaffermando il principio di garanzia della dignità
della persona durante tutte le fasi della vita,
incluse quelle terminali, con il rispetto del diritto all’autodeterminazione
in materia di cure mediche.
10. Non sarà possibile far fronte a questo tempo così difficile
e sfidante senza un nuovo patto tra generazioni, all’insegna di una nuova
Italia a cui tutti partecipino. Le nuove tendenze
demografiche, segnate da un formidabile innalzamento delle aspettative
di vita, cambiano i termini della questione previdenziale e mettono
all’ordine del giorno la necessità di utilizzare l’enorme potenziale
di risorse rappresentato dagli anziani. Vanno attuate politiche di sostegno
all’invecchiamento attivo sia in direzione del prolungamento volontario del
lavoro, che del sostegno alle diverse forme d’impegno civile e sociale,
contrastando le discriminazioni legate all’età e moltiplicando le
forme flessibili e parziali di pensionamento. Non si tratta di consolidare le
attuali tendenze gerontocratiche che bloccano le carriere dei giovani, anzi,
ma di pensare a forme di pensionamento graduale con le quali i lavoratori
più anziani affiancano le nuove generazioni che devono assumere le
responsabilità principali.
11. Una scuola inclusiva e di qualità è un nostro obiettivo
fondamentale. Tra tutti i paesi europei l’Italia
è uno di quelli in cui il ceto sociale di appartenenza e il livello di
scolarità dei genitori più influenzano la potenzialità
dello studente. Le scuole invece devono tornare a svolgere il proprio ruolo
sociale e di integrazione (anche di bambini e
ragazzi stranieri), assolvendo ad una funzione generale di crescita dei
territori.
Quanto alla casa, la riforma del mercato degli affitti, un piano per
l’edilizia sociale e il rilancio di un programma di rigenerazione urbana delle periferie sono i tre capisaldi su cui fondare la
proposta del PD per rispondere alla crescente emergenza abitativa e
migliorare la qualità della vita delle nostre città.
L’incremento del valore degli immobili e dei canoni ha reso problematico l’accesso alla proprietà e alla
locazione, ridimensionando la capacità dei giovani e delle famiglie di
progettare il futuro: è dalla loro parte che il PD deve schierarsi,
per ridurre il costo degli affitti e valorizzare il reddito dei lavoratori.
12. Superamento della crisi, nuovo sviluppo, miglioramento della
qualità della nostra società non si produrranno
senza una riforma profonda della politica, delle sue regole, delle
istituzioni e dello Stato. Occorre una politica più seria, sobria e
concreta. Occorre una democrazia efficiente, che sappia decidere.
Occorre una legge elettorale che stabilizzi il bipolarismo, che ridia ai
cittadini, attraverso i collegi uninominali, la possibilità di scelta
dei propri rappresentanti, che semplifichi il sistema politico e abbatta i
suoi costi anche con una diminuzione sostanziale del numero dei parlamentari.
Il PD, in quanto prima forza del campo democratico,
ha l’ambizione di sviluppare il suo respiro maggioritario rivolgendosi a
tutti i cittadini con una sua proposta e una sua missione per l’Italia. Cercando, con esse, di cambiare i rapporti di forza nella
società e di realizzare quelle necessarie e coese alleanze per vincere
e per governare.
Con la politica, deve cambiare anche l’Amministrazione Pubblica: ampliamento
dei servizi e delle procedure telematiche, uffici unici, autocertificazione,
in un sistema di regole in cui il dirigente pubblico sia garante e dove la Pubblica Amministrazione
sia vissuta come un partner collaborativo per il cittadino
e non come una controparte arcigna e burocratica.
Il cambiamento deve riguardare anche funzione pubblica, scuola e
università: in assenza di un numero di grandi imprese capaci di fare
massa critica in settori cruciali quali la ricerca, l’innovazione e
l’internazionalizzazione, occorrono amministrazioni pubbliche e
università innovative.
Va promossa, inoltre, una cultura dei risultati e della valutazione. Ci vuole
trasparenza, soprattutto, e ciò vale anche per le risorse pubbliche:
gli italiani hanno diritto di sapere nel dettaglio in che modo vengono spese le imposte che pagano.
13. L’assetto federalista dello Stato è l’occasione per realizzare un
governo più prossimo ai cittadini, semplificato, rappresentativo delle
comunità. Riunire l’Italia nelle cose essenziali,
dare spazio ai territori, per valorizzare diversità, energie, risorse.
Una sfida che può essere virtuosa anche per il riscatto del
Mezzogiorno, dove l’afflusso di denaro pubblico indiscriminato, a pioggia e
non selettivo, produce paralisi e corruzione, mentre una nuova forte politica
di investimenti mirati, finalizzati nei settori
innovativi e trainanti può rimettere in moto talenti e risorse,
rilanciare uno sviluppo civile e sociale.
Il PD deve conoscere il territorio meridionale nelle sue eccellenze
produttive e deve consentire investimenti e crescita. Sino a quando la
legalità non sarà ristabilita nella totalità dei
territori meridionali sottraendoli al controllo della criminalità organizzata,
nessuno sviluppo potrà mai aver luogo: il PD deve ambire a costituire
un simbolo di lotta alla mafia, senza se e senza ma.
Per scongiurare una secessione strisciante, per far
rinascere il Paese, occorre un nuovo patto che unisca le forze migliori del
Mezzogiorno con quelle più lungimiranti del Nord.
E al Nord come al Sud, il cittadino deve poter contare su un sistema
giustizia che metta la persona al centro, con una
magistratura autonoma e indipendente, processi veloci, mezzi e risorse
adeguate.
14. La giustizia penale in Italia non è né equa né funzionale. L’altro
numero di processi conclusi con prescrizione del reato per decorrenza dei
termini e la lentezza insostenibile delle sentenze sono
una palese manifestazione di resa da parte della giustizia e, in ultima
analisi, dello Stato, con effetti negativi per tutti: per il reo e per chi
è innocente, per la vittima come per l’opinione pubblica, per i
giudici e per l’organizzazione amministrativa della giustizia.
Una corretta amministrazione della giustizia penale non è nella severità
delle pene, ma nella certezza della loro applicazione, dopo un processo
rapido e che offra al cittadino tutte le garanzie, formali e sostanziali, di
una democrazia liberale matura e della nostra altissima civiltà
giuridica.
15. Le cose dette fino ad ora non sono solo linee possibili per un governo
riformatore.
Alludono anche ad obiettivi e motivazioni più
di fondo e di prospettiva. Dopo il 1989 e il dissolversi delle grandi
certezze ideologiche, molte persone disorientate si domandano se esiste ancora
una differenza tra noi, i democratici, e la destra. Rispondiamo con certezza
che mai come oggi sentiamo queste differenze.
Il mondo contemporaneo costringe a scelte nette. La destra, alla paura della
modernità, risponde con la gerarchia e la chiusura identitaria,
una risposta che talvolta funziona elettoralmente. Ma
è una risposta umiliante e mutilante. Noi vogliamo rispondere,
nell’epoca delle reti tecnologiche, con reti umane
di comprensione, di reciprocità, di solidarietà. Siamo convinti
che la scienza e l’economia danno grandi
possibilità a tutti i nostri contemporanei: si tratta di saperle
utilizzare per la libertà e per la dignità di ogni persona. Per una pienezza, anche spirituale, della propria vita e di
quella del proprio vicino. Per una politica che riparte dalla persona.
Ognuno, sia ricco o povero, malato o sano, bianco o nero, omosessuale o
eterosessuale, abile o disabile, ha meravigliosi mondi interiori che ha
diritto di vivere in modo libero e completo, alla ricerca di un nuovo
umanesimo. Su alcune questioni, tuttavia, fino ad oggi nel Partito
Democratico non abbiamo avuto il coraggio di sciogliere nodi importanti; non
sono questioni marginali che riguardano pochi, ma hanno a che vedere con la
vita di ciascuno di noi, e delle persone che amiamo. Dobbiamo arrivare a
posizioni chiare, il più condivise possibile,
ma nette.
La laicità è un metodo: significa affrontare ogni questione con
rigore e con la massima obiettività possibile, nell’interesse generale
e non di una parte sola. Significa non porsi nel dibattito pensando di
possedere la verità o di avere ragione a priori. Significa saper
ascoltare le ragioni altrui e avere l'umiltà e l'intelligenza di
confrontarsi anche con chi la pensa nella maniera opposta. Significa
lasciarsi sempre prendere dal dubbio che l’altro può avere ragione.
Infine laicità significa che quando si considera chiuso il dibattito,
e si è presa una decisione nell'interesse di tutti, si accetta quella
decisione sentendosi vincolati e sostenendola con onestà.
La vicenda del testamento biologico, in questo senso, è stata
esemplare: la posta in gioco non era solo consegnare
una legge laica al Paese, attraverso la quale ognuno potesse fare una scelta
in base alle proprie convinzioni o alla propria fede, ma affermare il
principio secondo cui uno Stato laico deve sempre proteggere i diritti civili
e la libertà di ciascuno.
Non “diritti speciali”, ma diritti uguali per tutti. Questo significa essere
democratici.
Questo significa essere riformatori.
Per rompere, come la storia di oggi ci chiede, visioni egoistiche,
nazionalistiche, meramente quantitative. Dovremo partire da noi stessi, dare
l’esempio. Non vinceremo mai se attaccheremo un po’ di più o un po’ di
meno il nostro avversario politico, ma vinceremo quando sapremo convincere gli
italiani che siamo radicalmente diversi da lui e che le nostre idee sono
più utili per ogni persona e per tutta la comunità. Vinceremo
se sapremo, in queste nuove sfide, unire tradizioni antiche per scioglierle
in un mare più ampio che faccia prendere il largo ad
un nuovo pensiero.
SCHEDE TEMATICHE
Note di lettura: il metodo e il percorso
Di seguito le schede tematiche che dettagliano la
nostra proposta politico-programmatica. Si tratta di una proposta aperta e da
condividere.
Alla fine del primo momento congressuale, integreremo il nostro progetto con
le idee e i contributi che ci saranno pervenuti, in coerenza con le parole e
le cose da fare che qui sono contenute e in un processo partecipativo e
aperto. Una wiki-mozione: per definire insieme come
vorremmo che fosse il Partito Democratico. E il Paese a cui
si rivolge.
Politica ed economia contro la crisi
Regolare e garantire uno sviluppo etico e sostenibile da un punto di vista
ambientale, sociale ed occupazionale.
Promuovere un modello economico-sociale innovativo e credibile, con al centro la persona, capace di rompere le rendite di
posizione e entrare in sintonia con la vitalità della società:
liberalizzazioni, concorrenza, politiche industriali e una visione che leghi
lo sviluppo alle energie rinnovabili, le scienze della vita e della salute.
Stabilizzare il sistema finanziario, spezzando il legame fra credito e
politica, correggendo gli squilibri economici, annullando l’asimmetria del
potere tra istituzioni finanziarie e cittadini,
garantendo accesso, trasparenza e controllo.
Operare affinché l’Italia si riappropri di una piena coscienza del proprio
ruolo di grande paese industriale, delle eccellenze che esprime e
dell'importanza del Made in Italy.
Perseguire la crescita della produttività agricola e la salvaguardia della redditività e delle produzioni.
Promuovere i prodotti a Denominazione di Origine Protetta (DOP) e ad Indicazione Geografica Protetta (IGP) e difendere in
modo più aggressivo la produzione nazionale dai crescenti fenomeni di
contraffazione.
Rispondere alle difficoltà di imprese e
persone non solo reagendo alle emergenze ma investendo sui tempi lunghi
(scuola, università, ricerca, green economy, grandi investimenti) e in
una cornice internazionale.
Un patto tra generazioni per un partito del lavoro
Restituire dignità e valore al lavoro, valorizzando meriti e talenti e
realizzando politiche di piena e buona occupazione, che superino
le differenze tra nord e sud e di genere.
Dare maggiori garanzie ai lavoratori, abbassare i costi contrattuali delle
imprese, fare ricorso alla flessibilità intesa non come
precarietà, ma come possibilità di arricchimento personale e
professionale, in un percorso di vita che consenta tanto l’investimento sulla
propria professionalità che la garanzia di una protezione nei momenti
di debolezza e di rischio.
Affermare il principio della flexsecurity: salario
minimo, garanzie di reddito per chi perde il lavoro.
Istituire un contratto individuale di lavoro unico, a tempo
indeterminato (salvo specifiche eccezioni, legate per esempio alla
stagionalità di taluni mestieri), con salario minimo garantito
e garanzie di reddito a protezione delle fasi di disoccupazione tra un
contratto e l’altro.
Riorganizzare il welfare: innalzamento dell’età pensionabile, revisione dei meccanismi di selezione delle agenzie di
formazione e reinserimento, eliminazione degli sprechi.
Trasformare la formazione continua – la cui erogazione va incentivata
e supportata attraverso specifiche agevolazioni – in vero e proprio diritto
della persona e del lavoratore.
Destinare il risparmio generato dall’innalzamento dell’età
pensionabile per le donne imposto dall’Unione Europea ad
interventi che ci aiutino a sostenere il percorso delle donne verso la
parità con gli uomini nel lavoro: sgravi fiscali, telelavoro,
part-time verticale, ingressi flessibili, job sarin. Introdurre
il congedo dopo parto diviso obbligatoriamente alla pari tra il padre e la
madre. Congedi parentali per i nonni.
Costruire un mondo del lavoro più aperto e meno
corporativo, agevolare l’accesso alle professioni, migliorando la
competitività e la trasparenza delle tariffe, riformando il
funzionamento degli ordini professionali.
Rigore ed equilibrio, il nostro fisco
Usare la leva fiscale, oltre che per reperire le
risorse finanziarie, per sollecitare gli operatori economici ad adottare
comportamenti virtuosi, corretti ed etici.
Revisionare la tassazione delle rendite finanziarie,
eventualmente riequilibrando quest’intervento con una diminuzione della
tassazione sulle rendite da beni immobili e determinando così un
uniforme carico fiscale su tutti i proventi da capitale.
Dare inizio ad una grande opera di riorganizzazione
dell’amministrazione finanziaria al fine di migliorarne l’efficienza e la pro
attività: unificazione di tutti gli adempimenti in un atto solo, uso
sistematico del fisco telematico, riduzione del divario tra costo del lavoro
e retribuzione.
Mettere in atto provvedimenti immediati di carattere fiscale per venire in
soccorso al mondo dell’impresa e delle professioni colpiti significativamente
dalla crisi: revisione degli studi di settore,
estensione dell'esigibilità differita dell'Iva a tutte le fatture,
rimodulazione dell'Irap.
Introdurre progressivamente, per rafforzare la lotta all’evasione, il
contrasto di interessi, a partire dalla
deducibilità dell’Iva dal reddito imponibile, riconoscendo al
compratore la possibilità di portare in deduzione dalle proprie
imposte una parte crescente del valore del bene materiale o del servizio
acquistato.
Per un’Europa forte
Completare l’Europa, superando la falsa contrapposizione tra rafforzamento
dell’Unione e perdita di sovranità nazionale: l’Europa è
l’unico modo per noi tutti di recuperare peso reale e capacità di
azione nello scenario globale.
Rafforzare il senso di comunità europeo, rendendo
agili le procedure e chiare le priorità di azione.
Qualificare democrazia reale e partecipazione su scala
continentale: affermare la centralità del Parlamento europeo,
rafforzare l’interazione con le istituzionali nazionali e locali, avviare
nuove forme di consultazione dei cittadini tramite un referendum europeo
sulle grandi scelte politiche e istituzionali da compiere in Europa.
Adottare nuovi strumenti di governance
economico-sociale e finanziaria per superare l’attuale disequilibrio tra una
politica monetaria unificata, politiche economiche e sociali poco
coordinate e supervisione bancaria inefficace.
Promuovere nuove alleanze su grandi priorità comuni per l’Europa: la
nuova “Alleanza Progressista dei Democratici e dei Socialisti” a cui il PD ha dato vita al Parlamento Europeo non
è un punto di arrivo, ma un punto di partenza per costruire un nuovo
schieramento progressista e democratico in Europa e una nuova internazionale
democratica, nel mondo.
Città, territori, sviluppo sostenibile e innovazione
Integrare i livelli di governo per rendere
l’amministrazione pubblica efficiente e in grado di rispondere alle esigenze
dei cittadini, per ricostruire un rapporto di collaborazione con le
città e i territori d’Italia, con i sindaci e gli amministratori.
Condividere le decisioni con le amministrazioni locali e
con i cittadini: dalla casa alla scelta del sito di un impianto o del
tracciato di un’infrastruttura.
Fondare sulle città, sia metropolitane che medio-piccole, lo sviluppo e l’occupazione, anche
rispetto agli investimenti in energia verde.
Immigrazione: programmazione, regole e integrazione
Favorire l’immigrazione regolare, scoraggiare quella
irregolare, contrastare lo sfruttamento dell’immigrazione.
Attribuire la cittadinanza ai ragazzi stranieri nati in Italia, agli
immigrati di seconda generazione, in applicazione del
jus soli, per favorire il senso di appartenenza
alla loro nuova patria.
Combattere e scoraggiare la clandestinità: accordi di riammissione con
i paesi d’origine, sistema premiale per chi collabora a farsi identificare,
sanzioni credibili e certe, lotta a scafisti e trafficanti, contrasto al
caporalato.
Destinare i Centri d’identificazione e di espulsione esclusivamente agli
immigrati non identificati o che resistono all’identificazione, in attesa
delle procedure utili ai fini dell’espulsione e per un periodo massimo di 35 giorni.
Proporre una politica degli ingressi comune a tutte le
forze progressiste europee: accordi con i paesi d’origine (e conseguenti
investimenti), programmazione dei flussi, quote d’ingresso per
l’inserimento nelle attività produttive.
Promuovere politiche di accoglienza e di integrazione,
che, a partire dalla scuola, diano fondamento all’idea Costituzionale di
cittadinanza “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione”.
La nuova energia dell'ambiente
Convertire l’Italia allo sviluppo ecologico, dell’economia
e della vita sociale, in particolare di quella cittadina.
Contrastare il nucleare, pur continuando la ricerca, sostenendo un piano
energetico nazionale che punti su efficienza energetica
(anche attraverso incentivi e disincentivi fiscali per quanto riguarda i
processi produttivi), un mix di energie rinnovabili e mobilità
sostenibile.
Rafforzare gli incentivi per la riduzione di emissioni
inquinanti (all'insegna del “cap and trade”), adottare la carbon tax, ridurre l’Iva sui prodotti ecologici, tassare
le auto maggiormente inquinanti.
Promuovere un consorzio energetico solare tra i paesi del Mediterraneo,
così da creare un nuovo rilevantissimo giacimento energetico rinnovabile.
Investire sulle nuove tecnologie: eolico d’alta quota,
solare a concentrazione, produzione di energia dagli scarti dell’agricoltura
(biomasse), energia geotermica di terza generazione.
Darci un ordine di priorità nel trattare i
nostri rifiuti: prima riusare, poi riciclare, quindi trattare con tecniche
innovative al fine di ridurre al massimo la parte residua da incenerire,
costruendo un avvicinamento graduale all’obiettivo “rifiuti zero”.
Istituire una legge sul regime dei suoli che imponga ai Comuni una
contabilità degli usi dei suoli e che sganci la fiscalità
locale dal consumo del territorio, trasferendo gli interventi edilizi verso
le ristrutturazioni e degli adeguamenti energetico-ambientali
degli edifici già esistenti.
Promuovere un sistema degli appalti verdi in tutte le forniture della
Pubblica Amministrazione e un piano scuola nazionale,
per mettere in sicurezza le nostre scuole, per promuovere tra i giovanissimi
la cultura della sostenibilità e dare impulso all’edilizia di
qualità.
Orientare in modo diverso la nostra mobilità, dalla
gomma al ferro, e promuovere l’intermodalità.
Spostare verso le città il livello delle strategie di contrasto dei
cambiamenti climatici, di riduzione dell’inquinamento e di razionalizzazione
dei processi di produzione e consumo di energia: verso le città e
verso i comportamenti di individui e famiglie che
con le loro azioni contribuiscono in maniera sempre più significante
ai bilanci energetici e ambientali.
La salute di tutti
Rimettere al centro del sistema sanitario la persona, che deve poter influire
sulle decisioni prese a tutti i livelli e che deve essere protagonista di
politiche di prevenzione e promozione di stili di
vita corretti.
Riequilibrare e riqualificare la rete dei servizi di
assistenza ospedaliera ed extraospedaliera: poli di alta specializzazione,
centri di eccellenza, riconversione degli ospedali minori, assistenza
fornita da strutture territoriali.
Riorganizzare il lavoro dei medici di famiglia in
cooperative o studi associati, in modo da assicurare l’assistenza di base e
il primo soccorso.
Rilanciare gli investimenti nei settori dell’edilizia
sanitaria, delle tecnologie diagnostiche e terapeutiche e di quelle informatiche
e telematiche.
Assicurare la sostenibilità economica del sistema e della ricerca biomedica, con un federalismo sanitario che garantisca le
Regioni più deboli, integrando le programmazioni
nazionale e regionali e garantendo l’omogeneità nazionale e i livelli
essenziali di assistenza.
Integrare virtuosamente pubblico e privato, in particolare quello che fa
riferimento al non profit e al volontariato: pubblico e privato devono avere
pari dignità, assolvere agli stessi compiti
nell’interesse dei malati, seguire le stesse regole ed essere sottoposti ai
medesimi controlli e verifiche.
Creare, attraverso un’agenzia indipendente, un sistema di
valutazione dei trattamenti sanitari e di riconoscimento del merito degli
operatori, basato non solo sulla produttività ma incentrato
sull'efficienza e la qualità delle cure.
Ridefinire i criteri di selezione degli amministratori e dei professionisti
ai quali affidare un ruolo direttivo nelle strutture sanitarie: l'abitudine
delle segnalazioni politiche va sostituita con regole trasparenti e non
aggirabili.
Riaffermare il principio di garanzia della dignità
della persona durante tutte le fasi della vita, incluse quelle terminali, con
il rispetto del diritto all’autodeterminazione in materia di cure
mediche.
Certi, garantiti e sicuri: la giustizia e noi
Mettere il cittadino al centro della giurisdizione: magistratura autonoma e
indipendente, risposta del servizio-giustizia tempestiva e chiara, sistema
dotato di mezzi e risorse adeguate.
Eliminare le sedi giudiziarie non funzionali e antieconomiche, introdurre
meccanismi di valutazione per il personale e inserire dirigenti con
formazione ed esperienza manageriale.
Garantire non severità, ma certezza delle
pene con processi rapidi e garantisti.
Potenziare l’efficacia investigativa della magistratura
requirente e dei Corpi di Polizia giudiziaria.
Riportare ad eguaglianza il rapporto fra cittadino e
Pubblica Amministrazione: la storicamente ineguale condizione dei privati
rispetto alla Pubblica Amministrazione porta a una forma affievolita di
diritto, contraddittoria rispetto a una concezione di giustizia come servizio
pubblico.
Realizzare, a proposito della distinzione fra Pubblico Ministero e
giudicanti, la separazione di funzioni, non invece di carriere, per
promuovere un’organizzazione che valorizzi l’unitaria missione istituzionale
del “dire giustizia” nell’interesse dello Stato.
La casa prima di tutto
Rifondare la politica abitativa: riforma del mercato degli affitti, piano per
l’edilizia sociale e rilancio di un programma di rigenerazione urbana delle periferie.
Modificare la
L. 431/98, introducendo canoni di affitto accessibili, con
adeguati incentivi fiscali, e promuovendo agenzie immobiliari sociali
pubbliche.
Rilanciare l’edilizia sociale con un nuovo piano per
l’edilizia pubblica ispirato a criteri federalisti, per rispondere ai diversi
bisogni espressi da città metropolitane, piccoli e grandi
municipi.
La scuola e la mobilità sociale
Promuovere l’eccellenza e contrastare la dispersione
scolastica, con una scuola flessibile e capace di personalizzare i propri
obiettivi, inclusiva e di qualità.
Aumentare l’autonomia finanziaria e organizzativa delle scuole, sia per
quanto riguarda la definizione dell’offerta formativa, sia per quel che riguarda il reclutamento, le carriere e la
retribuzione degli insegnanti: autonomia e valutazione devono muoversi di
pari passo, per consentire agli operatori della scuola, dal ministro agli
insegnanti, di verificare la bontà delle scelte da loro effettuate.
Stimolare la mobilità sociale restituendo alla
scuola una funzione sociale e di sviluppo dei territori.
L'Italia che ricerca
Riportare la ricerca al centro dell’agenda politica, partendo dall’analisi
delle eccellenze nei diversi settori e identificando ambiti di investimento specifici.
Aumentare gli stanziamenti, da un punto di vista delle risorse finanziarie e
del loro criterio di assegnazione, ad un livello
comparabile a quello dei principali paesi europei e creare nuovi centri di
ricerca.
Adottare criteri di valutazione assegnazione trasparenti ed
internazionalmente riconosciuti, anche con un’agenzia sul modello di simili
enti stranieri.
Promuovere gli istituti di ricerca europei e redigere un
piano europeo per la ricerca.
Rilanciare la ricerca universitaria, con finanziamenti erogati sulla base di valutazione rigorosa della qualità
dei singoli atenei in termini di didattica e ricerca, costruita
sull’autonomia degli atenei e capace di promuovere la mobilità di
studenti e ricercatori.
Il paese della cultura
Rifinanziare il Fus (Fondo unico
per lo Spettacolo), arginando la crisi di un settore fondamentale per la vita
del paese e garantendo il posto di lavoro alle nostre maestranze.
Raggiungere un livello minimo di investimenti nella
cultura pari all’1% del bilancio dello Stato e creare un sistema di continuo
controllo sui risultati effettivi dell’iniziativa pubblica.
Promuovere una legge sullo spettacolo dal vivo, riformare quella sul cinema.
Sostenere ricerca e creatività giovanile nella
musica e nell’arte.
Aiutare la piccola e media editoria.
Sostenere la cultura con incentivi agli investimenti e
iniziative promozionali di respiro internazionale, agire sulla leva dei
prezzi, stimolare l’interesse di nuovi pubblici e delle aree
territoriali ai margini della vita culturale.
Realizzare un grande progetto di marketing dell’Italia, per valorizzare il
nostro potenziale, raggiungere in una legislatura lo stesso numero di
presenze turistiche per abitante della Francia, la stessa percentuale di
studenti e ricercatori stranieri che registra la Spagna.
Liberi e informati
Risolvere il conflitto di interessi.
Garantire un’informazione libera e plurale.
Regolare il mercato televisivo e (soprattutto) le reti: concorrenza (in
particolare per quanto riguarda il mercato pubblicitario), libertà,
pluralismo.
Garantire ovunque l’accesso alla rete attraverso la banda
larga, possibilmente gratuito.
Garantire la libertà delle nuove forme di espressione in rete.
Ridurre drasticamente il costo di accesso, trasmissione, ricezione,
elaborazione di informazioni.
Differenziare la RAI
in maniera netta rispetto alla televisione commerciale perseguendo un modello
di business che sia alternativo a quello esclusivamente fondato sulla
raccolta pubblicitaria: due reti (una nazionale e una locale), garanzia di
equilibrio nella rappresentazione dell’offerta politica esistente e nuova,
Rai sottratta al dominio delle maggioranze e della politica.
Standard europei per laicità e diritti
Introdurre una norma antidiscriminatoria che preveda una percentuale minima
di genere del 40% nelle Istituzioni e nei Consigli di Amministrazione.
Approvare la legge sul Testamento Biologico.
Approvare una legge sulle unioni civili, sull’esempio delle
civil partnership britanniche.
Approvare una legge sull’omofobia.
Consentire a singole persone di essere valutati al fine dell'adozione con il
rigore che la legge già oggi richiede alle coppie.
Tra Nord e Sud
Riprendere e portare a termine il processo di decentramento, per motivi di
efficienza economica e di trasparenza politica: maggiore capacità di
rappresentanza degli interessi locali, maggiore responsabilizzazione
dei politici locali, maggiore possibilità di scelta per gli operatori,
maggiore crescita economica.
Distribuire equamente le risorse tra Sud e Nord.
Contrastare la corruzione, il malcostume politico e amministrativo,
promuovere uno sviluppo civile e sociale che, nel Sud, parta dalla
liberazione dalla criminalità organizzata.
Investire nel capitale umano, nelle realtà
produttive di eccellenza, nel recupero del territorio, nelle infrastrutture
per il Mezzogiorno.
Costruire politiche regionali di rilancio pensate in termini di sistema,
coinvolgendo università, amministrazioni locali, con lo scopo di
creare un tessuto economico e sociale che possa resistere nel tempo e
attrarre capitali e turisti.
Promuovere un patto collettivo nazionale che unisca le forze migliori del
Mezzogiorno con quelle più lungimiranti del Nord, nell’idea di un
nuovo patriottismo, perché il federalismo richiede un più alto livello
di cultura politica, un accresciuto impegno civile di amministrati e
amministratori.
Una nuova politica, una nuova amministrazione
Riformare la legge elettorale in senso maggioritario e uninominale.
Superare il bicameralismo perfetto, trasformando il Senato
in Camera delle Regioni.
Ridurre il numero di parlamentari ed eletti a tutti i
livelli e semplificare il sistema delle autonomie locali, per ridurre i costi
della politica e dell’amministrazione.
Promuovere un nuovo e più deciso assetto federale, con maggiore
distribuzione di risorse ai comuni, rafforzamento della “premialità”
per gli enti virtuosi, la responsabilizzazione delle
sedi politiche locali.
Sfruttare le economie dell’integrazione territoriale,
favorendo la cooperazione fra comuni su un’ampia gamma di politiche locali –
ambientali, sociali, economiche, culturali, infrastrutturali – con
l’obiettivo di fare del territorio metropolitano uno spazio delle
opportunità sempre più ricco e a disposizione dei cittadini.
Innovare la pubblica amministrazione: servizi telematici, uffici unici, autocertificazione,
sistema di regole in cui il dirigente pubblico sia garante.
Promuovere una cultura dei risultati e della valutazione, cominciando dal programmare selezioni uniche per l’accesso alla PA che
premino i più meritevoli.
Introdurre forme di remunerazione a risultato per gli
operatori – pubblici o privati – titolari di politiche pubbliche.
Creare un motore di ricerca dedicato ai servizi e alle Pubbliche
Amministrazioni, che permetta di conoscere anche online ogni sovvenzione,
commessa e finanziamento pubblico dai diversi livelli di Governo
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