L’Osservatore
Romano 29-9-2011
Anima e
cultura di un popolo unito di ANGELO BAGNASCO
Le radici
del futuro di MARCO BELLIZI
Anima e cultura di un popolo unito
di ANGELO BAGNASCO
È speranza comune e determinazione convinta che il felice
anniversario susciti "un nuovo innamoramento" dell'essere italiani.
Tale auspicio, non essendo una semplice emozione, richiede di confidare in
una relazione sempre più virtuosa tra la Chiesa e lo Stato,
all'insegna di quel principio di sussidiarietà che fu anche
terminologicamente coniato da un grande pontefice italiano (Pio XI, Quadragesimo
Anno, 81), il quale - nell'epoca delle ideologie totalitarie - volle ribadire
ciò che rende possibile la convivenza in una nazione moderna e
complessa.
Il contributo decisivo dei cattolici all'unità dell'Italia è
ormai riconosciuto da storici ed uomini di cultura dei più diversi
orientamenti, confermati in questa convinzione dall'essere la Chiesa una
presenza quasi "molecolare" che si identifica con l'anima profonda
del nostro popolo. Ciò spiega, ad esempio, l'intuizione immortalata
già nel 1848 da Alessandro Manzoni, per il quale c'è qualcosa
che precede la richiesta delle forme statuali unite, e che è l'essere
l'Italia "Una d'arme, di lingua, d'altare/Di memorie, di sangue, di cor" ("Marzo 1821").
Proprio questa precedenza dell'Italia rispetto allo Stato unitario conferma
una convinzione che è quella per cui non è lo Stato come tale a
essere all'origine di un popolo, ma il sentire profondo nei confronti della
vita, degli altri, del mondo. In una parola, è il patrimonio valoriale
e culturale che delinea un comune destino e sprigiona il senso di comune
appartenenza. Su questo tema la Chiesa cattolica ha avuto e continua ad avere
una parola quanto mai significativa, il Vangelo. Attorno al Vangelo, come
è noto, si è formato e si alimenta quel pensare di fondo e quel
sentire umanistico che ispira l'ethos popolare, vera anima della nazione.
Significativamente, nel suo recente discorso al parlamento tedesco, Benedetto
XVI ha descritto il rapporto tra il diritto e la giustizia - e con ciò
implicitamente il rapporto tra lo Stato e altre istanze non statali - dicendo
che: "Dove la ragione positivista si ritiene come la sola cultura
sufficiente, relegando tutte le altre realtà culturali allo stato di
sottoculture, essa riduce l'uomo, anzi, minaccia la sua umanità".
Nel nostro Paese la Chiesa ha sempre rappresentato, e ancor oggi viene
riconosciuta, come un fattore di umanizzazione senza del quale il panorama
sociale e culturale, oltre che spirituale, sarebbe ben diverso. Anche il
recente Congresso eucaristico di Ancona ha reso più evidente che
c'è un legame sottile e pervasivo tra la fede e la
responsabilità per l'insieme sociale, e che un certo affievolimento
della fede finisce per procedere di pari passo con il venir meno di una
autentica sensibilità per il bene comune.
Le difficili congiunture strutturali - che ci si augura possano essere
affrontate con vigore ed efficacia - non sono superabili dunque senza far
riferimento a un investimento più profondo e di lungo periodo perché
l'unità del Paese, ieri come oggi, si realizza solo attorno al
"retto vivere". La religione in genere, e in Italia le
comunità cristiane in particolare, sono state e vogliono esser
fermento nella pasta, accanto alla gente; sono prossimità di
condivisione e di speranza evangelica, sorgente generatrice del senso ultimo
della vita, memoria permanente di valori morali. È questo patrimonio
vissuto e arricchito dalla testimonianza silenziosa di innumerevoli persone
che dà vita ad un popolo che cresce e resiste come anima dinamica dello
Stato. Certo la religione non può essere mai ridotta a "religione
civile", e tuttavia sono innegabili le sue ricadute nella vita pubblica
e nello scenario di una società aperta. In questa gigantesca ed
entusiasmante opera educativa la Chiesa non farà mai mancare il suo
contributo in continuità con la sua storia millenaria, consapevole di
contribuire alla costruzione del bene comune. I recenti "Orientamenti
pastorali", che puntano per l'intero decennio all'educare come banco di
prova della maturità del nostro popolo, stanno a dire il rinnovato
impegno della comunità cristiana, ben consapevole che l'annuncio del
Vangelo è il miglior antidoto a certo individualismo che mette a dura
prova la coesistenza e il raggiungimento del bene comune. "Educare alla
vita buona del Vangelo" si inserisce nel cammino di sempre che
rappresenta un intreccio fecondo di evangelizzazione e di cultura, di valori
umani e insieme cristiani, che consentiranno di uscire dal tunnel di quella
"cultura del nulla", vagamente radicaleggiante, che è l'anticamera
di una diffusa "tristezza". Siamo ormai messi di fronte ad una
situazione seria e grave, la cui severità richiede di correggere
abitudini e stili di vita. Se non si riesce a far emergere le condizioni per
un patto intergenerazionale che metta i giovani nei pensieri e nel cuore
degli adulti, sarà veramente difficile aprirsi al futuro, atteso il
crollo demografico, la cui portata etica e sociale è stata troppo a
lungo disattesa.
In tale contesto è necessario riconoscere sempre più e
valorizzare la vasta rete del volontariato sociale cattolico. In particolare,
ogni soggetto che contribuisce ad alimentare - e se occorre a difendere - la
cultura profonda del nostro popolo, merita ogni concreta attenzione e
lungimiranza, nella consapevolezza che il venir meno significherebbe
l'inaridire dell'anima che dà coesione ed ispirazione, che genera il
presente e affronta il futuro, e che alimenta il vivere insieme e lo stesso
senso dello Stato.
Un'ultima parola a proposito dell'unità d'Italia vorrei riservarla
alla questione delle Regioni. La sussidiarietà è parte
integrante del patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, che ha sempre
articolato la sua riflessione sullo Stato a partire da due principi
complementari: la solidarietà e la sussidiarietà, appunto. Mentre
il primo ha avuto facile ascolto anche se non sempre fedele applicazione,
l'altro invece ha incontrato ritardi nella comprensione e nell'attuazione
pratica. Ciò si deve anche a una ipoteca statalista che ha sacrificato
sull'altare della centralizzazione il necessario articolarsi. Il nostro Paese
guarda con attenzione ad un federalismo solidale, innanzitutto come
espressione di quella unità di destino e di appartenenza che è
ormai patrimonio irrinunciabile, radicato ed amato. Nello stesso tempo,
guarda al federalismo come risposta ad una società sempre più
segnata dalla globalizzazione, da vivere e gestire come un valore positivo
per tutti. Ciò peraltro intercetta una risorsa tipicamente italiana
che - beninteso - va declinata all'interno di un rapporto chiaro di diritti e
di doveri, di modo che si possano portare i pesi gli uni degli altri, ma
senza che alcuni debbano solo pagare ed altri solo beneficiare. La
sussidiarietà rappresenta una forma di solidarietà in senso
verticale perché consente condivisione a partire dalle possibilità di
ciascuna realtà regionale, garantisce una maggiore aderenza al
vissuto, e una più efficace mobilitazione delle energie presenti
ovunque. Le Regioni, dunque, non devono essere viste come un modo surrettizio
per tornare a forme preunitarie di campanilismi anacronistici, ma devono
garantire una vicinanza più efficace ed efficiente dello Stato al
territorio. Questa è la ragione e la misura di quella prospettiva
riformista che ha avviato un ripensamento dello Stato a partire dagli anni
'90 e che oggi suggerisce di essere non subìta, ma interpretata in
modo positivo e responsabile da parte di tutti. Potrebbe essere questa una
strada per restituire alla nostra amata Patria il suo originario volto di
luogo di incontro di sensibilità e tradizioni differenti, pur dentro
un chiaro e inequivocabile orientamento culturale che si identifica con
quelle radici cristiane, di cui ci sentiamo tutti destinatari e
inseparabilmente responsabili.
La Chiesa, che vive e si incarna nelle innumerevoli comunità cristiane
sparse sulla Penisola, continuerà ad offrire il suo storico contributo
a favore di tutti, a partire dal senso di lealtà allo Stato e di
coltivazione permanente di quell'umanesimo plenario che trova nel Vangelo la sua
linfa perenne.
(©L'Osservatore Romano 29 settembre 2011)
Le radici del futuro
di MARCO BELLIZI
I cattolici italiani hanno costruito il terreno dove si sono impiantate le
radici dell'unità del Paese, fornendo alla Nazione l'identità
che ancora oggi, in misura particolarmente evidente sulla scena
internazionale, viene appunto riconosciuta come oggettivamente cattolica. Un
legame - quello fra lo Stato unitario e la Chiesa - che si è
rafforzato grazie alla distinzione delle rispettive sfere di competenza e che
si rinnova in un cammino comune verso un futuro da costruire su basi ancora
più solide. Oggi, compito comune della Chiesa e dello Stato è
educare alla riscoperta di quei valori che hanno fatto l'identità
italiana, strumento necessario in un panorama globale di crisi, non solo
economica e finanziaria.
È questa la sintesi e, insieme, lo scenario di fondo degli interventi
che hanno animato l'incontro "La Chiesa, lo Stato, le Regioni e
l'Unità d'Italia", organizzato dall'Ambasciata d'Italia presso la
Santa Sede, nell'ambito delle celebrazioni per i 150 anni dall'unificazione.
L'evento - ospitato dall'ambasciatore Francesco Maria Greco e suggellato da
un'esecuzione del coro della Cappella Sistina, diretto dal maestro Massimo
Palombella - ha fornito, così come in altre occasioni nel corso di
quest'anno, la possibilità di riscoprire la storia di un popolo,
sfogliando virtualmente un album di ricordi storici e pagando il giusto
tributo a quanti, nonostante retorica e luoghi comuni, l'Italia l'hanno fatta
e continuano a farla, magari pensando al futuro, elevandosi rispetto
all'immediata contingenza politica. "Questa festa per l'Italia ha voluto
essere l'occasione per riconoscere, in maniera aconfessionale e senza
laicismi, che la Chiesa, nel passato come in questo momento di
difficoltà identitaria e di rapporto fra cittadini e Stato, sta
aiutando il Paese" ha detto l'ambasciatore Greco.
Nella consapevolezza di questo ruolo innegabile del cattolicesimo, a Palazzo
Borromeo martedì sera sono convenute alte cariche dello Stato e
autorevoli rappresentanti della Santa Sede. Nel cortile dello storico
edificio di viale delle Belle Arti erano infatti seduti il presidente del
Senato italiano, Renato Schifani, alcuni rappresentanti del Governo,
esponenti politici e e i presidenti delle
Conferenze episcopali regionali. All'incontro hanno preso la parola il
cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana, Angelo Bagnasco,
il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Gianni Letta,
il sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato, arcivescovo
Giovanni Angelo Becciu, il presidente della
Conferenza dei presidenti delle Regioni italiane, Vasco Errani. Dei loro
interventi pubblichiamo ampi stralci in queste pagine.
Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, nel suo discorso non
previsto nel programma, ha poi affrontato alcuni temi che l'attualità
impone all'attenzione dello Stato e della Chiesa: fra questi la difesa della
libertà religiosa nel mondo, là dove essa è messa in
discussione sia attraverso atti concreti di violenza sia attraverso la
negazione alla fede di uno spazio pubblico nelle democrazie occidentali:
"Le battaglie - ha detto il ministro - contro la pena di morte, che
hanno visto idealità laiche e cattoliche combattere insieme, quelle
per un ambiente sostenibile, contro la povertà, sono solo alcuni
esempi di convergenza fra Stato italiano e Santa Sede sul fronte
internazionale, esempi in cui parliamo di diritti assoluti delle persone, non
negoziabili in base a egoismi o convenienze". Frattini ha ricordato
"l'azione sinergica svolta per difendere la libertà di esporre il
crocifisso in luoghi pubblici, riconosciuta infine dalla Corte europea dei
Diritti dell'Uomo". E ha concluso: "Con questa iniziativa, l'Italia
ha difeso la sua storia: che è quella di un Paese aperto e tollerante,
in cui l'esibizione del simbolo del cristianesimo, punto di riferimento
spirituale per la maggioranza dei cittadini ed elemento fondante
dell'identità nazionale ed europea, rappresenta un messaggio di
apertura, di rispetto, di amore per gli altri".
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