L’Osservatore Romano 23-10-2011
Nel duello in corso con l'ebook. Se il libro vince a
mani basse
di Giulia Galeotti
Le notizie sono contraddittorie. Le reazioni
anche. Il momento è dunque arrivato? Davvero siamo in procinto di
officiare il funerale del libro cartaceo?
Da un lato, l'evento parrebbe lontano. Dati pressoché unanimi, infatti,
dicono che l'editoria elettronica non decolla (Nord America escluso), giacché
gli ebook vengono ancora snobbati dalla maggior
parte del pubblico (il Paese europeo più avanzato in materia, la Gran
Bretagna, è al tre virgola sette per cento). Dall'altro, però,
è notizia di questi giorni che in Italia un istituto tecnico, l'Ikaros di Bergamo, ha deciso di iniziare l'anno con una
svolta radicale: licenziati tutti i libri di testo (dizionari e atlanti
inclusi), assunte al loro posto milletrecentosettanta tavolette i-Pad, tante
quanti sono gli studenti della scuola. Cori di entusiasmo hanno salutato i
costi ridotti; per il nuovo strumento (che permetterà a insegnanti e
alunni di essere continuamente interfacciati), le famiglie pagheranno un
canone di duecento euro l'anno, meno di quanto avrebbero speso per i
tradizionali testi scolastici. Si parla, addirittura, di benefici in termini
psicologici: "Da noi approdano ragazzi che finiscono la terza media con
i voti più bassi - ha detto al "Corriere della Sera" il
direttore dell'Ikaros, Diego Sempio,
- mettere nelle loro mani un i-Pad è una maniera per far recuperare ai
giovani stima in se stessi, nelle loro capacità".
Ottimo certo, eppure a noi il pendio risulta scivoloso. Chi sono gli alunni
di oggi se non gli adulti lettori di domani? Un Icaro moderno precipiterebbe
mosso da quale vitale curiosità? È davvero una scelta vincente
nel lungo periodo far recuperare la stima perduta agli adolescenti con un bel
falò di libri?
Come ci disse il direttore della Library of Congress di Washington,
James H. Billington, nella misura in cui
condurranno la gente a leggere di più, gli ebook
"svolgeranno un ruolo sociale costruttivo". Il problema,
però, è quelle delle gerarchie: è una conquista voler
rimpiazzare i libri tradizionali con quelli elettronici? "Il pericolo -
proseguiva il direttore - sta nel vederli come sostituti dei libri
tradizionali". Appunto. I libri li sottolineiamo, li commentiamo a
margine (e a distanza di tempo, rileggendoli, riscopriamo qualcosa di noi che
avevamo dimenticato; sorridiamo a ciò che ci aveva colpito ieri,
rimarcando passaggi diversi perché nel frattempo siamo cambiate), li portiamo
appresso come coperte di Linus. Andiamo a casa di qualcuno conosciuto da
poco, e la prima cosa che cerchiamo sono le librerie. E se ci sono, con
discrezione, ci lanciamo in un'opera investigativa, spulciando titoli ed
edizioni, convinte (come siamo) che la libreria di una persona la racconti e
la riveli. Domani frugheremo nelle tavolette?
La gran parte dei libri, inoltre, dà una sostanziale percezione di
stabilità. L'esatto contrario della lettura via i-Pad. Passi per un
articolo di giornale (che, strutturalmente, è un materiale alquanto
traballante nel lungo periodo), ma avete mai provato a leggere I fratelli
Karamazov in tavoletta? Se Dostoevskij, La ginestra o le lettere di una
minuta e titanica ebrea olandese risulteranno piuttosto precari, un problema
c'è. E, evidentemente, sta nello strumento.
Certo, quando sali in aereo dolorante alla schiena per il peso portato (non
si può affrontare nemmeno un tragitto di due fermate in tram senza
portarsi una congrua scorta di volumi al seguito), quando combatti con la
borsa debordante che proprio non ne vuol sapere di infilarsi negli-appositi-spazi, non puoi non nutrire un pizzico
d'invidia vedendo il tuo vicino scorrere placido e sereno la sua
tavoletta-piuma. Non puoi non pensare: ora capisco.
Ma è solo un attimo. Poi, ti scorre dinnanzi la tua vita e realizzi che
in tutti i momenti importanti un libro pesante, ingombrante e fonte di
polvere comunque c'era.
Ripensi a quel passaggio delle Memorie di Adriano ("la parola scritta
m'ha insegnato ad ascoltare la voce umana, press'a poco come gli
atteggiamenti maestosi e immoti delle statue m'hanno insegnato ad apprezzare
i gesti degli uomini") e ti convinci che la scomodità del libro
un senso lo ha. Ripensi alle parole di una Arletty
ormai stanca, malata e quasi cieca ("il mio letto era un cocktail di
libri: uno ne lasciavo e uno ne prendevo. Leggere è importante come
guardare: e i miei occhi bevevano le parole come bevevano il mondo") e
realizzi che forse la splendida attrice francese sarebbe morta di sete. Pensi
a Vera di Vita e destino ("si guardava le mani, le gambe, il seno, le
dita. Non erano le stesse mani che avevano giocato a pallavolo, scritto temi,
sfogliato libri") e vedi sbriciolarsi tutto il peso di Vasilij Grossman. Pensi alla
memorabile scena di Che paese, l'America, la scena in cui - grazie alla New
York Public Library - Frank accede alla sua
salvezza. "Mi toglie il bicchiere e dice: esci da questo bar. Prendi la Forty-second a ovest e prosegui sulla Fifth
finché non vedi due grandi leoni di pietra. Sali la scalinata tra i due
leoni, chiedi la tessera della biblioteca e non fare il cretino come il resto
dei pestatorba che sbarcano dalla nave e si
intontiscono con l'alcol. (...) Mi viene da piangere a guardare i chilometri
e chilometri di scaffali sapendo che non riuscirò mai a leggere tutti
quei libri nemmeno se vivessi fino alla fine del secolo".
Pensi e capisci che i libri cartacei sono un'altra cosa. Sono qualcosa che
non va solo letta. Va toccata, sfiorata, annusata, lisciata, girata,
sfogliata (come insegna Elias Canetti), sporcata,
dedicata, vissuta, lasciata in eredità.
"Ho provato a stare senza libri: è durata due settimane" ci
disse Billington, sorridendo nel suo meraviglioso
studio di libri e vetrate all'ultimo piano del James Madison Building. Noi
non resistiamo nemmeno due fermate di tram. Come siamo terribilmente antiche.
(©L'Osservatore
Romano 23 ottobre 2011)
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