HOME PRIVILEGIA NE IRROGANTO di Mauro Novelli (www.mauronovelli.it) Documentazione Documento
inserito il 21-1-2009 |
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Il testo del discorso del presidente Barak Obama
Washington 20-1-2009 Concittadini, oggi sono qui di fronte a
voi con umiltà di fronte all'incarico, grato per la fiducia che avete accordato,
memore dei sacrifici sostenuti dai nostri antenati. Ringrazio il presidente
Bush per il suo servizio alla nostra nazione, come anche per la
generosità e la cooperazione che ha dimostrato durante questa
transizione. Sono quarantaquattro gli americani che
hanno giurato come presidenti. Le parole sono state pronunciate nel corso di
maree montanti di prosperità e in acque tranquille di pace. Ancora, il
giuramento è stato pronunciato sotto un cielo denso di nuvole e
tempeste furiose. In questi momenti, l'America va avanti non semplicemente
per il livello o per la visione di coloro che ricoprono l'alto ufficio, ma
perché noi, il popolo, siamo rimasti fedeli agli ideali dei nostri antenati,
e alla verità dei nostri documenti fondanti. Così è
stato. Così deve essere con questa generazione di americani. Che siamo nel mezzo della crisi ora
è ben compreso. La nostra nazione è in guerra, contro una rete
di vasta portata di violenza e odio. La nostra economia è duramente
indebolita, in conseguenza dell'avidità e dell'irresponsabilità
di alcuni, ma anche del nostro fallimento collettivo nel compiere scelte dure
e preparare la nazione a una nuova era. Case sono andate perdute; posti di
lavoro tagliati, attività chiuse. La nostra sanità è
troppo costosa, le nostre scuole trascurano troppi; e ogni giorno aggiunge
un'ulteriore prova del fatto che i modi in cui usiamo l'energia rafforzano i
nostri avversari e minacciano il nostro pianeta. Questi sono indicatori di crisi,
soggetto di dati e di statistiche. Meno misurabile ma non meno profondo
è l'inaridire della fiducia nella nostra terra: la fastidiosa paura
che il declino dell'America sia inevitabile, e che la prossima generazione
debba ridurre le proprie mire. Oggi vi dico che le sfide che affrontiamo sono
reali. Sono serie e sono molte. Non saranno vinte facilmente o in un breve
lasso di tempo. Ma sappi questo, America: saranno vinte. In questo giorno, ci
riuniamo perché abbiamo scelto la speranza sulla paura, l'unità degli
scopi sul conflitto e la discordia. In questo giorno, veniamo per proclamare
la fine delle futili lagnanze e delle false promesse, delle recriminazioni e
dei dogmi logori, che per troppo a lungo hanno strangolato la nostra
politica. Rimaniamo una nazione giovane, ma, nelle
parole della Scrittura, il tempo è venuto di mettere da parte le cose
infantili. Il tempo è venuto di riaffermare il nostro spirito
durevole; di scegliere la nostra storia migliore; di riportare a nuovo quel
prezioso regalo, quella nobile idea, passata di generazione in generazione:
la promessa mandata del cielo che tutti sono uguali, tutti sono liberi, e
tutti meritano una possibilità per conseguire pienamente la loro
felicità. Nel riaffermare la grandezza della
nostra nazione, capiamo che la grandezza non va mai data per scontata.
Bisogna guadagnarsela. Il nostro viaggio non è mai stato fatto di
scorciatoie o di ribassi. Non è stato un sentiero per i deboli di
cuore, per chi preferisce l’ozio al lavoro, o cerca solo i piaceri delle
ricchezze e della celebrità. E’ stato invece il percorso di chi corre
rischi, di chi agisce, di chi fabbrica: alcuni celebrato ma più spesso
uomini e donne oscuri nelle loro fatiche, che ci hanno portato in cima a un
percorso lungo e faticoso verso la prosperità e la libertà. Per noi hanno messo in valigia le poche
cose che possedevano e hanno traversato gli oceani alla ricerca di una nuova
vita. Per noi hanno faticato nelle fabbriche e
hanno colonizzato il West; hanno tollerato il morso della frusta e arato il
duroterreno. Per noi hanno combattuto e sono morti in
posti come Concord e Gettysburg, la Normandia e Khe Sahn. Ancora e ancora questi uomini e queste
donne hanno lottato e si sono sacrificati e hanno lavorato fino ad avere le
mani in sangue, perché noi potessimo avere un futuro migliore. Vedevano
l’America come più grande delle somme delle nostre ambizioni
individuali, più grande di tutte le differenze di nascita o censo o
partigianeria. Questo è il viaggio che
continuiamo oggi. Rimaniamo il paese più prosperoso e più
potente della Terra. I nostri operai non sono meno produttivi di quando la
crisi è cominciata. Le nostre menti non sono meno inventive, i nostri
beni e servizi non meno necessari della settimana scorsa o del mese scorso o
dell’anno scorso. Le nostre capacità rimangono intatte. Ma il nostro
tempo di stare fermi, di proteggere interessi meschini e rimandare le
decisioni sgradevoli, quel tempo di sicuro è passato. A partire da
oggi, dobbiamo tirarci su, rimetterci in piedi e ricominciare il lavoro di
rifare l’America. Perché ovunque guardiamo, c’è
lavoro da fare. Lo stato dell’economia richiede azioni coraggiose e rapide, e
noi agiremo: non solo per creare nuovi lavori ma per gettare le fondamenta
della crescita. Costruiremo le strade e i ponti, le reti elettriche, le linee
digitali per nutrire il nostro commercio e legarci assieme. Ridaremo alla
scienza il posto che le spetta di diritto e piegheremo le meraviglie della
tecnologia per migliorare le cure sanitarie e abbassarne i costi. Metteremo
le briglie al sole e ai venti e alla terra per rifornire le nostre vetture e
alimentare le nostre fabbriche. E trasformeremo le nostre scuole e i college
e le università per soddisfare le esigenze di una nuova era. Tutto
questo possiamo farlo. E tutto questo faremo. Ci sono alcuni che mettono in dubbio
l’ampiezza delle nostre ambizioni, che suggeriscono che il nostro sistema non
può tollerare troppi piani grandiosi. Hanno la memoria corta. Perché
hanno dimenticato quanto questo paese ha già fatto: quanto uomini e
donne libere possono ottenere quando l’immaginazione si unisce a uno scopo
comune, la necessità al coraggio. Quello che i cinici non riescono a
capire è che il terreno si è mosso sotto i loro piedi, che i
diverbi politici stantii che ci hanno consumato tanto a lungo non hanno
più corso. La domanda che ci poniamo oggi non è se il nostro
governo sia troppo grande o troppo piccolo, ma se funziona: se aiuta le
famiglie a trovare lavori con stipendi decenti, cure che possono permettersi,
unapensione dignitosa. Quando la risposta è sì, intendiamo
andareavanti. Quando la risposta è no, i programmi saranno interrotti.
E quelli di noi che gestiscono i dollari pubblici saranno chiamati a renderne
conto: a spendere saggiamente, a riformare le cattive abitudini, e fare il
loro lavoro alla luce del solo, perché solo allora potremo restaurare la
fiducia vitale fra un popolo e il suo governo. Né la domanda è se il mercato sia
una forza per il bene o per il male. Il suo potere di generare ricchezza e
aumentare la libertànon conosce paragoni, ma questa crisi ci ha
ricordato che senza occhi vigili, il mercato può andare fuori
controllo, e che unpaese non può prosperare a lungo se favorisce solo
i ricchi. Il successo della nostra economia non dipende solo dalle dimensioni
del nostro prodotto interno lordo, ma dall’ampiezza della nostra
prosperità, dalla nostra capacità di ampliare le
opportunità a ogni cuore volonteroso, non per beneficenza ma perché
è la via più sicura verso il bene comune. Per quel che riguarda la nostra difesa
comune, respingiamo come falsa la scelta tra la nostra sicurezza e i nostri
ideali. I Padri Fondatori, di fronte a pericoli che facciamo fatica a
immaginare, prepararono un Carta che garantisse il rispetto della legge e i
diritti dell’uomo, una Carta ampliata con il sangue versato da generazioni.
Quegli ideali illuminano ancora il mondoe non vi rinunceremo in nome del
bisogno. E a tutte le persone e i governi che oggi ci guardano, dalle
capitali più grandi al piccolo villaggio in cui nacque mio padre,
dico: sappiate che l’America è amica di ogni nazione e di ogni uomo,
donna e bambino che cerca un futuro di pace e dignità, e che siamo
pronti di nuovo a fare da guida. Ricordate che le generazioni passate
sconfissero il fascismo e il comunismo non solo con i carri armati e i
missili, ma con alleanze solide e convinzioni tenaci. Capirono che la nostra
forza da sola non basta a proteggerci, né ci dà il diritto di fare
come ci pare. Al contrario, seppero che il potere cresce quando se ne fa un
uso prudente; che la nostra sicurezza promana dal fatto che la nostra causa
giusta, dalla forza del nostro esempio, dalle qualità
dell’umiltà e della moderazione. Noi siamo i custodi di questa
eredità. Guidati ancora una volta da questi principi, possiamo
affrontare quelle nuove minacce cherichiedono sforzi ancora maggiori - e
ancora maggior cooperazione e comprensione fra le nazioni. Inizieremo a
lasciare responsabilmente l’Iraq al suo popolo, e a forgiare una pace pagata
a caro prezzo in Afghanistan. Insieme ai vecchi amici e agli ex nemici, lavoreremo
senza sosta per diminuire la minaccia nucleare, e allontanare lo spettro di
un pianeta surriscaldato. Non chiederemo scusa per la nostra maniera di
vivere, né esiteremo a difenderla, e a coloro che cercano di ottenere i loro
scopi attraverso il terrore e il massacro di persone innocenti, diciamo che
il nostro spirito è più forte e non potrà essere
spezzato. Non riuscirete a sopravviverci, e vi sconfiggeremo. Perché sappiamo che il nostro multiforme
retaggio è una forza, non una debolezza: siamo un Paese di cristiani,
musulmani, ebrei e indù - e di non credenti; scolpiti da ogni lingua e
cultura, provenienti da ogni angolo della terra. E dal momento che abbiamo
provato l’amaro calice della guerra civile e della segregazione razziale, per
emergerne più forti e più uniti, non possiamo che credere che
odii di lunga data un giorno scompariranno; che i confini delle tribù
un giorno si dissolveranno; che mentre il mondo si va facendo più
piccolo, la nostra comune umanità dovrà venire alla luce; e che
l’America dovrà svolgere un suo ruolo nell’accogliere una nuova era di
pace. Al mondo islamico diciamo di voler
cercare una nuova via di progresso, basato sull’interesse comune e sul
reciproco rispetto. A quei dirigenti nel mondo che cercano di seminare la
discordia, o di scaricare sull’Occidente la colpa dei mali delle loro
società, diciamo: sappiate che il vostro popolo vi giudicherà
in base a ciò che siete in grado di costruire, non di distruggere. A
coloro che si aggrappano al potere grazie alla corruzione, all’inganno, alla
repressione del dissenso, diciamo: sappiate che siete dalla parte sbagliata
della Storia; ma che siamo disposti a tendere la mano se sarete disposti a
sciogliere il pugno. Ai popoli dei Paesi poveri, diciamo di
volerci impegnare insieme a voi per far rendere le vostre fattorie e far
scorrere acque pulita; per nutrire i corpi e le menti affamate. E a quei
Paesi che come noi hanno la fortuna di godere di una relativa abbondanza,
diciamo che non possiamo più permetterci di essere indifferenti verso
la sofferenza fuori dai nostri confini; né possiamo consumare le risorse del
pianeta senza pensare alle conseguenze. Perché il mondo è cambiato, e
noi dobbiamo cambiare insieme al mondo. Volgendo lo sguardo alla strada che si
snoda davanti a noi, ricordiamo con umile gratitudine quei coraggiosi
americani che in questo stesso momento pattugliano deserti e montagne
lontane. Oggi hanno qualcosa da dirci, così come il sussurro che ci
arriva lungo gli anni dagli eroi caduti che riposano ad Arlington: rendiamo
loro onore non solo perché sono custodi della nostra libertà, ma
perché rappresentano lo spirito di servizio, la volontà di trovare un
significato in qualcosa che li trascende. Eppure in questo momento - un
momento che segnerà una generazione - è precisamente questo
spirito che deve animarci tutti. Perché, per quanto il governo debba e
possa fare, in definitiva sono la fede e la determinazione del popolo
americano su cui questo Paese si appoggia. E’ la bontà di chi accoglie
uno straniero quando le dighe si spezzano, l’altruismo degli operai che
preferiscono lavorare meno che vedere un amico perdere il lavoro, a guidarci
nelle nostre ore più scure. E’ il coraggio del pompiere che affronta
una scala piena di fumo, ma anche la prontezza di un genitore a curare un
bambino, che in ultima analisi decidono il nostro destino. Le nostre sfide possono essere nuove,
gli strumenti con cui le affrontiamo possono essere nuovi, ma i valori da cui
dipende il nostro successo - il lavoro duro e l’onestà, il coraggio e
il fair play, la tolleranza e la curiosità, la lealtà e il
patriottismo - queste cose sono antiche. Queste cose sono vere. Sono state la
quieta forza del progresso in tutta la nostra storia. Quello che serve
è un ritorno a queste verità. Quello che ci è richiesto
adesso è una nuova era di responsabilità - un riconoscimento,
da parte di ogni americano, che abbiamo doveri verso noi stessi, verso la
nazione e il mondo, doveri che non accettiamo a malincuore ma piuttosto
afferriamo con gioia, saldi nella nozione che non c’è nulla di
più soddisfacente per lo spirito, di più caratteristico della
nostra anima, che dare tutto a un compito difficile. Questo è il prezzo e la promessa
della cittadinanza. Questa è la fonte della nostra
fiducia: la nozione che Dio ci chiama a forgiarci un destino incerto. Questo
il significato della nostra libertà e del nostro credo: il motivo per
cui uomini e donne e bambine di ogni razza e ogni fede possono unirsi in
celebrazione attraverso questo splendido viale, e per cui un uomo il cui
padre sessant’anni fa avrebbe potuto non essere servito al ristorante oggi
può starvi davanti a pronunciare un giuramento sacro. E allora segnamo questo giorno col
ricordo di chi siamo e quanta strada abbiamo fatto. Nell’anno della nascita dell’America,
nel più freddo dei mesi, un drappello di patrioti si affollava vicino
a fuochi morenti sulle rive di un fiume gelato. La capitale era abbandonata.
Il nemico avanzava, la neve era macchiata di sangue. E nel momento in cui la
nostra rivoluzione più era in dubbio, il padre della nostra nazione
ordinò che queste parole fossero lette al popolo: “Che si dica al
mondo futuro... Che nel profondo dell’inverno, quando nulla tranne la
speranza e il coraggio potevano sopravvivere... Che la città e il paese,
allarmati di fronte a un comune pericolo, vennero avanti a incontrarlo”. America. Di fronte ai nostri comuni
pericoli, in questo inverno delle nostre fatiche, ricordiamoci queste parole
senza tempo. Con speranza e coraggio, affrontiamo una volta ancora le
correnti gelide, e sopportiamo le tempeste che verranno. Che i figli dei
nostri figli possano dire che quando fummo messi alla prova non ci tirammo
indietro né inciampammo; e con gli occhi fissi sull’orizzonte e la grazia di
Dio con noi, portammo avanti quel grande dono della libertà, e lo
consegnammo intatto alle generazioni future. |