CENACOLO DEI COGITANTI |
COGITAZIONe |
DOCUMENTI
CORRELATI |
Contro
l’assolutismo occorre rivisitare John Locke!
Mauro Novelli Cogitante 6-4-2009
Ormai comincia ad essere sempre più evidente la decadenza di
questa società:
- Nella prima repubblica il potere cercava di soffocare
mediaticamente i suoi oppositori; oggi si falsifica regolarmente la realtà.
L’evento del giorno prima è regolarmente smentito se tale mistificazione
risulta utile. C’è quindi un affinamento nella gestione dei media.
- trasmissioni televisive di massa
accolgono poveri cristi quali opinion leaders ( così chi guarda – povero
cristo anche lui – ci si riconosce.
- ministri che disconoscono documenti; processi che non devono mai
giungere a conclusione e condannati che brindano perché il reato verrà
certamente prescritto; processi che vanno avanti per lustri e che, si scopre,
non dovevano celebrarsi in quel tribunale.
- politici che fanno eleggere parenti, amici e benefattori, ma che
sostengono che il paese deve recuperare principi di meritocrazia; politici che
riempiono il paese di province, tanto costose quanto inutili, al solo scopo di
sistemare famelici clientes e obbedienti portaborse; politici che riempiono il
paese di decine di migliaia di società partecipate da enti locali (con
presidenti, consiglieri, sindaci, revisori ecc.) per fare affarucci (privati)
di risulta impegando denaro pubblico; politici che stampano qualche decina di
copie di giornali di partito per avere milioni di euro di finanziamenti;
politici che inventano finanziamenti a corporazioni circonvicine (se non è
peccato mortale il meccanismo dell’8 per mille …!);
- truffatori che mantengono il loro posto di “legislatori” perché
la condanna non è ancora passata in giudicato; personaggi capaci di andare al
potere ma non al governo, sempliciotti mentali non in grado di contrapporrre
all’avversario soluzioni politiche alternative, e perciò tenacemente occupati a
ricercare gli strumenti, anche deviati, in grado di denigrarlo, delegittimarlo,
di abbatterlo: è l’unica cosa in grado di fare chi non sa fare nulla.
L’occupazione del potere ( e della sua gestione in paludamento
democratico) da parte di cosche corporative è pressoché definitiva e i
cittadini sono ormai privi di qualsivoglia baluardo costituito da principi
etici condivisi. E’ il sopruso ad imperare ed è “giusto” che resti “indietro”
chi non è in grado di prevaricare gli altri.
Due conti: 60 milioni di cittadini (molti in avanzato stato di
precarizzazione) devono accollarsi il mentenimento di 428mila ben piazzati
personaggi che campano di politica: ogni scherano è mantenuto da 140 italiani.
Quasi mezzo milione di mandriani, ciascuno con una buona mandria.
Occorre reagire, anzitutto culturalmente. Parola d’ordine:
“Rivisitiamo John Locke!”, recuperiamo cioè quegli strumenti etici i9ndividuati
dal filosofo inglese e che permisero a Montesquieu di scardinare i principi
dello stato assoluto ed all’umanità di “tentare” la via della democrazia.
Da: “Critica illuminista
e crisi della società borghese” di Reinhart Koselleck - Edizioni “Il Mulino” -
1972
Capitolo secondo: L'autocoscienza degli illuministi e lo
Stato assoluto.
(1°)
L’intellighenzia
borghese nasce proprio in quello spazio interno privato in cui lo Stato
assoluto aveva relegato i suoi sudditi. Ogni passo verso l'esterno è un
passo verso la luce, un atto di illuminazione. L'Illuminismo inizia la
sua marcia trionfale nel momento stesso in cui allarga lo spazio privato
interno fino a farlo diventare pubblico. Senza rinunziare al suo
carattere privato, questo settore pubblico diventa la tribuna della società che
compenetra tutto lo Stato. Infine, la società busserà alla porta dei
detentori del potere, per esigere anche qui l'accesso all'opinione pubblica.
[….]
John
Locke (1632-1704), il padre spirituale dell'Illuminismo borghese cominciò nel
1670 sotto il dominio assolutistico degli Stuarts, a lavorare a An Essay
Concerning Human Understanding. L'ampia opera fu terminata durante i
sei anni di esilio in Olanda e poté essere pubblicata in Inghilterra dopo la
caduta di Giacomo II. In quest'opera, che nel secolo successivo doveva
diventare un po' il Vangelo della borghesia moderna, Locke si occupa anche
delle leggi in base alle quali i borghesi regolano la loro vita. Com'egli
stesso dice, si avventurò così in un campo che doveva essere meditato con cura
tutta particolare, per evitare oscurità e confusioni.
Locke
distingue qui tre tipi di leggi: « La legge divina, che è misura del peccato e
del dovere», e viene manifestata all'uomo dalla natura o dalla rivelazione; «
La legge civile, che è misura dei crimini e dell'innocenza » ed è la legge
dello Stato legata al potere di coercizione, il cui compito consiste nel
proteggere i cittadini; al terzo posto la legge specificamente filosofica cioè
« La legge morale, che è misura della virtù e del vizio ».
[…]
Come
Locke dimostra in modo del tutto empirico, le leggi morali borghesi nascono
nello spazio interno della coscienza umana, che Hobbes aveva escluso dall'ambito
del potere statale. Quantunque i cittadini abbiano attribuito allo Stato
la facoltà di disporre di tutto il loro potere, in modo che essi non possano
procedere contro nessun concittadino al di là dei limiti concessi dalle leggi
del Paese, « tuttavia conservano il potere di pensare bene o male, approvando o
disapprovando le azioni di coloro coi quali vivono e con cui hanno
rapporto». I cittadini non hanno insomma alcun potere esecutivo, ma
possiedono e mantengono il potere spirituale del giudizio morale.
[…] Per Locke, le opinioni dei cittadini sulla virtù e il vizio non sono
più limitate al campo delle opinioni e dei pareri: i giudizi morali dei
cittadini possiedono invece essi stessi carattere di legge. La morale
dell'opinione, esclusa dallo Stato per opera di Hobbes, viene così allargata in
duplice guisa.
Senza
autorizzazione statale, le leggi della morale borghese come per Hobbes
sussistono in modo tacito e segreto, ma non restano più limitate agli individui
in quanto tali: al contrario, acquistano la loro obbligatorietà universale dal
consenso segreto e inespresso dei cittadini. Portatore della morale
segreta non è più l'individuo ma la società, che si forma nei « circoli », nei
quali ad esempio i filosofi si occupano in particolare di esplorare le leggi
morali. I cittadini non si subordinano più soltanto alla autorità
statale, ma formano tutti insieme una società, la quale sviluppa le sue leggi
morali che compaiono a fianco delle leggi dello Stato. Così la morale
borghese - per sua natura tacita e segreta - si sposta nel settore pubblico, e
con ciò stesso diviene visibile la seconda trasformazione che ha subito, per
opera di Locke, la morale hobbesiana dell'opinione: le leggi morali borghesi
valide in segreto non restano più limitate all'opinione, ma determinano il
valore morale delle azioni. I cittadini stessi stabiliscono il livello di
valore di tutte le azioni, che per Hobbes era riservato al sovrano « danno il
nome della virtù a quelle azioni che in mezzo a loro sono giudicate lodevoli, e
chiamano vizio ciò che considerano riprovevole ».
[….]
Le opinioni private dei cittadini assurgono a legge unicamente grazie alla
censura insita in esse. Per questo Locke definisce la legge dell’opinione
pubblica anche « legge della censura privata ». Spazio privato e pubblico si
escludono tanto poco che semmai avviene che il secondo scaturisca dal primo. La
certezza dell'interiorità morale consiste nella sua capacità di acquistare
carattere pubblico. Lo spazio privato per virtù propria si dilata fino a diventare
ambito pubblico e soltanto per il tramite di quest'ultimo le opinioni private
si confermano come legge.
[….]
Per non mettersi da soli dalla parte del torto, i cittadini sono costretti a
emettere di continuo i propri giudizi, e soltanto attraverso i propri giudizi
stabiliscono ciò che è moralmente giusto nello Stato e ciò che non lo è. […..]
Addirittura per Locke i cittadini devono proclamare le proprie private opinioni
come una legge universalmente vincolante, perché soltanto nella sentenza autonoma
dei cittadini viene a costituirsi l'autorità della società, e soltanto con
l'esercizio costante della censura morale questa censura dimostra di essere
legge. [….]
Come
in Bayle la ragione si stabilisce come istanza suprema soltanto nell'eterno
processo della critica, così in Locke le opinioni morali dei cittadini si
innalzano a legge universalmente vincolante soltanto nel costante esercizio
della censura. La critica associata alla ragione e la censura associata
alla morale divennero la stessa cosa per l'autocoscienza borghese, vale a dire
un'attività che motiva se stessa. La loro comunanza consiste nella sentenza.
nel giudizio, che da un lato divide il mondo nei regni del bene e del male, o
del vero e del falso, ma contemporaneamente sulla base e nell'esercizio di
questa divisione innalza i cittadini a suprema istanza giudicante. Senza
richiamarsi alle leggi statali, ma anche senza possedere un proprio potere
esecutivo politico, nel costante alternarsi di critica intellettuale e di
censura morale si sviluppa la borghesia moderna. «Soltanto allora », dirà un
secolo dopo Schiller, «soltanto quando avremo deciso da noi stessi che cosa
siamo e che cosa non siamo, soltanto allora saremo sfuggiti al pericolo di
soffrire per il giudizio altrui ». La sentenza dei cittadini legittimante se
stessa come giusta e vera, la censura, la critica divengono il potere esecutivo
della nuova società.
Locke
con la sua interpretazione della legge filosofica ha dato un peso politico allo
spazio interiore della coscienza umana, che Hobbes aveva subordinato ad una
politica statale. Le azioni pubbliche non soggiacciono soltanto
all'istanza statale, ma contemporaneamente all'istanza morale dei cittadini. A
questo modo, Locke ha dato espressione alla decisiva irruzione nell'ordine assolutistico,
che si esprimeva nel rapporto tra protezione e obbedienza: la morale non è più
una morale formale dell'obbedienza, non è più subordinata ad una politica
assolutistica ma si contrappone alle leggi dello Stato.
[….]
Il potere politico diretto resta riservato allo Stato, la «legge
dell'opinione» invece è priva di mezzi statali di coercizione. Ma anche
se i cittadini hanno ceduto alla guida dello Stato il proprio potere politico
di intervento, tuttavia la loro « legge filosofica » è solo apparentemente
priva di autorità. Essa esiste ed opera soltanto per mezzo della lode o
del biasimo, ma di fatto è assai più efficace nelle sue ripercussioni, nei suoi
effetti. Infatti nessuno può sfuggire a questa sentenza. Su
diecimila individui, non uno è in grado di sottrarsi al giudizio morale degli
altri uomini: «Chiunque agisca contro il costume o l'opinione della compagnia
in cui si trova, non sfuggirà alla pena della sua censura e della sua ripulsa
». Perciò, accanto alle istanze statali e religiose, il terzo potere si
presenta come il più potente, poiché ad esso sono subordinati tutti i
cittadini, «e così essi fanno ciò che procura loro buona reputazione nella loro
compagnia e tengono minor conto delle leggi di Dio o del magistrato ». Così, al
di là della situazione inglese, Locke ha descritto la peculiare efficacia della
legislazione morale.
Le
leggi statali operano direttamente attraverso il potere di coercizione dello
Stato che sta dietro di esse, la legislazione morale opera nel medesimo Stato,
ma indirettamente e assai più incisivamente. La morale borghese diventa
un potere pubblico che, pur operando soltanto sul piano spirituale, nelle sue
ripercussioni è politico in quanto obbliga il cittadino ad adattare le proprie
azioni non soltanto alle leggi dello Stato ma contemporaneamente, e innanzi
tutto, alla legge dell'opinione pubblica.
[….]
(2°)
[….]
Totalmente
esclusi dalla politica, gli uomini della società si incontravano in luoghi
«apolitici»: alla Borsa o nei caffè, nelle Accademie, dove le nuove scienze
venivano promosse senza dover sottostare all'autorità ecclesiastico-statale di
una Sorbonne, o nei club, dove non potevano amministrare la giustizia ma
criticavano la giustizia dominante; nei salotti, dove lo spirito poteva
muoversi in libertà senza avere carattere ufficiale come sul pulpito o nelle
cancellerie, oppure ancora nelle biblioteche e nelle associazioni letterarie,
nelle quali ci si occupava di arte e di scienza, non però di politica
statale. Così sotto la protezione dello Stato assolutistico la nuova
società creò le proprie istituzioni, i cui compiti - fossero o no tollerati e
promossi dallo Stato - erano «sociali». Si creò così nello sfondo una
istituzionalizzazione la cui forza politica non poteva però dispiegarsi
apertamente nel solco della legislazione monarchica o nell'ambito delle
istituzioni statali o di quelle ancora esistenti di ceto; questi rappresentanti
della società semmai poterono fin da principio, esercitare un'influenza
politica soltanto per via indiretta. Tutte le istituzioni sociali di questo
nuovo strato ottennero quindi un carattere potenzialmente politico, e nei
limiti in cui riuscivano ad esercitare un’influenza sulla politica e la
legislazione statale, divennero autorità politiche indirette.
Non appena lo Stato vide minacciato da questa direzione il monopolio della propria legislazione, intervenne contro queste istituzioni di tipo nuovo. Illuminante in proposito la sorte del « Club de l'Entresol». « E’ una specie di club all'inglese, o di società politica perfettamente libera », riferisce il marchese d'Argenson, il suo membro più importante, nelle sue Mémoires « composta di persone che desiderano discutere di ciò che avviene, che possono riunirsi e parlare senza alcun timore di compromettersi, perché si conoscono l'un l'altro e sanno con chi e davanti a chi parlano. In questa associazione suggerita da Bolingbroke ", si trovavano eminenti studiosi, sacerdoti progressisti, alti ufficiali ed esperti funzionari, che raccoglievano e discutevano le notizie di tutto il mondo; ciascuno aveva una sua determinata competenza. e il lavoro principale riguardava i problemi di politica interna ed estera. [….]