MEDITAZIONE
I
Delle cose che rientrano in una sfera di nuovi
dubbi
[1] Sono trascorsi alcuni mesi da quando
ho incominciato ad intuire le debolezze delle impostazioni delle mie ricerche,
che non mi stavano portando verso gli scopi che mi venivano suggeriti
tacitamente dai significati che riuscivo ad intuire negli eventi e nelle cose.
Perciò ho
deciso di tentare di sbarazzarmi di tutte quelle opinioni che alla fine
risultano incompatibili con le certezze assiomatiche che percepisco.
Se desidero
veramente stabilire una solida e permanente struttura nell’essenza
dell’Esistenza, alla quale appartengo in qualità di Individuo distinto e
separato, allora debbo veramente cercare di penetrare la mia natura, che è
quella di un Assioma vivente.
Si tratta di
un’impresa veramente al limite delle mie possibilità, che non mi sembra che
consista solamente di ricerche di obiettivi da raggiungere tramite
conoscenze o
anche consapevolezza da utilizzare come strumenti. Ho necessità di concepire
con più distinta chiarezza i Significati e la loro Ontologia.
Concepire è un
sinonimo di creare. Vagamente percepisco che la Vita è per sua Natura portata a
concepire. Però, cosa veramente è una concezione ?
[2] Non sono affatto sicuro di raggiungere
quello che, indefinitamente, mi auguro. Però, non mi sembra una cosa di
assoluta importanza. Sento in me, profondamente, la necessità di agire tramite
sintonie inafferrabili. Allora, debbo e posso solo tentare di impegnarmi in
alcune regole di comportamento durante questo mio incessante processo di
ricerca.
Perciò,
solennemente prendo i seguenti impegni esistenziali :
-
di
lasciare fuori dal lavoro ogni cura improntata alla mia individualità
-
di
impegnare le mie facoltà in modo sacrale, come in un Rito
-
di
osservare il Ritmo dettato dalla Sacralità
-
di
essere imparziale, eliminando il superfluo della mia Individualità
-
di
vivere gli argomenti con il dovuto rispetto, come se fossero Assiomi
-
di
non essere prigioniero di deliberate finalizzazioni
-
di
percepire ed evidenziare solo quello che è o è stato
-
di
prestare attenzione ai legami delle sequenze esistenziali
-
di
non emettere giudizi di merito, ma di limitarmi solo ad osservare
-
di
ricevere anche i messaggi esterni alla mia individualità
-
di
eliminare la presenza delle apparenze
-
di
concepire le sequenze come Corollari dell’Esistenza
-
di
mettere in luce solo l’esistenzialità degli eventi
-
di
mantenere la mia indipendenza di libero Osservatore
-
di
cogliere, quando sarà consentito, la Letizia della Vita
[3] Sto seguendo lo stesso modello formale delle Meditazioni di Cartesio, perché le
considero un’Opera Somma, soprattutto per la limpida ed irreprensibile onestà
intellettuale. Dovendo procedere ad una revisione dei miei pensieri, spero di
riuscire a proporre qualcosa di altrettanto convincente.
Come nella
Meditazione prima di Cartesio, al punto (4) : mi trovo, in età avanzata,
però in un’epoca più moderna, seduto in
solitudine, pronto ad affrontare una revisione radicale dei miei punti di
vista. A differenza di allora, non mi trovo in vestaglia davanti ad un
caminetto, con un foglio di carta in mano. Sono vestito normalmente, il
caminetto non c’è perché le case sono riscaldate, e sono davanti alla tastiera
di un computer.
Sto ragionando
sul fatto che, al giorno d’oggi, siamo un po’ più privilegiati dei cercatori
che vivevano all’epoca di Cartesio. Allora si preoccupavano della conoscenza :
dalle Meditazioni traspare con evidenza che il problema principale era centrato
sulla domanda Chi sono?. Non è che adesso ne sappiamo molto di più, però
abbiamo il vantaggio di accettare l’Esistenza in un modo meno drastico, cioè
più elastico. Ho l’impressione che una volta l’Esistenza venisse accettata
soprattutto come un fatto ineluttabile, del tipo Destino, mentre adesso
sembrerebbe che venga considerata anche come Luogo di probabilità aleatoria.
Non so bene se la nostra attuale attitudine alle scommesse mentali era
concepibile e condivisibile dalla popolazione di quei tempi. Fatto è che adesso la domanda che ci
preoccupa maggiormente è Dove andiamo ? Debbo convenire che spesso la consideriamo
alla stessa stregua delle scommesse.
[4] Mi sembra che nelle Meditazioni di
Cartesio non sia presente una tale preoccupazione. Trovo tanti dubbi. Ma non
quello delle scommesse sul futuro. Perciò mi è venuto, ora, un dubbio nuovo ma
piuttosto pesante : in sostanza, ammesso che si possa essere in grado di
risolvere il quesito Chi sono?, mi viene il dubbio che
questo non mi serva a risolvere del tutto il quesito Dove andiamo ? Debbo convenire che una volta superata la
prima barriera della consapevolezza di me stesso, mi trovo di fronte ad una
nuova più ardua barriera, quella del cammino da compiere.
Si presentano,
allora, una serie di nuovi dubbi, o meglio, si propongono con maggior chiarezza
molti quesiti latenti, che sono già stati affrontati in modo incompleto da
molti pensatori, ma anche da moltissime persone comuni. Tutti lo hanno fatto in
un modo confuso, che riflette un sostanziale timore nei riguardi
nell’inconoscibile, in sostanza del futuro.
In questo
senso si deve ammettere che la maggior parte dei timori deriva, più o meno
razionalmente, dall’esistenza della morte biologica, che è qualcosa di
inconcepibile, anche perché in modo molto irrazionale viene di solito estesa
anche ad una morte di natura spirituale.
Allora sorge
maggiormente il dubbio : se non sono in grado, avendo raggiunto una sufficiente
convinzione di Chi sono, di risolvere il problema della morte, che è comunque
un passaggio di grande peso nel Dove andiamo, a che mi serve una
chiara percezione e convinzione di chi sono ? A cosa mi serve una conoscenza ?
[5] Sempre più mi appare chiaro che il futuro insondabile rappresenta il vero
problema attuale. Mi appare chiaro che la sola consapevolezza e neanche una
piena coscienza possono riuscire a risolvere un tale problema.
Ecco, allora,
la ragione di una radicale revisione dei miei pensieri.
Per questi
motivo ho deciso di tentare di sbarazzarmi di tutte quelle opinioni che alla
fine risultano incompatibili con le certezze assiomatiche che invece percepisco
con chiarezza, e che mi confortano, ma che sono, però, difficilmente
inquadrabili in una visione dominata solo dal conoscibile.
Le domande che
devo pormi sono : Il quesito Dove andiamo è risolvibile ? dove
sbaglio quando non riesco a trovare un sicuro riferimento ? Esiste un analogo
riferimento indiscutibile, come quello trovato da Cartesio nel quesito Chi sono ?
MEDITAZIONE
II
Esiste un qualcosa che indirizza e predispone il
lavoro della mente umana ?
[1] Seguendo questa intuizione e
osservando come stanno andando adesso le cose dell’ esistenza umana, mi sembra
di poter affermare che l’incertezza che agisce tacitamente, quasi
inavvertibile, nasca dalla necessità di previsione del futuro.
Perché, da
sempre, da quando esiste l’uomo, il bisogno di prevedere il futuro è stato
sempre presente nei desideri dell’Uomo. Almeno così sembra. Da sempre ?
Ma tale
necessità è veramente un Assioma indipendente ? Oppure ci appare tale per il
fatto di estendersi su periodi di tempo talmente lunghi da sembrare un sempre ?
Mi viene
allora il dubbio che il concetto del Futuro potrebbe non essere una nozione
innata negli esseri viventi. Potrebbe, in effetti, essere nato con
l’evoluzione, e neanche tantissimo tempo fa. Da quanto risulta, in alcune
lingue parlate ancora oggi, di origine molto antica, non esiste il tempo futuro
nei verbi. La struttura del linguaggio è simile alla nostra, ma il futuro non è
concepibile nell’azione dei verbi. Allora, questa conferma di un simile dubbio
dove ci porta ?
La conferma
potrebbe essere significativa, poiché ci porterebbe ragionevolmente ad
ipotizzare che la nozione del futuro nasca da una evoluzione dell’Umanità.
Deve essere
stata una evoluzione molto, molto importante, e questo mi porta a formulare
un’ipotesi : è assai probabile che l’idea di futuro sia nata con il lentissimo e graduale
passaggio dalla Civiltà dei Cacciatori a quella della Coltivazione dei campi.,
cioè al momento delle osservazioni ed alla consapevolezza della presenza di
cicli ripetitivi di lunga portata dall’esito incerto, come le stagioni. Ed
anche alla constatazione della loro larga indipendenza rispetto alle brevi
durate dell’esistenza individuale.
[2] E’ veramente un punto importante :
l’incertezza delle previsioni è
diventata una spinta all’azione per
cercare una migliore protezione e sicurezza contro un’avversa probabilità. Perciò,
anche la conoscenza è sembrata diventare un’arma quasi sicura contro
l’incontrollabilità a priori del caso.
Considerando i
tempi attuali, mi viene da pensare che stiamo ancora vivendo nella Civiltà
dell’ Agricoltura, con le regole implicite di vita, maturate nel corso di
migliaia di anni. Però, probabilmente, ne siamo giunti al termine.
Le regole
della conoscenza, applicabili ai fenomeni naturali esteriori, così importanti
per l’ambiente, non sembrano più del tutto universalmente valide. Infatti, se
applicate ai fenomeni interiori, quelli che con approssimazione chiamiamo spirituali, non riescono neanche a far intravedere barlumi di luce.
Anzi, talvolta sembrano mettere in dubbio la Speranza, in un senso distruttivo.
Dopo una
profonda riflessione, utilizzando al meglio i miei stessi proponimenti, quelli
elencati all’inizio, arrivo alla assiomatica consapevolezza che la conoscenza
non è un Assioma. Una distruzione della Speranza è inconcepibile dalla Vita,
che è un Assioma.
Allora mi
viene il dubbio che sia da scartare la nozione dell’universalità delle forme di
conoscenza, almeno come quelle sviluppate nell’era dell’Agricoltura.
[3] Debbo, perciò, prendere in
considerazione un’ipotesi un po’ ardita : osservo che all’inizio
dell’evoluzione dell’Uomo si è auto generata la Civiltà dei Cacciatori, che è
un’evoluzione più intelligente rispetto alle organizzazioni meno intelligenti
del mondo animale. Quanto è durata la Civiltà dei Cacciatori ? Sicuramente molte centinaia di migliaia di anni, forse
milioni. In alcuni casi estremi dura ancora oggi. Sicuramente si è basata sulla
conoscenza, sul controllo delle esperienze individuali, una specie di
conoscenza poco organizzata, poiché la natura troppo individuale delle
conoscenze ha ristretto il campo delle previsioni : il futuro, probabilmente,
era considerato a livello di una vaga Immanenza, una specie di Destino
indefinibile. Un simile fatto è riscontrabile negli animali superiori :
esistono in loro solo vaghe condizioni di conoscenze collettive organizzate.
Con
grandissima lentezza si devono essere auto generate le condizioni per un
passaggio alla Civiltà dell’Agricoltura. Mi sembra che si debba prendere come
dato certo, che l’accettazione della nuova Civiltà debba avere convinto i
cacciatori, per opera di convinzione interna (sia pure lentissima), che la
nuova Civiltà era più vantaggiosa di quella precedente. Non penso sia possibile
ricostruire con semplice chiarezza i processi interiori dei singoli individui,
che probabilmente sono stati generati da ispirazioni e significati, confusi e
spesso irrazionali. Tuttavia, il passaggio c’è stato, e quasi sicuramente
devono aver influito la consapevolezza delle dure condizioni di vita del
cacciatore (e della sua famiglia) unitamente a vaghi sogni di un mondo più
sicuro, rappresentato simbolicamente dalla stanzialità dell’Agricoltura. Vaghi
sogni alimentati dalla Speranza.
[4] Con un grande volo pindarico nella mia
mente, riassumo in immagini, quasi istantanee, il corso lunghissimo dell’Era
dell’Agricoltura, specie se paragonato alla corta durata della vita biologica
dell’uomo. Sono arrivato alla conclusione che si dovrebbe cambiare il nome in
Era della Conoscenza : debbo prendere atto che nell’ultimo niente temporale (tremila anni) la Conoscenza ha preso vie molto
diverse in confronto con le modeste finalizzazioni pratiche iniziali. Tuttavia,
sono fermamente convinto che il valore dell’entità della spinta verso le
finalizzazioni sia rimasto il medesimo, cioè costante ed indipendente dalla
scala delle singole finalizzazioni. Questa mia intima convinzione è di tipo
assiomatico e potrebbe apparire, anche ai miei stessi dubbi, come una
dichiarazione fideistica, senza
solidi fondamenti. Tuttavia ne debbo prendere atto, come un fatto comune ai
primitivi agricoltori ed anche a me stesso, che sto tentando di percorrere
improbabili vie dello Spirito.
In questo
momento appare compatibile con la domanda in sottotitolo alla presente
Meditazione. Perciò, continuo.
Mi domando,
ora, come si siano svolte le evoluzioni nell’ambito dell’Era della Conoscenza.
Devo rinunziare ai dettagli ed anche a tutte le fluttuazioni delle idee che
sicuramente avranno continuamente oscillato fra alti e bassi di ogni genere.
Senza grandi
incertezze si può tentare di ricostruire un Filo d’Oro che connette in sequenza tantissime vicende. Alternando
intuizioni a fatti storici, e riferendosi ad una stima di dove possiamo essere
oggi, utilizzando le esperienze di ogni genere fin qui accumulate, possiamo
ottenere una visione panoramica sintetica, che ci consenta di stimare quello
che adesso ci manca ?
Onestamente
non mi sento in grado di avere idee molto chiare su quanto ci manca nel
complesso : il muro dell’edificio dell’Evoluzione sarà sempre incompleto, ma
penso seriamente che è nella mia capacità artistica
la possibilità di figurarmi come potrebbe almeno essere il prossimo mattone e anche come dovrebbe essere
posto in opera. Non posso certamente garantire a priori il successo artistico
assoluto della mia opera, cioè un successo ad opera realizzata, ma con la mia
stessa sensibilità sono in grado di decidere se simbolicamente il prossimo mattone dovrebbe essere spesso otto
centimetri oppure ottanta centimetri. Se la scelta risultasse errata, ad opera
in atto, ho sempre la possibilità di demolire non solo il brutto mattone, ma anche le due file di mattoni precedentemente
posti erroneamente in opera. E ricominciare da capo.
Non posso fare
a meno di ritenere sostanzialmente corretto il piccolo esempio simbolico :
nell’Era della Conoscenza, iniziata con l’Agricoltura e ancora in corso
d’opera, le vicende si sono svolte più o meno approssimativamente in tale
maniera. Ha operato una spinta, con una sostanziale componente di natura
oscura, che, mattone su mattone ha generato
un’Evoluzione certamente non progettata né progettabile a priori.
Dopo un inizio
certamente incerto e faticoso, la ricerca di conoscenze razionali ha portato
grandi risultati, che ha accresciuto la qualità della vita e rinforzato la
Speranza in una Evoluzione, positiva nella sua possibilità di controllo
crescente della Manifestazione. Così si è proceduto. E poi, improvvisamente,
(unità di misura di solo due o tremila anni) la conoscenza ha sconfinato nella
metafisica, nell’epoca ionica, ed ha rivelato i suoi limiti. E sono incominciati
i dubbi.
Ritorno,
perciò, ai miei irrisolti dubbi attuali. Cosa manca al meccanismo della
conoscenza ? Soprattutto non riesco a pensare che possa essere stata la
conoscenza stessa a rivelare una intuizione di cose sconosciute ed
inconoscibili, come la Metafisica, che forse avrebbero potuto risolvere i
problemi.
Non posso fare
a meno di mettere in risalto che, a partire dall’epoca ionica, la ricerca più
stimolante per la mente degli esseri umani è stata indirizzata verso una
ricerca razionale dell’inconoscibile. Sembra molto strano che l’inconoscibile
eserciti un’attrazione della mente verso una superiore razionalità che non può
essere conosciuta tramite una normale conoscenza, simile a quella applicata ai
problemi pratici dell’Agricoltura.
Ecco il motivo
di fondo delle presenti Meditazioni : se siamo attratti dall’ignoto sotto le
condizioni appena descritte, riconoscendo un superiore significato a tal genere di ricerca, allora
può voler dire che deve Esistere un
qualcosa che indirizza e predispone il lavoro
della mente umana verso traguardi più elevati, che non siamo stati
ancora in grado di distinguere ed isolare con chiarezza.
Senza ombra di
dubbio un tale Qualcosa esiste.
Esisteva già nell’Era dei Cacciatori, e li guidava, senza che se ne rendessero
conto, verso una superiore forma di esistenza rappresentata dall’Agricoltura.
Perciò mi devo
domandare : le incertezze attuali della Conoscenza sono forse uno strumento di
quel Qualcosa che ci sta spingendo,
senza che ce ne rendiamo conto, verso una nuova forma superiore di esistenza ?
MEDITAZIONE
III
Come si rivela alla nostra mente il qualcosa che
ci indirizza e predispone oltre la conoscenza
?
[1] Mi sono accorto, leggendo e rileggendo
la Meditazioni di Cartesio, che manca una constatazione esplicita preliminare,
che forse potrebbe esserci di grande aiuto nella ricerca del Qualcosa.
Manca la constatazione esplicita dell’Assioma dell’Azione.
Si tratta di
una asserzione difficile da comprendere. Intendo dire che una Meditazione prima di rivelarsi in contenuti
conoscitivi, è un bisogno di un’Azione. Mi sono anche accorto che l’Azione, in
sé, anzi l’intenzione dell’Azione, è
indipendente dai suoi risultati. Il bisogno dell’Azione viene sempre prima.
Per tale
ragione l’Azione è un Assioma. Perciò, appare ancora più evidente che l’Azione
è sempre primigenia rispetto ad una Meditazione. Qualsiasi essa sia.
Allora mi
debbo anche domandare quale Azione e quali intenzioni sono implicate dalle mie
Meditazioni.
In questo
preciso momento mi vengo a trovare in grandi perplessità : da un lato mi sembra
di aver osservato (in modo quasi assiomatico) un’evidenza talmente evidente da
apparire un fatto privo di importanza agli effetti della Conoscenza.
Da un altro
lato, invece, mi appare l’enormità di quanto si potrebbe celare nella
constatazione di un’evidenza talmente evidente da apparire un fatto di assoluta
importanza agli effetti dell’Esistenza.
Mi appaiono,
direi per contrasto, due aspetti (l’Azione e la Conoscenza) che non sono la
stessa cosa, anche se sembrano accomunati dal fatto di essere entrambi Assiomi.
Non c’è niente di più semplice di un Assioma : tanto semplice che non occorre
alcuno sforzo da parte nostra per prenderne atto.
Eppure, non
appena si cerca di penetrare la ragione del suo contenuto, un Assioma diventa
insondabile. Figuriamoci un confronto di due Assiomi.
[2] Sicuramente la Conoscenza contribuisce
a migliorare l’indice di sicurezza, ma non costituisce una certezza assoluta.
Infatti, sono adesso costretto a constatare la sua incompletezza. Avendo però
trascorso con la Conoscenza un’intera Era, mi trovo molto più a mio agio con la
Conoscenza che non con l’Azione. Anzi, sono talmente calato nella Conoscenza da
non accorgermi che essa è il risultato di un’Azione.
Ma cosa è
veramente un’Azione ? Debbo confessare a me stesso che non lo so. Forse, posso
solo azzardare che commetto, per mia pochezza, un grande errore, quando
confondo l’Essenza dell’Azione con
il suo risultato. In tal modo non
riesco a vedere che riduco l’Azione da una intenzione
ad un processo creativo finalizzato.
E, allora, mi appare un’altra ragione per i miei attuali dubbi : per quale
motivo preferenziale assoluto debbo privilegiare il risultato rispetto all’Essenza
?
Mi accorgo di
trovarmi di fronte ad un bivio e di non avere criteri esterni (come un chiaro
cartello indicatore) per decidere quale delle due strade debbo imboccare. Come
posso fare ricorso ad un criterio del quale posso essere certo ? Le
giustificazioni che fin qui mi sono dato, per poter raggiungere una superiore certezza, sono forse solo una falsa
chiarezza, magari utile per superare momenti di difficoltà, ma che mi porta su
un cammino che mi riproporrà perennemente il problema del bivio ? Come Uroboros
che si morde la coda ?
[3] Mi sorge un ennesimo dubbio : cosa
potrebbe succedermi, se improvvisamente sposto la mia attenzione, nel problema
del bivio, dalla due vie (una delle quali devo necessariamente prendere) al punto
esatto dove inizia la biforcazione ?
Osservo che il
punto è uno mentre le vie sono due. Cosa può mai significare ? Quali
susseguenze può implicare una simile constatazione ? Mi sto forse perdendo nei
meandri di un labirinto più temibile di quello del Minotauro ?
Cerco di
mettere un po’ d’ordine ai miei pensieri : all’inizio dell’Era della Conoscenza
gli agricoltori dovevano vivere e subire simili esperienze, quando cercavano di
mettere insieme nozioni separate di esperienze anche molto diverse fra di loro,
per ottenere un quadro di coerenze. Eppure, con grandi fatiche, sono riusciti a
cucire insieme norme e regole di una Civiltà che sta durando fino ad ora.
Analogamente, riesco a percepire esperienze nuove che mal si inseriscono nel
quadro di una Civiltà che ha un suo Ordine, ma che non riesco più a seguire con
una ferma convinzione. Quando cerco di mettere insieme relazioni convincenti
fra le nuove esperienze mi trovo in difficoltà, ma debbo anche convenire che
non potrebbe proprio verificarsi una distinta chiarezza in un processo
evolutivo appena iniziato. E’ forse un altro inoppugnabile segno di cambiamenti
?
Provo allora a
separare le esperienze nuove in parti distinte fra di loro. Suppongo da prima,
in modo forse arbitrario, che sto cercando veramente qualcosa di nuovo, oltre
la normale Conoscenza, che come obiettivo finale mi è diventata un po’ stretta.
Perciò, devo ammettere, in conseguenza, almeno tre presupposti iniziali :
-
il
primo, di voler andare oltre la Conoscenza normale ;
-
il
secondo, di non poter utilizzare solo
strumenti normali di Conoscenza ;
-
il
terzo, di essere animato da intenzioni coerenti.
Mi rendo conto
che in tutti e tre i presupposti appare, più o meno latente, la presenza di un
Azione, che è del tutto indipendente dai
risultati che potrò ottenere nel futuro. Mi sembra, perciò, che questo possa
significare un maggior peso dell’Essenza
dell’Azione rispetto al risultato.
Esaminando
separatamente i tre presupposti, debbo prendere atto delle Essenze di ciascuno
di essi, che mi appaiono essere differente in ciascun presupposto.
-
Nel
primo, appare la ricerca di una nuova finalità Teleologica ;
-
Nel
secondo, appare la ricerca di un nuovo Stile
nella ricerca
-
Nel
terzo, appare la ricerca di una Volontà,
che deve essere individuale.
I primi due
casi implicano risultati ed allora debbo notare che i risultati appartengono ad
un futuro, che dipende da uno dei due rami del bivio che potrò scegliere nella
mia ricerca. Perciò, non sono le scelte che mi possono dare, al momento della
scelta, quella certezza che vado cercando. Una scelta di tal genere è certa
solo quando ha dato un risultato. Non ha un valore logico utilizzabile.
Solo il terzo
caso mi offre una vera certezza sulla quale posso contare, che è quella
presente nella mia volontà individuale di poter decidere in modo
indipendente.
[4] Mi devo domandare, coerentemente con
gli impegni da me presi all’inizio delle Meditazioni, se non mi sto prendendo
in giro da me stesso. Non è forse vero che qualsiasi essere vivente esercita
sempre una sua volontà ? Non sono, per caso, un nuovo ed ennesimo inventore
dell’acqua calda ?
Certamente è
anche così, ma debbo anche notare che esistono nella Volontà parecchi livelli,
associabili alla misteriosa Qualità che si chiama Ordine. Non posso proprio concepire
l’Ordine come una qualità che si esprime solo con due possibili stati, cioè
Ordine totale o Disordine totale. Certamente esistono i due limiti citati agli
estremi della scala dei valori, ma si tratta di nozioni astratte, che sono
difficilmente vivibili nella loro pienezza poiché sono casi limite.
Perciò,
nell’Ordine esistono molti livelli. Per portare a me stesso esempi fattivi,
devo senz’altro riconoscere che un istinto è una volontà a livello di
incoscienza, mentre un’intuizione è qualcosa all’estremo opposto, una volontà
ad un livello di Ordine talmente elevato da apparire incontrollabile e quasi
incomprensibile.
Mi sembra,
allora, che si possa aprire un nuovo e promettente orizzonte. Nell’Era dei Cacciatori,
animali inclusi, le Azioni sono un prodotto di Volontà a basso livello di
Ordine. Nell’Era dell’Agricoltura le Azioni sono un prodotto a più alto livello
di Ordine, legato a una Volontà condizionata in parte da una Conoscenza
razionale, che in gran parte, però, è applicata a cose esteriori, mentre la
Volontà spazia, spesso e volentieri, ancora
nelle forme irrazionali degli istinti interiori.
Se si vuole
procedere nel cammino dell’Evoluzione, mi sembra allora che lo si possa fare
solo mettendo Ordine nella Volontà.
MEDITAZIONE
IV
Come si rivela alla nostra mente quella Volontà
che ci possa indirizzare e predisporre oltre la conoscenza ?
[1] E’ una domanda che mi rivolgo
raramente, forse per il fatto che non so cosa rispondere. Non so nemmeno
approfondire cosa sia veramente la Volontà, e in questo non sono molto diverso
da un bambino al quale si chieda perché faccia un capriccio. Posso dare una
risposta superficiale, di ordine molto pratico, per esempio perché ha fame, ma
in sostanza una simile risposta non mi spiega bene la finalizzazione a priori
del meccanismo della Volontà. Voglio dire che non riesco a comprendere, con la
chiarezza che vorrei, a cosa tende una Volontà in genere, al di la
dell’immediatezza. In sostanza, perché si vuole ?
Posso tentare
di rispondere che la Volontà nasce da un bisogno di compensare una qualche
forma di squilibrio : una volta raggiunto un equilibrio soddisfacente, la
Volontà di agire viene meno. Ma una simile risposta non soddisfa in modo
adeguato lo squilibrio nella mia mente, che sta cercando, senza riuscirci, di
risolvere un problema, che alla fine mi rivela un mio squilibrio di chiarezza
mentale.
In altre
parole, mentre nelle cose semplici (come la fame) un raggiunto equilibrio fa
cessare il bisogno di agire, nelle assai più complesse cose dello Spirito
questo non avviene sempre e neanche di frequente.
Mi viene alla
mente una risposta immediata : mentre con la fame so come rimediare, nello
Spirito, invece, la mia ignoranza è tale che il più delle volte non riesco ad
agire coerentemente, cioè procedo a caso e per tentativi. Mi viene da rimarcare
che siamo sempre in grado di discernere il valore quantitativo di una Volontà,
ma non siamo in grado di afferrare con altrettanta precisione i suoi valori
qualitativi.
Posso
comprendere se ho molta fame o poca fame, posso anche percepire se i miei
problemi spirituali sono grandi o piccoli, ma ho difficoltà ad individuarne le
origini e le finalizzazioni di questi ultimi.
Infine, mi
viene alla mente un qualcosa alla quale non si presta attenzione : come è che
nelle cose semplici, come la fame, la Volontà correttiva svanisce a bisogno
soddisfatto, mentre in alcuni processi spirituali permane una fortissima
Volontà di mantenersi in qualche stato speciale di Beatitudine finché se ne è capaci ?
Posso solo
constatare il basso livello qualitativo della mia mente, che mentre è stimolato
a generare Volontà, non riesce invece a distinguerne le ragioni. Perciò, sono
giunto alla conclusione che si debba iniziare a prendere in considerazione
privilegiata la Volontà rispetto alla Conoscenza, proprio poiché la Volontà è
molto più sfuggente. O forse, si deve prendere in considerazione l’ipotesi che
anche la Volontà rappresenta una forma di sfuggente Conoscenza, dal valore,
però, molto più pregiato di quella normale.
[2] Mi domando
nuovamente : che cosa è la Volontà che spinge all’Azione ? Senza l’Azione non
si possono avere Significati. Senza Significati non vi può essere Conoscenza.
Sembrerebbe allora che esiste un Filo d’Oro fra Volontà e Conoscenza, che non
può essere interrotto. Sembrerebbe, perciò, che esista un legame inscindibile
in tale catena. Debbo anche osservare che una simile catena si adatta
perfettamente ad analoghe catene che sono nate sia nell’Era dei Cacciatori come
in quella dell’Agricoltura. Le differenze sono solo nel livello di Ordine e di
Coerenza nella Volontà, ma il meccanismo è lo stesso.
[3] Debbo allora avanzare un’ipotesi, che non mi sembra
fuori luogo nella ricerca della Volontà : Ordine e Coerenza sono una qualità
molto importante nella trasmissione di informazioni, poiché senza tali qualità
non si possono trasmettere messaggi comprensibili né tanto meno realizzare
conoscenze di qualsiasi genere. Il fatto di avere verificato che la diversità
delle due Ere sta nella differenza nei livelli di tali qualità, mi porta a
pensare che la Volontà rappresenta una Informazione, assolutamente essenziale per ottenere un risultato qualificato in una Azione.
Mi sembra,
perciò che per ottenere un risultato ordinato occorra una Volontà ordinata.
L’Evoluzione impone un Ordine crescente.
Il fatto che io senta in me la necessità di andare oltre l’attuale Conoscenza
senza sapere esattamente come, sta a significare che la mia Volontà, della quale al momento
posso disporre, non è dotata di un Ordine adeguato per riuscire a distinguere e
imporre scelte adeguate nel mio cammino di ricerca.
Debbo arrivare
ad una importante constatazione : non sono allenato a considerare la Volontà
soprattutto come una sorgente di informazioni, ma piuttosto come una sorgente
di impulsi.
Mi debbo,
allora, domandare : se nel profondo della mia mente, la mia preferenza è più
appagata dall’Ordine, piuttosto che dagli impulsi disordinati, quali sono le
Azioni che debbo privilegiare nei riguardi di un futuro ?
MEDITAZIONE
V
Verso che cosa ci indirizza una Volontà ordinata ?
[1] Sono molte le risposte parziali che
posso avanzare all’ultima domanda della precedente Meditazione. Alcune mi
sembrano relativamente importanti, e posso anche cercare di elencarle
ordinatamente, ma manca una sintesi complessiva, che possa dare un vero
indirizzo unificante.
Per portare un
paragone chiarificatore, all’inizio della coltivazione delle piante chi poteva
coniare il nome di Era dell’Agricoltura ? Certamente nessuno. Così è adesso :
non sappiamo dove andiamo, ma
abbiamo una segreta aspirazione che possa essere un’Era di Ordine, anche se
nessuno è veramente in grado di capirne il vero Significato. E, a pensarci
bene, posso forse dire a me stesso che cosa significa l’Ordine ? Certamente no,
però ho in me stesso strane risorse che talvolta mi rivelano, forse per
differenza, se sono sulla buona strada, che mi avvisano se la rotta devia
troppo rispetto a quella che vagamente mi ispira.
Purtroppo mi
accade come all’agricoltore inesperto : posso sbagliare nella semina, e me ne
accorgo solo dopo, alla raccolta che non ci sarà. Però, le successive stagioni
si ripresenteranno e posso tentare di rimediare, ma solo per un futuro. Come
dicevo prima, se sbaglio nel porre un mattone
sul muro posso demolirlo e ricominciare, ma posso tornare indietro nel tempo
passato solo simbolicamente. Per il futuro posso solo organizzare, nella mia
Volontà, intenzioni responsabili. In
tale Azione partecipo
immaterialmente (i risultati li vedrò alla raccolta), ma opero realmente, poiché posso, senza esserne sicuro, tentare di
accrescere l’Ordine che mi ispira, senza che io possa e debba sapere ancora
cosa è l’Ordine.
Mettere Ordine
nella propria è già un risultato.
Mi rendo
perfettamente conto dell’apparente assurdità di quello che sto dicendo. Però,
osservo che l’Esistenza funziona proprio così. Tutti i tentativi compiuti sin
qui, per compilare un manuale delle
Giovani Marmotte, che preveda esattamente il nostro comportamento, che sia
in grado di stabilire l’equivalente di una Legge di Newton, completamente
valida per ricostruire il passato e definire un futuro, sono andati a vuoto.
Qualcuno spera ancora che questo potrà essere una realtà del futuro, quando s
ne saprà di più, però mi appare assiomaticamente
una vera follia. Ancora più follia della assurdità che sto pensando sulla
Volontà.
La Volontà è
il vero Sistema aperto dell’Esistenza. Con i sistemi aperti non valgono
manuali.
[2] All’inizio delle mie Meditazioni ho preso un impegno formale, di natura esistenziale, di attenermi ad
alcune regole di comportamento. Ora è giunto il momento di cercare di
verificare entro me stesso se ho mantenuto (entro i limiti ragionevoli della
mia pochezza) gli impegni solennemente assunti. Se qualcuno mi leggerà,
utilizzerà un ben più efficiente sistema di verifica esterno, e spero che mi
potrà dare utili osservazioni critiche.
Su tutti i
punti non mi sento in grado di emettere un giudizio sul mio comportamento. Non
credo che mi spetti. Ho cercato solo di fare il mio meglio.
Per alcuni,
invece, ho qualche dubbio se sono riuscito ad esprimere lo spirito del mio
impegno im modo adeguato.
In tali punti
mi ero ripromesso :
-
di lasciare
fuori dal lavoro ogni cura improntata alla mia individualità
Nelle
Meditazioni vi sono molte cure, ma
spero di essere stato capace di mostrare
che si tratta di cure che vanno al di la del me stesso puramente
individuale.
-
di essere
imparziale, eliminando il superfluo della mia Individualità
Ci ho provato
e spero che qualcosa lo abbia evidenziato.
-
di vivere gli
argomenti con il dovuto rispetto, come se fossero Assiomi
Su questo
punto credo di aver rispettato l’impegno. Le critiche non sono da considerare
come mancanza di rispetto.
-
di non essere
prigioniero di deliberate finalizzazioni
Spero che le
mie convinzioni non siano considerate deliberate convinzioni a priori.
Se il mio
stile di conduzioni degli argomenti non è stato all’altezza, è dovuto a mie pecche
in materia di talento espositivo.
-
di percepire
ed evidenziare solo quello che è o è stato
Ho cercato di
comportarmi come mi ero impegnato. Se non sono stato all’altezza è dovuto alle
difficoltà di cogliere ciò che è.
-
di prestare
attenzione ai legami delle sequenze esistenziali
Considero
questo punto essenziale, ma il Filo d’Oro è difficile da cogliere e non so se
ci sono riuscito come avrei voluto.
-
di non
emettere giudizi di merito, ma di limitarmi solo ad osservare
Su questo punto
nutro più di un dubbio. La mia Volontà è ancora molto disordinata e lascia
molto a desiderare.
-
di ricevere
anche i messaggi esterni alla mia individualità
Anche questo è
un punto particolarmente difficile da realizzare adeguatamente.
Per il momento
non aggiungo altre Meditazioni. Ho ancora molto da Meditare.