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22 luglio 2012 - 18:20 Follia rating sovrani,
ecco perché sono solo politica
Giuseppe Russo* A
differenza dei giudizi sulle aziende, il metodo con cui sono costruiti i
rating di Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch sugli
Stati sovrani li rende soggettivi e relativi, scrive
l’economista Giuseppe Russo. Il problema è
proprio quello del metodo che rende i rating insufficienti a descrivere la
situazione finanziaria di un debito sovrano, non solo alla luce delle
politiche fiscali che può applicare, ma anche perché non
esistono serie storiche di default sovrani così complete da essere
indicative delle probabilità di insolvenza di uno Stato.
Troppo basso, troppo alto, soprattutto non è oro colato. In questo
contributo terrò volutamente un basso profilo. Non mi
pronuncerò né sui conflitti di interesse delle agenzie di
rating, né sulla loro fairness. Diamole per
scontate e riflettiamo su di lui: sul rating. Che cosa è? Ormai è dato
per scontato che sia sinonimo di
strumento di misura del merito creditizio. Più alto il rating, minori
i tassi richiesti ai debitori, anche ai debitori sovrani. La maggior parte
delle persone si aspetta che il rating sia come qualsiasi normale strumento
di misura: oggettivo e relativo a un campione depositato da qualche parte. E qui iniziano le dolenti note. Tutte
le misurazioni hanno un errore statistico, ma nel caso del rating di
più. Il rating di un debitore corrisponde alla probabilità che
ometta uno o più pagamenti dei sui debiti. Quindi lo si calcola a
partire da una distribuzione di probabilità. Si fa così: si
dispone di un inventario di tutti i possibili esiti a scadenza dei debiti del
debitore, ciascuno con la sua probabilità di manifestarsi e poi si fa
la media. E qui viene il bello. Non è come appiccicare
probabilità all'uscita della faccia 4 di un dado. Vale ovviamente 1/6,
il che deriva - se il dado non è truccato - dalle caratteristiche
fisiche del dado. Nel caso dei rating creditizi si
possono calcolare probabilità
solo in due modi: a) si prendono le scommesse di un
numero appropriato di scommettitori sul destino
dei debiti sotto scrutinio e si calcola a ritroso la probabilità che
costoro hanno soggettivamente stimato come implicita nei prezzi delle loro
scommesse. b) Oppure si attribuisce al debitore
un comportamento omogeneo con un campione di
debitori di cui abbiamo una serie storica abbastanza nutrita di evidenze e di
cui sappiamo come è andata a finire, ossia quanti hanno fatto default
e quanti no. Sia nel primo che nel secondo caso il
rating è soggettivo e
relativo. Soggettivo, perché nel primo caso ci fidiamo del giudizio di
scommettitori (o investitori), che non è detto che a posteriori si
rivelerà corretto. Relativo perché nel secondo caso, per fare
un esempio, il sistema metrico è condizionato dal periodo storico,
nonché dal momento ciclico in cui è effettuato il calcolo.
Eppure, ci sentiamo di difendere questo approccio, particolarmente il secondo
approccio, quando si tratta di dare il rating ai debiti aziendali. Le serie
storiche nelle banche dati sulle insolvenze aziendali sono abbastanza nutrite
da dire che, pur soggettivi e relativi, i rating dei debiti corporate sono
razionali, ossia corrispondono al valore atteso di una distribuzione di
probabilità che veste piuttosto bene il caso dei debitori. Nel caso dei debitori sovrani il
vestito invece sta stretto. Estrarre
i rating dalle quotazioni dei Cds (credit default
swap, derivati che fungono da assicurazione contro il fallimento
dell’emittente, ndr) è
sempre possibile, ma si inquina la misura della probabilità di default
con l'avversione al rischio istantanea del mercato. In altri termini, la
misura riflette non solo lo stato dell'oggetto misurato (la qualità
del debito), ma anche l'attitudine psicologica del misuratore che fa o paga
il prezzo della protezione dall'insolvenza. È come se un mobiliere
confezionasse i letti sulla base della sua altezza. Non andrebbero bene per
tutti quelli più alti di lui. Allora proviamo l'altra strada, che
pure sappiamo soggettiva e relativa. Qui casca l'asino. Per due ragioni: - non esistono serie storiche
abbastanza popolate sia sezionalmente
che temporalmente per riuscire ad avere un inventario di esiti dei debiti
sovrani abbastanza nutrito da estrarre una distribuzione di
probabilità che si adatti ora a questo ora a quel paese. I paesi sono
troppo diversi tra di loro, mentre le imprese in crisi sono normalmente
abbastanza simili; pensate per esempio al caso della Grecia e del Portogallo.
Il Portogallo in queste settimane è tornato sul mercato delle
emissioni a 18 mesi e pesa di allungare la durata perché si sta
stabilizzando e i mercati gli danno fiducia. Alla Grecia no. - in secondo luogo, se pure
esistessero serie storiche
soddisfacenti, le distribuzioni di probabilità di insolvenza sono, nel
caso dei debiti sovrani, probabilità condizionate. Nel caso delle
aziende, quando arriva la crisi finanziaria la manovra di rientro è
quasi sempre basata sul taglio dei costi e la vendita degli asset. I casi grossomodo si assomigliano e una sola
distribuzione di probabilità ne ricomprende sempre un bel numero. Nel
caso dei debiti sovrani non è così. Gli Stati hanno la potestà
fiscale, il che significa che
possono agire su entrambi i lati del bilancio pubblico, ossia sulle uscite
(come le imprese) e sulle entrate. Nessuna impresa può obbligare i
suoi clienti a comprare più merci, ma gli Stati possono obbligare i
loro contribuenti a versare più imposte; questa è una buona
notizia per la solvibilità generale degli Stati ed è
esattamente la ragione per cui i debiti sovrani sono sempre stati ritenuti
meno rischiosi dei debiti aziendali. Tecnicamente però è un
bel pasticcio, perché un solo
giudizio di rating è insufficiente a descrivere la situazione
finanziaria di un debito sovrano, perché non saprei da quale
distribuzione di probabilità condizionale (una per ogni politica
fiscale) estrarla. Anche a patto di avere un insieme di distribuzioni
condizionali ben fatto (cosa difficile), sarebbe del tutto soggettiva la
scelta di quella da cui tirerei fuori il numero magico. Sarebbe più
serio esprimere tanti giudizi quante sono le opzioni di politica fiscale, ma
i mercati, che ragionano poco e in fretta, non gradirebbero e, inoltre, gli
apparati statistici sottostanti non sono abbastanza robusti per sostenere il
rating multiplo condizionale. A questo punto, la conclusione: i
rating sono di per sé giudizi soggettivi. Nel caso dei rating
aziendali sono giudizi quantitativi razionali, ossia estrazione di valori
attesi di default da distribuzioni di probabilità con decenti
caratteristiche di fit, quantunque variabili nel
tempo, nello spazio e per classi omogenee di debitori. Nel caso dei rating
sovrani, le distribuzioni di probabilità che bisognerebbe stimare sono
assai di più e sono condizionate dalle politiche fiscali dei debitori.
Per contro, le serie storiche sono insufficienti per il numero di stime
necessari. Si applicano così modelli adattati dall'esperienza dei
rating aziendali, con correzioni judgemental,
che aumentano la soggettività dei giudizi e ne diminuiscono la
razionalità, ossia la corrispondenza al valore atteso di una
distribuzione di probabilità. In attesa che la statistica ponga
rimedio - se possibile - ai difetti
strutturali dei rating sovrani la cosa più sensata da fare è
una sola. Non prenderli troppo sul serio né per oro colato. Non lo
sono, semplicemente perché non possono esserlo, indipendentemente
dalla fairness del giudicante. Quasi quasi se ne
potrebbe fare a meno e lasciare che il mercato faccia i prezzi dei bund e dei btp senza altri
condizionamenti. Alleneremmo i money
managers a farsi da sé i conti
sulla finanza pubblica: non sarebbe poi così male. *economista
e fondatore di Step Ricerche
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