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DOCUMENTO INSERITO IL 23-7-2012

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Follia rating sovrani, ecco perché sono solo politica

 

Giuseppe Russo*

A differenza dei giudizi sulle aziende, il metodo con cui sono costruiti i rating di Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch sugli Stati sovrani li rende soggettivi e relativi, scrive l’economista Giuseppe Russo. Il problema è proprio quello del metodo che rende i rating insufficienti a descrivere la situazione finanziaria di un debito sovrano, non solo alla luce delle politiche fiscali che può applicare, ma anche perché non esistono serie storiche di default sovrani così complete da essere indicative delle probabilità di insolvenza di uno Stato. 

Troppo basso, troppo alto, soprattutto non è oro colato. In questo contributo terrò volutamente un basso profilo. Non mi pronuncerò né sui conflitti di interesse delle agenzie di rating, né sulla loro fairness. Diamole per scontate e riflettiamo su di lui: sul rating.

Che cosa è? Ormai è dato per scontato che sia sinonimo di strumento di misura del merito creditizio. Più alto il rating, minori i tassi richiesti ai debitori, anche ai debitori sovrani. La maggior parte delle persone si aspetta che il rating sia come qualsiasi normale strumento di misura: oggettivo e relativo a un campione depositato da qualche parte.

E qui iniziano le dolenti note. Tutte le misurazioni hanno un errore statistico, ma nel caso del rating di più. Il rating di un debitore corrisponde alla probabilità che ometta uno o più pagamenti dei sui debiti. Quindi lo si calcola a partire da una distribuzione di probabilità. Si fa così: si dispone di un inventario di tutti i possibili esiti a scadenza dei debiti del debitore, ciascuno con la sua probabilità di manifestarsi e poi si fa la media. E qui viene il bello. Non è come appiccicare probabilità all'uscita della faccia 4 di un dado. Vale ovviamente 1/6, il che deriva - se il dado non è truccato - dalle caratteristiche fisiche del dado.

Nel caso dei rating creditizi si possono calcolare probabilità solo in due modi:

a) si prendono le scommesse di un numero appropriato di scommettitori sul destino dei debiti sotto scrutinio e si calcola a ritroso la probabilità che costoro hanno soggettivamente stimato come implicita nei prezzi delle loro scommesse.

b) Oppure si attribuisce al debitore un comportamento omogeneo con un campione di debitori di cui abbiamo una serie storica abbastanza nutrita di evidenze e di cui sappiamo come è andata a finire, ossia quanti hanno fatto default e quanti no.

Sia nel primo che nel secondo caso il rating è soggettivo e relativo. Soggettivo, perché nel primo caso ci fidiamo del giudizio di scommettitori (o investitori), che non è detto che a posteriori si rivelerà corretto. Relativo perché nel secondo caso, per fare un esempio, il sistema metrico è condizionato dal periodo storico, nonché dal momento ciclico in cui è effettuato il calcolo. Eppure, ci sentiamo di difendere questo approccio, particolarmente il secondo approccio, quando si tratta di dare il rating ai debiti aziendali. Le serie storiche nelle banche dati sulle insolvenze aziendali sono abbastanza nutrite da dire che, pur soggettivi e relativi, i rating dei debiti corporate sono razionali, ossia corrispondono al valore atteso di una distribuzione di probabilità che veste piuttosto bene il caso dei debitori. 

Nel caso dei debitori sovrani il vestito invece sta stretto. Estrarre i rating dalle quotazioni dei Cds (credit default swap, derivati che fungono da assicurazione contro il fallimento dell’emittente, ndr) è sempre possibile, ma si inquina la misura della probabilità di default con l'avversione al rischio istantanea del mercato. In altri termini, la misura riflette non solo lo stato dell'oggetto misurato (la qualità del debito), ma anche l'attitudine psicologica del misuratore che fa o paga il prezzo della protezione dall'insolvenza. È come se un mobiliere confezionasse i letti sulla base della sua altezza. Non andrebbero bene per tutti quelli più alti di lui.

Allora proviamo l'altra strada, che pure sappiamo soggettiva e relativa. Qui casca l'asino. Per due ragioni:

- non esistono serie storiche abbastanza popolate sia sezionalmente che temporalmente per riuscire ad avere un inventario di esiti dei debiti sovrani abbastanza nutrito da estrarre una distribuzione di probabilità che si adatti ora a questo ora a quel paese. I paesi sono troppo diversi tra di loro, mentre le imprese in crisi sono normalmente abbastanza simili; pensate per esempio al caso della Grecia e del Portogallo. Il Portogallo in queste settimane è tornato sul mercato delle emissioni a 18 mesi e pesa di allungare la durata perché si sta stabilizzando e i mercati gli danno fiducia. Alla Grecia no.

- in secondo luogo, se pure esistessero serie storiche soddisfacenti, le distribuzioni di probabilità di insolvenza sono, nel caso dei debiti sovrani, probabilità condizionate. Nel caso delle aziende, quando arriva la crisi finanziaria la manovra di rientro è quasi sempre basata sul taglio dei costi e la vendita degli asset. I casi grossomodo si assomigliano e una sola distribuzione di probabilità ne ricomprende sempre un bel numero. Nel caso dei debiti sovrani non è così.

Gli Stati hanno la potestà fiscale, il che significa che possono agire su entrambi i lati del bilancio pubblico, ossia sulle uscite (come le imprese) e sulle entrate. Nessuna impresa può obbligare i suoi clienti a comprare più merci, ma gli Stati possono obbligare i loro contribuenti a versare più imposte; questa è una buona notizia per la solvibilità generale degli Stati ed è esattamente la ragione per cui i debiti sovrani sono sempre stati ritenuti meno rischiosi dei debiti aziendali.

Tecnicamente però è un bel pasticcio, perché un solo giudizio di rating è insufficiente a descrivere la situazione finanziaria di un debito sovrano, perché non saprei da quale distribuzione di probabilità condizionale (una per ogni politica fiscale) estrarla. Anche a patto di avere un insieme di distribuzioni condizionali ben fatto (cosa difficile), sarebbe del tutto soggettiva la scelta di quella da cui tirerei fuori il numero magico. Sarebbe più serio esprimere tanti giudizi quante sono le opzioni di politica fiscale, ma i mercati, che ragionano poco e in fretta, non gradirebbero e, inoltre, gli apparati statistici sottostanti non sono abbastanza robusti per sostenere il rating multiplo condizionale.

A questo punto, la conclusione: i rating sono di per sé giudizi soggettivi. Nel caso dei rating aziendali sono giudizi quantitativi razionali, ossia estrazione di valori attesi di default da distribuzioni di probabilità con decenti caratteristiche di fit, quantunque variabili nel tempo, nello spazio e per classi omogenee di debitori. Nel caso dei rating sovrani, le distribuzioni di probabilità che bisognerebbe stimare sono assai di più e sono condizionate dalle politiche fiscali dei debitori. Per contro, le serie storiche sono insufficienti per il numero di stime necessari. Si applicano così modelli adattati dall'esperienza dei rating aziendali, con correzioni judgemental, che aumentano la soggettività dei giudizi e ne diminuiscono la razionalità, ossia la corrispondenza al valore atteso di una distribuzione di probabilità.

In attesa che la statistica ponga rimedio - se possibile - ai difetti strutturali dei rating sovrani la cosa più sensata da fare è una sola. Non prenderli troppo sul serio né per oro colato. Non lo sono, semplicemente perché non possono esserlo, indipendentemente dalla fairness del giudicante. Quasi quasi se ne potrebbe fare a meno e lasciare che il mercato faccia i prezzi dei bund e dei btp senza altri condizionamenti. Alleneremmo i money managers a farsi da sé i conti sulla finanza pubblica: non sarebbe poi così male.

*economista e fondatore di Step Ricerche


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