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Libero 21-7-2012 Fmi e Germania hanno truccato le carte per
papparsi l'Italia
di Carlo Pelanda Da un paio
di mesi sto cercando di capire perché il costo di rifinanziamento del
debito italiano sia il doppio di quello che sarebbe giusto in base ai dati
economici fondamentali ed alle azioni recenti del governo. Il Centro studi di
Confindustria stima che il differenziale realistico – appunto, basato
sull’analisi dei fondamentali – tra titoli di debito
italiani e tedeschi (spread) dovrebbe essere di 164 punti e non di quasi 500.
E avverte che se i tassi teorici e reali convergessero, l’Italia, nel
medio termine, tornerebbe in crescita invertendo la tendenza recessiva e,
soprattutto, la crisi del credito, e bancaria, che dipende direttamente
dall’eccesso di sfiducia sul nostro debito. Se non convergeranno,
invece, la recessione sarà devastante, in avvitamento. Per evitare tale scenario catastrofico -
Confindustria ritiene necessario uno scudo anti-spread più efficace di
quello ora in discussione nelle sedi europee. Sensato. Ma l’efficacia
dello scudo anti-spread risentirà comunque dell’opinione del
mercato in relazione all’Italia. Con questo in mente ho chiesto
spiegazioni ai principali attori del mercato finanziario. La risposta
concorde è stata: leggiti cosa scrive il Fondo monetario
sull’Italia, che è la fonte dati principali a cui si ispirano
tutti quelli che devono valutare i rischi sovrani, e, visto che sei del
mestiere, capirai perché pretendiamo un premio di rischio del 6% e
oltre per comprare titoli decennali di debito italiano, e perché siamo
incerti se acquistarli o meno. Ma è immotivato l’eccesso di
negatività del Fmi sull’Italia, ho risposto. Prova che sbaglia,
hanno ribattuto scettici. Per questo sono andato a confessare parecchi
analisti e funzionari del Fondo, raccogliendo le confidenze che qui
sintetizzo. L’estate rovente - Nella
tarda primavera del 2011, quando la crisi si estese all’Italia, una
parte dello staff del Fmi, in particolare quello di nazionalità
italiana, voleva che il Fondo rendesse pubbliche le analisi sulla
sostenibilità del debito e sui fondamentali dell’economia
italiana che non giustificavano l’inasprirsi della pressione dei
mercati e il conseguente innalzamento dello spread. Questa posizione
uscì sconfitta per due motivi. Primo, si formò un asse occulto
tra il direttore generale Lagarde e il rappresentante tedesco presso il Fmi,
con la benedizione di quello francese, volto a mantenere altissima la
pressione sul’Italia. Non solo il Fmi non dischiuse le
valutazioni favorevoli sull’Italia ma chiese, con il sostegno
tacito della Germania, un monitoraggio rafforzato sull’Italia,
strumento che dal 2004 a oggi è stato utilizzato solo per
Nigeria e Giamaica. Tale mossa, nelle intenzioni dell’alta
direzione del Fmi e della Germania, doveva essere il precursore per
costringere l’Italia ad accettare un «programma» di circa
90 miliardi: non tanto per rifinanziare il debito pubblico italiano, ma
finalizzato a mettere sotto controllo totale (un prestito serve ad imporre
condizioni) le decisioni economiche e di bilancio del governo italiano.
Infatti nel vertice G20 di Cannes, nel novembre 2011, Lagarde annunciò
una nuova forma di prestito (Precautionary and Liquidity Line; PLL) che molti
analisti e giornalisti – si vedano le agenzie Bloomberg e Reuters
di quel periodo – valutarono concepita specificamente per mettere
in gabbia l’Italia. Secondo motivo. Il governo italiano non intervenne
a sostegno degli analisti che volevano ripristinare la verità tecnica
sull’Italia e questi, non sentendosi sostenuti dal governo interessato,
smisero di insistere. Ed è ancora così, misteriosamente. Tesi tedesca - Da allora le pubblicazioni
ufficiali del Fmi tendono fedelmente a riflettere la posizione tedesca
sull’Italia: consolidamento fiscale e riforme strutturali in tempi ed
intensità insostenibili. Non trovano spazio in tali pubblicazioni le
analisi interne del Fondo che mostrano come nella crisi dell’euro
l’effetto contagio sia dirompente; come i tassi italiani si muovano in
risposta ad analoghi movimenti di quelli spagnoli. Se si fosse dato spazio a
queste analisi, la conclusione sarebbe stata che l’Italia era vittima
di contagio e che avrebbe dovuto beneficiare del supporto sistemico della
Bce, cosa che la Germania assolutamente non voleva. Nelle analisi pubblicate,
inoltre, non vi è traccia delle preoccupazioni dello staff per gli
alti tassi di interesse italiani che, lungi dal facilitare le riforme, ne
ostacolano la loro realizzazione proprio per mancanza di accesso ai mercati a
costi sostenibili. Ugualmente, non vi è alcuna critica pubblica o
semipubblica alla Bce, che, invece, dallo staff Fmi viene percepita come
elemento del problema, non della soluzione. Anzi, in ossequio alla
volontà tedesca, la Bce viene inserita nella troika che impone e
controlla la condizionalità dei Paesi membri dell’euro, un fatto
assolutamente inedito nella storia del Fmi e che trova la ferma opposizione
degli Stati Uniti. In tutte le pubblicazioni, con l’eccezione –
per altro insufficiente - dell’ultimo numero del Fiscal Monitor,
non vi è alcun tentativo di analizzare in forma separata e
specifica l’Italia che, invece, viene sempre appaiata alla Spagna o ad
altri Paesi periferici. Quest’approccio metodologicamente infondato e
politicamente distorto, in quanto i problemi dell’Italia sono diversi
dagli altri, nonché molto minori, continua in questi giorni in
cui l’Italia continua a essere associata alla Spagna senza che si
faccia chiarezza sul percorso di riforme intrapreso da Roma in una condizione
strutturalmente molto più solida rispetto a quella di Madrid. Colpe e assedi - L’Italia è
certamente colpevole di disordine economico, per esempio la lentezza delle
riforme e l’inconsistenza di gran parte dei politici, partiti e
sindacati. Inoltre non possiamo nasconderci che nel 2011 ha perso
credibilità in modo totale. Ma i suoi fondamentali sono decenti, ha
fatto riaggiustamenti economici, pagati con il sangue del popolo produttivo,
come nessuna altra nazione. E, pur se da poco, comincia a tagliare spesa
pubblica invece che alzare le tasse ed a valutare, pur ancora timidamente,
operazioni patrimonio contro debito. Francamente non si merita uno spread
così alto e devastante né tantomeno che le valutazioni del Fmi
non riconoscano gli aspetti positivi e specifici della nazione. Si tratta di
guerra economica condotta dalla Germania contro l’Italia, per
indebolirla e meglio condizionarla, o solo di una diversità
o di errori analitici, per la loro tipica ansia che distorce le visioni, dei
tedeschi? Alcuni indizi fanno propendere per la prima ipotesi, dal momento
che sono in atto tentativi di conquista di posizioni di controllo nei settori
industriali, dell’energia (Ansaldo) e bancario e forti compressioni
della presenza italiana nei mercati esteri. Linea prudente - Il governo Monti non vuole
rispondere, e un suo esponente mi ha suggerito di non portare questo tema
sulla stampa dopo un primo articolo pubblicato su Il Foglio, perché
sta tentando una strategia non conflittuale di convincimento della
Germania, nella paura che Berlino possa «catastrofarci» se la
denunciamo e sfidiamo. O preferisce tenere nascosti i difetti di gestione
dell’immagine italiana presso il Fmi e altrove? Per questo chiedo alle
Commissioni parlamentari Esteri e Difesa, se possibile in sessione congiunta
in quanto il problema è di sicurezza nazionale, di chiamare in
audizione chi può dettagliare ed espandere gli indizi qui riferiti per
decidere se siamo oggetto di un attacco o meno e se, in caso, il governo sia
attrezzato per la giusta difesa. Secondo me la nazione è sotto attacco
e dovrebbe reagire con massima durezza e determinazione. Ma è meglio
che siano le istituzioni ad accertarlo in modi approfonditi, vigileremo che
lo facciano. www.carlopelanda.com |