PRIVILEGIA
NE IRROGANTO Documento
inserito il: 24-11-2012 |
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LIBERTA’ E GIUSTIZIA. http://www.libertaegiustizia.it/ 12 novembre 2012 Il manifesto. Per una stagione costituzionale PER UNA STAGIONE COSTITUZIONALE Libertà e Giustizia non è un
partito politico, ma un’associazione di cultura politica, ispirata ai due
principi indicati nella sua stessa denominazione. Il suo metodo è la ragione
applicata ai fatti. Allontaniamoci, allora, un poco dai particolari della
cronaca politica quotidiana e cerchiamo di intravedere l’insieme dei fatti
per ricavarne linee di pensiero e d’azione. Sempre che non sia un esercizio
inutile. IDEE-FATTI Nella vita politica, le idee, le
percezioni, le illusioni e le indignazioni che contano non sono
necessariamente quelle veritiere. Sono quelle che permeano le coscienze,
fanno senso comune e muovono i comportamenti dei grandi numeri, vere o false
che siano. In ogni caso, sono semplificazioni e, proprio per questo, sono
efficaci. Poiché sono efficaci, esse sono, per l’appunto, “fatti”, non
effimere impressioni che passano da sé. a. La prima idea-fatto – inutile
dirlo – si esprime con la parola “casta”: giri
intrecciati di potere politico, burocratico, economico e finanziario che si
auto-alimentano per nepotismo e cooptazione, in base a patti di protezione e
fedeltà; potere per il potere, inamovibile, spesso occulto e illegale;
disuguaglianze crescenti tra chi sta dentro e chi fuori, chi sopra e chi
sotto; privilegi e stili di vita incomparabili; ricchezza crescente per pochi
e povertà dilagante tra i molti. Una grande divisione sociale, per la quale,
un tempo, fu coniata l’espressione “razza padrona”. La lotta di classe pare diventare, o già essere
diventata lotta di casta, e a parti invertite: non degli sfruttati contro gli
sfruttatori, ma degli sfruttatori contro gli sfruttati.
Forse, ancora non si percepisce la dimensione globale di questa immensa
ingiustizia, rispetto alla quale gli abusi, le corruttele, i furti di casa
nostra, per quanto insopportabili, sono quisquilie. Quando si percepirà, cioè
si farà strada l’idea, la reazione sarà la restaurazione delle piccole
patrie, delle piccole comunità, come rifugi al tempo stesso protettivi e
aggressivi: una vecchia storia. b. La seconda idea-fatto è l’identificazione del potere che s’è detto con le
Istituzioni. La politica moderna si basa sulla distinzione tra le istituzioni
e coloro che le impersonano e le servono. L’idea odierna è il rovesciamento:
coloro che stanno nelle istituzioni se ne servono. In tal modo, ogni
degenerazione dei primi viene percepita come vizio delle seconde. Una volta,
la corruzione di uno, era vista come corruzione di quello, poi del suo
partito, poi dei partiti tutti quanti, poi della politica come tale, infine
delle istituzioni tutte quante. I corrotti, gli insipienti, i dilettanti, gli
arroganti, ecc. che operano nelle istituzioni non sono solo cattivi soggetti
per se stessi, ma lo sono anche di più per le istituzioni democratiche. Nessuna azione antidemocratica è più efficace
della corruzione e della propaganda che si basa su di essa.
Anche questa è una vecchia storia. c. La terza idea-fatto è che tutto s’equivale e che “sono tutti uguali”.
Di conseguenza, non c’è nulla di possibile e nessuno di cui ci si possa
fidare. Tanto vale, allora, starsene a guardare, sperando nella palingenesi,
cioè nel crollo della politica e delle sue istituzioni e nell’apparizione di
qualcuno che faccia piazza pulita. Che questa prospettiva esista e
possa diventare persino maggioritaria è il crimine maggiore che dobbiamo
imputare alla generazione che è la nostra. Di nuovo, ci
appaiono i fantasmi d’una vecchia storia che si deve sapere dove porta. LE RISPOSTE VUOTE Queste generalizzazioni sono
sbagliate. Sono anzi trappole pericolose. Ma sono fatti. Come le vediamo
contrastare? Con vuote banalità e con azioni controproducenti. La prima
banalità è l’accusa di antipolitica, che evita di fare i conti con le ragioni
che allontanano dalla politica e si presta, contro chi la pronuncia, a essere
ritorta con la stessa, se non con maggiore forza. Chi è, infatti, il vero
antipolitico? La domanda è a risposta aperta. Non
serve a nulla l’anatema. Serve solo la buona politica. Non
bastano le parole, quelle parole che si possono pronunciare a basso costo;
parole banali anch’esse, che non vogliono dire nulla perché non si potrebbe
che essere d’accordo. Nella politica, che è il luogo
delle scelte e delle responsabilità, dovrebbe valere la regola: tutte le
parole che dicono ciò che non può che essere così, sono vietate.
Non vogliono dire nulla riforme, moralità, rinnovamento, innovazione, merito,
coesione, condivisione, giovani, generazioni future, ecc.: vuota retorica del
nostro tempo che tanto più si gonfia di “valori”, tanto più è povera di
contenuti. Chi mai direbbe d’essere contro queste belle cose? COME USCIRNE
Alle vuote parole che non costano
niente, corrispondono azioni e omissioni nefaste, anzi suicide. Si scoprono
ora (!) ruberie, inimmaginabili nel mondo normale, e s’invoca subito una
legge sui partiti e sul controllo dei flussi di denaro che arrivano loro: una
legge che non si farà. Si scopre ora (!) che la corruzione dilaga e si fa una
legge-manifesto che, anche a dire di quelli che, all’inizio, l’hanno
appoggiata, servirà poco o nulla. Ci si accorge ora (!) che gli organi
elettivi sono pieni di gente impresentabile e si prepara una legge sulle
candidature. Leggi, sempre leggi, destinate a non farsi o, se fatte, a essere
svuotate. Ma nessuno obbliga a rubare, a corrompere e farsi corrompere,
promuovere candidati senza qualità o con ben note “qualità”. I cattivi costumi si combattono con buoni costumi.
Le leggi servono a colpire le devianze, ma nulla possono quando la devianza
s’è fatta normalità. Prima di cambiare le leggi, occorre cambiare se stessi
e, per cambiare se stessi, non occorre alcuna legge. Per chiedere rinnovata
fiducia, occorrono ATTI DI CONTRIZIONE, segni concreti di discontinuità, non
“segnali”, come si dice per dissimulare l’inganno. Non è un segno, ma un segnale, per
di più autolesionistico, la legge elettorale che è in gestazione. Mai più al
voto con la legge attuale, s’era detto. Impedito il referendum da
un’improvvida sentenza della Corte costituzionale, il problema della riforma
è passato al Parlamento, cioè a chi ha da sperare vantaggi o temere
svantaggi. Ci voleva poco a capire che, in prossimità delle elezioni,
sondaggi alla mano, tutto sarebbe dipeso da calcoli interessati e poco o
nulla da buone ragioni di giustizia elettorale. Non c’è bisogno di
apprenderlo dal “Codice di buona condotta in materia elettorale” (§§ 65 e
66), che contiene il “minimo etico” segnalato agli Stati dal Consiglio
d’Europa nel 2002. Lo comprendiamo da soli.
Comprendiamo che la nuova legge elettorale, se ci sarà, dipenderà dagli
interessi dei partiti, non degli elettori che vi troveranno ulteriori ragioni
di distacco o di rabbia. La riforma, che avrebbe dovuto
servire a riavvicinare eletti ed elettori, allargherà la distanza. Si persevera, invece, tentando di ritagliarsi
comunque un posto o un posticino che conti qualcosa, in una barca che rischia
di andare a fondo con quelli che ci sono dentro. Si pensa che non ce ne si
accorga? e che ciò non porti altra acqua a chi vuol affondarla? Che
insipienza! 2) UNA STAGIONE
COSTITUZIONALE PER VIVERE IN LIBERTA’ E GIUSTIZIA Dove appoggiarsi per uscire dal
pantano, per suscitare coraggio, energie, entusiasmo, in un momento di
depressione politica come quello che viviamo? Dove
trovare l’ideale d’una società giusta, che meriti che si mettano da parte gli
egoismi e i privilegi particolari, che ci renda possibile intravedere una
società in cui noi, i nostri figli e i figli dei nostri figli, si possa
vivere in libertà e in giustizia? È sorprendente che non si
pensi che questo ideale, questo punto d’appoggio c’è, ed
è la COSTITUZIONE. Ed è sorprendente che si sia chiuso in una
parentesi quel referendum del giugno 2006 in cui quasi sedici milioni di
cittadini si sono espressi a sostegno dei suoi principi. Altrettanto sorprendente è che non si dia
significato – forse perché non se ne ha nemmeno sentore – all’entusiasmo che accoglie, tra i giovani
soprattutto, ogni discorso sulla Costituzione, sul suo significato storico e
sul valore politico e civile attuale. Non c’è qui una grande
forza che attende d’essere interpellata per cambiare la società? Non è paradossale che ci si volga
indietro per guardare avanti. Le difficoltà in cui ci
troviamo non derivano dalla Costituzione, ma dall’ignoranza, dal
maltrattamento, dall’abuso, talora dalla violazione che di essa si sono fatti.
Eppure lì si trova almeno la traccia della risposta ai nostri maggiori
problemi. Il LAVORO come
diritto a fondamento della vita sociale, e non la rendita finanziaria e
speculativa; i DIRITTI CIVILI
e non le ipoteche confessionali e ideologiche sulle scelte ultime della vita;
l’UGUAGLIANZA di fronte alla
legge e non i privilegi per proteggere i deboli e combattere le mafie d’ogni
natura; l’impegno a promuovere politiche di EQUITA’
SOCIALE E FISCALE e non l’autorizzazione a gravare sui più
deboli per risolvere i problemi dei più forti; la garanzia dei SERVIZI SOCIALI e non la volontà
di ridurli o sopprimerli; la SALUTE come
diritto e non come privilegio; l’ISTRUZIONE
attraverso la scuola pubblica aperta a tutti e non i favoritismi alla scuola
privata; la CULTURA, i BENI CULTURALI, la NATURA come patrimonio a
disposizione di tutti, sottratti agli interessi politici e alla speculazione
privata; la libera INFORMAZIONE,
come diritto dei cittadini e diritto-dovere dei giornalisti; ancora: la POLITICA come autonomo discorso
sui fini e non come affare separato di professionisti o tecnici esecutivi; la
partecipazione all’EUROPA come via
che porti alla pace e alla giustizia tra le nazioni, a più libertà e più
democrazia, non più burocrazia e meno libertà. In generale, nella Costituzione troviamo la politica, il bene
pubblico che più, oggi, scarseggia. Invece, ancora una volta, come da
trent’anni e più a questa parte, si ripete la stanca litania della prossima
stagione come “stagione costituente”. Costituente di che cosa? Volete dire,
di grazia, che cosa volete costituire? E credete con questa formula di
ottenere consensi, tra cui i nostri consensi? Non viene in mente a nessuno
che il nostro Paese avrebbe bisogno, piuttosto, di una “STAGIONE COSTITUZIONALE” e che chi facesse sua
questa parola d’ordine compirebbe un atto che metterebbe in moto fatti, a
loro volta produttivi d’idee, anzi d’ideali? |
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