L’Osservatore Romano 21-10-2011
Uno studio dell'Ocse misura comparativamente le
realtà dei diversi Paesi
Il
futuro oltre il declino
di MICHELE DAU
Dove vanno le società occidentali? La domanda non è astratta
perché la recrudescenza della crisi economica sta producendo nuovi problemi e
disagi in tutti Paesi.
Un recente studio dell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico) ha misurato comparativamente la diverse situazioni, utilizzando
indicatori come il livello dei redditi individuali e familiari, la condizione
di salute, il grado di inquinamento dell'ambiente, l'intensità dello
spirito comunitario e dell'impegno civico, la qualità della casa e il
grado di sicurezza e di fiducia nel proprio ambito di vicinato. Elementi
quantitativi semplici, dunque, ma anche fattori psicologici e di
comportamento, che fanno emergere un quadro di notevole interesse. L'indice
integrato dei diversi dati raccolti pone tutti i Paesi in una scala che vede
ai vertici della qualità Nazioni come la Danimarca, il Canada, la
Norvegia, l'Austria, l'Olanda, Israele, gli Stati Uniti. Al di sotto della
media si collocano invece la Spagna, il Giappone, l'Italia, la Polonia, la
Grecia, l'Ungheria. Queste misurazioni, condotte con metodi rigorosi e
sistematici, non servono a dare le pagelle, ma a comprendere meglio il
contesto nel quale si vive, a confrontarsi con gli altri e a cogliere
eventuali campanelli di allarme.
Assai significativo è, poi, un altro dato che l'Ocse, come istituzione
internazionale che opera con un accordo fra gli Stati membri, offre alla
riflessione dei Governi e degli esperti. Si tratta dell'indice di valutazione
delle prospettive, del senso del futuro presente nelle diverse popolazioni.
Anche in questo caso ci sono Paesi che esprimono una forte carica di energia
positiva (Giappone, Indonesia, Danimarca, Cina, Stati Uniti, Austria,
Francia, Brasile, Germania) e altri che risultano, invece, più incerti
e travagliati (Turchia, Federazione Russa, Israele, Spagna, Italia,
Portogallo, India).
Da oltre 75 anni - cioè da quando, nel 1935, George Gallup fondò l'American Institute
of Public Opinion - tutte le società di
massa sono scientificamente analizzate e misurate per consentire, a chi ha le
responsabilità della vita collettiva, di poter valutare e operare con
elementi certi, anche nelle pieghe più chiuse e lontane della vita
sociale. In effetti sono ben evidenti in molti Paesi fenomeni come la crisi
dei ceti medi che puntavano a consolidarsi e a stabilizzare così le
strutture sociali. Ma anche le diffuse difficoltà di inserimento dei
giovani.
La debolezza del quadro è aggravata, poi, dal deficit di analisi e di
spessore culturale, da un esagerato relativismo che non pervade solo l'ambito
spirituale ma anche quelli della politica, del pensiero progettuale, della
voglia di fare sacrifici per costruire un futuro migliore. In molti Paesi la
crisi economica fa emergere crepe vistose nel tessuto democratico e
istituzionale; tornano venti nazionalisti e movimenti localisti;
si depotenzia la funzione dei partiti democratici e delle organizzazioni
economiche e sociali; la violenza anarcoide si manifesta contro scenari che
appaiono troppo chiusi e bloccati. Eppure, come l'analisi Ocse conferma, non
diminuiscono le energie di impegno individuale, di volontariato. Rimangono
consistenti ma si confinano, spesso, in dimensioni personali e private, fuori
da una sfera di impegno di gruppo, di lavoro comune.
Queste situazioni producono sovente una forte radicalizzazione della
politica, ponendo sotto stress anche le regole della democrazia parlamentare.
Gli spazi della vita pubblica così si assottigliano e, in taluni casi,
rischiano anche di divenire autoreferenziali, aprendo anche le porte a
fenomeni di populismo e di antipolitica.
Le vicende economiche e sociali di questi anni stanno mettendo a dura prova
gli analisti più ferrati perché la crisi che stiamo vivendo ha una
portata enorme, superiore a ogni precedente comparabile. Sotto molti aspetti
si trovano meglio quei Paesi atlantici, come gli Stati Uniti e la Gran
Bretagna, che hanno reagito con interventi immediati: per esempio comprando
banche private con denaro pubblico già nel 2008 per evitare il
collasso del sistema. Meno preparata è, ancora, tutta l'Europa
continentale che, per lungo tempo, ha pensato che la crisi fosse legata principalmente
ai mutui subprime americani, e non avesse, invece,
radici anche sull'altra sponda. Il quadro europeo non è certo
omogeneo, anche se marcare le differenze non aiuta più di tanto a
costruire le soluzioni che devono invece avere un elevato grado di
integrazione politica ed economica. Le prospettive di crescita sono
tutt'altro che limitate. Sul piano interno basterebbe una ragionevole
ristrutturazione delle spese pubbliche e di welfare, non tanto per diminuirle
in assoluto, ma per renderle più efficienti e produttive rispetto ai
nuovi bisogni; così come si dovrebbe puntare, con più
stabilità e decisione, sulle energie dei giovani. Sul versante esterno
si dovrebbe invece guardare con occhi nuovi alle opportunità della
primavera araba, ma anche al bacino medio-orientale
che cerca faticosamente la strada della pacificazione, o all'area del Mar
Nero, a cominciare dalla Turchia.
Non ci dovrebbe, dunque, essere spazio, per ripiegamenti o preoccupazioni di
declino: il futuro ha prospettive chiare, e a portata di mano. Considerata la
crescente interdipendenza delle economie e delle società, la ripresa
dell'Europa è così funzionale alla crescita degli Stati Uniti e
all'equilibrio con i Paesi emergenti. Le sollecitazioni e le proposte offerte
dall'Ocse inducono a pensare che le élite politiche dovrebbero trarre forza
di visione e pragmatica iniziativa dall'esame delle opportunità che si
offrono. Élite che ritrovino un più intenso
legame con le realtà concrete da rappresentare. A questi fini
può essere di grande aiuto anche l'impegno dei cristiani, secondo il
magistero del concilio Vaticano II, ponendo la fede e la religione non come
aspetti astratti da proteggere e conservare, ma come ispirazione feconda e
vitale di una nuova crescita - anzitutto morale e civile, oltre che economica
- delle nostre comunità.
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