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NE IRROGANTO Documento
inserito il:13-11-2012 |
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Da
l’inchiesta.it 13 novembre 2012 - 09:00 Intesa, la banca vende le
polizze a perdita sicura
Negli sportelli di Intesa Sanpaolo è in vendita
una polizza assicurativa chiamata “Life Prospettiva 07/2011 Protetta”. A
dispetto del nome, la polizza non garantisce né il rendimento né il capitale:
al termine di 4 anni la probabilità di perdere parte del risparmio investito
è vicina al 70 per cento.
Enrico Cucchiani e Giovanni Bazoli I produttori di sigarette, almeno, lo scrivono
ben in evidenza: che il fumo può provocare danni. I produttori di strumenti
finanziari, no. In Italia, per esempio, tramite una triangolazione con
l’estero, una banca può vendere prodotti assicurativi che hanno una
probabilità del 70% di provocare perdite del risparmio investito. E battezzarli,
forse per gusto del paradosso, “Prospettiva Protetta”. L’avvertenza sugli
elevati rischi di perdite? Non a caratteri cubitali come sui pacchetti di
sigarette, ma nelle pieghe di un documento lungo più di un centinaio di
pagine. Tutto questo succede davvero: negli sportelli
italiani del gruppo Intesa Sanpaolo. Il
prodotto in questione è Intesa Sanpaolo Life Prospettiva 07/2011: una polizza di tipo unit-linked.
Cioè, un contratto assicurativo da un punto di vista giuridico-formale, in
realtà uno strumento a contenuto quasi esclusivamente finanziario, che
investe in fondi interni della compagnia. (v. la voce Unit-linked
e Index-linked sul sito dell’Ania).
Nel caso della polizza attualmente distribuita dal gruppo Intesa, che lo
scorso maggio ha depositato il prospetto d’offerta alla Consob,
il cliente può scegliere fra 21 fondi di investimento interni, suddivisi
in cinque aree: Profilo, Flessibile, Innovazione, Personalizzata, Protetta. È
proprio quest’ultima area a riservare una prospettiva sorprendente.
Soprattutto per un istituto presieduto da un banchiere, Giovanni Bazoli, che ha fatto della responsabilità sociale e
dell’etica uno dei pilastri della sua idea di “capitalismo temperato”, e
guidato da un amministratore delegato, Enrico Cucchiani,
che vanta una lunghissima esperienza nel settore assicurativo. Polizza «protetta» ma non garantita. La denominazione «El Prospettiva Protetta»
potrebbe far pensare all’esistenza di garanzie sul capitale. Non è così.
L’impresa di assicurazioni, la controllata irlandese Intesa Sanpaolo Life Ltd, «non offre alcuna garanzia di
rimborso, totale ovvero parziale, del capitale investito» e men che meno di
rendimento minimo. È previsto invece un meccanismo di “immunizzazione”
piuttosto complicato: viene garantito che «il valore unitario di quota... non
risulti inferiore al 90% del massimo valore di quota raggiunto dal fondo
stesso a partire dalla data della sua costituzione (“valore
protetto”)». Ma in concreto qual è la prospettiva
dell’investimento? La risposta si trova
a pagina 20 del prospetto d’offerta
[dopo
l’articolo la tabella degli scenari probabilistici], nella tabella
dei cosiddetti scenari probabilistici dell’investimento al termine
dell’orizzonte temporale consigliato (quattro anni). La probabilità che con “El Prospettiva Protetta” un risparmiatore abbia un
rendimento negativo, e quindi dopo quattro anni incassi meno di quanto
investito, è del 69,45 per cento. C’è invece una probabilità dell’8,14% che
il rendimento sia positivo ma
inferiore a quello di un’attività priva di rischio (titoli di
stato) e del 17,04% che il rendimento sia in linea con quello di un titolo di
stato. La probabilità che questa complicata polizza renda più di un titolo di
stato di pari orizzonte temporale è appena del 5,37 per cento. Per
capire meglio il grado di rischio, si può ipotizzare il caso di un soggetto
che investa 10mila euro. Questo risparmiatore ha una probabilità del 69,45%
di incassare 9.616 euro dopo quattro anni (l’ipotesi peggiore), e una
probabilità del 5,37% di incassare 11.439 euro (l’ipotesi migliore, ma anche probabilisticamente più risicata). Per assicurarsi
tale “prospettiva” il cliente pagherà una commissione di gestione dell’1,755%
annua. Allora perché chiamarla polizza assicurativa? Miracoli dell’innovazione finanziaria: uno strumento storicamente
nato per dare sicurezza è stato trasformato in un contenitore con finalità
finanziarie (massimizzare il risultato, in teoria). Il cappello di
polizza assicurativa è dato dalla presenza di una clausola detta “caso
morte”: cioè in caso di morte dell’assicurato, ai beneficiari è liquidato il
controvalore delle quote, più una maggiorazione. Nel caso specifico, la
copertura assicurativa costa lo 0,045% annuo. Se l’assicurato muore ed ha
un’età fra 18 e 40 anni, ai beneficiari sarà liquidato il controvalore delle
quote del fondo in quel momento, più il 13,5 per cento. La maggiorazione si
riduce con il crescere dell’età dell’assicurato (p. es. 6,5% per la fascia
d’età 41-60 anni). Anche alla luce di questa maggiorazione caso morte,
tuttavia, chi comprerebbe un prodotto che costa complessivamente l’1,8%
l’anno, e ha una probalità di quasi il 70% di
perdere parte del capitale investito? La banca minimizza il significato degli
scenari probabilistici, in
linea peraltro con un orientamento sposato dal presidente della Consob Giuseppe Vegas. «Le valutazioni di rendimento
vengono effettuate sulla base di ipotesi di calcolo particolarmente
restrittive, che non permettono di differenziare i rendimenti attesi delle
diverse asset class in
cui investe il fondo – riferiscono fonti di Intesa Sanpaolo – Ne deriva che,
per esempio, il rendimento associato all’asset class azionaria risulta identico a quello della
componente monetaria». Il successo dell’azione lobbistica a livello europeo
delle banche ha già portato all’eliminazione degli scenari probabilistici dai
prospetti delle obbligazioni, e presto potrebbe essere il turno delle
polizze. Il tema è complesso, e anche tenendo conto dei limiti dello
strumento, non si può non rilevare una contraddizione: perché chi vende
prodotti finanziari e assicurativi e le autorità di vigilanza vogliono
privare i risparmiatori di un’informazione di facile comprensione, peraltro
utilizzata dalle stesse banche e assicurazioni per decidere a che prezzo
vendere i prodotti in questione? Triangolazione irlandese. Resta, infine, un’ultima questione: il ricorso a una controllata irlandese
per emettere le polizze Intesa Sanpaolo Life Prospettiva. Il gruppo di Bazoli e Cucchiani dispone
infatti in Italia di società assicurativa, la Intesa Sanpaolo Vita spa. La
fiscalità potrebbe essere una ragione, ma non basta da sola a giustificare la
scelta di emettere la polizza in Irlanda. Il resto della spiegazione va
ricercata, forse, in un possibile arbitraggio normativo. Dopo anni di far west, in
Italia l’Isvap ha imposto che le polizze unit-linked
e index linked
«devono essere semplici e soddisfare il requisito di agevole comprensibilità
da parte del contraente» (Regolamento 32, art. 6). Inoltre,
mentre in Italia le compagnie sono di fatto obbligate dall’autorità di
vigilanza a mettere da parte capitale pari al 4% di ciascuna polizza emessa;
in Irlanda l’emissione di queste polizze non assorbe capitale. Per evitare di
incorrere in accuse di elusione normativa, molti gruppi italiani triangolano
l’operazione con un intermediario esterno, in modo che l’attività
assicurativa sia svolta formalmente da una compagnia estera in regime di
libera prestazione dei servizi in ambito europeo tramite un distributore
terzo. Così l’operazione pensata dall’Italia viene recepita a Dublino, da qui
il prodotto esce e, passando per un broker, nel caso specifico la filiale italiana della Marsh, arriva
agli sportelli di tutte le banche del gruppo Intesa Sanpaolo. Formalmente,
sembra ineccepibile. Nella sostanza, il gruppo Intesa deva pagare a Marsh il 2,29% di ciascun versamento dei cliente, più una
quota-parte delle commissioni di gestione annue. Nel 2011, il 62,6% delle
commissioni generate dal fondo Prospettiva Protetta è stata retrocessa da
Intesa Sanpaolo alla Marsh: per risparmiare sul
capitale bisogna fare guadagnare qualcun altro. Triangolare costa. Twitter: @lorenzodilena Ecco gli scenari
probabilistici di pag. 20 del prospetto informativo:
Da l’inchiesta.it del 27 ottobre 2012 - 16:17Per la Consob è meglio se i risparmiatori non conoscono i rischi
Umberto Cherubini*
L’audizione alla Camera del presidente della Consob, Giuseppe Vegas, è stata ben poco trasparente.
Vegas ha sostenuto che conoscere i rischi degli strumenti finanziari
allontana i risparmiatori, citando l’esempio dei Btp. Insomma, per il
regolatore è meglio che gli investitori non sappiano i rischi che
corrono.
La probabilità che Vegas conosca la probabilità è molto bassa. E se uno non conosce
la probabilità non conosce la finanza. Questo emerge dall’audizione che ha tenuto il 25
ottobre alla Commissione Finanze della Camera e dalla risposta a una
domanda sulla metodologia degli scenari probabilistici, proposti dalla Consob stessa in sede europea, e respinta a colpi di
lobbying, là dove si “puote ciò che si vuole”.
Nella risposta sugli scenari Vegas sembra ringraziare l’Europa per aver
bocciato una proposta della Consob che ora
presiede, e ne ribadisce la motivazione con la brillantezza di uno studente
di fronte a una domanda di esame che non gli doveva proprio capitare. Non
mettiamo in dubbio che un ex giovane ricercatore di diritto ecclesiastico
abbia difficoltà ad afferrare il concetto di probabilità. Il concetto di
legge dei codici e di legge dei preti è sostanzialmente diverso dal concetto
di legge di probabilità e del rischio. Ma che chi è digiuno di probabilità, e
quindi di finanza e di rischio, presieda l’autorità che ha in carico la
trasparenza dei mercati finanziari è un problema serio. È forse ancora più
serio del fatto, sollevato da qualche componente della commissione, che
provenga dalla politica. Veniamo alla questione tecnica, volgarizzata. Chi
in una banca disegna un titolo e lo valuta, usa uno strumento chiamato probabilità. Quale probabilità che dia
buoni rendimenti? Quale probabilità che dia cattivi rendimenti? Il prezzo è
una media di tutti questi possibili scenari. Il risultato è un numero:
esempio, il valore del prodotto è 100. Sempre nella banca, c’e un’altra persona, che si chiama risk manager, che usa
la probabilità: a lui interessa la probabilità di avere una perdita e di
quanto questa perdita possa essere. Anche il risultato di questo calcolo è
facilmente comprensibile: ho una probabilità di perdere del 70%
e in questo caso in media perdo il 60% del mio valore. La proposta degli
scenari probabilistici è: perché non dare questa ultima informazione al
risparmiatore? Valutate voi se l’informazione è comprensibile ed è utile. Voi
la vorreste avere? Numeri simili a quelli riportati sopra erano scritti nel
prospetto del cosiddetto “convertendo” emesso da Banca Popolare di Milano. Se
qualche risparmiatore li ha letti, ha evitato una brutta storia. Come si calcolano queste misure di rischio è una
ricetta da chef, ma può essere anche
questa volgarizzata. In soldoni (è proprio il caso di dirlo), si
generano degli scenari di mercato, e si calcolano quanti sono i casi in cui
avremmo fatto meglio a lasciare i soldi sul nostro conto corrente. Se si
ottiene il 68,50% è probabile che non sia un buon affare. Poi si calcola la
perdita media in questi 685 scenari su 1.000 in cui le cose vanno male. E se
la perdita media è di 59,2%, è molto probabilie che
sia un pessimo affare. E in effetti il convertendo della Banca popolare di
Milano è stato un affare peggio che pessimo. Ora, secondo il Presidente Vegas conoscere questa
informazione, che ogni banca produce internamente, potrebbe
accentuare il rischio. Attenzione! Lo stesso dovrebbe valere anche per le
banche. Le banche che ogni giorno producono quella misura riportata sopra (ho
una probabilità x di riportare una perdita y) secondo il Presidente della Consob accentuano il loro rischio. Non è chiaro quale
ragionamento ci sia dietro questa affermazione, ma senz’altro nessun
argomento economico sensato. L’unico argomento che mi viene in mente è: non
ditemi quanto rischio, voglio vivere felice questi miei giorni di
investitore, e quando il default mi chiamerà…Ritorniamo alla mistica e alla
fede, ma l’economia e la finanza sono un’altra cosa. Dopo l’argomento “è meglio non correre il rischio
di conoscere il rischio”, il
Presidente Vegas lascia la teoria delle decisioni e si lancia nella tecnica
dei mercati finanziari. Egli usa un esempio e due argomenti. L’esempio è un
nome che oggi incute preoccupazione, ed è il Monte dei Paschi di Siena, e
perché non utilizzarlo? Ed ecco una citazione in amicizia, come al bar, su un
titolo strutturato Mps che aveva una buona pagella
di scenari probabilistici, ma è andato male. Qual è? Non lo sappiamo. Ma io
conosco prodotti strutturati Mps che avevano una
buona pagella e che sono andati bene, perché erano di fatto dei covered bond, cioè
titoli con garanzia doppia, personale e reale. E se uno che aveva una buona
pagella è andato male, è un buon motivo per non voler sapere la probabilità
che vada male? Conoscere la probabilità che una cosa si verifichi non
significa escluderne la possibilità. Dopo l’esempio, ecco gli argomenti. Gli scenari di probabilità dipendono da parametri che vanno
aggiornati. Bene, ma intanto sarebbe stato meglio conoscere gli scenari sui
parametri di un titolo all’emissione, e chissà che la cosa non avesse
stimolato altre figure del mercato nel produrre e nell’aggiornare quei
parametri. E soprattutto: i parametri dei cosiddetti scenari di “what if”, che hanno sostituito
gli scenari, non cambiano e diventano obsoleti allo stesso modo? Se questo è
l’argomento, allora togliamo anche gli scenari “what
if”: richiedono parametri che cambiano nel tempo.
Oltretutto, aggiungiamo che forniscono un’informazione dannosa: sono
arbitrari, e soprattutto (mi si passi un solo punto tecnico), hanno
probabilità zero di verificarsi. E i parametri dell’affidabilità dell’azienda
non cambiano? Perché non togliamo anche quelli? Infine, l’argomento perla di tutto il
ragionamento: gli scenari richiedono un benchmark. Vero, e il benchmark si chiama Eonia. È quello che si
ottiene con la remunerazione di mercato delle attività cosiddette cash (la
“o” di Eonia sta per “overnight”). E invece per
Vegas no: il benchmark è il Btp. Non solo. Vegas si lancia sul Btp e dice:
“se avessimo utilizzato la metodologia per il Btp ne avremmo sconsigliato
l’acquisto”. Qui c’è il Vegas politico: insinua che conoscere il rischio
Italia potrebbe portare in cittadini a non sottoscrivere i titoli, e quindi
meglio non sapere. Se abituiamo a misurare il rischio, alla fine la stessa
misura verrà usata per i nostri titoli. E il Vegas Presidente della Consob? In primo luogo non conosce il benchmark
utilizzato nella proposta Consob. Non sa che quella
proposta è ancora nella normativa sui titoli illiquidi. Confonde il ruolo
della Consob con quello di un’analista che dà
consigli di investimento. E infine finge di non sapere che i titoli pubblici
non hanno prospetto. Che conclusioni possono trarre quindi gli
investitori da questa audizione così poco trasparente del Presidente dell’autorità garante della trasparenza? Citando un
vecchio banchiere centrale: “sta in noi”. Chiediamo sempre che probabilità
abbiamo di perdere e quanto; chiediamolo agli intermediari e ai consulenti e
premiamo quelli che ce lo dicono. Ignoriamo l’esortazione a ignorare i
rischi. E, per le banche: non c’è bisogno di dirvelo, continuate a misurare i
rischi. Se poi deciderete anche di diffondere la notizia ai clienti, i
clienti ve ne saranno grati e cresceranno. *docente di
Finanza matematica all’Università di Bologna e coordinatore della laurea
specialistica internazionale in Quantitative Finance del medesimo ateneo |
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