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Documento inserito il:13-11-2012

 

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Da l’inchiesta.it

Intesa, la banca vende le polizze a perdita sicura

Lorenzo Dilena


In calce: Da l’inchiesta del 27 ottobre 2012 - 16:17 Per la Consob è meglio se i risparmiatori non conoscono i rischi di Umberto Cherubini*


 

Negli sportelli di Intesa Sanpaolo è in vendita una polizza assicurativa chiamata “Life Prospettiva 07/2011 Protetta”. A dispetto del nome, la polizza non garantisce né il rendimento né il capitale: al termine di 4 anni la probabilità di perdere parte del risparmio investito è vicina al 70 per cento.

Enrico Cucchiani e Giovanni Bazoli

Enrico Cucchiani e Giovanni Bazoli

I produttori di sigarette, almeno, lo scrivono ben in evidenza: che il fumo può provocare danni. I produttori di strumenti finanziari, no. In Italia, per esempio, tramite una triangolazione con l’estero, una banca può vendere prodotti assicurativi che hanno una probabilità del 70% di provocare perdite del risparmio investito. E battezzarli, forse per gusto del paradosso, “Prospettiva Protetta”. L’avvertenza sugli elevati rischi di perdite? Non a caratteri cubitali come sui pacchetti di sigarette, ma nelle pieghe di un documento lungo più di un centinaio di pagine.

Tutto questo succede davvero: negli sportelli italiani del gruppo Intesa Sanpaolo. Il prodotto in questione è Intesa Sanpaolo Life Prospettiva 07/2011: una polizza di tipo unit-linked. Cioè, un contratto assicurativo da un punto di vista giuridico-formale, in realtà uno strumento a contenuto quasi esclusivamente finanziario, che investe in fondi interni della compagnia. (v. la voce Unit-linked e Index-linked sul sito dell’Ania). Nel caso della polizza attualmente distribuita dal gruppo Intesa, che lo scorso maggio ha depositato il prospetto d’offerta alla Consob, il cliente può scegliere fra 21 fondi di investimento interni, suddivisi in cinque aree: Profilo, Flessibile, Innovazione, Personalizzata, Protetta. È proprio quest’ultima area a riservare una prospettiva sorprendente. Soprattutto per un istituto presieduto da un banchiere, Giovanni Bazoli, che ha fatto della responsabilità sociale e dell’etica uno dei pilastri della sua idea di “capitalismo temperato”, e guidato da un amministratore delegato, Enrico Cucchiani, che vanta una lunghissima esperienza nel settore assicurativo.

Polizza «protetta» ma non garantita. La denominazione «El Prospettiva Protetta» potrebbe far pensare all’esistenza di garanzie sul capitale. Non è così. L’impresa di assicurazioni, la controllata irlandese Intesa Sanpaolo Life Ltd, «non offre alcuna garanzia di rimborso, totale ovvero parziale, del capitale investito» e men che meno di rendimento minimo. È previsto invece un meccanismo di “immunizzazione” piuttosto complicato: viene garantito che «il valore unitario di quota... non risulti inferiore al 90% del massimo valore di quota raggiunto dal fondo stesso a partire dalla data della sua costituzione (“valore protetto”)». 

Ma in concreto qual è la prospettiva dell’investimento? La risposta si trova a pagina 20 del prospetto d’offerta [dopo l’articolo la tabella degli scenari probabilistici], nella tabella dei cosiddetti scenari probabilistici dell’investimento al termine dell’orizzonte temporale consigliato (quattro anni). La probabilità che con “El Prospettiva Protetta” un risparmiatore abbia un rendimento negativo, e quindi dopo quattro anni incassi meno di quanto investito, è del 69,45 per cento. C’è invece una probabilità dell’8,14% che il rendimento sia positivo ma inferiore a quello di un’attività priva di rischio (titoli di stato) e del 17,04% che il rendimento sia in linea con quello di un titolo di stato. La probabilità che questa complicata polizza renda più di un titolo di stato di pari orizzonte temporale è appena del 5,37 per cento. Per capire meglio il grado di rischio, si può ipotizzare il caso di un soggetto che investa 10mila euro. Questo risparmiatore ha una probabilità del 69,45% di incassare 9.616 euro dopo quattro anni (l’ipotesi peggiore), e una probabilità del 5,37% di incassare 11.439 euro (l’ipotesi migliore, ma anche probabilisticamente più risicata). Per assicurarsi tale “prospettiva” il cliente pagherà una commissione di gestione dell’1,755% annua.

Allora perché chiamarla polizza assicurativa? Miracoli dell’innovazione finanziaria: uno strumento storicamente nato per dare sicurezza è stato trasformato in un contenitore con finalità finanziarie (massimizzare il risultato, in teoria). Il cappello di polizza assicurativa è dato dalla presenza di una clausola detta “caso morte”: cioè in caso di morte dell’assicurato, ai beneficiari è liquidato il controvalore delle quote, più una maggiorazione. Nel caso specifico, la copertura assicurativa costa lo 0,045% annuo. Se l’assicurato muore ed ha un’età fra 18 e 40 anni, ai beneficiari sarà liquidato il controvalore delle quote del fondo in quel momento, più il 13,5 per cento. La maggiorazione si riduce con il crescere dell’età dell’assicurato (p. es. 6,5% per la fascia d’età 41-60 anni). Anche alla luce di questa maggiorazione caso morte, tuttavia, chi comprerebbe un prodotto che costa complessivamente l’1,8% l’anno, e ha una probalità di quasi il 70% di perdere parte del capitale investito?

La banca minimizza il significato degli scenari probabilistici, in linea peraltro con un orientamento sposato dal presidente della Consob Giuseppe Vegas. «Le valutazioni di rendimento vengono effettuate sulla base di ipotesi di calcolo particolarmente restrittive, che non permettono di differenziare i rendimenti attesi delle diverse asset class in cui investe il fondo – riferiscono fonti di Intesa Sanpaolo – Ne deriva che, per esempio, il rendimento associato all’asset class azionaria risulta identico a quello della componente monetaria». Il successo dell’azione lobbistica a livello europeo delle banche ha già portato all’eliminazione degli scenari probabilistici dai prospetti delle obbligazioni, e presto potrebbe essere il turno delle polizze. Il tema è complesso, e anche tenendo conto dei limiti dello strumento, non si può non rilevare una contraddizione: perché chi vende prodotti finanziari e assicurativi e le autorità di vigilanza vogliono privare i risparmiatori di un’informazione di facile comprensione, peraltro utilizzata dalle stesse banche e assicurazioni per decidere a che prezzo vendere i prodotti in questione?

Triangolazione irlandese. Resta, infine, un’ultima questione: il ricorso a una controllata irlandese per emettere le polizze Intesa Sanpaolo Life Prospettiva. Il gruppo di Bazoli e Cucchiani dispone infatti in Italia di società assicurativa, la Intesa Sanpaolo Vita spa. La fiscalità potrebbe essere una ragione, ma non basta da sola a giustificare la scelta di emettere la polizza in Irlanda. Il resto della spiegazione va ricercata, forse, in un possibile arbitraggio normativo. Dopo anni di far west, in Italia l’Isvap ha imposto che le polizze unit-linked e index linked «devono essere semplici e soddisfare il requisito di agevole comprensibilità da parte del contraente» (Regolamento 32, art. 6). Inoltre, mentre in Italia le compagnie sono di fatto obbligate dall’autorità di vigilanza a mettere da parte capitale pari al 4% di ciascuna polizza emessa; in Irlanda l’emissione di queste polizze non assorbe capitale. Per evitare di incorrere in accuse di elusione normativa, molti gruppi italiani triangolano l’operazione con un intermediario esterno, in modo che l’attività assicurativa sia svolta formalmente da una compagnia estera in regime di libera prestazione dei servizi in ambito europeo tramite un distributore terzo. Così l’operazione pensata dall’Italia viene recepita a Dublino, da qui il prodotto esce e, passando per un broker, nel caso specifico la filiale italiana della Marsh, arriva agli sportelli di tutte le banche del gruppo Intesa Sanpaolo. Formalmente, sembra ineccepibile. Nella sostanza, il gruppo Intesa deva pagare a Marsh il 2,29% di ciascun versamento dei cliente, più una quota-parte delle commissioni di gestione annue. Nel 2011, il 62,6% delle commissioni generate dal fondo Prospettiva Protetta è stata retrocessa da Intesa Sanpaolo alla Marsh: per risparmiare sul capitale bisogna fare guadagnare qualcun altro. Triangolare costa. 

Twitter: @lorenzodilena


                  Ecco gli scenari probabilistici di pag. 20 del prospetto informativo:

Scenari Polizza IntesaSanPaolo


Per la Consob è meglio se i risparmiatori non conoscono i rischi

Umberto Cherubini*

 

L’audizione alla Camera del presidente della Consob, Giuseppe Vegas, è stata ben poco trasparente. Vegas ha sostenuto che conoscere i rischi degli strumenti finanziari allontana i risparmiatori, citando l’esempio dei Btp. Insomma, per il regolatore è meglio che gli investitori non sappiano i rischi che corrono. 

La probabilità che Vegas conosca la probabilità è molto bassa. E se uno non conosce la probabilità non conosce la finanza. Questo emerge dall’audizione che ha tenuto il 25 ottobre alla Commissione Finanze della Camera e dalla risposta a una domanda sulla metodologia degli scenari probabilistici, proposti dalla Consob stessa in sede europea, e respinta a colpi di lobbying, là dove si “puote ciò che si vuole”. Nella risposta sugli scenari Vegas sembra ringraziare l’Europa per aver bocciato una proposta della Consob che ora presiede, e ne ribadisce la motivazione con la brillantezza di uno studente di fronte a una domanda di esame che non gli doveva proprio capitare. Non mettiamo in dubbio che un ex giovane ricercatore di diritto ecclesiastico abbia difficoltà ad afferrare il concetto di probabilità. Il concetto di legge dei codici e di legge dei preti è sostanzialmente diverso dal concetto di legge di probabilità e del rischio. Ma che chi è digiuno di probabilità, e quindi di finanza e di rischio, presieda l’autorità che ha in carico la trasparenza dei mercati finanziari è un problema serio. È forse ancora più serio del fatto, sollevato da qualche componente della commissione, che provenga dalla politica.

Veniamo alla questione tecnica, volgarizzata. Chi in una banca disegna un titolo e lo valuta, usa uno strumento chiamato probabilità. Quale probabilità che dia buoni rendimenti? Quale probabilità che dia cattivi rendimenti? Il prezzo è una media di tutti questi possibili scenari. Il risultato è un numero: esempio, il valore del prodotto è 100. Sempre nella banca, c’e un’altra persona, che si chiama risk manager, che usa la probabilità: a lui interessa la probabilità di avere una perdita e di quanto questa perdita possa essere. Anche il risultato di questo calcolo è facilmente comprensibile: ho una probabilità di perdere del 70% e in questo caso in media perdo il 60% del mio valore. La proposta degli scenari probabilistici è: perché non dare questa ultima informazione al risparmiatore? Valutate voi se l’informazione è comprensibile ed è utile. Voi la vorreste avere? Numeri simili a quelli riportati sopra erano scritti nel prospetto del cosiddetto “convertendo” emesso da Banca Popolare di Milano. Se qualche risparmiatore li ha letti, ha evitato una brutta storia.

Come si calcolano queste misure di rischio è una ricetta da chef, ma può essere anche questa volgarizzata. In soldoni (è proprio il caso di dirlo), si generano degli scenari di mercato, e si calcolano quanti sono i casi in cui avremmo fatto meglio a lasciare i soldi sul nostro conto corrente. Se si ottiene il 68,50% è probabile che non sia un buon affare. Poi si calcola la perdita media in questi 685 scenari su 1.000 in cui le cose vanno male. E se la perdita media è di 59,2%, è molto probabilie che sia un pessimo affare. E in effetti il convertendo della Banca popolare di Milano è stato un affare peggio che pessimo. 

Ora, secondo il Presidente Vegas conoscere questa informazione, che ogni banca produce internamente, potrebbe accentuare il rischio. Attenzione! Lo stesso dovrebbe valere anche per le banche. Le banche che ogni giorno producono quella misura riportata sopra (ho una probabilità x di riportare una perdita y) secondo il Presidente della Consob accentuano il loro rischio. Non è chiaro quale ragionamento ci sia dietro questa affermazione, ma senz’altro nessun argomento economico sensato. L’unico argomento che mi viene in mente è: non ditemi quanto rischio, voglio vivere felice questi miei giorni di investitore, e quando il default mi chiamerà…Ritorniamo alla mistica e alla fede, ma l’economia e la finanza sono un’altra cosa.

Dopo l’argomento “è meglio non correre il rischio di conoscere il rischio”, il Presidente Vegas lascia la teoria delle decisioni e si lancia nella tecnica dei mercati finanziari. Egli usa un esempio e due argomenti. L’esempio è un nome che oggi incute preoccupazione, ed è il Monte dei Paschi di Siena, e perché non utilizzarlo? Ed ecco una citazione in amicizia, come al bar, su un titolo strutturato Mps che aveva una buona pagella di scenari probabilistici, ma è andato male. Qual è? Non lo sappiamo. Ma io conosco prodotti strutturati Mps che avevano una buona pagella e che sono andati bene, perché erano di fatto dei covered bond, cioè titoli con garanzia doppia, personale e reale. E se uno che aveva una buona pagella è andato male, è un buon motivo per non voler sapere la probabilità che vada male? Conoscere la probabilità che una cosa si verifichi non significa escluderne la possibilità.

Dopo l’esempio, ecco gli argomenti. Gli scenari di probabilità dipendono da parametri che vanno aggiornati. Bene, ma intanto sarebbe stato meglio conoscere gli scenari sui parametri di un titolo all’emissione, e chissà che la cosa non avesse stimolato altre figure del mercato nel produrre e nell’aggiornare quei parametri. E soprattutto: i parametri dei cosiddetti scenari di “what if”, che hanno sostituito gli scenari, non cambiano e diventano obsoleti allo stesso modo? Se questo è l’argomento, allora togliamo anche gli scenari “what if”: richiedono parametri che cambiano nel tempo. Oltretutto, aggiungiamo che forniscono un’informazione dannosa: sono arbitrari, e soprattutto (mi si passi un solo punto tecnico), hanno probabilità zero di verificarsi. E i parametri dell’affidabilità dell’azienda non cambiano? Perché non togliamo anche quelli?

Infine, l’argomento perla di tutto il ragionamento: gli scenari richiedono un benchmark. Vero, e il benchmark si chiama Eonia. È quello che si ottiene con la remunerazione di mercato delle attività cosiddette cash (la “o” di Eonia sta per “overnight”). E invece per Vegas no: il benchmark è il Btp. Non solo. Vegas si lancia sul Btp e dice: “se avessimo utilizzato la metodologia per il Btp ne avremmo sconsigliato l’acquisto”. Qui c’è il Vegas politico: insinua che conoscere il rischio Italia potrebbe portare in cittadini a non sottoscrivere i titoli, e quindi meglio non sapere. Se abituiamo a misurare il rischio, alla fine la stessa misura verrà usata per i nostri titoli. E il Vegas Presidente della Consob? In primo luogo non conosce il benchmark utilizzato nella proposta Consob. Non sa che quella proposta è ancora nella normativa sui titoli illiquidi. Confonde il ruolo della Consob con quello di un’analista che dà consigli di investimento. E infine finge di non sapere che i titoli pubblici non hanno prospetto.

Che conclusioni possono trarre quindi gli investitori da questa audizione così poco trasparente del Presidente dell’autorità garante della trasparenza? Citando un vecchio banchiere centrale: “sta in noi”. Chiediamo sempre che probabilità abbiamo di perdere e quanto; chiediamolo agli intermediari e ai consulenti e premiamo quelli che ce lo dicono. Ignoriamo l’esortazione a ignorare i rischi. E, per le banche: non c’è bisogno di dirvelo, continuate a misurare i rischi. Se poi deciderete anche di diffondere la notizia ai clienti, i clienti ve ne saranno grati e cresceranno.

 

*docente di Finanza matematica all’Università di Bologna e coordinatore della laurea specialistica internazionale in Quantitative Finance del medesimo ateneo