PRIVILEGIA NE IRROGANTO        di Mauro Novelli


 

IL PUNTO

 

Di Mauro Novelli

 

mailto: mauronovelli@adusbef.it

 

Raccolta dal n°  69  al n° 77 (dal  27-6-2006  al  13-9-2006)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INDICE

 

 

Il PuntO n° 77. Debito pubblico. Dopo il problema dei detentori, quello degli interessi “migranti”.

Il PuntO n° 76. Servizi assicurativi: una indagine quantitativa

Il PuntO n° 75. Debito pubblico. Titoli di Stato detenuti da investitori esteri: questo è il  gravissimo problema

Il PuntO n° 74. Medioriente:  le origini di un problema che solo l’intelligenza può risolvere.

Il PuntO n° 73. Continua il saccheggio del risparmio degli Italiani. Il caso Arena.

Il PuntO n° 72. Spese applicate ai conti correnti ed effetto del decreto Bersani. Un doveroso chiarimento

Il PuntO n° 71. Signoraggio: se è funzione sovrana non può essere “spartito” tra privati.

Il PuntO n° 70. Liberalizzazioni. Per le banche occorrono interventi organici di sistema.

Il PuntO n° 69. I tedeschi di Germania non sono mai stanchi.

 

 


 

 

 


Il PuntO n° 77. Debito pubblico.

Dopo il problema dei detentori, quello degli interessi “migranti”.

 

Di Mauro Novelli 13-9-2006

 

A giugno 2006, il debito pubblico è cresciuto  di  oltre 20 miliardi di euro rispetto al maggio e di quasi 30 rispetto ad aprile, attestandosi a quota 1.594,396 miliardi (pari ad oltre 3 milioni di miliardi di vecchie lire).

Riportiamo l’andamento degli ultimi 10 anni:

 

DEBITO AMM.NI PUBBLICHE

In miliardi di euro

Fonte Boll.ni stat.ci Bankitalia

CENTROSINISTRA

 

Giugno 1996

1.170,293

Dicembre 1996

1.197,656

Giugno 1997

1.228,063

Dicembre 1997

1.225,874

Giugno 1998

1.245,341

Dicembre 1998

1.241,319

Giugno 1999

1.284,892

Dicembre 1999

1.269,293

Giugno 2000

1.304,363

Dicembre 2000

1.287,599

Aprile 2001

1.329,607

CENTRODESTRA

 

Maggio 2001

1.338,554

Giugno 2001

1.342,416

Dicembre 2001

1.335,433

Giugno 2002

1.386,616

Dicembre 2002

1.342,342

Giugno 2003

1.390,618

Dicembre 2003

1.389,224

Giugno 2004

1.479,139

Dicembre 2004

1.439,810

Giugno 2005

1.542,297

Dicembre 2005

1.507,556

Marzo 2006

1.556,993

CENTROSINISTRA

 

Aprile 2006

1.565,987

Giugno 2006

1.594,396

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

.

 

 

 

 

 

In dieci anni (giugno 1996 – giugno 2006) il debito pubblico è cresciuto del 36,24 per cento.

E’ interessante calcolare l’andamento del debito in funzione del colore del governo in carica:

Centrosinistra: incremento percentuale dal giugno 1996 all’aprile 2001: da 1.170,293 a 1.329,607 miliardi di euro, pari a 159,314 miliardi. + 13,613 % . Non ci è stato possibile ricavare i dati al maggio 1996, riportando Bankitalia per quel periodo il dato trimestrale.

Centrodestra: incremento percentuale dal maggio 2001 al marzo 2006: da 1.338, 554 a 1.556.993 miliardi di euro, pari a 214,577 miliardi. +16,319 %.

Centrosinistra: dall’aprile al giugno 2006, il debito è già cresciuto dell’ 1,814 %.

 

Per dare un’immagine grossolana ma illuminante della dimensione del nostro debito pubblico, basti considerare che, volendo procedere ad una sua estinzione, dovremmo rimborsare, per 64 anni, 25 miliardi di euro l’anno: una manovra finanziaria annua di medio taglio, destinata solo a questo scopo, a carico di quasi  due generazioni.

E non abbiamo voluto considerare – ahimè - gli interessi.

 

A giugno  2006, la quota di debito pubblico coperta da titoli di Stato, era la seguente:

 

Titoli di Stato – Andamento delle consistenze al 2001, 2005,  2006

Fonte: Supplementi al Bollettino statistico e Bollettino economico (11-05)  Bankitalia

In miliardi di euro – Elaborazioni Adusbef

 

Titoli a M/L termine

Titoli a breve termine (BOT)

 

TOTALE

…di cui a tasso fisso (BTP ecc.)

…di cui a tasso variabile (CCT ecc.)

Settembre 2001

793,973

232,648

124,071

1.150,692

Settembre 2005

929,191

207,052

141,421

1.277,664

Giugno  2006

976,375

195,273

143,025

1.314,673

 

Correttamente, con i tassi in crescita lo Stato modifica la struttura del suo debito: diminuisce i titoli a tasso variabile (CCT) ed aumenta quelli a tasso fisso (BTP).

 

In rapporto al PIL, l’andamento del debito pubblico è risultato in calo fino al 2004, per poi ricominciare a crescere:

 

Debito pubblico in rapporto al PIL

1990

   97,2

1991

 100,8

1992

 108,1

1993

 118,7

1994

 124,8

1995

 124,3

1996

 123,1

1997

 120,6

1998

 116,6

1999

 115,6

2000

 111,3

2001

 110,9

2002

 108,3

2003

 104,2

2004

 103,8

2005

 106,4

 

 


 

 

Il problema degli interessi pagati: l’emigrazione.

 

Quanto all’entità degli interessi sui titoli del debito pubblico, le uscite sono andate declinando dal 1997 al 2005 a seguito della discesa dei tassi di mercato, con notevole sollievo per il nostro Erario. 

In particolare, questo è l’andamento delle uscite:

 

 

Debito pubblico. Interessi riconosciuti

In miliardi di euro

 

 

2002

2003

2004

2005

Interessi

71,519

68,514

65,753

64,549

 

Ed ecco il problema.

In altro studio, abbiamo messo in evidenza l’andamento e la “qualità” dei detentori dei titoli del nostro debito pubblico, ( Il PuntO n° 75. Debito pubblico. Titoli di Stato detenuti da investitori esteri: questo è il  gravissimo problema.) ed abbiamo assodato che (a fine 2005) la relativa disaggregazione era la seguente:  

 

Detentori di Titoli di Stato italiani. Anni 1991-1998-2005.

Valori percentuali – Elaborazione Adusbef

 

 

1991

1998

2005

Detentori Domestici

94,01

70,88

46,69

Detentori Esteri

5,99

29,12

53,31

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In conclusione, nel 2005,  oltre il 53 per cento degli interessi riconosciuti ai detentori, cioè 34,4 miliardi di euro su un totale di 64,549 miliardi, è andato all’estero. Sono restati in casa solo 30 miliardi.

Quindi, rispetto ai primi  anni ’90, il monte interessi sui titoli del debito pubblico non contribuisce più, per un’alta percentuale, ad incrementare il nostro reddito interno (di aziende e famiglie detentrici) , ma oltre la metà, oggi,  passa la frontiera.

Questi cambiamenti mettono in evidenza, da un lato, il fatto che godiamo (ancora) di credito da parte di investitori internazionali; dall’altro, che tale tipo di  investitori è molto più sensibile ai rating assegnati al paese emittente. Se la “pagella” dell’Italia dovesse peggiorare, potrebbero essere guai seri: si dovrebbe infatti aumentare il tasso di rendimento per rendere quei titoli di nuovo appetibili. 

Il vincolo del debito è oggi, infatti, molto più soffocante per gli attuali governanti e per i conti del Paese di quanto non lo fosse dieci o quindici anni fa.

 

 

 



Il PunO n° 76. Servizi assicurativi: una indagine quantitativa

 

Di Mauro Novelli (6-9-2006)

 

 

LA POSIZIONE DELL'ITALIA.

 

Con l’allargamento a 25, gli abitanti dell’Unione Europea superano i 450 milioni. Secondo dati della Commissione europea la ricchezza totale dei nuovi arrivi rappresenta solo il 4,6% di quella complessiva dell'Unione. Per tal motivo le analisi comparate riguarderanno ancora l’Europa dei 15.

Nel  1998, nella U..E. operavano 4.874 imprese d'assicurazione. Nel 2004, le imprese sono scese a 4.379.

Questi i dati di settore dei dieci paesi più importanti.

 

SETTORE ASSICURATIVO in alcuni paesi U.E.

[ Fonti Ania ] Dati 31.12.2005

 

 

Numero imprese

(12.2004)

Numero

dipendenti  per impresa

(12.2004)

Premi complessivi

(milioni di euro)

12-2004

Raccolta premi

per impresa

(milioni di euro)

(12.2004)

Raccolta premi

per dipendente

(milioni di euro)

 

 

 

2002

2004

1997

2001

2004

2002

2004

Italia

245*

164

76.255

101.039

203

298

412

1,850

2,519

Danimarca

210

54

12.524

15.756

///

51

75

0,921

1,394

Belgio

181

131

20.354

28.417

64

101

157

0,799

1,196

Francia

480

288

128.059

158.226

192

254

330

0,924

1,144

Regno Unito

772

266

234.471

219.845

174

284

285

1,047

1,071

Olanda

430

112

43.796

48.695

65

92

113

0,872

1,014

Svezia

428

44

17.401

19.169

///

39

45

1,008

1,010

Spagna

325

141

42.063

45.224

69

123

139

0,914

0,990

Irlanda

224

67

13.355

11.860

41

54

53

1,040

0,791

Germania

677

357

135.390

152.370

173

195

225

0,552

0,630

 

* Le compagnie italiane sono scese a 240 nell’aprile 2006

 

 

I dati della tabella sono piuttosto inquietanti. Con una popolazione simile per Francia, Gran Bretagna ed  Italia, nel nostro paese operavano – a fine 2004 - 245  compagnie assicurative, quasi la metà di quelle presenti in Francia (480), meno di un terzo di quelle operanti in Gran Bretagna (772).

Com’è possibile che in Italia siano in grado di operare così poche compagnie di assicurazione? Non si può “intraprendere” nel settore perché ben protetto, o non conviene per motivi puramente mercantili? Noi propendiamo per la prima ipotesi.

Altre comparazioni risultano illuminanti: in Spagna (meno di 43 milioni di abitanti) operano 325 compagnie, 80 più delle nostre;  in Olanda (16 milioni di abitanti) prosperano 430 compagnie, 185 più delle nostre;  in Svezia (9 milioni di abitanti) 428 imprese  (183 in più che in Italia). Eclatante il caso della Danimarca dove i 5,4 milioni di danesi vedono attive 210 compagnie, soltanto 35 meno delle nostre.

Altri atteggiamenti nei confronti dei prodotti assicurativi, si dirà. Ma come spiegare il fatto che le 245 compagnie italiane  aggreghino il più alto livello di premi per singola impresa? 412 milioni di euro per ogni azienda italiana, contro i 330 milioni delle francesi, i  285 per ciascuna delle inglesi, i 225 delle tedesche, fino a giungere ai 45 milioni di euro delle svedesi.

Il dato non è occasionale: anche i premi aggregati per dipendente del settore assicurativo, che conta 39.924 dipendenti nel 2005,  vedono gli italiani al primo posto: 2.519 euro per impiegato italiano; 1,071 per l’inglese; 791 per l’irlandese; 1.144 euro per il francese; 630 euro per il tedesco.

Il mercato italiano delle assicurazioni ha, quindi, tutte le caratteristiche perché si intraprenda con floridezza. Dovrebbe esserci spazio per ulteriori aziende, ma tale valutazione  liberista non risulta vincente e conferma il nostro giudizio di settore protetto ed autoprotetto.

Infatti, tenere  basso il numero di aziende mantiene  più alto il bacino di utenza potenziale, cioè il numero di cittadini che in media possono essere acquisiti da ciascuna compagnia: 238 mila abitanti per azienda in l'Italia, 90 mila utenti potenziali in più del secondo paese, il Portogallo, che può contare su 147 mila abitanti per azienda. Tralasciando, per ovvie ragioni la posizione del Lussemburgo, notiamo che in Svezia  le compagnie di assicurazione prosperano con un bacino  potenziale di 21 mila abitanti, in Irlanda di 17.487.

Di fatto il bacino medio di utenza  nellaU.E. è di 87 mila abitanti per compagnia.

Nonostante questi dati, le assicurazioni italiane lamentano da sempre un mercato interno asfittico e sterile, non tale da permettere previsioni ottimistiche, falcidiato dal “collo debole degli italiani” e dalle relative truffe sia nel ramo danni che in quello vita.

 

UTENZA POTENZIALE

(ANNO 2004-Fonte ANIA - Elaborazioni Adusbef)

 

 

NUMERO

AZIENDE

ABITANTI

 

UTENZA

POTENZIALE

(abitanti per impresa)

 

 

 

2001

2004

ITALIA

245

58.462.000

219.945

238.620

PORTOGALLO

71

10.475.000

117.681

147.535

SPAGNA

325

42.717.000

120.225

131.437

FRANCIA

480

60.561.000

116.805

126.169

GERMANIA

677

82.504.000

118.587

121.867

AUSTRIA

73

8.118.000

110.493

111.205

GRECIA

100

10.964.000

102.467

109.640

    U. E. (dei 15)

4.379

383.486.000

81.236

87.574

REGNO UNITO

772

59.554.000

69.743

77.142

FINLANDIA

68

5.220.000

75.290

76.765

BELGIO

181

10.396.000

50.308

57.436

OLANDA

430

16.295.000

33.920

37.895

DANIMARCA

210

5.411.000

22.287

25.767

SVEZIA

428

9.014.000

19.277

21.061

IRLANDA

224

3.917.000

19.530

17.487

LUSSEMBURGO

95

452.000

4.731

4.758

 

 

 

CLIENTI POTENZIALI (Abitanti per Compagnia)

        

IL MERCATO INTERNO 

E' interessante rimarcare che, delle 245 imprese di  assicurazione operanti in Italia, le prime 10 aggregano quasi la  metà del  totale dei premi raccolti, mentre le prime 40 società si attestano attorno all' 80 per cento.

Nel 2005, il monte premi ha aggregato 114,895 miliardi di Euro (+ 7,8 per cento rispetto al 2004 e + 57 per cento rispetto al 2000).

In particolare, il Ramo Vita ha raccolto premi per 75,577 miliardi di Euro (+ 11,7 per cento sul 2004) , il Ramo Danni  39,318 miliardi di Euro (+ 0,9 per cento sul 2001).

Delle due componenti fondamentali (ramo Vita e ramo Danni), il primo continua ad aumentare di peso passando dal 27 per cento del 1990, al 65,8 per cento del 2005.

Al contrario il ramo Danni scende dal 73 per cento del '90, al 34,2 per cento del 2005.

 

Per il ramo Vita, occorre evidenziare che il canale distributivo più importante è costituito dagli sportelli bancari con il 59,1 per cento dei premi lordi contabilizzati, seguito dagli agenti (18,2 per cento), mentre la “vendita diretta” ed i promotori finanziari si attestano entrambi appena sotto l’11 per cento.

 

Per il ramo Danni, il canale distributivo preponderante è costituito dagli agenti che aggregano l’85,6 per cento dei premi lordi, mentre gli sportelli bancari superano appena l’1 per cento.

 

 

UTILI DEL SETTORE

In notevole crescita l’utile d’esercizio del settore assicurativo:

 

UTILE D’ESERCIZIO DEL SETTORE ASSICURATIVO

Fonte Ania – Elaborazione Adusbef. In miliardi di euro.

 

 

Utile d’esercizio

Variazione percentuale

1999

1,483

///

2000

2,043

+ 37,8 %

2001

2,877

+ 40,8 %

2002

3,510

+ 22,0 %

2003

3,780

+ 7,7 %

2004

5,169

+ 36,7 %

2005

5,851

+ 13,2 %

2005/1999

///

+ 294,5 %

 

 

Nel 2005, le 245 compagnie hanno ottenuti utili medi pari a quasi 24 milioni di euro ciascuna.

Nel settennio 1999/2005 gli utili del settore sono cresciuti del 294,5 per cento, passando da 1,483 miliardi di euro del ’99 a 5,851 del 2005.

Il settore offre quindi eccellenti prospettive per chi vuole intraprendere.

Perché nessuno si fa avanti? Dove sono gli ostacoli? Chi ha il compito di predisporli? Chi quello di rimuoverli?

L’Antitrust continua a sanzionare cartelli tra compagnie: non sarebbe il caso di prevenire i problemi bonificando un settore che, assieme a quello bancario, pesa su privati ed imprese in misura maggiore che per le altre nazioni con le quali dobbiamo competere?

Si veda a questo proposito Il PuntO: Competitività. Vediamo quanto impiegano…

 

 

 



 

Il PuntO n° 75. Debito pubblico.

Titoli di Stato detenuti da investitori esteri: questo è il  gravissimo problema.

                                                                                             

Di Mauro Novelli   2-8-2006

(mauronovelli@adusbef.it)

 

A metà anni ’90, nel  pieno della crisi messicana iniziata con il tracollo del peso del 1994, alcuni analisti paragonarono il problema del Messico a quello dell’Italia per via del parallelo ed esorbitante fardello del debito pubblico, ipotizzando futuri momenti difficili anche per il nostro paese.

L’argomanetazione di risposta per confutare quelle ipotesi fu individuata nella “qualità” dei detentori dei titoli di Stato: i messicani detenuti prevalentemente da investitori esteri, quelli italiani da investitori domestici. Insomma, sostenevamo, i nostri debiti erano tipicamente familiari.

 

Questa era la situazione dei titoli di Stato nei primi anni ’90:

 

 

ANNO 1991 – Detentori di titoli di Stato italiani

Fonte Bankitalia Suppl. al Bollettino statistico “Conti finanziari” n° 62 del 10.1993

(in miliardi di euro). Elaborazione Adusbef

 

 

1991

BOT

CCT     

Altri

(BTP ecc.)

TOTALE

Quota

detentori

Imprese

1,902

22,794

4,876

29,572

4,78 %

Istituzioni finanziarie (banche ecc.)

23,278

91,292

44,512

159,082

25,73 %

Assicurazioni

0,627

16,608

3,416

20,651

3,34 %

Amm. Pubbliche

0,236

6,469

2,717

9,422

1,52 %

Famiglie

150,338

134,661

68,537

362,536

58,64 %

Estero

3,478

15,733

17,809

37,02

5,99 %

TOTALE TIT. STATO

179,859

287,557

141,867

618,283

 

 

 

In effetti, solo il 6 percento dei titoli del ns. debito pubblico era in mano a stranieri; mentre poco meno del 60 per cento era nei portafogli delle famiglie italiane.

Sette anni dopo, le cose erano molto cambiate: quasi il 30 per cento dei nostri titoli di Stato erano stati acquistati da investitori esteri, mentre i titoli in mano alle nostre famiglie rappresentavano solo il 21,6 per cento:

 

 

ANNO 1998 – Detentori di titoli di Stato italiani

Fonte Bankitalia Suppl. al Bollettino statistico “Conti finanziari” n° 35 del 6.2000

(in miliardi di euro) Elaborazione Adusbef

 

 

1998

BOT

CCT     

Altri

(BTP ecc.)

TOTALE

Quota

detentori

Imprese

0,603

7,033

7,408

15,044

1,38 %

Istituzioni finanziarie (banche ecc.)

41,108

125,345

265,729

432,182

39,77 %

Assicurazioni

2,118

19,401

57,699

79,218

7,29 %

Amm. Pubbliche

1,417

3,434

4,250

9,101

0,84 %

Famiglie

48,954

64,697

121,053

234,704

21,60 %

Estero

43,573

70,930

201,981

316,484

29,12 %

TOTALE TIT. STATO

137,773

290,84

658,12

1086,733

 

 

 

 

Diversa e ben più grave è la situazione attuale. Nel 2005 gli investitori esteri accorpavano ben il 53,3 per cento del nostro monte titoli di Stato. In parallelo si evidenzia l’abbandono da parte delle famiglie di quel tipo di investimento, con poco più del 13 per cento[1].

 

 

ANNO 2005 – Detentori di titoli di Stato italiani

Fonte Bankitalia Suppl. al Bollettino statistico “Conti finanziari” n° 62 del 6.2006

(in miliardi di euro) Elaborazione Adusbef

 

 

2005

BOT

CCT     

Altri

(BTP ecc.)

TOTALE

Quota

detentori

Imprese

0,026

1,314

6,203

7,543

0,58 %

Istituzioni finanziarie (banche ecc.)

41,691

95,733

142,105

279,529

21,32 %

Assicurazioni

5,684

32,553

100,012

138,249

10,54 %

Amm. Pubbliche

0,093

3,379

4,229

7,701

0,59 %

Famiglie

1,926

10,313

166,894

179,133

13,66 %

Estero

67,335

59,102

572,532

698,969

53,31 %

TOTALE TIT. STATO

116,755

202,394

991,975

1.311,124

 

 

In sintesi:

Detentori di Titoli di Stato italiani. Anni 1991-1998-2005.

 Disaggregazioni in “Domestici” ed “Esteri”

Valori percentuali – Elaborazione Adusbef

 

1991

1998

2005

Detentori Domestici

94,01

70,88

46,69

Detentori Esteri

5,99

29,12

53,31

Non è necessario dilungarsi sul fatto che il possesso di oltre la metà dei nostri titoli da parte di entità estere può crearci problemi gravissimi. Il nostro debito non è più “in famiglia”.

Vista la maggiore volatilità dei portafogli “non domestici” e la enorme mobilità internazionale dei capitali, cosa potrebbe succedere se il nostro rating dovesse peggiorare?

 

 

 


 


Il PuntO n° 74. Medioriente:  le origini di un problema che solo l’intelligenza può risolvere.

 

Di Mauro Novelli   2-8-2006

(mauronovelli@adusbef.it)

 

 

Esattamente 90 anni fa, Monsieur Picot e Mister Sykes, incaricati dai loro paesi in guerra contro Germania, Austria-Ungheria e Impero Ottomano, raggiunsero un accordo in base al quale, in caso di vittoria,  le regioni mediorientali dominate dai Turchi sarebbero state così divise:

-         alla Gran Bretagna: Mesopotamia del sud (Baghdad e Bassora) e Palestina

-         alla Francia: Siria e Libano, Mesopotamia del nord (Mosul).

La cartina mostra l’impero Ottomano prima della Grande Guerra: Siria, Libano, Iraq, Palestina erano semplici “zone indefinite” dello stato turco.

Al fine di ottenere appoggi contro la Turchia, i Britannici solleticarono le aspirazioni kurde con la promessa di costituzione di un Kurdistan indipendente, mentre agli Arabi fecero intendere una soluzione simile  per l’ intero territorio da essi occupato, con l’ipotesi di costituzione di un grande regno arabo.

Contemporaneamente ed in contrasto con le promesse fatte, ottennero la “simpatia” delle organizzazioni sioniste mondiali (di ben altro aiuto nella guerra contro gli Imperi centrali), garantendo loro, in contropartita, un benevolo atteggiamento della Gran Bretagna: con la dichiarazione del Ministro degli esteri, A. J. Balfour, del novembre 1917, il governo britannico comunicava al banchiere Rothschild – stavolta nero su bianco :

 

 

"Il Governo di Sua Maestà guarda con favore la costituzione in Palestina di una casa nazionale per il popolo ebraico e applicherà tutti i suoi sforzi per facilitare il raggiungimento di questo obiettivo, essendo stato assodato chiaramente che non sarà fatto niente che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina, o i diritti e lo statuto politico goduti dagli ebrei in qualunque altro paese”.[In nota [2] il testo completo della missiva di Balfour].

Vinta la guerra, i Britannici ottennero il mandato sulla regione irachena e sui territori arabi fino al Sinai, Palestina compresa. Quanto al Kurdistan, l’iniziale impegno dei vincitori per la creazione di uno stato indipendente (Trattato di Sèvres del 1920) fu disconosciuto dal successivo Trattato firmato con Kemal Ataturk (a Losanna nel 1923), col quale gli Alleati si rimangiarono le promesse: non si parlò più di un stato kurdo, tanto meno indipendente.  

Ma col mandato (1922) concesso alla Gran Bretagna sulla Palestina dalla neonata Società delle Nazioni, si sarebbe dovuto sollevare un serio problema giuridico (mai evidenziato) proprio a seguito degli impegni di Balfour.

Infatti, il “mandato” della Società delle Nazioni è un istituto mirante a garantire agli ex territori tedeschi e a quelli del dissolto Impero Ottomano un governo internazionalmente regolato, con il compito di avviare le popolazioni interessate all’autonomia ed all’indipendenza.

E’ evidente, per il Regno Unito, il contrasto non conciliabile tra i doveri come potenza mandataria  in Palestina e l’impegno garantito alle organizzazioni ebraiche dalla dichiarazione di Balfour: favorire la promozione civile dei Palestinesi, fino all’indipendenza, e permettere la costituzione di un “focolare” ebraico [nelle traduzioni ufficiali] negli stessi territori è impegno incompatibile con la buona fede.

I Britannici si distrassero anche sul grande Regno assicurato agli Arabi.

Rispettarono, al contrario, gli impegni con le organizzazioni sioniste destinatarie della dichiarazione di Balfour. Con una aggravante: sorvolarono e non fecero mai valere la precondizione richiamata dalla stessa dichiarazione, che pure denota la ricerca e l’ottenimento da parte del Governo di Sua Maestà di garanzie per i Palestinesi : “…essendo stato assodato chiaramente che non sarà fatto niente che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche esistenti in Palestina…”.

 

 

La cartina dà la situazione mediorientale  tra le due guerre, dopo cioè il disfacimento dell’Impero Ottomano: in verde, il mandato britannico, in rosso quello francese.

 

 

Questa è l’origine anglosassone del problema, oggi definito israelo-palestinese. Nonché di quello kurdo, tenuto da tutti sottotraccia, d’accordo Kemal Ataturk, fin dal 1923.

Di fatto, gli iniziali acquisti di terre palestinesi da parte delle organizzazioni sioniste si fecero sempre più massicci, e aumentarono gli insediamenti ebraici, creando fin dagli anni ’20 aspri contrasti con gli abitanti della Palestina. Col tempo, i pudichi “acquisti” di terra, divennero acquisizioni e, nei fatti, espropriazioni da parte di una entità che andava facendosi “stato”, in barba alla Società delle Nazioni, al concetto di “mandato”, alla Gran Bretagna.

E ancora, sessanta anni fa, nessuno volle tenere in considerazione, per ragioni in fondo speciose, la assennata risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu (n° 181 del 1947) mirante a favorire la formazione di due Stati indipendenti.

Comunque, nel 1948, Ben Gurion annunciò al mondo la fondazione dello stato di Israele.

 

 

La politica estera anglosassone (non intendo solo la britannica) è sempre stata, al di là delle forme, trasandata e sciatta; in breve, grossolana perché fondamentalmente “isolana”: eleganti, educati e civili in casa (cioè tra di loro); solo formalmente civili ma in concreto sgraziati e rozzi con gli altri; da dominatori non hanno mai destinato alla soluzione dei “problemi d’oltremare” sufficiente impegno ed adeguate risorse intellettuali; poco interessa la costituzione di equilibri duraturi, dettati cioè da saggezza e lungimiranza, insomma da intelligenza politica. Se poi, oltremare, dovessero sorgere problemi seri, tali da mettere in discussione i loro stessi interessi, si invieranno le cannoniere (nell’ ‘800), i tanks ed i bombardieri (a metà ‘900), i cruise, le bombe chirurgiche (fine secolo, inizio millennio).

La “comunità” anglosassone (Usa, GB, Canada, Australia, Nuova Zelanda) ha tre confini di terra:  due dei tre hanno da sempre qualche problema (col Messico per gli USA e con l’Irlanda per il Regno Unito); non ha problemi il terzo, quello tra USA e Canada, ma è un confine domestico.

A conferma del pressappochismo in politica internazionale, basti considerare che gli Stati Uniti aprono fronti internazionali che poi o non risolvono (con la Corea del Nord c’è solo un armistizio; la Somalia è stata frettolosamente abbandonata a se stessa; con Israele si abbonda in armamenti ma non in soluzioni politiche intelligenti), o risolvono male (Viet Nam, Iraq, Sud America che ormai sta sfuggendo di mano).

Si consideri inoltre che, sebbene promossa dal presidente Wilson (fautore oltretutto dell’autodeterminazione dei popoli), la Società delle Nazioni – antenata dell’Onu – non fu mai ratificata dagli Usa: il Congresso la bocciò non sottoscrivendo il trattato di Versailles (1919); da tempo, per gli USA l’Onu stessa è un impiccio, come la Convenzione di Ginevra, come il Tribunale penale internazionale dell’Aia; mentre la mengheliana Guantanamo – e chissà quanti altri lager -  non imbarazza assolutamente, perché collocata “oltremare”, al riparo da giudizi di concittadini  che “se non vedono, possono far finta di non sapere”. 

E’ di grande preoccupazione il fatto che Israele abbia mutuato velocemente gli atteggiamenti deteriori dei dominatori anglosassoni, primo fra tutti la ricerca di una legittimazione esclusivamente muscolare. Per emulazione, anche sul fronte arabo si pensa ad un riscatto legittimato dalla sola imposizione di soluzioni militari distruttive e finali. E’ un cul de sac, costosissimo su tutti i fronti.

Ma per poter mantenere con successo l’atteggiamento di chi si sente legittimato dalla sola manifesta superiorità militare, per poter imporre cioè la politica delle cannoniere, occorre che Israele diventi l’isola che non è: il muro di Sharon non è altro che il tentativo tragico e perdente di illudere se stessi di abitare un’isola, senza l’immanenza dei problemi di vicinato. [La soluzione del muro è piaciuta agli USA, che hanno la tentazione, oggi, di riproporla al confine con il Messico.].

Insomma, per loro natura, gli anglosassoni non sono in grado di sostenere il ruolo di gendarme unico per molto tempo e senza far seri danni. Per la funzione di gendarmeria mondiale, non resta che sperare in un affiancamento dell’unica superpotenza da parte di chi conosce bene, per averne sperimentato nei millenni  gli effetti sulla propria pelle, l’atroce drammaticità delle conseguenze di errate scelte e di superficiali decisioni politiche nei rapporti internazionali.

L’Europa? La Russia? Certamente la Cina tra qualche anno.

Intanto, Israele e Palestina versano il loro sangue e, con esso, alimentano il più grave e disarticolante problema per la pace planetaria. Contribuiscono altresì ad arricchire le finanze di chi lucra quando la comunità internazionale è tenuta in fibrillazione.

Il mondo dovrebbe, invece,  poter affrontare con saggezza e lungimiranza  ben altre sfide.

Con un po’ di intelligenza (che se però non c’è, nessuno se la può dare) potremmo liberare enormi risorse.

 

Chi ha ragione?

I Palestinesi? Gli Ebrei ?

Disgraziatamente, al di là delle responsabilità, ha sempre ragione la storia che, in assenza di colpi di genio antropologico che ne intuisca il telos,  procede a colpi di genio militare.

Continuare a battersi per chi ha ragione vuol dire non uscire dal dramma, così come continuare a rivendicare diritti di prelazione sul territorio: dovremmo davvero assegnare i territori ai legittimi abitanti? E per individuarli, di quanti secoli dovremo andare a ritroso? Solo di alcuni, per gli Arabi? Di due o tre decine, per gli Ebrei ? Ma allora, per le coste potrebbero farsi avanti i Filistei e i Fenici, per le colline gli Ammoniti. E se si facessero sentire i Madianiti, il cui territorio fu occupato da Mosè e dal suo popolo in fuga dall’Egitto? Purché non accampino diritti gli Ittiti. E perché non gli stessi Egizi, patrocinati dai Berberi, loro probabili eredi?

Comunque, se il genio dell’intelletto (e chi lo detiene) non sopravanza e mette a tacere il genio militare (e chi lo detiene), la storia procede lo stesso con i suoi tempi, macinando sempre e comunque chi prende decisioni ottuse e miopi, di corto respiro e sempre costose.

 

Pur di mantenere il primato del genio militare, qualcuno è riuscito perfino a buttarla in religione…..

 

 



 

Il PuntO n° 73. Continua il saccheggio del risparmio degli Italiani. Il caso Arena.

Arena non ha onorato le sue obbligazioni  scadute il 15.6.2066. Distratte tutte le Autorità.

 

Di Mauro Novelli 27-7-2006

 

L’avv. Fulvio Cavallari (Adusbef Veneto) ci informa che il 15.06.2006, non sono stati rimborsati  Bond Arena scaduti in quella data.

Interveniamo a cose ormai fatte: non è (era) prevista l'adesione al cambio con bond scadenza 2011 da parte del singolo obbligazionista, perchè il documento OPA, pubblicato e approvato da Consob, prevede che l'adesione al cambio avvenga (avvenisse) mediante l'espressione del voto, in persona o per delega nell'assemblea straordinaria dei notheolders tenutasi in prima convocazione l'8 giugno e il 22 giugno 2006 preso uno studio legale londinese. Da notare che la partecipazione diretta o tramite procuratore avviene (sarebbe potuta avvenire) mediante rilascio di apposite istruzioni alla banca depositaria dei titoli, la quale potrà essere (avrebbe potuto essere) destinataria di delega ( pag. 161 del Documento di OPA ).

Tutta l'operazione è stata fatta senza clamore e conclusa nel mese di giugno, fra pochi intimi, in uno studio londinese. E’ un sistema molto elegante (in perfetto stile old time: Argentina/Parmalat/Cirio) aggirare le ire e le azioni di protezione del popolo dei risparmiatori e delle associazioni che li tutelano: siamo convinti che  operazioni del genere si ripeteranno, perché tutti rispettano la legge…..

Il meccanismo è semplice, un Cda avveduto prevede con largo anticipo il default, qualche notizia filtra qua e là ma il tutto viene sostanzialmente passato sotto silenzio, certe operazioni per riuscire devono essere condotte con riserbo. Viene progettato a tavolino uno scambio con altri bond a scadenza differita nel tempo, nel nostro caso dal giugno 2006 al 2011. Ovviamente l'OPA deve avere il beneplacito della Consob, che è arrivato puntualmente. Il prospetto è addirittura pubblicato nel sito dell'organo di controllo alla voce “documenti opa”.

Quindi tutto apparentemente avviene nella massima regolarità, ma ciò che stupisce è che, a differenza degli altri scandali finanziari, la stampa specializzata mette il silenziatore alla notizia: solo qualche quotidiano, come  Il Mattino di Padova, sollecitato dall'Adusbef del Veneto, coraggiosamente affronta l'argomento e dedica al fatto una pagina intera (beccandosi minacciosi strali da Banca S. Paolo). Vengono indette due assemblee degli obbligazionisti una in data 6 giugno e l'altra in data 22 giugno, si badi bene per un controvalore pari a 135.000.000. di euro in bond, e riescono a mettere tutta quella gente in uno studio legale della City. Delle due l'una: o lo studio ha le dimensioni di uno stadio di calcio, oppure sono fioccate deleghe a pioggia, distribuite ovviamente manco a dirlo da avvedutissimi istituti di credito col “Firmi qui…. Firmi qui…. Firmi qui….“.  L'approvazione da parte dell'assemblea degli obbligazionisti, con i quorum e le maggioranze prestabilite, di fatto rende operativo lo scambio e il povero obbligazionista si ritrova un credito differito di ben sei anni, magari solo per aver firmato un modulo accuratamente riempito da terzi, ma altrettanto accuratamente sottaciuto nei contenuti.

Non vogliamo neanche pensare a  quanti altri default passeranno sotto silenzio in questo modo.

Come tuteleremo il popolo degli ignari risparmiatori che sigla documenti sol che gli vengano sottoposti alla firma poiché si fida, ancora, delle banche?

 

 


 

 

Il Punto n° 72. Spese applicate ai conti correnti ed effetto del decreto Bersani.

Un doveroso chiarimento per evitare false aspettative.

Di Mauro Novelli

 

Ai telefoni di Adusbef sono cominciate ad arrivare telefonate di correntisti che lamentano il fatto che il direttore della propria banca “si rifiuta di chiudere il conto a costo zero, come indicato da giornali e televisione”. E’ questo il risultato  deteriore di informazioni grossolane e superficiali passate sui media circa l’effetto del decreto Bersani in materia di spese di chiusura dei conti bancari.

Vediamo perché.

Il contratto di conto corrente prevede, di norma, una serie di spese di gestione a carico del titolare. Dal costo per ogni singola operazione (cioè per ogni riga di estratto conto), al costo per l’invio dell’estratto conto; dal recupero di spese varie (postali, telefoniche), al costo di servizi bancari regolati sul conto corrente (bonifici, utilizzo del Bancomat, ordini permanenti, acquisto titoli); dall’applicazione di tassi passivi e commissioni di massimo scoperto (in caso di  saldi negativi), alle spese  imposte ad ogni “chiusura dei conti” (in genere ogni tre mesi, anche di 40 euro); dall’addebito del bollo per l’invio dell’estratto conto, alle “spese di chiusura” (anche di 100 euro) se previste dal contratto, qualora si decidesse di chiudere definitivamente il rapporto; queste non vanno confuse con le già citate “spese di chiusura dei conti”, contabilizzate secondo la cadenza contrattuale.

Quasi tutte le spese appena elencate possono essere oggetto di  forfetizzazione: alcuni contratti prevedono un costo omnicomprensivo addebitato ad ogni cadenza contabile - in genere  trimestrale - senza ulteriori voci di spesa: quindi, indipendentemente dall’intensità di utilizzo del servizio, quello sarà l’addebito periodico a carico del titolare. Alcune voci di costo  restano indicate individualmente. Tra queste, l’addebito del bollo sull’invio dell’estratto conto e  le “spese di chiusura” del conto (se previste).

Pertanto, un conto attivo regolarmente operativo (ipotizziamolo con contabilizzazione trimestrale) vedrà addebitati ogni tre mesi i costi di gestione (normali o fofetizzati) ed il bollo.

Se il titolare deciderà di metterlo in estinzione, la banca calcolerà ed addebiterà:

-         le spese di gestione  relative all’utilizzo del conto (cioè alle operazioni effettuate)  dall’inizio del trimestre (cioè dall’ultima contabilizzazione dei costi) al giorno di chiusura;

-         il bollo sull’invio dell’ultimo estratto conto;

-         le spese di chiusura definitiva del rapporto (se previste).

 

L’articolo 10 del decreto Bersani offre al correntista che non intenda sottostare alla  richiesta di aumento comunicata dalla banca, la possibilità di chiudere il conto eliminando la terza delle tre voci appena elencate: le “spese di chiusura” del conto.

Spese di utilizzo dall’ultima “chiusura dei conti” e bollo verranno comunque reclamate dalla banca che dovrà applicare le condizioni precedentemente praticate.

 

Decreto legge  4 luglio 2006 n° 223

Art. 10.

Condizioni contrattuali dei conti correnti bancari.

1. L'articolo 118 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n.385, e' sostituito dal seguente:

“Art. 118 (Modifica unilaterale delle condizioni contrattuali).

-1. Nei contratti di durata puo' essere convenuta la facolta' di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni di contratto qualora sussista un giustificato motivo.

2. Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente per iscritto, secondo modalita' immediatamente comprensibili, con preavviso minimo di trenta giorni.

3. Entro sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione scritta, il cliente ha diritto di recedere senza penalita' e senza spese di chiusura e di ottenere, in sede di liquidazione del rapporto, l'applicazione delle condizioni precedentemente praticate.

4. Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci, se pregiudizievoli per il consumatore.

5. Le variazioni dipendenti da modifiche del tasso di riferimento devono operare, contestualmente e in pari misura, sia sui tassi debitori che su quelli creditori.”

 

 Quindi, solo i correntisti che non intendano accettare l’aumento di costi comunicato dalla banca otterranno la chiusura del conto senza l’applicazione della voce “spese di chiusura” e di ogni altra penalità (se prevista dal contratto). In questo caso, al conto in chiusura si applicheranno fino al giorno di estinzione le sole spese di gestione analitiche (costo per operazione, bollo, recupero spese per l’invio dell’estratto conto ecc.) o forfetizzate , secondo i livelli precedentemente praticati.

In ogni altro caso, se cioè l’iniziativa di chiudere il rapporto è del correntista, maturata non in presenza di richieste di aumenti da parte della banca, il titolare dovrà sostenere le spese di chiusura se previste dal contratto e quelle di gestione. E’, ad esempio, il caso di alcuni conti per i quali la banca si è impegnata a non variare le condizioni fino ad una certa data (2008, 2010). La banca non può imporre variazioni prima della data definita e la chiusura decisa dal titolare di un tale conto vedrà applicate le spese previste dal contratto, compresa la voce  “spese di chiusura” se contemplata.

Ricapitolando:

- Se la banca comunica aumenti nelle voci di costo di un conto corrente, il titolare può non accettare e chiudere il conto senza “spese di chiusura”, ma con la sola applicazione delle spese di utilizzo del conto, alle condizioni precedentemente praticate.

 - Se invece il correntista chiude il conto senza che la banca abbia richiesto aumenti, dovrà affrontare tutte le spese indicate dal contratto (comprese quelle di chiusura se contemplate).

Questo è il dettato dell’art. 10 del decreto Bersani in vigore fino alla sua conversione in legge. Ci auguriamo con modifiche.

 

 

 


 

 

Il PuntO. N° 71.  Signoraggio: se è funzione sovrana non può essere “spartito” tra privati.

 

Di Mauro Novelli  22-7-2006.

 

 

Da La Repubblica 22-7-2006 (Pag. 32):

 

LA CASSAZIONE SUL SIGNORAGGIO: NIENTE RIMBORSO AI CITTADINI.

 

ROMA – “Non tocca al giudice sindacare sul modo in cui lo Stato esplica le proprie funzioni sovrane tra cui quelle di politica monetaria, di adesione a trattati internazionali e di partecipazione a organismi sovranazionali”. Lo stabilisce la Cassazione, annullando una sentenza del Giudice di pace di Lecce con cui la Banca d’Italia veniva condannata per “esproprio illecito di moneta”. La vicenda ha origine con un esposto presentato da un cittadino pugliese secondo cui la BCE e appunto la Bankitalia, in occasione del passaggio all’euro, si erano appropriate dei cosiddetti diritti di signoraggio, cioè della differenza tra il costo delle emissioni di banconote ed il reddito che deriva dal loro utilizzo. Il Giudice di pace aveva lasciato intendere che ai cittadini poteva riconoscersi, proprio per via del signoraggio, un rimborso di 87 euro: c’erano state più di 100mila domande e ben 1600 cause. Ora la sentenza: il signoraggio sulla politica monetaria non esiste perché è funzione sovrana: per i cittadini non c’è rimborso.

 

Commenteremo adeguatamente la sentenza appena ne saremo in possesso. Ma, dal virgolettato del giornale, ci sembra di poter affermare che la Cassazione non ritiene di poter giudicare sulla gestione di una funzione sovrana dello Stato. Proprio questa qualifica interessa la nostra azione: se la materia di cui trattiamo è manifestazione di sovranità, lo Stato non può accettare che Bankitalia divida i proventi da signoraggio (5 miliardi di euro fino al 2003) con alcuni privati e non con tutti i cittadini. Infatti, i riconoscimenti monetari di Banca Centrale Europea a Bankitalia (proprietaria della prima all’8,2 per cento) rivenienti dalla gestione del signoraggio, sono stati da Via Nazionale a sua volta riconosciuti ai suoi azionisti: tutte entità private (Inps a parte). Di questi, molti hanno azionisti stranieri.

Ricapitolando, Banca d’Italia, istituto di “diritto pubblico”, come ribadito dall’art. 19 - 2° comma  della legge 262/2005 (detta della riforma del risparmio), è una Spa posseduta da privati. L’elenco e  riportato in calce. I proventi accreditati a Bankitalia (istituto di diritto pubblico) da BCE sono stati suddivisi tra i proprietari privati della nostra banca centrale ( 5 miliardi di euro fino al 2003). Perché non sono andati allo Stato o, in subordine, perché non sono stati divisi tra tutti i cittadini italiani?

Non è il giudice, come sostiene la Cassazione, a poter sindacare la gestione della sovranità dello Stato, ma Corte dei Conti certamente si:  i responsabili di un danno del genere dovrebbero essere attentamente individuati e sanzionati, rivisto e corretto il meccanismo perverso.

 

 

Riportiamo i primi 22 azionisti (definiti ancora “partecipanti”) e le rispettive quote di partecipazione

In  <a href=”                          “> tutti i partecipanti al capitale Bankitalia </a>

 

 

Azionisti della Banca d'Italia

 

 

Gruppo Intesa                                               26,81 %
Gruppo San Paolo IMI                                    17,44 %
Gruppo Capitalia                                          11,15 %
Gruppo Unicredito Italiano                            10,97 %
Gruppo Assicurazioni Generali                        6,33 %
INPS                                                               5,00 %
Banca Carige                                                  3,96 %
Banca Nazionale del Lavoro                            2,83 %
Banca Monte dei Paschi di Siena                     2,50 %
Cassa di Risparmio di Firenze                          1,85 %
RAS-Riunione Adriatica di Sicurtà                    1,33 %
Banca Popolare Italiana già Popolare di Lodi   1,23 %

Cassa di Risparmio di Asti                               0,93 %
Banca delle Marche                                         0,82 %
Cassa di Risparmio di Ferrara                          0,32 %
Cassa di Risparmio di Alessandria                    0,29 %
Cassa di Risparmio di Ravena                          0,26 %
Cassa di Risparmio di San Miniato                   0,22 %
Cassa di Risparmio di Forlí                              0,20 %
Cassa di Risparmio di Bolzano                         0,13 %
Cassa di Risparmio di Rimini                           0,13 %
Cassa di Risparmio di Cento                            0,10 %

 

 


 

 

 

Il PuntO n° 70.  Provvedimenti di governo e liberalizzazioni.

 Per le banche occorrono interventi organici di sistema.

 

Di Mauro Novelli   -   30-6-06

 

Il governo  sta pensando ad interventi di liberalizzazione in molti settori finora ben protetti da corporativismo.

Ben vengano iniziative in tal senso, purché organiche e di sistema.

Le prime informazioni sulle iniziative di Prodi in materia bancaria riguardano i tassi di interesse applicati ai depositi ed ai prestiti. Leggiamo dall’ANSA che “ I tassi di interesse sui conti correnti bancari, sia debitori che creditori, dovranno essere adeguati in contemporanea con le variazioni stabilite dalla Bce”. A parte la mancanza, per il momento, di più approfondite articolazioni sul provvedimento  (in grado di permettere una valutazione più precisamente circostanziata) ci corre l’obbligo di rilevare che il nostro sistema bancario gode di meccanismi incontrollati sulle modalità di variazione di tutti prezzi relativi ad ogni voce di costo dei servizi offerti, e non dei soli tassi. Se non si interviene sulla mansalva garantita alle banche dall’art. 118 del Testo Unico Bancario nell’imporre aumenti a loro insindacabile giudizio (tramite semplice annuncio sulla Gazzetta Ufficiale) potremo anche avere adeguamenti meccanici sul livello dei tassi applicati alla clientela (depositante e affidata) ma non potremo impedire che le banche recuperino i minori introiti variando le altre decine di voci costo.

Infatti il “margine di interesse” è solo una delle componenti delle attività di bilancio, neanche la più pesante.

Nel 2004,  il MARGINE D’INTERESSE del sistema bancario ammontava a 38,992 miliardi di euro, mentre il MARGINE DI INTERMEDIAZIONE era quasi il doppio e pari a 69,702 miliardi di euro.

Per la formazione dell’utile delle banche si veda:

 

<a href=" http://www.adusbef.it/download.asp?Id=4761&T=M">  I conti in tasca alle banche.</a>

 

E’ evidente che regolamentare il “margine di interesse” e lasciare in balia dei “fiorani” il “margine di intermediazione” non risolve il problema derivante da un rapporto sbilanciato ai danni della clientela, (famiglie e imprese).

Ci auguriamo che, al di là dei termini necessariamente stringati del lancio d’agenzia, il provvedimento vada ad opporsi, definitivamente,  a comportamenti bancari eccessivamente onerosi per il paese.

Insomma, speriamo che stavolta il legislatore non si distragga.

 

 


 

 

Il PuntO n° 69. I tedeschi di Germania non sono mai stanchi…

 

Di Mauro Novelli 27-6-2006

 

I tedeschi di Germania non sono mai stanchi di progettare, promettere ed eseguire (se i condottieri lo ordinano) soluzioni finali. Il loro complesso di inferiorità (contrabbandato per complesso di superiorità)  li porta a pretendere sempre che si facciano classifiche e pagelle che mostrino i loro primati temporanei. Insomma, devono sempre e comunque “dimostrare” – anzitutto a loro stessi - che gli altri sono al di sotto. Fino all’esame finale, che  da sempre e  inesorabilmente li boccia. Poi, se trovano un po’ di tempo, qualcuno spiegherà loro che cosa hanno combinato e perché. Hanno sempre da eseguire cose di cui non sanno granché (né vogliono saperne: altri hanno deciso e ordinato) e devono tagliar corto. Ricordate? Per risolvere il problema, suicidarono in carcere l’intera banda Baader Meinhoff. Anche in quel caso, non avevano mica tempo da perdere!

In evidente crisi di astinenza, hanno deciso di procedere ad una soluzione finale anche nell’ambito dei campionati di calcio.

Per carità, diciamo che sono uber alles…. Facciamoli vincere…. Non li contraddite….. Diciamo che siamo sporchi e parassiti e che usiamo trucchetti, mentre loro sono pulitini e indaffarati e benefattori dell’umanità…. Meglio tenerli impegnati col pallone…..

Perché non decidiamo di organizzare e far vincere ai tedeschi di Germania un campionato mondiale di calcio all’anno? Il Pianeta ne trarrebbe giovamento.

 

 

Da La Repubblica del 27-6-06

Un editoriale paragona i calciatori italiani a tipi da spiaggia, capaci di vincere solo con i trucchetti.

Ma non contro i tedeschi. "Italiani, i soliti parassiti". Spiegel prepara la semifinale
"Mammoni, viscidi e perennemente stanchi, non andrete lontano"
Poi una nota della redazione: "Scusate, una frase va oltre la satira"
di CRISTINA NADOTTI

ROMA - Magari vuol essere sottile tattica psicologica, sotto forma di ironico articolo tratteggiato a "fil di penna". Ma l'ultima tirata del settimanale tedesco Der Spiegel sui vizi degli italiani, in questo caso dei calciatori, sa solo di ennesima raccolta di luoghi comuni. Con qualche aggettivo di troppo, che alla fine diventa proprio un insulto: del resto è indimenticabile quella copertina che Der Spiegel dedicò all'Italia durante gli anni di piombo, nel 1977: una pistola sopra un piatto di spaghetti.
Il pretesto, questa volta, lo dà il rigore rimediato ieri al 95' contro l'Australia da Fabio Grosso, e trasformato da Totti: l'editorialista Achim Achilles paragona i nostri calciatori ai tipi da spiaggia che incontra in vacanza sull'Adriatico, ai tanti "Luigi" "forme di vita parassitarie", mammoni "maligni" che sfruttano le donne e sanno solo lamentarsi. La didascalia alla foto del pezzo, Francesco Totti che mima il ciucciotto, la dice lunga: "Totti si succhia il pollice: questo è normale negli uomini italiani".
Dopo la descrizione delle qualità negative degli italiani, il giornale tedesco, nell'edizione online, dà già per scontato che gli azzurri batteranno ai quarti "gli scalcianti taglialegna che vengono dall'Ucraina" (complimenti anche per loro, come si può notare), che la Germania batterà a sua volta l'Argentina e che a quel punto si regoleranno "un paio di conti aperti".
Per arrivare a dire che la Germania batterà l'Italia in semifinale e che il gioco impostato da Lippi non gli piace, Achilles tira fuori di tutto. E dire che è una firma sportiva di "Der Spiegel", autore di un libro sulla sua esperienza di maratoneta amatoriale, titolare di una rubrica, "Achilles' Spezial", molto seguita.
Purtroppo per lui anche da italiani che vivono in Germania, che non hanno preso bene la sua ironia e hanno scritto a Repubblica.it e-mail indignate. Anche alla redazione del giornale tedesco devono essere arrivate parecchie proteste, tanto che in serata dall'articolo viene tolta la frase sugli italiani "forme di vita parassitaria" e appare una nota, tradotta anche in italiano, con la quale si chiede scusa e si sottolinea l'intento satirico dell'articolo. Ma il grosso resta.
In effetti già il titolo non lascia dubbi sulle opinioni di Achilles: "Viscido e insudiciato" si riferisce al passaggio del turno dei nostri azzurri, ottenuto, secondo l'editorialista con i soliti trucchetti, con un rigore "discutibile", da calciatori che ricordano i tipi da spiaggia perennemente affaticati che millantano molto e sono dei buoni a nulla. Ma untuoso, capace di vincere solo in maniera sporca appare nella descrizione del giornalista l'italiano tipo: un punto di vista davvero opinabile, soprattutto perché esplicitato in maniera del tutto superficiale dopo l'osservazione del tipo da spiaggia dell'Adriatico, che, se anche rispondesse alla descrizione, è davvero scorretto assimilare al "tipico italiano".
"L'uomo italiano, chiamiamolo Luigi Forello - scrive Der Spiegel - è una forma di vita parassitaria", non può vivere senza un animale ospite "dal quale succhia più che può". "Luigi Forello - è l'opinione del giornalista tedesco - è perennemente impegnato a mostrare il suo bisogno di aiuto. Se non si chiama Luigi, si chiama Andrea o Luca, ma l'atteggiamento non cambia".
"Il suo obiettivo primario nella vita è l'ostentazione continua di affaticamento - scrive Achilles - e il suo animale ospite preferito è "La Mama", la sua nutrice tettona che gli lava i calzini e gli cucina ogni giorno la pasta con un bel sugo denso". E via a descrivere l'italiano mammone che sta a casa fino a 30 anni, poi si sposa e trasforma una "bella ragazza" in un'altra mamma tettona alla quale non presta alcuna attenzione, impegnato com'è a lucidare la sua Fiat e parlare di auto.
Ma è nello sport che si manifesta meglio tutta la perfidia insidiosa del "Luigi", "come milioni di persone possono vedere ogni anno sull'Adriatico". Ed ecco la descrizione del gioco italiano, che Achilles fa tratteggiando le mosse del tipo da spiaggia che si concede al pubblico dopo una lunga serie di riti vanesi. "Cammina impettito in giro per ore, per giocare alla fine massimo cinque minuti - scrive Achilles - Salta come un cretino tutt'intorno, sbraita come ha visto fare in tv, preferisce giocare la palla a terra in modo da colpire meglio le ossa degli altri".
Tralasciamo la descrizione del bellimbusto che infine si butta in mare per attirare l'attenzione delle signorine (meglio se turiste tedesche, ammette il giornalista). Alla fine dell'articolo la metafora viene spiegata. "Quel che è accaduto ieri non è dunque inusuale - chiosa Achilles - Grosso è caduto in area di rigore e sogghignava mentre era ancora in volo. Il non meno viscido Totti ha trasformato il rigore contro l'Australia, poi si è succhiato il pollice. E' andata come sempre. Venerdì saranno gli scalcianti taglialegna dell'Ucraina ad essere oliati e impastoiati. Così, seppur buoni a nulla, gli italiani arriveranno di nuovo fino alla semifinale. Ma poi, cari Luigi, non sarà sempre domenica. Noi abbiamo ancora un paio di conti aperti dall'ultima vacanza italiana".
L'unica risposta all'articolo di Der Spiegel può darla il campo. Sempre che in semifinale ai "Luigi" non tocchi l'Argentina.
(27 giugno 2006)

 

 



[1]  In quindici anni, con i suggerimenti interessati dei borsini del Belpaese, famiglie italiane ed altri investitori hanno modificato le proprie abitudini abbandonando i titoli di Stato e aumentando fortemente gli investimenti in obbligazioni bancarie che, dal 1991, sono aumentate di quasi 6 volte:

 

Ammontare delle obbligazioni Bancarie.

Fonte Bankitalia – Supplementi al Boll. Statistico “Ist. Finanziarie” Elaborazione Adusbef – Miliardi di euro

 

Totale obbligazioni bancarie…..

… di cui a Tasso fisso

…di cui a Tasso variabile

1991

79,108

 

 

1998

239,546

100,990

138,556

2005

432,366

127,612

 304,754

4-2006

451,834

 

 

 

1) La Dichiarazione di Balfour

Foreign Office - November 2nd, 1917
         Dear Lord Rothschild,
I have much pleasure in conveying to you, on behalf of His Majesty's Government, the following declaration of sympathy with Jewish Zionist aspirations which has been submitted to, and approved by, the Cabinet.
"His Majesty's Government view with favour the establishment in Palestine of a national home for the Jewish people, and will use their best endeavours to facilitate the achievement of this object, it being clearly understood that nothing shall be done which may prejudice the civil and religious rights of existing non-Jewish communities in Palestine, or the rights and political status enjoyed by Jews in any other country."
I should be grateful if you would bring this declaration to the knowledge of the Zionist Federation.

Yours sincerely, Arthur James Balfour

 

 

Ministero degli Esteri - 2 novembre 1917
         Egregio Lord Rothschild,
ho il grande piacere di comunicarvi, a nome del Governo di Sua Maestà, la seguente dichiarazione di simpatia per le aspirazioni sioniste ebraiche che è stata presentata ed approvata dal Governo.
"Il Governo di Sua Maestà guarda con favore la costituzione in Palestina di una casa nazionale per il popolo ebraico e applicherà tutti i suoi sforzi per facilitare il raggiungimento di tale obiettivo, essendo stato assodato chiaramente che non sarà fatto niente che possa pregiudicare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche in Palestina, o i diritti e lo status politico goduti dagli ebrei in ogni altro paese".
Vi sarei riconoscente se portaste questa dichiarazione alla conoscenza della Federazione Sionista.
Sinceramente vostro, Arthur James Balfour