Il PuntO n° 94. Intorno alla morte di Welby.
Di Mauro Novelli 24-12-2006
Mi auguro di poter concludere questa
vita mantenendo uno dei principi irrinunciabili che l’hanno improntata: cercar
di capire – per quanto nelle mie possibilità e prima di chiudere gli
occhi - tutto ciò che mi circonda,
tutti i fenomeni e gli eventi
alla mia portata, tutte le emozioni che hanno agitato la mia vicenda
personale. Con atteggiamento possibilmente olistico, uni-verso, alla ricerca
delle armonie cui partecipare.
Non so se il dispiacere di non
poter riferire ad altri quelle mie ultime intuizioni mi sommergerà.
Dovrò certamente metterlo in conto. Né mi consola l’idea che l’ultimo
laboratorio sarà messo a disposizione di ciascun uomo, ineluttabilmente,
e che quindi tutti potranno utilizzarne gli strumenti in dotazione, in funzione
della valentia su cui far conto.
Parlavo con un amico medico sul
sipario che Welby è stato costretto a tenere alzato anche terminata la
rappresentazione. Concludeva le sue osservazioni fornendomi un argomento ben
più grave di quelli pur disarticolanti ed irriducibili dibattuti attorno
all’atteggiamento che si è imposto Welby. “Perché, si chiedeva, invece
tutti sono d’accordo nel considerare morto un uomo che ancora non lo è?”
Si riferiva, il mio amico medico, all’espianto di organi da trapiantare ed al
momento in cui l’operazione doveva avvenire, da consumarsi obbligatoriamente
nel periodo in cui una persona è da considerarsi “clinicamente” morta.
Non oltre.
Insomma, abbiamo inventato il
terzo stato della vita, (definito però da “ferrei protocolli”, si
consolano gli inventori): vivo, clinicamente morto, morto.
Un po’ come la battuta per cui a
Napoli i semafori hanno quattro colori: verde, giallo, rosso da poco, rosso. Il
“rosso da poco” non vieta del tutto, ma se ci si affretta senza danni…..
Il medico concludeva con
sentimenti manifestamente in subbuglio: “…non si trapianta un organo morto…”.
Non a caso, un uomo “clinicamente” morto si mantiene collegato al respiratore
artificiale, o a qualche marchingegno in grado di mantenerlo morto clinicamente
(protocolli alla mano), per dar tempo all’equipe di procedere alla
rottamazione.[1]
[vedi: http://www.antipredazione.org/ ]
Stavolta tutti d’accordo.
Certo il ricambio da rottamazione
non è originale, non proviene direttamente dalla casa costruttrice; ma
anche se commerciale non si fanno grossi problemi, purché, appunto, sia
prelevato da corpo clinicamente morto secondo i ferrei e salvifici protocolli.
Tutti d’accordo, con affettata
sobrietà, pietà di facciata, benedizioni al seguito per le
sacralità rispettate.
Welby? Poteva pensarci prima……..
Oltretutto, rottamarlo non serve: fornirebbe pezzi di ricambio fallati….
Quando verrà il mio tempo,
mi auguro di poter contare sugli affetti di quanto vorranno farmi compagnia
nell’ultimo esperimento. Ma dovrò restare l’unico tecnico di
laboratorio, fino alla conclusione. Quella naturale, cestinato ogni protocollo:
il “rosso da poco” lasciamolo a chi di esso ha bisogno per rendere accettabili
–anche a se stesso - le proprie azioni.
E’ ancora Seneca a camminarmi a
fianco:
[….]
70
[…]
6 Non
importa morire presto o tardi, ma morire bene o male; morire bene significa
sfuggire al pericolo di vivere male. Giudico, perciò vilissime le parole
di quel famoso rodiese, che, gettato dal re in una gabbia e nutrito come una
fiera, rispose a uno che gli consigliava di non toccare cibo: "Finché
c'è vita, l’uomo ha il dovere di sperare tutto". 7 Se anche fosse
vero, non ci si deve comprare la vita a qualunque prezzo. Ammettiamo pure che
si offrano beni cospicui e sicuri, io non vorrei ottenerli con una vergognosa
professione di viltà: dovrei pensare che la fortuna ha pieni poteri su
chi è in vita e non che è impotente contro chi sa morire?
(Lettere a Lucilio. Libro VIII).
[1]
J'ACCUSE CONTRO LA MORTE CEREBRALE A CUORE BATTENTE
Fonte:
www.antipredazione.org
"Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore
Battente" Indirizzo: Pass. Canonici Lateranensi, 22 - 24121 Bergamo
(ITALIA)
Tel. 035-219255, Fax 035-235660, lega.nazionale@antipredazione.org
La volontà di salvare gli organi ad ogni costo
elimina la volontà di salvare il paziente ad ogni costo
Documento presentato al Parlamento e al Movimento critico
internazionale
La
così detta “morte cerebrale” costituisce il cardine centrale su cui
è basata l'espianto-trapiantologia(1). Senza di essa la chirurgia
sostitutiva centrata sull'espianto di organi da soggetti vivi che
hanno perso la coscienza, non avrebbe avuto un seguito. I pazienti sotto
ventilazione definiti arbitrariamente “cadaveri” dai medici che dichiarano la
“morte cerebrale”, in realtà non lo sono né per la biologia né per la
legge.
Per la
biologia non lo sono perché i pazienti hanno tutti i loro organi perfettamente
funzionanti. Per la legge non lo sono perché la normativa recita: “per
cadavere si intende il corpo umano rimasto privo delle funzioni
cardiorespiratoria e cerebrale”(2).
E' noto
che le funzioni del cervello conosciute costituiscono solo il 10%(4), quindi la
legge 578/93 che all'art.1 dichiara: “La morte si identifica con la
cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo” è
scientificamente assurda(3) perché non si può dichiarare “cessata” una
funzione che non si conosce. Inoltre è stato ampiamente dimostrato da
molti autori(4) e perfino dalla Harvard School di Boston(5) che alcune delle
poche funzioni cerebrali note sono ancora presenti contrariamente a quanto
enunciato dalla legge.
Entriamo
così nel vivo della controversa questione dell'espianto-trapiantologia.
Già
nel 1985 la Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore
Battente dichiarò inaccettabile la “morte cerebrale” e si
costituì in associazione per contrastare tale concetto(6).
La
“morte cerebrale” viene dichiarata sempre (rare sono le eccezioni) nelle prime
24/48 ore dal ricovero di un paziente comatoso, in genere traumatizzato
cranico, in un reparto di Rianimazione, durante le quali non si attua alcun
tentativo serio ed efficace di terapia finalistica.
La terapia
è finalistica solo quando si oppone tempestivamente al processo
patologico in atto. Senza una terapia mirata si instaura un progressivo
deterioramento della corteccia cerebrale, rendendo difficile il recupero del
paziente.
Più
il tempo passa più la sostanza grigia cerebrale, avida di ossigeno,
perde la sua vitalità.
Quindi
l'intervento chirurgico elettivo va sempre e comunque eseguito d'urgenza
allo scopo di decomprimere il cervello. Il tempo in questi casi è
prezioso e quindi andrebbe ripristinato l'intervento decompressivo presso gli
ospedali di prima accoglienza.
Infatti
in passato il chirurgo degli ospedali minori aveva la preparazione per eseguire
tali interventi decompressivi ed era tenuto ad effettuarli. Oggi, allo scopo di
incrementare i trapianti, tali pazienti vengono avviati agli ospedali maggiori,
più lontani, per cui sovente si superano i tempi ideali per il loro
recupero. Così facendo però si salvano gli organi ad ogni
costo.
La
terapia finalistica non viene quasi mai attuata negli ospedali maggiori
deputati al trapianto, poiché i neurochirurghi, pressati dalla richiesta di
organi, sono consapevoli che salvare il paziente ad ogni costo
può significare anche perderlo con l'atto chirurgico o durante il
decorso post-operatorio, perdendo così i suoi organi.
Per
terapia finalistica efficace intendiamo alcuni atti chirurgici:
ventricolostomia, drenaggi extra e subdurali, e quando necessario craniotomia
per ematoma extradurale, eseguiti d'urgenza, possibilmente nei primi
60/120 minuti dall'incidente(7) allo scopo finalistico di decomprimere il
cervello.
E' bene
chiarire che un'aspirazione di pochi cc. di liquido emorragico e del liquor
ventricolare può essere sufficiente a decomprimere il cervello e
così fare ricomparire la coscienza e fare uscire il paziente dal coma.
Antiedemigeni, diuretici e ipotermia cerebrale controllata(8), completano il
trattamento della terapia d'urgenza.
Infatti
un soggetto colpito da un trauma cranico grave, ha sempre un versamento
emorragico endocranico che, modesto nei casi di frattura/lussazione di una
delle prime due vertebre cervicali (modesto perché sono ossa laminari
sottili)(9), diviene al contrario un versamento ematico importante che si trasforma
in un ematoma endocranico più o meno voluminoso in presenza di frattura
della base cranica, cioè delle due rocche petrose che sono ossa molto
vascolarizzate(10).
Notoriamente
quest'ultimo tipo di frattura si diagnostica con estrema facilità anche prima
di ogni accertamento radiologico per la presenza di una otorragia mono o
bilaterale (presenza di sangue che si raccoglie nel padiglione auricolare).
Tale
versamento emorragico infiltrativo e/o ematoma, comprime la massa cerebrale e
quindi lo strato corticale/cerebrale (circa
Stessa
attenzione e tempestività di intervento si impone, è ovvio, per
la patologia emorragica extradurale (ematoma da frattura o grave contusione
delle ossa fronto-parietali). Tali pazienti hanno un tipico ritmo a due tempi:
il paziente cade, si rialza, una piccola arteriola o capillare
corticale/meningeo lacerato sanguina, si forma l'ematoma in un tempo variabile
e il paziente entra in coma alcune ore dopo, quando la raccolta ematica determina
una compressione della corteccia cerebrale.
Sia che
il paziente giunga ad un ospedale maggiore direttamente o dopo aver perso tempo
prezioso nell'ospedale minore, la patologia compressiva, trascorse 2/3 ore dal
trauma, si aggrava. I medici preposti sono consapevoli che sottoporre un
paziente ad un intervento decompressivo può comportare la perdita degli
organi sia in caso di esito positivo (guarigione) che negativo (morte), in
quanto gli organi seguono il destino del paziente.
I
parenti vengono tranquillizzati e tacitati con la frase rituale “faremo tutto
il possibile per salvarlo”, ma rinunciando a qualsiasi intervento chirurgico
decompressivo il destino del paziente è segnato. La dichiarazione di
“morte cerebrale” copre qualunque malpractice ed evitando l'intervento i
neurochirurghi, i rianimatori, i medici legali si sentono comunque al sicuro,
poiché “SALVARE GLI ORGANI AD OGNI COSTO” è in linea con la
filosofia di Stato.
Tale
perverso comandamento elimina il salvare il paziente ad ogni costo, comandamento
questo che affonda le sue radici nella storia della medicina.
Se il
paziente comatoso giunge in ospedale con respirazione spontanea, ciò
significa che i centri respiratori del bulbo non sono compromessi e pertanto
non dovrebbe essere intubato se non per necessità operatoria. Di solito,
però, il paziente arriva già intubato e ventilato
automaticamente, anche quando non è necessario. Da quel momento le sue
condizioni vengono valutate attraverso le risposte riflesse agli stimoli,
l’esame elettroencefalografico e il test dell’apnea (sospensione della
ventilazione, senza svezzamento, e attesa delle ripresa spontanea del respiro),
che viene ripetuto anche più volte consecutive, per valutare la
profondità del coma e stabilire il raggiungimento delle condizioni
richieste dai protocolli dello Stato per la dichiarazione della cosiddetta
“morte cerebrale”. Con questo test si intenderebbe saggiare la
reattività dei centri respiratori alla CO2 (anidride
carbonica che si accumula nel sangue dopo l’arresto). Ma, con l’arresto del
respiro, si provoca anche una diminuzione dell’ossigenazione del sangue
(anossia), la quale, specialmente se viene ripetuta, può determinare un
aggravamento, sovente irreversibile, delle condizioni neurologiche già
critiche di un traumatizzato cranico(12).
A tale
proposito dobbiamo ricordare una legge di fisiologia generale: qualunque
organo, sistema, tessuto o singola cellula, se viene sostituito nella sua
funzione cessa progressivamente di esercitare la funzione, sino alla sua
atrofia. E' una legge ben conosciuta che riscontriamo nella metodologia
dell'intubazione con ventilazione automatica. Ben lo sanno gli anestesisti, che
per svegliare i pazienti dall'anestesia usano il metodo dello “svezzamento
continuo e progressivo”, non utilizzato nel test dell'apnea.
Si
perviene così alla convocazione della commissione medica che decreta,
senza possibilità di obiezione di coscienza, una condizione di patologia
che, rispondendo ai criteri imposti dallo Stato, è dichiarata
irreversibile. Tutto ciò è conseguente alla mancata terapia
d'urgenza. Tale dichiarazione pertanto rappresenta una condanna a morte
annunciata e messa in atto d'autorità dopo un ridicolo periodo di
osservazione di 6 ore che avvia il paziente all'espianto dei suoi organi.
Espianto
che viene eseguito su un paziente che reagisce istantaneamente all'incisione
chirurgica con movimenti degli arti e del tronco, aumento della frequenza del
polso e della pressione arteriosa a conferma della sua vitalità,
rendendo necessaria la somministrazione preventiva di farmaci curarizzanti
(paralizzanti) o di anestetici. E' solo con l'espianto degli organi che
interviene la morte nel senso comune e classico del termine.
Il
voler salvare gli organi ad ogni costo elimina la volontà di salvare
il paziente ad ogni costo e così il concetto basilare della
professione medica primum non nocere viene tristemente abbandonato. E'
tempo di restituire ai medici il diritto/dovere di curare secondo scienza e
coscienza senza limiti imposti dallo Stato e dalle centrali del potere sanitario
che hanno imposto la finzione della “morte cerebrale”(4).
E'
tempo di rivedere drasticamente la legislazione in merito e dare voce ad un
paziente che non può parlare, ma lancia il messaggio “perché non provate
a curarmi?”. Qualcuno dovrà pure ascoltarlo.
Comitato
Medico-scientifico
Prof.
Dr. Massimo Bondì L. D.
Pat. Chir. e Prop. Clin. Università
di Roma “La Sapienza” Patologo
e Chirurgo generale |
Nerina
Negrello Presidente Lega
Nazionale Contro la Predazione di
Organi e la Morte a Cuore Battente |
NOTE
INFORMATIVE
1.
La “morte cerebrale” compare sulla scena medica americana nel
1968, quando dopo il primo trapianto di cuore (Barnard 1967 – Città del
Capo), la Harvard Medical School introdusse i criteri per la definizione di
“morte cerebrale” su soggetti vivi, in coma presunto irreversibile, per
giustificare l'espianto-trapianto.
2.
Definizione di cadavere come da Circolare n. 24 del 24-06-93
esplicativa del D.P.R. 285/90.
3.
Ridefinizione di morte come da L. 578/93, DM. 582/94.
Con la parola morte si accomuna artatamente il paziente vivo sotto ventilazione
dichiarato in “morte cerebrale” sulla base dei protocolli di Stato, e il morto
tradizionale in arresto cardiocircolatorio e respiratorio. Nel passato il morto
era sempre un cadavere, nel presente il “morto cerebrale” non è un
cadavere.
4.
Evans D.W., MD, Consultant Cardiologist
al Papworth Hospital, Hill D.J., MA FFARCS, Consultant Anaesthetist all'
Addenbrooke's Hospital, The Brain stems of organ donors are not dead, Catholic
Medical Quarterly Vol. XL n. 3 – agosto 1989.
Molinari Gf., MD, The NINCDS collaborative study of brain death, n. 81-2286
Bethesda National Institute of Health 1980. Riporta 503 casi nei quali non è stato
possibile trovare invariabilmente una correlazione tra la diagnosi di morte
cerebrale precedente all'arresto cardiaco e la distruzione diffusa del
cervello.
Baldissera F., Ordinario Fisiologia umana, Università Milano, Morte
dell’uomo o della persona?, Bioetica 2, Franco Angeli ed., 1993.
Nannini U.G., Ordinario di Scienze Giuridiche, Valore della persona e
definizione legale di morte - Cedam 1996
Singer P., Presidente Ass. Internazionale Bioetica, 2° Congresso Intern. sulla
“morte cerebrale”, Cuba 1996 La morte cerebrale è una finzione, atti
editi da Calisto Machaco Institute of Neurology and Neurosurgery.
Bondì M., Patologo e Chirurgo generale, Eravate matematicamente certi
che fossero deceduti? Ospedale d'Italia vol. XX n. 5, maggio 1969.
Barrow J.D., I numeri dell'universo, Mondadori 2003 - p. 114 “..la stima
moderna del numero delle connessioni elettriche che il cervello potrebbe
contenere si aggira ad un totale di 1070.000.000.000 di possibili
connessioni...”.
5. Truog
R. D. e Fackler J. Department of Anesthesia Harvard Medical School, Rethinking
brain death ,Critical Care Medicine Vol. 20 n. 12, 1992.
6.
La “Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a
Cuore Battente” si costituisce nel
7.
Barton R. e Cerra F. Department of Surgery University Utah,
University Minnesota, Il trattamento iniziale del paziente traumatizzato - Gli
interventi da effettuare nei successivi sessanta minuti, Stampa Medica, 50 (5)
15.3.'91.
8. Watanabe
Y., Emeritus of Medicine, Once again on Cardiac Transplantation: Flaws In
The Logic Of The Proponents, JPN Heart J. Sept 1997.
Hayashi N., Department of Emergency&Critical Care Medicine,
9.
La frattura/lussazione delle due prime vertebre cervicali se
lede i centri bulbari determina la morte sul colpo.
10.
Koonsman M. e altri, Department of
Surgery -
11. Bondì M. e
Bondì M., Riv. Biol. / Biology Forum, The role of
synaptic junctions in the identification of human consciousness (1998)
pp. 329-334.
Bondì M. e Bondì M., Interpretation of the pathogenesis of the
coma, ECPD Brain consciousness international-symposium, 22-23 settembre 1997
pag. 201-204 –
12.
Coimbra Cicero, - Medico Nneurologista e Prof. Adjunto o
Departamento de Neurologia e Neurocirurgia Un. Federal de São Paulo,
Apnèia na Morte Encefalica, luglio 2001. Implications of ischemic
penumbra for the diagnosis of brain death: apneia testing may induce rather than
diagnose death, 2.7.2001
Coimbra Celso, avvocato, ha presentato (1.3.04) al Ministero Federale la
denuncia Omicidio como pratica medica determinada pelos gestores do Conselho
Federal de Medicina: un'accusa ben circostanziata di omicidio come pratica
medica, nell'esecuzione del test dell'apnea ampiamente usato nel cosiddetto
“accertamento” di “morte cerebrale”.