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3-1-2014 |
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I CELTI DISCENDONO
DAI SUMERI Sulle tracce di
curiose coincidenze di Manlio Farinacci, a cura di Federico Giovenzana – tratto da “Revue
d’Histoire Celtique” I primi spostamenti dei Celti dal loro territorio situato a
Nord della Persia e dell’India, chiamato l’Ariana, avvennero secondo quanto è
riportato, verso la valle dell’Indo a Oriente e quella del Tigri e
dell’Eufrate Occidente circa il X millennio a.C. Anteriormente al primo millennio Avanti Cristo ma senza date
precise essi furono riportati variamente in Europa specialmente nelle Isole
Britanniche coi nomi di Gaelici e Goidelici e in Italia Centrale col nome di Protocelti. Questi, in piccole masse combattive, erano tutti guerrieri
tagliatori di teste di cui facevano orgogliosa mostra appendendole davanti
alle loro capanne (O. Launay). Si definivano
vanagloriosa mente “Gal” che nella loro lingua significa
“potente, coraggioso”, e anche “grande condottiero”. (…) La loro lingua si arricchì di vocaboli dei finitimi persiani e
tribù semitico-accadiche in conseguenza dei presumibili contatti per scambi
commerciali e per l’avvento di regnanti di diversa cultura molto spesso
alternatisi subendo così anche variazioni di pronuncia di alcune parole della
propria lingua. Infatti la “c” dura della loro lingua per l’influenza di
quelle semitiche acquisì un suono fortemente aspirato, simile ad una “h”,
quello cioè che troviamo nella pronuncia toscana della “c” intervocalica,
mentre in altre combinazioni sillabiche essa conservò il suono di “k”. Quella
lingua celto-sumerica in cui sono tutte le stesse
vocali e le due semivocali “w” e “y” oltre al continuo non regolare scambio
tra “b” e “p”, tra “g, k” e “q” e altri adattamenti locali come dimostra ad
esempio il noto immortalato nome di “Nabucodonosor” che di venne anche “Nabukuburriusur, lu gal sha Babeli” significante
“Nabucodonosor il grande Re di Babilonia”, come pure “Nebuchadnezzar”
e altre versioni sempre dovute a qualche diversità delle componenti del nome
di natura agglutinante. Un piccolo esempio di parole celto-sumeriche
chiamate poi indoeuropee possiamo vederlo nel celto-sumerico
“gauh”, “bue”, divenuto “cow” in inglese
(pronunciato “cau”) e “kuh”
in tedesco col significato di “vacca”. Parimenti “lu
gal” sumerico è una testimonianza dell’origine
gallo-celtica della loro lingua il che troviamo anche in nomi dell’accadico e
nei suoi dialetti assiro e babilonese. Al rinvenimento delle pietre o tavolette con incisi caratteri
cuneiformi, ora conservate al British Museum di Londra, nella loro prima lettura non si capì
che la lingua sumerica era di tipo agglutinante (vedi l’ungherese e il
finnico) le cui componenti erano in maggioranza celto-sanscrite.
Vedere infatti l’esempio del nome del Re di Uruk
predecessore di Sargon I° scritto in un unica
parola e cioè “Lugalzagesi” che è formato dalle tre
parole “Lu-gal-zagesi”
che proprio in celtico significano “Il potente calcolatore”. Anche il Re
della dinastia Cassita chiamato “Kurigalzu” aveva
un nome agglutinante scindibile in Kuri-gal-zu.
Quando il Re Sargon I° salì al trono nel 2334
Avanti Cristo, usò nella scrittura il suo dialetto accadico ma verso il 2200
a.C. si tornò a scrivere e usare di nuovo nell’Amministrazione il sumerico
(fu questa continuativa alternanza che trasformò il sumerico in etrusco come
proporremo). Anche secondo quanto scriveva “Le Scienze” n° 261 del Maggio
1996 “…gran parte delle lingue occidentali deriva da una ramificazione
orientale…. Contatti con lingue semitiche in Mesopotamia portarono al
l’adozione di numerose parole straniere.” Il non riconoscimento fino ad epoca recente del sumerico come
lingua indoeuropea in quanto questo popolo lo si presumeva scomparso dalla
Storia e le tavolette con scrittura cuneiforme non erano state ancora
trovate, non ha tenuto presente il fatto che tutte le popolazioni del Medio
Oriente hanno sempre aspirato a raggiungere le terre dove “il sole non
tramonta mai” e che quindi si siano spostate nei secoli verso occidente
seguendo proprio il corso del Sole. Per terra risalendo il corso del Danubio,
per mare con zatteroni alla deriva trasportati dalle correnti in prossimità
delle Coste Nord-mediterranee. I Sumeri dunque in questi spostamenti via mare
sarebbero approdati nelle coste tirreniche a nord dello sbocco del Tevere nel
territorio già abitato dai Protocelti, riportati
nell’albero genealogico delle lingue indoeuropee dei sovietici-caucasici Gankrelidge e Ivanovic e dal
tedesco A. Schleicher, respingendoli man mano nella
loro espansione, verso le zone sabine ed umbre attuali come riportato nel
testo di Storia delle Scuole Pontificie del 1789. Che i Protocelti
abbiano abitato anche le coste della Toscana e dal Lazio è testimoniato dal
fatto che in alcune tombe di Tuscania furono trovate alcune Svastiche attribuite
ai Celti ivi insediati prima dell’arrivo degli Etruschi dai quali essi furono
respinti verso l’attuale Umbria della riva sinistra del Tevere. In queste
zone a etnia mista oltre le svastiche si trovano altri reperti tipici dei
Celti quali le Rune (la Runa Raido significante “il
viaggio dell’anima dopo la morte” vastamente ripetuta, nella roccia di
soffitta a volta, d’una tomba etrusca sulla sponda di un torrente presso
Baschi e un bacino femminile della fecondità tipicamente celtico, nella stessa
zona). Siccome simili reperti sono rinvenibili soltanto nelle zone di confine
non li si può attribuire decisamente alla cultura sumero-etrusca avente la
stessa origine ma diverso sviluppo in quanto detti reperti non li si rinviene
in altre zone a etnia prettamente etrusca. A testimoniare il protrarsi nei
secoli delle lotte in Italia centrale tra i Sumeri chiamati ormai Etruschi
(dal celtico “Tursh” che significa arcigno,
altezzoso, e riportato nelle Tavole Iguvine come Tursce)
e i Protocelti chiamati ormai Galli da Gal = coraggioso, le quali lotte culminarono in periodo
storico con l’occupazione di Roma nel 387 a.C. perché considerata etrusca e
quindi da debellare da parte dei Celti Galli e Sanniti, esistono il sarcofago
dell’Abbazia di Farfa in Sabina in cui sono raffigurati gli Etruschi a
cavallo e coperti di vestiario in combattimento contro i Celti nudi e a
terra, quello di Pieve di Perugia con la stessa raffigurazione e infine
quello del museo Celtico di Treviri in Germania di cui non si conosce la provenienza
italica, anche questo con la stessa raffigurazione. L’accordo di confine che pose fine agli scontri invece
raggiunto pacificamente tra Etruschi e Celti, Tursce
e Naharci (Celti del Nera) delle Tavole Iguvine,
nella città sacra del paganesimo celtico non dissimile da quello etrusco per
simbolismo e riti comuni, accordo limitato alla zona sacra dell’attuale città
di Gubbio, è dimostrato dal nome accadico-sumerico di Ekibié
(nome dell’Arca della Alleanza Ebraica) latinizzato, nel riportarlo, in Agabium, col suo significato appunto di Accordo o
Alleanza sacra, e che è divenuto in italiano Gubbio dall’Agobbio
menzionato come tale da Dante Alighieri nella Divina Commedia parlando di
“Oderisi d’Agobbio”. L’analogia tra la Valle
Ternana e quella di “Nocera Umbra-Gualdo Tadino” con a occidente di entrambe
relativamente Carsulae e Agobium,
la si desume dalle ricerche archeologiche, storiche, linguistiche e di con
figurazione orografica, effettuate dallo studioso Sante Cioli.
Infatti al centro di dette Valli, egli fa rilevare, come per quella ternana
vi è il paese di Cesi sotto la “penna” di Sant’Erasmo e il monte sacro di
Torre Maggiore con in cima i suoi Santuari, in quella Nocerina vi è il paese
di Colle sotto il monte la “Penna” e il Monte Merlana con in cima i suoi
Santuari. Il toponimo Merlana non è che l’italianizzazione ortografica
del gallo-celtico “Maer” che si pronuncia “Mer” e significa “Maggiore” e “llana”
che è il plurale di “llan” che significa
“santuari”. Quindi “Merlana” è Santuari Maggiori analoga a Torre Maggiore. La presumibile epoca dell’arrivo sulle coste Tirreniche di
questi Sumeri combaciante con quella altrettanto presumibile dell’arrivo
degli Etruschi in detta medesima zona, con la loro lingua misto di sanscrito
e persiano come dimostrato recentemente dal Bernardini Marzolla
nel libro “L’Etrusco una lingua ritrovata”, e le varie particolarità della
pronuncia toscana in rapporto a quelle semitiche attuali, potrebbe
convalidare molto logicamente la tesi che i Sumeri ritenuti misteriosamente
scomparsi dalla Storia o assorbiti dagli ebrei secondo qualche tesi di
costoro, siano in realtà gli Etruschi. Anche essi quindi di origine celtica come ora si sta tentando
di dimostrare con ulteriori tesi a volte anche azzardate secondo il nostro
parere, benché apparente mente tutte logiche e verosimili. Il fatto che nelle Tavole Iguvine sia specificato che “dai
Riti della Confraternita degli Atiedii in Gubbio
siano tenuti lontano i Tursce (Etruschi) e i Naharci (Celti Umru)” deve
suggerire l’idea che i Celti di tutta la riva sinistra del Tevere
estendentisi fino alla riva destra del Nera (Nahars)
venivano chiamati Naharci, cioè popolazioni del
Nera, non in quanto tali per i loro insediamenti presso il fiume i quali
invece si estendevano fino a Nord nelle Marche anch’esse celtiche, ma perché
appartenenti alla religione che aveva i suoi centri più importanti presso il
Nera (zona di Terni) che dava loro il nome, con al centro di essa la Montagna
Cosmica di Torre Maggiore (Terra Majura) e Carsulae (Car-suli) capitale o
città sacra del Paganesimo celto-germanico. Questa
quando fu chiaramente minacciata dal Benedettismo
della Chiesa Cattolica provocò le invasioni dei Longobardi che si insediarono
a Spoleto in sua difesa, come poi a Benevento in difesa di Juvanum, Sepino ecc. nel Sannio e a Pavia in difesa della
Celtica-Padania. La grande vallata di Nocera Umbra con inclusa Gualdo Tadino,
confinante con Gubbio al suo occidente come abbiamo già riportato, secondo i
reperti archeologici celtici di ogni tipo in essa scoperti, inclusi i
toponimi e la sua configurazione orografica era analoga a quel la di
Interamna (Terni), come risulta ripetiamo dalle lunghe accurate ricerche
dello studioso Sante Cioli di Colle di Nocera, per
cui non essendo detta Valle situata presso il Nera, i suoi abitanti Celti Umru “da tener lontani dai Riti degli Atiedi”
non potevano esser chiamati Naharci se non per
“appartenenza religiosa”. Se la detta Civiltà Sumerica di cui stiamo parlando in
relazione agli Etruschi, che per importanza fu la prima del Medio Oriente,
non era mai stata definita celtica per mancanza di informazione, (la scoperta
delle tavolette sumeriche con scrittura cuneiforme è molto recente) quella
del III e II millennio a.C. fiorita in zone diametralmente opposte e cioè
presso le Coste del Mediterraneo orientale, vagamente ubicate tra Galazia (Anatolia) e Galilea, è sempre stata definita
come grande civiltà indoeuropea. Quella cioè degli Ittiti, guarda caso anch’essi scomparsi
dalla Storia. (Scherzi dei Concili di Laodicea e Nicea
?) Alcuni ricercatori affacciano l’idea che gli Ittiti fossero
frange sumeriche verificatesi nello spostamento verso occidente appunto dei
Sumeri erranti non inglobati nei Caldei, i Babilonesi e gli Accadi, basandosi
su analogie linguistiche e culturali nonché sulle datazioni. Ebbene, studi approfonditi sono in corso di effettuazione
partendo dalla considerazione che gli Ittiti in quanto Celti erano parimenti
ai Galilei e i Galati, adoratori del Sole, chiamati Esseni in Galilea come lo
fu il Gesù di Nazareth (Rotoli di Qumram). Figli
dunque e adoratori del Sole. Le ricerche linguistiche, oltre a quelle archeologiche che
forniscono reperti di una simbologia del tutto identica in molti casi
farebbero individuare gli Ittiti poi nei Troiani. Quindi non popolazioni
scomparse anche questi ma sempre spostatisi verso l’occidente dove il Sole
non tramonta mai. Non ci dilungheremo molto su questo argomento per altro a
volte anche controverso ma faremo presente che se il Sole in galileo-aramaico
Aesun ha dato il nome di Aessen
ossia Esseni ai Celto-galilei, essendo i Troiani
adoratori del Sole in quanto Ittiti, furono chiamati da coloro che li
portarono alla ribalta storica, cioè i Greci, col nome del sole in lingua
greca che è Elios (pronuncia Ilios). Allora quando Virgilio nel Sesto Libro dell’Eneide riporta i
Teucri o Troiani fondatori di Roma, col suo linguaggio esoterico ormai
dimostrato intendeva i Celti che non taceva provenire dalla Valnerina Umbra come Terenzio Varrone,
ma dalla Troade immortalata dai poemi omerici. L’Impero Romano richiedeva ora origini più nobili di quelle
dei pastori umbri Romolo e Remo e, Virgilio, celta di Mantova, lascia però
comprendere la celticità dei Teucri facendoli
attestare originariamente “per chiedere protezione”, in Sabina molto lontano
dal loro approdo, presso la reggia del Re Picus
(mai esistito) ma che in realtà era il Dio Fallo adorato dai Celti (Picus latino è il Picun celtico
che significa Fallo). Perché i Celti ribadiamo erano adoratori del Sole e del Dio
Fallo (Bel-ten) protettore della procreazione e
della fecondità in generale. E la “protezione” richiesta dai Teucri era solo
di questo genere. A Carsulae il primo Santuario salendo
la Via Sacra venendo dalle Terme era quello fallico e l’ultimo era quello del
Sole. Per quanto riguarda la lingua sumerica che presumiamo di
ritrovare come sottofondo del toscano diverso dall’Umru
per gli apporti persiani e semitici, riporteremo che il nome maschile
sumero-accadico Awil (“to my
brother Awil” del testo
inglese che ne tratta ) lo troviamo solo in un reperto celtico di Todi come Awile, quella Todi considerata porta etrusca verso la
Celtica il cui nome etrusco originario era Tular
che significa appunto Porta (Tor in umru) divenuta
poi Tuder in latino. Non sappiamo se in qualche
scritta etrusca vi sia altro caso di Awile. Secondo
qualche glottologo germanico “Awil” potrebbe essere
anche “Aghil” dato che la “w” nelle lingue europee
diventa spesso “gh” come in italiano Wald diventa Gualdo, Walter diventa Gualtiero ecc., il
che potrebbe essersi verificato nel nome Awil
sanscrito divenuto Achil(eos)
in greco. L’Achille dell’lliade infatti ha origine
sanscrita-vedica dato che l’Iliade omerico è l’adattamento in ambiente greco
del poema sanscrito Mahaharatta come l’Odissea lo è
del Ramajana e le Favole di Esopo lo sono del Pancha Tantra. (Odisseus che si
perde nei mari è la trasposizione del principe Rama che si perde nelle
foreste dell’India). I Troiani, alias Ittiti, ne sarebbero stati i portatori
oralmente in Grecia e quindi in Europa. Questo contribuisce a determinare da
quando sono state effettuate le comparazioni, che la Cultura Classica era di
origine indoeuropea parimenti alle lingue che come l’etrusco irriconoscibile
come celto-sumerico al primo impatto aveva subìto
apporti e adattamenti nell’alternarsi, come lingua del potere, del sumerico
all’accadico e al babilonese. Come riportato da vari studiosi d’Israele con
motivazioni e spiegazioni molto convincenti. Che i testi del Mahabaratta, Ramajana e Pancha Tantra siano stati portati oralmente dagli Ittiti
o Teucri verso la Grecia e un fantomatico ipotizzato Omero li abbia
trascritti, riportandolo tra il IX e VII secolo a.C., potrebbe essere
dimostrato dal fatto, oltre che dalle date approssimativamente combacianti,
che in Europa non si è mai trovato nulla che fosse stato scritto dai Celti
perché i Druidi non insegnavano a scrivere in quanto “conoscere” doveva
significare “ricordare a memoria”. Giusto perché ciò che fosse stato scritto e non affidato alla
sola memoria sarebbe stato prima o poi dimenticato. La sola scrittura usata e
riservata ai Druidi era quella con segni runici per le invocazioni agli Dei.
Si spiega così allora il mistero dei due poemi di Omero definito variamente
scrittore o poeta ma non autore la cui esistenza perfino è messa in dubbio. Le prime popolazioni dell’Italia Centrale dunque insediate dal
Tirreno all’Adriatico (Sabina, Umbria, Marche) furono come già detto i Celti,
chiamati Galli, che lo sbarco degli Etruschi sulle coste del Tirreno, spinse
verso l’interno della Penisola, nella zona tra il Tevere e le sponde del
Nera. Poi la discesa dei Galli Senoni dalla Padania lungo le coste adriatiche
spinse anche qui i Celti verso l’interno e così cominciò a configurarsi la
“Celtica”, che verso il X secolo era composta grossomodo (dato il continuo
spostamento di confini e denominazioni) dall’Umbria, Sabina e Basse Marche,
ossia Piceno e Sannio. Alcune frange isolate erano presenti compatte fino al
Gargano (la Foresta Umbra era il loro Bosco Sacro più importante), come in
altre zone della Puglia e della Lucania con frange fino in Campania, il ché è
testimoniato da certe caratteristiche esistenti nella zona Nocera-Nola a
popolazione originaria picena. Infatti, a parte la ripetizione del nome
Nocera (campana) e Nocera (umbra), nella città di Nola esiste la festa pagana
chiamata Corsa dei Gigli identica in tutto a quella di Gubbio chiamata Corsa
dei Ceri. Anche qui i gigli erano simboli fallici come quelli di Gubbio,
trasformati e coperti di Santi cattolici e si svolge anche qui nel mese di
Giugno. Ma tutte queste ultime località non conservarono le caratteristiche
della Cultura Gallo-celtica, perché furono sempre più assorbite dalla Cultura
Greca e quindi da quella Araba dell’Italia Meridionale, del cui Regno di
Napoli e Sicilia fecero parte. Al primitivo insediamento gallico della “Celtica” seguì, tra
il V e IV secolo, quello degli Umru, che furono
chiamati Nahars quelli della riva destra del Nera e
Sab-Saf quelli della riva sinistra. Scriveva Strabone: “Umbria est regio Italiae
vetustissima et nobilissima”, intendendo con detto nome anche la Sabina. La
risultante Cultura Romana, se era di scuola e ispirazione greca per quanto
riguarda l’arte della scultura, era celtica-umru
per quanto riguarda la Poesia e la Letteratura in generale. Erano infatti di
origine celtica Virgilio di Mantova, Properzio di
Assisi, Plinio di Spello (con provenienza comasca?), Tacito di Terni, Ovidio
di Sulmona celto-sannita, Plauto di Sarsina Umbra,
Catullo del Veneto, Tibullo Umbro e Livio Patavino. Consulta anche: http://www.centrostudimalfatti.org/cms/category/s3-monografie/c19-personaggi-umbri/#sthash.ZakJFzv1.dpuf |
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