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Documento inserito il: 29-12-2012

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Congelati o arrostiti, dovete mori’!

Di Mario Giardini  (29-12-2012)



Il 28 aprile 1975 (pag 64) Newsweek pubblicò un articolo che cominciava così: “Ci sono minacciosi segnali che le condizioni climatiche stanno subendo modificazioni drammatiche e che tali cambiamenti possono provocare una drastica diminuzione nella produzione di cibo – con implicazioni politiche serie – in praticamente ogni nazione del mondo. La caduta della produzione di cibo potrebbe incominciare molto presto, forse entro dieci anni da oggi.”

Seguivano molti dettagli sulla tragedia incombente. “Le regioni più esposte saranno quelle che producono le maggiori quantità di grano”. Si elencavano i segni premonitori: nella Gran Bretagna “la stagione per l’agricoltura su è accorciata di due settimane.” In America, nel solo mese di aprile, “148 tornados hanno causato 300 morti e mezzo miliardo di dollari di danni.” Se il cambiamento climatico è tale quale alcuni pessimisti temono, “le epidemie di fame potrebbero essere catastrofiche”.

L’articolo proseguiva dicendo che “i meteorologi non sono d’accordo sulle cause”, ma sono “almost unanimous in the view that the trend will reduce agricultural productivity for the rest of the century”.

Quali erano i fatti scientifici a conferma di questa previsione? “La diminuzione delle temperature medie del pianeta di circa 0,5° C fra il 1945 ed il 1968”, come mostrava uno studio del Dr Murray Mitchell del NOAA (National Oceanographic and Atmospheric Administration”.

Altri dettagli “confermavano” la teoria. “Foto di satellite mostrano un brusco, ampio aumento di aree coperte da neve nell’Emisfero Nord durante l’inverno 1971-72”. Inoltre, l’insolazione fra il 1964 ed il 1972 si ridusse del 1,3% (uno virgola tre per cento). Qui è interessante notare il collegamento fra radiazione solare che raggiunge il suolo e temperatura. Oggi gli ambientalisti negano che l’attività solare abbia una qualche influenza sul riscaldamento globale: è tutta colpa della CO2 prodotta dall’uomo, sostengono. Ragionate con la vostra testa: fatto 100 il contenuto di CO2 nell’atmosfera, meno del 3% è di origine antropica. Il resto ha un’origine naturale: proviene in prevalenza dai mari. Un aumento di temperatura media dell’acqua provoca un aumento del rilascio nell’atmosfera. Una diminuzione, il riassorbimento. Dire che è quel tre per cento scarso che fa la differenza è una barzelletta, non trovate?

In quel decennio ci furono molti allarmi simili a quello lanciato da Newsweek. Oltre ai media, numerosissime altre voci si aggiungevano per confermare la previsione di un’imminente catastrofe per l’umanità. “La minaccia di una nuova era glaciale deve essere ora tenuta presente insieme a quella di una guerra nucleare come fonte di morte e miseria su larga scala per il genere umano”. N. Calder, International Wildlife, 1975.

“Il continuo, rapido raffreddamento della terra a partire dalla seconda guerra mondiale è in accordo con l’aumento nell’inquinamento dell’aria a livello globale, causato dalla industrializzazione, meccanizzazione, urbanizzazione e alla esplosione demografica” R. Bryson, Global Ecology, 1971.

E’ interessante notare che, anche se non citata, la CO2 qui è considerata causa di raffreddamento e non di riscaldamento.

C’erano anche voci che invitavano a non trarre conclusioni affrettate da “relatively small changes in temperature and sunshine” che potevano alla fine rivelarsi fortemente fuorvianti (“highly misleading”). Qualche scienziato rammentava che le temperature medie fra il 1600 – 1850 erano state inferiori di circa 7°C rispetto ai periodi più caldi del pianeta.

Cioè, in altri termini, che la banda di oscillazione della temperatura media può essere quindici volte superiore alla variazione che fu registrata fra il 1945 ed il 1968. Voci isolate, perse nel vociferare dei pessimisti. La stragrande maggioranza degli “scienziati” accettava l’idea di un’era glaciale in arrivo. E invitava, proprio come oggi si fa, a “prendere misure immediate”. Cioè a spendere soldi: i nostri, ovviamente. Non ebbero il successo che in questi ultimi anni hanno avuto le inarrivabili sòle dell’IPCC.

Di buono c’è che nessuno diede del negazionista agli scienziati che invitavano alla calma. Perché le cause dei periodi glaciali erano allora, e sono ancora oggi, un mistero avvolto in un enigma, anche se nessuno ha il coraggio di ammetterlo.

La National Accademy of Sciences nel 1975 ricordava a tutti che: “Our knowledge of the mechanism of climatic change is at least as fragmentary as our data. Not only are the basic scientific questions largely unanswered, but in many cases we do not yet know enough to pose the key questions.”
Da allora non è cambiato molto. A partire dagli anni ’90, essendosi rivelata una farsa la profezia dell’imminente era glaciale, gli stessi individui incominciarono a propagare la tesi opposta: il pianeta si sta riscaldando, e, se non facciamo qualcosa, andrà a fuoco. Con un’aggiunta, fondamentale, che fu appena adombrata negli anni ’70: la causa del cambiamento (che allora si riconosceva largamente ignota) è l’uomo (e le sue attività, cioè la crescita economica, cioè… il capitalismo). Cominciava l’età dell’oro dell’eco business.

Cito dal Summary for Policymakers del IV Assessment Report dell’IPCC pubblicato nel 2007.

Intanto, giurano tutti sul fatto che ci si basa su “observational evidence”, cioè dati ottenuti studiando l’ambiente, che dimostrano che “molti sistemi naturali sono colpiti da cambiamenti climatici a livello regionale, in particolare aumenti di temperatura”.

Questo è un non argomento: il clima è variabile da sempre. E da sempre, se cercate, troverete aree del pianeta che si riscaldano. Se non vi fermate nella ricerca, ne troverete altre che si raffreddano. L’altalena è la norma. E’ così da sempre, ripeto: la parte meridionale della Groenlandia era libera da ghiacci nell’anno 1000, ora è ghiacciata. Nel 1600 a Londra si tenevano le “ice fairs” sul Tamigi gelato, che adesso, come tutti possono costatare di persona, si è sghiacciato e continua a essere sghiacciato tutto l’anno. Cinquemila anni fa il Sahara era una verde savana che ospitava elefanti, leoni e giraffe, ed era solcata da un’infinità di fiumi.

Ancora il Summary. Una rivisitazione dei dati disponibili a partire dal 1970 ha mostrato come probabile (likely) che “il riscaldamento di origine antropica ha avuto una influenza visibile su molti sistemi fisici e biologici”.

“Altri effetti dei cambiamenti climatici a livello regionale sull’ambiente naturale e umano stanno emergendo, anche se per molti di loro sono di difficile individuazione a causa dei meccanismi di adattamento e di fattori non climatici.” Cioè in parole povere: non si vedono, ma ci sono. Apprezzate anche la voluta ambiguità, il dire e il non dire. Molto scientifico! D’altronde, non si può pretendere di più: il Summary è approvato, parola per parola, da politici, e non da scienziati.

Come esempio per corroborare quanto sopra si cita la “heat related mortality in Europe” (l’ondata di caldo del 2006).

Notare:

a) con quanta eleganza si sorvoli sul fatto che negli anni ’70 si urlava ai quattro venti che ciò che ci minacciava era una nuova era glaciale.

b) come un episodio di breve durata (che dovrebbe rientrare tra le variabilità tipiche del tempo) venga invece considerato prova di variazioni climatiche, cioè una conferma della tendenza di lungo periodo

Ci dobbiamo sentire rassicurati. Infatti : “informazioni più specifiche sono oggi disponibili”, le quali permettono di capire meglio la natura dei futuri impatti. Cioè: oggi sappiamo prevedere meglio di quanto facessimo ieri. “Magnitudes of impact can now be estimated more systematically for a range of possible increases in global average temperature”.

A questo punto compare una tabella denominata Figure SPM2, pag 16, che ha per titolo “Key impacts as a function of increasing global average temperature change”.

Prima di addentrarsi nella lista di orrori riportata dalla tabella, leggiamo il sottotitolo: “gli impatti varieranno a seconda della capacità di adattamento, di quanto cambierà la temperatura, e del ciclo economico”. Una difesa preventiva che rende impossibile la verifica delle previsioni.

La tabella riporta cosa accadrà all’acqua: “hundreds of millions of people exposed to increased water stress”. Agli ecosistemi: fino al 30% delle specie saranno a rischio di estinzione con un aumento medio di temperature di 2°C. Se arriviamo ai 4-5°, ci saranno “significant extinctions around the globe”. Per il cibo: “productivity of all cereals decreases in low latitudes” e “complex, localised negative impacts on small holders, subsistence farmers and fishers”.

Alle coste: “about 30% of global coastal wetlands lost” e “millions more people could experience coastal flooding each year”.

E, infine, gli effetti, terrificanti, sulla salute umana: “increasing burden for malnutrition, diarrhoeal, cardio-respiratory and infectious deseases”; “increased morbidity and mortality fom heat waves, floods and droughts”; “changed distribution of some desease vectors” e “substantial burden on health services”.

Se prendete la mappa pubblicata da Newsweek e quella pubblicata dall’IPCC, dove si mostrano le regioni sulle quali si sarebbe abbattuto il maggior peso del cambiamento climatico (glaciazione e riscaldamento), troverete che sono, praticamente, le stesse. Trent’anni fa, dovevano congelare; oggi, ci assicurano, andranno a fuoco.

Non contenti di tale apocalittico scenario, viene riportata un’altra tabella che mostra gli sconquassi provocati dal riscaldamento globale su eventi climatici estremi quali siccità, cicloni, precipitazioni.

Fermiamoci qui. Tutto ciò è basato su cosa? Ebbene, su un aumento, negli ultimi trent’anni, di circa 0,5-0,6 °C della temperatura media al suolo se misurata con le stazioni a terra. Le misure da satellite dicono 0,4°C. La precisione di tali misure è un segreto custodito con assai più cura della combinazione dei forzieri di Fort Knox.

Rammento che l’annuncio della nuova era glaciale si basava su una diminuzione di temperatura media dello stesso ordine di grandezza: 0,5°C. Tra l’altro, dopo il 1998 la tendenza si è invertita, nel senso che gli aumenti, su scala decennale, sono inferiori a quelli dei decenni precedenti: il ché significa che, se la tendenza rimane tale, fra 30 anni saremmo tutti a dire che le temperature medie sono diminuite troppo e che una nuova era glaciale è alle porte.

Tra la fine dell’800 e gli anni ’40 del novecento ci furono altri due allarmi. Intorno al 1895 si temette e si gridò, in tutto il mondo, al disastro a causa del freddo. Tra il 1920 ed il 1940, invece, l’allarme fu dato per il caldo.

Insomma: quattro allarmi planetari in poco più di un secolo. Due che minacciavano sfracelli da gelo, e due che minacciavano e minacciano gli stessi o peggiori sfracelli per il caldo. Dal fuoco al freezer, e viceversa, quattro volte in cent’anni.

Un po’ troppe per prendere sul serio questi catastrofisti della multinazionale della sfiga, ai quali basta mezzo grado di differenza di temperatura per provare a spaventarci a morte, al fine di …salvare il pianeta? No: al fine di tirare su dei bei soldi.

In un prossimo articolo ci occuperemo di come siano verdi … i dollari.

Mario Giardini