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inserito il: 11-10-2012 |
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Formiche n° 73 2012 Dalla rivista (formiche .net) Sudditi dei tecnici. Antagonisti dei politici Di Giuseppe De Rita
La sovranità slitta sempre più in alto, nel
potere incontrollato della finanza internazionale, con flussi e ricatti di
potere che non hanno precedenti nella storia dell´occidente. Per centocinquant´anni siamo stati abituati
all´idea che la sovranità sta nello Stato e nella politica che lo gestisce ai
vari livelli. Ma oggi siamo ogni giorno più consapevoli che la sovranità si è
spostata altrove. Certo non sta più nello Stato, visto che in molti
casi (si pensi alla Grecia) l´autorità statuale è persino umiliata da
decisioni prescrittive provenienti dall´esterno, l´impotenza della politica
nazionale e delle assemblee rappresentative è evidente, assistiamo
addirittura all´imposizione di un´etica eterodiretta rispetto alla dinamica
socio-statuale propria. Non sta evidentemente né nelle sedi
tradizionali del potere politico (le assemblee elettive), né nelle cinghie di
trasmissione dalla base sociale a tali sedi (la rappresentanza): si pensi al
ripetitivo "ce lo impone l´Europa" dei nostri politici, valido addirittura
per le riforme del mercato del lavoro interno. Ma la sovranità non sta più neanche negli
organismi sovranazionali, ormai svuotati della loro base di rappresentanza
degli Stati membri e spesso ridotti a meri portavoce dei vincoli che i
mercati impongono alle varie comunità nazionali. La sovranità slitta sempre più in alto, nel
potere incontrollato (democraticamente e collettivamente incontrollato) della
finanza internazionale, con flussi e ricatti di potere che non hanno
precedenti nella storia dell´occidente. Tutto è nascosto nel mitico termine
"mercati", di cui nessuno conosce il vero funzionamento, tranne
forse i dirigenti di Goldman Sachs e i loro sodali attivi nei vari centri di
potere sparsi per il mondo. La sovranità si è quindi radicata nella
categoria nazionale dei "tecnici", che sono legittimati
dall´esterno e perciò possono permettersi di dire alla politica, al
sindacato, all´opinione pubblica: "Si fa come diciamo noi, o si rischia
il fallimento". Il furto di sovranità che tutti i giorni viviamo viene
da quell´argomento, cioè dall´oppressione inaggirabile del debito pubblico.
Così, si è costituito un governo tecnico fondato non sulla competenza, come
si sente sempre dire, bensì sull´appartenenza, basato sulla scelta esplicita
di un presidente del Consiglio interno al circuito che regola i flussi
finanziari internazionali e su una scelta implicita di primato del mercato
sulla politica. E il popolo? Sovrano in Costituzione,
destinato alla piazza o al mugugno. L´austerità ci viene imposta dall´alto, da pochi,
arriva da regioni lontane e viene subita dai cittadini. Si tratta di un
processo opposto rispetto alla lunga saga dello sviluppo italiano, che è
stato di popolo, attivato dal basso, fatto dai tanti soggetti che proliferando
hanno determinato la massa critica che ha permesso al Paese di diventare in
cinquant´anni ben altro da quello che era uscito dalla guerra e dal fascismo.
Anche in tempi recentissimi, questa forma sociale dello sviluppo è stata la
chiave della specificità italiana, di un sistema capace di generare benessere
diffuso grazie a un meccanismo di creazione della ricchezza al quale
riuscivano a partecipare praticamente tutti gli italiani, tramite l´impresa
diffusa e le pratiche del reddito combinatorio familiare. La vitalità molecolare non è stata priva
però di intelaiatura istituzionale. A lungo hanno operato i grandi partiti di
massa, compattatori ideologici e organizzativi della molteplicità sociale
sempre più crescente; poi i soggetti intermedi, dai sindacati dei lavoratori
alle tante forme della rappresentanza; poi ancora le nuove modalità di
organizzazione sociale dal basso, dal volontariato all´associazionismo. La
soggettività economica, la spinta all´individualismo, formidabili motori
della crescita socio-economica, hanno sempre avuto dei pendant
socio-istituzionali. Una prima uscita possibile dall´attuale
meccanismo processuale di perdita di sovranità è l´accettazione della
extra-sovranità, che passa per l´arrangiamento individuale e collettivo. Continueremo
a essere eterodiretti finché permarrà la zavorra del debito pubblico e la
concentrazione subordinata sull´andamento dello spread. Sentiamo scivolare il
Paese verso una sorta di pericolosa accettazione della sudditanza. In fondo,
l´accettazione di diverse sudditanze è inscritta nella storia nazionale, e ci
ha permesso anche di costruire forme di meticciato,
non solo culturale, che hanno portato benefici complessivi alla passata
dinamica sociale. Noi italiani siamo così adattativi da poter accettare di
essere governati per qualche tempo non dallo Stato e dalle sue regole di
sovranità, ma da una élite che sta dentro i ristretti circuiti (finanziari e
non) della nuova sovranità. In una fase di ciclo declinante della spesa
pubblica e di recessione economica, la società si "ritraccia"
attraverso l´assestamento di micro-sovranità in diversi ambiti:
nell´arbitraggio dei comportamenti individuali (la spesa come i consumi
energetici), nella gestione del patrimonio, nelle comunità identitarie e
funzionali, nella tutela privata e privatistica della salute, nelle comunità
di territorio. In questa prima reazione di accettazione, ognuno si ritaglia
la propria piccola sovranità: la famiglia è sovrana sulla spesa alimentare,
come il piccolo imprenditore sulla sua impresa. L´altro effetto della crisi della sovranità
tradizionale è invece la propagazione di un antagonismo errante, non più
ideologico come in passato, che resta allo stato fluido per raggrumarsi in
situazioni molteplici e variegate. È il dissenso dei soggetti che non
riescono a fare ritracciamento e che quindi
subiscono più degli altri la crisi delle sovranità tradizionali e
l´imposizione dall´alto della nuova sovranità macro. Si tengono insieme così
fenomeni diversi: dai no Tav ai giovani frustrati a
causa delle mediocri prospettive occupazionali, dalla rabbia per gli
squilibri di reddito o la tassazione eccessiva alla ventata attuale di
antipolitica. Perché in Italia, a differenza degli altri Paesi europei, dove
la contestazione si indirizza contro la dimensione tecnico-economica delle
élites, l´antagonismo si rivolge contro la classe politica e il personale dei
partiti, insomma contro la vecchia sovranità.
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