Il Fatto Quotidiano 8-2-2012
La Tobin Tax di Eurolandia costerebbe alla
Gran Bretagna 22 miliardi di euro
Di Matteo Cavallito
David Cameron si oppone al piano
B dell'Ue, vale a dire l'introduzione dell'imposta sulle transazioni
finanziarie nei soli Paesi dell'euro. In tal modo, l'Inghilterra verserebbe
all'Europa una cifra monstre e brucerebbe temporaneamente circa 4.500 posti
di lavoro
Il primo ministro britannico
Cameron si oppone strenuamente all’ipotesi di una
tassa sulle transazioni finanziarie nel suo Paese. Ma di fronte al famoso
piano B della Commissione Ue, vale a dire
l’introduzione dell’imposta nei soli Paesi della moneta unica, la Gran
Bretagna si troverebbe comunque costretta a pagare all’Europa
fino a 22 miliardi di euro bruciando da sola, ma solo temporaneamente, circa
4.500 posti di lavoro concentrati prevalentemente nella capitale inglese. Lo rende noto un rapporto di Ernst&Young, una delle maggiori
società di revisione del mondo. Uno studio, quello pubblicato ieri,
che dimostra implicitamente l’applicabilità della tassa al di
là del consenso di Londra, stimando,
contemporaneamente, la misura dei suoi potenziali ricavi. Nelle ipotesi della
Commissione, la tassa sulle transazioni finanziare dovrebbe avere un’aliquota
dello 0,1 per cento sugli scambi di azioni e obbligazioni e dello 0,01 per
cento sulle operazioni in derivati.
Qualora i Paesi membri dell’area euro decidessero di applicare la tassa senza
l’ok del Regno Unito, spiega E&Y,
“l’impatto dipenderebbe principalmente dal funzionamento dell’imposta”. Se il
meccanismo di imponesse ad esempio di tassare tutte le operazioni di titoli
denominati in euro (concentrate prevalentemente a Londra),
continua il rapporto, allora “la tassa sulle transazioni potrebbe
effettivamente essere imposta sul Regno Unito utilizzando una porta di
servizio”. Da qui il calcolo definitivo: una tassa che si applicasse anche
sulle transazioni valutarie, imporrebbe a Londra il pagamento di 22 miliardi
di euro, il 64 per cento dei ricavi complessivi generati dalla tassa in
Europa (35 miliardi). Escludendo gli scambi di valute, ovvero nell’ipotesi
meno onerosa, il Regno Unito dovrebbe comunque versare 13 miliardi che, in
ogni caso, costituirebbero il 58 per cento dei ricavi totali (a quel punto 22
miliardi).
Lo studio, pur non esprimendosi apertamente in tal senso, fa emergere
implicitamente un paio di conclusioni. Primo: una Tobin tax (come viene comunemente chiamata,
sebbene nel progetto originale di James Tobin
si parlasse di tassare i soli scambi valutari) sarebbe applicabile comunque e
avrebbe effetti diretti anche sul mercato londinese. Secondo: una sua
introduzione alla sola Eurolandia finirebbe
per trasformarsi in un’autentica beffa per il Regno Unito dal momento che i
ricavi delle imposte sulle operazioni in euro finirebbero per trasferirsi
direttamente nelle casse dei governi europei senza lasciare un solo centesimo
in quelle del Tesoro britannico.
In Gran Bretagna, inoltre, una tassa applicata sulle
sole transazioni in euro, inoltre, produrrebbe una contrazione per queste
genere di attività, bruciando, secondo le stime, circa 4.500 posti di
lavoro nell’industria finanziaria (che nel Regno Unito impiega 200 mila
persone). In futuro, ipotizza comunque E&Y, la perdita iniziale di
impieghi dovrebbe essere assorbita dall’intero comparto.
E in caso di ripensamento da parte di Londra? Una tassa applicata all’intera
Unione europea – che non si limitasse dunque alle sole
transazioni nella moneta unica – genererebbe ricavi per 53 miliardi (37
escludendo le operazioni valutarie), 41 dei quali provenienti dal Regno Unito
(28 nel secondo caso). Una quota largamente maggioritaria, che deriva
ovviamente dall’enorme peso relativo della piazza britannica. A Londra si
scambia il 30 per cento delle azioni quotate in Europa, ma la percentuale
sale a 84 per i bond e a 81 per gli scambi valutari. Aggiungendo i derivati,
si arriva ad un ammontare di operazioni pari al 77 per cento dell’intero mercato
europeo.
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