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Da Il Fatto 27-2-2012 Modern
Monetary Theory, un
approccio anticonvenzionale alle strategie economiche.
di Dylan Matthews – 23
febbraio 2012 Pubblicato in: USA Traduzione
di ItaliaDallEstero.info Circa
undici anni fa, ricorda James K. “Jamie” Galbraith, centinaia di suoi
colleghi economisti risero di lui. Davanti a tutti. Alla Casa
Bianca. Era l’aprile del 2000, e Galbraith era stato invitato dal
Presidente Bill Clinton a parlare in una commissione sul surplus di bilancio.
La scelta era caduta su Galbraith per mera logica. Professore di politica
presso l’Università del Texas ed ex economista capo della Joint Economic Committee, scriveva di
frequente articoli e presiedeva al Congresso. A
distanza di dieci anni, quando il deficit in forte crescita del bilancio
federale ha ormai assottigliato le differenze politiche ed economiche a
Washington, Galbraith è preoccupato soprattutto dei pericoli di
contenerlo. È una figura chiave in una discussione centrale tra gli
economisti in merito al fatto se i deficit siano importanti e in che modo. La
questione ha diviso gli economisti americani più illustri e ispirato
appassionati dibattiti nei circoli accademici. Qualunque di questi due punti
di vista venga sposato dai legislatori potrebbe avere effetti su tutto,
dall’occupazione, ai prezzi, alle tasse. In contrasto sia con i “falchi del
deficit”, secondo cui è necessario tagliare le spese e aumentare le
entrate per attenuare il deficit, sia con le “colombe del deficit”, secondo
cui le misure di austerità vanno prese solo quando l’economia si
è risollevata, Galbraith si può definire un “gufo del deficit”.
I gufi certamente non pensano che il bilancio vada riequilibrato subito. In
realtà pensano che non ci sia proprio bisogno di riequilibrarlo. I
gufi vedono la spesa del governo che porta al deficit come connaturata alla
crescita economica, anche in tempi non di crisi. Le
radici keynesiane Ma
se la teoria è corretta, non c’è ragione per cui la
quantità di denaro che il governo riceve debba andare a bilanciare
quella che spende. Infatti i sostenitori della MMT propongono grossi tagli
alle tasse e alla spesa in deficit proprio durante i momenti di recessione
economica. Warren Mosler, manager di fondi
speculativi che vive a Saint Croix nelle Virgin Island americane —
e non a caso, trattandosi di una sorta di Paradiso Fiscale — è un
sostenitore della MMT. Il suo nome è soprattutto legato a quello di
una casa automobilistica specializzata nella costruzione di auto sportive e
alle sue frequenti e irruente campagne elettorali (in occasione delle
elezioni per il rinnovo del Senato del Connecticut nel 2010 ha raccolto
poco meno dell’1% dei voti come candidato indipendente). Mosler sostiene la necessità di sospendere la payroll tax (“Imposta sui
Salari”, n.d.T.) destinata al Social Security Trust
Fund e propone invece il compenso orario di 8 dollari per chiunque intenda
svolgere mansioni amministrative per arginare l’attuale fase di contrazione. I
seguaci della teoria provengono principalmente dalle fila di alcune
istituzioni di rilievo: il dipartimento di Economia dell’Università
del Missouri di Kansas City e il Levy Economics Institute del Bard College, che hanno ricevuto
finanziamenti proprio da Mosler. Ma il movimento
sta riscuotendo rapidamente successo grazie soprattutto ad una vera e propria
esplosione di blog che trattano di economia. Fra questi, Naked
Capitalism, un blog irriverente e passionale che
affronta argomenti legati alla finanza e all’economia e che vanta circa 1
milione di lettori al mese, e che vede sostenitori del calibro di Kelton, L. Randall Wraye –
Professore alla University of Missouri –
e Scott Fullwiler, Professore al Wartberg College. Lo stesso si può dire di
New Deal 2.0, un bizzarro blog di economia concepito dal think
tank liberale del Roosevelt Institute. I
lettori di questi blog hanno abbracciato la teoria con grande entusiasmo e i
loro commenti affollano le sezioni dei principali blog di economia
quando entra in ballo la teoria. Firedoglake,
uno dei principali blog dal taglio liberale, e l’op-ed del New York Times si
sono riallacciati a quanto detto da Wray. “Anche se
la crisi ha giocato un ruolo importante, è stata la blogosfera a fare
la differenza,” sostiene Wray. “Perché,
soprattutto, siamo riusciti a far pubblicare la teoria. E far pubblicare voci
fuori dal coro è una vera impresa”, ha aggiunto. È
stato soprattutto Galbraith a farsi portavoce del messaggio diffondendolo
ovunque, dal Daily Beast
al Congresso. Ed è stato lui a consigliare i legislatori, compresa
l’ex Presidente della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi (Distretto della
California), all’arrivo della crisi finanziaria del 2008. La scorsa
estate ha partecipato alle consultazioni con un gruppo di membri della Camera
in merito ai negoziati sulla soglia del debito. Galbraith è stato
anche uno dei pochi economisti interpellati dall’amministrazione
Obama quando era in corso la pianificazione del pacchetto di incentivi.
“Sostenendo questa posizione, Jamie mette tutto in gioco”, dice Kelton. “Penso che la sua sia stata una mossa molto
coraggiosa, in gioco ci sono il suo nome e la sua reputazione.” Una
teoria discordante Ci
sono, naturalmente, dei detrattori. Una spaccatura chiave tra le fila
dei keynesiani risale agli anni ‘30. Un gruppo di economisti, tra cui i premi
Nobel John Hicks e Paul Samuelson,
cercarono di incorporare le visioni di Keynes nell’economia classica. Hicks costruì un modello matematico che riassumeva
la teoria di Keynes, e Samuelson provò a far
sposare la macroeconomia di Keynes (che studia il comportamento dell’economia
come un insieme) alla microeconomia convenzionale (che guarda a come le
persone e le aziende allocano le risorse). Questo pose le basi per la maggior
parte della teoria macroeconomica a partire da allora. Persino oggi, i “Nuovi
keynesiani”, come Greg Mankiw, un economista di
Harvard che ha lavorato come principale consulente economico di George W.
Bush, e il marito della Romer, David, stanno
esplorando vari modi per fondare la teoria macroeconomica keynesiana nel
comportamento, a livello ‘micro’, di aziende e consumatori. I
teorici della MMT rimangono fermi sulla tradizione fondata dai
“post-keynesiani” come Joan Robinson, Nicholas Kaldor
e Hyman Minsky, i quali
insistevano che la teoria di Samuelson fosse
fallimentare perché i suoi modelli agiscono come se, con le parole di
Galbraith, “il settore bancario non esistesse”. Anche le connessioni
sono personali. La tesi di dottorato di Wray
è stata supervisionata da Minsky, e
Galbraith ha studiato con Robinson e Kaldor
all’Università di Cambridge. Egli sostiene che la teoria è
parte di una “tradizione alternativa, che passa per Keynes, mio padre e Minsky”. E mentre i sostenitori della Teoria Monetaria
Moderna prendono Keynes come punto di partenza e sostengono un’aggressiva
spesa pubblica in deficit durante le recessioni, non sono quel tipo di
keynesiani. Anche gli economisti tradizionali che sostengono una maggiore
spesa pubblica in deficit sono riluttanti all’accettare i dogmi centrali
della MMT. Prendete Krugman, che regolarmente
riesce a coinvolgere economisti di ogni tendenza in un dibattito vivace. Egli
ha sostenuto che perseguire larghi deficit nel bilancio durante periodi di
boom economico potrebbe portare a iperinflazione. Mankiw
riconosce il punto della teoria secondo cui il governo non potrebbe mai
finire senza soldi, ma non pensa che questo significhi la stessa cosa che
intendono i suoi sostenitori. Tecnicamente è vero, dice, che il
governo può stampare tanti soldi in modo illimitato. Il rischio
è che così facendo potrebbe innescare un alto tasso di
inflazione. Questo “manderebbe in bancarotta gran parte del sistema
bancario”, dice. “L’inadempienza, nonostante sia dolorosa, potrebbe in effetti
rappresentare un’opzione migliore”. La
critica di Mankiw va al cuore del dibattito sulla
MMT e su come, quando e anche se eliminare i nostri deficit correnti. Il
rischio di inflazione trattiene la maggior parte degli economisti e dei
legislatori sulla stessa lunghezza d’onda per quanto riguarda i deficit: nel
medio termine, se tutto il resto resta uguale, è fondamentale tenerli
bassi. Gli economisti nel campo della MMT riconoscono che i deficit possono a
volte portare a inflazione. Ma sostengono che questo può accadere solo
quando l’economia è al massimo dell’impiego, quando tutti coloro che
sono capaci e volenterosi di lavorare sono impiegati e nessuna risorsa
(manodopera, capitale, etc) rimane inutilizzata.
Nessun esempio moderno di tale problema viene alla mente, dice Galbraith. Le
obiezioni dei critici Secondo
la MMT, la Banca Federale che acquista in blocco Buoni del Tesoro sta
portando avanti, secondo le parole di Galbraith, una “operazione di
contabilità” che non aggiunge nessuna entrata nelle famiglie americane
e che pertanto non può essere inflazionaria. “Mi è
sembrato chiaro che… inondare l’economia con denaro acquistando titoli
governativi… non porterà a nessun cambiamento nei comportamenti di
alcuno”, dice Gabraith. “Si arriverebbe solo ad
avere riserve di denaro che resterebbero ferme nel sistema bancario, e
ciò è esattamente quello che è accaduto finora”. I
teorici semplicemente “non hanno idea di come funzioni la facilitazione
quantitativa” afferma Joe Gagnon,
un economista del Peterson Institute, che
ha gestito il primo round di facilitazione quantitativa della Banca Federale
nel 2008. Anche se il denaro che la Banca Federale usa per acquistare titoli
resta nelle riserve bancarie – o il denaro che è tenuto in riserva –
aumentare quelle riserve dovrebbe portare ancora a un indebitamento maggiore e
ripercuotersi su tutto il sistema. Il
fatto stesso che si sia occupato di tali questioni ha fatto meritare a
Galbraith il marchio di “grande eccentrico” quando da Cambridge
approdò per un PhD a Yale, che aveva un
dipartimento di economia keynesiana più tradizionale. Più
tardi in quello stesso decennio, imparò che c’era anche un’enorme
quantità di denaro che si poteva perdere. Quando si affacciarono
simili timori riguardo alla Russia, scommise di nuovo contro il fallimento.
Nonostante battesse moneta propria, la Russia andò in fallimento,
costringendo Mosler a liquidare uno dei suoi fondi
speculativi e a cancellare molti dei suoi 850 milioni di dollari in
investimenti nel Paese. Mosler attribuisce il fatto
alla politica del tasso di cambio fisso della Russia di quel tempo e insiste
che se avesse agito come uno stato con la sua propria moneta, il fallimento
avrebbe potuto essere evitato. Ma questo caso potrebbe anche dimostrare
ciò che sottolineano i detrattori: il fallimento, anche se sempre
tecnicamente evitabile, è a volte la migliore opzione possibile. |