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Documento d’interesse   Inserito il 24-1-2008


 

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L’Espresso (anticipazione)

 

Derivati. In Comune scoppia la bolla

di Paola Pilati

 

Troppi enti locali sono stati coinvolti nella crisi dei derivati. E il ministero dell'Economia ha deciso di dettare nuove regole per investimenti più sicuri

 

 

Tommaso Padoa Schioppa e Mario Draghi

Per gli amministratori locali deve valere la regola della 'plain vanilla'. Come nella scelta di un cono gelato semplice e naturale, senza panna né gusti esotici, assessori regionali e comunali, responsabili della finanza di province e di comunità montane, quando decidono di adottare uno strumento finanziario 'derivato' per finanziarsi, devono scegliere quello più semplice, senza troppe opzioni che li possano esporre a rischi eccessivi, ed evitare come la peste quelle formule insidiose che collegano il derivato a diavolerie incontrollabili come per esempio pagare due volte il tasso al verificarsi di certe condizioni di mercato.

Puntare al derivato 'solo crema' è la prima regola che il ministero dell'Economia raccomanda nell'opera di rieducazione che, un po' con la nuova legge Finanziaria, un po' con l'adozione della direttiva europea in materia di trasparenza dei mercati finanziari (la Mifid), ha deciso di fare per mettere un limite al ricorso a questo strumento da parte degli enti locali a secco di risorse. L'ultima ricognizione compiuta dagli uomini di Tommaso Padoa-Schioppa sul fenomeno (a fine anno) danno conto di ben 531 enti locali coinvolti dal fenomeno derivati. Alcuni recidivi, visto che i contratti censiti sono ben 950, per un ammontare totale di 35 miliardi. La metà fa capo a 19 delle 20 Regioni (vedi grafico nella pagina a fianco), un terzo a una cinquantina di capoluoghi, il resto a piccoli comuni, province, e persino a tre comunità montane. Ma quei 38 miliardi sono solo il valore detto 'nozionale', cioè nominale del contratto da ripagare, a cui corrisponde un valore del debito censito di 93 miliardi (già restituito per 20 miliardi).

La fotografia del ministero di via XX Settembre dà insomma l'idea di quanto la finanza derivata abbia preso piede e sedotto molti amministratori. Con quali conseguenze? "I derivati sono strumenti validi ma spesso gli enti locali sono allettati dalla liquidità immediata e non si rendono conto del rischio. Senza contare che per molte piccole amministrazioni vale l'effetto imitazione: se la giunta vicina si finanzia così, perché non lo devo fare io?", ragiona Roberto Pinza, viceministro per l'Economia che ha seguito con disappunto le vicissitudini che hanno rallentato con il precedente governo il recepimento in Italia della 'Mifid'. Nel frattempo la bolla derivati si è gonfiata e ha gonfiato anche gli utili delle banche, sguinzagliate a proporre ad enti grandi e piccoli la formula magica dei derivati: soldi subito, senza nuove tasse, e quando i cordoni dei trasferimenti statali sono tirati più che mai.

 

Ma il velo su quello che è successo davvero non si è alzato del tutto. Di quante trappole sia stato disseminato il finanziamento fatto con il derivato, quanto esso sia conveniente, e per chi, nessuno davvero lo sa. Spesso la struttura di quei contratti è un tale garbuglio che neanche gli esperti possono metterci la mano sul fuoco. Tanto per fare un esempio, un vero rompicapo è il contratto fatto dalla Regione Liguria sotto l'amministrazione di centro-destra di Sandro Biasotti con la banca Nomura.
 
Un ex dipendente della banca ha denunciato il fatto che il meccanismo del contratto fosse a tutto vantaggio dell'istituto che lo proponeva. Ha ragione? Ancora non si sa con certezza. Ma il dubbio deve aleggiare, se l'attuale presidente della giunta ligure, Claudio Burlando, prima si è rivolto alla Banca d'Italia, dove gli uomini di Mario Draghi gli hanno suggerito di chiedere una expertise alla banca Unicredit (talmente esperta da essere stata multata dalla Consob per alcuni suoi derivati). Ma l'esito positivo di questo esame non ha convinto al cento per cento. E Burlando ora si è rimesso al giudizio del ministero dell'Economia, che sta costituendo un task force per dare una sorta di bollino blu ai derivati degli enti locali che altrimenti rischierebbero di mandare in tilt la finanza pubblica. "Parlare di derivati è come parlare di rettili", ironizza l'assessore ligure alla Finanza Giovanni Battista Pittaluga, "ma può essere un orbettino o un cobra. E anche se si trattasse di un cobra, è meglio questo 'cattivo derivato', che ti fa guadagnare subito 500 milioni di euro, o applicare ai cittadini l'aliquota massima dell'Irap?".

L'argomento di Pittaluga tocca il nervo scoperto della maggior parte degli enti locali. Ma al Tesoro tremano al pensiero che tutti si mettano a giocare con il cobra pensando di addomesticarlo. Per questo la Mifid impone che d'ora in poi chi firma un derivato debba essere riconosciuto come un investitore qualificato e soprattutto riconosciuto tale dalla banca proponente. Per legge lo sono tutte le Regioni, e basta. Per gli altri enti locali a via XX Settembre stanno costruendo una griglia di requisiti. Ma converrà a tutti dichiararsi non qualificati: così si potrà ottenere il trattamento da cliente 'retail', il che equivale ad avere più tutele e più informazioni. E si eviterà un altro rischio: che è l'amministratore a rispondere con il proprio patrimonio dei danni causati all'ente locale.

Insomma, si stringono gli spazi di discrezionalità per tutti. "È vero che non si può imporre un vero controllo preventivo su tutti", dicono all'Economia, "ma poiché il vero problema del derivato è la sua incomprensibilità, l'importante è introdurre delle regole di 'spacchettamento' del contratto, in modo da esemplificarne il meccanismo e renderlo intellegibile per tutti". Soprattutto per chi lo firma e si impegna a ripagarne i costi. Di ben 200 nuovi contratti di derivati segnalati all'Economia nel corso del 2007, 14 sono stati rinviati alla Corte dei Conti perché ritenuti irregolari.

Bocche cucite finché non arriveranno alla sentenza della magistratura contabile, ma un caso può valere per tutti. Quello del comune di Borgo Priolo, in Lombardia, per un contratto di derivato concluso con la Banca Nazionale del Lavoro a inizio 2007. Qui le conclusioni della Corte non lasciano dubbi: c'è una "sproporzione tra il rischio assunto dall'ente locale rispetto a quello ricadente sull'operatore finanziario". La banca, com'è ovvio, ha pensato al proprio tornaconto, l'ente locale avrebbe dovuto difendere il suo, ma non è stato in grado di farlo. Basterà la Santa Alleanza guidata dal ministero dell'Economia a fermare la fantasia dei venditori di derivati-cobra?

(24 gennaio 2008)