L’Espresso
(13 febbraio 2012)
Il
vero spread? La corruzione
di Raffaele Cantone
Quello che ci allontana di
più dall'Europa è lo scambio di mazzette, a tutti i livelli. E
il fatto che in questi anni le leggi sono state solo ammorbidite. Un
magistrato in prima linea spiega di quali norme avrebbe bisogno l'Italia per
uscire dal tunnel
Raffaele
Cantone
Sono passati vent'anni esatti
da quel 17 febbraio del 1992 quando, con l'arresto in flagranza dell'ingegnere
Mario Chiesa, cominciarono le indagini di Tangentopoli. Tante cose sono
accadute in Italia in questi anni, ma nessuno si azzarderebbe oggi a dire che
la corruzione è stato debellata o quanto meno riportata entro i
confini fisiologici tipici delle democrazie occidentali.
Se ci si limitasse alle sole statistiche giudiziarie, il quadro sembrerebbe
roseo; si è passati, ad esempio, dalle 1.700 condanne per corruzione
del 1996 alle 236 del 2006. Ben diverso, però, è quanto ci
dicono gli attendibilissimi dati forniti dagli organismi internazionali.
Secondo una rilevazione del 2010 del "Global corruption
Barometr" di Transparency
international, il 13 per cento dei cittadini ha
dichiarato di aver pagato nell'anno precedente tangenti (contro una media europea
del 5 per cento) e dati molto simili sono stati forniti dall'Eurobarometro nel 2009. Nella classifica internazionale
della corruzione siamo scesi al 63 posto in negativo, lontani dagli altri
Stati europei.
Questi numeri sono condivisi da gran parte degli operatori economici e sono
persino riscontrati da efficaci trasmissioni tv di intrattenimento:
"Striscia la notizia" ad esempio ha mostrato come al catasto di
Napoli esistesse un sistema consolidato per cui bastava pagare 20 euro per ottenere
subito atti che richiedevano tempi più lunghi, senza che i dirigenti
si accorgessero dell'andazzo. E questi dati rendono indiscutibile come non
solo le statistiche giudiziarie siano fallaci ma che anzi in modo
preoccupante denuncino l'inefficacia della prevenzione e repressione della
corruzione. Una realtà nota da tempo agli addetti ai lavori, ma
sottovalutata dal Parlamento e dalla politica in generale, che si spiega con
una pluralità di cause.
In estrema sintesi, una prima ragione è evidenziabile nei mutamenti
strutturali del fenomeno corruzione; i pacchi di soldi portati a Mario Chiesa
sono un ricordo del passato; il ripetersi ai giorni nostri di essi è
quasi divenuto un fatto oleografico: come non ricordare l'episodio di un anno
fa del consigliere comunale di Milano che si faceva portare le banconote
nascoste in un pacchetto di sigarette.
Oggi gli amministratori pubblici non ricevono quasi più denaro, ma prestazioni
di altro tipo (ad esempio i famosi "massaggi" offerti al
responsabile della Protezione civile); incarichi lucrosissimi ma formalmente
regolari; consulenze milionarie affidate oltre che a loro stessi, a familiari
o persone di loro fiducia. Inoltre è molto più difficile
individuare un compenso concesso in cambio di singoli atti: esistono sistemi
"gelatinosi" nei quali i pubblici funzionari vengono
"assoldati" da cricche affaristiche, divenendo per esse disponibili,
a prescindere dal singolo appalto. E' un'evoluzione che oltre a non rendere
identificabile un atto di specifico favoritismo (necessario, comunque da
individuare perché la norma penale sulla corruzione, risalente al 1930, lo
ritiene indispensabile) genera un sistema di impenetrabile omertà che
non è esagerato paragonare a quella mafiosa.
L'altro aspetto attiene alle défaillances della legislazione che si è
modificata in peggio rispetto a quella (non certo perfetta) vigente negli
anni di Mani Pulite; non è possibile scendere nei tecnicismi ma
è dato inconfutabile che molti reati spia - quelli cioè che
rendono capaci di individuare le malversazioni pubbliche - sono stati
svuotati di contenuto: il reato di abuso di ufficio è divenuto meno
stringente; il falso in bilancio quasi integralmente depenalizzato; i reati
fiscali ridotti a ipotesi marginali. Ci sono poi i tempi di prescrizione
dimezzati, tanto da rendere quasi impossibile le condanne per le vicende
più gravi. E a queste modifiche sul piano sostanziale si aggiungono
quelle processuali: il principio del "giusto processo" non consente
più nessuna forma di utilizzo contro altri delle dichiarazioni
confessorie, se non ripetute nel dibattimento.
E' chiaro che per invertire il trend e scalare posizioni nelle classifiche
internazionali - cosa che non ha un rilievo puramente simbolico, ma
un'incidenza economica visto che esse influenzano gli orientamenti degli
investitori internazionali - sarebbe indispensabile intervenire su più
fronti, anche su quelli che non riguardano direttamente la corruzione. Penso
ad esempio, ad una legislazione che regoli le lobby o individui statuti
vincolanti per i partiti politici - l'incredibile e inquietante vicenda del
tesoriere della Margherita è l'ennesimo segnale in questo senso - che
riveda il sistema dei controlli sulle attività degli enti locali; che
regoli i conflitti di interesse dei pubblici amministratori.
Ad oggi, però, l'unica legge che potrebbe essere approvata è
quella sulla corruzione: il disegno di legge del precedente governo Berlusconi,
da gran parte degli studiosi ritenuto insufficiente, è in discussione
presso le commissioni della Camera e il governo Monti ha promesso di
intervenire per renderla più credibile e convincente. La Commissione
predisposta dal ministro della Funzione pubblica Patroni Griffi (a cui ho
l'onore di partecipare) ha già indicato alcune linee di intervento che
possono favorire l'attività di prevenzione interna da parte delle
amministrazioni: si va dal rafforzamento dei poteri delle autorità di
controllo, alla previsione della necessità dell'autorizzazione per
ricoprire incarichi esterni, alla tutela di chi denuncia gli illeciti,
all'individuazione di sanzioni disciplinari per chi con compiti direttivi non
controlla.
Ad oggi, invece, non si sa ancora quali saranno le eventuali modifiche
relative alla repressione penale che spettano al ministero della Giustizia e
se si inciderà sugli snodi davvero sensibili che l'attuale disegno di
legge non affronta: in particolare i tempi di prescrizione che rendono spesso
inutili i processi sulle tangenti, la previsione di nuove ipotesi di reato
per punire le nuove realtà della corruzione, l'individuazione di
meccanismi di premialità per chi denuncia e
collabora, il rafforzamento delle pene accessorie contro i condannati per
impedire che tornino a occupare incarichi pubblichi.
A vent'anni da Tangentopoli una legge sulla corruzione sarebbe certamente un
segnale importante ma su questo fronte non ci si può più
accontentare di manifesti propagandistici. Ben venga una nuova legge se
fornisce strumenti di prevenzione e contrasto utili; in caso contrario ci si
sarebbe forse da augurarsi che nulla cambi, perché una qualunque normativa
priva di efficacia rischierebbe di ottenere l'effetto opposto. E rendere
improbabile che la questione della corruzione venga affrontata in modo
convincente nei prossimi anni. Il rischio è che nel ventesimo
anniversario dell'arresto di Mario Chiesa l'Italia si ritrovi ancora lontana
dall'Europa della legalità.
Raffaele Cantone è magistrato della Corte di Cassazione,
membro della Commissione per la trasparenza e la prevenzione della corruzione
del ministero della Funzione pubblica
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