CENACOLO DEI COGITANTI |
Documento d’interesse Inserito
il 21-2-2009
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Umanesimo
e desiderio di Dio
di Claudio Gentili
ROMA, sabato, 31 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito
l'editoriale del Direttore della Rivista di studi e ricerche sulla dottrina
sociale della Chiesa, “La Società”, sul tema "Umanesimo e desiderio di
Dio" (n. 6-2008 www.fondazionetoniolo.it/lasocieta).
* * *
La Chiesa non cambia opinione seguendo i sondaggi, nè ispira ai sondaggi di
opinione la sua azione. Purtroppo capita invece che alcuni cristiani, credendo
di essere moderni, si conformino alla mentalità dominante e allo spirito del
tempo. È sempre accaduto e sempre accadrà. D’altro canto non si può chiedere
alla Chiesa di rinunciare nel dibattito pubblico a evocare il tema della
verità. La verità non è un passatempo per teologi. La sete di Dio e la sete
della verità è talmente radicata nel cuore dell’uomo che il prescinderne ne
comprometterebbe l’esistenza. La ricerca di Dio e della verità è una esigenza insita
in ogni persona che voglia arrivare a dare risposta alle domande fondamentali
che toccano il senso della vita.
Due attacchi frontali a queste idee sono stati portati dalle tecnoscienze, con
la pretesa di manipolare la creazione e dal relativismo, con la ragione umana
che si chiude alla dimensione trascendente e considera vero solo ciò che è
misurabile. Il XXI secolo è stato definito il secolo del “meticciato” e il
multiculturalismo è diventato la nuova religione universale. Per assicurare
libertà e tolleranza l’unica soluzione sembra eliminare la questione della
verità e assumere come dogma universale che tutto è relativo. Tre filosofie
dell’esistenza sono state esplorate nelle loro conseguenze sulla idea della
verità da Henry De Lubac nel suo celebre libro “Il dramma dell’umanesimo ateo”.
Un libro edito nel 1943, che conserva una straordinaria attualità. I padri
fondatori di queste tre filosofie, sono Marx, Nietzsche, Comte. Sono grandi
pensatori che hanno accompagnato il rinnegamento da parte dell’Occidente delle
sue origini cristiane. E chi si attarda ancora oggi sul pericolo di
identificazione tra Chiesa e Occidente ha riflettuto poco su questi fenomeni.
Umanesimo marxista, umanesimo nichilista, umanesimo positivista, sono la
seducente proposta anticristiana che ci ha consegnato il secolo che si è
concluso. In questi tre umanesimi c’è sicuramente qualcosa di vero e di buono
che ha affascinato anche i cristiani. Nell’umanesimo marxista infatti il
cristiano ritrova la predilezione di Cristo per i poveri. Nell’umanesimo
comtiano (positivista) trova la parabola dei talenti. Nell’umanesimo
nietzschiano ritrova la grandezza dell’uomo di cui parla il Salmo 8 (“Lo hai
fatto poco meno degli angeli…”). Ognuno di questi tre sistemi di pensiero ha
una logica interna che impercettibilmente e progressivamente allontana da Dio.
Il collettivismo annulla il principio-persona. Lo scientismo si trasforma in
dispotismo tecnologico. Il “superuomo” distrugge il senso della fraternità e
della unità della famiglia umana. E non si dica che queste ideologie ce le
siamo ormai lasciate alle spalle. I loro esiti culturali sono largamente
presenti nel nostro tempo. Basti pensare al narcisismo, all’emozionalismo, al
consumismo, allo statalismo, all’idolatria del denaro e alla fiducia cieca
nella tecnica.
La crisi finanziaria che tanto ci angoscia e ci preoccupa nasce in fondo da una
crisi morale. Non sembri fuori luogo ricordare che Adam Smith, il principale
pensatore del moderno capitalismo, era professore di filosofia morale a Glasgow
e prima di scrivere “La ricchezza delle nazioni” ha scritto “La teoria dei
sentimenti morali”. Le proteste studentesche che dalla Pantera del 1989 contro
il grande Ministro innovatore Ruberti e la sua legge sull’autonomia
universitaria alle proteste degli universitari dell’autunno 2008 contro il
Ministro Gelmini (che non aveva ancora fatto nessuna riforma universitaria)
sono lo specchio di una condizione giovanile che si sente più sicura
conservando l’esistente che innovando. Il diffuso dibattito pubblico sul
precariato, da un lato manifesta l’angoscia legittima e comprensibilissima per
il futuro di tanti giovani che non riescono a metter su famiglia, ma dall’altro
(nella variante della ideologia del “precarismo”) rivela una concezione che
rifugge il rischio e la fatica, predilige il posto pubblico e trova nella
stabilità il massimo valore in un mercato del lavoro che è e sarà sempre più
flessibile e turbolento.
Le indagini recenti (come quella della Diocesi di Firenze presentata nel
dicembre 2008 sul “Protagonismo della famiglia nella ricerca del lavoro dei
figli”) ci offrono uno spaccato per alcuni versi sconcertante in cui al biblico
“Lascerà suo padre e sua madre…” si à sostituita una adolescenza che si
prolunga oltre i 30 anni con giovani ventottenni accompagnati dai genitori ai
colloqui di lavoro. Paura e ricerca di sicurezza sembrano la cifra del tempo
che viviamo, un tempo lambito da una vera e propria crisi della speranza. Mai
come oggi dobbiamo dire che cambiare il mondo significa toglier agli uomini le
loro paure, ridurre le aggressività, dare una patria in cui ci si senta sicuri,
a tutti ma soprattutto a bambini, stranieri, moribondi, malati, ridurre il
divario tra il Nord e il Sud del mondo. In questo senso mettere il bavaglio
alla Dottrina Sociale della Chiesa sarebbe un gesto contro i poveri. Se poi
sono i cattolici a privilegiare una presenza pubblica low profile, in cui il
silenzio sui temi politicamente più sensibili sia ritenuto saggio e opportuno,
allora siamo all’autogoal. Questa semplice constatazione di buon senso è stata
smarrita anche da quei cristiani che si rinchiudono negli spazi sacri e
abbandonano lo spazio pubblico. Ma un’agorà senza lo spirito del Vangelo è più
povera per tutti. La fede in Dio d’altro canto non ci rende tranquilli, non ha
come scopo di farci dimenticare i problemi sociali del nostro tempo. Cristo,
con le beatitudini, turba la nostra tranquillità.
La Dottrina sociale della Chiesa ci offre le coordinate per essere fermento di
ecologia umana. La signoria di Dio non ci permette di offrire l’incenso ad
alcun altro assoluto, ideologico, politico, scientifico. La riserva
escatologica ci impedisce di identificare una qualche realizzazione storica con
il Regno di Dio. La memoria dell’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo,
ci incalza e mette in questione il nostro presente. Benedetto XVI, nel suo
straordinario discorso agli intellettuali, a Parigi, al collegio dei
Bernardini, il 12 settembre 2008, ci ha ricordato la profonda relazione che
esiste tra desiderio di Dio e sviluppo umano. Con il loro quaerere Deum i
monaci benedettini hanno fatto cultura e sviluppato ricerca, hanno dato dignità
al lavoro umano (sottovalutato nella concezione greca e latina che
contrapponeva otium a negotium), coltivato le lettere. Con la musica
traducevano l’adesione dell’uomo al mistero di Dio. Con il lavoro partecipavano
alla creazione. L’esempio dei monaci, vale anche per noi. Nella confusione dei
tempi che viviamo, piuttosto che diventare “cattoconfusi”, cercare, custodire,
tramandare ciò che vale. Dietro le cose provvisorie cercare le cose definitive.
È un messaggio che vale anche per noi e per il nostro tempo e che ci invita
alla serietà e alla fatica dello studio e del discernimento.
La nostra Rivista ha in fondo questa ambizione e si propone non solo come
strumento di studio ma anche come stimolo per avviare percorsi di formazione
alla Dottrina sociale della Chiesa. C’è una sproporzione tra la povertà
culturale dell’era delle veline e la grandezza culturale del Pontefice che lo Spirito
ha suggerito per il nostro tempo. Benedetto XVI, la sua storia culturale e il
suo Magistero, costituiscono per noi una grande occasione di rigenerazione e
rinnovamento culturale. La cultura positivista oggi, vuole rimuovere nel campo
soggettivo, come non scientifica la domanda su Dio. Ma questa sarebbe la
capitolazione della ragione e il tracollo dell’umanesimo. La fede, attraverso
la DSC, viene educata a guardare nella verità il mondo, a fare discernimento
sul bene della persona, a formarsi una coscienza sociale, a dare testimonianza
fino al martirio.
L’individualismo imposto dalla globalizzazione, - come sostiene Alain Touraine
nel suo ultimo libro “La globalizzazione e la fine del sociale” – ha sradicato
i movimenti di massa, ha reso inservibili le categorie politiche e sociali con
cui pensavamo il sociale. Per questo abbiamo bisogno di un nuovo paradigma per
capire il presente e progettare il futuro. La riserva etica del movimento
cattolico torna d’attualità nonostante il tentativo delle due maggiori
coalizioni politiche di affogare nella neutralità del bipartitismo ogni
specificità culturale e politica. La fede non può restare socialmente sterile o
farsi irretire dalle sirene del relativismo e da una concezione falsamente
neutrale della laicità. Anche oggi come nell’era del monachesimo, la fede
diventa cultura e suscita nuove forme di presenza sociale e culturale. Nascono
nuovi movimenti e si rinnovano le associazioni laicali di più lunga tradizione.
La fede genera pensiero e opere sociali. Il volontariato si diffonde. I
cattolici diventano fermento della società civile. La parrocchia per i giovani
diventa competitiva con i luoghi dello sballo. La formazione genera una nuova
classe politica meno legata al mero esercizio del potere e aperta alla speranza.
E accogliamo, come viatico per questo cammino non breve e non facile, l’invito
rivolto da Benedetto XVI il 17 agosto 2008 nel suo viaggio in Sardegna: “Maria
vi renda capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della
politica, che necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati,
capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo
sostenibile”. Una “nuova generazione”. È per questo che ci servono i tempi
lunghi della formazione di una nuova coscienza sociale. Capace di coltivare il
desiderio di Dio e la passione per la storia.