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Documento d’interesse   Inserito il 14-3-2008


 

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Da Il Corriere del Ticino (14-3-2008)

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EDITORIALE – Mutui subprime

Bear Stearns, il nuovo botto della crisi

Alfonso Tuor

Cominciano a manifestarsi i previsti nuovi «grandi botti» dell’acutizzarsi della crisi finanziaria. Gli ultimi in ordine di tempo sono un dollaro che sta letteralmente affondando (ieri è sceso temporaneamente sotto la parità rispetto al franco svizzero), lo stato fallimentare del veicolo di investimento Carlyle Capital e il temporaneo salvataggio della banca d’investimento americana Bear Stearns, cui la Fed di New York e JP Morgan hanno aperto una linea di credito di emergenza. Tutto ciò dimostra che gli effetti dell’iniezione di 200 miliardi di dollari nei mercati finanziari sono durati poco. Il dollaro continua a scendere, il prezzo del petrolio continua a salire (ha superato i 110 dollari il barile) così come il prezzo dell’oro, balzato oltre i 1.000 dollari l’oncia, le borse scendono e non si allenta la tensione sul mercato interbancario e monetario anche a causa della crisi di un numero crescente di Hedge Funds.
Tutto ciò indica che è fallita la politica monetaria finora seguita dalla Federal Reserve basata, da un canto, su un rapido e forte ribasso del costo del denaro e, dall’altro, su continue grandi iniezioni di liquidità nei mercati finanziari. E infatti oggi la questione non è più se gli Stati Uniti siano in recessione, ma quanto profonda e quanto lunga sarà questa recessione. E soprattutto se l’attuale politica della banca centrale americana è in grado di evitare il peggioramento della crisi oppure se paradossalmente non è destinata a compromettere ulteriormente la già difficile situazione. Procediamo con ordine.
L’acuirsi della crisi finanziaria è determinato dall’inizio del processo di implosione di quegli Hedge Funds e degli altri veicoli finanziari, che hanno fatto grande ricorso allo strumento della leva (ossia del credito) per moltiplicare le loro «scommesse» sui mercati. Questo processo viene accelerato dalla necessità delle banche di investimento, già schiacciate da perdite miliardarie, di ridurre la loro esposizione al rischio. È il caso di Carlyle Capital, un fondo di investimento che con mezzi propri limitati a 670 milioni di dollari è esposto per ben 22 miliardi di dollari sul mercato. Di fronte alla richiesta delle banche creditrici di rientrare per 500 milioni di dollari Carlyle Capital ha deciso di gettare la spugna. Il risultato è che in cambio dei soldi prestati le banche creditrici si ritrovano in mano altri titoli legati al mercato immobiliare americano, il cui prezzo continua a scendere, anche se in questo caso non sono titoli legati al segmento subprime.
Le conseguenze non finiscono qui. Il possibile fallimento di Carlyle Capital ha messo alle corde una delle sue maggiori banche creditrici, ossia la Bear Stearns, già in stato precomatoso. Da qui il salvataggio messo in atto ieri dalla Federal Reserve con l’aiuto di JP Morgan. Insomma, si cerca di rattoppare quanto è possibile per evitare lo spettro della chiusura di una banca dell’importanza di Bear Stearns, che imprimerebbe alla crisi un pericolosissimo salto di qualità. Non sarà tuttavia facile scongiurare il peggioramento della crisi, perché sembra iniziato un vero e proprio processo di implosione di quegli Hedge Funds, che in nome della nuova ingegneria finanziaria hanno fatto un uso spregiudicato della leva (ossia dei crediti bancari) per moltiplicare le loro scommesse. Nei fatti di questi giorni vi è anche una certa ironia: infatti ritorna alla ribalta Bear Stearns, ossia la banca di investimento americana che nell’agosto dell’anno scorso dette il via alla crisi che venne definita dei mutui subprime, ma che in realtà è lo scoppio di una grande bolla del credito.
In questo contesto le iniziezioni di capitali della Federal Reserve non possono produrre grandi risultati. I prestiti concessi al sistema bancario possono servire per tamponare temporanei problemi di liquidità. Il problema attuale è però completamente diverso. Alcune banche hanno un problema di solvibilità, ossia non hanno mezzi propri sufficienti per far fronte ad altri miliardi di dollari di perdite dovute al fatto che i titoli detenuti o non hanno prezzo o hanno prezzi calanti, perché si rivelano un gioco fallimentare le linee di credito concesse ad Hedge Funds e ad altri veicoli finanziari e perché si aggrava la crisi del mercato immobiliare. Quindi, per molte banche è indispensabile procedere ad aumenti di capitale, che oggi sono possibili solo grazie a nuovi interventi dei fondi sovrani asiatici ed arabi. Gli interventi della Fed non possono invece far nulla per risolvere i loro problemi di solvibilità delle banche.
Questa politica rischia però paradossalmente di aggravare il quadro economico internazionale. La sensazione crescente di panico delle autorità americane sta trasformandosi in una crisi di fiducia nei confronti degli Stati Uniti, che si traduce in un’impressionante accelerazione della caduta del dollaro. Quest’ultima si accompagna ad un’impennata dei prezzi delle materie prime con il rischio di mandare in recessione Europa e Giappone. È difficile sapere quanto può durare questo gioco al massacro, anche se non è da escludere che presto sia la Banca centrale europea sia quella giapponese possano cominciare ad intervenire sui mercati dei cambi. Ma anche questi interventi produrrebbero solo risultati temporanei se non si intravvedesse all’orizzonte una via di uscita dalla crisi americana. Ma come hanno dimostrato i magri effetti dei 200 miliardi di dollari iniettati nei mercati all’inizio di questa settimana, i mezzi a disposizione della Federal Reserve non bastano per rilanciare la crescita americana e contemporaneamente risolvere la crisi del sistema bancario.
Non sorprende quindi che tra deputati e senatori si sia iniziato a discutere di massicci interventi statali. Le proposte che ora vanno per la maggiore avanzano l’ipotesi di stanziare 400 miliardi di dollari di soldi pubblici per stabilizzare il mercato immobiliare e quindi, seppur indirettamente, aiutare le banche. Questi provvedimenti, che comunque rischiano di risultare tardivi e insufficienti, presentano il pericolo di minare ulteriormente la fiducia negli Stati Uniti e nel dollaro. Questa è musica del futuro, che tuttavia ci permette già di predire che lo Stato federale e quindi i contribuenti americani saranno chiamati a pagare il conto delle follie commesse negli ultimi anni dalle grandi banche, che hanno creato una grande bolla del credito invocando nuove presunte regole del gioco prodotte dalla cosiddetta nuova ingegneria finanziaria.