CENACOLO DEI COGITANTI |
Documento d’interesse Inserito
il 9-6-2009
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Il Sole 24 Ore 5 giugno
2009
Senza diritto, che mercato è
di Ugo Mattei
Non avrebbe senso aggiungere la voce di un giurista al coro tanto
affollato quanto tardivo degli economisti che spiegano la crisi. Del resto il
giurista è figura tendenzialmente reattiva e interviene soltanto qualora
richiesto di un parere legale ex ante o per cercare di rimediare ex post a un
disastro avvenuto. In genere, ai clienti si raccomanda sempre d'interpellare il
legale in anticipo, evitando conseguenze catastrofiche di scelte maldestre. A
tal fine, la maggior parte dei sistemi giuridici diversi da quelli di common law hanno istituzionalizzato l'obbligo di coinvolgere ex
ante un giurista professionista altamente qualificato, qualora l'operazione
programmata rivesta importanza particolare. Da secoli nei paesi di tradizione
romanista bisogna andare dal notaio per operazioni importanti quali una
compravendita immobiliare, la costituzione di una società o quella di
un'ipoteca.
Sarebbe stato quindi bene che gli economisti si fossero rivolti in anticipo a
giuristi pratici, cercando di comprenderne le preoccupazioni e i modi di ragionare,
piuttosto che crearsene alcuni a propria immagine e somiglianza com'è avvenuto
con i cultori della cosiddetta law and economics (analisi economica del diritto) negli Stati
Uniti. Ciò non è successo. Di conseguenza, l'idea che il diritto dovesse disciplinare
e regolamentare i comportamenti di mercato, selezionando quelli ammissibili e
vietando quelli inammissibili sulla base di un criterio estrinseco (giustizia,
interesse pubblico, eccetera) rispetto alle esigenze del mercato stesso
(efficienza economica, stimolo alla crescita, eccetera) è stata denigrata come obsoleta nei dipartimenti di economia e nelle law schools americane e anche
sovente in Europa.
Mimic the market! (Imita il
mercato!), è stata la parola d'ordine cui hanno ubbidito, quasi incantati dal
prestigio dei cultori dell'economia i giuristi più "moderni",
svolgendo conseguentemente il ruolo degli utili idioti per un progetto di
deregolamentazione del mercato che, travolgendone le regole giuridiche più
resistenti, non poteva che preludere alla catastrofe. Da Bruxelles, per
esempio, in nome del mercato dei servizi giuridici, si è lanciata una crociata
contro gli ordini professionali, cercando di consegnare anche in Europa il
controllo di legalità nei trasferimenti immobiliari a compagnie di assicurazione
e banche, come avviene rispettivamente negli Stati Uniti e in Inghilterra.
Sempre da Bruxelles e sempre in nome del diritto "market friendly" (ossia che non controlla ma stimola) si è
sponsorizzato l'alleggerimento della corporate governance, imponendo riforme strutturali ai paesi membri
volte a configurare organizzazioni economiche complesse e strutturatissime
come meri "fasci di contratti" (nexus of contracts theory).
Potremmo moltiplicare gli esempi. Possiamo però osservare un'inversione di
rotta, almeno in Europa. I giuristi sono stati finalmente chiamati in causa, e
certo hanno qualcosa da dire se passa la tesi per cui nuove regole sono più
importanti di iniezioni di cash nelle banche per
uscire dalla crisi e recuperare perlomeno un orizzonte di medio periodo. Come
noto, la presidenza italiana del G-
Ora, al di là del merito di un lavoro ancora largamente in fase di gestazione,
il dato importante di questa scelta italiana è proprio quello di aver
rivendicato il corretto rapporto fra diritto e mercato. In soldoni,
l'idea dei legal standards
restituisce vigore alla nozione, abbandonata nel ventennio neoliberista, per
cui non è il diritto a dover essere giudicato in base alla sua coerenza con
un'idea astratta di "mercato efficiente", ma che viceversa sono i
concreti e diversi mercati a dover essere valutati a seconda della loro
compatibilità con criteri giuridici che, in ultima analisi, sono il prodotto di
scelte politiche.
In effetti, la rivoluzione culturale dell'analisi economica del diritto,
trionfante anche in sede di policy making a partire
dagli anni 80, era tutta qui. Per la prima volta nella storia, il diritto
veniva visto come un sistema di incentivi e di prezzi impliciti per le azioni
sociali. Una carota e non un bastone, sicché in nome
dell'"efficienza" il cartello "sosta vietata" non
significava più "non parcheggiare qui il tuo veicolo", ma piuttosto "parcheggia
pure qui se sei disposto a pagare i 35 euro della multa per divieto di
sosta". Questo è stato il passaggo
culturale chiave che ha potuto trasformare il diritto in una qualsiasi commodity, oggetto delle regole del mercato e analizzabile
con la modellistica di cui sono maestri gli economisti. Chiaramente il diritto,
trasformato a immagine e somiglianza degli economisti, ha smesso di mordere
almeno nei confronti di coloro che potevano produrre una domanda pagante di
mercato.
La crisi richiede un'inversione di rotta e una capacità di restituire i denti
alla giuridicità nei confronti delle forze economiche. Molti sostengono la
necessità di costruire un ordine giuridico globale sovrano (cosa con ben scarse
possibilità concrete a breve). Mi pare tuttavia che se si mette al centro l'enforcement (effettività) molto si può intanto fare anche
in dimensione locale, facendo emergere un diritto vivente capace di contrastare
gli abusi. Restituire i denti al diritto significa infatti
armare le vittime attuali o potenziali dei disastri causati dalla speculazione
finanziaria di sedi dove far valere i propri diritti, le proprie preoccupazioni
e il proprio senso di giustizia.
Ciò può avvenire ex post,
aprendo davvero all'attore civile le porte della giurisdizione sotto casa
propria (domicilio dell'attore: Francia) attraverso sistemi avanzati e pubblici
di access to justice, non solo class action ma anche il legal aid (Germania e Svezia), discovery effettiva e danni punitivi (Usa), eccetera. Ma
soprattutto ciò deve avvenire ex ante garantendo controlli di legalità e piena
comprensione delle operazioni economiche che vengono poste in essere. I gate keepers più sperimentati
dalla storia sono i notai latini la cui assenza come controllori ex ante degli animal spirits è oggi rimpianta
perfino nei sistemi di common law.
L'autore è professore di diritto comparato alla University of California, Hastings, e di
diritto civile all'Università di Torino